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Lunedì 12 Novembre 2018 ore 15:30
AULA, Seduta 81 - Iniziative volte a prevenire e contrastare la violenza contro le donne
Resoconto stenografico
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La Camera ha svolto la discussione sulle linee generali delle mozioni Muroni, Bazoli ed altri n. 1-00057 e Zolezzi, Lucchini ed altri n. 1-00073 concernenti iniziative di competenza in relazione alle criticità connesse al conferimento in discarica dei rifiuti speciali in provincia di Brescia; Annibali, Boldrini, Gebhard ed altri n. 1-00070 e D'Arrando, Panizzut ed altri n. 1-00074 concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare la violenza contro le donne. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
XVIII LEGISLATURA
81^ SEDUTA PUBBLICA
Lunedì 12 novembre 2018 - Ore 15,30
1. Discussione sulle linee generali della mozione Muroni, Bazoli ed altri n. 1-00057 concernente iniziative di competenza in relazione alle criticità connesse al conferimento in discarica dei rifiuti speciali in provincia di Brescia (vedi allegato).
2. Discussione sulle linee generali della mozione Annibali, Boldrini ed altri n. 1-00070 concernente iniziative volte a prevenire e contrastare la violenza contro le donne (vedi allegato).
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Annunzio delle dimissioni di un Sottosegretario di Stato
- Sull'ordine dei lavori
- Discussione della mozione Muroni, Bazoli ed altri n. 1-00057 concernente iniziative di competenza in relazione alle criticità connesse al conferimento in discarica dei rifiuti speciali in provincia di Brescia
- Discussione della mozione Annibali, Boldrini ed altri n. 1-00070 concernente iniziative volte a prevenire e contrastare la violenza contro le donne
- Svolgimento
- Discussione sulle linee generali
- Vice Presidente ROSATO Ettore
- Deputata BOSCHI Maria Elena (PARTITO DEMOCRATICO)
- Deputata FOSCOLO Sara (LEGA - SALVINI PREMIER)
- Deputata D'ARRANDO Celeste (MOVIMENTO 5 STELLE)
- Deputata ZANELLA Federica (FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE)
- Deputata SPORTIELLO Gilda (MOVIMENTO 5 STELLE)
- Deputata MARROCCO Patrizia (FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE)
- Deputato IOVINO Luigi (MOVIMENTO 5 STELLE)
- Repliche
- Discussione sulle linee generali
- Svolgimento
- Interventi di fine seduta
- Ordine del giorno della prossima seduta
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
MIRELLA LIUZZI, legge il processo verbale della seduta del 7 novembre 2018.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Benvenuto, Bonafede, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Caiata, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Galli, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Guidesi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Picchi, Rixi, Ruocco, Saltamartini, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Tofalo Vacca, Valente, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente sessantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna .
PRESIDENTE. Comunico che, in data 9 novembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera: “Onorevole Presidente, la informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dall'onorevole dottor Maurizio Fugatti dalla carica di Sottosegretario di Stato per la salute. Con viva cordialità, firmato: Giuseppe Conte”.
Facciamo gli auguri all'onorevole Fugatti per la sua elezione a presidente della provincia.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Mulè. Ne ha facoltà.
GIORGIO MULE'(FI). Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori per sollecitare, attraverso lei, la Presidenza della Camera affinché il Governo, in particolare il Vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, riferisca in tempi rapidissimi a quest'Aula in materia di libertà di stampa, così come scolpita all'articolo 21 della nostra Costituzione, oltre che su annunciati provvedimenti legislativi sull'editoria voluti dal Governo.
Signor Presidente, si tratta di un'esigenza immediata e non rinviabile per la gravità delle circostanze che illustrerò brevemente e che la prego di ascoltare, come sta facendo, affinché possano essere portate all'attenzione del Presidente Fico. Sabato 10 novembre, a seguito della sentenza di assoluzione del sindaco di Roma, il Vicepresidente del Consiglio Di Maio ha così commentato - cito tra virgolette -: “Il peggio in questa vicenda lo hanno dato la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli, che ogni giorno, per due anni, hanno provato a convincere il MoVimento a scaricare la Raggi”.
Presidente, non è finita qui, perché il Vicepresidente Di Maio ha continuato - cito ancora tra virgolette - dicendo: “Pagine e pagine di , giornalisti d'inchiesta diventati cani da riporto di Mafia capitale, direttori di testata sull'orlo di una crisi di nervi, scrittori di libri contro la casta diventati inviati speciali del potere costituito. La vera piaga di questo Paese” - cito sempre l'onorevole Di Maio – “è la stragrande maggioranza dei corrotti intellettualmente e moralmente. Presto faremo una legge sugli editori puri”.
Riassumo, Presidente: cioè, la stragrande maggioranza dei giornalisti italiani sarebbero dunque, per il Vicepresidente del Consiglio Di Maio, infimi sciacalli, cani da riporto di Mafia capitale, inviati speciali del potere costituito, corrotti intellettualmente e moralmente.
Presidente, ci troviamo davanti a una gravissima forma di intimidazione, reiterata orgogliosamente ancora ieri in televisione dal Vicepresidente Di Maio, e che fa il paio con il pensiero di un esponente di primissimo piano del suo partito, il MoVimento 5 Stelle, che si chiama Alessandro Di Battista, secondo il quale… Presidente, dovrei citarlo tra virgolette, ma scadrò nel trivio, se lei mi permette, citando ciò che ha detto l'onorevole Di Battista…
PRESIDENTE. Non le permetto, anche perché non è neanche un parlamentare.
GIORGIO MULE'(FI). Benissimo, comunque ha dato dei “pennivendoli”, diciamo così, ai giornalisti, accodandosi così al Vicepresidente Di Maio. Però, il Vicepresidente Di Maio, Presidente, è investito di una responsabilità maggiore rispetto a noi deputati, in quanto Ministro e Vicepremier: ha giurato fedeltà alla Repubblica, ha giurato di osservare lealmente la Costituzione, di inchinarsi ai suoi precetti. All'articolo 21 - lo ricordo a me stesso - leggiamo che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Affermare e confermare senza vergogna che la stragrande maggioranza dei giornalisti sono infimi sciacalli, cani da riporto di Mafia capitale, inviati speciali del potere costituito, corrotti intellettualmente e moralmente, significa bestemmiare l'articolo 21 della Costituzione, equivale a pronunciare una minaccia che ci riporta, Presidente, per assonanza ed identità di espressione, al baratro della barbarie che appartiene alla feccia dell'umanità e cioè a mafiosi e camorristi. Significa parlare con lo stesso linguaggio, che lei ricorderà, usò Totò Riina, i della camorra, della per definire infimi sciacalli giornalisti ed eroi del giornalismo. Erano infimi sciacalli secondo Riina e i boss della camorra Mario Francese, Giancarlo Siani, Mauro De Mauro, Pippo Fava, tutti giornalisti definiti infimi sciacalli da Riina, dai del clan Nuvoletta, dai Corleonesi e dai camorristi. È di oggi un infimo sciacallo il cronista che sfidò il clan di Ostia e venne spedito all'ospedale, i giornalisti che sono minacciati dalla mafia. Sono infimi sciacalli tutti coloro che liberamente esprimono le loro opinioni nel nome di un giornalismo autenticamente libero e di denuncia.
Presidente, le parole hanno un peso, le parole sono come pietre, le parole possono essere proiettili, armare le pistole dell'infamia, della calunnia, se non addirittura legittimare azioni violente in menti deboli. Annunciare, come ha fatto il Vicepresidente Di Maio, una legge sugli editori puri rappresenta, da parte del Governo, una forma di ritorsione e punizione contro i giornalisti definiti nella loro stragrande maggioranza infimi sciacalli.
Concludo, Presidente. Noi, che siamo rappresentanti e custodi della democrazia, abbiamo il dovere di non rimanere silenti, abbiamo l'obbligo di pretendere immediatamente chiarezza. Non può esserci oblio contro l'inciviltà, perché equivarrebbe a una forma di viltà e di complicità. Noi, qui ed oggi, Presidente, chiediamo che il Vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio venga al più presto in Aula per compiere l'unico atto dovuto al Paese: inginocchiarsi davanti alla Costituzione, chiedere scusa ai giornalisti e, soprattutto, difendere la libertà di stampa .
PRESIDENTE. Collega Mulè, pensavo che la richiesta finale fosse un'informativa, altre formule il nostro Regolamento non le prevede. Riferiremo al Governo, poi le considerazioni politiche che il Vicepremier riterrà di fare in quella sede le farà lui.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione Muroni, Bazoli ed altri n. 1-00057 concernente iniziative di competenza in relazione alle criticità connesse al conferimento in discarica dei rifiuti speciali in provincia di Brescia .
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
Avverto altresì che è stata presentata la mozione Zolezzi, Lucchini ed altri n. 1-00073 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata Rossella Muroni, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00057 . Ne ha facoltà.
ROSSELLA MURONI(LEU). Presidente, non è la prima volta che quest'Aula si occupa della situazione ambientale della provincia di Brescia, che è motivo di persistente e diffusa preoccupazione a causa di molteplici elementi di pressione che si ritrovano in quel territorio. Brescia - parliamo di 450.000 residenti nell'agglomerato urbano, di circa 1.300.000 nell'intera provincia - è la terza provincia industriale italiana. Industrializzazione, zootecnia intensiva, estesa urbanizzazione, elevata concentrazione di infrastrutture trasportistiche, altre combustioni e processi produttivi ad elevato impatto hanno determinato effetti complessi, diversi fenomeni di pesante degrado delle risorse naturali e ambientali. Ricordiamo il sito di interesse nazionale Caffaro, i livelli di fortissimo inquinamento che sono stati riscontrati anche dallo studio Sentieri - il sottosegretario lo conosce bene -, che si è occupato naturalmente della vicenda Terra dei fuochi ma anche della provincia di Brescia, in particolare in relazione all'oggetto della mozione che oggi discutiamo, appunto la presenza nella stessa zona, nella stessa provincia, di ben 109 discariche riferite appunto ai rifiuti speciali. Ma va detto che questo è quello che noi conosciamo, che è ufficiale, autorizzato, nulla si sa di quello che accadde prima del 1982, della legge di riferimento.
Tutti gli indicatori di pericolosità, di vulnerabilità e di esposizione allo ambientale evidenziano, insomma, livelli molto, molto avanzati. Contestualmente, Brescia è un'eccezionale patrimonio naturale, paesaggistico, storico-monumentale, insomma meriterebbe ben altro futuro, meriterebbe di poter aggirare pagina rispetto a una industrializzazione così importante.
Non è la prima volta che quest'Aula si occupa della provincia di Brescia su questi temi. A tal fine, il 5 dicembre 2017 era stata approvata una mozione analoga a quella da noi oggi presentata, votata trasversalmente, anche da alcune delle forze di maggioranza che oggi governano il Paese, in cui si chiedeva al Governo di allora di incrementare i fondi e di porre attenzione alla situazione ambientale del territorio bresciano. Tuttavia, dal testo che ho potuto recuperare, si trattava dell'utilizzo della formula “a valutare l'opportunità di”.
Quindi, sostanzialmente, quello che noi registriamo è che, a un anno di distanza, nulla o poco più è stato fatto rispetto a questi temi, nonostante fosse stata approvata quella mozione con una composizione trasversale. Quindi ho ritenuto doveroso riportare in Aula questa vicenda, anche perché, nel frattempo, è stata approvata, il 24 settembre 2018, all'unanimità, una mozione presentata dal consigliere Marco Apostoli nel consiglio provinciale di Brescia.
Come capite, quindi, è una questione che rimane all'ordine del giorno e che, davvero, mobilità tantissimi cittadini sotto forma di comitati e di associazioni; naturalmente, c'è anche l'impegno della Legambiente, ma è davvero una questione di tutti, insomma, una situazione non più rinviabile e a cui io credo che la politica debba dare opportune risposte.
Ringrazio anche dell'aiuto e della disponibilità i colleghi Bazoli, Berlinghieri, Fornaro e Braga, che hanno voluto firmare con me questa mozione, per dire che continuiamo a ribadire quello che si chiedeva nella scorsa mozione. Vorremmo che magari questa volta - abbiamo sentito dell'annuncio di una nuova mozione, che io però non conosco perché è arrivato adesso il testo in Aula - se ci fosse un modo per stringere con i tempi, mediante impegni precisi, ben venga anche un'ulteriore mozione rafforzativa, visto che è stata presentata da una delle forze di maggioranza. Noi, comunque, ribadiamo che è necessario individuare le criticità, l'entità e le conseguenze della situazione che noi abbiamo riscontrato in questi anni, peraltro già registrata dalle cronache parlamentari. Ebbene, si sottolinea che nella provincia di Brescia, secondo i dati pubblicati dall'Ispra per l'anno 2016, sono stati interrati in discarica, nell'ultimo anno censito - il 2016 - 2.578.169 tonnellate di rifiuti speciali, pari al 76,47 per cento di quelli interrati in tutta la Lombardia, e pari al 21,3 per cento di tutti quelli conferiti in discarica in tutta Italia. Di fronte a questi numeri non sorprende che i cittadini bresciani sentano trattato il proprio territorio come se fosse la discarica italiana dedicata a questo in maniera prioritaria.
Dalla lettura dei dati Ispra si apprende, inoltre, che nella provincia di Brescia la media dei rifiuti seppelliti per chilometro/quadrato risulta essere di circa tredici volte superiore rispetto alla media delle altre province lombarde e di tutto il territorio nazionale. Se poi si confronta la provincia di Brescia con le altre province, quali ad esempio Savona, Verona, Livorno, Terni, Taranto, che hanno criticità simili, risulta che la quantità dei rifiuti conferiti in discarica per chilometro/quadrato è più del doppio.
Negli anni recenti il tutto è avvenuto, certamente, in modo più conforme alle normative di quelli sversati nella tristemente famosa Terra dei fuochi ma, come accennavo all'inizio, noi non abbiamo conoscenza di quanto è avvenuto in questa provincia negli anni antecedenti alla normativa del 1982. Quindi, innanzitutto, c'è bisogno di un'indagine conoscitiva. Della provincia di Brescia, non si è occupato solo lo studio Sentieri, ma c'è anche il lavoro della Commissione speciale sui rifiuti, che è stata di nuovo appena costituita e alla quale io chiederò di occuparsi nuovamente della provincia di Brescia e della situazione riscontrata.
Poi, oltre alla vicenda dei rifiuti interrati, ci sono anche i numeri che sono legati alle note distorsioni del ciclo nazionale dei rifiuti urbani. Ricordiamo che Brescia è anche sede del più grande termovalorizzatore d'Italia, il terzo più grande d'Europa, senza parlare della piaga dello spandimento eccessivo e spesso abusivo dei liquami sui terreni agricoli, nonché dei fanghi. È impensabile che Brescia continui ad essere, quindi, la pattumiera d'Italia.
Questi sono i motivi, naturalmente, che noi abbiamo ritenuto assolutamente centrali e importanti nella presentazione di questa mozione. Ciò che chiediamo nella mozione è il blocco di nuove autorizzazioni, quindi una moratoria, almeno per i prossimi cinque anni, all'apertura di nuove discariche, estendendo le misure previste dalla normativa nazionale più restrittive come precondizione per monitorare tutti i siti compromessi, sia quelli censiti, sia quelli non ancora noti, al fine di implementare un piano generale della bonifica del territorio.
Inoltre, si chiede che il Governo preveda, attraverso l'adozione di un decreto ministeriale, l'introduzione nel decreto legislativo n. 152 del 2006, il codice ambientale, di un criterio nazionale che consenta alle regioni di inserire nel proprio ordinamento il “fattore di pressione” per le discariche, quale criterio obbligatorio per l'indicazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti. Ciò perché, al di là dei metri quadrati, dei metri cubi e delle tonnellate, c'è da considerare, a nostro modo di vedere, un indice più generale, che deve tenere conto della pressione che già il territorio sta subendo e, quindi, riteniamo che lo strumento del “fattore di pressione” possa essere notevolmente efficace se reso di rapida definizione e parametrizzato in senso restrittivo.
Mi rendo conto che questa, per il Ministero dall'ambiente, è una sfida, ma penso che possa essere davvero uno strumento che, partendo da Brescia, può essere uno strumento utile per tutti i territori italiani, i quali conoscono la piaga delle discariche e vivono la contraddizione di un Paese che si muove nell'ambito dell'economia circolare, ma che poi misura sui territori ancora elementi di insostenibilità ambientale, sociale ed economica.
I cittadini non possono più sentirsi lasciati soli di fronte a queste tematiche e, soprattutto, dal nostro punto di vista, la registrazione di questo “fattore di pressione” va proprio incontro anche a una percezione dei cittadini e delle comunità coinvolte da questo tipo di insediamenti.
Oltre allo strumento del “fattore di pressione”, continuiamo e ritorniamo a chiedere al Governo, al Ministero, un impegno anche per favorire la partecipazione e la trasparenza di questo tipo di impianti, perché noi sappiamo bene che la questione ambientale e l'economia circolare in particolare, così come la soluzione del ciclo dei rifiuti, hanno bisogno di impianti. Dal nostro punto di vista, naturalmente, le discariche sono gli impianti più sbagliati e, anzi, rapidamente dovremmo uscire da quel modello, anche perché è l'Europa che ha regolamentato e tracciato una via importante rispetto al futuro. Tuttavia, è necessario anche tranquillizzare e coinvolgere i cittadini in un processo di trasparenza, di informazione, che non li faccia sentire soli e che li garantisca, invece, sul fronte della salute e della gestione del problema.
Io credo che questa sia una battaglia assolutamente trasversale, che noi dovremmo fare collaborando il più possibile e rispondendo, così, alle esigenze dei cittadini, dimostrando una responsabilità superiore. Quindi, come da annuncio del Presidente, la presenza di una mozione di maggioranza - ho letto sui giornali che si annuncia un superamento, invece, dei contenuti della nostra mozione - ben venga, se è, come dire, ulteriormente stringente, cioè se prende degli impegni concreti (essendo una mozione di maggioranza ha, naturalmente, un peso diverso rispetto a un impegno concreto da parte del Governo). Se così è, ben venga e, se queste sono le caratteristiche, sin da subito mi offro di collaborare e di firmare la mozione Zolezzi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bazoli. Ne ha facoltà.
ALFREDO BAZOLI(PD). Grazie, Presidente. Noi abbiamo firmato volentieri la mozione della collega Muroni, anzi abbiamo anche contribuito in parte a formularla e lo abbiamo fatto sebbene fosse possibile anche per noi, per il Partito Democratico, presentare una nostra mozione autonoma.
Tuttavia, ci interessava e ci interessa - su un tema delicato come quello che è oggetto della mozione, cioè il tema dell'inquinamento che riguarda la provincia di Brescia e, in particolare, in questo caso, l'emergenza discariche e rifiuti - fare iniziative il più possibile unitarie, il più possibile trasversali; un po' sulla falsariga di quello che abbiamo fatto nella scorsa legislatura, quando, sul finire appunto della scorsa legislatura, a fine 2017, grazie all'iniziativa di un nostro collega di allora, l'amico Mario Sberna, che si fece promotore di un'iniziativa per una mozione trasversale, come si dice, sulle criticità ambientali della provincia di Brescia, riuscimmo a portare in Aula una mozione che era firmata da praticamente tutti i parlamentari bresciani presenti in quest'Aula, e quindi Partito Democratico, Forza Italia, Lega e MoVimento 5 Stelle.
Diciamo una mozione che metteva insieme un po' tutte le forze politiche presenti in quest'Aula, perché c'era la piena consapevolezza che su temi così rilevanti e così importanti, che riguardano il nostro territorio, e quindi la provincia di Brescia, è molto importante, molto più importante che piantare bandierine della propria posizione politica, trovare un'unità di intenti, perché si tratta di questioni centrali e decisive per lo sviluppo e la tutela del nostro territorio. In quella circostanza noi riuscimmo a portare tutte le forze politiche alla condivisione di una mozione che impegnava il Parlamento e il Governo ad adottare le misure utili e necessarie per cercare di dare risposte a criticità ambientali che, purtroppo, la provincia di Brescia conosce in maniera molto pesante.
Anche questa mozione della collega Muroni, che noi abbiamo volentieri condiviso e sottoscritto, è una mozione che prende le mosse da un'altra iniziativa che ha avuto la caratteristica di riunire attorno a sé tutte le forze politiche, che è un'iniziativa della provincia di Brescia. C'è una mozione che è stata adottata dalla provincia di Brescia all'unanimità, e quindi, anche in questo caso, con una condivisione bipartisan, cioè di tutte le forze politiche, con la quale si invitava la provincia di Brescia ad assumere iniziative che poi sono state tradotte negli impegni che sono indicati nella mozione Muroni. E perché c'era la necessità di questa unità di intenti? Perché è vero, lo si diceva nella scorsa mozione ed è sottinteso anche in questa, che la provincia di Brescia conosce criticità ambientali che sono molto pesanti; sono spesso poco conosciute a livello nazionale, perché si parla molto di più di altri territori, ma la verità è che la città di Brescia e la provincia di Brescia conoscono criticità ambientali molto pesanti, che sono figlie dell'impetuoso sviluppo industriale dei decenni scorsi, che si è accompagnato spesso a una mancanza di consapevolezza delle ricadute che questo sviluppo industriale avrebbe portato sul territorio dal punto di vista ambientale.
E noi ci troviamo alle prese con l'eredità di questo sviluppo industriale impetuoso, che ha portato tanto benessere, ma che ha portato anche, come corollario non voluto, non desiderato, anche queste criticità ambientali. Quindi, noi abbiamo matrici ambientali molto pesantemente inquinate, noi abbiamo avuto problemi di inquinamento delle falde acquifere, inquinamento da cromo esavalente o da PCB. Abbiamo inquinamento da PCB di aree molto rilevanti della città di Brescia, e quindi è stato ricordato prima il sito inquinato della Caffaro, che è un sito di interesse nazionale. Abbiamo, quindi, una condizione complessiva molto critica e molto difficile, della quale ci si è resi conto da qualche tempo, che ha portato all'avvio di azioni di risanamento e di miglioramento delle condizioni complessive che sono ormai , perché, anche questo bisogna dirlo, per fortuna non siamo all'anno zero.
Noi siamo oggi in una condizione in cui c'è la piena consapevolezza di queste criticità ambientali, ma sono già state avviate azioni finalizzate a bonifiche, risanamenti, miglioramenti anche del ciclo economico che è alla base di queste criticità ambientali, perché bisogna ricordare che anche l'industria bresciana si è fatta carico, ha cercato di farsi carico della necessità di migliorare i propri processi produttivi, per evitare che questi, poi, abbiano ricadute ambientali pesanti come è accaduto in passato.
Tanto è vero che penso che si possa dire che la nostra provincia, pur essendo una provincia ad elevata criticità ambientale, è anche una provincia che può rappresentare un modello nazionale per la capacità di rispondere in maniera adeguata a queste criticità ambientali. Noi abbiamo il comune di Brescia che negli anni scorsi si è attivato in maniera, secondo me, molto positiva per cercare di risolvere uno dei problemi, dei nodi principali di cui si parla, che è il problema della Caffaro, il sito inquinato della Caffaro. Sono state avviate le bonifiche, le prime bonifiche di aree inquinate della città che erano interdette perfino alla popolazione, e quindi erano aree particolarmente inquinate, e questo grazie a un'attività positiva dell'amministrazione, ma anche grazie al fatto che finalmente dal Governo nazionale sono pervenuti i fondi che oggi sono a disposizione per avviare una bonifica che, dal punto di vista delle risorse, ne impegnerà di ingentissime, perché si stimano centinaia di milioni di euro per una bonifica integrale di queste aree.
Eppure noi abbiamo avviato queste bonifiche, siamo riusciti ad avviare un percorso virtuoso e positivo, e questo anche grazie alla collaborazione di tutti gli attori istituzionali, e quindi il comune, l'amministrazione, ma anche le aziende di servizi interessate. Ricordo che A2A ha da tempo proceduto alle bonifiche dei pozzi da cui si preleva l'acqua potabile, e oggi noi finalmente abbiamo risolto il problema del cromo esavalente, che era un problema nelle acque potabili che era enorme, con il quale abbiamo fatto i conti per tanti anni; grazie a un'azienda di servizi, quindi a un'azienda privata, siamo riusciti a risolvere il problema. Per cui Brescia, secondo me, per questo contesto istituzionale, economico, privato, per questa consapevolezza diffusa che c'è nell'opinione pubblica, può diventare un modello per la risoluzione e l'avvio a soluzione definitiva di queste criticità ambientali, che non riguardano solo il territorio di Brescia, ma che riguardano anche molti altri territori nazionali.
In questo, però, noi dobbiamo avere un aiuto, un ausilio, un supporto da parte delle istituzioni nazionali; questo era l'oggetto della mozione della scorsa legislatura, con la quale noi chiedevamo un forte sostegno alle istituzioni nazionali sia in termini di risorse economiche sia in termini di supporto alle politiche degli enti locali per la risoluzione delle criticità ambientali. Penso che questa debba essere anche oggi una richiesta forte che viene dal territorio bresciano. Noi chiediamo a tutte le forze politiche, e mi auguro e penso che sarà così, ma mi auguro che anche la mozione di maggioranza che verrà depositata, o che è stata depositata e che io ancora non ho letto, insista molto su questo, cioè occorre che tutte le forze politiche e tutti i parlamentari bresciani chiedano alle istituzioni nazionali un forte supporto, perché Brescia può davvero diventare un modello per affrontare in maniera lungimirante, corretta, efficace, con il concorso di tutti gli attori coinvolti, l'avvio a soluzione di questi problemi. E questa mozione indica alcuni percorsi che noi riteniamo opportuni, riteniamo utili, in particolare concentrandosi su uno dei problemi che riguarda le criticità ambientali della provincia di Brescia, che è quello delle discariche e dei rifiuti.
Infatti Brescia - è stato ricordato prima dalla collega Muroni, che ha presentato la mozione - purtroppo è sede di una quantità enorme di discariche, in particolare di rifiuti speciali, che non ha eguali, come incidenza rispetto al territorio, in tutta Italia; e questo deve imporre l'adozione di misure di particolare rilevanza e anche di particolare eccezionalità per fermare questo sviluppo impetuoso di queste discariche che stanno impegnando il nostro territorio. È per questo che noi chiediamo con forza che venga adottata una moratoria, che venga adottata una soluzione normativa che impedisca l'apertura di nuove discariche di questa natura prima che sia stato fatto un censimento e un monitoraggio complessivo di tutti i siti compromessi, perché oggi la provincia di Brescia non può permettersi ulteriori sacrifici da questo punto di vista.
E non è senza rilievo il fatto che in alcuni casi recenti la provincia di Brescia si sia trovata con le mani legate rispetto a richieste di apertura di discariche perché la normativa nazionale e regionale non consentivano di intervenire in maniera più adeguata. Questo, credo, sia un problema che va affrontato, e va affrontato anche, credo, dal legislatore nazionale.
Chiediamo anche che si introduca nella legislazione nazionale una cosa che regione Lombardia ha cercato di introdurre negli anni scorsi, ma che poi si è impantanata tra ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato, e cioè il fattore di pressione ambientale per discariche; si tratta di introdurre una indicazione, quando si rilascia un'autorizzazione a una discarica, che tenga conto della pressione ambientale e, quindi, delle condizioni complessive del territorio nel quale quella discarica va a inserirsi. Infatti, questo può essere uno strumento che viene dato agli enti locali, alle amministrazioni locali per riuscire a gestire in maniera adeguata anche la presenza di queste discariche.
Quindi, credo che questo dovrebbe essere un impegno che noi chiediamo concordemente, e mi auguro che sia condiviso anche dagli altri gruppi parlamentari, perché il legislatore nazionale, da un lato, ci consenta, attraverso introduzioni normative, di aiutare, appunto, gli enti locali ad affrontare adeguatamente i problemi e, dall'altro, ci aiuti a diventare, come noi possiamo essere, per le condizioni che prima descrivevo, un vero e proprio modello per la risoluzione delle criticità ambientali, modello da esportare, poi, anche in tutto il resto del Paese.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lorenzoni. Ne ha facoltà.
EVA LORENZONI(LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, il tema di questa mozione riguarda un argomento molto sentito, specialmente in determinati territori. Lo sviluppo di una politica ambientale da parte dei nostri Governi è cosa relativamente recente e, comunque, tardiva rispetto ad altri Paesi, risale infatti alla fine degli anni Sessanta, e solo dalla metà degli anni Settanta la politica ambientale è stata dichiarata di competenza comunitaria e ha avuto un'importanza crescente negli anni, seguendo la crescita della sensibilità ambientale della popolazione e la consapevolezza di come la salvaguardia dell'ambiente sia legata a doppio filo con la qualità della vita stessa. Possiamo affermare che sia stata l'istituzione del Ministero dell'ambiente, nel 1986, ad avere segnato la data ufficiale della nascita di una vera politica ambientale in Italia.
Ecco, dunque, che questo ritardo, sommato a una scarsa consapevolezza da parte della vecchia classe politica, ha portato aree come quale della provincia di Brescia, che voglio ricordare essere una di quelle zone di più antica industrializzazione, a dover pagare un prezzo maggiore a causa dell'inquinamento che ha portato ad una compromissione della matrice ambientale di aria, suolo ed acqua. Un esempio fra tutti è quello delle numerose acciaierie realizzate in passato senza controlli e che ora sono costantemente monitorate dalle prescrizioni previste in sede di autorizzazione ambientale e da controlli in capo ad ARPA e alle province; attività che, fra l'altro, andrebbero potenziate e adeguatamente finanziate.
Purtroppo, le responsabilità dell'inquinamento di certe aree sono difficilmente imputabili con chiarezza, avendo gli impianti industriali più vecchi cambiato numerosi proprietari nel corso del tempo e rendendo così molto difficile la richiesta di ristoro del danno arrecato.
In questa sede, non posso esimermi dal sottolineare anche come il tema delle bonifiche di discariche e di aree industriali dismesse ai fini di un riutilizzo diverso sia argomento scottante che richiede finanziamenti ingenti e una visione di insieme. Non si può nemmeno chiudere gli occhi di fronte a una situazione preoccupante legata alla salute pubblica. In queste aree si verifica un sensibile aumento della mortalità per patologie correlate all'inquinamento ambientale.
In questo senso, occorre ammettere come esistano realtà, come la Lombardia, una delle regioni maggiormente popolose, dove, pur esistendo una concentrazione notevole di impianti di vecchia e di nuova costruzione, sono state messe in atto, specialmente negli ultimi anni, misure serie di contenimento del danno e di ripristino delle condizioni. In questo senso, ad esempio, il progetto lombardo PLUMES 2014-2016, basato su studi svolti da ARPA con il supporto del Politecnico di Milano, rappresenta un esempio di mappatura delle aree oggetto di inquinamento diffuso o, comunque, di grave entità; una buona politica da diffondere su tutto il resto del Paese, proprio per realizzare interventi di bonifica puntuali e per approfondire lo stato di salute delle acque sotterranee, attraverso l'integrazione di diverse metodologie di analisi, di natura statistica, geostatica e modellistica. Un progetto valido, messo in pratica in un'area critica, specie se si considera come le acque sotterranee della pianura lombarda presentino un degrado qualitativo di varia natura e distribuzione, a causa della elevata vulnerabilità del sottosuolo e della notevole concentrazione di attività antropiche che determinano l'esistenza di un elevato potenziale di contaminazione.
Certo, la gestione dei rifiuti è all'avanguardia in tutto il Nord, con percentuali di raccolta differenziata superiori a quelle richieste dalle direttive comunitarie, con impianti di cernita di moderna tecnologia e con impianti di termovalorizzazione che hanno costituito modelli a livello mondiale. Ed ecco anche la ragione per cui al Nord vengono trattate grandi quantità di rifiuti, si parla di 130 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani e speciali, purtroppo in concentrazione molto superiore a quella richiesta per le esigenze del territorio regionale.
Questa premessa si è resa necessaria per ribadire con forza come in Lombardia e, in particolare, nella provincia di Brescia, dove esiste un elevato fattore di pressione ambientale, occorra: contenere i conferimenti dei rifiuti alle discariche e agli inceneritori, utilizzando una logica di prossimità e sostenibilità; indicare i criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla costruzione di impianti di smaltimento dei rifiuti; proibire la realizzazione di nuovi impianti, ove la concentrazione di quelli esistenti non lo permetta, ai fini della sostenibilità ambientale. Questo perché esistono aree ben delimitate che, nel corso degli anni, hanno visto una concentrazione di discariche tale da recare danni pesantissimi all'intero ecosistema. Queste zone hanno già dato il loro contributo, pagando un prezzo decisamente troppo elevato.
La regione Lombardia, in questo senso, è stata lungimirante, introducendo, grazie al contributo dall'assessore leghista Terzi, un criterio ben preciso denominato fattore di pressione, che misura proprio il grado di saturazione di un determinato territorio, al fine di evitare la costruzione di nuovi impianti in ambiti compromessi. Questo indice ha già avuto una positiva prima esperienza in regione Lombardia, nell'ambito del Piano regionale di gestione dei rifiuti del 2014 e ulteriormente normato nel 2017.
Non c'è. Però. soltanto la questione relativa al contenimento del numero di nuovi impianti, c'è anche l'importantissimo tema relativo alla circolazione dei rifiuti speciali provenienti da fuori regione. Riteniamo che la strategia politica non possa essere a livello nazionale, ma che occorra obbligare le singole regioni all'autosufficienza nello smaltire i propri rifiuti. Deve essere abbandonata l'idea della rete nazionale inceneritori, consentendo alle regioni autosufficienti di dismettere i propri inceneritori in eccesso. In questo senso, crediamo che l'autonomia regionale sia la vera soluzione.
Occorre, però, prendere atto come siano troppe, ancora, le regioni che stentano ad osservare la tabella di marcia in materia di gestione dei rifiuti. Il 15 febbraio 2017 la Commissione europea ha lanciato un all'Italia, un parere motivato per spingere ad adottare e ad adeguare i piani di gestione dei rifiuti alle nuove disposizioni europee, considerando che alcune regioni italiane non hanno ancora provveduto. Alcune regioni non hanno ancora riesaminato i loro piani di gestione dei rifiuti adottati prima del 2008, mente le direttive UE e il codice dell'ambiente italiano prevedono il termine per l'allineamento dei piani regionali al 12 dicembre 2013 e una rivalutazione dei piani ogni sei anni.
Il parere motivato della Commissione del 2017 prevede che l'Italia risponda entro due mesi, decorsi i quali scatta la possibilità del deferimento alla Corte di giustizia UE per il mancato recepimento della direttiva europea sui rifiuti. La regione Lombardia è una delle poche ad aver deliberato l'aggiornamento delle norme tecniche del Piano di gestione dei rifiuti il 20 giugno 2014 e una delle poche regioni a disporre di sistemi informatici per l'elaborazione di dati, come il CGR-Web, catasto geo-referenziato impianti rifiuti, e L'Orso, Osservatorio rifiuti sovraregionale.
Il nostro gruppo auspica che si possa uniformare a livello nazionale il livello di tutte le iniziative in materia di rifiuti da parte di tutte le regioni e che esse possano adempiere dignitosamente agli obblighi comunitari .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zolezzi. Ne ha facoltà.
ALBERTO ZOLEZZI(M5S). Grazie, Presidente. Parliamo, oggi, di un argomento che non ha colore; la tutela ambientale è uno degli argomenti d'obbligo, nel senso che o lo tuteliamo o non riusciremo ad avere un futuro. Parlare di Brescia potrebbe sembrare un tema localistico, però, purtroppo, parliamo di una realtà segnata da decenni di incuria, di normative locali e nazionali spesso incoerenti, di incapacità di controllare e di dare una direzione di sostenibilità. Si è scontrata un'ottima capacità produttiva, ottime capacità artigianali con un territorio posto nella Pianura Padana con dei limiti orografici evidenti e adesso stiamo iniziando a verificare gravissimi effetti sulla salute, sugli ecosistemi e sull'ambiente.
Ci sono degli studi importanti che sono stati fatti su queste zone, ricordo che Brescia è ancora uno dei trentanove siti di interesse nazionale per le bonifiche che è stato analizzato, tra i tanti studi, dallo studio Sentieri, già citato. Questo studio, oltre a valere sui singoli siti, ha portato degli elementi arrivati anche nella letteratura scientifica internazionale; per esempio, grazie allo studio sui siti italiani si è vista una relazione, anche se limitata, tra la presenza di discariche e malformazioni.
Questo è un dato importante, che riguarda proprio il futuro: se chi verrà dopo di noi è malformato, chiaramente non riuscirà a vivere pienamente la propria vita; per cui questa attenzione all'ambiente deve essere aumentata, per evitare che si arrivi a livelli di pressione così forte come è successo per Brescia, e direi in tutta la provincia di Brescia.
Teniamo conto che viviamo in una nazione dove abbiamo dati troppo incerti: dobbiamo, come Parlamento, stimolare i vari enti a chiarire come stanno le cose. La mozione della parlamentare Moroni si riferisce ai dati ISPRA: i dati ISPRA sono dati molto importanti, però ISPRA deve riuscire a dare dati più puntuali, sia per la quantità di rifiuti solidi urbani prodotti che per la quantità di rifiuti speciali, cioè da attività produttiva. Spesso questi dati, oltre ad essere in ritardo di almeno due anni, sono non così chiari: ISPRA stessa fa alcune autocritiche di metodo, che però finora non sono state risolte; vedremo se nei prossimi rapporti sui rifiuti si riuscirà ad avere qualche dato preciso. ISPRA, per esempio, non porta il dato del turismo dei rifiuti. Sulla stampa sono apparsi alcuni studi svolti dal mio gruppo politico, grazie alla collaborazione di Unioncamere, che ci hanno parlato dei viaggi dei rifiuti in Italia: di per se stesso un fenomeno lecito, che però può nascondere speculazioni, che può portare a pressioni ambientali pesantissime, come succede per Brescia e per altre realtà nazionali.
Si vede dai dati grezzi, di cui siamo entrati a disposizione, che oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, tra solidi urbani e speciali, valicano i confini di una regione; altri studi giornalistici (ci sono anche ottimi giornalisti) dimostrano che il 12 per cento delle merci trasportate in Italia sono rifiuti (in Francia, per esempio, è il 3 per cento). Questa tendenza ha, però, anche degli aspetti internazionali, perché vediamo che ci sono in Europa porti come quello di Amburgo, dove oltre il 10 per cento delle merci che arrivano sono rifiuti. Buona parte dei viaggi dei rifiuti sono viaggi “afinalistici”: non c'è alcuna necessità di trattare tutta questa quantità di rifiuti a migliaia di chilometri di distanza e spesso, a mio parere, sottendono un'esigenza di avere qualche passaggio di container più che di avere una vera necessità di trattare da altre parti rifiuti di estrema complessità; il rifiuto complesso esiste, ma in molti casi c'è dietro una speculazione.
In tutto, nel Nord Italia, sulle 160 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti tra solidi urbani e speciali, nel trattamento ci sono circa 130 milioni di tonnellate: il 75 per cento di tutti i rifiuti prodotti in Italia vengono trattati al Nord, tra quelli prodotti e quelli che arrivano da altre parti d'Italia.
La filiera diventa insostenibile; c'è, oltretutto, una perdita importante di posti di lavoro per i territori che non hanno gli strumenti, gli impianti per la gestione, centro e sud Italia in particolare.
Ci sono emissioni assolutamente ingiustificate di anidride carbonica, di anidride solforosa legate al trasporto dei rifiuti stessi. Io ho stimato (ma anche adesso con la Commissione rifiuti cercheremo di puntualizzare) che i rifiuti in Italia facciano almeno 8 miliardi di chilometri: il valore è simile a quello del trasporto delle persone, forse i rifiuti sono più turisti dei cittadini italiani.
PRESIDENTE. Collega Zolezzi, lei non se ne abbia a male se noi, dopo la sua osservazione sui turisti, salutiamo anche gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo “Lucarelli” di Benevento, che sono qui .
ALBERTO ZOLEZZI(M5S). Certo.
PRESIDENTE. Sono dei bambini che vengono ad assistere ai nostri lavori. Grazie per essere qui.
Scusi, onorevole Zolezzi, la prego di riprendere.
ALBERTO ZOLEZZI(M5S). I dati sulla provincia di Brescia sono già stati portati dalla collega Moroni. Confermo anche da altri dati che circa un quinto dei rifiuti speciali italiani vengono conferiti in questa provincia: c'è un'elevata produzione di rifiuti da attività produttive e poi un fortissimo turismo da altre parti d'Italia.
Questi 2 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti chiaramente costituiscono una pressione importante, che arriva verso 31 discariche attive della provincia di Brescia per rifiuti speciali e 665 impianti di vario tipo, che trattano e recuperano rifiuti con diverse modalità.
A Brescia ci sono contaminazioni ormai diffuse e documentate: a livello epidemiologico è stato documentato, per esempio, che la presenza nel territorio della città di policlorobifenili (PCB) è correlata all'aumento dei linfomi non Hodgkin; lo studio Sentieri, per quanto riguarda il sito della Caffaro, ha documentato, tra il 1995 e il 2002, circa 61 decessi in più per tumori.
Tutto questo si collega ad altri studi, compiuti dall'Istituto superiore di sanità, che rilevano, per la presenza di discariche, un aumento del rischio per alcune cause di morte, come il tumore del polmone e le leucemie infantili; in particolare, tra i tumori si verifica un aumento anche dei tumori della vescica per gli uomini. In Campania, per la popolazione residente in prossimità delle discariche, sono stati rilevati incrementi di malformazioni legate ai cromosomi, malformazioni cardiovascolari e dall'apparato urogenitale.
Questo per quanto riguarda il possibile effetto sanitario della presenza di discariche, per cui è assolutamente necessario ridurre questa pressione. Teniamo conto che, anche per il sito di interesse nazionale, sono stati fatti alcuni passi, però manca un piano generale delle bonifiche delle discariche della provincia, sia per quanto riguarda i siti censiti che per quanto riguarda i siti cosiddetti fantasma.
Il SIN Caffaro in qualche modo sta procedendo a rilento, apparentemente l'azione commissariale è piuttosto inconcludente, e forse andrebbe ridiscussa la gestione e ridefinite le priorità; forse andrebbe anche riperimetrato, visto che il riscontro di PCB e altre sostanze tossiche è avvenuto anche in altri territori. E poi, una volta riperimetrato, bisognerà procedere ad un piano generale di bonifiche per tutto il sito.
Per quanto riguarda la provincia di Brescia non si può non parlare della depurazione delle acque, che vedrà tra pochi giorni i cittadini chiamati a scegliere per una gestione pubblica o meno dell'acqua, ma che vede anche una forte polemica per quella che è la depurazione del lago di Garda: alcuni enti locali stanno cercando di trovare la quadra per decidere come depurare il lago.
Quello che, però, sta venendo avanti dopo vari studi, vari progetti, è di scaricare gli effluenti civili dentro un torrente (perché il Chiese è più un torrente che un fiume) dove già impattano e già scaricano 16 depuratori e molte altre fonti industriali e agrozootecniche: anche qui, una sorta di turismo. Dal lago i reflui civili sono disposti su altri recettori, e forse non è il massimo, anche perché si parla di discariche di Brescia, però si scende un po' più giù a Montichiari sul fiume Chiese, dove già c'è un impatto importante; se si vuol parlare di Brescia e della provincia, bisogna anche vedere questo aspetto, di spostare inquinanti anche non così a distanza, ma nel primo piano portato avanti si parlava di 183 chilometri di tubazioni per collettare gli scarichi fognari: è comunque un turismo di rifiuti anche questo.
Ricordo che l'impatto dell'agricoltura e degli allevamenti intensivi sulla qualità delle acque del Garda è stimato come responsabile di circa l'88 per cento del carico eutrofico di nutrienti, fosforo e azoto, sul lago; il settore civile risulta, dallo studio Eulakes, responsabile di solo il 10 per cento del totale: per cui tutte queste volontà di tenere libero il lago di Garda, in realtà, sono volontà assolutamente incomprensibili e non scientifiche.
Va citato che si sta cercando di comprendere la causa della gravissima epidemia di polmonite che costituisce un a livello mondiale: fra la provincia di Brescia e l'Alto Mantovano sono stati documentati oltre 868 casi di polmonite da inizio settembre ad oggi; in alcuni casi è stata diagnosticata una legionella di secondo tipo, che è un germe che non ha quasi precedenti nella letteratura scientifica, per cui va assolutamente definito come mai c'è questa proliferazione di questo germe.
Potrebbero esserci cause ambientali, proprio legate alle discariche: ricordo che, dai miei accessi agli atti fatti ad ARPA, sotto le discariche di Montichiari e di Calvisano ci sono nitrati in grandi quantità, sotto la discarica di Remedello c'è molto manganese; se si va a studiare la proliferazione e la crescita della legionella, si vede che questi sedimenti con nitrati - il manganese e il ferro, che possono essere legati alle discariche - possono essere un terreno favorente per la crescita di legionella che, da notizie di stampa, è stata trovata anche nella falda acquifera. Questi sono dati che andranno precisati dagli enti sanitari territoriali, anche per evitare che in futuro prosegua questa epidemia.
Va citato anche il fatto che tra le infrastrutture di Brescia si prevede di costruire un treno ad alta velocità verso Padova. Ricordo che il TAV della Val Susa si prevede che costi 28 miliardi. Chi ha studiato le emissioni di CO2 per le merci, per esempio Clerico e Zucchetti del politecnico di Torino, ha dimostrato che le emissioni del treno ad alta velocità saranno molto superiori, per quanto riguarda il trasporto merci, alle emissioni su ferro. Sarà un'opera assolutamente assurda in un territorio, come quello italiano, così impattato da dissesto idrogeologico e da inquinamento, che integra le varie matrici, aria suolo e acque. Quindi, il TAV in Italia non ce lo possiamo permettere per motivi meramente ambientali. Il TAV di Brescia - 10 miliardi di euro almeno per collegare Brescia e Padova e accelerare di cinque minuti il tragitto ferroviario -, secondo i dati inseriti nella procedura di valutazione di impatto ambientale, prevede effetti irreversibili sull'approvvigionamento idrico della zona dell'Alto mantovano e della Bassa bresciana, per cui circa 100 mila persone rischiano di rimanere senza acqua per l'intercetto delle falde acquifere nella zona di Lonato (sempre, appunto, il fiume Chiese e sempre zona di discariche).
Per cui, c'è anche questo grave aspetto e si spera davvero in un ripensamento per quest'opera costosissima che non si connette alle esigenze dei pendolari, che chiedono che Trenord non sopprima cinquecento treni locali, come si prevede in notizie di stampa di questi giorni, ma soprattutto ci sono altre linee come la linea ferroviaria tra il Tirreno e Brennero o il raddoppio di una linea a binario unico che costa meno e serve a passeggeri e merci. Non è che si voglia attaccare le imprese, anzi; però, bisogna fare quello di cui c'è bisogno a costi molto ridotti. Oltre tutto, questo treno ad alta velocità, oltre a togliere l'acqua, attraverserebbe le discariche di Montichiari e sarebbe una sorta di andare a cercare proprio i rifiuti col lanternino. Non si capisce come sia stata pensata tutta questa opera. A Montichiari ci sono dieci discariche censite e almeno undici abusive.
Per cui, abbiamo presentato, anche come maggioranza, un testo in cui impegniamo a predisporre una mappatura delle aree inquinate su tutto il territorio nazionale e oggetto di inquinamento diffuso e in danno delle matrici ambientali, soprattutto prima che fosse adottata una disciplina normativa organica e, in alcuni casi, appunto, quando non c'è stata l'individuazione di uno specifico responsabile dell'inquinamento e obbligato alla bonifica e al ripristino. Mappare le pressioni vuol dire cercare poi di ridurre le pressioni ambientali. Un piano nazionale produttivo, per quanto riguarda la produzione dell'acciaio, è fra le principali pressioni ambientali della provincia di Brescia, in particolar modo per l'emissione di diossine. Tutta la produzione dell'acciaio deve essere inserita in un piano nazionale e deve essere resa maggiormente sostenibile. Per quanto riguarda l'autorizzazione di discariche, inceneritori e altre fonti di emissioni in acqua, suolo e aria e in territorio ad elevato fattore di pressione ambientale, la moratoria deve prevedere di valutare i conferimenti alle discariche con una logica di prossimità e sostenibilità. Va bene che, in qualche modo, la regione Lombardia ci abbia provato, però per adesso, appunto, non c'è stata ancora un'attuazione piena.
Inoltre, vogliamo impegnare il Governo a rendere pubblico il referto epidemiologico della popolazione, in particolare delle aree più impattate, come risulta dai contenuti del disegno di legge n. 535, relativo alla Rete nazionale dei registri dei tumori, che è stato recentemente approvato al Senato (e sperando anche in un'approvazione qui alla Camera). Vogliamo porre in essere iniziative per quanto riguarda l'osservanza degli obblighi comunitari per la riduzione della quantità di rifiuto destinata alla discarica anche per quanto riguarda i fanghi, che devono essere limitati al territorio regionale. Ci deve essere un'interfaccia con gli enti locali e regionali per studiare quest'epidemia di polmonite, anche in relazione ai possibili fattori ambientali, e a prevenire nuovi accadimenti del genere, ad adottare misure, per quanto di competenza e d'intesa con gli enti locali, ai fini della realizzazione di un nuovo ed efficiente sistema di depurazione per tutti i comuni gardesani.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo, sottosegretario Micillo, si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Annibali, Boldrini ed altri n. 1-00070, concernente iniziative volte a prevenire e contrastare la violenza contro le donne .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicata nell' al resoconto della seduta del 9 novembre 2018.
Avverto che è stata presentata anche la mozione D'Arrando, Panizzut ed altri n. 1-00074 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
Avverto, altresì, che in data odierna la mozione Annibali, Boldrini ed altri n. 1-00070 è stata sottoscritta anche dalla deputata Gebhard che contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventa la terza firmataria.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata onorevole Maria Elena Boschi, che illustrerà la mozione Annibali, Boldrini ed altri n. 1-00070, di cui è cofirmataria.
MARIA ELENA BOSCHI(PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il Partito Democratico ha ritenuto di presentare questa mozione con urgenza - e ringraziamo anche i colleghi degli altri gruppi di opposizione che hanno deciso di sottoscrivere la mozione, che ha come prima firmataria l'onorevole Annibali - nella speranza che questa mozione possa indurre il Governo a rispondere ad alcuni quesiti che in questi mesi abbiamo cercato di porre all'attenzione della maggioranza e del Governo e, soprattutto, di assumere degli impegni concreti in materia di contrasto alla violenza di genere. Cinque mesi sono passati dall'insediamento di questo Governo, cinque mesi, purtroppo, di silenzio assordante sui temi legati alle pari opportunità ma, soprattutto, al contrasto della violenza di genere.
Ecco perché, ovviamente, accogliamo positivamente la disponibilità del sottosegretario Spadafora a recarsi in audizione in I Commissione qui alla Camera nei prossimi giorni. È una disponibilità che il sottosegretario ha manifestato dopo la presentazione di questa mozione, nonostante il gruppo del Partito Democratico già da luglio, ripetutamente, avesse chiesto che il Governo venisse in Parlamento a indicare le linee di indirizzo in materia di pari opportunità e contrasto alla violenza di genere, non per un accanimento - diciamo così - delle opposizioni nei confronti del Governo, ma per un'esigenza di chiarezza, proprio perché nel contratto di Governo nulla si dice su questi temi – per noi fondamentali e prioritari per la sensibilità comune dei cittadini e non soltanto per il Partito Democratico –, se non un riferimento alla doverosa battaglia e al doveroso impegno contro la violenza sessuale. Si tratta, però, di un impegno molto vago, che si basa ancora su una visione antica, arcaica e limitata alla violenza sessuale. Infatti, nulla si dice sulla violenza fisica, sulla violenza psicologica e sulla violenza economica e niente si dice rispetto - oltre, giustamente, alla repressione dei reati - alla prevenzione e, soprattutto, a quella che è la protezione e l'assistenza delle vittime, né questo vuoto è stato colmato nei cinque mesi di attività del Governo. Eppure, noi veniamo da un'eredità importante, quella della scorsa legislatura, una legislatura particolarmente proficua per l'impegno contro la violenza sulle donne, un Parlamento che è stato capace di approvare provvedimenti importanti, superando spesso anche le divisioni di partito e riuscendo a trovare un terreno comune tra maggioranza e opposizione su alcuni temi fondamentali, a cominciare proprio dal primo atto posto in essere dal Parlamento nella scorsa legislatura, cioè la ratifica della Convenzione di Istanbul fino all'approvazione, al finire della legislatura, di un'importante legge che tutela gli orfani delle vittime del femminicidio. Ma non possiamo trascurare tutti gli interventi per introdurre il reato di femminicidio, per rafforzare gli strumenti di tutela per le vittime di o, ancora, l'aggravante nel caso di violenza perpetrata di fronte a minori.
L'impegno della precedente legislatura ha riguardato, però, non soltanto l'attività legislativa e non soltanto l'attività penale di repressione, giusta e doverosa, ma anche un insieme di misure volte a farsi carico delle vittime e a farsene carico in modo ampio, a 360 gradi, approvando per la prima volta, con il Governo Renzi nel 2015, il primo Piano nazionale contro la violenza sulle donne e, sul finire della scorsa legislatura, alla fine del 2017, con il Governo Gentiloni, il nuovo Piano nazionale contro la violenza sulle donne, che è in vigore per i prossimi tre anni. Due piani nazionali molto importanti che oggi sono nelle mani di questo Governo che è chiamato ad attuarli, se riterrà di confermare quel piano e di condividerne, ovviamente, l'impostazione e la strategia.
Un piano, però, che ha bisogno, ovviamente, di impulso. Dico ciò con grande rispetto per il lavoro del sottosegretario, essendomi trovata ad avere lo stesso tipo di responsabilità per un periodo di tempo, da metà 2016 in poi. È un lavoro faticoso perché richiede la necessità di coordinare amministrazioni diverse dello Stato ed è ancora più difficile - e ancora più importante - perché deve tenere insieme i diversi livelli di governo del territorio, fare un lavoro di squadra insieme a regioni, comuni, cercare di trarre il meglio dalle esperienze, anche locali, per poi avere delle strategie di carattere nazionale. Proprio perché è un lavoro faticoso e che richiede tempo, siamo molto preoccupati dal ritardo con cui sono state convocate e hanno iniziato a lavorare sia la cabina di regia che il comitato tecnico - che dal 1° giugno ad oggi sono stati riuniti una sola volta dal Governo - perché abbiamo bisogno di continuità in questo lavoro. Siamo, poi, ancora più preoccupati perché non vediamo atti di impulso nell'attuazione di questo piano nazionale, un piano nazionale che, in continuità con quello precedente, con il lavoro già svolto negli anni precedenti, prevede un impegno forte di collaborazione con le forze dell'ordine, di preparazione e formazione del personale delle forze dell'ordine, attraverso protocolli già siglati con l'Arma dei carabinieri e con la Polizia di Stato, e che nel nuovo piano prevedono l'estensione alla polizia penitenziaria e alla polizia municipale, posto che è fondamentale anche la raccolta dei dati, delle denunce, ovvero la possibilità che ciò avvenga in un luogo che metta al riparo la vittima, anche da un punto di vista di riservatezza. Soprattutto, è fondamentale che ci sia una consapevolezza nella gestione di questi dati, nonché la necessità di portare avanti il lavoro con il Consiglio superiore della magistratura, proprio perché i ruoli siano stabiliti nel rispetto dell'autonomia dei magistrati e tenendo conto della priorità della persecuzione di questo tipo di reati. Abbiamo quindi bisogno di portare avanti il lavoro fatto in materia di linee guida nazionali, per la prima volta adottate nel 2017, che consentono in tutti i pronto soccorso, in tutte le aziende ospedaliere italiane, di avere lo stesso tipo di trattamento per le vittime di violenza, fisica o sessuale, non soltanto per quanto riguarda la raccolta dei reperti, che poi sono fondamentali ovviamente per i processi che si devono svolgere, per quanto riguarda il tipo di denunce, per evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria di persone che già hanno delle ferite profonde, esperienze drammatiche sulla loro pelle, ma anche al fine di dare la possibilità, a quelle vittime, di iniziare su base volontaria un percorso anche di assistenza al di fuori dell'ospedale.
Abbiamo bisogno, quindi, che questo lavoro venga portato avanti, così come l'impegno assunto per cercare di assistere le vittime nell'immediato attraverso l'accoglienza in case-rifugio e centri antiviolenza grazie ai fondi stanziati dal 2014 all'inizio del 2017 - questo è il dato più aggiornato che abbiamo e, almeno a quanto ci risulta, sono aumentati di quasi due terzi sia le case-rifugio che i centri antiviolenza su base nazionale - con un'operazione di pulizia, di attenzione e di trasparenza anche sulla rendicontazione delle risorse pubbliche che sono gestite dallo Stato attraverso le regioni, e attraverso dei modelli uniformi su tutte le regioni italiane perché queste risorse siano spese fino all'ultimo centesimo in modo trasparente ed efficace con criteri qualitativi elevati.
Abbiamo bisogno che prosegua il lavoro iniziato per il reinserimento lavorativo delle vittime. Con il , tante volte attaccato, noi abbiamo approvato una norma di grande civiltà, che consente alle vittime di violenza di avere tre mesi di congedo retribuito, di poter accedere al -; con l'ultima legge di bilancio abbiamo esteso ciò anche alle collaboratrici domestiche. Ebbene, dobbiamo proseguire su quel lavoro e, se possibile, ampliarlo. Soprattutto, dobbiamo continuare a lavorare, come abbiamo fatto negli ultimi anni, con la parte datoriale e con i sindacati, per strategie vere di autonomia economica, di reinserimento nel mondo lavorativo per tante donne che, purtroppo, sono costrette a cambiare città e quindi lavoro, oppure che in alcuni casi sono state costrette dai propri ex compagni ad abbandonare anche il lavoro per renderle non autonome, non libere da un punto di vista economico ma che spesso hanno bisogno di mantenere i propri figli.
Abbiamo bisogno che il piano nazionale antiviolenza che abbiamo previsto abbia continuità affinché con i comuni, così come previsto nelle linee guida, si possa lavorare per dei criteri di priorità nell'assegnazione degli alloggi per le vittime di violenza.
Tutto questo chiediamo che venga portato avanti e che non si perda un minuto di tempo in più, ma soprattutto che non si taglino le risorse stanziate per il piano nazionale antiviolenza e per le pari opportunità. Dal 2013 ad oggi, ogni anno, con i Governi del Partito Democratico che si sono susseguiti, abbiamo aumentato le risorse stanziate contro la violenza sulle donne: dai primi 10 milioni sino ad arrivare, lo scorso anno, per il 2017, a raddoppiare - erano quasi 22 milioni - le risorse solo per il piano nazionale antiviolenza. Nel 2018 sono previsti 32 milioni, grazie alla legge di bilancio approvata nella scorsa legislatura e altrettanti per il 2019 e per il 2020.
Purtroppo, la legge di bilancio presentata da questo Governo, dal Governo Lega e MoVimento 5 Stelle, non soltanto non ha incrementato queste risorse, ma ha tagliato le risorse del piano nazionale antiviolenza, del fondo pari opportunità e anche le risorse del piano nazionale antitratta, per i quali il Governo Gentiloni aveva previsto stanziamenti non solo per il 2017 ma anche per il 2018, il 2019 e il 2020.
Ci chiediamo come si possano tagliare risorse per voci così importanti del capitolo del bilancio dello Stato. Mi si dirà che sono tagli modesti, di entità ridotta: certo, ma si tratta pur sempre di tagli.
Mi aspettavo da questo Governo - lo dico sinceramente - risorse aggiuntive rispetto a quelle che già avevamo lasciato noi a bilancio, proseguendo in un che era stato quello degli ultimi cinque anni, cioè ogni anno qualcosa in più: trovare addirittura dei tagli è inaccettabile.
Capirei ciò se fosse venuta meno una sensibilità diffusa, un senso di urgenza e di emergenza nel nostro Paese rispetto alla violenza sulle donne, ma purtroppo non è così. Purtroppo ciò è ancora al centro dell'agenda del nostro Paese e ce lo ricordano i fatti di cronaca che, costantemente, sono all'attenzione di tutti noi. Ciò deve essere anche al centro dell'agenda di Governo: non può diventare una delle tante voci da tagliare.
Abbiamo bisogno, quindi, che il Governo e la maggioranza diano un segnale immediato in questa legge di bilancio: durante l'esame in Parlamento si corregga quest'errore, si mettano risorse in più. Il Partito Democratico sicuramente presenterà emendamenti per ripristinare il fondo antiviolenza e aumentare le risorse, ma anche per il piano contro la tratta di esseri umani, che è un altro crimine contro l'umanità agghiacciante. Chiederemo, però, anche risorse perché non venga meno quell'impegno sulla prevenzione che passa necessariamente dall'istruzione e dalla formazione fin dai bambini più piccoli, attraverso progetti nelle scuole.
La Ministra Fedeli, per la prima volta, ha tracciato delle linee guida contro gli stereotipi, la disparità di genere, l'educazione ad ogni forma di rifiuto della violenza, basata sul genere nelle scuole; ha stanziato risorse per la formazione degli insegnanti; il Dipartimento pari opportunità ha stanziato 5 milioni di euro per progetti nelle scuole, ma di tutto questo nella legge di bilancio non c'è più traccia.
Partire dalla formazione è l'unico modo per creare delle generazioni più consapevoli, in grado di superare gli stereotipi e in grado di vivere diversamente il rapporto di parità tra generi diversi. Mi rendo conto che non sia facile far ciò in un Governo in cui abbiamo un Ministro dell'Interno che, tutte le volte, pone il tema esclusivamente quando l'autore del reato di violenza sulle donne o di violenza sessuale è un extracomunitario. Purtroppo, in questo tipo di reati non c'è differenza tra carta d'identità, denuncia dei redditi o passaporto; sappiamo che le vittime sono di ogni età, di ogni città, di ogni razza, colore, ceto sociale. Allora, non possiamo ricordarci delle vittime solo quando l'autore ha la pelle di un colore diverso dal nostro . Giusto farlo in quei momenti, giusto farlo, però, anche quando gli autori dei reati sono italiani perché, purtroppo, non c'è la stessa indignazione quando gli autori dei reati sono, magari, l'autista di un autobus a Milano o un commerciante a Parma con amici famosi.
Non c'è stato lo stesso tipo di indignazione nemmeno quando, qualche giorno fa, l'autore del reato, italiano, ha ucciso la propria consorte di origine rumena, arsa viva nella propria abitazione, mentre i figli giocavano in cortile. Questo lo dico semplicemente perché i dati statistici dell'Istat, nell'ultima relazione del 2018, resa possibile proprio dalle risorse che noi abbiamo stanziato per una banca dati nazionale per un aggiornamento continuo dei dati, ci dicono che le donne vittime di violenza sessuale, purtroppo, nell'81,6 per cento dei casi subiscono violenza da o parenti, quindi in ambito domestico e solo nel 15 per cento dei casi da soggetti esterni, che non conosco. Nel caso di femminicidio, purtroppo, il 52 per cento delle donne sono uccise dall'ex o compagno e nel 22 per cento dei casi questo avviene per mano di un parente o di un conoscente.
Nonostante sappiamo benissimo che nel caso di violenza sia molto più diffusa la denuncia di una persona che è estranea al nucleo familiare rispetto a un parente o a un conoscente, i dati dell'Istat ci danno questo spaccato. Dire parole di verità serve anche a dare risposte più efficaci alle vittime ed evitare che ce ne siano ancora.
Noi abbiamo un Governo in cui si trova l'accordo su tante questioni: si trova l'accordo sui condoni edilizi, sul condono fiscale, sulla divisione dei ruoli. Va bene, anche se non lo condivido, è un problema di questa maggioranza, ma possibile che non si trovi l'accordo dentro la maggioranza per far ritirare il disegno di legge Pillon al Senato ?
Possibile - faccio un appello al sottosegretario Spadafora - che ci avviciniamo al 25 novembre, alla giornata internazionale contro la violenza sulle donne, con in campo una proposta che vìola apertamente la Convenzione di Istanbul, ponendo l'obbligo della mediazione per le donne anche se hanno subito violenza, che prevede l'alienazione parentale, quindi l'obbligo che il proprio figlio, anche se magari rifiuta di vedere il padre perché ha visto il padre picchiare la madre o perpetrare atti di violenza sulla madre per tanto tempo e si rifiuta di vederlo, addirittura è obbligato per legge ad andare a vivere con il padre?
Allora, se vogliamo dare risposta alle tante donne che oggi vivono situazioni di difficoltà, ma magari hanno paura di denunciare perché pensano di essere sole e di non poter trovare una risposta nelle istituzioni, dobbiamo cominciare a dire che quel disegno di legge si ritira, che non può andare avanti, che non è condiviso dalla maggioranza. Noi lo stiamo chiedendo nelle piazze, lo chiediamo in Parlamento e continueremo a fare il nostro lavoro di opposizione, ma abbiamo bisogno che su alcune battaglie si faccia sentire anche la maggioranza.
Noi siamo disponibili a dare una mano, sottosegretario, siamo disponibili a dare una mano e a lavorare anche insieme alla maggioranza su questi temi, oltre alle altre opposizioni, perché sono temi che vanno oltre davvero le distinzioni di partito, ma occorrono delle parole di chiarezza, degli impegni concreti subito sul ritiro del disegno di legge Pillon, sull'attuazione della legge per gli orfani delle donne vittime di femminicidio, che non è stata ancora attuata da questo Governo e quindi è rimasta lettera morta, sul finanziamento serio del fondo che abbiamo istituito per le vittime di reati violenti, comprese quindi le donne vittime di femminicidio.
Abbiamo bisogno di risorse concrete in legge di bilancio, sia sul piano nazionale antiviolenza, che sul piano nazionale antitratta; abbiamo bisogno che l'Italia continui il proprio impegno in ambito internazionale, contro le mutilazioni genitali, contro i matrimoni forzati, come ha sempre fatto anche con Governi di colore diverso, insistendo magari sull'impegno - che abbiamo chiesto a tutti i Paesi G7 nella prima ministeriale sulle pari opportunità che si è tenuta a Taormina nel 2017 - di adottare tutti un piano nazionale antiviolenza, perché sembra paradossale ma alcuni paesi del G7 non ce l'hanno, a differenza dell'Italia.
Allora, su questo noi chiediamo che il Governo dia dei segnali concreti, che investa risorse per le scuole, per l'istruzione, per la formazione e che, magari, in occasione del 25 novembre, riesca anche a riattivare delle campagne di comunicazione e di sensibilizzazione, perché quando abbiamo provato a rendere più conosciuto il 1522, che svolge un ruolo molto importante ovviamente per la raccolta di denunce o anche semplicemente per poter dare informazioni a donne in difficoltà, quelle campagne hanno funzionato, perché in un solo anno sono aumentate del 108 per cento le chiamate di emergenza, del quasi 48 per cento le denunce attraverso il 1522, di atti di molestie, di persecuzione, di atti di violenza.
Allora, abbiamo bisogno davvero che si possa riprendere in mano questo tema come centrale e che si possa dare attenzione anche ad un tema spesso trascurato, ma di grande attualità e di grande importanza per tante nostre concittadine, che sono le molestie sui luoghi di lavoro, perché purtroppo ci sono donne costrette a subire molestie di vario tipo nei luoghi di lavoro perché non hanno la possibilità di dire “no” a quel lavoro, di licenziarsi, perché non hanno una alternativa, perché quelle risorse servono al sostentamento della propria famiglia, ma non hanno nessuno che possa tutelarle rispetto a delle molestie, che, ovviamente, le privano della loro dignità.
E allora noi chiediamo con grande pacatezza, ma con grande fermezza e decisione, e continueremo a farlo con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione dai banchi dell'opposizione, a cominciare dalle proposte in legge di bilancio, oltre a questa mozione, e continueremo a farlo anche fuori, chiedendo alle tante donne e ai tanti uomini investiti di questa battaglia di portare avanti questi temi. Sono temi, problematiche centrali per il Partito Democratico, come lo sono sempre stati, e che per fortuna vedono coinvolti dalla stessa parte non soltanto le donne del Partito Democratico e gli uomini del Partito Democratico, ma davvero una sensibilità diffusa tra i nostri concittadini, a prescindere dall'appartenenza politica .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Foscolo. Ne ha facoltà.
SARA FOSCOLO(LEGA). Grazie Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, membri del Governo, l'argomento che affrontiamo oggi in Aula è estremamente delicato e, purtroppo, di drammatica attualità. Per questo, l'auspicio è ancora una volta che le forze politiche qui rappresentate, pur mantenendo le proprie legittime convinzioni e la sana dialettica che serve al buon funzionamento della democrazia, mettano da parte eventuali steccati ideologici o di partito, al fine di dare vita a un dialogo costruttivo e produttivo.
Prima di parlare della questione in sé, mi sia consentita una breve ma necessaria premessa, una premessa in cui vorrei evidenziare che ogni forma di violenza è inaccettabile: la violenza sulle donne, la violenza sui bambini, la violenza sugli anziani, la violenza sugli uomini. Gli atti e le forme di violenza indiscriminata contro ogni essere umano sono da condannare sempre e comunque, in egual modo, senza distinzioni o discriminazioni.
La violenza sulle donne, purtroppo, ha una lunga storia dietro di sé ed esiste da molto tempo. Va ricordato e mai dimenticato che nell'ordinamento del nostro Paese, fino a non molti anni orsono, fino al 1981, sussisteva una norma secondo la quale, per la salvaguardia del proprio onore, un uomo che avesse ucciso la propria moglie, se colto da un impeto di ira provocato dall'offesa recata, avesse pene minori rispetto ad analoghi delitti di diverso movente. Vale la pena ricordare, specialmente per le nuove generazioni, quell'infame articolo, il 587 del codice penale, una vergogna per un sistema democratico occidentale moderno, che contemplava una pena ridotta per chi avesse ucciso la moglie o la figlia o la sorella solo al fine di difendere l'onor suo o della sua famiglia. Bisognerà addirittura attendere il 1996 per vedere finalmente lo stupro considerato un reato contro la persona e non un reato contro la morale.
Dunque, come dicevo poc'anzi, la violenza sulle donne esiste da sempre e solo da qualche anno in Italia si utilizza il neologismo ‘femminicidio', un termine che riguarda - leggo letteralmente dalla definizione del vocabolario - “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne, in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico fino alla schiavitù o alla morte” oppure, più semplicemente, “l'uccisione di una donna o di una ragazza”. Affinché questo sostantivo non rimanga solo una parola sul vocabolario, va innanzitutto inserita in un contesto diverso, con un cambio di prospettiva, perché il femminicidio non va letto in base al genere della vittima, ma sulla base del motivo per cui è stato commesso; perché il femminicidio non è quando la vittima è donna, il femminicidio è quando la vittima è donna in quanto donna. Si tratta di un fenomeno preoccupante, che non va sottovalutato.
La violenza di genere è un fenomeno sociale drammatico, difficile da quantificare, ma di dimensioni spaventose: quasi 7 milioni di donne hanno subito qualche forma di abuso nel corso della loro vita, come violenze domestiche, , stupro, insulto verbale e violazioni della sfera intima e personale, che rappresentano spesso tentativi di cancellarne l'identità, di minarne l'indipendenza e la libertà di scelta. Se diamo un'occhiata ai numeri del cosiddetto femminicidio, i dati sono inquietanti: negli ultimi cinque anni se ne registrano 774, una media di circa 150 all'anno; in Italia ogni due giorni circa viene uccisa una donna; nel 2016 ci sono stati 120 casi di femminicidio e anche nel 2017 la media è stata una vittima ogni tre giorni; negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1740, di cui 1251, il 71,9 per cento, in famiglia. Le cronache internazionali, nazionali e locali ne sono, purtroppo, piene e ci ricordano quotidianamente la portata del fenomeno.
La stessa comunità alla quale appartengo, il comune di Pietra Ligure, lo scorso anno ha testimoniato il drammatico caso dell'omicidio di Janira D'Amato, ventunenne brutalmente uccisa a coltellate dall'ex fidanzato, una giovane vita spezzata da un tragico delitto. E sono tante le storie come quella di Janira. C'è bisogno di un impegno collettivo per fare sì che episodi di questo genere non accadano più. Serve un'attenzione particolare e opera di prevenzione verso un fenomeno che va, sì, studiato, ma soprattutto affrontato e arginato, dotando i soggetti coinvolti di strumenti efficaci idonei e adeguati per il contrasto e la repressione del fenomeno.
E non va dimenticato che spesso, quando si parla di violenza contro le donne, ci si riferisce alla violenza fisica, sessuale o psicologica; purtroppo, una forma di violenza altrettanto diffusa e lesiva, che talvolta si sottovaluta, è la violenza economica, forma difficilmente riconoscibile e poco denunciata. Oggi, nel 2018, la donna viene ancora penalizzata sotto molti punti di vista, a partire dal mondo del lavoro.
Sono stati fatti molti passi in avanti negli ultimi anni nel nostro Paese, ma non è ancora sufficiente. Come evidenziato dagli studi dei comitati indipendenti, bisogna intervenire aumentando la consapevolezza delle donne sui loro diritti, i rimedi a disposizione, fornire alle forze in campo strumenti efficaci per proteggere le donne che hanno il coraggio di denunciare; non solo aumentare le risorse a disposizione e investire sull'opera di informazione a partire dalle scuole e dai più giovani con un programma di educazione e formazione degli istituti, ma anche - e questo vorrei evidenziarlo a gran voce - garantire leggi chiare, processi rapidi e pene certe. Nessuno sconto di pena per chi commette violenza sulle donne.
E sia chiaro, nella violenza sulle donne dobbiamo ricordare anche gli orrendi casi di mutilazioni per motivi religiosi e/o culturali, pratiche inaccettabili nel nostro Paese.
Da parte della nostra maggioranza, così come, ne siamo certi, da parte del Governo, c'è la massima attenzione e il massimo impegno verso il contrasto del fenomeno, e la mozione che abbiamo presentato oggi ne è la dimostrazione concreta, per assicurare finanziamenti adeguati, interventi per colmare le lacune del sistema italiano, operare sulla prevenzione, sull'informazione, sulla protezione e, ultimo ma non in ordine di importanza, sulla repressione.
Per contrastare la violenza sulle donne non basta il codice penale, ma serve lo sviluppo di una cultura condivisa, che deve partire già nelle famiglie e nelle scuole. L'attenzione e l'impegno devono essere messi in pratica dalle istituzioni e su tutti i fronti, a trecentosessanta gradi, anche attraverso il potenziamento del servizio di centri e associazioni che operano sul territorio. Una serie di interventi organici affinché si possano proteggere le vittime e non i loro carnefici. In quel caso, si potrà arginare l'odioso fenomeno della violenza sulle donne e far sì che il femminicidio appaia sempre meno sulle cronache quotidiane, per restare soltanto una parola sul vocabolario .
PRESIDENTE. Salutiamo i bambini dell'Istituto comprensivo San Giovanni Bosco di Manfredonia, che sono venuti qui. Il loro entusiasmo fa bene .
È iscritta a parlare la collega D'Arrando. Ne ha facoltà.
CELESTE D'ARRANDO(M5S). Presidente, gentili deputati e deputate, la violenza sulle donne è un fenomeno sociale drammatico, che coinvolge quasi 7 milioni di donne che hanno subito nel corso della loro vita violenze domestiche, stupro, insulto verbale e violazioni della propria sfera intima e personale, che rappresentano spesso tentativi di cancellarne l'identità, di minarne l'indipendenza e la libertà di scelta.
I numeri evidenziano la necessità di intervenire concretamente e senza indugi in modo capillare su tutto il territorio nazionale.
È urgente ridurre i casi di femminicidio che negli ultimi cinque anni registrano una media di circa 150 all'anno. In Italia, ogni due giorni circa, viene uccisa una donna e, negli ultimi dieci anni, le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui il 71,9 per cento in famiglia.
Quando si parla di violenza contro le donne, più spesso ci si riferisce a quella fisica, sessuale, psicologica, ma poco si parla di una violenza altrettanto diffusa e lesiva, quella economica, difficilmente riconoscibile, poco denunciata, e che, insita nella nostra cultura, si radica anche nell'ambito familiare.
La donna ancora oggi viene penalizzata da molti punti di vista, compreso il mondo del lavoro, determinando, di fatto, uno stato di subalternità economica, fisica e psicologica, con tutte le devastanti conseguenze che ne derivano.
La violenza sulle donne assume forme diverse sia per gravità che per tipo di relazione in cui si manifesta; è importante comprendere la complessità delle relazioni interpersonali e intervenire in ogni contesto sociale affinché si instaurino rapporti sani e si prevenga ogni forma di violenza.
Molte culture si basano sulla supremazia maschile e sono numerosi gli esempi di ideologie, religioni e legislazioni che giustificano un rapporto di sopraffazione degli uomini sulle donne, trasformando i legami in veri e propri rapporti di potere.
Nella cultura occidentale tale supremazia è contenuta o, comunque, è meno evidente rispetto al passato, quando era sancita anche a livello giuridico; e, nel contempo, essa riconosce, almeno sul piano teorico, l'importanza degli affetti e di rapporti paritari.
Nei fatti rimangono varie aree di ambiguità e di contraddizioni sia in famiglia che nella società. La nostra cultura offre quotidianamente tanti stimoli che nutrono le parti più rettiliane di noi, a danno dello sviluppo della socialità positiva e della congiunzione tra sesso e sentimenti. La sessualizzazione della donna e la pornografia sono esempi significativi e diffusi di stimoli che coltivano il cervello rettiliano.
Anche atteggiamenti e modalità educative che si sono affermati negli ultimi decenni, come quelli consumistici e permissivi, non hanno favorito la capacità di costruire legami e relazioni sentimentali; essi hanno, al contrario, facilitato egocentrismo e impulsività, in cui l'altro non è più un essere umano, ma diventa un oggetto da consumare.
Dinanzi ad un contesto sociale sempre più multiculturale, pare necessario intervenire al fine di garantire un'integrazione che sia rispettosa tanto delle identità culturali quanto della dignità dell'essere umano.
Per queste ragioni è necessaria una continua educazione a relazioni paritarie che non sia solo teorica. Per incidere su atteggiamenti e comportamenti va attuata un'educazione emotiva che favorisca affetti e relazioni positive fondate sulla consapevolezza dei ruoli; è importante, inoltre, favorire relazioni reali, circoscrivendo il fenomeno delle relazioni virtuali, che stanno compromettendo, soprattutto nei giovani, uno sviluppo sano dei rapporti interpersonali.
Sul tema della violenza contro le donne, già nella scorsa legislatura si è iniziato a muovere i primi passi importanti, come la ratifica della Convenzione di Istanbul e la conversione in legge del decreto-legge n. 93 del 2013, contenente le disposizioni volte a prevenire e a reprimere la violenza domestica e di genere, che, oltre a intervenire sul codice penale e sul codice di procedura penale, prevede che le forze dell'ordine che ricevono dalla vittima notizia di uno dei reati di sfruttamento, di violenza sessuale o di maltrattamenti in famiglia abbiano l'obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, se ne fa richiesta, di metterli in contatto con la vittima.
Stabilisce, inoltre, che la relazione annuale al Parlamento sulle attività delle forze di polizia e sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica debba contenere un'analisi criminologica della violenza di genere e demanda al Ministro per le pari opportunità l'elaborazione di un piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, prevedendo azioni a sostegno delle donne vittime di violenza.
Il tema oggetto di questa mozione riporta nuovamente l'attenzione su un fenomeno che continua, purtroppo, a mietere vittime innocenti, a lasciare segni indelebili nelle persone più fragili, donne e bambini, questi ultimi spesso spettatori delle scene di violenza.
Sul territorio nazionale emergono tante realtà virtuose, come ad esempio “Una stanza per te” all'interno del comando di Polizia municipale di Venaria Reale, in provincia di Torino, ossia un luogo riservato alle vittime di violenza dove sono presenti due donne dedicate all'accoglienza e che hanno ricevuto una formazione specifica per tale ruolo, grazie anche all'impegno del comandante della Polizia municipale.
Purtroppo, tali esperienze sono presenti a macchia di leopardo e, ancora oggi, non emerge un approccio relazionale omogeneo nell'accoglimento delle vittime di violenza, assai spesso non guidate verso un percorso, anche di tipo psicologico, volto a favorire le condizioni per uscire dal circolo vizioso della violenza.
In questa mozione, quindi, abbiamo voluto sottolineare nuovamente l'importanza dell'educazione nelle scuole e alle famiglie, la necessità che le forze dell'ordine e tutti gli operatori della giustizia ricevano un'adeguata formazione, perché nell'accoglienza di una vittima di violenza è fondamentale l'approccio relazionale.
Sono necessarie azioni che contribuiscano all'educazione, al rispetto delle differenze e alla prevenzione delle discriminazioni e della violenza di genere, allo scopo di sostenere anche una funzione educativa più ampia, che possiamo vedere realizzata solo se famiglia, scuola e società camminano insieme e sono presenti con un'attività educativa consapevole e responsabile.
Una sfida che scuole e famiglie devono cogliere e che, con alcuni impegni contenuti nella mozione, sottoponiamo all'attenzione del Governo, tra i quali: il potenziamento dell'offerta formativa scolastica, anche attraverso percorsi e progetti mirati a garantire pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, con il coinvolgimento delle famiglie, in tal modo educando le nuove generazioni alla parità di genere e all'affettività; l'obbligatorietà di una formazione specifica di tutti gli operatori e operatrici di giustizia, giudici, pubblici ministeri, operatori e operatrici dei servizi sociali, Polizia penitenziaria, personale addetto alle case di accoglienza o case di rifugio o comunità; l'implementazione di programmi di trattamento per la prevenzione della recidiva degli autori di violenza, in particolare per i reati di natura sessuale, anche tramite centri di ascolto coordinati a livello nazionale; l'istituzione di una commissione di studio tra MIUR, Dipartimento per le pari opportunità e la Conferenza unificata dei rettori italiani, con lo scopo di supportare le università italiane nell'inclusione dello studio di questioni di genere all'interno delle classi di laurea.
Come donna che si è anche occupata di sociale mi sento coinvolta in prima persona, perché credo nell'importanza delle relazioni umane e della loro evoluzione culturale, e poiché considero fondamentale lasciare in eredità ai nostri figli una società basata sul rispetto reciproco, sull'accettazione e sulla comprensione del diverso e sulla maggiore consapevolezza della sfera affettivo-sessuale.
Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, perché in questo stesso giorno del 1960 furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana. La nostra battaglia, però, non si deve limitare a questa data; ogni giorno dobbiamo lavorare per liberare le donne dalla violenza in ogni sua forma, educare al rispetto della persona e dei diritti delle donne e contrastare gli stereotipi di genere che sono alla base di una visione distorta di donne e uomini nella società. Per questo dobbiamo dare risposte efficaci e prevedere fondi per sostenere il lavoro dei centri antiviolenza.
Concludo, sottolineando l'importanza che hanno le istituzioni di essere di esempio, primo fra tutte il Parlamento, che deve sempre garantire la giusta e corretta dialettica politica, evitando eventuali degenerazioni, proprio come fanno i bambini che non faranno mai ciò che noi diciamo, ma ciò che ci vedono fare e.
PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole D'Arrando, anche per questo suo ultimo riferimento. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
FEDERICA ZANELLA(FI). Presidente, onorevoli colleghi, come suffragato, purtroppo, da plurimi e continui casi di cronaca, la violenza contro le donne ha assunto da tempo i connotati di una vera e propria emergenza a livello internazionale, rappresentando la manifestazione più grave e brutale della disparità storica nei rapporti di forza tra i generi, nonché una delle peggiori violazioni dei diritti umani. La violazione di genere riguarda tutte le etnie e tutte le classi sociali e, come ribadito da Kofi Annan, già Segretario generale delle Nazioni Unite, non conosce confini, né geografia, cultura o ricchezza.
Le notizie di cronaca riportano, purtroppo, sistematicamente, episodi commessi nei confronti di donne che vengono molestate, minacciate, violentate, stuprate e uccise. I numeri relativi agli omicidi, li abbiamo sentiti anche negli interventi precedenti, sono assolutamente allarmanti e parlano di un vero e proprio eccidio. Ogni anno, in Italia, più di cento donne vengono uccise per mano di chi dice di amarle, vale a dire una media di una donna uccisa ogni tre giorni. La violenza è tra le prime cause di morte per le donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni. Se nel mondo una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale, in Italia, il numero delle donne che hanno subito una forma di abuso o di violenza supera i 7 milioni. Va sottolineato il fatto, come è stato fatto da tanti precedenti interventi, che, appunto, gli autori delle violenze più gravi sono, purtroppo, spesso partner attuali, ex partner o parenti.
Oggigiorno, poi - questo aspetto è stato poco toccato e ci tengo particolarmente - la violenza presenta molteplici sfaccettature; una dimostrazione di questo è l'allarmante crescita di episodi di diffusione sul di immagini o video privati sessualmente espliciti, contro la volontà delle persone riprese; fattispecie lesive che conseguono effetti nefasti sulla psiche delle vittime che arrivano, troppo spesso, anche a gesti estremi, come il suicidio. Il fenomeno del sta assumendo le dimensioni di una vera e propria piaga sociale, spesso collegata a quella del cyberbullismo, del quale rappresenta una delle forme più lesive, e del quale sono vittime soprattutto le ragazze, con casi di cronaca drammatici come quelli della tristemente famosa Carolina Picchio, suicida a causa proprio di una feroce lesione della reputazione di questo tipo, dalla cui tragica fine ha preso vita la legge sul cyberbullismo, varata nella scorsa legislatura e votata in modo significativamente bipartisan dall'intero Parlamento, una sinergia tra le forze politiche che deve continuare su tutte queste tematiche, sulle quali non si può né temporeggiare né derogare.
Collegato al precedente fenomeno, anch'esso in preoccupante espansione e spesso devastante, è quello del cosiddetto o , per mezzo del quale la pubblicazione e la divulgazione digitale di contenuti intimi ed espliciti avviene a scopo di vendetta. Il spesso segue la fine di una relazione sentimentale e viene utilizzato come strumento di diffamazione, con finalità ritorsive nei confronti delle vittime, prevalentemente donne, e anche in questi casi le conseguenze, non solo psicologiche, ma anche sociali, sono devastanti per chi ne è coinvolto.
Vi posso assicurare - essendomi occupata per anni di questa materia, trovando anche delle soluzioni concrete a tutela della reputazione digitale dei cittadini, che in alcuni casi hanno salvato vite, spesso vite di giovani ragazze, proprio - che il problema è davvero molto importante e incide profondamente nella vita di tanti giovani.
Noi siamo chiamati tutti, nel nostro ruolo pubblico, accanto a tante realtà private che si impegnano quotidianamente, a dare risposte sempre, non solo quando si accendono i riflettori su drammatici casi di cronaca. Purtroppo le vittime di tutte le forme di violenza si scontrano, talvolta, con la scarsa cultura dell'ascolto da parte del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, non certo per mancanza di volontà, ma, sicuramente, per mancanza di preparazione in merito, quando, invece, tali storie andrebbero raccolte da soggetti altamente professionalizzati, anche per fare in modo che queste donne possano ricominciare a vivere serenamente, nel più breve tempo possibile. Per questo si dovrebbero arginare i tempi lunghi dei processi, prevedendo procedimenti più snelli, senza paralisi, per la tutela delle vittime di violenza, al fine di evitare il protrarsi di un dolore che le donne, dal momento della denuncia, non possono e non devono più sopportare.
Per tutelare in modo efficace le vittime di violenza è opportuno prevedere, con una modifica dell'articolo 347 del codice di procedura penale, l'obbligo per la polizia giudiziaria di riferire al PM entro 24 ore le notifiche di reato acquisite se riguardano violenza sessuale, maltrattamenti, atti persecutori, lesioni aggravate e, inoltre, stabilire l'obbligo per il PM di concludere le fasi delle indagini preliminari entro e non oltre quarantacinque giorni, al cui esito vi deve essere l'obbligo, in caso di sussistenza di indizi, di emettere la misura interdittiva che disponga il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché di comunicare con la stessa attraverso qualsiasi mezzo e, infine, prevedere l'obbligo per il GIP, in caso di sussistenza di indizi, di emettere, entro il termine perentorio di cinque giorni dalla richiesta, un'ordinanza di custodia cautelare nei casi di cui sopra.
Il legislatore, dunque, è chiamato ad intervenire quanto prima, con misure nuove finalizzate a contrastare questa piaga sociale, anche sulla scia di interventi concreti ed efficaci, adottati dal IV Governo Berlusconi. Nello specifico, sotto l'ultimo Governo Berlusconi, per la prima volta, è stato adottato un Piano nazionale contro la violenza di genere e lo , finanziato con più di 18 milioni di euro, con una strategia di contrasto delineata su base nazionale con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane, del numero verde 1522, e le professionalità delle forze dell'ordine.
Nel 2009, con l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di , il Governo e il Parlamento hanno dimostrato la grande attenzione rivolta all'individuazione di strategie di contrasto e di prevenzione della violenza, compiendo un passo in avanti fondamentale nell'ordinamento italiano. La legge n. 38 del 2009, oltre a prevedere il reato di nell'ordinamento italiano, ha introdotto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale. Il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile per i condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La stessa legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale.
Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha, poi, previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa.
Nell'ambito delle numerose attività portate avanti durante il Governo Berlusconi per contrastare la violenza nei confronti delle donne, a partire dal 2009, ogni anno, nelle scuole, sono state organizzate iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione sulla prevenzione della violenza fisica e psicologica; è stata istituita, presso il Dipartimento per le pari opportunità, la sezione atti persecutori dei carabinieri, una impegnata nelle strategie di prevenzione e di contrasto dei reati di e di violenza contro le donne e sono state, inoltre, adottate misure per consentire una specifica preparazione delle forze di polizia, sempre nel contrasto di questi reati. L'impegno di quel Governo non si è fermato ai confini nazionali e nel settembre del 2009 si è tenuta a Roma la prima Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, su iniziativa della Presidenza italiana del G8, ai cui lavori hanno preso parte oltre venti Stati. Dalle conclusioni della Presidenza è emerso un impegno al rafforzamento della cooperazione internazionale nel contrasto alla violenza sulle donne e alla violazione dei diritti umani.
Nel settembre 2012, l'Italia ha sottoscritto la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011, la cosiddetta Convenzione di Istanbul, che è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge l'obiettivo di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziale e di sostegno alle vittime.
Le statistiche a nostra disposizione ci confermano che l'attuale Esecutivo sulla scia, purtroppo, di quelli precedenti, sta compiendo un grande errore nel pensare di interrompere un percorso che era stato virtuosamente avviato dall'ultimo Governo Berlusconi e che aveva registrato ottimi risultati nel contrasto alla violenza sulle donne, per mezzo dell'aiuto e della collaborazione di tutte le forze politiche presenti in Parlamento e col sostegno e la preziosa collaborazione dei membri del mondo dell'associazionismo e dei centri antiviolenza.
Nonostante siano trascorsi più di cinque mesi dall'insediamento dell'attuale Esecutivo, ancora oggi, non vi è una chiara strategia volta a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne, tanto che l'approccio scelto dal Governo, come cristallizzato nel contratto di Governo per il cambiamento, è meramente securitario e repressivo. Le misure proposte si pongono tutte, peraltro, in contrasto con quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul.
Va sottolineato come, nel giorno dell'insediamento del nuovo Governo, il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia ritenuto nemmeno di menzionare, nel suo discorso alle Camere, la grave piaga della violenza contro le donne che lede la nostra società, senza contare che nella compagine governativa è assente un Ministro per le pari opportunità, funzione assolta dal sottosegretario alla Presidenza Spadafora, che ringraziamo per essere qui, e che spero recepirà le nostre richieste: perché, come hanno già accennato colleghi di altre forze politiche, noi siamo pienamente a disposizione e pronti a collaborare su queste tematiche, che, come dicevamo, non hanno un colore politico.
Tutta questa superficialità nell'affrontare un tema che dovrebbe essere priorità delle istituzioni e la scarsa attenzione nei confronti di questa tematica, infatti, ci preoccupano: basti pensare che, in merito agli interventi economici nella legge di bilancio 2019, le somme stanziate per il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità subiscono una decurtazione di circa 1,8 milioni di euro per il triennio 2019-2021, e anche il fondo per le vittime di reati intenzionali violenti e quello per gli orfani di femminicidio subiscono una decurtazione rispetto agli anni precedenti.
Inoltre, nonostante il 10 maggio scorso la Conferenza Stato-regioni abbia espresso l'intesa sul riparto del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per il 2018, ad oggi non risulta che le risorse siano state trasferite alle regioni, generando in questo modo evidenti problematiche per tutte quelle strutture che quotidianamente svolgono un lavoro importante a favore delle donne.
Proprio sul trasferimento delle risorse alle regioni, è opportuno sottolineare come, durante la precedente legislatura, ci siano stati dei ritardi notevoli nello stanziamento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, e la somma che è stata stanziata nel 2013-2014 è stata trasferita alle regioni solo nell'autunno del 2014; e, una volta che la somma è arrivata nelle casse regionali, nella maggior parte dei casi se ne è persa traccia.
Come documentato da ActionAid Italia, c'è stata ben poca trasparenza sulla distribuzione, tanto che, a novembre 2015, solo per 10 amministrazioni era possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi, di cui solo 5 hanno pubblicato i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti.
La stessa Corte dei conti, con una deliberazione del settembre 2016, ha criticato severamente la gestione ordinamentale, amministrativa e finanziaria delle politiche pubbliche contro la violenza sulle donne.
Per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, stiamo assistendo soltanto a parole vuote, retorica e tanta indifferenza, mentre la strage delle vittime della violenza continua senza pietà.
Nel 2014, grazie ad una puntuale proposta emendativa di Forza Italia, è stata fortunatamente scongiurata l'abolizione della carcerazione preventiva per il reato di , prevista inizialmente nel disegno di legge in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria.
La scarsa attenzione al tema è stata, altresì, dimostrata con la riforma del codice penale approvata con la legge n. 103 del 2017, che tra le varie misure reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162- del codice penale, la possibilità per uno di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice, anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro.
Contro tale misura il gruppo di Forza Italia ha condotto una vera e propria battaglia, presentando una proposta di legge diretta ad escludere la possibilità di estinzione per condotte riparatorie, ai sensi dell'articolo 162-, del reato di atti persecutori, che il Governo ha fortunatamente in seguito deciso di fare propria.
Tralascio dettagli normativi, ma su un piano più operativo la cabina di regia interistituzionale istituita con decreto del 25 luglio 2016, in merito alla quale non si è avuta conoscenza né del numero delle riunioni né delle politiche attuate, nella presente legislatura sembrerebbe (chiedo conferma al sottosegretario) essere stata convocata soltanto una volta: quindi magari, su questo, chiedo se riesca a darci una risposta.
Partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno della violenza di genere, è necessario mettere in campo iniziative anche in sede legislativa volte a porre un freno all'incontenibile fenomeno di violenze che purtroppo ancora oggi molte donne sono costrette a subire.
Chiediamo, quindi, un impegno ad ampio raggio al Governo, declinato in 14 punti dettagliati nella nostra mozione, che va dall'intraprendere le opportune iniziative per accelerare i procedimenti con tempi certi per lo svolgimento delle indagini, secondo le modalità precedentemente esposte, nonché garantire le misure volte a prevenire e proteggere le donne dalla violenza, in particolar modo in riferimento agli strumenti inerenti alle misure cautelari, che rappresentano un forte elemento dissuasivo per tutti quegli uomini che intendono porre in essere atti spregevoli nei confronti delle donne.
Ma ciò non basta, poiché è necessario intraprendere iniziative concrete sotto il profilo economico, provvedendo tempestivamente all'erogazione alle regioni delle risorse ripartite in Conferenza Stato-regioni lo scorso 10 maggio, nonché a garantire ulteriori stanziamenti da erogare ai centri antiviolenza e alle case rifugio per evitare la loro chiusura, ad eliminare le disparità regionali e locali concernenti la disponibilità e la qualità dei servizi di protezione per tutte le donne vittime di violenza, e a stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza chiamato ad agire con le medesime.
Concludo velocemente sottolineando un aspetto a cui tengo molto. Considerata la necessità di un profondo mutamento culturale, risulta necessario promuovere anche la sensibilizzazione in materia, stabilendo interventi nelle scuole con programmi mirati di formazione agli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne, declinati pure su un corretto utilizzo del mirato alla consapevolezza di quelle che possono essere le conseguenze drammatiche di un suo utilizzo spesso superficialmente errato.
Più in generale, è fondamentale intraprendere azioni adeguate, volte a sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni ad un utilizzo consapevole del , in particolar modo dei , nonché ad adottare gli opportuni interventi legislativi volti ad introdurre nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di reato per chiunque pubblichi o divulghi, attraverso strumenti informatici o telematici, immagini o video privati sessualmente espliciti, comunque acquisiti, realizzati o detenuti, senza il consenso delle persone ivi rappresentate .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Sportiello. Ne ha facoltà.
GILDA SPORTIELLO(M5S). Presidente, gentili colleghe e colleghi, oggi abbiamo l'opportunità di discutere insieme di violenza contro le donne: un problema complesso, polimorfo, che troppo spesso viene considerato ed affrontato esclusivamente come un fenomeno emergenziale, trascurando o addirittura negando il suo essere strutturale, profondamente radicato nella nostra cultura e nella nostra società.
Il carattere strutturale della violenza contro le donne è riportato anche nel preambolo della Convenzione di Istanbul, che definisce la violenza contro le donne come una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini.
Si tratta, quindi, di una violenza che permea aspetti diversi della nostra società e della nostra vita quotidiana, fino ad arrivare tra le mura di casa, in uno spazio intimo, ma che non per questo deve farci pensare nemmeno per un momento che quelle violenze commesse in uno spazio privato proprio per questo non ci riguardino. Non è così, perché ogni violenza compiuta è una violenza contro ognuna ed ognuno di noi, e colpisce tutta la comunità.
Ci sono ambiti in cui questa violenza invece è sottile, si insinua e passa addirittura inosservata sotto tanti occhi, perché ormai è diffusa, a volte culturalmente interiorizzata, ma è altrettanto forte, brutale e aggressiva. Si tratta di forme di violenza diverse, trasversali, multiformi, che si aggrovigliano, ordiscono trame che costruiscono ruoli imposti socialmente entro cui si rischia di restare intrappolate. Pensiamo, ad esempio, a quei luoghi di lavoro dove le donne sono tenute sotto ricatto non solo dal precariato o dalla crisi del mercato del lavoro, ma anche dalle molestie che sono costrette a subire: secondo i dati ISTAT sono circa 1.400.000 circa le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subìto molestie fisiche o ricatti sessuali sul luogo di lavoro o durante un colloquio in vista di un'assunzione. Oppure pensiamo a tutte le volte in cui si tenta di rimettere in discussione traguardi faticosamente raggiunti dopo anni di lotta, e che hanno segnato importanti passaggi nel cammino ancora non concluso verso le pari opportunità.
Sarebbe quindi un grave errore, imperdonabile, pensare che parlare di violenza sulle donne significhi parlare solo di alcune forme più eclatanti, come lo o il femminicidio. Al contrario, stiamo parlando di oppressione e di ineguaglianza, che pervadono la sfera economica, familiare, relazionale, sociale, culturale, e che condannano le donne solo perché donne. Bisogna quindi ripensare le pratiche ed i modelli educativi di riferimento, rivedere alla luce di una nuova consapevolezza le narrazioni dominanti e le esperienze che riproduciamo, e soprattutto dobbiamo sempre tenere ben presente che la violenza contro le donne non è un fenomeno ineluttabile.
Ad aggravare una situazione già difficile c'è poi da considerare ciò che purtroppo spesso ancora accade, e cioè che molte donne che hanno subito e che hanno denunciato violenze sono state poi sottoposte, loro malgrado, ad un'operazione di colpevolizzazione e di stigmatizzazione, che da vittime le ha rese imputate. Si tratta di un processo estremamente pericoloso, perché considera la donna vittima di violenza quasi complice, se non addirittura responsabile della violenza denunciata e subita.
Ed è proprio per questo che si rende necessario intervenire anche nella formazione di operatori ed operatrici coinvolti a vario titolo nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, lavorando soprattutto sul concetto di consenso della vittima nei casi di violenza sessuale, perché una donna che viene stuprata, maltrattata non deve mai trovarsi nella condizione di dover dimostrare di non essere colpevole, in qualche modo, della violenza subita.
Parlando di violenza sulle donne stiamo parlando, quindi, di una violenza che può essere fisica, verbale, psicologica, economica e che ha il suo seme in un preciso sistema sociale: il patriarcato, un sistema sociale in cui il potere è detenuto principalmente da uomini, dove lo sguardo sul mondo è prettamente maschile e che può portare all'idea, assolutamente priva di ogni fondamento, della percezione della donna come sottomessa oppure meno capace e, nei casi più estremi, concepita addirittura come una sua proprietà. Probabilmente, in questi termini ci sembra una realtà lontana e quasi incredibile da concepire e, invece, è terribilmente presente, con potenza diversa, in differenti contesti.
Tra le donne vittime di violenza ci sono, poi, alcune che rischiano di diventare più invisibili di altre, perché vivono in una situazione di maggiore fragilità: sono le donne migranti, vittime di tratta, una realtà di cui non si parla forse abbastanza, nonostante l'importanza del fenomeno sia in termini di diffusione, sia per la complessità della struttura criminale che lo gestisce, sia in termini di brutalità. Parlarne poco significa rischiare che non ci sia un'attenzione proporzionale alla violenza vissuta dalle vittime e che si possa realizzare, nell'immaginario collettivo, una stigmatizzazione ed una pericolosa normalizzazione della violenza o, ancora, che si corra il pericolo che si arrivi ad un'identificazione delle donne migranti provenienti da alcuni Paesi, come, ad esempio, la Nigeria, con la prostituzione, negando così loro un riconoscimento in termini di competenze e di possibilità di inclusione.
Alla violenza fisica per le donne vittime di tratta si accompagna un altro tipo di violenza ben più potente, un vincolo psicologico creato da alcuni rituali che hanno il potere di assoggettare la donna impadronendosi del corpo, della mente e anche della sua volontà. Una privazione della libertà, di fatto, che configura questi fenomeni come forme di schiavitù moderne. E se già questo sembra insopportabile, ad aggravare la situazione si aggiunge il fatto che l'età media delle vittime di tratta si è drasticamente abbassata negli ultimi anni, al punto che tra le più giovani si contano ragazze quattordicenni e sedicenni e se questo accade è perché il mercato del sesso nel nostro Paese le richiede sempre più giovani.
Ogni volta che una donna tornando a casa non si sente serena, ogni volta che dobbiamo difenderci da uno sguardo arrogante ed invadente di un uomo, ogni volta che ci viene negata la possibilità di decidere sul nostro corpo, ogni volta che viene messa in discussione o che, addirittura, viene contestata la libertà all'autodeterminazione, ogni volta che una donna non è libera di poter definire le proprie scelte di vita, ogni volta che ad un colloquio ci chiedono se siamo sposate, se abbiamo figli o se vogliamo averne, ogni volta che in un ospedale manca un medico non obiettore, ogni volta che pensiamo che in fondo se l'è cercata, che quella gonna era troppo corta o che aveva bevuto troppo, ogni volta che sul posto di lavoro dobbiamo combattere ancora per avere una parità salariale siamo di fronte – o, peggio ancora, siamo parte – di violenza contro le donne.
Sono tanti i contesti in cui è necessario ed urgente intervenire ed è per questo che chiediamo al Governo di avviare le politiche mirate a sostenere percorsi di fuoriuscita dalla violenza, assicurando che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati senza ritardi e vincolati all'assunzione di impegni precisi; a prevedere l'individuazione di indicatori per poter valutare periodicamente l'impatto degli stanziamenti, anche al fine di definire future strategie di intervento, di concerto con le organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza. Chiediamo di aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità e di implementarne la diffusione laddove necessario, perché i centri antiviolenza svolgono un ruolo fondamentale anche al fine di una maggiore emersione del fenomeno e per comprendere gli impedimenti culturali e strutturali che impediscono o rendono difficile il riconoscimento e la denuncia di una violenza; chiediamo, inoltre, di intervenire sull'ambito normativo e legislativo per compensare le lacune del sistema italiano e per assumere iniziative normative o regolamentari volte a prevedere dei percorsi specifici in carcere per gli autori di reati di genere, che coinvolgano anche i centri antiviolenza presenti sul territorio.
È, inoltre, imprescindibile intervenire sul piano della formazione e dell'educazione, prevedendo modelli ed approcci pedagogici che facciano della complessità, del rispetto e dell'accoglienza i principi fondanti e che agiscano trasversalmente ed organicamente per smontare quelle pratiche educative che, incentrate su un binarismo di genere, costruiscono, sin dalla più tenera età, rigidi stereotipi che rischiano di compromettere una crescita libera ed autentica. Occorre pensare, da un lato, ad iniziative per introdurre, nell'ambito delle istituzioni scolastiche, percorsi e progetti mirati a garantire pari opportunità di educazione, di istruzione, di cura, di relazione e gioco, educando le nuove generazioni alla parità di genere e alle affettività, nonché a definire linee guida che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici l'educazione al diritto all'integrità dell'identità personale, al contrasto delle violenze di genere e alla legalità; dall'altro lato, invece, occorre assumere iniziative finalizzate a rendere obbligatoria una formazione specifica di tutte e tutti gli operatori e le operatrici coinvolti nei percorsi di fuoriuscita e di sostegno alle donne vittime di violenza, per affrontare, riconoscere e contrastare il fenomeno delle violenze di genere e della tratta di esseri umani. Bisogna, inoltre, incidere sulla narrazione predominante dell'informazione e della comunicazione, invitando in particolar modo i ad assumere iniziative volte all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme che promuovano una comunicazione improntata al pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne, vietando forme di comunicazione che possano, invece, indurre a una fuorviante percezione dell'immagine femminile.
Chiediamo, infine, di implementare tutti gli strumenti necessari per perseguire le priorità contenute nel Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere per il triennio 2017-2020, auspicando il superamento del carattere di straordinarietà del Piano stesso, a favore di azioni a carattere sistematico nonché di assumere iniziative volte a creare una rete di tavoli per il contrasto delle violenze di genere e sui minori e che vengono adottate le misure necessarie a garantire, su tutto il territorio nazionale ed in maniera uniforme, che le vittime di sfruttamento alla prostituzione e di tratta vengano inserite nei percorsi sociali previsti dal nostro ordinamento per poter uscire dalla condizione di privazione della libertà in cui vengono costrette nel nostro Paese.
Concludo, Presidente, ricordando che la strada che dobbiamo percorrere è ancora lunga. Il problema della violenza sulle donne e delle violenze di genere non è un problema delle donne, ma è un problema dell'intera comunità, dell'intero sistema sociale. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria violazione dei diritti umani e ad una forte forma di discriminazione. All'interno delle istituzioni abbiamo il dovere non solo di ascoltare e di accogliere le richieste che ci vengono riportate, ma abbiamo il dovere di costruire dei percorsi e degli spazi in cui sia possibile confrontarci e lavorare trasversalmente su temi come questi, che non devono trovarci divisi o lontani. Anzi, è necessario che la riflessione sia inclusiva, cosicché tutti e tutte possano dare il proprio contributo e arricchire un percorso di cambiamento che deve essere, necessariamente e prima di tutto, culturale, un percorso che dia una nuova lettura della violenza maschile contro le donne .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marrocco. Ne ha facoltà.
PATRIZIA MARROCCO(FI). Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghi, avrei voluto iniziare questo mio intervento citando i nomi di tutte le donne che hanno subito violenza, ma mi sono subito resa conto che il tempo a mia disposizione non era sufficiente. Altrettanti minuti avrei dovuto passarli in silenzio in quest'Aula davanti a questo microfono citando, invece, tutte le donne che non hanno avuto la forza, il coraggio e l'opportunità di denunciare le violenze che hanno subito violenze subite in ragione del fatto dell'essere donne, da uomini che non hanno il diritto di essere chiamati uomini. Infatti, il termine “umanità” deriva da “uomo” e di umanità ne vedo ben poca in chi si macchia di questi delitti.
Il 25 novembre si celebrerà la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, e solo nel 2011 è stata siglata la Convenzione di Istanbul. Ecco, già queste date dovrebbero farci riflettere: il fenomeno della violenza di genere non è nato alla fine dello scorso millennio, ma è semplicemente emerso a seguito di una tardiva, ma opportuna presa di coscienza. È cambiato lo spirito del tempo e sono cambiati la sensibilità e l'approccio culturale. Si è cominciato, con colpevole ritardo, ad abbattere il muro delle differenze di genere dietro a cui era consolidata la convinzione che la donna fosse subordinata all'uomo. Si è cominciato ad abbattere quel muro, dicevo, ma le macerie continuano a cadere addosso alle donne, in Italia e nel mondo. A livello planetario, una donna su tre, dai quindici anni in su, ha subito violenza, una donna su tre; cioè, milioni di donne sottomesse, picchiate, violentate, mutilate e uccise. Certo, si dirà che questa percentuale è alterata dai dati di alcuni Paesi in cui la discriminazione di genere non solo è tollerata, ma è addirittura formalizzata per legge, con tutto ciò che ne deriva.
Invece è sufficiente guardare i telegiornali o leggere i quotidiani per comprendere quanto il fenomeno sia ancora tanto, troppo diffuso anche nel nostro Paese: casi di violenza psicologica, , aggressioni, violenze sessuali, sino ad arrivare ai femminicidi.
È sufficiente scrivere quest'ultima parola in un qualsiasi motore di ricerca per constatare la vastità del fenomeno: un bollettino di guerra. Solo oggi, 12 novembre, quattro casi di violenza su donne e figli: uno a Milano, uno a Pozzuoli, uno a Prato e uno a Velletri.
Le mozioni all'esame dell'Aula possono essere un'occasione per mantenere accesi i riflettori e per fare una riflessione condivisa sulla condizione femminile nel nostro Paese, condivisa in quest'Aula, al di là degli schieramenti politici, e anche fuori dal palazzo, perché oltre a provvedimenti legislativi c'è bisogno di un coinvolgimento da parte di tutti e di ognuno. Una rivoluzione culturale che diffonda ovunque una verità solo apparentemente scontata: essere donna non rappresenta un limite, non deve essere un limite. Una rivoluzione culturale che deve partire dalle più piccole formazioni sociali, dalla scuola e dalla famiglia. È da lì che deve partire questa presa di coscienza, proprio lì, nelle famiglie, nelle mura domestiche, dove si perpetrano gran parte dei delitti. I o gli ex sono responsabili del 62,7 delle violenze e del 38 per cento dei femminicidi. Ciò significa che ci sono ancora individui educati alla violenza, nella convinzione che una donna non sia meritevole di rispetto.
Restando sui numeri, vale la pena ricordare il negativo relativo alle denunce per , una diminuzione di segnalazione che non sembra derivare da una diminuzione del fenomeno, ma dalla sfiducia delle vittime nell'utilità della denuncia, percepita come inutile se non seguita da azioni concrete da parte delle istituzioni.
Qualcosa negli ultimi anni è stato fatto, durante il Governo Berlusconi, che ha visto come protagonista, con un'importante attività, il Ministro delle pari opportunità, l'onorevole Mara Carfagna. Per la prima volta è stato adottato un piano nazionale contro la violenza di genere e lo , finanziato con più di 18 milioni di euro, con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane ed il numero per le segnalazioni e le professionalità delle forze dell'ordine.
In particolare, l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di rappresenta una sorta di spartiacque, legislativo e culturale. Nella scorsa legislatura si è tentato di implementare le misure a difesa delle donne vittime di , ma senza riuscirci.
Purtroppo, anche a livello governativo, duole dire che ben poco è stato fatto, a dispetto dell'ampia premessa della mozione del Partito Democratico. Anzi, se vogliamo dirla tutta, qualcosa è stato fatto, ma in peggio. Lasciamo pure in un angolo la mancata nomina di un Ministro per le pari opportunità, ma non posso non evidenziare che nel 2014 fu inizialmente approvata una norma che aboliva la carcerazione preventiva per gli , cancellata grazie a un emendamento di Forza Italia; o peggio, l'approvazione nel 2017 di una misura che consentiva di estinguere il reato di con il pagamento di una sanzione pecuniaria, anch'essa corretta. Così come mi pare misera l'attenzione dedicata da questo Governo al fenomeno, nonostante la presenza al suo interno di un Ministro che ha a cuore la questione della violenza sulle donne. Ma non è il momento delle polemiche, è il momento dell'impegno condiviso. Spero che questo Parlamento riesca a compiere il salto di qualità, varando misure che integrino quanto già è previsto. Un impegno che dobbiamo assumerci in quanto rappresentanti delle istituzioni ma, soprattutto, in quanto donne e uomini.
Il sostegno e la solidarietà fanno piacere, ma non diminuiscono le violenze, non salvano le vite. Serve di più, servono impegni precisi per avviare azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione con politiche attive, coerenti e coordinate. Serve una maggiore attenzione da parte di tutti gli attori istituzionali e sociali. Serve un percorso di formazione culturale e di sensibilizzazione che, nel minor tempo possibile, cancelli quelle sacche di discriminazione di genere che ancora sono presenti anche nel nostro Paese. Sarebbe un'assunzione di responsabilità individuale e collettiva, un impegno diffuso che potrà trovare l'abbrivio in un segnale positivo proveniente da quest'Aula.
Colleghe e colleghi, siamo d'accordo nel ritenere la violenza sulle donne un fenomeno infame? Siamo d'accordo nel ritenere necessario mantenere accesi i riflettori puntandoli laddove l'ombra dell'intolleranza e della discriminazione di genere ancora si muove liberamente? Siamo d'accordo nel ritenere necessarie misure di sensibilizzazione, prevenzione e protezione, oltre che la repressione dei reati e la condanna dei colpevoli?
Se la risposta a queste domande è sì, condividete gli impegni della nostra mozione, che non esauriscono il confronto, ma tendono a rappresentare un punto di partenza, con la speranza di trovare lungo il percorso, ma mi auguro sin da subito, un'ampia convergenza .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Iovino. Ne ha facoltà.
LUIGI IOVINO(M5S). Presidente, sottosegretario, colleghi, il tema della violenza di genere merita soprattutto delle risposte, risposte che da parte delle istituzioni devono pervenire nella direzione delle politiche sociali, ma bisogna intensificare prima di tutto la rete dei centri antiviolenza in Italia, capendo soprattutto che sono ancora troppo pochi i centri antiviolenza e pochi i fondi strutturali per potere portare avanti dei progetti di reale reinserimento sociale e lavorativo che mirano a garantire un reale reinserimento lavorativo della donna. Questo perché spesso accade che le donne non denuncino perché, a volte, la loro dipendenza economica dal marito fa sì che abbiano paura di non avere più un sostentamento economico, quindi bisogna intervenire in questa direzione, abbattendo la problematica e garantendo che chi subisce violenza denunci serenamente, nella misura in cui poi sarà lo Stato, la regione, le istituzioni a provvedere a formarla e a ricollocarla nel mercato del lavoro.
È urgente, appunto, ampliare il dibattito, arricchendolo di nuovi punti di vista, perché la violenza contro le donne non sia più un tema per donne o, addirittura, solo per alcune donne, ma sia visto per quello che è, cioè un problema irrisolto, spinoso, diffuso, in una società che oggi sta affrontando un passaggio epocale, da società patriarcale ad una che presenti eguali diritti e opportunità per entrambi i sessi: in questo, anche gli uomini devono fare la propria parte. Nonostante la presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica, è evidente e necessaria l'esigenza di una più incisiva sensibilizzazione e produzione normativa in materia, per cercare di contrastare questo fenomeno che, purtroppo, in Italia, così come in altri Paesi, è ancora presente: ascolto attivo delle denunce, controlli seri post-denuncia e azioni preventive di sensibilizzazione al fenomeno, soprattutto per le giovani generazioni, pene certe e severe sugli omicidi.
Insieme alle istituzioni e alla cultura, che da sempre sono le armi vincenti attraverso le quali si potrà cambiare alla radice l'atteggiamento maschilista e violento nei confronti della donna, si potranno finalmente porre i cardini per riuscire nel breve periodo a contenere questo fenomeno. Nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono mariti, ex fidanzati e comunque persone appartenenti alla cerchia affettiva delle mura domestiche. L'elemento che accomuna queste donne è il fatto di aver trasgredito al ruolo ideale di donna, imposto da un pensiero che non può più trovarsi nella reale concettualità della nostra società. Si è sempre vista la donna come obbediente, che deve rispettare l'uomo, che deve far trovare la casa pronta quando l'uomo ha finito di lavorare e torna, appunto, a casa. Questo è quello che la nostra generazione ha ereditato da un sistema che, purtroppo, ha avuto sempre una cultura di questo tipo.
Il mondo culturale al quale apparteniamo non deve rimanere sordo e insensibile davanti al femminicidio e alla violenza di genere ma, piuttosto, ha il dovere imprescindibile di lottare e sopraffare questo fenomeno di inaudita barbarie. Voglio subito dire che il MoVimento 5 Stelle è sensibile a queste tematiche ed io e i miei colleghi qui presenti oggi ne siamo la dimostrazione. Credo che tutto l'impegno delle istituzioni sia quello di lavorare nella direzione della prevenzione. Sappiamo tutti che prevenire è sicuramente meglio che curare. L'obiettivo deve essere prevenire aumentando il livello di consapevolezza, soprattutto nella pubblica opinione, a partire dalle radici strutturali delle cause e delle conseguenze della violenza di genere, attraverso il coinvolgimento delle associazioni, degli esperti del settore, delle istituzioni, per cercare di rimuovere questo cancro della società che negli ultimi mesi ha registrato un' inaccettabile.
Assicuro che il MoVimento 5 Stelle continuerà ad impegnarsi in questa direzione nei prossimi cinque anni e allo stesso tempo voglio sottolineare che manca quel cambiamento culturale profondo nel superamento degli stereotipi di genere che deve passare dall'educazione scolastica, dalla formazione anche del personale della pubblica amministrazione e della magistratura, per fare interiorizzare aspetti come la spirale della violenza, l'analisi del rischio, la consapevolezza dell'enorme costo emotivo, sociale ed anche economico della stessa violenza assistita, che segna in modo permanente, ogni anno, centinaia di migliaia di bambini e bambine.
E questi dati degli orfani negli ultimi 14 anni, che ammontano a circa 1600, provengono dal Progetto e noi abbiamo l'obbligo di intervenire in questa misura per impedire che le prossime generazioni possano vivere questi fenomeni veramente di enorme disadattamento sociale. Serviranno anni, ma l'impegno sarà costante.
Per le vittime la fase più massacrante è quella che rappresenta una vera e propria tortura: dover aspettare anni per arrivare al provvedimento definitivo. È, poi, molto importante, Presidente, lavorare nelle scuole. Purtroppo, stiamo riscontrando anche un abbassamento dell'età delle vittime e degli autori. Bisogna evitare che la violenza prenda piede fra i più giovani, ma soprattutto vanno aumentate le case rifugio, dove vengono ospitate le vittime che hanno avuto il coraggio di denunciare. Devono, inoltre, essere incentivate le opportunità di reinserimento delle donne nella società, per fare in modo che riescano davvero a costruire una nuova vita; un dato spaventoso, che molto dice di un luogo in cui essere donne è un fattore di rischio altissimo, e non per la strada o in viaggio, non a casa di sconosciuti, ma soprattutto nei contesti e nelle reti familiari di relazione, che più dovrebbero essere protetti e sicuri.
Concludo, Presidente, cercando di riportare un po' la linea generale del nostro Ministro. Per questo, il tema ha trovato subito lo spazio nel contratto del Governo del cambiamento, a partire dall'inasprimento delle pene, maggiore impegno sui fondi per gli indennizzi e, soprattutto, il codice rosso, ossia una corsia preferenziale per le donne e le giovani ragazze che vanno a denunciare.
È qui, secondo me, che la giustizia esprime il suo più alto concetto: non agire solamente a reato consumato, ma agire sull'organizzazione del lavoro degli inquirenti per prevenire il reato. Con la nuova legge ci saranno provvedimenti più snelli, senza fasi di stallo, per la tutela tempestiva delle vittime di violenza domestica e di genere. La polizia giudiziaria dovrà comunicare immediatamente al Pubblico Ministero le notizie di reato, senza fare una valutazione sull'urgenza, quindi a prescindere. La vittima deve essere sentita dai magistrati entro tre giorni dalla denuncia, le indagini partiranno immediatamente per i maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate avvenute in casa. Infine, l'obbligo di formazione per le forze di polizia che trattano questo tipo di procedimenti, in modo che siano specializzati nella prevenzione e nella repressione e che abbiano una preparazione specifica all'interlocuzione con le vittime. Sappiamo che per ogni donna non è semplice venire allo scoperto e denunciare i soprusi che subisce. Con questa legge, lo Stato si fa avanti e tende una mano. Noi non ci arrenderemo fino a quando il numero delle donne che subisce violenza non sarà pari a zero.
Infine, per rispondere anche a qualche intervento fatto poc'anzi, io vorrei dire che la violenza sulle donne è un tema che riguarda tutti, per questo il lavoro del nostro Governo e, nello specifico, del sottosegretario Spadafora, nel voler mettere tutti intorno ad un tavolo, è importantissimo, a partire dalla cabina di regia interministeriale, fino alla tavola rotonda con enti e associazioni che si occupano di questo tema: sono segnali di specifica importanza che fanno capire veramente la direzione in cui sta andando questo Governo e per questo avranno sempre il nostro supporto .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Chiedo al sottosegretario, Spadafora, se intende intervenire o si riserva di farlo successivamente.
VINCENZO SPADAFORA,. Ci si riserva, Presidente.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fatuzzo. Ne ha facoltà.
CARLO FATUZZO(FI). La ringrazio, Presidente Rosato. Sabato scorso, 10 novembre, una televisione soggettiva monotematica, si usa dire, SuperTennis, ha festeggiato il decimo anniversario da quando, tra lo scetticismo generale, ha cominciato a trasmettere 24 ore su 24, su un canale del digitale terrestre, tennis, solo tennis e nient'altro che tennis, parlando anche dei protagonisti, che sono comunque un esempio per tutti gli sportivi, perché, quando terminano le partite, da sempre si danno la mano, non solo, ma consentono che i tifosi di questo tipo di sport, si affratellino con i campioni di altri Stati.
Quindi, è con vero piacere e sono convinto che tutta l'Aula si unisce a me nell'esprimere un applauso a questa televisione, che è riuscita a diventare una delle più viste in tutta Italia. Per cui viva il tennis, viva SuperTennis, viva i pensionati, pensionati all'attacco!
PRESIDENTE. Collega Fatuzzo, ma… veramente, la prego di non concludere…
CARLO FATUZZO(FI). Posso? Allora io avrei molto piacere…
PRESIDENTE. No, no, basta. Collega Fatuzzo, lei ha finito il suo tempo e ha finito il suo intervento. Io la prego di non intervenire più così. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rospi. Ne ha facoltà.
GIANLUCA ROSPI(M5S). Signor Presidente, porto all'attenzione di quest'Aula la situazione drammatica che vive ormai da quattro mesi la Basilicata. Dal 6 luglio scorso, i problemi giudiziari del Governatore Pittella hanno lasciato la mia regione senza guida. Ciò nonostante, il Partito Democratico cerca in tutti i modi di far slittare le elezioni regionali ben oltre la scadenza naturale. Temono di dover lasciare le loro poltrone, dopo aver tenuto in ostaggio la Basilicata per vent'anni e più. Il MoVimento 5 Stelle chiede di restituire subito la parola ai cittadini, ormai determinati a cambiare rotta. La scadenza naturale della legislatura regionale è il prossimo 18 novembre, ma la giunta ha indicato come data del voto il 20 gennaio 2019. Ora vogliono addirittura farlo slittare al 10 febbraio: assurdo ma vero, purtroppo. La vecchia politica lucana teme una nuova sconfitta dopo quella del 4 marzo scorso. I cittadini sono stufi delle loro menzogne e della loro incapacità di governare. Votare il 20 gennaio equivarrebbe a sabotare l'apertura delle celebrazioni per Matera, Capitale europea della cultura 2019. Non so se è chiaro: il 19 gennaio le massime cariche dello Stato potrebbero essere a Matera per inaugurare le celebrazioni e il Governo regionale decide di votare il giorno successivo. Il Presidente Mattarella non si presterebbe ad assecondare l'ultima passerella di una giunta decapitata a un giorno dal voto. Impedirgli di fatto di essere a Matera il 19 gennaio sarebbe un terribile segnale di disprezzo nei confronti delle istituzioni e dei cittadini. Questo varrebbe anche per gli eventi programmati dopo il 20 gennaio. È inaccettabile che un Governo regionale sfrutti, ai fini di propaganda elettorale, un evento di tale rilievo.
In conclusione, signor Presidente, la parola definitiva sul voto in Basilicata deve dirla il Governo centrale. Per queste ragioni chiedo l'intervento del Ministro dell'Interno e del Capo dello Stato, affinché le elezioni in Basilicata si svolgano entro il 13 gennaio 2019. Dobbiamo scongiurare il rischio di fare una figuraccia di portata internazionale, proprio mentre Matera è al centro di un'importante vetrina .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il collega Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI(FI). Grazie, Presidente. Quindici anni fa, la mattina del 12 novembre 2003, alle 10,40 ora locale, un camion cisterna, a tutta velocità, sfonda l'ingresso della base militare dei carabinieri in Iraq, a Nassiriya, ed esplode. In quell'esplosione ci sono circa sessanta feriti e ventotto morti, tra questi ventotto morti diciannove sono gli italiani, sono dodici carabinieri, quattro soldati dell'Esercito e due civili. Il Ministro della difesa di allora, il professor Antonio Martino, commenta quell'esplosione dicendo: questo cratere è il nostro
Nei giorni successivi rientrano le salme di questi militari morti e una folla silenziosa, pacata, si mette in fila al Vittoriano. È un'Italia consapevole, quella di quei giorni, consapevole di se stessa e del debito che ha nei confronti di questi nostri militari caduti in quelle missioni internazionali. A quell'Italia, Forza Italia oggi è vicina e crede di dover tributare un ricordo dei nostri caduti in quest'Aula del Parlamento. Presidente, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri di allora, Bellini, qualche giorno dopo ebbe a dire: non uno dei nostri ragazzi ha chiesto di rientrare. Grazie. .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il collega Sensi sulla stessa questione. Ne ha facoltà.
FILIPPO SENSI(PD). Grazie, Presidente. Quindici anni fa, oggi, nell'attacco terroristico richiamato dal collega Baldelli, rivolto contro i militari italiani in servizio a Nassiriya, nel quadro dell'operazione morirono ventotto persone, diciannove italiani e nove iracheni. Vorrei qui, parlando di una tragedia lontana e così vicina, semplicemente nominare, sì, nominare, etimologicamente richiamare quelle vittime in quest'Aula, perché i nomi di Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Andrea Filippa, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi, Alfonso Trincone, Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferraro, Pietro Petrucci, Marco Beci e Stefano Rolla restino vivi, presenti nella memoria e nella gratitudine del Parlamento e delle istituzioni tutte, che si stringono alle nostre Forze armate e alle famiglie dei caduti nel cordoglio, nel ricordo, e ci accompagnino nel nostro quotidiano impegno .
PRESIDENTE. Grazie anche al collega Sensi. Oggi le istituzioni nazionali hanno ricordato, così come previsto da una legge che questo Parlamento ha votato, con larghissimo consenso, nel 2009, questa giornata solenne. Credo che sia stato opportuno il ricordo che è stato fatto anche in quest'Aula.
Ha chiesto di parlare il collega Enrico Borghi. Ne ha facoltà.
ENRICO BORGHI(PD). La ringrazio, signor Presidente. Tra le notizie di questo fine settimana, nel nostro Paese, signor Presidente, ce ne sarebbero molte che meriterebbero una chiosa in quest'Aula: dai 30 mila cittadini che si sono ritrovati in Piazza Castello, a Torino, sulla TAV fino alle vergognose e incredibili affermazioni rese dal portavoce del Presidente del Consiglio, che si è scagliato, in un video che è stato riportato all'attenzione della cronaca, contro i ragazzi e contro le persone più anziane, ma, rispetto a questo, forse la risposta più straordinaria è giunta da una fotografia che il Presidente della Repubblica ha voluto fare con alcuni ragazzi nel biellese. Ma noi non possiamo, signor Presidente, passare sotto silenzio quella che, dal nostro punto di vista, è la più vergognosa e più incredibile vicenda di questo fine settimana che ci lasciamo le spalle.
Ci riferiamo alle affermazioni che i vertici del MoVimento 5 Stelle hanno fatto contro la libera stampa, contro i giornalisti e contro il sistema dell'informazione nel nostro Paese per commentare l'esito giudiziario della vicenda che ha interessato la sindaca di Roma. Signor Presidente, basterebbe solo vedere, per la differenza di stile, la differenza tra il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle, quanto non ha detto uno dei leader del nostro partito, il senatore Matteo Renzi, che ha vissuto nella sua famiglia una vicenda che si è chiusa analogamente rispetto a quella della sindaca di Roma e che, sotto questo profilo, non ha proferito alcun verbo, a differenza dell'incredibile atteggiamento tenuto dal MoVimento 5 Stelle.
Ma ai colleghi grillini vorrei dire che serve poco venire in quest'Aula a sciacquarsi la bocca contro la violenza, se poi, nel loro linguaggio, nella loro attestazione verbale, la violenza diventa uno degli elementi fondamentali su cui costruire il rapporto con l'opinione pubblica. Concludo, signor Presidente: a loro ricordiamo che esiste ancora l'articolo 21 della nostra Costituzione, ma noi vogliamo anche dire che non accettiamo questi toni da squadristi, che ricordano l'Italia del 1919 e la Repubblica del Carnaro. Non li accettiamo e verremo qui a chiedere al Governo che renda conto di queste vergognose affermazioni, non degne di un sistema liberale
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Borghi. Il Governo è già stato informato per un'analoga richiesta che è arrivata all'inizio della seduta dall'onorevole Mulè, e immagino che ne terrà conto per un'eventuale informativa.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
1.
2.
Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2018.
(C. 1201-A)
: SCERRA.
Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Anno 2017). (Doc. LXXXVII, n. 1)
: ANDREA CRIPPA.
3.
4.