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Giovedì 13 Settembre 2007 ore 09:00
AULA, Seduta 204
Resoconto stenografico
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AULA, Seduta 204 del 13/09/2007
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Interpellanze urgenti (Svolgimento)
- Svolgimento
- Misure a favore dei comuni dell'alto mantovano colpiti da una tromba d'aria il 9 luglio 2007 - n. 2-00666
- Fenomeno degli incendi verificatisi nel territorio siciliano - n. 2-00699
- Opere infrastrutturali da realizzare nella regione Friuli-Venezia Giulia - n. 2-00656
- Iniziative normative in merito al fenomeno del bracconaggio - n. 2-00657
- Deliberazione del Consiglio comunale di Verona relativa alla nomina di membri del Consiglio direttivo dell'Istituto veronese per la storia della Resistenza - n. 2-00686
- Stato di attuazione degli accordi di programma quadro della regione Puglia - n. 2-00613
- Sgombero di un campo nomadi effettuato nella zona Magliana di Roma e politiche di accoglienza nei confronti delle comunità rom - n. 2-00694
- Episodi di intolleranza e razzismo nei confronti della comunità rom - n. 2-00703
- Situazione della comunità rom nel comune di Pavia - n. 2-00704
- Qualità del servizio offerto dalla compagnia aerea Alpi Eagles - n. 2-00671
- Iniziative per la tutela della privacy in relazione alle operazioni finanziarie internazionali - n. 2-00697
- Ordine del giorno della prossima seduta
, legge il processo verbale della seduta di ieri.
. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bonelli, Brugger, Duilio, Gasparri, Oliva, Pinotti, Ranieri, Sgobio ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna.
. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
. Il deputato Burchiellaro ha facoltà di illustrare l'interpellanza Ruggeri n. 2-00666, concernente misure a favore dei comuni dell'alto mantovano colpiti da una tromba d'aria il 9 luglio 2007 di cui è cofirmatario.
. Signor Presidente, in data 17 luglio 2007, insieme agli onorevoli Ruggeri e Quartiani, ai quali si è aggiunto l'onorevole Fava, abbiamo presentato un'interpellanza urgente proprio per richiamare l'attenzione del Governo su un evento di calamità straordinaria, per una provincia come la nostra, che ha investito alcuni comuni dell'alto mantovano, in particolare il comune di Guidizzolo, in data 9 luglio 2007. Si è trattato di una tromba d'aria particolarmente rilevante per dimensioni e caratteristiche per una provincia come la nostra e, come ha avuto modo di sottolineare il sindaco di Guidizzolo, Graziano Pellizzaro, vi sono state decine e decine di feriti trasportati all'ospedale nel vicino comune di Castiglione delle Stiviere; numerosissime famiglie, almeno 50, ossia circa 200 tra bambini, donne e anziani, sono state evacuate nella notte del 9 luglio 2007 e allocate presso una tendopoli temporanea, allestita prontamente dalla Protezione civile nella zona. Sono state scoperchiate più di 500 abitazioni civili - 505, per la precisione - che rappresentano circa il 20 per cento del patrimonio edilizio del comune di Guidizzolo. Inoltre, sono volate autovetture e sono stati sradicati alberi. Si è trattata di una situazione, francamente, particolare. Si sono contate circa venti aziende agricole danneggiate e distrutte poiché alcune stalle non hanno retto la forza del tornado. Tetti e muri sono crollati e sono stati uccisi anche alcuni capi di bestiame, diverse serre non hanno retto alla devastazione del tornado e sono stati colpiti anche cinque insediamenti aziendali e artigianali, con gravissime ripercussioni sulle possibilità produttive e, di conseguenza, sui dipendenti. Sono stati colpiti, insieme al comune di Guidizzolo, anche quelli di Medole, Solferino, Cavriana, Castel Goffredo e Castiglione delle Stiviere. Dobbiamo dare atto al Governo di essere intervenuto in tempi rapidi con la predisposizione e la dichiarazione di stato di calamità e le indicazioni operative date alle strutture di protezione civile sono state apprezzate dai nostri cittadini. Vi è stata, inoltre, anche una forte collaborazione tra livelli istituzionali e credo che tale elemento sia estremamente importante. La nostra richiesta al Governo è di verificare lo stato di attuazione degli impegni assunti, in particolare per quanto riguarda la predisposizione dell'ordinanza con la quale viene messa a disposizione e attivata la procedura di intervento e l'organizzazione del programma, vero e proprio, di ricostruzione e di provvedimenti calibrati sugli effetti della calamità cui facciamo riferimento. Pertanto, la richiesta riguarda i tempi con i quali il Governo pensa di approvare l'ordinanza operativa e capire se siano stati già predisposti dagli organi competenti - il Governo, la regione e la Protezione civile - gli interventi previsti.
. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, il 9 luglio ultimo scorso il territorio provinciale di Mantova e, precisamente, dei comuni di Guidizzolo, Castel Goffredo, Cavriana e Volta Mantovana è stato interessato, in effetti, da eventi meteorologici di particolare intensità, caratterizzati da una grandinata e da una violenta tromba d'aria che, secondo quanto comunicato dalla Sala situazioni italia del Dipartimento della protezione civile nel corso dell'evento dagli enti competenti, è stata particolarmente intensa nel territorio comunale di Guidizzolo, dove ha provocato diversi danni a numerosi edifici di civile abitazione, ad alcune strutture ed aree pubbliche, quali il cimitero ed il campo sportivo, ad alcune aziende agricole ed artigiane e a parte della viabilità comunale. Nella giornata precedente al verificarsi dell'evento, in base alle previsioni meteorologiche in proprio possesso, l'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) della Lombardia aveva emesso un avviso regionale di condizioni meteorologiche avverse che prevedeva precipitazioni a carattere di rovescio o temporale nella giornata, per l'appunto, del 9 luglio e nelle prime ore del 10 luglio 2007, accompagnato da un avviso di criticità regionale con il quale veniva previsto il raggiungimento di livelli di criticità moderata in tutte le aree di allerta del territorio regionale. Gli stessi elementi relativi alle previsioni meteorologiche, sono stati espressi nel bollettino di criticità nazionale emesso dal Dipartimento della protezione civile, sempre in data 8 luglio, mentre il giorno successivo lo stesso Dipartimento ha provveduto ad emettere un avviso di condizioni meteorologiche avverse, con il quale venivano previste, nel primo pomeriggio, precipitazioni da sparse a diffuse, anche a carattere di rovescio o temporale, su Lombardia, Veneto, provincia autonoma di Bolzano e Friuli-Venezia Giulia, accompagnate da attività elettrica e da forti raffiche di vento. Per quanto riguarda la popolazione interessata dall'evento calamitoso, sono stati segnalati dodici feriti lievi e circa duecentocinquanta persone evacuate dalla propria abitazione ed alloggiate presso parenti, strutture ricettive nel territorio comunale e presso un'area di ricovero appositamente allestita dal volontariato locale. Nel pomeriggio del giorno successivo è stato effettuato un sopralluogo sul territorio del comune di Guidizzolo, maggiormente colpito dall'evento in questione, da parte di tecnici e funzionari del Dipartimento della protezione civile, congiuntamente ai rappresentanti della regione Lombardia, del comune e della prefettura di Mantova, della Protezione civile della provincia di Mantova, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dell'Arma dei carabinieri. All'esito di tale sopralluogo, sono stati riscontrati ingenti danni a numerose abitazioni e presso diverse aziende agricole, soprattutto alle colture, alle serre e ad impianti di produzione altamente tecnologici con gravi ripercussioni, quindi, sull'attività produttiva ed economica del territorio. In particolare, è stato constatato lo scoperchiamento di tetti e solai in legno con danneggiamento o parziale distruzione anche delle strutture portanti di circa 200 abitazioni, rispetto alle quali sono tuttora in corso le verifiche di agibilità. Sono stati, inoltre, verificati lo scoperchiamento di tetti in lamiera e pannelli di alcuni capannoni, la rottura di infissi, il rovesciamento di muri di cinta e l'abbattimento di alberi e di impianti di pubblica illuminazione. Dunque, con nota datata 11 luglio 2007, la regione Lombardia ha richiesto al suddetto Dipartimento di attivare le procedure per la deliberazione dello stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nel territorio del comune di Guidizzolo. Alla luce delle esigenze rappresentate dalla regione e dalle risultanze del citato sopralluogo tecnico, nel corso della seduta del 20 luglio 2007, il Consiglio di ministri ha prontamente deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza fino al 31 luglio 2008. Successivamente, il Dipartimento della protezione civile ha provveduto a predisporre uno schema di ordinanza recante «Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare i danni determinatisi in conseguenza delle eccezionali avversità atmosferiche che hanno colpito il territorio del comune di Guidizzolo in provincia di Mantova il giorno 9 luglio 2007» al fine di provvedere ai primi interventi urgenti e di assicurare la messa in sicurezza dei territori e delle strutture interessate dagli eventi calamitosi. Lo stesso provvedimento ha previsto una copertura finanziaria pari a 1 milione di euro da porre a carico del Fondo della protezione civile e per la quale il predetto Dipartimento ha richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze, con nota del 26 luglio 2007, la corrispondente integrazione del fondo stesso. Infine, si fa presente che lo schema di ordinanza sopra citato è stato trasmesso alla regione Lombardia per l'acquisizione dell'intesa di cui all'articolo 107, comma 1, lettera del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con una nota del 21 agosto 2007. Naturalmente, si proseguirà in tale attività di monitoraggio e il Governo ringrazia gli interpellanti, che hanno voluto riconoscere l'intervento immediato dell'Esecutivo che ha consentito di far fronte alle prime necessità.
. Il deputato Ruggeri ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il Governo soprattutto perché il mattino successivo al disastro, con un intervento qui in aula del sottoscritto e del collega Burchiellaro, abbiamo posto immediatamente la gravità della situazione e nel pomeriggio stesso è stato avviato l'intervento. Non sono del tutto soddisfatto della risposta perché sappiamo cosa è accaduto. Sappiamo bene che ci sono ancora famiglie fuori casa, aziende che non sono riuscite ancora a riprendere la loro attività e non soltanto per le colture (per la distruzione totale, ad esempio, degli ortaggi), ma anche per le attività locali, frutto di una vita di lavoro che, nel giro di poche ore, è andato distrutto. Vi sono persone che hanno chiesto mutui in banca e aziende che stanno aspettando ad effettuare i pagamenti per riparare i danni, non sapendo nemmeno come fare, perché non sono stati stabiliti le modalità e i tempi. Tuttavia, la mia riflessione e la mia amarezza riguardano soprattutto lo stanziamento, che ammonta a 1 milione di euro. Infatti, i primi preventivi di spesa, come lei ben sa, ammontavano a circa 70 milioni di euro. Quindi, c'è una differenza consistente. Capiamo i problemi del Governo e comprendiamo i problemi di spesa ma, per quanto riguarda lo Stato e il Governo, pur apprezzando l'immediato intervento, il fondo è del tutto inadeguato e, soprattutto, speravamo anche in qualche altro intervento, per esempio, di carattere fiscale. Vi è, infatti, il problema dei contributi che le aziende debbono pagare per i lavoratori. Questi ultimi non possono più lavorare perché l'azienda non c'è più. Ci saremmo aspettati una proroga, ad esempio, del pagamento delle anticipazioni per quanto riguarda la dichiarazione dei redditi. Tutto ciò soprattutto per le aziende, pure se anche le famiglie debbono farvi fronte. Abbiamo problemi anche con molte assicurazioni, che non riconoscono gli eventi causati dal fortunale, da questa tromba d'aria che, purtroppo, è stata molto ingente e ha causato danni molto consistenti. Vi è, inoltre, confusione anche nei pagamenti. Qualche famiglia sta pagando per i danni, ma verrà loro riconosciuto? Vi sono dei meccanismi che riguardano il pagamento, come per tutte le ristrutturazioni, ad esempio, delle nostre case, che avvengono con modalità precise, ossia tramite bonifici bancari. In questo caso non sappiamo nulla. Mi aspettavo, quindi, un po' più di chiarezza e, soprattutto, rilevo l'esiguità del fondo. Ma, al di là di tale fondo, ci aspettiamo anche altre misure: non stiamo parlando di poche famiglie, ma di mezza provincia dell'alto mantovano, che rappresenta un po' il cuore delle attività produttive e che è stato colpito duramente. Per quanto riguarda, invece, la sua indicazione, secondo la quale spetterebbe alla regione Lombardia emanare l'ordinanza con cui dovremmo sapere esattamente le modalità e i termini, almeno abbiamo fatto chiarezza e di ciò le riconosco il merito. Penso, però, che il Governo debba premere sulla regione Lombardia affinché emetta questa ordinanza, perché si è determinato uno stato di confusione e di complicazione poiché non si conosce esattamente quanti sono i fondi, i termini e le modalità per potere usufruire di un risarcimento. Se tutto ciò deve essere determinato dalla regione Lombardia, il punto di riferimento dolente per queste province e per i comuni, che anche lei ha indicato, è quella regione. Quindi, la ringrazio per la sollecitudine e, soprattutto, per la chiarezza. Tuttavia, rimane la questione e pertanto le ripasso ancora la «palla». Rispetto ad un primo preventivo di 70 milioni di euro, 1 milione di euro mi pare che sia ben poca cosa. Mi auguro che si realizzi un altro tipo di intervento e di attenzione, magari nella legge finanziaria, con un altro provvedimento di carattere fiscale e - mi auguro - anche creditizio per le aziende e le famiglie che sono stati i soggetti più colpiti, non dimenticando i nostri comuni, che stanno già anticipando le spese e che magari non potranno ottenere i rimborsi, perché non hanno rispettato le procedure che l'ordinanza dovrà indicare. Pertanto, la invito a fare in modo che il fondo sia rimpinguato e che si intervenga sul piano fiscale e creditizio per queste aree che si trovano veramente al collasso.
. Il deputato Violante ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00699, concernente il fenomeno degli incendi verificatisi nel territorio siciliano .
. Signor Presidente, signor sottosegretario, i deputati dell'Unione eletti in Sicilia hanno presentato questa interpellanza dopo gli incendi, ma prima che il Governo assumesse alcune determinazioni sulla materia. Ne abbiamo letto sui mezzi di informazione, ma siamo comunque interessati a conoscere i dettagli degli interventi del Governo. Qual è la ragione di questa interpellanza? Dal 1o gennaio 2007 al 2 settembre del 2007 ci sono stati 7.797 incendi in Italia che hanno interessato oltre 127 mila ettari. Se guardiamo il della crescita degli incendi, vediamo che esso diventa ogni anno sempre più preoccupante. In particolare quest'anno in Sicilia ci sono stati cinque morti, il numero più alto in tutta Italia, ed è questa la ragione che ci ha spinto a presentare questa interpellanza. Vogliamo richiamare l'attenzione del Governo su due questioni: la prima riguarda le vittime, la seconda le aziende. Si tratta di un tema che non è emerso nel dibattito in questa materia, ma è un tema drammatico, poiché alcune aziende sono state completamente distrutte (mi riferisco alla Sicilia, in particolare). Come è noto, quando ci sono episodi di tipo atmosferico o altro, si realizzano degli interventi, diretti o indiretti, che aiutano le aziende a riprendersi, anche perché si tratta di posti di lavoro, di produzione, eccetera. Non mi pare che in questo caso si sia fatto nulla. Ci sta a cuore sapere se il Governo ha già fatto qualcosa o se è nelle sue intenzioni provvedere. Un'altra questione che poniamo alla sua attenzione è quella relativa al Corpo forestale dello Stato, che ha il compito specifico di curare il patrimonio forestale del Paese. Se non erro, il Corpo forestale ha circa novemila dipendenti e ha una carenza di organico di circa mille unità. Ieri il Ministro dell'interno ha fatto riferimento al raggiunto obiettivo di un ripianamento degli organici, o un parziale ripianamento degli organici, delle forze di polizia. Non so se rientra in questo quadro anche il ripianamento degli organici del Corpo forestale dello Stato, ma mi permetto di segnalare all'attenzione del Governo l'opportunità che si proceda, magari progressivamente, in questo senso perché esso ha la titolarità delle funzioni dirette alla prevenzione. Ritengo che ci dovremmo attrezzare sin da ora per evitare che il prossimo anno il prosegua in modo ancora più drammatico. Sono queste le questioni che ci stanno a cuore: le vittime, le aziende, il Corpo forestale e le misure per la prevenzione per l'anno venturo.
. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli interpellanti perché danno modo anche al Governo di fare un punto riepilogativo di una situazione che, in effetti, è stata molto drammatica. Il fenomeno degli incendi boschivi nel corso della stagione estiva 2007, in effetti, ha colpito con un in crescita sotto molteplici aspetti, come diceva il presidente Violante, in particolare le regioni centro-meridionali della nostra penisola. Condizioni particolarmente critiche si sono registrate nei giorni del 25 e 26 giugno, quando le regioni Calabria e Sicilia sono state devastate da incendi violenti e persistenti a causa delle alte temperature, perduranti già da giorni, assieme a venti di libeccio di forte intensità. Successivamente, dal 15 luglio in poi, dopo un periodo di piovosità intensa al Nord e il manifestarsi di un'ondata di calore nelle regioni centro-meridionali, si è assistito ad un progressivo incremento del numero degli incendi. Il 20 luglio è stato lanciato dal Capo del Dipartimento della protezione civile, con l'emanazione degli indirizzi operativi inviati ai presidenti delle regioni e delle province autonome, ai prefetti della Repubblica e ai sindaci delle diciassette principali città italiane in cui è attivo il sistema di allarme delle ondate di calore, un ulteriore appello relativo all'attività di ricognizione, sorveglianza, avvistamento e allarme per fronteggiare le conseguenze dell'incremento delle temperature previste per l'ultima settimana di luglio. Nelle regioni centro-meridionali, nonché in Calabria, Sicilia e Sardegna, le strutture operative del servizio nazionale della Protezione civile, e non solo quelle preposte alla lotta attiva degli incendi boschivi, si sono impegnate a fondo soprattutto a salvaguardia della vita umana, rinunciando, in alcuni casi, alla tutela dei beni anche ambientali e forestali. Per quanto riguarda l'acuirsi degli incendi boschivi sviluppatisi sul territorio della regione siciliana nel corso del recente mese di agosto, si fa presente che, a partire dalla giornata del 20 agosto, un'ulteriore manifestazione di fenomeni particolarmente gravi ha interessato la parte tirrenica delle regioni centro-meridionali e la Sicilia settentrionale. Le richieste di concorso della flotta aerea statale, coordinata nel suo impiego dal Dipartimento della protezione civile, sono aumentate: dalle 17 richieste del 20 agosto alle 33 richieste del 21 agosto, fino alle 48 richieste del 22 agosto. Nel corso della giornata del 22 agosto, il Centro operativo aereo unificato della Protezione civile ha tentato più volte, invano, di trasferire due idrovolanti dall'aeroporto di Tortolì verso la Sicilia, ma a causa delle avverse condizioni meteo (nubi basse, piogge e scariche elettriche), i mezzi sono stati costretti a rientrare alla base di partenza. Pertanto, fin dalle prime ore del mattino del 22 agosto, la flotta aerea coordinata dal suddetto COAU (Centro operativo aereo unificato) della Protezione civile è stata utilizzata al massimo delle potenzialità, operando in particolar modo in Calabria, Campania e Sicilia. Nella regione Sicilia, dal centro operativo regionale, sono partite ben quattro richieste di concorso aereo, rispettivamente alle ore 5,12 per la zona di Cefalù, nella provincia di Palermo, alle ore 7,01 per la località di Montagnareale, alle ore 7,41 per la località San Marco D'Alunzio e, infine, alle ore 17,51 per la località di Naso, tutte e tre nella stessa provincia di Messina. Sin dalle prime ore della mattina del 22 agosto, sono stati impiegati ben cinque rispetto ai complessivi nove disponibili su tutto il territorio nazionale, che si sono alternati sui diversi focolai di incendio, muovendosi in base all'urgenza delle richieste e secondo il manifestarsi delle avverse condizioni climatiche che ne hanno condizionato l'operatività. Infine, si fa presente che al Dipartimento della protezione civile non risultano pervenute richieste da parte del COR (Centro operativo regionale) Sicilia per interventi di concorso aereo sul comune di Patti. In proposito, occorre rammentare che tali richieste rappresentano il presupposto necessario per l'avvio della procedura d'impiego della flotta aerea a disposizione del predetto. Nel contesto emergenziale derivante dai gravissimi incendi boschivi, il Governo ha adottato una serie di provvedimenti aventi carattere di urgenza, primo fra tutti la dichiarazione dello stato di emergenza nei territori delle regioni dell'Italia centro-meridionale del 27 luglio scorso, ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Successivamente, in data 28 agosto 2007, il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato l'ordinanza di protezione civile n. 3606 recante: «Disposizioni urgenti per fronteggiare lo stato di emergenza in atto nei territori delle regioni Lazio, Campania, Puglia, Calabria e della regione siciliana in relazione agli eventi calamitosi determinati dalla diffusione di incendi e dai fenomeni di combustione». Con tale provvedimento il capo del Dipartimento della protezione civile è stato nominato commissario delegato. Al commissario sono state attribuite le competenze relative all'adozione di tutte le iniziative necessarie al superamento dell'emergenza stessa, avvalendosi di soggetti attuatori nominati tra i presidenti delle regioni e delle province interessate e i prefetti, previa emanazione di un apposito provvedimento contenente l'individuazione dei territori provinciali maggiormente colpiti. Spetta, dunque, al commissario delegato provvedere alla puntuale ricognizione e quantificazione dei danni subiti dalle infrastrutture, dai beni pubblici e privati e dal patrimonio agroforestale; promuovere presso gli enti competenti le opportune iniziative volte al ripristino, in condizioni di sicurezza, delle infrastrutture pubbliche danneggiate dagli incendi, nonché predisporre la pianificazione degli interventi di prevenzione e mitigazione del rischio incendi con la partecipazione delle regioni interessate. Va rilevato che il provvedimento emergenziale è stato concepito e predisposto al fine di attuare le disposizioni normative in materia tuttora vigenti, seppure obsolete. In proposito, il Dipartimento della protezione civile, in occasione di alcune audizioni tenute in sede parlamentare sull'emergenza relativa agli incendi boschivi, ha evidenziato la necessità e l'urgenza di modificare quanto prima la normativa. Alla luce di tutto ciò, l'ordinanza ha disposto che il commissario delegato, per il tramite dei soggetti attuatori, ponga in essere ogni azione propulsiva affinché i sindaci dei comuni interessati assicurino il rispetto delle norme finalizzate alla riduzione del rischio di incendio e i soggetti attuatori stessi, entro un dato termine, trasmettano al commissario delegato l'elenco dei comuni inadempienti rispetto al disposto dell'articolo 10, comma 2, della legge n. 353 del 2000 (che è la legge quadro in materia di incendi boschivi), agendo, in caso di inerzia, previa diffida, in via sostitutiva. Alla luce del convincimento che la pianificazione sia lo strumento fondamentale in grado di prevedere e prevenire il rischio del verificarsi delle diverse tipologie di eventi calamitosi e mitigarne le possibili conseguenze, l'ordinanza ha previsto, per quanto riguarda i parchi nazionali, regionali e le aree naturali protette regionali, la predisposizione da parte dei soggetti attuatori di appositi piani. Nei predetti piani saranno individuate le infrastrutture per l'avvistamento degli incendi e l'approvvigionamento idrico antincendio, con un rapido accesso dei mezzi di soccorso alle aree percorse dal fuoco. Saranno altresì curate la perimetrazione e la classificazione delle aree esposte ai rischi, nonché l'organizzazione dei modelli di intervento, affidata alle prefetture con il coordinamento regionale e, infine, saranno predisposti, da parte dei sindaci, i piani comunali di emergenza per garantire la salvaguardia e l'assistenza alla popolazione. Qualora ricorrano situazioni di inadempienza da parte dei predetti comuni, le prefetture territorialmente interessate provvederanno in loro sostituzione. A ciò si aggiunga che il medesimo provvedimento, partendo dal presupposto, ampiamente dimostrato, che una delle principali cause del dissesto idrogeologico è da ricercarsi nella non regolata attività edilizia che ha caratterizzato gli ultimi decenni e nella consapevolezza che il fenomeno degli incendi boschivi contribuisce ad aggravare tali fenomeni di rischio, ha assegnato direttamente al commissario delegato l'azione di impulso affinché tutti i comuni esposti al rischio idrogeologico ed idraulico elevato e molto elevato, ai sensi della legge n. 267 del 1998, recante misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico nelle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania, predispongano i relativi piani di emergenza. A seguito dell'emanazione dell'ordinanza n. 3606 ed in attuazione delle sue disposizioni, il commissario delegato ha predisposto due decreti commissariali. Il primo è relativo all'individuazione dei contesti provinciali interessati dal fenomeno degli incendi boschivi, alla nomina dei soggetti attuatori e alla previsione dei compiti ad essi connessi. Il secondo contiene gli indirizzi e le modalità per l'attuazione degli interventi relativi all'istituzione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, della legge n. 353 del 2000, da parte dei comuni interessati dagli incendi, del catasto delle aree percorse dal fuoco. Ai prefetti e ai presidenti delle regione interessate è attribuito il compito di segnalare al predetto commissario l'elenco dei comuni inadempienti, ivi compresa la possibilità di sostituirsi ad essi in caso di inerzia. In merito, poi, alle risorse destinate a finanziare tutti gli interventi e le iniziative connessi all'emergenza incendi, la citata ordinanza n. 3606 ha previsto lo stanziamento di 5 milioni di euro, a titolo di anticipazione, da porre a carico del Fondo della protezione civile, come integrato dal Ministero dell'economia e delle finanze e, eventualmente, anche dalle amministrazioni regionali e dagli enti locali interessati. È stata prevista, inoltre, una serie di contributi a sostegno della popolazione, da erogare in favore dei residenti nelle abitazioni danneggiate e dei titolari di tutte le attività presenti nei territori che hanno subito danni. A seguito della gravità della situazione verificatasi, l'Italia intende attingere al Fondo di solidarietà dell'Unione europea, che costituisce uno strumento finanziario supplementare, distinto dagli altri strumenti strutturali, creato, su proposta della Commissione europea, per fronteggiare le alluvioni che hanno devastato i Paesi dell'Europa centrale nell'agosto del 2002. La torrida estate del 2003, che ha avuto conseguenze particolarmente drammatiche nelle regioni mediterranee colpite da siccità e incendi, ha confermato l'importanza di un'efficace organizzazione della solidarietà europea in caso di calamità. L'obiettivo di tale strumento è di erogare un sostegno finanziario agli Stati membri ed ai Paesi candidati all'adesione, colpiti da gravi calamità naturali, con serie ripercussioni sulle condizioni di vita, sull'ambiente naturale o sull'economia di una o più regioni. Gli interventi urgenti previsti dal Fondo, destinati a far fronte ai danni non assicurabili, sono individuati sulla base dei parametri relativi al ripristino immediato delle infrastrutture e delle attrezzature nei settori dell'elettricità, delle condutture idriche e fognarie, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell'istruzione. Essi sono, inoltre, destinati alla realizzazione di misure provvisorie di alloggio e organizzazione dei servizi di soccorso per soddisfare le necessità immediate della popolazione, alla messa in sicurezza immediata delle infrastrutture, all'approntamento di misure di protezione del patrimonio culturale ed alla ripulitura immediata delle zone danneggiate, comprese quelle naturali. Al fine di attivare il Fondo di solidarietà, il Dipartimento della protezione civile, considerando che la serie di incendi verificatisi ha devastato ampi territori di tredici regioni italiane, con gravi ripercussioni sull'ambiente e sull'economia dell'intero Paese, ha inviato due note (il 27 luglio e il 27 agosto 2007) a tutte le regioni interessate, invitandole a fornire con urgenza le informazioni necessarie a determinare l'inoltro della richiesta di accesso al Fondo. Si rammenta, infine, che in Italia situazioni analoghe si sono verificate in occasione del terremoto in Molise e dell'eruzione dell'Etna, fenomeni per i quali è stato ottenuto un finanziamento, rispettivamente, di 30.826 e di 16.798 milioni di euro. In questo quadro, naturalmente, anche gli ulteriori problemi, posti con riferimento all'attenzione da rivolgere alle vittime e alle attività produttive che hanno subito danni, saranno complessivamente valutati al fine di predisporre una risposta adeguata.
. Il deputato Piscitello, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non possiamo che prendere atto positivamente di molte delle questioni affrontate dal Governo (per la stragrande maggioranza, peraltro, successive alla presentazione dell'interpellanza in esame). È evidente che l'approccio alla questione degli incendi - soprattutto di quelli che scoppiano in condizioni assolutamente prevedibili e conosciute (non si tratta, infatti, di incidenti imprevedibili) - deve essere ordinario e non può essere di emergenza: risolta l'emergenza, pertanto, occorre necessariamente un approccio ordinario e di prevenzione. Non si tratta un fenomeno imprevedibile, così come non sono imprevedibili le condizioni meteorologiche in cui il fenomeno si verifica e non sono sconosciute né le categorie interessate (lo dico tra virgolette) al verificarsi di questi fenomeni, né le loro motivazioni. Mi permetto di sottolineare due questioni, che emergono con evidenza con riferimento alla risposta del sottosegretario. A fronte di tutte le questioni poste, ci troviamo soprattutto davanti a una forte carenza di organico di tutte le strutture interessate a questa vicenda, dal Corpo forestale dello Stato, che è sotto organico di mille persone, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, come è noto, è sotto organico di quasi settemila persone (un numero elevatissimo), alla Protezione civile. Abbiamo bisogno che, ordinariamente, queste strutture vengano gradualmente reintegrate e che - mi permetterei di dire - siano le meno soggette ai vincoli posti dalla manovra finanziaria alla copertura dei posti in organico. Questa era la prima questione, anche considerato - lo aggiungo - che l'Italia è il Paese dove l'organico dei vigili del fuoco, rispetto alla media europea, è quello più basso in rapporto alla popolazione. Nell'organico vi è un vigile del fuoco ogni cinquemila abitanti, mentre in Europa, sostanzialmente, ve n'è uno ogni mille o duemila abitanti. Vi è quindi un sotto-organico in presenza di una media che è già molto bassa. Vi è poi anche il nodo dei mezzi, che sono assolutamente da aggiornare, sia per il Corpo forestale sia per i vigili del fuoco. Credo che questi siano i problemi che nell'ordinario dobbiamo porci. La seconda questione che desidero porre è la seguente. Abbiamo ascoltato con molto interesse la questione dell'istituzione del Fondo per il risarcimento dei danni alle aziende che, secondo noi, deve coprire i danni complessivi e non solo quelli alle infrastrutture necessarie al ripristino in sicurezza. L'altra questione che ci pare rilevante è quella delle vite umane perse negli incendi. Riteniamo che i meccanismi risarcitori vadano valutati con grande attenzione. È evidente che i risarcimenti in questo caso non riescono ad essere definiti, però riteniamo che lo Stato debba necessariamente immaginare i meccanismi risarcitori. Concludo dicendo semplicemente che prendo atto positivamente del fatto che le risposte non sono solo di ordine emergenziale, ma anche di ordine strutturale ed è evidente che bisogna proseguire su questa strada, affrontando tutti i meccanismi, a partire da quelli fondamentali degli organici.
. Il deputato Compagnon ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00656, concernente opere infrastrutturali da realizzare nella regione Friuli-Venezia Giulia .
. Signor Presidente, innanzitutto faccio una premessa. Apparentemente, la mia interpellanza può sembrare circoscritta al Friuli Venezia Giulia, dove sussistono le motivazioni per le quali l'ho presentata, ma in effetti si tratta di atto di sindacato ispettivo che tocca un problema che interessa tutto il Paese. Quando parliamo di infrastrutture, infatti, ci riferiamo alla loro necessità per lo sviluppo di una zona. Fino a pochi anni fa il Friuli Venezia Giulia rappresentava una zona di confine oltre la quale vi erano Paesi con sistemi diversi e il passaggio attraverso questa regione era quasi inesistente. Tutti i flussi commerciali ed altri flussi si fermavano nel Friuli Venezia Giulia e, quindi, per molti anni il problema delle infrastrutture è stato legato ad una visione ridotta rispetto a quella europea che oggi è necessaria. Dopo l'ingresso in Europa di quasi tutti i Paesi dell'Est che confinano con il Friuli Venezia Giulia, la questione delle infrastrutture è evidentemente diventata di importanza vitale, non solo per il Friuli Venezia Giulia e per il Nord est, ma per tutto il Paese. Il Friuli rappresenta, infatti, una porta per l'Italia in entrata e in uscita, con tutto ciò che ne consegue rispetto ai traffici commerciali e all'industria del turismo, che per noi è un aspetto economico fondamentale. Viviamo quotidianamente le difficoltà, che si toccano con mano ormai anche al di fuori delle autostrade e della grande viabilità, degli intasamenti, perché in quell'imbuto - chiamiamolo così - vi è un flusso continuo in entrata e in uscita proveniente dalla Germania, dall'Austria e dai Paesi dell'Est. Inoltre, il traffico di mezzi pesanti è diventato insostenibile, da tutti i punti di vista, perché non vi sono le infrastrutture adeguate a supportare e sopportare un movimento di tale consistenza. La situazione, pertanto, ci preoccupa, come evidenziato nell'interpellanza in esame, a fronte di una realtà, presa in considerazione anche dal passato Governo - e mi auguro anche dall'attuale - per la quale erano previste una serie di iniziative al fine di migliorare il sistema della viabilità, a cominciare dalla terza corsia sull'autostrada Venezia-Trieste e considerata l'importanza del Corridoio n. 5, per quanto attiene l'alta velocità/alta capacità (si deve tenere presente che, per anni e tuttora, vi è, nel cosiddetto passante di Mestre, un blocco che crea quotidianamente disagi per tutti i traffici). In tale contesto (che suscita una chiara preoccupazione), dopo aver ascoltato le dichiarazioni del Ministro e seguito le varie iniziative messe in atto sul territorio dai rappresentanti del Governo, abbiamo preso atto che è stato operato un taglio quasi totale di tutte le opere previste, mentre si registra un'effettiva disponibilità rispetto al Corridoio n. 5 e alla terza corsia. Vorremmo capire, pertanto, come mai si vuole operare tale taglio e, soprattutto, laddove si manifesta, come mai tale disponibilità rispetto al Corridoio n. 5 e alla terza corsia non abbia avuto seguito. Con l'esempio che ho portato, relativo al passante di Mestre, ho voluto non tanto ribadire una situazione che ormai tutti conoscono, cioè le difficoltà che crea al traffico, ma sottolineare il fatto che, finalmente, dopo tanti anni, la politica è riuscita a prevalere sulle questioni locali e si sono avviati i lavori del passante di Mestre: è stato progettato e sono iniziati i lavori, ma per snellire tutta l'operazione è stato ritenuto opportuno nominare un commissario. Attualmente, essendo fondamentale per noi - ma non solo per noi, anche per il Paese - la terza corsia, non capiamo perché la proposta di nominare anche un commissario per la sua realizzazione sia ritenuta da parte del Governo e dal Ministro in particolare (lo abbiamo ascoltato dalle nostre parti) come non necessaria. Infine, vorremmo capire se il piano finanziario che sta per essere messo in atto per affrontare questa problematica riuscirà a trovare, da parte del Ministro (rispetto alla sinergia fra regione, ANAS e concessionaria) quella spinta necessaria che, in tempi brevi, dovrebbe fornire una risposta. Vorrei, infine, affrontare un'ultima questione (non l'ho inserita nella presente interpellanza urgente, perché ho avuto modo di verificarla successivamente; quindi, non so se il rappresentante del Governo sarà in grado di rispondermi): vorrei capire se vi sono le condizioni per sanare l'incomprensione fra Ferrovie dello Stato e concessionario, per quanto riguarda la progettazione della terza corsia e del Corridoio n. 5, relativamente al tratto che dovrebbe vederli affiancati. Infatti, vi è un tratto, che parte circa dal confine sul Tagliamento, fra Friuli Venezia Giulia e Veneto, verso l'est, dove il rapporto fra i succitati enti è teso: come leggo dai giornali e registro dalle riunioni e dai convegni che vengono svolti, hanno difficoltà a raccordarsi fra loro, e si sa benissimo che, se non appianano tali contrasti, vi è il rischio che si arresti sia l'una sia l'altra iniziativa. Questo è il motivo per cui la preoccupazione è forte e, dopo la risposta del rappresentante del Governo, mi riservo eventualmente di replicare. Non vorremmo che, anche rispetto a necessità evidenti come queste, si verificasse il percorso lento e macchinoso che ha caratterizzato il passante di Mestre (a distanza di 25 anni da quando è stato deciso di trovare una soluzione al riguardo, sono appena avviati i lavori).
. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, i quesiti posti dall'onorevole interpellante, in merito ai criteri utilizzati per la selezione delle opere prioritarie, come evidenziato nell'allegato Infrastrutture al nuovo Documento di programmazione economico-finanziaria, che per comodità chiedo alla Presidenza di essere autorizzato a depositare in allegato alla presente risposta...
. Mi dispiace sottosegretario, ma la Presidenza non lo consente.
, . Va bene, signor Presidente. La generale rivisitazione del programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, la cosiddetta legge obiettivo, messa a punto all'atto del proprio insediamento dal Governo, ha evidenziato una duplice esigenza. Dapprima si è ritenuto opportuno individuare le nuove priorità di sviluppo infrastrutturale del Paese, partendo dall'obiettivo di portare a termine le opere in corso prima di assumere ulteriori impegni finanziari per nuovi progetti. Secondariamente si è proceduto a costruire sulla base delle risorse verosimilmente disponibili nel prossimo quinquennio un quadro finanziario per la copertura delle opere prioritarie. Il quadro delle priorità infrastrutturali del Paese è stato disegnato di concerto con le amministrazioni regionali attraverso la definizione dei più importanti atti di programmazione pluriennale in materia di infrastrutture: contratti di programma RFI e ANAS 2007-2011, programmi operativi nazionali finanziati con le risorse comunitarie e del Fondo per le aree sottoutilizzate nell'ambito del Quadro strategico nazionale e delle infrastrutture prioritarie. I rilevanti fabbisogni accertati con la ricognizione di novembre 2006 per opere già approvate dal CIPE ed i notevoli ritardi attuativi emersi in sede di monitoraggio di tali opere hanno peraltro reso necessario procedere con estrema cautela nella selezione delle opere prioritarie meritevoli di finanziamento. Il Governo ha, quindi, proceduto ad evidenziare per ciascun progetto lo stato di avanzamento, i fabbisogni economico-finanziari nonché le eventuali formule di cofinanziamento esistenti o attivabili su base locale e comunitaria. Sulla base di tali dati e delle priorità infrastrutturali determinate nell'ambito dei predetti atti di programmazione pluriennale è stato definito un quadro articolato che distingue gli interventi in base allo stato di avanzamento e alla loro rilevanza strategica e individua le opere prioritarie alle quali assegnare contributi della legge obiettivo nel periodo 2008-2012. Per quanto concerne, poi, le opere cui è fatto riferimento nell'atto ispettivo (ovvero l'ampliamento a tre corsie del tratto Quarto d'Altino-Villesse, il raccordo autostradale Villesse-Gorizia, il collegamento autostradale A27-A23, il completamento del Corridoio n. 5, la messa in sicurezza della strada statale 354, la grande viabilità triestina, l'alta velocità Venezia-Trieste e la piattaforma logistica del porto di Trieste), si fa presente che le stesse risultano confermate quali priorità infrastrutturali che interessano il territorio della regione Friuli Venezia Giulia nell'ambito del documento «Infrastrutture prioritarie» contenuto nel richiamato allegato Infrastrutture 2008-2012 al nuovo Documento di programmazione economico-finanziaria. Il predetto documento individua, inoltre, quali infrastrutture prioritarie nella stessa regione, ulteriori opere inserite negli strumenti di programmazione ordinaria come il Piano della viabilità 2007-2011 e il Contratto di programma con RFI 2007-2011. Tali opere in particolare sono: la riqualificazione del tracciato della strada statale 56, dal raccordo autostradale Villesse-Gorizia (SS 305) in provincia di Gorizia fino al confine della provincia di Udine (Villanova dello Judrio); la SS 13 Pontebbana (interventi di ripristino della sede stradale e variante in galleria); la SS 552 del Passo Rest (interventi di completamento delle opere di sistemazione e miglioramento della sede stradale); la SS 52 Carnica (adeguamento - variante di Socchieve), la SS 52 bis Carnica (lavori di rettifica plano altimetrica); il potenziamento infrastrutturale-tecnologico VEUD-Tarvisio; il potenziamento infrastrutturale Trieste/Cervignano-Udine e Scalo Cervignano (lavori di completamento in stazione di Palmanova). Con riferimento, quindi, alla richiesta nomina di un commissario per la realizzazione della terza corsia della A4 si ritiene che l'attenzione al momento deve essere piuttosto rivolta alla progettazione nonché al raccordo con l'alta velocità ferroviaria e all'individuazione delle fonti di finanziamento, temi questi da affrontare nelle sedi istituzionali. Il commissario potrebbe semmai intervenire in una fase successiva, ad esempio in quella dell'esproprio delle aree. Per quanto specificatamente attiene la realizzazione di opere di completamento del Corridoio n. 5 nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia, a seguito dell'approvazione del nuovo Documento di programmazione economico-finanziaria e del già citato relativo allegato Infrastrutture da parte del CIPE e del Consiglio dei Ministri in data 28 giugno 2007, come esposto dal Presidente del Consiglio nella lettera datata 10 luglio 2007 ed indirizzata alla Commissione europea, è stato confermato l'impegno del Governo italiano per la realizzazione di una rete di collegamenti transfrontalieri che consenta all'Italia di connettersi con gli altri Stati membri dell'Unione attraverso linee ferroviarie ad alta velocità e che costituisce una priorità strategica irrinunciabile. In attuazione degli impegni assunti, il Governo ha pertanto predisposto e presentato le richieste per concorrere all'assegnazione dei fondi TEN-T nel periodo 2007-2013, entro il previsto termine di scadenza dello scorso 20 luglio. In tale ambito, per quanto concerne in particolare il Progetto prioritario 6 (cioè il Corridoio n. 5) per gli interventi che interessano la regione Friuli Venezia Giulia la richiesta riguarda la concessione di finanziamenti comunitari pari a 22 milioni di euro per il collegamento italo-sloveno Trieste-Divaca e di 24 milioni di euro per la strada Ronchi Sud - Trieste.
, . Si riferisce infine che il 2 agosto ultimo scorso ANAS Spa ed Autovie Venete hanno sottoscritto lo schema di convenzione unica che riguarda la realizzazione della terza corsia della A4 Venezia-Trieste per l'intera tratta da San Donà di Piave a Villesse, senza contributo pubblico. Tale schema di convenzione unica, redatta ai sensi del comma 82 e seguenti del decreto-legge n. 262 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006 n. 286, sarà sottoposto entro il corrente mese all'approvazione dei rispettivi consigli di amministrazione di ANAS e di Autovie, che lo sottoporrà anche all'assemblea degli azionisti. Per quanto afferisce il quesito relativo alla raccordo autostradale Villesse-Gorizia, si rappresenta che, per il progetto definitivo dell'opera, è in corso, da parte della società, la validazione tecnica prevista dalla normativa in vigore. Anche per detto raccordo non è previsto alcun contributo pubblico. Infine, per quanto concerne altre opere infrastrutturali, l'ANAS ha in corso attività di progettazione relative al completamento del Corridoio n. 5, inserite nel primo programma della legge obiettivo e nell'elenco opere 2007-2011, previsti in un apposito documento che eventualmente metterò a disposizione dell'onorevole interpellante.
. Il deputato Compagnon ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il rappresentante del Governo, perché devo dargli atto che è stato molto chiaro e, finalmente, abbiamo un quadro preciso della volontà del Governo, al di là di quello che si legge di tanto in tanto a seconda degli incontri che vengono realizzati. Mi dichiaro soddisfatto anche perché la risposta è stata articolata, considerato che vengono, almeno così in linea di intenzione, confermati tutti gli impegni assunti rispetto alla legge obiettivo che prevedeva e prevede il completamento di una serie di iniziative infrastrutturali su tutto il territorio. Rimango leggermente perplesso per la posizione assunta dal Governo rispetto al commissario per la realizzazione della terza corsia. È chiaro che in questo momento il Governo non intende nominare un commissario. Pertanto, l'iter sarà normale e temo che i contenziosi o meglio le incomprensioni cui accennavo prima rispetto a RFI, ad ANAS ed ai concessionari creeranno qualche intoppo. Però quanto meno tale questione è chiara. Quanto all'istituzione di un commissario per gli espropri, credo che tale iniziativa forse sarà tardiva rispetto alla tempistica, a fronte dell'effettiva esigenza di una terza corsia in quella zona. Infine, sul Corridoio n. 5, la richiesta di 22 milioni di euro per quanto riguarda la sua realizzazione mi pare un buon passaggio: vi è da sperare che seguano delle risposte. Vi è un'altra preoccupazione, però, in termini di opportunità. Alla fine del suo intervento, il rappresentante del Governo ha accennato - se non ho capito male - alla valutazione di impatto ambientale. Ricordiamo nel nord-est una vicenda che ha riguardato la A28: mi riferisco all'opera più contestata rispetto alla valutazione di impatto ambientale. Dopo anni di contenzioso, di corsi e ricorsi, nonché di valutazioni di un tipo o di un altro, proprio in questi giorni si è finalmente proceduto alla posa della prima pietra. È un collegamento necessario per le stesse motivazioni che dicevo prima: perché la nostra regione a questo punto, una volta aperta all'Europa, non è in grado di sostenere il traffico commerciale e quant'altro per mancanza di infrastrutture. Non vorrei che la nomina ai fini della valutazione dell'impatto ambientale fosse sottoposta allo stesso iter adottato rispetto alla A28 e ad altre iniziative. A tale riguardo, mi rivolgo al Governo per la chiarezza con la quale si è espresso. Come vede, signor sottosegretario, indipendentemente dalle nostre posizioni politiche, siamo abituati a confrontarci sui temi soprattutto nell'interesse del Paese; quindi, se il Governo, che ovviamente non condivido e non appoggio, compie azioni per il bene al Paese, ben vengano ed il Governo fa bene a compierle! Fa bene il Governo a vigilare e a monitorare tutte le suddette iniziative, affinché non prendano la piega del populismo e delle rivolte, come riscontrato ultimamente, finalizzate solo a scopi politici e quindi a frenare la realizzazione di opere che invece sono necessarie. Sostanzialmente ritengo che la sua sia una risposta positiva, ma mi riservo evidentemente di presentare altre richieste nel caso in cui i fatti non dovessero svolgersi nell'ordine che è stato esposto.
. Il deputato Camillo Piazza ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00657, concerne le iniziative normative in merito al fenomeno del bracconaggio .
. Signor Presidente, do per letta e acquisita l'interpellanza urgente presentata da me e dall'onorevole Bonelli. Credo sia opportuno evidenziare due aspetti. L'interpellanza in esame prende in considerazione la questione del bracconaggio. In Italia, soprattutto in questo periodo, durante l'estate, sono stati compiuti molti incendi, che hanno devastato e massacrato per molti aspetti alcune specie anche protette. D'altra parte nella stessa interpellanza si chiede se il Governo intenda definire in modo più preciso e puntuale la normativa collegata al rapporto tra il mondo delle guardie venatorie ambientaliste e le province. Nello specifico con l'interpellanza in esame si chiede di fare luce sull'episodio accaduto in provincia di Brescia; al riguardo, si ha il sentore e la percezione che l'attività che stanno svolgendo in maniera molto egregia - così riteniamo - le guardie ecologiche venga in qualche modo non premiata dalla provincia in quanto tale. Gli interpellanti Violante e Piscitello prima facevano riferimento al problema del sotto organico di alcune forze dell'ordine; ad esempio, nel Corpo forestale mancherebbero mille unità. A mio avviso sarebbe importante e in qualche modo utile, visto il valore e il lavoro di queste guardie ecologiche, dare maggiore risalto alla loro azione di volontariato. Per questo, da una parte chiediamo che si prosegua, come si è fatto anche in questo periodo, nella lotta contro il bracconaggio in Italia - fenomeno che, soprattutto al nord, determina gravissimi rischi per alcune specie migratorie, anche protette; dall'altra, riteniamo sia opportuno e giusto che gli enti pubblici locali possano in qualche modo applicare una normativa, che definisca in maniera più puntuale il rapporto tra le guardie ecologiche volontarie e gli enti pubblici di riferimento. Ritengo, infatti, che il lavoro che le centinaia di migliaia di guardie ecologiche stanno svolgendo in tutta Italia dia veramente un valore aggiunto all'azione delle forze dell'ordine e, ovviamente, alla difesa del territorio e dell'ambiente.
. Il sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali, Giovanni Mongiello, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, signori deputati, con riferimento alla specifica tematica oggetto dell'interpellanza presentata dai deputati Piazza e Bonelli, concernente lo sviluppo dell'attività di vigilanza venatoria, si rappresenta che la vigilanza sull'applicazione della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio, è affidata, ai sensi dell'articolo 27 della stessa legge, anche «alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico venatorio nazionale ed a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente», alle quali sia riconosciuta la qualifica di «guardia giurata» ai sensi del testo unico di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 173. I successivi articoli 28 e 29 individuano i poteri ed i compiti delle diverse categorie di addetti alla vigilanza. Per effetto dell'articolo 163 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, le funzioni relative al riconoscimento della qualifica di guardia giurata alle guardie volontarie delle associazioni venatorie e protezionistiche nazionali riconosciute, di cui all'articolo 27 della legge n. 157, sono state trasferite alle province, cui è rimesso, altresì, il coordinamento delle attività. Il comma 7 dell'articolo 27, infatti, recita testualmente: «Le province coordinano l'attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie e ambientaliste». L'interpellanza, in particolare, pone l'attenzione sul regolamento per il coordinamento dell'attività di vigilanza volontaria ittico-venatoria e faunistica, adottata dalla provincia di Brescia il 29 maggio 2007. Al riguardo, la prefettura di Brescia, interessata dal Ministero dell'interno, ha fatto sapere che la provincia di Brescia, nell'evidenziare che il predetto documento è stato approvato dalla quasi totalità dei partecipanti al voto sulla scorta di un motivato parere dell'avvocatura provinciale, ha rappresentato che «le associazioni più inclini a lamentare l'esclusione dall'attività di vigilanza sono state incluse nel Comitato di coordinamento e, di fatto, concorrono alla programmazione dell'attività stessa, anche con compiti di indirizzo. Inoltre, non si evincono elementi per sostenere che sia compromessa in alcun modo l'autonomia delle parti, invocata dalle associazioni. Infatti, l'articolo 5 del regolamento, al comma 4, prevede che il coordinatore operativo assegni alle diverse zone le guardie volontarie rispettando quanto più possibile le disponibilità individuali avanzate, aggiungendo, al comma 8, che "eventuali uscite straordinarie di guardie volontarie, legate a comprovati motivi di urgenza, dovranno essere preventivamente concordate dalle associazioni di riferimento con il coordinatore operativo, anche in via telefonica". A ciò si aggiunga che la previsione di orari e di un monte-ore di "servizio" da assicurare nell'arco dell'anno è finalizzata alla migliore efficacia e capillarità dell'attività di vigilanza, in una provincia molto vasta come quella bresciana. Inoltre, la supposta impostazione gerarchica stabilita nel regolamento provinciale, richiamata nell'interpellanza e discendente dalla funzione di "supporto" della vigilanza volontaria rispetto a quella istituzionale, non trova fondamento alcuno, in quanto è la stessa legge n. 157 del 1992 a prevedere il coordinamento della vigilanza volontaria da parte delle province. Per ciò che riguarda la discrezionalità del comandante in ordine all'acquisizione e verifica della regolarità dei verbali, si sottolinea che il cennato passaggio è finalizzato unicamente alla verifica della corretta applicazione della normativa, escludendosi in ogni caso la possibilità di entrare nel merito del verbale. Le ulteriori attività "pretese" dalla provincia da parte delle guardie giurate non sono obbligatorie, contrariamente a quanto asserito nell'atto, ma, secondo l'articolo 7 comma 2 del regolamento, potranno essere richieste previo accordo con le associazioni di appartenenza». Fin qui, le osservazioni fornite dalla provincia di Brescia. Sull'argomento, la procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Brescia, con nota pervenuta il 20 agosto del 2005, ha dichiarato che «dal disposto dell'articolo 28 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (che richiama l'articolo 27 della stessa legge, che al comma 2 menziona espressamente le guardie volontarie venatorie) si evince espressamente che le guardie volontarie delle associazioni rivestono, nell'ambito dei compiti di vigilanza venatoria, la qualifica di pubblico ufficiale. Tenuto conto peraltro che la medesima norma pone in capo alle guardie predette anche poteri ispettivi e potere di controllo della fauna abbattuta o catturata, nonché poteri di accertamento, deve riconoscersi che alle stesse debba attribuirsi anche la qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria, in armonia con il disposto degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, che inquadrano i poteri di accertamento e di intervento per impedire le conseguenze del reato come elementi caratterizzanti la veste di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria». Questa conclusione trova conferma nell'articolo 13 della legge 24 novembre 1981 n. 689. Anche la suprema Corte, con orientamento consolidato, riconosce che «le guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente riconosciute dal Ministero dell'ambiente hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria perché la legge n. 157 del 1992 espressamente attribuisce ad esse un compito di vigilanza venatoria sull'applicazione della presente legge compreso l'articolo 30 relativo alle sanzioni penali (articolo 27, lettera D)» (Cassazione penale, sentenza n. 6454 del 21 febbraio 2006). In merito alle sanzioni volte a contenere il fenomeno del bracconaggio, non si può che confermare quanto detto in occasione della risposta ad una precedente interrogazione (4-03080) citata dall'onorevole interpellante. Non sembra infatti che nella vigente normativa vi sia la necessità di introdurre modifiche od inasprimenti di sanzioni, considerato altresì che né le categorie interessate né le regioni hanno evidenziato sinora problematiche in tal senso da sottoporre al Comitato tecnico faunistico venatorio nazionale. Le stesse, d'altra parte, appaiono adeguatamente disciplinate dall'articolo 30 (sanzioni penali) e dall'articolo 31 (sanzioni amministrative) della legge n. 157 del 1992. Per quanto riguarda il potenziamento del Corpo forestale, che è manchevole di circa mille unità, l'amministrazione delle Risorse agricole sta predisponendo atti concorsuali per completare il dell'organico. Naturalmente, in tal senso il Governo è aperto a valutare ogni richiesta proveniente dalle forze politiche e sociali.
. Il deputato Camillo Piazza ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, è del tutto evidente che la mera presa d'atto della comunicazione pervenuta dalla provincia di Brescia non mi può vedere completamente soddisfatto. Non a caso il problema esiste, non a caso la procura di Brescia sta intervenendo ed è intervenuta su questo argomento. L'interpellanza che abbiamo presentato solleva dunque un problema sul quale è necessario in qualche modo intervenire: quello del rapporto fra i pubblici ufficiali delle guardie volontarie, le associazioni ambientaliste e le province. È a nostro avviso necessario che il Governo trovi una soluzione alla questione del coordinamento fra tali funzioni e a quella del ruolo, che le guardie volontarie possono svolgere nella difesa del territorio dal bracconaggio. Ritengo dunque che non sia sufficiente leggere e comunicare una relazione presentata dalla provincia di Brescia: occorre invece entrare nel merito, esaminare realmente - come ha affermato la procura di Brescia - il problema della distinzione dei ruoli fra le funzioni svolte dalle province e quelle svolte dai pubblici ufficiali delle guardie ecologiche, per giungere alla loro necessaria integrazione e al loro coordinamento. Chiedo dunque (e spero) che il Governo possa mettere in atto un ulteriore sforzo rispetto alla comunicazione della provincia di Brescia, per verificare se realmente - anche in base alle indicazioni della procura di Brescia - si possano trovare forme di coordinamento maggiormente attive, incisive e determinanti, così che le azioni che vengono svolte sul territorio da parte delle guardie volontarie possano davvero essere inserite in un contesto complessivo finalizzato alla salvaguardia dell'ambiente e della fauna. Chiedo dunque al Governo di compiere questo sforzo in più - non soltanto rispetto alla provincia di Brescia, ma anche alle altre province - per fare in modo che, fra le migliaia di guardie ecologiche o volontarie e le province venga attuato un coordinamento, che possa veramente essere utile alla difesa del nostro ambiente.
. Il deputato Tranfaglia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00686, concernente deliberazione del consiglio comunale di Verona relativa alla nomina di membri del consiglio direttivo dell'Istituto veronese per la storia della Resistenza .
. Signor Presidente, deputati di diverse forze politiche che appartengono tutte alla maggioranza - che rappresento - alla fine dello scorso luglio hanno presentato al Governo una interpellanza (allora non vi fu il tempo di svolgerla) rispetto ad una vicenda, che in quei giorni ha occupato le prime pagine dei giornali. Tale vicenda nasce dalla nomina, da parte del consiglio comunale di Verona, di due consiglieri (appartenenti l'uno al Movimento Sociale-Fiamma Tricolore e l'altro ad Alleanza nazionale) come membri designati del consiglio direttivo dell' Istituto veronese per la storia della Resistenza. Ora, l'articolo 3 dello statuto di tale istituto presenta una indicazione molto significativa: «L'Istituto si riconosce negli ideali di democrazia, libertà e antifascismo che animarono il movimento resistenziale che fu alla base della Repubblica italiana. L'adesione all'Istituto da parte dei soci comporta il riconoscimento e la valorizzazione di tali ideali». Ciò detto, si deve rilevare che i consiglieri designati dalla maggioranza del consiglio comunale avevano precedenti molto chiari rispetto alle loro posizioni: nel caso del consigliere Miglioranzi, infatti, si tratta di una persona che è stata condannata, in base alla cosiddetta legge Mancino, per oltraggio nei confronti delle indicazioni contenute nella Costituzione contro l'odio di razza. Nell'altro caso, erano intervenute dichiarazioni rese dall'altra consigliera che andavano nello stesso senso. Per quanto riguarda il sindaco, questi a sua volta aveva accettato l'indicazione del consiglio in tale direzione. Non sappiamo come sia stata risolta la vicenda, ma certo è che tale episodio è in contrasto con il Testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 e che esso appare agli interpellanti in contrasto con la Costituzione ed i valori repubblicani. Chiediamo al Ministero dell'interno che cosa intenda fare e se il Governo intenda intervenire, valendosi del citato decreto legislativo, per chiedere al sindaco di Verona di attivarsi in tal senso, essendovi un contrasto molto chiaro tra lo statuto dell'Istituto della Resistenza e questa nomina.
. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Alessandro Pajno, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, l'episodio ricordato dagli interpellanti suscita, in effetti, notevoli perplessità per la grave inopportunità di nominare in seno ad un ente culturale - e, tanto più, ad un Istituto sulla storia della Resistenza - rappresentanti che palesemente non condividono le finalità ed i principi ispiratori dell'ente che, ricordo, sono valori fondanti della Repubblica. L'Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea è un ente riconosciuto di rilevante interesse culturale, aderente all'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e all'Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Le funzioni di controllo sull'Istituto, in quanto ente privato, vengono svolte dal consiglio direttivo e dal comitato scientifico, che sono organi interni all'Istituto stesso. Come evidenziato nell'interpellanza, l'articolo 3 dello statuto adottato nel 1998 stabilisce che «l'Istituto si riconosce negli ideali di democrazia, libertà e antifascismo che animarono il movimento resistenziale che fu alla base della Repubblica italiana» e che «l'adesione all'Istituto da parte dei soci comporta il riconoscimento e la valorizzazione di tali ideali». Lo stesso statuto annovera tra i soci fondatori dell'istituzione, oltre ai componenti del comitato dei garanti, anche la provincia e il comune di Verona, cui spetta la nomina di tre rappresentanti ciascuno in seno all'assemblea dei soci. La vicenda ha avuto inizio il 19 luglio scorso, allorquando il consiglio comunale, su proposta dei capigruppo di maggioranza, ha deliberato la nomina, in seno all'Istituto veronese, di Andrea Miglioranzi del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore e di Lucia Cametti di Alleanza Nazionale, affiancati da Graziano Perini del gruppo dei Comunisti Italiani in rappresentanza dell'opposizione. I designati hanno riportato, rispettivamente, ventotto, venti ed undici voti su quarantadue votanti. La nomina di Miglioranzi e Cametti ha suscitato critiche e prese di posizione da parte delle forze politiche di sinistra e dell'Associazione nazionale partigiani, che ritengono che i trascorsi e le convinzioni politiche dei due consiglieri, negando il valore della Resistenza e dell'antifascismo quale patrimonio fondante della Repubblica, siano incompatibili con le finalità ed i principi ispiratori dell'Istituto. In seguito al clamore suscitato dal caso anche a livello nazionale, il consigliere Miglioranzi, alcuni giorni dopo la nomina, ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico, motivando tale decisione con la volontà di evitare strumentalizzazioni, dimissioni alla luce delle quali il caso sembra, in parte significativa, almeno ridimensionato. Quanto alla richiesta circa la ricorrenza dei presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale, ai sensi dell'articolo 141 del Testo unico degli enti locali, ricordo che la valutazione che deve essere condotta a tal fine non concerne l'opportunità, bensì esclusivamente i profili di legittimità e che nel caso di Verona la delibera adottata sembra possa essere considerata gravemente inopportuna. Nel rispetto del più generale principio di autonomia e di equa ordinazione fra le varie dimensioni rappresentative della Repubblica, da parte del Governo centrale, quindi, non può che prendersi atto della volontà espressa dal consiglio comunale ove essa non comporti una violazione dell'ordinamento tale da richiedere il ricorso a rimedi espressamente previsti e disciplinati dal testo unico degli enti locali. Aggiungo che la delibera del consiglio comunale n. 54 del 19 luglio scorso non risulta essere stata impugnata in sede giurisdizionale. In questa ottica non sembrano sussistere i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale per atti contrari alla Costituzione, poiché si è di fronte ad atti la cui valutazione riguarda, come ho detto, la sfera dell'opportunità, ma che sono stati posti in essere secondo le regole proprie che l'ordinamento prevede per la loro adozione. Per ricevuto insegnamento si è di fronte, infatti, ad atti contrari alla Costituzione, idonei a legittimare il ricorso ai rimedi estremi previsti dall'ordinamento, quando si sia dinanzi ad un grave sconfinamento da parte degli enti locali del proprio ambito costituzionale di competenza e all'intenzione di realizzare una concreta ed effettiva lesione di principi costituzionali, di libertà e di diritti fondamentali, non quando si sia di fronte ad atti ispirati a punti di vista assolutamente criticabili e non condivisibili. Nel caso di specie è stato, appunto, adottato un atto che riguardava il procedimento di nomina del consiglio comunale e non un atto che riguardava la gestione e la messa in pericolo delle situazioni giuridiche collegate agli interessi costituzionali. Il Ministero dell'interno, comunque, ha approfondito la questione per il tramite della prefettura di Verona, la quale, oltre a quanto già riferito, ha aggiunto che l'amministrazione comunale, nel trasmettere copia del verbale della seduta del 19 luglio, ha fatto presente che, in occasione dell'adozione della delibera di nomina dei rappresentanti del comune in seno all'Istituto, non vi è stato alcun dibattito sul punto.
. Il deputato Tranfaglia ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, prendo atto della risposta del Governo e ritengo che da un punto di vista giuridico essa abbia dei fondamenti, ma devo aggiungere che sono molto preoccupato di fronte a due elementi: il primo è che non vi è stato dibattito in consiglio comunale rispetto a tale decisione; il secondo elemento è costituito dalla mancanza di una riserva nella distinzione dell'articolo 141, che invece, a mio avviso, dovrebbe essere presente, rispetto ai valori fondamentali della Costituzione repubblicana perché ritengo che una cosa sia l'autonomia degli enti locali e delle scelte che questi compiono e un'altra sia la sussistenza di atti che, in qualche modo, vanno nella direzione di non tener conto dei presupposti fondamentali dell'attività culturale e politica di istituti che hanno caratteristiche molto chiare. In fondo l'opposizione tra l'articolo 3 dello statuto, relativo ai valori fondanti dell'Istituto, e le scelte che sono state compiute, essendoci peraltro documentazioni sul pensiero dei consiglieri designati, mi sembra che costituisca un tema che dovrebbe condurre, in qualche modo, anche il Parlamento e il Governo ad una riflessione su tale incongruenza, perché adesso abbiamo discusso di un istituto importante ma, comunque, locale (di Verona) e di una vicenda in cui almeno il consigliere Miglioranzi ha sentito il dovere di dimettersi; se, diversamente, si fosse dinanzi ad altre nomine effettuate a livello regionale o di altri enti autonomi che effettivamente andassero nella direzione di una diversa organizzazione e disegno dei valori del nostro Paese, potremmo trovarci in ben maggiori difficoltà. Ciò sarebbe particolarmente contraddittorio rispetto ad un ordinamento, che vuole lasciare agli enti locali il massimo dell'autonomia, ma che, nello stesso tempo, deve difendere i valori fondamentali della nostra Costituzione.
. Il deputato Fitto ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00613 concernente lo stato di attuazione degli accordi di programma quadro della regione Puglia .
. Signor Presidente, l'interpellanza ha l'obiettivo di chiarire una situazione che rischia di essere fortemente negativa per la nostra regione, ma, al tempo stesso, auspica anche che si possano individuare delle formule per recuperare una situazione di affanno, che comporterebbe una decurtazione di 57 milioni di euro per la nostra regione, così come viene illustrato all'interno dell'interpellanza, già avvenuta in sede di deliberazione CIPE. L'obiettivo dell'interpellanza è di comprendere alcune questioni che sono il frutto di scelte di carattere generale e anche, secondo il nostro punto di vista, di inadempienze di carattere locale visto che è venuta meno una richiesta specifica, che avrebbe potuto essere sviluppata e portata avanti nei confronti del Governo, per poter chiedere una proroga di tre mesi che potesse realmente recuperare, almeno in parte, tali risorse. In questo senso è opportuno ricordare che l'interpellanza muove dalla delibera CIPE n. 179 del 22 dicembre 2006 che, correttamente, vede il Governo revocare delle somme che sono così suddivise: una parte, relativa ad impegni giuridicamente rilevanti e certi che non sono stati portati avanti, seppur vincolanti, ed un'altra relativa ad altri impegni che non hanno ancora maturato obbligazioni giuridicamente vincolanti alle date indicate (preventivamente, peraltro) e che, quindi, obbligavano le regioni a potere e dovere indirizzare l'utilizzo delle risorse nei tempi previsti e con le modalità indicate. Il punto di domanda è volto, innanzitutto, a comprendere quali siano le risorse decurtate. Come è noto, nel passato, tali risorse - che sono assegnate in forma aggiuntiva a quelle comunitarie per le aree sottoutilizzate - avevano l'obiettivo di integrare quelle disponibili di competenza regionale e di competenza comunitaria, costituendo un quadro complessivo di interventi che si sviluppava all'interno dei cosiddetti accordi di programma quadro, che prevedevano la scelta autonoma delle regioni nella individuazione del tema e, quindi, della tipologia degli interventi. Il problema oggi è che non solo vi è un dato, che oggettivamente costituisce una forte preoccupazione, perché, a fronte di un importo complessivo assegnato di circa 393 milioni di euro, l'importo decurtato sarebbe di 57 milioni di euro, ma anche che tali risorse potrebbero essere decurtate - come si chiede di capire anche nell'interpellanza - dai singoli accordi di programma quadro. Pertanto, in teoria, ci potrebbero essere, sul territorio, degli interventi ampiamente pubblicizzati e comunicati (quindi teoricamente finanziati), che potrebbero rischiare di trovarsi definanziati alla luce del provvedimento sopra ricordato, che sarà spalmato sulle singole delibere CIPE, che puntualmente vengono citate nella interpellanza. Potremmo trovarci di fronte, quindi, ad interventi che ufficialmente sono regolarmente finanziati, ma che sostanzialmente non lo sono. Tutto ciò si inserisce in una serie di inadempienze, così come dicevo all'inizio, che dimostrano disattenzione - se vogliamo utilizzare un termine poco polemico, ma io oserei anche parlare di sciatteria - dal punto di vista della richiesta diretta e dell'attenzione sull'utilizzo delle risorse, perché le scadenze, che sono puntualmente indicate, erano state portate a conoscenza per tempo e imponevano l'obbligo di lavorare e di fornire delle risposte. La formula dell'utilizzo di tali risorse è quella delle risorse comunitarie (in parte), nel senso di fissare una scadenza certa per affrontare l'annosa questione (che non ha un colore politico e su ciò il Viceministro penso possa convenire) dei tempi non certi nell'assegnare quantità di risorse enormi alle regioni del Sud, che talvolta non vengono utilizzate per una serie di problematiche di carattere amministrativo e burocratico, oppure, appunto, per disattenzione specifica. L'obiettivo, quindi, è di comprendere innanzitutto se tali risorse possano essere recuperate. Voglio specificare, nel concludere l'illustrazione dell'interpellanza, che la presente iniziativa non ha solamente l'obiettivo di evidenziare criticamente le inadempienze, ma anche e soprattutto di immaginare un percorso che possa individuare una forma per recuperare tali risorse. Avendo individuato una formula già utilizzata rispetto ad altri impegni precedentemente indicati, quale una proroga di tre mesi per cercare di recuperare la situazione, oggi ci poniamo questo problema. Evidentemente, non ci sfugge che poiché il CIPE ha deliberato in forma ufficiale la revoca e la decurtazione di tali risorse ciò comporta una maggiore difficoltà in tale direzione. Tuttavia, proprio perché cogliamo l'impatto negativo, evidente e chiaro, che emerge da questa situazione, siamo convinti della necessità di individuare una formula, se possibile, per recuperare quelle risorse. Comunque, qualora ciò non fosse possibile, chiederei di individuare e cercare di comprendere quali interventi, puntualmente finanziati precedentemente, a questo punto si troverebbero senza canale di finanziamento. Mi auguro che il Governo possa coprire tale inadempienza cercando di individuare una soluzione che possa comunque salvaguardare questa importante mole di risorse, che costituisce nell'ambito delle regioni del sud la cifra più grande e più importante. Altre regioni, infatti, hanno avuto anche delle minime decurtazioni, ma lontanissime dall'importo complessivo che in proporzione viene decurtato alla regione Puglia.
. Il Viceministro dello sviluppo economico, Sergio Antonio D'Antoni, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, l'illustrazione dell'onorevole Fitto corrisponde alla situazione descritta, nel senso che è frutto di un'impostazione comunitaria, recepita in Italia dalla legge n. 448 del 2001. Il CIPE adottò una delibera nel 2002 con un meccanismo premiale e sanzionatorio rispetto ai comportamenti che le amministrazioni tenevano sulle somme loro assegnate. Tale meccanismo - che per ragioni di tempo non illustro e, del resto, l'interpellante lo conosce perfettamente - è il risultato di un'impostazione che ha anche un riscontro in ambito comunitario e che abbiamo recepito. Nel determinarsi di tale impostazione sanzionatoria e premiale, la regione Puglia ha subito una decurtazione del proprio stanziamento, a causa di una inadempienza nel rispetto delle date assegnate che ha portato ad una diminuzione dello stanziamento iniziale. Nella risposta che è stata preparata è disponibile il dettaglio di ogni singola voce e di ogni singolo capitolo sui quali si è operata tale decurtazione. Infatti, a seconda del tipo di scadenza, era prevista una decurtazione del 30 per cento o, se non era stato assunto alcun impegno giuridicamente vincolante, la decurtazione totale. In tal senso, nella risposta sarà contenuta anche l'illustrazione puntuale dei singoli provvedimenti e delle ragioni per cui in alcuni casi si tratta del 30 per cento ed in altri del 100 per cento. Mi risparmierà l'interpellante, come penso anche il Presidente, di specificare punto per punto le ragioni che credo appesantirebbero ulteriormente il mio intervento. Tuttavia, se l'interpellate vorrà, avrà la possibilità di verificarlo. Invece, la forte questione politica che l'interpellante pone e su cui credo sia necessario soffermarsi è se, sulla base di tali stanziamenti e del fatto che ci sono opere avviate, la decurtazione avvenuta interrompa le opere ovvero se sia possibile recuperare tali somme. Questo mi sembra l'elemento politico più importante. Il CIPE doveva provvedere, per applicare la delibera, al meccanismo sanzionatorio, perché, se non avesse provveduto, sarebbe stato inutile prevedere tale meccanismo. Infatti, se si stabilisce un criterio premiale e sanzionatorio, quando avviene un è necessario sanzionarlo, altrimenti è come non prevederlo. Pur avendo cercato di prorogare in alcuni casi i termini di tre mesi, abbiamo prorogato di un anno non tanto i termini, quanto la competenza finanziaria, per determinare una maggiore possibilità di recupero del ritardo. Pertanto il CIPE e il Governo hanno deciso questa decurtazione, però ritengo di poter prendere l'impegno che non ci saranno impatti negativi sul completamento delle opere, nel senso che non si tratta di un cambiamento di percorso, ma di un'azione preordinata di applicazione graduale del principio, perché gli interventi finanziati con la delibera CIPE saranno portati a termine in quanto le decurtazioni saranno effettuate e compensate sui futuri riparti. Ritengo politicamente di poter impegnare, con la mia persona, il Governo in questa direzione, pur nel rispetto di un criterio e di un'impostazione che è stata seguita sia dal precedente Governo, sia dal nostro, su questo sistema sanzionatorio e premiale a seconda dei comportamenti delle amministrazioni.
. Il deputato Fitto ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, in teoria potrei anche ritenermi soddisfatto della risposta del Viceministro perché, se non ci fosse una preoccupazione grave e accertata con la sua ricostruzione (sono d'accordo nel non citare gli aspetti tecnici e specifici riportati nella risposta), oggi prendiamo atto che la regione Puglia perde 57 milioni di euro che vengono decurtati per l'incapacità di quella amministrazione di utilizzarli. Questo è il dato che emerge e quindi, dal punto di vista della semplice contrapposizione politica, potrei ritenermi soddisfatto. Così come sono soddisfatto del fatto che il Viceministro puntualmente ha ricostruito un percorso e addirittura ha assunto un impegno che va ben oltre, sul quale insieme vigileremo ed eventualmente e che in occasione della imminente legge finanziaria potremo valutare e cercare di capire come mettere a frutto. Rimane, però, un dato di fatto oggettivo del quale, purtroppo, non posso che prendere atto e per il quale non ho da fare alcun appunto al Governo, evidentemente. Oggi prendiamo atto definitivamente che questa incapacità di rispettare i tempi indicati, peraltro a partire dal 2002 e puntualmente confermati nelle delibere successive, vede una regione del Mezzogiorno d'Italia perdere queste risorse, anche là dove dovesse esserci una risposta positiva nel futuro e quindi anche qualora la buona volontà del Viceministro dovesse concretizzarsi in ulteriori finanziamenti che manterrebbero i programmi indicati all'interno degli accordi di programma quadro. In ogni caso, quindi, oggi prendiamo atto di una situazione per la quale c'è una regione che, a fronte di 393 milioni di euro assegnati, ne perde 57 milioni per incapacità amministrativa. Questa, purtroppo, è la situazione che ritengo sia necessariamente e doverosamente da portare a conoscenza dell'opinione pubblica e di quel sistema produttivo che, magari, si interroga spesso su come poter risolvere i problemi di aree che vivono in una condizione di difficoltà, quali sono quelle del Mezzogiorno, e poi, come se ci si trovasse in una situazione di risorse aggiuntive con la possibilità di poterle addirittura non utilizzare, si mette in atto un meccanismo di incapacità che conduce alla perdita di un importo notevolissimo, perché parliamo di 57 milioni di euro. È una contraddizione clamorosa, che purtroppo dobbiamo registrare in questa occasione. Ringrazio comunque il Governo per i contenuti e la modalità della risposta e per gli impegni futuri che mi auguro insieme, con una posizione costruttiva, si possano mantenere.
. Il deputato Smeriglio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00694, concernente sgombero di un campo nomadi effettuato nella zona Magliana di Roma e politiche di accoglienza nei confronti delle comunità rom .
. Signor Presidente, l'interpellanza è relativa ad uno sgombero di circa 1.300 persone avvenuto il 19 luglio a Roma sotto il ponte del quartiere della Magliana. Tra queste 1.300 persone vi erano moltissime donne, anche in stato di gravidanza, bambini e numerosi neonati. Dalle testimonianze raccolte, in particolare degli operatori della cooperazione sociale e del volontariato presenti al momento dello sgombero, l'operazione di polizia è stata definita molto violenta e, soprattutto, ha lasciato gli sgomberati senz'acqua, senza cibo e senza sapere dove andare. Vorrei ricordare che l'Italia è già stata condannata, più volte, dal Consiglio d'Europa per le brutalità degli sgomberi e per il mancato rispetto della normativa europea al riguardo. In particolare, su tale sgombero si sono espressi molti intellettuali, forze politiche e associative della città, proprio per testimoniare l'intervento repressivo e il mancato rispetto dei più elementari diritti umani. Purtroppo, questo non è stato l'unico caso verificatosi nell'estate; non ci riferiamo, infatti, a un caso isolato, ma a una serie d'interventi che hanno visto come protagoniste le amministrazioni locali. Inoltre, anche nel caso in cui le amministrazioni riescono a mettere in campo politiche di accoglienza per le comunità rom, spesso la situazione rimane precaria, al limite della decenza e della tutela della salute pubblica. Porto l'esempio del campo nomadi di Castel Romano, in provincia di Roma, inaugurato il 14 settembre 2005 e assegnato a due comunità diverse, provenienti da due diverse aree della città di Roma. La situazione igienico-sanitaria è al limite della sopravvivenza e i servizi sono praticamente inesistenti. In particolare, nel campo vivono settecento persone, di cui la metà sono bambini; di questi ultimi, 260 sono iscritti nelle scuole, con una frequentazione del 50 per cento e un progressivo abbandono delle scuole dell'infanzia a causa della lontananza delle stesse dal sito del campo, nonché delle difficoltà di mobilità dal campo alla città. Ma il fatto più grave è che non c'è acqua potabile durante il giorno; c'è solo un'ora la mattina e una la sera, dalle 23 alle 24. In questo periodo nel campo sono morte tre persone e dall'ottobre 2005 a dicembre 2005, venticinque bambini hanno contratto l'epatite A e un adulto l'epatite B. Non vi è assistenza medica e non vi sono mezzi di trasporto che colleghino con la città. Invece, nel caso specifico dell'area della Magliana, lo sgombero da parte delle forze dell'ordine è stato molto violento e non si è tenuto conto, in alcun modo, del disastro umanitario che si sarebbe provocato, della sofferenza e di tutti i disagi che neonati, bambini, donne e uomini del campo si sono trovati e si troveranno a vivere. Chiedo, dunque, se tale operazione sia stata concordata con l'amministrazione comunale di Roma e per quale motivo non si sia tentato di dare una risposta alternativa a chi chiede solamente di poter vivere in maniera dignitosa nel nostro Paese; se vi siano dati sul numero di sgomberi effettuati nei confronti di campi abusivi realizzati dalle comunità rom e in quanti casi siano state trovate soluzioni alternative. Vorrei sapere, inoltre, cosa si intenda fare, considerata l'evidente emergenza sociale e sanitaria esistente in numerosi campi rom, abusivi e non, al fine di salvaguardare la salute di coloro che ci vivono, con particolare riferimento ai bambini; se non si ritenga un errore gravissimo continuare ad affrontare l'emergenza rom come un problema di ordine pubblico e se, di conseguenza, non si reputi necessario ricercare politiche di accoglienza che favoriscano l'inserimento e salvaguardino la dignità e la cultura dei rom, con il contributo delle stesse comunità. Il giorno dopo lo sgombero del ponte della Magliana, il sindaco di Roma Walter Veltroni ha dichiarato: «Lo sgombero di oggi s'inserisce all'interno di un programma che, di concerto con la prefettura e il territorio, stiamo portando avanti affinché si stabilisca una cultura della legalità che vede nel rispetto delle regole il suo presupposto principale». Ebbene, siamo d'accordo sulla cultura della legalità e sul rispetto delle regole; per quanto riguarda la fattispecie del ponte della Magliana, vorremmo sapere, però, con quali modalità sia stato effettuato lo sgombero; ossia se vi è sia stato rispetto della legalità nella modalità dello sgombero, nell'accoglienza e nell'assistenza sanitaria dovuta per legge a tutti. Per quanto riguarda Castel Romano, vorremmo sapere se vi è o no il rispetto della legalità e delle regole quando parliamo di assenza di acqua potabile, di verifica della scolarizzazione, della verifica delle condizioni sociosanitarie e della possibilità di accesso alla città di Roma. Vorremmo capire se la sicurezza riguarda soltanto i residenti o è un valore universalmente riconosciuto da garantire a tutti, rom compresi.
. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, l'onorevole Smeriglio parte da un episodio specifico ma pone sicuramente un quesito di carattere più generale che, per quanto riguarda il Governo, non può che riferirsi alle politiche di accoglienza e di integrazione che lo stesso Governo intende condurre nei confronti delle comunità rom, sinte e camminanti. Sull'episodio specifico, le notizie che abbiamo acquisito tramite la prefettura di Roma ci portano ad una ricostruzione dei fatti che è differente da quella riportata nell'interpellanza. L'intervento di sgombero dell'insediamento abusivo nell'area di via dell'Imbarco, infatti, risulta essere stato eseguito in via d'urgenza, per consentire un improcrastinabile intervento di manutenzione presso l'adiacente impianto idrico, quindi sotto la spinta di preminenti ed indifferibili finalità di tutela della salute pubblica. I lavori, come risultava dalle pressanti e reiterate richieste avanzate dalla società ACEA, risultavano ormai non più rinviabili, in quanto la loro mancata realizzazione avrebbe prodotto lo scarico di rilevanti quantitativi di liquami non depurati nel fiume Tevere, con conseguente inquinamento delle acque e grave rischio per la collettività. Alla luce delle motivazioni addotte dalla società competente alla manutenzione dell'acquedotto, l'intervento di sgombero era stato quindi concordato in prefettura, in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, alla presenza anche dell'assessore comunale alla sicurezza urbana, e successivamente eseguito il 19 luglio da personale della questura, d'intesa con i competenti uffici del comune, in particolare con la Polizia municipale e con il Nucleo assistenza emarginati. Secondo quanto riferisce la questura, l'intervento di sgombero ha riguardato 500, e non 1.300, persone di nazionalità rumena, che, dopo aver appreso - quindi sono state informate - dell'impossibilità di continuare a vivere in una zona insalubre e malsana, si sono allontanate dalla zona in modo pacifico e volontario. Una particolare attenzione è stata rivolta ai componenti più deboli della comunità, come donne e bambini, i quali sono stati allocati nei centri di prima accoglienza a cura dei servizi sociali del comune di Roma. Per quanto concerne il quesito dell'onorevole Smeriglio sul numero di sgomberi di insediamenti rom abusivi effettuati, la questura di Roma ha riferito che dal 1o gennaio al 31 agosto scorso sono stati controllati 21 campi nomadi regolarmente censiti e 33 insediamenti abusivi, di cui 31 sono stati sgomberati. Nel corso di tali servizi sono stati controllati 517 veicoli, di cui 55 sequestrati, ed identificate 4.217 persone. Tra queste, 14 sono state arrestate, 60 denunciate in stato di libertà, 173 sono state destinatarie di provvedimento di espulsione, mentre 66 minori sono stati affidati ai servizi sociali del comune di Roma. Per quanto riguarda i profili generali del tema relativo all'accoglienza e all'integrazione delle comunità rom, sinte e camminanti nel nostro Paese, preciso che si tratta di un argomento che il Governo ha ben presente. Al riguardo, l'Esecutivo ha da tempo avvertito l'esigenza di iniziative che rispettino le identità culturali di queste minoranze, che possano migliorarne il grado di inserimento e la qualità delle relazioni con le popolazioni residenti, in modo da tutelare efficacemente la sicurezza pubblica, ma anche di prevenire ogni forma di discriminazione e di intolleranza degli appartenenti a tali comunità. Il Ministero dell'interno, anche in linea con le indicazioni contenute nei rapporti degli organismi internazionali - che hanno più volte segnalato la mancanza di una regolamentazione nazionale per la tutela delle comunità rom e sinte - ha da tempo avvertito la necessità di affrontare il problema di un coordinamento, a livello nazionale, delle autorità centrali e locali preposte ai vari settori della vita civile, per favorire una più ampia e motivata integrazione di queste collettività e, nel contempo, prevenire ogni forma di discriminazione e di intolleranza. In tal senso sono state poste in campo molteplici iniziative. Anzitutto, si è partiti da un monitoraggio del fenomeno, avviato negli scorsi mesi, tramite le prefetture - UUTTGG (Uffici territoriali del Governo), per conoscere esattamente la distribuzione delle comunità sull'intero territorio nazionale e pervenire, così, ad una mappatura completa del fenomeno, con tutte le peculiarità che esso assume nei diversi contesti territoriali, al fine di affrontare la problematica in tutti i suoi risvolti e in tutte le peculiarità che si descrivono. Dalla rilevazione è emersa, in particolare, la necessità di effettuare un salto di qualità nell'approccio al problema, da emergenza a governo del fenomeno. Al riguardo, gli enti locali pongono in essere un notevole sforzo per gestire ed affrontare le questioni poste dalla presenza delle minoranze rom, sinte e camminanti sui territori locali. È evidente che non si può prescindere dal lavorare in direzione di una strategia nazionale, mediante l'adozione di un piano d'azione che comporti una complementarietà di interventi. Per questo motivo è stato anche creato un tavolo tecnico interministeriale, al quale sono stati chiamati a partecipare i ministeri maggiormente interessati, per approfondire congiuntamente le problematiche connesse al fenomeno delle comunità e giungere all'individuazione di possibili soluzioni, anche di tipo normativo, volte ad assicurarne la tutela dell'identità culturale, nel quadro di una più corretta e sicura convivenza civile. Ulteriori approfondimenti sono in corso e sono state anche avviate consultazioni con le associazioni maggiormente rappresentative delle comunità, per ricevere contributi e proposte. Nell'ottica di un approccio coerente ed unitario all'argomento, occorrerà considerare anche i vari aspetti relativi alla realizzazione e alla gestione dei campi, in primo luogo tramite un confronto con gli enti locali, che provvedono alla loro realizzazione e alle relative spese di gestione. Il superamento dei campi presuppone di risolvere sia il problema della carenza di un'offerta abitativa adeguata, sia taluni fenomeni di discriminazione che rendono ancor più difficoltoso l'accesso al costoso mercato delle locazioni. Affinché le risposte siano sempre più efficaci, occorre quindi che le istituzioni pubbliche, gli enti locali e il terzo settore continuino con il porre in atto pratiche di collaborazione, sia per aumentare l'offerta abitativa, sia per contrastare tutte le forme di discriminazione. È intenzione del Ministero dell'interno, inoltre, promuovere una Conferenza internazionale che, nella prospettiva di una nuova legge organica di tutela delle minoranze e di governo del fenomeno del nomadismo, consenta di valorizzare le esperienze in corso in altri Paesi europei, analizzando e comparando le relative legislazioni e buone pratiche. La questione delle popolazioni rom e sinte è stata affrontata, inoltre, nell'ambito di un'apposita riunione del Comitato contro la discriminazione e l'antisemitismo, sempre operante presso il Ministero dell'interno, tenutasi lo scorso 4 aprile, in occasione della celebrazione della Giornata internazionale dei rom, fissata per l'8 aprile scorso. In tale sede è stata condivisa la necessità di promuovere una più intensa riflessione sui temi in questione e si è presa in considerazione proprio l'ipotesi di un riconoscimento delle popolazioni rom e sinte quali minoranze linguistiche, anche alla luce delle sollecitazioni del Parlamento europeo, che ha richiamato i Paesi dell'Unione a un impegno contro qualsiasi forma di discriminazione nei loro confronti. Lo stesso Comitato ha ritenuto opportuno istituire, nel proprio ambito, un osservatorio, aperto anche al dialogo con le comunità rom. Per quanto concerne i provvedimenti che si intendono adottare a salvaguardia della salute di queste comunità, il Ministero della salute riferisce che nel piano sanitario nazionale 2006-2008 viene dedicata una specifica attenzione alle peculiari problematiche delle popolazioni nomadi, che vivono in condizioni socio-ambientali insalubri e il cui miglioramento deve essere considerato come prioritario: vengono evidenziate, in particolare, la scarsa conoscenza del fenomeno in termini statistico-epidemiologici, nonché le difficoltà di accesso al Servizio sanitario anche per quanti sono in regola con le norme in materia di permesso di soggiorno. Il Ministero della salute sta attualmente perfezionando due accordi di collaborazione per lo svolgimento di progetti specifici che hanno come oggetto tali popolazioni, finalizzati sia all'approfondimento delle condizioni epidemiologiche sia al miglioramento dell'accesso ai servizi. All'interno di un progetto più generale su salute e migrazione, commissionato dall'Istituto superiore di sanità, è stata inserita un'indagine da svolgere presso i campi nomadi della provincia di Roma. Obiettivo dell'indagine è valutare il tasso di incidenza e individuare le cause ambientali delle malattie respiratorie acute in età infantile, che hanno un'incidenza particolarmente elevata. È stato, inoltre, autorizzato un progetto che ha l'obiettivo di migliorare l'accesso dei rom, dei sinti e dei camminanti ai servizi sanitari, sperimentando un modello di offerta attiva di servizi a queste popolazioni tramite la diffusione di informazioni specifiche a cura degli operatori del Servizio sanitario nazionale in sinergia con gli esperti del privato sociale. Fra i provvedimenti a favore della salute, ricordo ancora che la legge finanziaria per l'anno 2007, all'articolo 1, comma 827, ha previsto il finanziamento dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, che ha tra i suoi obiettivi quello di offrire a queste persone un'assistenza sanitaria adeguata che affronti anche le cause sociali ed economiche delle malattie. Ricordo, infine, che per la realizzazione di interventi che promuovano l'inserimento sociale di queste persone e che permettano loro di riuscire a far fronte ai propri bisogni, la legge finanziaria per l'anno 2007 ha istituito un Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, che in passato era stato soppresso, non finanziato. Il 3 agosto scorso il Ministero della solidarietà sociale ha emanato la direttiva concernente l'utilizzo del Fondo, individuando tra le aree prioritarie di azione anche due ambiti di intervento che coinvolgono specificamente le comunità prive di territorio, ovvero le politiche abitative e le misure relative agli alunni stranieri.
. Il deputato Smeriglio ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, sono parzialmente soddisfatto perché abbiamo ricevuto informazioni aggiuntive, anche se discordanti rispetto a quelle che avevamo raccolto relativamente allo sgombero del campo della Magliana. Parliamo, peraltro, per la quasi totalità, di cittadini rumeni, quindi appartenenti all'Unione europea. Sui 1.300 o 1.500 che ci risultavano, sono state fermate soltanto tre persone. Nello sgombero sotto il ponte della Magliana, nonostante fossero presenti donne e bambini, la presenza delle istituzioni era del tutto inadeguata. A noi risulta che fosse presente soltanto un'associazione di volontariato, l'associazione SOS. L'area sgomberata - come ricordava il sottosegretario - è di proprietà dell'ANAS, dell'ARDIS e dell'ACEA. La giustificazione dello sgombero è stata motivata dal fatto che in quell'area vi è un depuratore ACEA che si era rotto, per cui i tassi di inquinamento stavano aumentando a livelli non più gestibili. La bonifica dell'area doveva essere dunque immediata. Dopo lo sgombero delle persone, però, l'area è stata ripulita solo parzialmente e, ad oggi, risulta ancora non del tutto bonificata. Le famiglie che sono state sgomberate si sono spostate in altre zone della città, a gruppi di 30-50 persone, senza una strategia unitaria, creando nuovi accampamenti di fortuna. Il problema, quindi, non si è risolto, ma è solo spostato, spesso peraltro lungo l'argine del Tevere, con evidenti rischi per l'incolumità delle persone. Ad alcune donne con figli è stata offerta ospitalità dal comune di Roma: queste donne hanno rifiutato, perché il comune di Roma non poteva garantire il ricongiungimento familiare, cioè la presenza anche del marito. Ci chiediamo allora se la famiglia debba essere considerata un valore importante per la nostra società soltanto quando parliamo di famiglie italiane: il valore dell'unità della famiglia deve essere garantito come un diritto ineliminabile della vita di queste persone, per cui offrire ospitalità solo alle donne e ai loro figli è una vera offesa, anche alla loro cultura specifica. In particolare, le norme del Consiglio d'Europa in materia sanciscono che gli sgomberi non devono essere eseguiti di notte né attuati in inverno e che vengano effettuati solo se vi è una sistemazione alternativa: per lo sgombero della Magliana sono stati rispettati solo i primi due punti. Per quanto riguarda, invece, Castel Romano ci dichiariamo insoddisfatti, nel senso che la risposta non è entrata specificamente nelle questioni che abbiamo posto. In questo caso ci riferiamo a un campo «formale», un campo del comune di Roma, voluto e costruito dal comune di Roma, in cui oggi vivono circa 1.100 persone. Le questioni che abbiamo posto appaiono particolarmente gravi e drammatiche, perché se risulta - come risulta a noi - l'assenza di acqua potabile, che è presente soltanto due ore al giorno, ci sembra un fatto drammatico, dal punto di vista anche della legalità e della sicurezza delle persone. Se, come risulta a noi, queste persone non hanno diritto alla mobilità, cioè all'accesso alla città, trovandosi in un campo pubblico del comune di Roma, perché non esiste un servizio navetta (per muoversi devono raggiungere una fermata dei mezzi pubblici situata a un chilometro di distanza), ci sembra un fatto grave. Se, come risulta a noi, il servizio medico non è garantito (perché non c'è alcun servizio medico, vi è solo la presenza di una laureanda in medicina che dà le prime informazioni) ci sembra, dal punto di vista della sicurezza di queste persone, in un campo pubblico, istituito dal comune di Roma, un fatto particolarmente grave. Lo stesso dicasi sul servizio scuola, perché, dal momento in cui il campo è stato spostato, di concerto con le associazioni di rom - che peraltro hanno creduto in tale spostamento, per cui abbiamo anche alimentato un'aspettativa -, le condizioni sono quelle che ho descritto, compreso l'abbattimento della scolarizzazione del 50 per cento: ci sembra un fatto grave, anche dal punto di vista della legalità e della convivenza civile. Per tale motivo, su questo punto specifico non posso ritenermi soddisfatto.
. Il deputato Burgio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00703, concernente episodi di intolleranza nei confronti della comunità rom .
. Signor Presidente, signor sottosegretario, anche alla luce della risposta che ella ha fornito all'interpellanza dell'onorevole Smeriglio e delle informazioni diramate dalla questura di Roma a proposito degli sgomberi che si sono verificati su questo territorio, vorrei partire in primo luogo da alcuni riscontri di carattere istituzionale. Ella sa, intanto, che il nostro Paese è stato più volte richiamato in ordine alla mancata applicazione della direttiva europea contro la discriminazione razzista basata sulle differenze di origine etnica e che, inoltre, l'Unione europea ha segnalato che vi è un rischio per la sicurezza delle popolazioni rom, sinti e camminanti. Dopodiché, alla luce della vicenda di Livorno - è parte della mia interpellanza - si è verificato che il vicesegretario del Consiglio d'Europa, de Boer-Buquicchio, - che, peraltro, è stato in Italia in questi giorni e che ha rilasciato una breve dichiarazione che vorrei riportarle - ha invitato le autorità italiane ad attivare le misure necessarie per l'integrazione dei rom, adottando un piano coordinato che preveda campagne di informazione pubblica - questo è un punto su cui cercherò di attirare la sua attenzione, anche alla luce delle incresciose vicende del pavese - per contrastare la discriminazione e i radicati pregiudizi. Successivamente, alla luce delle vicende di Pavia, lo stesso vicesegretario della Consiglio d'Europa ha sollevato il problema dell'inadeguatezza dei campi, della brutalità degli sgomberi e dell'assenza o dell'inadeguatezza delle soluzioni abitative. Affermo ciò non già per contestare le informazioni che ella ha fornito, che naturalmente non posso che assumere, ma per dire che vi è indubbiamente una cornice problematica segnalata anche in sede istituzionale. È in tale cornice che si collocano i due episodi, oggetto della mia interpellanza, tra loro certamente molto diversi, ma che sono accomunati dal riferimento in particolare alle popolazioni rom, di cui si è discusso anche nella precedente interpellanza. Si tratta di popolazioni che sono - lo voglio dire perché in questa Assemblea sono presenti anche esponenti di altre forze politiche che esprimono ottiche, prospettive, valutazioni molto diverse dalle nostre - strettamente legate alla nostra storia anche non recente. Nella mia interpellanza richiamo due date, la prima delle quali è il 1938, quando in Italia popolazioni spregiativamente definite zingare, che facevano anche allora parte della nostra comunità nazionale, furono colpite, al pari degli ebrei, dalle prime misure razziste - spero che non si utilizzi più il termine «razziali», perché ciò implica che le razze esistano, ma questo è stato superato già da tempo peraltro dalla cultura democratica scientificamente fondata - di questo Stato allora fascista; sono state colpite, perseguitate, rastrellate, deportate, con un totale circa 500 mila morti. L'altra data è il 1999, la vicenda del Kosovo, dei bombardamenti a cui noi partecipammo e anche su tale vicenda vi sono valutazioni molto diverse. Di fatto, le popolazioni rom del Kosovo sono ancora oggi oggetto di persecuzione e sono costrette ad emigrare dalle loro terre nelle quali vivevano in case (questo stereotipo del nomadismo come se fosse uno stigma naturale è esso stesso conseguenza e causa di un'ottica razzista funzionale poi alle persecuzione) che oggi non hanno più perché sono state loro sottratte. Queste persone sono state costrette, anche per nostra responsabilità, ad emigrare ed, in parte, hanno raggiunto il nostro Paese. Tutto ciò lo voglio affermare, perché non si tratta di un problema esterno alla nostra vicenda, né alla nostra popolazione e, tra l'altro, circa la metà dei rom, sinti e camminanti residenti in questo momento in Italia sono cittadini italiani come tutti coloro che sono presenti in quest'aula; comunque, la quasi totalità di essi sono cittadini europei, cittadini comunitari. Affermo ciò perché certamente le più diverse valutazioni hanno una loro legittimità, ma è bene che si riferiscano ad un contesto fattuale che è tale e che va considerato. Non si tratta di un problema esterno; si tratta di una parte della nostra popolazione e della nostra cittadinanza, che - piaccia o non piaccia - è una cittadinanza irreversibilmente articolata, plurale e composita, nella quale dobbiamo vivere, generando le migliori condizioni della convivenza e del reciproco riconoscimento. In tale contesto, si verificano le due vicende oggetto dell'interpellanza. Non le ripercorrerò, perché le interpellanze sono pubblicate e, quindi, non è necessario farlo. Vorrei semplicemente, in questa introduzione, attirare l'attenzione del sottosegretario sui due punti cruciali. Per quanto riguarda la questione di Livorno, quanti hanno seguito la vicenda - vorrei dire - della strage dei bambini che sono morti carbonizzati nel campo livornese, sostengono che è molto verosimile che si sia trattato di una strage in piena regola, e che le osservazioni autoptiche sui cadaveri tendono ad escludere l'ipotesi dell'incidente e, quindi, bisognerebbe scongiurare con tutti i mezzi istituzionali possibili, naturalmente - so di rivolgermi al Governo e non alla magistratura - che questa indagine venga archiviata. Il piccolo codicillo che mi permetto di aggiungere nell'interpellanza è che domani, venerdì, ci saranno i funerali dei bambini e vi è il paradosso che i genitori, verosimilmente incolpevoli, poiché non hanno una residenza non possono godere della possibilità degli arresti domiciliari (perché non hanno domicilio) e nemmeno potranno recarsi al funerale dei loro piccoli, che verosimilmente sono stati vittime di quella che rappresenterebbe la più grave strage razzista che io ricordi in quella ipotesi che evoco. Per quanto riguarda, invece, la vicenda di Pavia, essa fa un po' il paio con quelle che oggi abbiamo ascoltato, se non altro per una questione cruciale: l'amministrazione comunale di Pavia ha disposto uno sgombero, senza predisporre alcuna soluzione alternativa, ovverosia senza individuare i siti nei quali insediare tali persone. In altre parole, si è limitata a «ripulire», come oggi si tende a dire con un orribile gergo, un'area dismessa sulla quale - mi permetto di segnalare - si addensano anche incisivi interessi speculativi (si tratta di una vicenda che lasciamo sullo sfondo). Si è, dunque, limitata a cacciarli, determinando a catena una sequenza di vicende che ha poi visto emergere gli spiriti animali di un razzismo tenace che nella nostra storia - ma non solo nella nostra, perché in Europa si tratta di una storia che conosciamo bene - allignano. La vicenda è particolarmente grave proprio per questo: come si può prendere 200 persone e semplicemente abbandonarle al proprio destino con tutto quello che ne segue? In seguito, si è verificata quella vicenda - che conosciamo - di un sindaco che addirittura capeggia una rivolta contro il prefetto, perché si dà il caso che il prefetto si sia adoperato per stemperare, smussare ed individuare una soluzione, in quanto ha cercato in qualche misura di ridurre il danno, ed invece abbiamo visto un sindaco che con la fascia tricolore ha capeggiato una sfilata ed una manifestazione francamente razzista. Non si tratta di un'opinione, perché quando si utilizzano espressioni del tipo: «vi mandiamo nelle camere a gas e nei forni crematori» - e non voglio ripetere le altre frasi, perché ho rispetto per quest'aula e quindi non vorrei eccedere - non solo ci vengono i brividi come singoli cittadini, ma anche gravi preoccupazioni come operatori della politica, sulle quali tornerò, replicando al sottosegretario. Pertanto, le domande che rivolgiamo al Governo nascono immediatamente dal quadro che ho descritto. Chiedo all'Esecutivo quali misure intenda mettere in atto per impedire che si producano tali situazioni, per mettere fine all'odiosa reazione di violenza, garantire la sicurezza di questi cittadini che sono effettivamente a rischio ed anche per richiamare le amministrazioni comunali al rispetto di quello che è un loro preciso dovere (come le direttive europee ribadiscono). Domando, inoltre, al Governo se non ritenga di adoperarsi se non altro affinché i genitori dei bambini di Livorno possano presenziare alle esequie dei figli.
. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, appare significativo il fatto che tre interpellanze all'ordine del giorno della seduta odierna - e pochi giorni fa ero qui a rispondere insieme ad un'altra collega a due interrogazioni aventi ad oggetto la stessa materia - riguardino proprio la presenza e le condizioni in cui vivono in Italia le comunità rom, l'attenzione e le risposte da dare, il rapporto che con esse ha sia l'attività di governo locale e nazionale, sia la stessa popolazione. Tale dato indica che vi è una forte attenzione e una forte rilevanza che tali questioni stanno assumendo, rispetto alle quali il Governo sta rispondendo con altrettanta attenzione, mi permetto anche di dire con un'attenzione inedita rispetto al passato. Eppure si tratta di presenze che sono con noi e tra noi da tanto tempo e che evidentemente hanno trovato solo di recente l'attenzione che meritano e che giustamente deve essere data, perché personalmente sono convinta che voltare le spalle significa soltanto far entrare poi dal buco della serratura i problemi che si vogliono lasciare dietro la porta e che, quando entrano, lo fanno con dimensioni e problematicità che sono assai più gravi e più difficili da affrontare. Anche le questioni che specificamente l'onorevole Burgio ha posto e, quindi, gli episodi che vengono richiamati, relativi alle comunità rom di Livorno e di Pavia, devono essere inseriti, come rilevato dallo stesso interpellante, all'interno di una riflessione più ampia, una riflessione complessa che chiama in causa una serie di elementi di carattere non solo normativo ma anche economico, sociale e culturale. Lei faceva riferimento, ad esempio, anche all'analisi del dato - condivido tale osservazione - che spesso è sovrastimato nella percezione dell'opinione pubblica, e che non tiene conto peraltro della pluralità nella composizione della presenza di queste comunità nel nostro territorio. Infatti, si tratta in parte di presenze storicamente esistenti e quindi anche, come lei ricordava, di cittadini italiani. Parliamo inoltre di persone che sono fuggite dal conflitto dell'ex Jugoslavia e che si trovano in Italia in una condizione di «invisibilità» - soprattutto i loro figli - perché non hanno documenti o hanno difficoltà a ricostruirli. Personalmente, sento di dire che l'invisibilità significa mancanza di rispetto del diritto della persona all'identità, ma significa anche una preoccupazione di carattere «comunitario», della comunità italiana, nonché relativa alla legalità, perché l'invisibilità spinge molti ragazzi nella clandestinità e nella devianza. Dunque, preoccuparsi di tale situazione significa preoccuparsi in un'ottica individuale ma anche di interesse comune. Vi sono, infine, persone che, invece, sono ormai comunitarie, come lei ricordava, perché di nazionalità rumena, così come persone immigrate, nei confronti delle quali - ma è una minima parte - si applicano le norme del testo unico sull'immigrazione. Ciò induce anche a riflettere, come da lei osservato, su quanto si possa davvero attribuire a queste persone la denominazione di nomadi e su quanto si possa parlare di nomadismo rispetto ad un fenomeno che invece presenta anche caratteri di stanzialità. Ritengo sia un bene che anche la politica si interessi di tali aspetti. Probabilmente ne dobbiamo discutere in maniera realistica, come lei richiede - lei diceva: con le evidenze -, per ricercare le soluzioni pertinenti, perché è ovvio che, se non c'è nomadismo, è difficile poi dire: rendiamo temporanea la presenza nei campi sosta! Siamo inseriti in una discussione che è aperta, che merita soluzioni e le merita, come lei notava, anche nell'ottica di quei richiami europei e internazionali ai quali l'Italia è sottoposta, ma direi anche nell'ottica di una riflessione che coinvolge tutta l'Unione europea. Lei ricordava la presenza sul nostro territorio dell'onorevole de Boer Buquicchio. Bene, in coincidenza con questa presenza, come lei sa, c'è stato un incontro con il Ministro della solidarietà sociale, che ha avuto come tema proprio il governo della presenza delle comunità rom. Ci sarà nei prossimi giorni la presenza in Italia di una delegazione rumena per affrontare la stessa questione. Credo che anche ciò vada nella direzione di quanto dianzi osservavo ovvero dell'attenzione del Governo a queste problematiche e soprattutto alla necessità di individuare e riconoscere l'identità culturale di queste comunità prive di territorio, tuttavia tenendo presente l'esigenza di garantire una serena convivenza con le popolazioni residenti, prevenendo ogni motivo di intolleranza o di discriminazione nei loro confronti. Per quanto riguarda gli episodi che lei ha citato nell'interpellanza, il primo si è verificato nella notte tra il 10 e l'11 agosto scorsi, in una zona periferica di Livorno. Lì si è sviluppato un incendio in alcune baracche abitate da cittadini di nazionalità rumena. L'intervento dei vigili del fuoco, a seguito di segnalazione telefonica, seppure tempestivo, non ha potuto evitare, una volta domate le fiamme, il tragico epilogo, e cioè il rinvenimento all'interno delle baracche dei corpi carbonizzati di quattro minori rom. Sin nell'immediatezza dell'evento è emerso che al momento dell'incendio erano presenti sul posto due cittadini rumeni, che si erano successivamente allontanati dal luogo del rogo senza comunicare ai vigili del fuoco la presenza dei minori nelle baracche. In un secondo momento essi sono stati rintracciati dalle forze dell'ordine in prossimità della locale stazione ferroviaria unitamente ad altri connazionali e interrogati da personale della locale questura per comprendere la dinamica dei fatti. I due rom, dichiaratisi genitori delle vittime, hanno attribuito l'incendio ad un'azione dolosa di cittadini marocchini per la mancata soggezione a pretese estorsive. Le ricostruzioni investigative dell'accaduto hanno tuttavia evidenziato l'inattendibilità della tesi da loro riportata e nei confronti dei due genitori è stato emesso un decreto di fermo, perché ritenuti responsabili di incendio colposo, in concorso con altre persone non ancora identificate, e di abbandono di minori. Il Ministero della giustizia, sentito il procuratore della Repubblica, ha riferito che la magistratura inquirente ha espresso parere favorevole alla partecipazione dei genitori, in atto indagati per abbandono di minori e incendio colposo, ai funerali dei bambini tragicamente deceduti. Da un aggiornamento, che ho personalmente richiesto, mi risulta che il permesso è limitato alla possibilità di assistere alla cerimonia funebre da parte degli stessi genitori. Lei ricordava che le esequie si terranno il 14 settembre, cioè domani, alle ore 11 nel duomo di Livorno, dove verranno celebrate con rito greco ortodosso. Tra l'altro, è previsto l'arrivo in città di parenti delle vittime e verrà allestita un'area di accoglienza in loro favore con la collaborazione delle associazioni di volontariato, che assicureranno una presenza all'interno della stessa area. Il procuratore ha smentito il contenuto di un articolo di stampa, considerati i dati allo stato acquisiti dall'indagine e l'esclusione di elementi probatori di qualunque genere comprovanti allo stato la dolosità dell'incendio. Ben diversa, ma sempre attinente al tema delle condizioni alloggiative delle comunità rom, è la vicenda relativa allo sgombero dell'ex Snia Viscosa a Pavia. Questa vicenda ha avuto inizio lo scorso 30 agosto, quando al fine di consentire l'attuazione dell'ordinanza con la quale il sindaco di Pavia aveva disposto la messa in sicurezza di edifici strutturalmente pericolanti ubicati all'interno di un'area industriale dismessa, sono stati sgomberati forzosamente circa duecento cittadini rumeni di etnia rom ivi dimoranti senza titolo. Le persone evacuate sono state inizialmente assistite ed ospitate a cura della Croce rossa italiana e del comune di Pavia e successivamente riallocate in sistemazioni alternative nel frattempo reperite, anche attraverso provvedimenti straordinari di requisizione presso i comuni di Pavia, Albuzzano e Pieve Porto Morone. I provvedimenti adottati per la sistemazione delle persone sgomberate hanno incontrato proteste e resistenze nelle comunità locali interessate, poi parzialmente attenuatesi a seguito del volontario trasferimento di diversi nuclei familiari verso altri siti anche al di fuori della provincia di Pavia. Al momento, comunque, la situazione è ancora in evoluzione. Il Ministero della giustizia, in merito alla vicenda, ha rappresentato che non risulta pendente allo stato alcun procedimento penale per condotte di discriminazione razziale ed etnica legate allo sgombero dell'ex Snia, e che le attività di indagine in corso, coperte dal segreto investigativo, sono finalizzate ad accertare la sussistenza di ipotesi di reati edilizi in merito alla demolizione di uno degli edifici della predetta area.
, . Il minimo comune denominatore dei due episodi che lei ha richiamato è quindi quello della precarietà alloggiativa dei gruppi nomadi, che è spesso causa di degrado delle condizioni di vita e di relazione con l'ambiente circostante. Si tratta di un profilo che investe, dicevo anche l'inizio, l'identità culturale di queste comunità e delle loro persone, dei loro appartenenti in quanto tali, e che pone quindi delicati problemi di governo del fenomeno che vanno affrontati in sinergia con gli enti locali competenti alla gestione e alla realizzazione dei campi, ma anche con gli organismi sanitari e le espressioni del volontariato e del privato sociale. Ricordavo prima, nella risposta che ho dato all'onorevole Smeriglio, il Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati. Credo che sia stato un punto importante aver recuperato una disponibilità di risorse in direzione dell'inclusione, dell'integrazione delle persone che vivono sul nostro territorio; osservo al riguardo, anche richiamandomi a quanto dianzi affermato, che esiste un'attenzione forte e continua del Governo centrale sul tema dei rom, tesa a coniugare i principi di accoglienza e legalità, nel pieno rispetto dei diritti delle minoranze e delle esigenze generali di promozione e tutela della civile convivenza. Al tavolo tecnico che il Ministero dell'interno ha convocato dallo scorso mese di aprile partecipano i rappresentanti di tutte le amministrazioni centrali interessate, nonché delle associazioni Opera nomadi, Comunità di Sant'Egidio, AIZO, UNIRSI, Sucar drom, Comunità di Capodarco, Centro studi zingari, Caritas ed Arci. I lavori del tavolo tecnico hanno individuato possibili soluzioni normative, che mirano a colmare le lacune della legislazione vigente in materia di tutela delle minoranze. Per quanto riguarda gli atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sulle identità sessuale o di genere, va segnalato il disegno di legge di iniziativa governativa predisposto dal Ministero della giustizia recante «Norme in materia di sensibilizzazione e repressione della discriminazione razziale, per l'orientamento sessuale e l'identità di genere, modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654». Il testo, che attualmente è all'esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati, ha dato rilievo, fra l'altro, alla condotta della diffusione, in qualsiasi modo realizzata, delle idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale, prevedendo anche la condotta di incitamento in luogo dell'istigazione, con l'inasprimento delle relative pene. Si tratta di un'innovazione che consentirebbe di reprimere con efficacia ogni forma di esternazione concernente la superiorità e l'odio razziale qualora essa assumesse caratteristiche tali da cagionare, nell'ambito del tessuto sociale, un serio allarme in ordine alla possibile successiva realizzazione di atti di discriminazione. Per quanto concerne, infine, la direttiva europea contro la discriminazione razzista, segnalo che il Governo vi ha dato piena attuazione emanando, su proposta dei Ministri del commercio internazionale, per le politiche europee, per i diritti e le pari opportunità e del lavoro e della previdenza sociale, con il concerto del Ministro della giustizia, il decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 215, di attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, con il quale è stato istituito presso la Presidenza del consiglio l'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale). Con tale ufficio, il Governo ha inteso rimuovere ogni discriminazione fondata sulla razza e l'origine etnica, favorendo l'integrazione nella società di tutti gli stranieri e promuovendone la parità di trattamento.
. L'onorevole Burgio ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, do atto al sottosegretario delle misure positive che il Governo viene assumendo in tema di integrazione e di accoglienza, e ne sono molto lieto. Sono anche molto soddisfatto del fatto che i genitori di questi poveri bambini di Livorno possano partecipare ai funerali; mi auguro poi naturalmente - questo è solo un auspicio, che si accompagna peraltro alla fiducia nell'istituzione - che la magistratura disponga con la massima cura lo sviluppo delle indagini relative alla vicenda del rogo di Livorno. Per quanto riguarda Pavia, la situazione è in evoluzione e dunque, signor sottosegretario, richiede anche da parte del Governo il mantenimento della massima attenzione. Sono invece un poco stupito che si ritenga - se ho ben capito - che sul territorio pavese non siano stati compiuti reati riconducibili al razzismo. Le frasi che riportiamo, infatti, che si attesta esser state pronunciate dal sindaco di Torre d'Isola, mi paiono configurare precisamente non già l'apologia ma la pratica del razzismo e dell'incitazione al razzismo. In proposito, qualche giorno fa, mi trovavo a Pieve Porto Morone e vi assicuro che vi è una situazione davvero spaventosa, con scritte asserenti la natura bestiale, animale di queste persone. Peraltro, non casualmente queste manifestazioni sono state poi seguite da veri e propri assedi, con lanci notturni di mattoni e minacce fisiche: una situazione che ha indotto il Ministro della solidarietà sociale a parlare di un vero e proprio . Ella, signor sottosegretario, affermava - e concordo - che è necessario assumere un'ottica realistica: in altri termini, bisognerebbe tutti rinunciare a qualunque forma di speculazione ideologica e di strumentalizzazione politica, che costituirebbe il primo peccato di ordine morale, poiché vi sono di mezzo delle persone. Sappiamo che in realtà, invece, spesso si cede poi alla tentazione, da tutte le parti, di «tirare» i fatti dalla propria parte per costruire tesi ideologiche che sembrano utili (e questo è un esercizio di straordinaria miopia, perché stiamo parlando di cose che si possono anche ritorcere contro di noi, con una violenza di cui tutti, peraltro, abbiamo esperienza). Bisogna evitare, soprattutto, di speculare sulle paure e, magari, anche di ingenerare le paure, evocando scenari di invasioni barbariche e minacce di violenze o di contaminazioni. Proprio per questo, signor sottosegretario, vorrei fare assai brevemente, in sede di replica, un ragionamento di fondo, senza il quale ho l'impressione che i singoli episodi manchino di una lettura adeguata. Il punto, a mio giudizio, è generale, come ella stessa, peraltro, mostrava di intendere: qual è, cioè, l'idea delle relazioni che noi abbiamo tra le diverse componenti della nostra - sottolineo: nostra - popolazione? Quali sono le politiche di integrazione? Io penso, davvero, che il problema sia di ordine sistemico ed organico. Oggi leggevo sul quotidiano della Confindustria un articolo che dimostra ciò in negativo l'illustre articolista, Innocenzo Cipolletta, istituiva l'alternativa: o tolleranza o sicurezza. Penso che questo sia, effettivamente, un modo pericoloso, oltre che sbagliato, di impostare il problema, e mi pare che abbiamo la riprova che, ciclicamente, ritorni questa sindrome autoritaria, con tutti i suoi corollari, e cioè l'illusione che reprimere è magari un prezzo che si paga tristemente, ma può assicurare ordine e sicurezza; mentre abbiamo sistematicamente la riprova del contrario: più repressione e più autoritarismo generano più violenza reattiva e maggiore insicurezza. Lo stesso modello a «tolleranza zero», che è stato improvvidamente evocato anche da amministratori del centrosinistra, lo dimostra: anche negli Stati Uniti si registra crescente violenza, parallelamente al dilagare della popolazione sottoposta a misure di detenzione o a misure di restrizione della libertà. Questa dinamica riattiva lo sviluppo del rifiuto razzista dell'altro (sia esso lo straniero, il marginale o colui il quale è ritenuto un intruso). Vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che non si tratta di una lezione di storia, ma del nostro presente, e che non c'è per la politica - che oggi si trova confrontata e sfidata da una crisi che alimenta pulsioni populiste, antipolitiche e plebiscitarie - rischio più grande del non intenderlo: è la nostra realtà. Il razzismo torna ad essere, davvero, una componente della nostra relazione sociale e le cause sono ovvie: si dirà che ci sono i flussi migratori, ma, a monte, noi siamo una società pervasa dall'insicurezza, e a mio modo di vedere è questa precarietà, che si declina su tutte le dimensioni della nostra vita sociale, il vero innesco (e la paura, poi, come sempre alimenta versioni, stereotipi, inducendo a riflessi persecutori). In genere si parla di «rigurgiti», e vorrei che riflettessimo su questa parola, perché proprio di rigurgiti si tratta (il termine rigurgito significa che non si è metabolizzato qualcosa): noi abbiamo a che fare con il nostro passato che ritorna, con il quale effettivamente non abbiamo fatto i conti. Il razzismo è presente nella pancia delle nostre società, e ciò è, d'altra parte, anche comprensibile, perché è una delle componenti - ci piaccia o meno - dei processi di costituzione delle nostre comunità nazionali. Non si direbbe, però, che la politica ne sia sempre consapevole, se consideriamo con quale disinvoltura, leggerezza e, talvolta, irresponsabilità maneggiamo - ripeto, ancora una volta, tutti noi - materiali roventi e pericolosi, come i temi dell'insicurezza e delle ansie, i problemi dell'integrazione, della marginalità e l'immaginario che tutti questi problemi veicolano, con densi aloni simbolici che, appunto, richiamano poi le pagine più cupe della nostra storia. Quanto è avvenuto (e sta avvenendo) a Pavia, quanto è avvenuto a Livorno, non rappresenta un caso (questo è il punto, e lo dobbiamo sapere), ed evoca, a mio avviso, precise responsabilità dalle quali la politica - penso anche alla vicenda dei lavavetri, con tutto ciò che questo comporta in termini, ancora una volta, simbolici e di «sdoganamento» di una determinata prospettiva di interpretazione e di certi giudizi - non è immune. Perché i segnali poi si rivolgono ad un'opinione pubblica che li assume e li rielabora a modo suo. Quando vi sono sindaci che capeggiano rivolte contro un prefetto che esercita opera di accoglienza e gridano slogan nazisti, ci si può meravigliare se le persone compiono le spedizioni punitive che ricordano i come dicevo prima, quando anche le autorità di polizia, signor sottosegretario, e persino quelle di Governo si mostrano scarsamente attente nei confronti degli allarmi lanciati per il dilagare dello squadrismo neofascista? Al riguardo voglio raccontare un brevissimo episodio e concludo il mio intervento. Mi è capitato, infatti, per ben due volte, non una, di sentirmi replicare, per iscritto, e pertanto di leggere la risposta di un suo collega un po' sbrigativa, se vogliamo, che le intimidazioni di Forza Nuova, che venivano documentate nelle interpellanze, si inquadrerebbero nello schema degli opposti estremismi, ma in assenza di qualsiasi azione di parte opposta. Quando vi è una tale scarsa attenzione, ci si può meravigliare che la destra radicale faccia proseliti, specie tra i più giovani, e diffonda le sua predicazione di violenza e di odio verso i più deboli? Questa, signor sottosegretario, in conclusione, è la situazione ed essa si presenta, a nostro modo di vedere, gravida di rischi. Non avremmo attenuanti se proseguissimo a sottovalutarla, ad affrontare i singoli episodi enucleandoli da un contesto o, peggio, se continuassimo a trasmettere messaggi ambigui che ammiccano, appunto, alle propensioni neorazziste che, purtroppo, in base alla nostra opinione, si stanno propagando nel nostro Paese.
. L'onorevole Gibelli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00704 concernente la situazione della comunità rom nel comune di Pavia .
. Signor Presidente, ritengo sia utile illustrare l'interpellanza (anche a fronte delle considerazioni che questa mattina anticipano già una parte della risposta) che è rivolta dal nostro gruppo al Governo e che ha dato l'opportunità di estendere un dibattito già abbastanza ampio sui problemi dei nomadi e dei rom in particolare, tenendo conto che vi sono addirittura due interpellanze, una a mia firma e un'altra dell'onorevole Burgio di Rifondazione Comunista, che ha appena terminato il proprio intervento. Voglio partire da alcune considerazioni che non sono strettamente legate all'interpellanza, anche perché intendo in un'aula parlamentare porgere ufficialmente le scuse ad una comunità, quella di Pieve Porto Morone, che è tutto tranne che razzista, come l'ha definita poc'anzi il collega Burgio di Rifondazione Comunista. Egli sarà andato a trovarli, avrà letto delle scritte, avrà sentito degli slogan, ma io abito a 10 chilometri da Pieve Porto Morone e non prendo lezioni! Bisogna individuare i motivi che, in una situazione contingente, che non è descrivibile, come abbiamo sentito, hanno condotto un sindaco, alcune amministrazioni e la popolazione locale a iniziare una sorta di rifiuto del campo nomadi che si sono trovati di fronte nel corso di una notte. Essi non erano stati avvertiti, nessuno è stato interpellato: si discorre tanto della democrazia, della partecipazione, del confronto democratico e dell'integrazione, ma tali definizioni astratte, che ho sentito questa mattina, non possono prescindere dal confronto politico e democratico e dalle libere scelte delle comunità. Tutto ciò a Pavia è stato negato, così come a Pieve Porto Morone! Tale circostanza e parte dell'interpellanza riguardano le responsabilità del Ministero dell'interno, nelle funzioni e nei compiti del prefetto di Pavia, e pretendiamo, come Lega Nord, delle risposte precise per evitare che la situazione degeneri proprio in risposta opposta a quanto il collega Burgio ha riferito questa mattina. Mi dispiace che il collega non abbia il diritto di replica perché la procedura parlamentare relativa alle interpellanze non lo prevede. La mia stima nei suoi confronti rimane assolutamente immodificata, nel confronto politico degli opposti schieramenti, però posso assicurare che la popolazione di Pieve Porto Morone non è descrivibile con le parole a cui faceva prima riferimento, di un nazista e quant'altro. Si tratta di paura! Paura è una parola semplice, che non sento mai pronunciare dagli esponenti della sinistra come un motivo razionale (non irrazionale) di domanda di sicurezza. Abbiamo sentito parlare, nelle interpellanze e anche in questi giorni sui giornali, delle comunità rom catapultate nel nostro Paese, come una filiera storica che viene individuata, secondo me a torto, come appartenente alla comunità nazionale, probabilmente solo in termini storici, ma non di identità (poi si potrebbe parlare di un'identità composita e quant'altro). Tuttavia, la domanda è un'altra: la popolazione del nostro Paese, che fa i ragionamenti «di pancia», razzisti e ignoranti - come sono stati definiti -, non si pone probabilmente la questione razionale che queste popolazioni, a Pavia, nell' di Milano e in altre città, sono dedite alla delinquenza? Ho sentito parlare di integrazione composita delle popolazioni rom nella nostra società. Ma che cosa fanno? Forse, nel lontano Ottocento, con alcuni lavori artigianali sopravvivevano, ma oggi non esiste più questo tipo di rapporto: rubano! Rubano ed è questo il motivo della paura che porta la gente al rispetto della legalità. Si tratta di un fatto culturale. Noi dobbiamo ammettere oggi che, per noi, le popolazioni nomadi, oggi così definite, non esistono più nei fatti; è una scusa per poter passare da un Paese all'altro in maniera impunita a spese dello Stato e della comunità per alimentare la delinquenza. Non ci sono altri motivi per i quali le popolazioni di Pieve Porto Morone, della provincia di Pavia, della Lombardia e di altre zone d'Italia rifiutano tali comunità. Casi di rapimenti di bambini a Mantova, a Milano e nel Sud sono stati richiamati sui giornali, ma il punto di vista della nostra gente non è mai preso in considerazione. Si sostiene, in maniera errata, il principio che, attraverso la fornitura di campi strutturati e pagati dalle comunità locali (con luce, gas, eccetera), si possa tentare la strada dell'integrazione, ma questa è fallita perché, culturalmente, non esistono più i rom, ma solo la scusa di spostarsi da un posto all'altro per rubare! Questo è il motivo per il quale le popolazioni si spaventano, rifiutano i rom e ritengono che non vada assolutamente percorsa la strada dell'integrazione, che non esiste: questo è quanto in tutte le occasioni ho sentito, qui e fuori. Le popolazioni coinvolte, guarda caso - questo è il bello che dimostra la verità! -, non si dividono più tra destra e sinistra. Tutti quei moralisti della sinistra per bene, quando hanno il problema sotto casa, sono dalla parte di quei sindaci che stanno dalla parte della legalità e che chiedono al prefetto - come quello di Pavia - di rispettare le regole e di interpellare le comunità. Sul punto mi aspetto una risposta chiara da parte del Ministero dell'interno, perché esiste questo precedente di un prefetto della Repubblica che ha reso delle dichiarazioni rispetto alle norme che doveva applicare e al confronto che doveva avere con le amministrazioni locali. Vi sono prefetture che possono essere definite quasi delle «monarchie autogestite», figlie di una sorta di solidarietà che non si paga a proprie spese, ma si fa pagare, sui titoli dei giornali, allo Stato. Perché la solidarietà, signor sottosegretario, appartiene agli uomini e alla responsabilità individuale; non si può dire: «Mi faccio bello, come prefetto, sulla pelle delle comunità locali, tanto non toccherò il mio portafoglio, ma sempre quello di qualche altro cittadino»! Ciò non c'entra nulla con la solidarietà e l'emergenza. Non c'entra nulla, perché le dinamiche dello spostamento da Pavia verso altre comunità sono assolutamente inaccettabili, non avendo coinvolto né le amministrazioni, né le comunità locali. Purtroppo, c'è una cultura di buonismo. Quando i problemi sono così lontani dai «palazzi», bisogna sempre trovare definizioni astratte e giustificazioni rispetto al fatto che tutto il problema, dimostrato dalle statistiche, di tale incompatibilità, del non voler trovare lavori accettabili o accettati all'interno di una comunità come la nostra, è ben lontano dalle esperienze di tali comunità, che, attraverso la scelta di autoghettizzarsi, continuano a produrre attività criminose: ciò è inaccettabile. Quindi, l'interpellanza chiede che vengano richiamati - mi aspetto che ciò avvenga - gli obblighi di legge che sottendono ai compiti di un prefetto di una provincia civilissima come quella di Pavia, che non ha nulla a che fare con il razzismo, ma che pretende che lo Stato non definisca in maniera astratta la sicurezza. Fino a qualche settimana fa, infatti, queste popolazioni erano ritenute assolutamente pacifiche: non ci sono mai stati gesti di intolleranza, la democrazia era un aspetto che animava la comunità; e la sinistra è particolarmente rappresentata nella provincia di Pavia. Oggi ci sono le rivolte, non solo di una parte, ma di tutta la comunità. Poi ci sono le esagerazioni, vi è sempre chi deve individuare un nemico. Quindi, magari c'è qualche responsabilità, qualche esagitato, qualcuno che esagera. Il problema di fondo è che non si può trattare la gente così e non sento mai la riserva di ammettere la possibilità che queste comunità abbiano qualche ragione. Si è parlato delle comunità rom come se fossero la Silicon Valley della nostra Repubblica e dell'arricchimento culturale. Ciò non appartiene alla realtà delle esperienze quotidiane. Quelli che si verificano alla stazione centrale a Milano non costituiscono dei fatti isolati, ma strutturalmente e culturalmente legati a chi non si vuole e non può integrarsi, perché culturalmente ha deciso che, piuttosto che lavorare, è meglio alimentare attività criminose. Pretendo le scuse, dunque, rispetto alle accuse che ho colto in alcune interpellanze questa mattina, perché non c'è niente di razzista e le popolazioni per bene, che vogliono la garanzia della legalità nella provincia di Pavia, sono la stragrande maggioranza e mi auguro che sia lo Stato a rispondere, altrimenti ci penseranno i partiti e tutte le persone che si metteranno a fianco di quei partiti che vogliono riportare in ogni caso la legalità .
. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, per esaudire la risposta mi atterrò a ciò che è scritto nel testo dell'interpellanza. Ovviamente, nell'intervento dell'onorevole Gibelli vi sono aspetti che sollecitano una riflessione di fondo, sulla quale vorrei, con il consenso del Presidente e dell'Assemblea, tentare di interloquire. Trovo, infatti, che tale tema coinvolga davvero la responsabilità politica tutta e, quindi, quella di Governo, fermo restando, onorevole Gibelli, che non c'è un «palazzo» che guarda dall'alto e dall'esterno le dimensioni locali e ciò che lì accade. Voglio considerare che quando dice «la nostra gente», lo fa perché si considera parte di quella comunità, come lei ha detto, e non in un'accezione di alterità rispetto ad un Governo che, così come quando era guidato dal centrodestra, ora che è guidato dal centrosinistra sente propria l'intera comunità nazionale e, quindi, anche le comunità locali. Parliamo di una «nostra gente» in un'accezione comune all'esperienza politica e che ci chiama ad interessarci dei problemi di tutti coloro che si trovano sul nostro territorio. Entrando nel merito della questione, ho già detto all'onorevole Burgio che si tratta di una vicenda in divenire, pertanto la situazione che le descrivo è quella che risulta dalle informazioni di cui disponiamo, nulla escludendo che nelle prossime ore e nei prossimi giorni tale situazione possa evolvere, anche attraverso un'ulteriore ricollocazione dei nuclei familiari che sono stati evacuati dall'area dell'ex Snia di Pavia. La prefettura riferisce che la vicenda ha avuto inizio lo scorso 30 agosto - entrerò un po' più nei particolari di quanto fatto con la precedente risposta - quando, al fine di consentire l'attuazione di un'ordinanza del sindaco di Pavia relativa alla messa in sicurezza di alcuni edifici pericolanti ubicati all'interno dell'area industriale dismessa ex Snia Viscosa, sono stati sgomberati forzosamente circa duecento rumeni di etnia rom che vi dimoravano senza titolo. In attesa che le persone sgomberate provvedessero autonomamente alla ricerca di soluzioni alloggiative è stato inizialmente offerto loro un servizio di prima assistenza a cura della Croce rossa italiana e della struttura di protezione civile del comune di Pavia, coadiuvato dal comune di Milano. L'amministrazione del capoluogo, in particolare, si è fatta carico di dare ospitalità ai soggetti in condizione di particolare disagio (disabili, donne in stato di gravidanza) presso propri locali, mentre le altre persone sono state inizialmente ospitate presso una struttura sportiva comunale, dove hanno sostato due giorni. In considerazione sia della concreta difficoltà a reperire soluzioni alloggiative alternative, sia dello stato di malcontento espresso dalla cittadinanza per il permanere nel capoluogo di tutte le persone sfollate dall'area dell'ex Snia, il 5 settembre si è proceduto ad una ricollocazione sul territorio delle 106 persone che non avevano nel frattempo reperito una diversa sistemazione. Di queste 106 persone, quindici sono state spostate in tre abitazioni libere site nel comune di Pavia (per due delle quali il prefetto di Pavia ha adottato un provvedimento di requisizione della durata di tre mesi); dieci sono state ospitate presso alcuni locali messi a disposizione dalla «Casa del giovane» di Pavia, una struttura di accoglienza gestita da un sacerdote della diocesi locale; trentacinque sono state distribuite in cinque unità abitative da lungo tempo disabitate site nel comune di Albuzzano, anche queste requisite con un provvedimento del prefetto della durata di tre mesi; quarantasei sono state allocate all'interno di una struttura libera messa a disposizione dal vescovo di Pavia, nel comune di Pieve Porto Morone, la Cascina Gandina, già utilizzata come comunità per tossicodipendenti. I provvedimenti adottati dal prefetto sono stati assunti per far fronte ad una emergenza di tipo umanitario, ma anche per contenere l'esasperazione crescente che si registrava nella città di Pavia, dove la contrapposizione tra i movimenti a sostegno dei rom - gruppi della sinistra radicale, centri sociali - e movimenti di estrema destra rischiava di degenerare. Alla notizia dell'insediamento sul loro territorio dei rom sgomberati, una parte dei cittadini residenti nei comuni di Albuzzano e Pieve Porto Morone ha dato inizio a manifestazioni spontanee di protesta per chiedere, con toni talvolta esacerbati, il loro immediato allontanamento. Nel comune di Albuzzano, le manifestazioni lungo l'ex strada statale 235 hanno determinato l'interruzione del traffico veicolare sull'arteria, mentre a Pieve Porto Morone è stato posto un presidio dinanzi alla struttura che alloggia i cittadini rom, con invettive al loro indirizzo e, nella notte del 9, anche con il lancio di alcuni sassi contro una finestra della cascina. Nessuna persona è stata ferita in tale circostanza. Lo stato di tensione ha reso necessaria l'attuazione di un dispositivo fisso delle forze di polizia in entrambi i comuni interessati dalle proteste. Al momento, il numero dei cittadini rom presenti nelle strutture richiamate si è ulteriormente ridotto, poiché molti di loro hanno scelto di lasciare la provincia. Ciò ha determinato un'attenuazione delle proteste nel comune di Albuzzano, mentre vi sono ancora tensioni a Pieve Porto Morone. La situazione resta tuttora in costante evoluzione e attualmente, secondo i dati forniti dalla prefettura, sedici persone sono ad Albuzzano e ventuno a Pieve Porto Morone. Quanto all'applicazione del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, la prefettura di Pavia ha adottato quindici decreti di allontanamento nei confronti di cittadini rom dimoranti presso l'area ex SNIA Viscosa, mentre è in fase di avvio il procedimento per l'allontanamento di altre undici persone. Tra i provvedimenti adottati, quattro sono stati impugnati dinanzi alla competente autorità giudiziaria, che ne ha confermati tre e annullato uno. Fin qui i fatti specifici riguardanti la provincia. Rinviando ad ogni valutazione conclusiva la definitiva soluzione della vicenda, aggiungo che i provvedimenti adottati dalla prefettura sono stati dettati dall'urgente e indifferibile necessità di fronteggiare un'emergenza che, al di là delle ragioni di carattere umanitario, che pur non vanno trascurate, comportava oggettivi profili di rischio anche per l'ordine e la sicurezza pubblica. Riprendo il ragionamento iniziale, per affermare che è evidente che tale vicenda non può non essere inquadrata nel più ampio contesto delle problematiche relative all'accoglienza delle popolazioni nomadi, al loro inserimento sociale e alle qualità delle relazioni con le popolazioni residenti, spesso difficili e problematiche. L'onorevole Gibelli parlava di paura. Credo che l'atteggiamento responsabile sia quello di non sottovalutare mai le paure rappresentate dalle persone che, al contrario, vanno prese sul serio, soprattutto quando manifestano e paventano un'inquietudine rispetto alle condizioni di sicurezza per la loro esistenza; qualunque condizione di sicurezza, anche quella relativa al timore di rimanere vittime di possibili episodi criminali. Ritengo che la politica abbia il compito di parlare alla paura, di non strumentalizzarla, né di abusarne, per non creare un effetto moltiplicatore della paura stessa che rende poi difficile a tutti i soggetti politici garantire l'obiettivo a loro affidato; ossia il mantenimento all'interno della comunità di un tratto democratico, che sicuramente esiste nella comunità di cui si tratta come in molte altre comunità italiane che oggi si misurano con la problematica della presenza dei rom. Voglio dire che non si può perdere di vista l'ottica generale rispetto alla questione e la necessità di governarla - mi rivolgo anche a lei, onorevole Gibelli - con una prospettiva che sia dinamica e risolutiva. Penso che tale sia la funzione che la politica, e quindi il Governo in prima persona, deve assumere oggi, come ieri, perché anche in passato sul territorio nazionale vi erano comunità rom e oggi, come ieri, vi sono collettività in stato di disagio e con difficoltà di integrazione, così come permangono comunità nelle quali il tema dei minori è molto presente e forte o nelle quali esiste anche una componente di delittuosità. Oggi come ieri la politica ha il compito di affrontare una questione che interessa tutto il territorio dello Stato, che non riguarda, quindi, la singola comunità, che pure va rispettata - come lei dice - nelle sue aspettative e attese rispetto al desiderio legittimo di pacifica convivenza. Tuttavia, rispetto a ciò, non possiamo trascurare che esiste un tema che va governato nella direzione, comunque, di possibili soluzioni che si possono individuare. Credo che a partire da questo episodio, da quello di Livorno, abbiamo il dovere di confrontarci e di indicare quali soluzioni possibili immaginare. Precedentemente affermavo che, per quanto riguarda il nostro Ministero, stiamo ipotizzando una conferenza internazionale che aiuti ad avere anche un confronto sulle adottate in ambito europeo. L'Unione europea, inoltre, ci richiama a non tenere comportamenti discriminatori e su ciò richiama anche gli enti locali che, invece, devo dire - lo ho ricordato anche in precedenza - stanno mostrando prova di grande attenzione alle problematiche relative all'integrazione di queste comunità, investendo risorse. Credo che tutto ciò debba porsi in un ragionamento complessivo che si può svolgere, e che va svolto, in ambito nazionale, proprio per aiutare da una parte le amministrazioni locali a non essere sole ad affrontare le questioni, e dall'altra le comunità locali a non sentirsi - anche loro - poste in un'ottica solitaria e a doversi confrontare con un problema che, tuttavia, esiste e che verte su comunità che non possiamo assolutamente trascurare nei caratteri di cui sono portatrici e che chiedono davvero attenzione, senza mai trascurare l'ottica di legalità, così come quella di accoglienza positiva e dinamica. Soprattutto, è necessario fornire una risposta al bisogno di sicurezza che i cittadini pongono.
. L'onorevole Gibelli ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, francamente mi ritengo ampiamente insoddisfatto della risposta. Tuttavia, tenterò di fornire delle spiegazioni. L'intervento del sottosegretario si articola su due capisaldi, di cui devo ammettere di essere particolarmente sorpreso. Ho accettato il confronto, e anche l'invito, a un dialogo che non è possibile affrontare in una interpellanza, forse ci saranno altre occasioni in Parlamento per un confronto più diretto. Tuttavia, signora sottosegretario, non ha avuto nemmeno un sussulto rispetto ad una esposizione, che letteralmente, contiene frasi che mi hanno lasciato sconcertato. Quando lei parla di case requisite ad Albuzzano, non si riferisce ad un episodio normale in un Paese normale. Non è possibile che il prefetto occupi case abbandonate senza fornire spiegazioni se erano di proprietà di qualcuno e che il termine occupazione - tanto caro alla sinistra - debba diventare un fatto-istituzione di un contesto democratico! Si dà per scontato che se vi è una casa abbandonata di fianco alla mia, per necessità e per motivi umanitari - come lei li ha definiti -, si occupa la casa per risolvere un problema, in modo da evitare uno scontro. È la mancanza del sussulto, ovvero della riserva culturale su tali modalità che mi ha lasciato sconcertato. Capisco la necessità di risolvere il problema, tuttavia siamo passati a Pieve Porto Morone: occupazione di alcuni terreni e di alcuni locali offerti. La comunità della Bassa pavese si era espressa contrariamente, non solo la comunità locale di Pieve Porto Morone, ma tutti i sindaci - compresi quelli di sinistra -, sulle non condizioni di accettabilità. L'occupazione di terreni da parte del prefetto è un fatto ormai necessario e quindi fa tornare - questa è la terza considerazione da lei svolta - alla «ricollocazione» sul territorio delle ricordate popolazioni. Sottosegretario, lei parla di «ricollocazione» sul territorio: ma non stiamo spostando delle mandrie, bensì delle popolazioni. «Ricollocazione» è un termine che usava Stalin, quando spostava le popolazioni! Non si tratta di una polemica: sono spaventato per il fatto che si dia per scontato che, senza il confronto con le comunità, si abbia l'autorità di spostare e «ricollocare» persone dietro motivazioni di ordine umanitario e di sicurezza, senza fornire risposte in termini di rispetto delle norme. Se, infatti, passa il principio secondo il quale un prefetto, per motivi umanitari e legati alla sicurezza, non rispetta le leggi di questo Stato, non c'è né destra né sinistra che si salvi! Il problema non si risolve così! Ho dedicato l'80 per cento del mio intervento precedente al fine non di aizzare la popolazione, ma di spiegare che, secondo il principio di una parola che oggi è diventato un tabù - la «paura» (nel senso che tutti ne parlano, ma poi la risposta a questa sensazione viene spesso liquidata come una sorta di meccanismo non razionale, di «pancia», di non rispetto, di democrazie non compiute... definizioni tutte astratte) - la soluzione c'è. Ho impostato l'80 per cento del mio intervento sul fatto che considero i rom una comunità non più collocabile culturalmente rispetto ai presupposti della fine dell'Ottocento e dell'inizio del Novecento, ma una comunità che ha scelto quelle modalità di vita perché ritiene utile per sé praticare attività che si è ampiamente dimostrato essere illegali: ciò non può giustificare qualunque soluzione di tolleranza per motivi culturali. Avendomi lei richiamato alle mie responsabilità, ci ho pensato (non oggi, dal momento che, nei cinque anni di Governo precedente, il metodo che avevamo adottato, pur non avendo risolto tutti i problemi, aveva, comunque, il punto fermo di non individuare mai soluzioni fondate sulla mediazione con culture che ammettono l'illegalità): l'illegalità è il punto fermo. Ciò non avviene per i motivi culturali e di disagio di cui si parla (motivi che è da dimostrare siano finalizzati ad una reale condizione di impraticabilità di alcune attività di lavoro). Ci troviamo, invece, di fronte ad una «maschera» con la quale, dietro alla definizione di disagio e di culture che praticano da secoli il nomadismo, si tollera l'illegalità. Ciò non è accettabile: è questa la prima risposta che deve fornire uno Stato, che non può trovare assolutamente mediazioni. Mi aspettavo, francamente, una risposta più netta nei confronti dell'attività del prefetto di Pavia: per noi è grave che, dietro la definizione di sicurezza e di questioni legate a motivi umanitari, le norme siano interpretate in un modo in cui non sono interpretabili, per come oggi le vicende nella provincia di Pavia si stanno susseguendo. Ritengo, pertanto, che questa possa diventare l'occasione per ritornare in maniera articolata sul fatto che oggi ci troviamo di fronte ad una situazione che - come affermavo nel mio intervento iniziale - colloca questo tema in una dimensione non più ai margini, ma ormai come un problema quasi strutturale, perché abbraccia le problematiche di moltissime comunità. L'unica soluzione, le dicevo, non è quella di capire tutte - e sempre - le ragioni degli altri, ma di capire che vi è solo una forma di legalità, che è quella che noi ci siamo dati: o si vive nella legalità, o non si può stare nella nostra comunità. Il Prefetto aveva gli strumenti di legge, compresi quelli adottati nel 2007, quindi da qualche mese, per poter allontanare queste popolazioni dalla provincia di Pavia, perché le stesse, nel corso degli anni, hanno dimostrato, di non volersi integrare e di essere comunque legate a una cultura che è stata definita e si è autodefinita incompatibile, per scelta, con la nostra realtà. Poiché ritengo che tutti gli uomini possano scegliere e che non vi siano solo costrizioni, ma anche libertà di scegliere altri modelli di vita, credo che questa scelta non sia stata adottata. Quando dietro la definizione della società multiculturale si ammettono fette di illegalità tollerate, il risultato è questo ed è assolutamente inaccettabile. Quindi, penso che nei prossimi mesi ci saranno le condizioni per tornare su questo argomento e trovare soluzioni. Abbiamo constatato che anche ministri del centrosinistra hanno inaugurato la cosiddetta «tolleranza zero». Quando l'avevamo proposta noi del Governo di centrodestra, nella precedente legislatura, la definizione era «intolleranza e razzismo». I muri sono stati costruiti in città in cui ci sono sindaci di centrosinistra e le deportazioni e le ricollocazioni fanno parte di una cultura che mi farebbe comunque riflettere un po' di più quando in un'aula parlamentare sento pronunciare il termine «requisite abitazioni» con la leggerezza con cui è stato pronunciato oggi in quest'aula. Per me, infatti, è comunque un fatto grave, una violenza che tenta di risolvere un problema, perché deportando persone per motivi di sicurezza il problema non si risolve. È solo un modo per spostarlo, esasperandolo, da un'altra parte.
. L'onorevole Satta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00671, concernente qualità del servizio offerto dalla compagnia aerea Alpi Eagles .
. Signor Presidente, signor sottosegretario, rimando a ciò che è successo quest'estate - l'interpellanza è dei primi di luglio - nell'aeroporto Costa Smeralda e in altri aeroporti dove ha operato la compagnia Alpi Eagles, ai fiumi di inchiostro che hanno riempito tutti i giornali locali e nazionali. Non parlo di quelli della Sardegna, che hanno riempito pagine intere. La situazione che si verifica durante l'estate è insostenibile, soprattutto nei territori particolarmente sensibili al fenomeno del turismo, con tutte le valutazioni sull'intensità del traffico, che crea inevitabilmente alcune disfunzioni. Resta il fatto che la compagnia Alpi Eagles ha dimostrato ampiamente - non perché lo dice chi parla - di essere inadeguata, per la flotta disponibile, per i servizi e per l'organizzazione che ha dimostrato, a svolgere tutti i servizi, i trasferimenti e i collegamenti da un aeroporto all'altro. Quest'interpellanza, dei Popolari-Udeur, chiede anche se il Governo e, in particolare, il Ministro dei trasporti o gli enti competenti, abbiano davvero preso in esame questa situazione, se siano stati adottati provvedimenti o quali provvedimenti intendano adottare, oppure se siamo sempre alle solite: «passata la festa, gabbato lo santo». Ci avviciniamo al mese di ottobre, il flusso dei trasferimenti è particolarmente limitato e la compagnia aerea può rientrare tranquillamente negli con i suoi e svolgere alcuni collegamenti di cui ha la titolarità. Signor sottosegretario, il problema è semplice: vogliamo dare serietà al trasporto aereo per ciò che costa e per ciò che rappresenta, una funzione fondamentale e sempre più importante nell'era moderna, che, peraltro, ha costi molto elevati, soprattutto per chi abita in un'isola? Lei sa, infatti, che, ad eccezione di alcuni collegamenti per i quali esiste la famosa continuità territoriale, che è limitata ad alcuni vettori e ad alcune tratte, spostarsi dalla Sardegna costa un vero e proprio patrimonio, che pochi si possono permettere. Di fronte a questa situazione, quali sono gli intendimenti del Governo per dare risposte davvero serie, concrete e certe, ma anche immediate, quando si verificano questi fenomeni? Sono stato anche vittima di una cancellazione improvvisa di un volo: dopo aver effettuato il con 25 minuti di ritardo annunciati, che ritengo sia un lasso di tempo sopportabile, al momento dell'imbarco, alle ore 18, è stato annunciato, con una scritta, che il volo era cancellato. Considerato il numero dei passeggeri che aspettavano tranquillamente di salire a bordo dell'aereo e raggiungere la propria destinazione, il sottosegretario capirà quali possano essere state le reazioni dei cittadini che, dopo aver pagato un biglietto «di lusso», si sono visti improvvisamente comunicare che il volo non c'era più. Peraltro, questo volo non sarebbe potuto comunque partire, perché era stato già cancellato quello in partenza due ore prima da Palermo; quindi, vi era tutto il tempo di evitare la farsa del a meno che ciò non servisse per dimostrare che vi è un flusso di passeggeri, che vi è un'elevata richiesta di trasporto e, quindi, per dare alla compagnia ancora maggior peso e credito, a fronte delle elevate richieste. Diversamente, non si capirebbe tale comportamento. Non parliamo poi dell'assistenza a terra: zero, soprattutto in caso di ritardi non di mezz'ora o un'ora, ma di tre o quattro ore e di voli cancellati ripetutamente! Credo che, di fronte a tale situazione, il Governo dovrebbe adottare qualche provvedimento.
. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Andrea Annunziata, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, preliminarmente è opportuno evidenziare che il compito istituzionale dell'Ente nazionale per l'aviazione civile, ENAC, è quello di operare sull'attività del trasporto aereo, come unica autorità di regolazione tecnica, di coordinamento e di vigilanza, nel settore dell'aviazione civile, così come individuata dal decreto legislativo n. 96 del 2006, recante la revisione della parte aeronautica del codice della navigazione. Sono evidenti i ritardi degli anni passati, senza che si mettesse mano ad un nuovo piano per il trasporto aereo - che è ormai alle battute conclusive - a sanzioni più severe per le compagnie e le società di gestione, che spesso non rispettano gli impegni assunti. Come tale, già da tempo l'ENAC si è attivato per una verifica sull'attività di volo della compagnia Alpi Eagles. Le carenze della compagnia sono state identificate nell'insufficiente caratterizzazione della struttura organizzativa manageriale, amministrativa e operativa, a fronte di un sovradimensionato. Pertanto, dallo scorso 21 giugno, è stato avviato un procedimento per l'accertamento dei requisiti per il mantenimento della licenza e del certificato di operatore aereo della compagnia in questione. Sulla base delle risultanze di tale procedimento, nonché del ricevimento di ulteriori garanzie richieste il 6 luglio scorso, il procedimento di sospensione nei confronti del vettore è stato archiviato; ciò in quanto l'ENAC ha ritenuto che, a fronte delle evidenze presentate, degli impegni formalmente assunti e dei riscontri attivati, alla compagnia Alpi Eagles potesse essere consentito di continuare a svolgere la propria attività nel trasporto aereo. Sulle garanzie presentate di recente dal vettore, l'ENAC ha acquisito l'impegno formale che le deleghe affidate alla nuova Manager attribuiscano effettivamente alla stessa i necessari poteri organizzativi, operativi e finanziari per la gestione della compagnia, secondo le regole della sicurezza e della qualità del servizio da fornire ai passeggeri (che sono sempre al centro dell'attenzione del Governo e di una politica vera e seria del trasporto aereo e del trasporto in generale). Tali deleghe, attribuite al saranno ratificate dal consiglio di amministrazione della Alpi Eagles non appena sarà possibile convocarlo. Come reso noto, l'ENAC, nel ribadire che il procedimento di sospensione era stato avviato circa tre settimane prima con il solo scopo di pervenire a un'effettiva riorganizzazione manageriale, amministrativa ed operativa della compagnia, ne ha disposto, come detto, l'archiviazione. Da parte sua, L'ENAC ha assicurato pubblicamente che vigilerà sul funzionamento della compagnia nell'interesse dei passeggeri, della tutela della sicurezza e dell'efficienza del servizio, sul rispetto della qualità dei servizi offerti all'utente e sulla attuazione da parte della compagnia della normativa vigente ed in particolare del Regolamento CE n. 261/2004, in termini di assistenza e informazione ai passeggeri nei casi di disservizi, ritardi, cancellazioni e negati imbarchi. Inoltre, l'ente continuerà a verificare l'applicazione delle azioni correttive intraprese dalla compagnia con un controllo ancora più attento, soprattutto in queste prime fasi di riavvio dell'organizzazione e dell'operativo. Pur essendo stato archiviato il procedimento di sospensione della licenza e del certificato di operatore aereo, il piano di rientro già presentato dal vettore e concordato nella riunione del 9 luglio scorso è in fase di attuazione e l'ENAC ne verificherà la piena efficienza in alcune settimane. A vantaggio e tutela dell'utenza è opportuno sottolineare che l'ENAC, con l'adozione della Carta dei diritti del passeggero, consultabile peraltro sul sito istituzionale dell'ente stesso, ha raccolto in un testo unico, sulla base della normativa vigente, nazionale, comunitaria ed internazionale, tutte le forme di tutela rivendicabili oggi dal viaggiatore in caso di disservizi. Sul sito medesimo sono disponibili tutte le informazioni necessarie nonché gli appositi moduli per l'inoltro dei reclami nei confronti degli operatori aeroportuali inefficienti. Ad ulteriore garanzia dell'utente, si segnala che è in vigore in ambito europeo il Regolamento CE n. 261/2004 che ha dettato regole comuni in materia di compensazione pecuniaria e assistenza ai passeggeri, in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardi prolungati, facendo carico agli Stati di designare l'organismo responsabile dell'applicazione e di stabilire sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per le violazioni al Regolamento stesso. Tale Regolamento è stato recepito con il decreto legislativo n. 69 del 2006; in tale norma oltre ad individuare nell'ENAC l'organismo responsabile dell'applicazione delle sanzioni medesime, sono state stabilite le disposizioni sanzionatorie per le violazioni al Regolamento stesso, da comminare ai vettori aerei. A tale riguardo, l'ENAC ha emanato la circolare APT 23 con lo scopo di individuare le modalità procedurali per la comminazione delle sanzioni. Infatti, ai sensi di tale ultimo Regolamento, è prevista l'applicazione di sanzioni nei confronti del vettore Alpi Eagles. A tale ultimo riguardo, l'ENAC ha comunicato di aver attivato ad oggi procedimenti sanzionatori presso le direzioni aeroportuali di Venezia (una notifica di contestazione), Lamezia Terme (due notifiche di contestazione), Bari (tre notifiche di contestazioni, di cui due relative all'aeroporto di Bari e una relativa all'aeroporto di Brindisi relativamente ad infrazioni accertate per il mese di luglio ed ulteriori accertamenti sono incorso), Napoli (due contestazioni di imminente notifica così distinte: una per mancata informazione e ritardo prolungato, l'altra per mancata informazione ed assistenza), Cagliari (un procedimento in fase preliminare di accertamento). Peraltro, sempre dall'ENAC è stato emanata una circolare al fine di standardizzare il procedimento sanzionatorio in questione (APT 23 già citato) e garantire l'uniformità di tempi e procedure su tutto il territorio nazionale sulla base della norma primaria nazionale del settore (legge n. 689 del 1981). Il procedimento prevede la possibilità di procedere alla notifica della contestazione entro 90 giorni dall'accertamento dell'infrazione contestata alla sede legale del vettore, nel caso di notifica nel territorio della Repubblica, e di 360 giorni, se al di fuori del territorio stesso. All'atto di contestazione il vettore può fare riscontro o pagando l'oblazione o presentando scritti difensivi che saranno sottoposti alla valutazione dell'ente stesso per la conferma o l'archiviazione del processo sanzionatorio. L'intero iter, pertanto, non si esaurisce in tempi celeri, e, al momento, il quadro descritto non può considerarsi definitivo, poiché potrebbero esser attivati altri procedimenti da parte di direzioni aeroportuali, che sono ancora in fase di accertamento di eventuali infrazioni da parte della società Alpi Eagles, così come dei procedimenti già attivati potrebbero dar luogo ad archiviazione laddove la compagnia dimostrasse di avere adempiuto agli obblighi imposti dal Regolamento CE n. 261 del 2004. In caso contrario, come è intenzione del Governo, ed è da tempo dimostrato, al centro dell'interesse di tutti quanti noi - del legislatore e dell'Esecutivo - vi deve essere, come abbiamo detto, il cittadino, il passeggero, il quale non solo deve avere sempre più garanzie, ma deve anche averle costantemente tutelate.
. L'onorevole Satta ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ho apprezzato e apprezzo lo sforzo di chiarimento che il sottosegretario - al quale va la mia stima - ha messo in campo con tutte queste notizie, molte delle quali (come lui stesso ha detto) sono leggibili nell'apposito sito. Il problema - sottosegretario - non è questo! Io la ringrazio, tuttavia sono emersi due aspetti, in uno dei quali ho grande fiducia (lei lo ha annunciato quasi per inciso) ovverosia la speranza che la definizione del nuovo Piano del trasporto aereo possa essere davvero lo strumento che possa far chiarezza e attribuire una diversa articolazione alla concessione nei confronti delle compagnie aeree. Tuttavia, il problema è che poi abbiamo visto le elencazioni, le litanie di quanto accaduto alla Alpi Eagles la scorsa estate, ed ho visto che ancora non sono presenti quelle dell'aeroporto di Olbia, che sono tantissime perché sono tantissimi i voli cancellati, conseguenza di cancellazioni di voli di altri aeroporti della Sicilia, della Campania e di altre regioni italiane. Non ho nulla contro la Alpi Eagles - sottosegretario - così come nessun parlamentare e nessun cittadino. Il cittadino - come lei ben diceva - paga profumatamente il biglietto aereo per avere un servizio e per avere la certezza che vi è il collegamento. Se una persona si reca alla stazione e paga il biglietto e poi il treno non c'è, che se ne fa del biglietto? Certamente non può metterlo in bacheca. Allora, qual è il problema? Vorrei anche dirle che siamo d'accordo sul pluralismo dei vettori, perché certamente porta alla concorrenza e quest'ultima deve condurre al miglioramento dei servizi (bisogna avere servizi più efficienti ed attenti alle esigenze del viaggiatore); tuttavia, i controlli avvengono sempre a posteriori e non vi è un'attenzione costante - sottosegretario - su ciò che avviene, ma soltanto su quanto è avvenuto. Credo che possa sussistere anche un'azione di prevenzione. L'ENAC deve essere più attenta a quanto avviene e non a quanto è già avvenuto, con un procedimento che si svolge e si definisce quando l'intera stagione è finita; in altre parole, quando - lo dicevo prima - la compagnia aerea ripone i suoi vettori, in questo caso i suoi negli perché non li utilizza più in quanto riguardano collegamenti stagionali. Pertanto, cosa ci interessa? Ci interessa che, una volta rilasciata la concessione, i requisiti accertati per l'attribuzione della stessa vengano costantemente verificati. Se, infatti, una compagnia di bandiera - sottosegretario - dispone di diverse concessioni e di diverse tratte, ma non ha la flotta necessaria e sufficiente, è evidente che si va incontro a tali disguidi. In altre parole, se con dieci si può collegare tutta l'Italia - con una programmazione che, forse, a tavolino va bene - di fatto poi ciò non avviene, perché non vi è l'aereo di scorta, di emergenza (o magari è rotto anche quello) e così saltano contestualmente molti collegamenti e all'improvviso. Ho riportato la vicenda di cui sono stato protagonista, dovendomi recare a Napoli per un impegno istituzionale. Improvvisamente, senza alcuna comunicazione, anziché all'avviso che dava inizio all'imbarco, mi sono trovato di fronte ad un volo cancellato con una semplice scritta, quando già si sapeva che tale volo era stato cancellato già a Palermo; pertanto, in due regioni, in due isole sono rimaste a terra 200 passeggeri, così, come se nulla fosse, come se fossero degli oggetti da mettere in una stiva o chissà dove. Quindi, sottosegretario, cosa intendevo dire? Dopo aver preso atto di tutto ciò che lei ha comunicato, dei regolamenti severi e attenti che il cittadino, ormai avvezzo a prendere l'aereo, conosce alla perfezione, vorrei andare oltre, perché ciascuno può rivolgersi anche al tribunale, all'autorità giudiziaria attraverso le associazioni che tutelano i diritti dei cittadini. Ma non è questo il punto. Noi, come classe politica e come Governo, dobbiamo garantire che i vettori concessionari dispongano davvero degli strumenti necessari, non soltanto attraverso una programmazione sulla carta, ma verificando che non è possibile collegare una regione all'altra se non vi sono i vettori sufficienti. Proprio questo è avvenuto: altrimenti, come si spiega la cancellazione improvvisa di voli a già eseguiti, che, peraltro, vengono ritardati di quattro o cinque ore perché, evidentemente, l'aereo doveva ancora percorrere un'altra tratta rispetto alla quale si sono registrati dei ritardi. Quindi, i ritardi si accumulano e, alla fine, queste sono le conseguenze. Pertanto, qual è l'immagine che si delinea? Gli aeroporti, che pure sono funzionali, che hanno anche gestioni attente - lei ha fatto bene a sottolineare che ci vuole molta attenzione nelle società di gestione - alla fine non sono efficienti. Penso ad alcuni aeroporti: l'aeroporto della Costa Smeralda, ad esempio, è uno dei più belli del nostro Paese, perché è più moderno, è strutturato bene, ha una società che funziona. Tuttavia, se non vi è un collegamento tra i diversi vettori che durante l'estate invadono l'aeroporto, perché bisogna fornire più servizi che poi non funzionano, si crea un disastro in termini di immagine dell'aeroporto; non funzionano i collegamenti e anche la compagnia che ha le concessioni più importanti ne va certamente di mezzo, perché poi, se si somma il tutto, si deteriora l'immagine di quell'aeroporto. Non c'è più attenzione, anzi c'è un allontanamento da parte di flussi di viaggiatori da un aeroporto all'altro. È evidente che se si sa che l'aeroporto Malpensa non funziona, si evita di prendere gli aerei che arrivano a Malpensa e si prendono quelli che vanno a Linate o a Bergamo, a maggior ragione nel periodo estivo. Pertanto, signor sottosegretario, per la stima che ho della sua persona, delle sue capacità, della sua sensibilità, sono certo che lei prenderà in considerazione queste situazioni e gli approfondimenti che ancora devono aver luogo. Infatti, siamo fermi ai primi di luglio: dunque le valutazioni avvenute in luglio non sono ancora concluse, non parliamo poi di quelle di agosto. Non conosceremo fino a metà settembre, e quindi forse entro la primavera prossima, cosa è accaduto nel luglio e agosto di quest'anno. Ciò mi preoccupa e preoccupa il cittadino, che vuole conoscere i motivi, anziché le solite supposizioni che si possono fare a caldo e le lamentele che si sollevano giustamente, perché ci si trova coinvolti in maniera diretta. Questo è il mio invito: non esprimo né soddisfazione né insoddisfazione per la risposta. La mia posizione è di attesa del nuovo piano del trasporto aereo, che sarà uno strumento strategico che, forse, riuscirà a colmare alcune lacune dello scorso anno. Sono certo che lei si attiverà, affinché il piano venga finalmente approvato e reso efficace. Tuttavia, signor sottosegretario, la invito a fare in modo che l'ENAC funzioni non soltanto a posteriori. Speriamo che il nuovo consiglio di amministrazione possa fare qualcosa in più rispetto a quello che è accaduto in passato: conto su questa sensibilità.
. L'onorevole Mungo ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00697, concernente iniziative per la tutela della in relazione alle operazioni finanziarie internazionali .
. Signor Presidente, procederò ad una brevissima illustrazione, perché l'interpellanza è sufficientemente dettagliata. Inizio, affermando che l'interpellanza in esame nasce dalla presa d'atto diretta di alcune circolari che alcuni istituti bancari hanno inviato alla loro clientela e quindi l'interpellanza si basa fondamentalmente su tali documenti. Queste circolari informative comunicavano alla clientela che per quanto riguarda le operazioni finanziarie internazionali, nonché per altre operazioni in ambito nazionale che però in queste circolari non venivano specificate, è necessario utilizzare un servizio di messaggeria internazionale; che questo servizio, gestito dalla Society for worldwide interbank financial telecommunication (Swift), ha sede legale in Belgio e parrebbe - perlomeno dalle indagini, per quanto non approfonditissime, che ho potuto effettuare - monopolista, quanto meno in Europa, di questo tipo di servizio, cui vanno comunicati i dati dell'ordinante, del beneficiario, le banche, le coordinate bancarie, l'importo dell'operazione, nonché ogni altra informazione necessaria ad eseguire l'operazione stessa. Con tali circolari si prevede, inoltre, che non è possibile effettuare le operazioni se non si dà il consenso a questa ulteriore operazione di comunicazione interbancaria. Fin qui si potrebbe anche pensare di trovarsi in situazioni che rientrano nella normalità, nel senso che è evidente che tali operazioni internazionali debbano essere, affinché possano andare a buon fine, accompagnate da un'informativa resa nota attraverso le banche. Questi dati, inoltre, vengono stoccati in un che, pur avendo, come detto, la Swift sede legale in Belgio, è ubicato negli Stati Uniti. Inoltre, a questo ha accesso liberamente, a seguito della normativa adottata attentato dell'11 settembre 2001 in tema di contrasto al terrorismo, il dipartimento del tesoro americano. Anche l'Europa è dotata di un sistema di misure di controllo per contrastare il terrorismo. L'Italia lo ha adottato qualche mese fa. Il Governo, in particolare, ha presentato al Parlamento lo schema di un decreto, che è stato poi approvato. Esiste, quindi, una protezione, che si basa su alcuni specifici indicatori contenuti nel decreto, riguardo le operazioni internazionali che potrebbero avere la finalità di finanziare il terrorismo. Ciò detto, rimane il fatto che il dipartimento del tesoro degli Stati Uniti d'America possa liberamente avere accesso a questo con riferimento a qualunque tipo di operazione, indipendentemente che ci siano o meno indicatori che possano far ipotizzare finanziamenti effettuati a favore di Paesi o di organizzazioni di stampo terroristico. Ritengo che la delle operazioni bancarie incontri e debba incontrare dei limiti quando è in corso un'operazione di polizia internazionale o quando ci siano indagini della magistratura. La non la ritengo un valore assoluto. Ritengo, però, che tale valore debba essere prevalente qualora non ci siano elementi che possano far pensare che l'operazione non sia perfettamente legale o non in regola. Mi chiedo e chiedo al Governo se sia a conoscenza di questa procedura. Se questa circolare informativa sia una direttiva dell'ABI, e di conseguenza riguardi tutte le banche operanti nel nostro Paese. Quali sono gli accordi che su questa specifica materia esistono fra il nostro Paese, l'Europa e gli Stati Uniti e mi domando come mai non sia possibile che la Swift o altra società che svolga il medesimo tipo di servizio non possa avere un sito all'interno dell'Unione europea, in modo da dover sottostare alla normativa europea e che l'Italia, in quanto Stato membro, ha appena attuato.
. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Mario Lettieri, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, il problema sollevato dagli onorevoli Mungo e Migliore è di estrema delicatezza: non sfugge a nessuno che quando si parla di e di terrorismo occorre che il Governo, l'opinione pubblica e il Parlamento siano davvero vigili. Gli onorevoli Mungo e Migliore pongono quindi quesiti in ordine al trattamento dei dati personali da parte della Society for wordwide interbank financial telecommunications, la cosiddetta SWIFT, società belga che gestisce il servizio di messaggeria internazionale necessario per effettuare operazioni finanziarie transnazionali con riferimento alla normativa in materia di tutela della considerato che la SWIFT duplica, memorizza in copia e trasmette a un proprio informatico sito negli Stati Uniti i dati personali ricevuti per dare corso alle transazioni finanziarie e tali dati sono resi accessibili alle autorità statunitensi ai fini del contrasto del terrorismo. Al riguardo, si fa presente che sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 20 luglio 2007, serie C 166/26, è stato pubblicato il documento con cui la Commissione ed il Consiglio dell'Unione europea individuano tre meccanismi fondamentali per superare il problema della violazione della normativa europea sulla protezione dei dati a seguito dell'accesso che il Tesoro USA può ottenere, ai sensi del «Programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi». In primo luogo, il Consiglio e la Commissione prendono atto degli impegni unilaterali del Dipartimento del Tesoro statunitense (cosiddette giudicandoli adeguati a superare i timori europei in ordine alla protezione dei dati personali provenienti dall'Europa. Il testo delle anch'esso pubblicato nella citata Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, è stato messo a punto dal Tesoro USA, sulla base di precedenti discussioni con la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e la Commissione europea, e contiene importanti garanzie, tra le quali in particolare, le seguenti: l'impegno unilaterale del Tesoro americano ad usare i dati ottenuti da SWIFT soltanto per la lotta al finanziamento del terrorismo, con esclusione di qualsiasi altro tipo di uso commerciale, industriale, fiscale o di contrasto della criminalità organizzata; l'impegno del Tesoro USA ad analizzare le informazioni trasmesse da SWIFT con continuità al fine di individuare e cancellare tempestivamente i dati non necessari nella lotta contro il finanziamento del terrorismo; la previsione di obblighi rigidi per la conservazione dei dati: i cosiddetti dati dormienti (cioè quelli richiesti dal Tesoro americano ma non riconosciuti necessari per la lotta contro il finanziamento del terrorismo) non potranno essere conservati per più di cinque anni dalla data di ricevimento o, nel caso dei dati ricevuti prima della pubblicazione delle per più di cinque anni da quella data, esattamente dal 20 luglio 2007; infine, la previsione di un Garante europeo («eminent European»), nominato dalla Commissione d'intesa con il Presidente del Comitato dei rappresentanti permanenti e della Commissione per le libertà pubbliche del Parlamento europeo, a cui spetterà il compito di verificare annualmente il rispetto degli impegni da parte del Tesoro americano e di riferire eventuali infrazioni al Parlamento e al Consiglio europeo. In secondo luogo, il documento prevede l'obbligo di SWIFT di definire con le autorità statunitensi l'adesione all'accordo «Safe Harbour», con cui la Commissione ed il Dipartimento del commercio USA individuano principi e modalità pratiche volte ad assicurare il rispetto da parte di soggetti americani della pertinente legislazione europea in tema di trattamento dei dati personali. L'adesione di SWIFT è avvenuta nel mese di luglio, come risulta dal sito Internet della società. In terzo luogo, il documento prevede che SWIFT e gli istituti finanziari che si avvalgono dei suoi servizi si adoperino affinché i loro clienti siano debitamente e tempestivamente informati del trasferimento dei loro dati personali negli Stati Uniti e della loro possibile consultazione da parte del Tesoro USA, nel quadro del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi. In tale ambito vanno dunque inquadrate le comunicazioni che, anche in Italia, banche e istituzioni finanziarie stanno in questi giorni inviando alla propria clientela, sulla base delle indicazioni fornite dall'Associazione bancaria italiana. Pertanto, vi è un vero e proprio obbligo giuridico di informativa a carico delle banche e degli istituti finanziari, in ottemperanza con quanto previsto dalla normativa italiana di recepimento della disciplina comunitaria (articolo 13 del decreto legislativo n. 196 del 2003). La Commissione europea ed il Consiglio precisano esplicitamente che nessun profilo di contrasto con la normativa comunitaria in tema di trattamento dei dati personali può porsi con riferimento all'attività di trasferimento dati al SWIFT situato negli USA, alla duplice condizione che SWIFT aderisca ai principi «Safe Harbour» e che la medesima SWIFT e gli istituti finanziari che si avvalgono dei suoi servizi rispettino gli obblighi di informazione. Appare dunque superflua l'iniziativa - pur vagliata in ambito comunitario - di collocare il secondo SWIFT in uno Stato membro dell'Unione europea, al fine di garantire l'applicazione della normativa europea sulla protezione dei dati personali, in quanto le istituzioni comunitarie ritengono che l'attività di trasmissione di dati al SWIFT negli USA avvenga nel pieno rispetto della direttiva 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Si aggiunge infine che i dati in possesso di SWIFT (nome dell'ordinante, del beneficiario e delle rispettive banche; coordinate bancarie; importo dell'operazione e ogni altra informazione strettamente necessaria per l'esecuzione della stessa) non costituiscono dati sensibili, definiti dall'articolo 4, comma 1, lettera del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 (cosiddetto codice in materia di protezione dei dati personali), come quei dati personali «idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale» dei cittadini interessati. Mi sento dunque di tranquillizzare gli onorevoli interpellanti poiché vi è grande attenzione da parte del Governo (come da parte del Parlamento, che più volte ha discusso di questi problemi): il comportamento del Governo italiano è in sintonia con le decisioni della Commissione europea e del Consiglio.
. L'onorevole Mungo ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, in merito alle questioni poste, ci riteniamo soddisfatti, nel senso che il Governo ha effettivamente risposto alle nostre domande, dando conto della discussione che vi è stata in ambito europeo e in particolare (con riferimento al terzo punto) dell'ipotesi, che è stata vagliata in ambito europeo (così ci dice il sottosegretario), relativa alla collocazione del secondo all'interno di un Paese dell'Unione europea. Mi sento però di fare due osservazioni rispetto a quanto ci ha detto con grande dettaglio il sottosegretario (di ciò, peraltro, lo ringrazio poiché si è trattato di una risposta assolutamente soddisfacente rispetto alla delicatezza del tema). Considerata l'attenzione che in ambito europeo si è dedicata all'argomento, avevamo inserito all'interno del testo dell'interpellanza un paragrafo sul contenuto della circolare in questione, facendo così riferimento al dibattito che si era sviluppato in Europa in relazione alla normative europea e statunitense sulla protezione dei dati. Il sottosegretario ci informa che si è giunti a porre la parola «fine» su questo dibattito dopo un impegno unilaterale del Dipartimento del tesoro statunitense. Un impegno che avremmo preferito fosse bilaterale, nel senso che non fosse un impegno a carico soltanto del Dipartimento, ma vi fosse la possibilità di effettuare delle verifiche da parte degli organismi europei. È prevista - ci informa sempre il sottosegretario - una relazione annuale che dovrebbe dare conto, agli Stati membri ed al Parlamento europeo, di quanto è avvenuto nel corso dell'anno precedente, in particolare di comprendere quale è stato l'effettivo riscontro degli impegni assunti dal Dipartimento del tesoro statunitense. Pur concordando con il sottosegretario e con la giurisprudenza costante che il solo nome del beneficiario e dell'ordinante delle banche non integri la fattispecie di dati sensibili, è pur vero però che possiamo parlare anche di operazioni non commerciali, ma di operazioni di privati che possono essere di finanziamento di associazioni perfettamente legali, ma rispetto alle quali si potrebbe anche non voler far conoscere la propria adesione. Credo che la questione della sensibilità dei dati sia molto complessa, come dimostrano le relazioni annuali del nostro Garante. Alla preoccupazione di coloro che hanno sollecitato questa interpellanza, che sono, appunto, i clienti che hanno ricevuto tali circolari - SWIFT e gli istituti finanziari e bancari stanno adempiendo all'obbligo di informazione, e questa è una buona notizia - non posso che rispondere che per il momento confidiamo nel rispetto degli impegni assunti dal Dipartimento del tesoro. Confidiamo che questi dati cosiddetti dormienti, cioè quelli richiesti, ma non collegati all'attività di terrorismo, non siano utilizzati per alcun altro scopo. La conservazione di questi dati per un periodo di cinque anni a noi pare abbastanza lunga. Ritengo che nel corso dell'adempimento di questo impegno - e forse negli anni futuri - si possa rivedere tale rapporto tra l'Europa e gli Stati Uniti, al fine di tutelare maggiormente i clienti europei.
. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.