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Venerdì 24 Giugno 2016 ore 09:30
AULA, Seduta 641 - Decreto sulle banche, discussione generale
Resoconto stenografico
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La Camera ha svolto la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione (Approvato dal Senato) (C. 3892)
XVII LEGISLATURA
641^ SEDUTA PUBBLICA
Venerdì 24 giugno 2016 - Ore 9,30
Discussione sulle linee generali del disegno di legge:
S. 2362 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione (Approvato dal Senato). (C. 3892)
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Disegno di legge: S. 2362 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione - (A.C. 3892) (Discussione)
- S. 2362 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione (Approvato dal Senato). (C. 3892)
- Discussione sulle linee generali - A.C. 3892
- Vice Presidente GIACHETTI ROBERTO
- Deputato GUERINI GIUSEPPE (PARTITO DEMOCRATICO)
- Deputato PETRINI PAOLO (PARTITO DEMOCRATICO)
- Deputato VILLAROSA ALESSIO MATTIA (MOVIMENTO 5 STELLE)
- Deputato ALBERTI FERDINANDO (MOVIMENTO 5 STELLE)
- Deputato MAESTRI ANDREA (MISTO)
- Deputato CAUSI MARCO (PARTITO DEMOCRATICO)
- Deputato BUSIN FILIPPO (LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI)
- Deputato PAGLIA GIOVANNI (SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA')
- Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3892
- Discussione sulle linee generali - A.C. 3892
- S. 2362 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione (Approvato dal Senato). (C. 3892)
- Sul calendario dei lavori dell'Assemblea
- Organizzazione dei tempi di discussione di progetti di legge
- Ordine del giorno della prossima seduta
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
EDMONDO CIRIELLI, legge il processo verbale della seduta del 22 giugno 2016.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Beni, Matteo Bragantini, Castiglione, Catania, Dambruoso, Di Gioia, Fontanelli, Locatelli, Lorefice, Manciulli, Pisicchio, Ravetto, Realacci, Rosato, Valeria Valente e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente novantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 3892: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione.
Ricordo che nella seduta del 21 giugno sono state respinte le questioni pregiudiziali Paglia ed altri n.1, Busin ed altri n. 2, Rampelli ed altri n. 3, Pesco ed altri n. 4 e Sandra Savino ed altri n. 5.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) e la VI Commissione (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione giustizia, onorevole Giuseppe Guerini.
GIUSEPPE GUERINI, Grazie Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame, emanato come si legge nella premessa al decreto-legge, in ragione della necessità ed urgenza di prevedere misure a sostegno delle imprese e di accelerazione dei tempi di recupero dei crediti nelle procedure esecutive e concorsuali, nonché di prevedere misure in favore degli investitori in banche in liquidazione, si compone di 16 articoli (il Senato ne ha aggiunti due ai quattordici originari) suddivisi in quattro Capi.
Le Commissioni non hanno modificato il testo, al quale sono stati presentati circa 440 emendamenti.
Per quanto si sia dovuto procedere al conferimento del mandato ai relatori nel corso dell'esame degli emendamenti all'articolo 9, al fine di poter concludere l'esame in sede referente in tempo utile per poter avviare oggi la discussione in Assemblea, le Commissioni si sono soffermate in maniera approfondita su tutte le questioni più rilevanti connesse al decreto-legge, che possono essere ricondotte agli articoli 1, 2, 7, 8 e 9.
La ragione per la quale sono state respinte tutte le proposte emendative delle opposizioni non è certamente da rinvenire in una blindatura, per così dire ottusa, del testo da parte della maggioranza, quanto piuttosto nelle due letture radicalmente inconciliabili del testo da parte dei gruppi, soprattutto, MoVimento 5 Stelle, SI-SEL, sinistra indipendente, da un lato, e dei gruppi di maggioranza, dall'altro.
Secondo la maggioranza, infatti, non appare condivisibile la lettura secondo cui le misure del decreto-legge sarebbero squilibrate in favore del sistema bancario e addirittura delle singole banche, ancorché il decreto affronti esplicitamente il tema delle sofferenze bancarie.
Nella realtà, il decreto mira ad aiutare le imprese in un momento di crisi economica, in cui la mancanza di liquidità determina situazioni di grave difficoltà, ad iniziare ovviamente dalle imprese medio-piccole, alle quali vengono offerte, attraverso il pegno mobiliare non possessorio (previsto dall'articolo 1) ed il finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato (previsto dall'articolo 2), due strumenti completamente nuovi, che potranno essere utilizzati per ottenere dalle banche i finanziamenti aggiuntivi, ulteriori rispetto agli attuali.
L'obiezione secondo cui questi nuovi strumenti metterebbero, di fatto, gli imprenditori in difficoltà nelle mani delle banche si basa su una lettura della realtà alquanto parziale. Non si tiene conto, infatti, che, proprio grazie a queste nuove risorse finanziarie, l'imprenditore può essere aiutato a superare situazioni di crisi che altrimenti diventerebbero definitive.
In effetti, con il pegno mobiliare non possessorio potranno essere offerti in garanzia beni che altrimenti sarebbero fuori dal circuito dei finanziamenti, in quanto trattasi di beni mobili dei quali l'imprenditore non può perdere il possesso, come appunto, nell'esempio più emblematico e significativo, i beni strumentali all'esercizio dell'impresa.
Pertanto, l'idea che alcuni gruppi di opposizione hanno cercato di veicolare in Commissione, secondo la quale l'imprenditore in crisi dovrebbe risultare con la «pistola puntata alla tempia» dalle banche alle quali cede in garanzia qualsiasi bene, beni di cui le banche medesime si approprieranno dopo averlo messo nelle condizioni di non poter onorare i propri debiti, appare, come già ricordavo, del tutto fuorviante.
Non si tiene conto, infatti, della circostanza che all'imprenditore in crisi vengono fornite possibilità nuove di finanziamenti, che potranno servire come mezzi per invertire la rotta e sanare la propria situazione finanziaria problematica. In quest'ottica va considerata la possibilità, prevista dal Senato, di costituire il pegno non possessorio anche su beni immateriali, offrendo quindi all'imprenditore l'opportunità aggiuntiva di utilizzare immateriali del proprio patrimonio per rafforzare la capacità di contrattazione nei confronti delle banche.
Non va, inoltre, dimenticato un aspetto più volte sottolineato in Commissione: siamo di fronte a strumenti che verranno utilizzati in una libera contrattazione tra privati, in un contesto competitivo che caratterizza i rapporti tra i imprenditori privati, qualora si tratti, appunto, della fisiologia dei rapporti commerciali.
Dopodiché, è evidentemente innegabile che, allorquando l'imprenditore si dibatte in uno stato di crisi aziendale, esista già, nel suo rapporto con la banca, uno squilibrio a favore della seconda, che sarebbe assurdo, illogico e pericolosissimo ignorare, soprattutto allorché si introducono nell'ordinamento nuove forme di garanzia volte ad ottenere i finanziamenti.
Proprio per questo motivo, cioè tenendo ben presente quello squilibrio nel caso, appunto, in cui si tratti di rapporti fra imprenditori già in stato di crisi, il riesame del provvedimento in Senato ha portato ad introdurre modifiche al testo del decreto.
Un primo esempio riguarda proprio il finanziamento alle imprese, garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato previsto dall'articolo 2 con particolare riferimento alla determinazione del momento nel quale deve considerarsi avvenuto l'inadempimento che consente il trasferimento del bene immobile posto a garanzia del finanziamento.
Come ha esplicitamente affermato anche il Sottosegretario Baretta, nell'articolo 2 si è stabilito che, dopo il mancato pagamento di almeno tre rate, debbano decorrere nove mesi (e non più sei mesi come nel testo originario del decreto-legge) prima che il creditore possa notificare al debitore la dichiarazione di volersi avvalere del trasferimento del bene immobile, prevedendo altresì che solo sessanta giorni dopo la notificazione di tale dichiarazione il creditore possa chiedere la nomina del perito per la stima dell'immobile oggetto del trasferimento.
È stato anche chiarito che il pagamento anche di una sola delle predette tre rate interrompe tale procedura, che dovrebbe essere ripetuta integralmente qualora si verificasse successivamente un ulteriore mancato pagamento di una rata.
Un'altra questione sulla quale si è lungamente dibattuto in Commissione è stata quella della sorte degli altri creditori dell'imprenditore, che verrebbero in qualche modo superati dalle banche i cui crediti siano garantiti da pegni non possessori, cioè dal nuovo istituto previsto nell'articolo 1 del presente provvedimento, costituiti potenzialmente su tutti i beni materiali mobili ed immateriali dell'imprenditore. Anche su questo punto, è stato replicato da parte del rappresentante del Governo e da parte della maggioranza, che il comma 10 dell'articolo 1, laddove prevede espressamente che, nel caso di fallimento, il pegno non possessorio sia equiparato al pegno ordinario, ed il comma 8 del medesimo articolo 1, che stabilisce che il creditore possa procedere all'escussione del pegno solo dopo che il suo credito è stato ammesso al passivo fallimentare, non alterano in definitiva l'equilibrio complessivo del diritto fallimentare, ma mirano a velocizzare le procedure per l'esecuzione delle garanzie. Ricordo, infatti, che ciò rimane vigente, ovviamente non potrebbe essere altrimenti, anche nel testo dell'articolo 53 della legge fallimentare, laddove appunto viene previsto che ci si debba insinuare al passivo richiedendo la prelazione, ma che poi, al comma 2 del medesimo articolo 53, è previsto che sia poi il giudice delegato ad autorizzare eventualmente la vendita.
Prima di passare all'illustrazione più sistematica degli articoli, da 1 a 6 e poi 13, ricordo che, sempre nell'articolo 1 del presente decreto, è prevista anche la necessità che i pegni non possessori risultino da un registro informatizzato e io credo che sia molto rilevante che a questo registro, che dovrà essere implementato a cura del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero della giustizia, venga offerta la più ampia conoscibilità e consultabilità e l'accesso il più facile, ampio e approfondito possibile, anche appunto per la maggior tutela dei contraenti e di tutti i soggetti terzi che entrano in rapporto commerciale o professionale con l'imprenditore – mi riferisco in special modo a consulenti, collaboratori, lavoratori e fornitori –, in modo che questi soggetti abbiano la maggior capacità di conoscere quale sia lo stato patrimoniale dell'imprenditore con cui vengono ad avere contratti di tipo commerciale o di tipo professionale, e quindi che ci sia la più ampia possibilità di trasparenza del mercato e, quindi, che poi questi soggetti si possano rideterminare autonomamente e con consapevolezza, nel caso in cui vogliano o non vogliano, per stabilire quale sia l'opportunità o meno di procederà ad intrattenere rapporti commerciali con un imprenditore che abbia parte o la totalità del proprio patrimonio aggravata da pegni non possessori che andiamo ad introdurre con l'articolo 1 del presente provvedimento.
Dovrei, quindi, passare adesso, come dicevo, all'illustrazione specifica e sistematica degli articoli da 1 a 6 e poi dell'articolo 13, che sono quelli che attengono più specificamente alla competenza della Commissione giustizia. Chiedo subito che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale del mio intervento se non ci sono motivi ostativi.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha ora facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione finanze, onorevole Petrini.
PAOLO PETRINI, . Grazie Presidente, Sottosegretario Baretta, colleghi, anch'io mi soffermerò solo su alcuni articoli di questo provvedimento, quelli che riguardano la competenza della Commissione finanze, ma, discutendo e illustrando anche quelli che sono gli obiettivi e le motivazioni che hanno portato il Governo e la maggioranza all'introduzione di importanti novità, come quelle dell'articolo 1 e quelle dell'articolo 2 e, cioè, semplificare e rendere più flessibile il sistema delle garanzie, facilitare l'accesso al credito delle imprese, rafforzando, al contempo, il sistema bancario. Infatti, l'articolo 1, come illustrato da chi mi ha preceduto, apre proprio il campo a queste misure dedicate al sostegno delle imprese e all'accelerazione del recupero dei crediti; disciplina una nuova garanzia reale immobiliare di natura non possessoria, denominata, appunto, pegno mobiliare non possessorio.
Si tratta di una garanzia del credito in cui il debitore, diversamente che nel pegno possessorio, non si spossessa del bene mobile che ne è oggetto: la mancata disponibilità del bene da parte del creditore garantito è compensata da adeguate forme di pubblicità, che, nello specifico, consistono nell'iscrizione della garanzia in un apposito registro informatizzato. Quindi, il tutto è finalizzato a considerare anche i beni non immobili come una potenziale forma di garanzia, aumentando in tal modo il di garanzie che le imprese possono fornire per ottenere credito.
Così come stessi obiettivi o, parzialmente, gli stessi obiettivi ha anche l'articolo 2 e, cioè, il cosiddetto patto marciano, dove un contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca può essere garantito dal trasferimento della proprietà di un immobile o di altro diritto immobiliare dell'imprenditore o di un terzo in favore del creditore o di una società controllata o collegata che sia autorizzata ad acquistare, detenere, gestire e trasferire diritti reali immobiliari. Tale trasferimento si verifica in caso di inadempimento del debitore.
Come siamo arrivati alla proposta di questi strumenti nuovi e qual è la situazione che contraddistingue in questo momento il sistema del credito in Italia ? Intanto, bisogna dire qual è la situazione alla quale siamo approdati dopo otto anni di crisi molto severa per capire quali sono i problemi con i quali si dibatte questa stagione politica e, cioè, il 25 per cento di produzione industriale in meno, il 10 per cento in meno di prodotto interno lordo, il 10 per cento in meno del numero delle aziende, quattro o cinque volte in più la dimensione delle insolvenze: dai 40 ai 50 miliardi che avevamo nel 2007- 2008 siamo arrivati a più di 200 miliardi di sofferenze lorde. Ma non solo.
Dal 2008, il fatturato medio delle imprese rimaste è calato, in media, del 4 per cento, con i margini delle imprese rimaste che sono calati in media del 25 per cento: margini calati in media del 25 per cento, con imprese che, paradossalmente – ma non tanto paradossalmente –, sono meno indebitate di otto anni fa, perché hanno avuto meno accesso al credito e, quindi, chi c’è riuscito ha dovuto patrimonializzarsi maggiormente.
La probabilità di insolvenza è calcolata in termini tripli rispetto a quella di otto anni fa. Quindi, rischi maggiori che chi eroga credito deve assolutamente sopportare, con tempi della giustizia per venire in possesso delle garanzie che sono rimasti, purtroppo, molto lunghi: si valutano, in media, in sette anni. Quindi, qual è il modo per rafforzare la capacità di erogare credito da parte delle banche verso le aziende ? Certo, è vero che le nostre piccole e medie imprese, che occupano – lo voglio ricordare – l'80 per cento degli addetti, a causa della loro peculiarità strutturale, hanno avuto sempre una relazione difficile con il sistema bancario, una relazione caratterizzata da una fortissima rigidità, dove l'accesso al credito è sempre stato una criticità.
Oggi, però, siamo in una situazione per la quale se vogliamo che la ripresa acceleri, se vogliamo che la ripresa assuma le dimensioni di una vera e propria crescita dobbiamo, per forza di cose, agire su questo aspetto del credito. E dobbiamo farlo perché – ce lo dicono dati anche recenti – la crescita oggi è data soprattutto dalle nuove imprese e non dalle vecchie. E perché accade questo ? Accade questo perché, naturalmente, le vecchie imprese che si presentano di fronte allo sportello bancario e mostrano i loro bilanci – i loro bilanci dell'ultimo anno, anno e mezzo, degli ultimi due anni –, certamente, non brillano e quei dati impediscono alle banche di erogare credito, mentre le nuove imprese si presentano in termini, sicuramente, comunque, migliori rispetto alle vecchie. Quindi, dobbiamo dare nuovi strumenti a queste imprese, ma dobbiamo, prima di tutto, permettere alle banche di essere nelle condizioni di poter erogare credito, liberando i loro bilanci, più velocemente di quanto non sia possibile a bocce ferme, dal peso di queste sofferenze.
Il Governo è già intervenuto in termini di attraverso i GACS, per poter dismettere queste sofferenze; è già intervenuto pure in termini di flusso lo scorso anno, la scorsa estate, per accelerare i tempi della giustizia; interviene nuovamente anche con questi provvedimenti pure per i tempi della giustizia. Io credo che questi due siano strumenti assolutamente decisivi, direi quasi formidabili, per poterci dare una mano in questo senso. Non basterà, infatti, migliorare il sistema delle garanzie, come faremo con la riforma dei confidi, migliorando la filiera del finanziamento della garanzia e della controgaranzia, né attraverso ulteriore finanziamento del Fondo centrale di garanzia, né attraverso strumenti, pure quelli nuovi, come i ancora troppo costosi per le piccole e medie imprese o il che ha bisogno di ulteriori ritocchi sotto il profilo legislativo.
Credo che dovremmo agire soprattutto sui tempi della giustizia, diminuendo i tempi di esecuzione attraverso procedure stragiudiziali, così come nel caso di questi strumenti, del pegno non possessorio e del «patto marciano»; ma lo facciamo – come è intrinseco anche nello strumento – attraverso questa possibilità in più data dallo smobilizzo possibile di quelli che sono i mobili, le attrezzature e i macchinari di un'impresa che possono essere, appunto, come novità, dati in garanzia.
Credo che questa sia una normativa che ci pone positivamente all'avanguardia in Europa e che verrà accettata molto di buon grado sia dalle piccole imprese che dalle banche. Si ha paura di quelle che sono le controindicazioni – in Commissione si è molto discusso di questo –, ma noi dobbiamo guarire una malattia: per guarire una malattia c’è bisogno di assumere una medicina, che, naturalmente, porta con sé delle controindicazioni, ma io credo che siano di gran lunga minori rispetto alla positività. È vero che avremo banche che, ad ogni rinnovo di fido, osserveranno in maniera sempre più attenta quelle che sono le condizioni dell'impresa e, laddove queste condizioni non siano sufficienti per il rinnovo del fido, gli chiederà – la banca – garanzie reali, ma se non avesse avuto questa nuova opportunità, semplicemente, non avrebbe rinnovato il fido. Quindi, giudico, giudichiamo, molto positivi questi articoli 1 e 2 del decreto, che naturalmente creano una situazione diversa e soprattutto portano da sette a una media di quattro anni i tempi di esecuzione, con un abbattimento nel tempo di quello che è lo delle sofferenze.
Un altro articolo che riguarda la competenza della mia Commissione è l'articolo 7, il quale dispone l'acquisizione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze della società per la gestione di attività SGS spa, la società costituita in occasione del salvataggio del Banco di Napoli nel 1997 allo scopo di recuperare i crediti in sofferenza.
Il trasferimento delle azioni al valore nominale non superiore a 600 mila euro è giustificato dalla norma, il citato decreto-legge n. 497 del 1996, che attribuisce al Tesoro gli eventuali utili di bilancio realizzati dalla società concessionaria dei crediti del Banco di Napoli nell'ambito della determinazione del corrispettivo pagato dal Tesoro per la ricapitalizzazione del Banco di Napoli, operata tra l'altro mediante l'acquisto di azioni e dei diritti di opzione della stessa.
L'altro aspetto poi centrale di questo provvedimento è costituito dagli articoli 8, 9 e 10, che sono disposizioni in favore dei soggetti che hanno investito in banche in liquidazione sottoposte a procedure di risoluzione, e – come tutti ricorderanno – si tratta appunto di coloro che hanno acquistato obbligazioni subordinate della Banca delle Marche spa, della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, della Società cooperativa della Cassa Risparmio di Ferrara spa e delle Casse di risparmio della provincia di Chieti spa, direttamente dall'istituto di emissione o da un intermediario. Le modalità previste da questo decreto sono diverse rispetto a quelle che in un primo momento erano state previste nell'ambito della legge di stabilità, soprattutto per quel che riguarda il tetto che era stato definito in un massimo di 100 milioni di euro e che adesso è completamente cancellato.
Ma che cosa prevedono questi articoli ? Prevedono il rimborso automatico e forfettario per chi aveva sottoscritto con la banca stessa i subordinati delle quattro banche prima del 12 giugno 2014, data di pubblicazione della direttiva UE sulla risoluzione bancaria, nel caso di un reddito non superiore a 35 mila euro (anche in questo caso c’è il rimborso forfettario) oppure di un patrimonio mobiliare inferiore a 100 mila euro. Il rimborso sarà nella misura dell'80 per cento dell'investimento, al netto di oneri e spese connesse all'acquisto e della differenza tra il rendimento ottenuto e un BTP .
Per coloro che non rientrano nelle condizioni di cui sopra (acquisto successivo al 12 giugno 2014, acquisto sul mercato secondario, patrimonio superiore a 100 mila euro e reddito superiore a 35 mila euro) si apre la strada dell'arbitrato presso l'Autorità nazionale Anticorruzione; attraverso questa modalità quindi più della metà di quei risparmiatori che avevano investito in obbligazioni subordinate potrà automaticamente riavere indietro l'80 per cento di quanto investito, mentre tutti gli altri potranno riavere anche il 100 per cento, ma accedendo appunto a questa misura arbitrale. Qual è la di questa norma ? È quella in definitiva di tutelare il risparmiatore che è stato raggirato dalle banche, non semplicemente chi ha perso del denaro. Abbiamo potuto verificare attraverso innumerevoli testimonianze nel corso di questi mesi che, da parte di queste banche, c’è stata una politica notevolmente aggressiva nel collocamento di questi titoli propri, una politica aggressiva, che a volte ha portato al raggiro se non alla vera e propria truffa, ma naturalmente ci sono stati anche investitori che consapevolmente, o a volte superficialmente e incautamente, hanno investito in questi titoli. Il provvedimento si occupa di distinguere tra i raggirati e gli incauti, in qualche modo, non escludendo nessuno dal possibile ristoro, ma naturalmente facendo sì che chi è stato incauto o superficiale debba in qualche modo dimostrare quello che è stato il raggiro da parte della banca, presupponendo che chi ha meno, sia in termini di patrimonio che in termini di reddito, sia più esposto al raggiro rispetto a chi ha un patrimonio di dimensioni più ampie, notevolmente diversificato, e magari anche un reddito molto, ma molto elevato.
Purtroppo siamo arrivati a questo punto dopo una vicenda che tutti ricorderanno essere stata molto severa, non solo per i risparmiatori, ma per la credibilità di tutto il sistema creditizio italiano, culminata con il famoso decreto del 22 novembre scorso, un decreto che il Governo ha fatto senza avere un'altra scelta di fronte, ma scegliendo quello che in quel momento era certamente il male minore. Quattro banche insolventi rischiavano di mettere in difficoltà il sistema creditizio – non solo nei territori di appartenenza – e rischiavano di travolgere quindi tutti i risparmiatori e tutte le imprese, che da quelle banche dipendevano. Bene fece il Governo a fare quel decreto e bene fa oggi, dopo una lunga trattativa anche con la Commissione europea, a varare questi provvedimenti che consentono alle banche, attraverso un fondo di solidarietà appunto, di ristorare i risparmiatori.
Credo che quello che è avvenuto anche ieri in Commissione – attraverso la testimonianza del governatore Visco abbiamo avuto modo di ripercorrerlo – ad oggi è molto chiaro e credo che gli effetti di quanto avvenuto possano essere appunto arginati anche attraverso modalità come quelle contenute all'interno di questo decreto.
L'articolo 10: un altro articolo che riguarda la competenza della Commissione finanze, essenziale per il Fondo di solidarietà, alimentato appunto dal Fondo interbancario di tutela dei depositi con un limite che – come ricordavo prima – è stato modificato rispetto a quello previsto dalla legge di stabilità.
L'altro articolo che ci interessa è l'articolo 11, il quale interviene sulla recente disciplina del DTA, cioè delle imposte differite attive o attività per imposte anticipate. Interveniamo per superare i rilievi formulati dalla Commissione europea in merito alla compatibilità di tale istituto con la disciplina degli aiuti di Stato. In particolare, la Commissione europea ha chiesto all'Italia che la trasformabilità in credito d'imposta delle DTA qualificate, ove ad esse non corrisponde un effettivo pagamento anticipato di imposte, le cosiddette DTA di tipo 2, sia subordinata al pagamento di un canone, al fine di rendere tale disciplina compatibile con la normativa UE in termini di aiuti di Stato; resta ferma l'ordinaria trasformabilità delle DTA qualificate in credito d'imposta, ove a ciò corrisponda un effettivo pagamento anticipato di imposte.
Concludo, Presidente, anche perché rimane solo un articolo significativo che ci riguarda e cioè l'articolo 12, il quale introduce una deroga per gli anni 2016 e 2017, con riferimento al personale del credito e alla disciplina dei fondi di solidarietà bilaterali. La deroga concerne i requisiti di anzianità anagrafica o contributiva per l'accesso all'assegno straordinario per il sostegno al reddito, riconosciuto nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo.
PRESIDENTE. Ha facoltà intervenire il relatore di minoranza, l'onorevole Villarosa. Ne ha facoltà.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA, . Grazie, Presidente. Inizierei a parlare, più che sul tema, sulla modalità, la modalità operativa di questo decreto.
Io, Presidente, sono un po’ stanchino di non poter lavorare, perché, da quando è in carica il Governo Renzi, dal 22 febbraio 2014, fino al gennaio 2016, i decreti-legge emanati erano 44 – oggi saranno 46 probabilmente – e addirittura, insieme al Governo Letta, Presidente, siamo arrivati a 70 decreti-legge. Anche a lei, come Vicepresidente, lo chiedo; già la Presidente Boldrini ha richiamato il Governo, forse due volte addirittura, e così il Presidente della Repubblica. Chiedo anche a lei di parlare con il Governo, con la maggioranza, per cercare di modificare questa modalità operativa, perché una Repubblica parlamentare dovrebbe permettere ai propri parlamentari di lavorare sulle leggi di questo Paese. Invece, in questo modo si usa la forza e non credo che vada bene per il Parlamento, proprio perché si chiama «Parlamento», e, quindi, bisognerebbe parlare, discutere su ogni tema e riuscire ad affrontarli nel migliore dei modi e si dovrebbe permettere ai propri parlamentari di lavorare, anche perché, Presidente, il problema è vedere un Premier che va in tv a dire che il Paese sta bene, che il PIL cresce, che l'occupazione va bene e, però, poi arrivare in Aula e lavorare solo con le urgenze. Cioè, dobbiamo capirci: o il Paese sta bene o siamo pieni di urgenze, perché questi Governi hanno fatto decreti per risolvere urgenze sul fisco, sulle tasse, sulle banche, sul femminicidio, sulla scuola. Dove la si poteva trovare l'urgenza per fare un decreto, che dura 60 giorni, sul tema della scuola ? La scuola è un tema che bisogna affrontare con calma, che bisogna approfondire, e non c’è mai – non c’è mai ! – una riforma che possa essere dichiarata urgente per la scuola. Si prende il tempo che necessita l'operazione di approfondimento delle problematiche della scuola, la si discute, ma non la si affronta in 60 giorni. Per fare cosa ? Perché poi la paura è che ci si concentri sul provare ad avere un tema importante da poter pubblicizzare probabilmente per ottenere qualche voto in più. Ma questo non è il modo corretto di lavorare. Quali leggi ben fatte potremmo produrre e creare in questo Parlamento se abbiamo solo 60 giorni per poter analizzare un decreto ?
Ma la forza a volte viene usata ancora con più rabbia nei nostri confronti, nei confronti delle opposizioni, perché oltre all'utilizzo continuo di questi decreti, che, ripeto, dovrebbero essere utilizzati solo per necessità e urgenza, vi è anche la limitazione dei tempi della discussione prevista appunto dal decreto: si parla di 30 giorni a Camera; quindi, 60 giorni totali e per 30 giorni dovrebbe essere al Senato e per 30 giorni alla Camera dei deputati.
Presidente, noi abbiamo lavorato in Commissione lunedì mattina un'ora – lunedì un'ora ! – per guardare le inammissibilità e, quindi, in realtà non abbiamo lavorato. Abbiamo lavorato martedì un'altra ora; mercoledì abbiamo lavorato 3-4 ore e inspiegabilmente abbiamo finito di lavorare alle 20,30 (abbiamo finito di lavorare mercoledì sera alle 20,30 ! Chi vuol capire, capisca). Giovedì alle 10 del mattino, 10,30 del mattino, anziché alle 9,30, c’è stato dato l'appuntamento; non alle 9,30 di giovedì, ma alle 10,30. I presidenti di Commissione finanze si sono visti in Commissione dopo un'ora e, infatti, il vicepresidente Petrini ha iniziato la discussione dopo tre quarti d'ora. Quindi, non abbiamo i tempi, non abbiamo i famosi 30 giorni, e avevamo lavorato cinque ore in totale su 30 giorni che avremmo dovuto avere. L'ultimo giorno, giovedì, anziché iniziare alle 9,30 si inizia alle 10,30, ma non arrivano in tempo; quindi, si inizia dopo le 11, Presidente, dicendo chiaramente ai membri della Commissione; «Alle 15,30 finiamo. Alle 15,30 questo decreto deve essere concluso: o discutiamo tutti i vostri emendamenti – i nostri intendono – o non li discutiamo. Noi vi mettiamo la “ghigliottina”, tagliamo i tempi e il provvedimento va in Aula». Presidente, secondo lei è normale questo tipo di atteggiamento ? Probabilmente sì, ma è corretto ? Probabilmente è normale, ma è corretto ?
E addirittura, dopo non aver dato alle opposizioni i tempi giusti per poter discutere il decreto, cosa si fa ? Si viene in Aula e si comunica già a tutti, chiaramente, che metteranno la fiducia, che il Governo metterà la fiducia su questo decreto lunedì. Quindi, noi siamo qui per nulla, Presidente. Noi veniamo pagati per non discutere i provvedimenti che vengono presentati dal Governo.
Non è passato neanche un emendamento. Noi abbiamo provato a spiegare le nostre motivazioni di contrarietà sull'atto, ma anche a presentare delle proposte migliorative. Gliene dico una che per fortuna il sottosegretario Baretta ieri ha dovuto accettare – e lo ringraziamo anche per questo – non come emendamento, perché il Governo ha deciso che il provvedimento era blindato e, quindi, non poteva passare più nessun emendamento. Però, il mio collega Alberti a un certo punto si è reso conto di una cosa: veramente l'avevamo già vista, però era scappata, perché era una cosa folle, probabilmente un errore di scrittura, di normativo (non glielo so dire). Però, c’è questo nuovo strumento del pegno non possessorio, cioè il fatto che una banca vada da un imprenditore e gli dica: «Se tu dovessi andare in fallimento, difficilmente riuscirò a recuperare qualcosa dal tuo fallimento, perché il giudice mi metterà dietro a tutti gli altri. Il giudice mi metterà dietro al dipendente, mi metterà dietro il fornitore – giustamente direi –, dietro allo Stato – giustamente direi, Presidente – e, dunque, per quel bene firmiamo un contrattino, in modo tale che quando tu hai difficoltà o – stia attento ! – al verificarsi di un evento...». Perché nel provvedimento c’è scritto così: «al verificarsi di un evento». Ma quale evento ? Nel provvedimento non c’è scritto quale sarà questo evento che poi permetterà alla banca di andare dall'imprenditore e dirgli: «Dammi quel bene». E sa questo bene cosa può essere, Presidente ? Potrebbe essere, per esempio, l'oro che un gioielliere ha, le pepite che un gioielliere ha e, quindi, l'unico strumento di lavoro per poter trasformare e creare i propri prodotti da vendere. Probabilmente questo imprenditore avrà anche dei dipendenti e la banca, nel momento in cui gli leverà l'oro, farà fallire l'impresa, i dipendenti finiranno in mezzo a una strada e i fornitori di quell'impresa, che, Presidente, sono altre imprese, falliranno anche loro, perché quel bene non ripagherà i fornitori ma ripagherà la banca.
Questa è una delle cose più gravi che sono all'interno di questo decreto e, quindi, il Governo sa che il piccolo imprenditore ha la stessa forza contrattuale di una banca, perché poi questo è quello che ci è stato detto, quello che almeno è apparso come e motivazione della maggioranza: il cliente e la banca sono due persone sullo stesso identico piano. Sappiamo tutti, però, che queste sono favole, perché basta vivere nella realtà di tutti i giorni per capire... Ho già finito ?
PRESIDENTE. Ha un minuto, onorevole Villarosa. Succede...
ALESSIO MATTIA VILLAROSA, . Mi sono perso un po’ con i tempi, perché è un decreto veramente lungo che ha troppe cose che non vanno. Allora, cercherò in questo minuto di parlare degli altri due temi più importanti: il patto marciano per le imprese, che ci è stato comunicato. Quindi, per questo non ci fidiamo di questo Governo, perché il patto marciano per le imprese più e più volte è stato dichiarato, dalla maggioranza e dal Governo, uno strumento che non poteva mai essere applicato alle imprese perché le avrebbe messe in difficoltà. Ebbene, in questo decreto il patto marciano viene applicato alle imprese.
Ultima e tristissima direzione di questo decreto è quella che rimborsa, che cerca di rimborsare, gli obbligazionisti colpiti dal decreto sulle quattro banche. Presidente, se c’è una truffa, se qualcuno non doveva realmente comprare quei titoli, non si può creare un rimborso che va a rimborsare solo alcuni di questi truffati. Se una truffa c’è stata, devono essere rimborsati tutti. Quindi, non possiamo mettere paletti e chiediamo, per l'ennesima volta, lo stralcio di quegli articoli, l'8 e il 9, e il rimborso totale degli obbligazionisti e degli azionisti.
PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Alberti. Ne ha facoltà.
FERDINANDO ALBERTI. Grazie Presidente. Prima di tutto posso chiedere quanto tempo ho, così, per ricordarmelo ?
PRESIDENTE. Lei ha fino a mezz'ora.
FERDINANDO ALBERTI. Sarò più breve. Allora, prima di tutto, vorrei far presente a tutti, soprattutto a chi ci segue in diretta, che noi non dovremmo essere qua. Noi, come gruppo politico, come MoVimento 5 Stelle, secondo me, questo è un mio parere personale, non dovremmo essere qua. Non dovremmo essere qua perché, lo stava spiegando bene prima il mio collega Alessio, è una farsa. Quello a cui abbiamo assistito all'interno della Commissione finanze è stata una vera e propria farsa. Un provvedimento che è arrivato lunedì, è stato in Commissione quattro giorni, quattro giorni. L'ha detto bene prima: in realtà, si è trattato di qualche ora, qualche ora lunedì, qualche ora martedì, qualche ora mercoledì. Mercoledì abbiamo finito alle otto e mezza, non l'ha detto il mio collega, ma alle otto e mezza iniziava la partita dell'Italia; qua abbiamo detto tutto. Giovedì, ieri, alle tre, siamo arrivati a discutere l'emendamento dell'articolo 8 e lì si è dato il mandato al relatore.
Era già stabilito, era già deciso addirittura prima ancora che finisse l'iter al Senato, già noi sapevamo, già si vociferava, che quando fosse arrivato il provvedimento alla Camera, il «giorno X», all’«ora Y», il provvedimento sarebbe finito direttamente in Aula, a prescindere da dove la Commissione fosse arrivata con la discussione degli emendamenti. Non c’è stata data quasi nessuna spiegazione in merito ai nostri emendamenti. Ne abbiamo presentati tanti, sì è vero, tantissimi, però quando si presentano tanti emendamenti è perché ci sono tanti punti oscuri all'interno di un provvedimento. Non abbiamo fatto nemmeno un minuto di audizioni, le uniche audizioni che abbiamo sono sotto forma di memorie scritte, fatte al Senato. Alla Camera non sono state fatte audizioni su un provvedimento così grande, così importante, secondo noi, anche complesso, perché trattava anche questioni di giustizia (infatti è un provvedimento che è stato trattato da due Commissioni referenti, giustizia e finanze). Un provvedimento così complesso è stato chiuso in quattro giorni senza discussione, con un voto contrario su tutti gli emendamenti. Voglio ricordare che di solito quando si passa agli emendamenti, si legge emendamento per emendamento e si dà un parere. Da noi si è detto: dall'articolo 1 al 6, i pareri sono tutti contrari e dal 7 a seguire tutti contrari. Quindi noi siamo rimasti in Commissione perché abbiamo questa mania di voler capire e di voler discutere, e dopo torno sulla definizione di discussione perché mi piacerebbe proprio scambiare due idee anche con il sottosegretario Baretta. Ci piace discutere gli emendamenti per capire se effettivamente abbiamo ragione noi o hanno ragione loro, se effettivamente questo provvedimento è quello che dice il Partito Democratico, ovvero la manna dal cielo per le piccole e medie imprese. Noi abbiamo un'idea completamente, diametralmente, opposta. Ebbene quello che ci è parso è che la maggioranza, il Governo, il Partito Democratico e i relatori non avessero minimamente letto gli emendamenti e glieli abbiamo fatti leggere. Siamo intervenuti su quasi tutti gli emendamenti e li abbiamo costretti a leggerli e a rispondere alle nostre domande. Li abbiamo costretti a leggerli fino al punto tale che, a un certo punto, il sottosegretario Baretta se n’è uscito con un'affermazione che secondo noi è al limite degli insulti. Lui ha sostenuto che siccome noi continuavamo a intervenire su quasi ogni emendamento, la stavamo tirando per le lunghe e dopo alcune ore di discussione eravamo solo all'articolo 2. Lui intervenendo ci ha quasi minacciato dicendo «siete voi che non volete arrivare alla discussione dell'articolo 8, cioè a quello che riguarda i rimborsi dei truffati, degli obbligazionisti delle quattro banche».
Ora, lasciamo perdere l'affermazione e rimaniamo sulla definizione di discussione. Se ci fermiamo al dizionario, discussione vuol dire che io dico una cosa, la mia controparte ne dice un'altra, ed è finita lì. Però, siamo in Parlamento, dovremmo scrivere le leggi, dovremmo modificarle, dovremmo emendarle. Io credo che il termine discussione debba andare un po’ oltre alla semplice definizione del dizionario. Discussione vuol dire che io dico «A», lei dice «Z», poi penso che forse ha ragione, dico «effettivamente forse ha ragione», e potrei dire «B», e lei allora dice «V». Si trova un compromesso, si arriva a un punto di caduta, un punto d'incontro, dove si può arrivare, un minimo, ad accettare qualcosa, cioè la mia controparte accetta un minimo delle mie idee, qualcosa, una virgola, un emendamento, non un ordine del giorno. Prima il mio collega Alessio ringraziava perché avete accettato un ordine del giorno, ricordiamo che un ordine del giorno non si nega mai a nessuno e chiudo qua sul discorso dell'ordine del giorno. Noi pretendevamo l'accettazione di alcuni emendamenti, ma la stessa maggioranza per quello che ci ha risposto e per quello che non ci ha risposto (perché fanno molto più pensare e sono molto più pesanti le non risposte date alle nostre domande), ci ha fatto capire che su quelle cose non aveva nessuna opinione, nessuna idea, e non sapeva ribattere. Pensavamo che si poteva arrivare a un punto di incontro. Abbiamo presentato molti emendamenti, vi abbiamo fatto capire quali erano quelli più importanti; dateci un parere, vi veniamo incontro, modificateli, riformulateli, troviamo una via di incontro su pochi, pochi, emendamenti. Approvatevi il vostro decreto, noi non vi mettiamo i bastoni tra le ruote, perché concretamente è inutile, avete i numeri, siete la maggioranza, potete approvare quello che volete, ma almeno date un segno che state ascoltando l'opposizione. L'opposizione, questo sconosciuto !
Vorrei un attimo ricordarvi un'altra cosa, che fino a quando non entrerà a regime, il regime renziano, cioè fino a quando non verrà approvata la riforma costituzionale, esiste ancora il bicameralismo perfetto, esiste il Senato, la Camera dei deputati, e tutte e due hanno gli stessi identici diritti di potere trattare, discutere, approvare, non approvare, respingere, parlare, parlamentare, gli stessi diritti di discussione, sullo stesso provvedimento, perché ogni provvedimento è previsto che debba passare prima in una Camera e poi nell'altra e tutte e due le Camere possono e devono avere gli stessi medesimi diritti. Noi non abbiamo avuto gli stessi diritti che ha avuto il Senato. Il Senato ha tenuto il provvedimento diversi giorni, anzi è stato addirittura rispedito in Commissione a un certo punto. Addirittura ci sono – giustamente mi ricorda il collega – dei gruppi che sono presenti alla Camera, ma non al Senato. Addirittura ci è stato detto – non mi ricordo da chi, ma sicuramente comunque dal Governo o dalla maggioranza – che avremmo potuto presentare gli emendamenti che abbiamo presentato alla Camera al Senato. Ma io vi ricordo un'altra piccola cosa: io sono stato eletto qua, nella Camera dei deputati, mi hanno mandato qua, perché devo fare il portavoce, devo portare la voce dei cittadini. Sono qua, non sono al Senato. Mentre era al Senato il provvedimento, qua stavamo facendo altro, stavamo discutendo altri provvedimenti, stavamo ragionando sulle nostre proposte di legge, non stavamo al Senato. La Costituzione, finché non entrerà in vigore il regime renziano, prevede due Camere. Un provvedimento, lo stesso identico provvedimento, prima passa in una Camera e poi passa nell'altra. Io desidererei avere lo stesso tempo che è stato dedicato al Senato per discutere questo provvedimento. Lo ripeto: non è un provvedimento che tratta di farfalle, tratta di piccole e medie imprese, di accesso al credito, di rimborso ai truffati delle quattro banche. Parla di agevolare il processo di espropriazione nelle procedure fallimentari. Sono cose grosse, gigantesche. Un provvedimento che alla fine è stato relegato in quattro giornate, così, tutto contrario, tutto negativo, ed è finita così. Presidente, ieri abbiamo anche avuto il piacere, diciamo così, di avere il Governatore della Banca d'Italia Visco in audizione e il mio collega Alessio Villarosa ingenuamente faceva presente alla Commissione e ai commissari che sarebbe stato interessante vedere, incontrare, parlare con il Governatore Visco prima della chiusura del mandato al relatore di questo provvedimento. E, dall'altra parte, dalla maggioranza arriva una vocina: sì, ma l'ha scritto lui. Allora, relatore per la maggioranza, Guerini, era lei che lo diceva. Così, sotto i baffi, diceva: ma sì, l'ha scritto lui, riferendosi al decreto. E quindi ? E quindi perché il decreto l'ha scritto il Governatore Visco allora non si discute ? Ma andiamo a casa ! Andiamo a casa, chiudiamo questa farsa qua e andiamocene a casa. Ho iniziato il mio discorso dicendo che noi non dovremmo essere qua perché è una farsa questa; se un provvedimento lo scrive il Governatore Visco, quindi, va tutto bene ? Va tutto bene ? E tralasciamo le cose che ha dichiarato ieri il Governatore Visco in audizione che sono al limite dell'indecenza.
Un'altra questione: domenica scorsa è successa una cosa, non so se ve ne siete resi conto, ma una piccola cosa. Forse avrete sentito un po’ il boom. I cittadini hanno detto una cosa chiara: hanno detto che questo Governo ha fallito. Alle elezioni amministrative il Governo, la maggioranza, il Partito Democratico hanno fallito. Non hanno fallito tanto i vari candidati alle amministrative appoggiati o pseudo-appoggiati dal Partito Democratico, ma ha proprio fallito Renzi. Il voto delle amministrative è stato – noi non ci stancheremo mai di affermarlo – un voto chiaro e netto contro il Governo Renzi, contro tutte le sue misure, a favore, secondo Renzi, dell'economia reale. È stato un voto contro il ; è stato un voto contro l'abolizione dell'articolo 18; è stato un voto contro gli 80 euro; è stato un voto contro le varie mancette date alle varie categorie, dalla scuola ai poliziotti; è stato un voto contro ogni provvedimento che il Governo ha approvato a tutela e a sostegno delle banche. Questo pare l'avesse capito anche il Premier e, infatti, la sua prima dichiarazione è stata: ha vinto il cambiamento, è stato un voto di cambiamento. Io deduco che se tu mi dici «ha vinto il cambiamento», vuol dire che allora cambierai anche tu e qualcosa cambierai anche dentro di te e vorrai proporre qualcosa di diverso rispetto a quello che hai sempre proposto fino adesso. E infatti il cambiamento è arrivato. Arriviamo in Aula lunedì, dopo le amministrative, dopo il ballottaggio, e il primo provvedimento che ci ritroviamo tra le mani è l'ennesimo provvedimento, il tredicesimo o il quattordicesimo, non mi ricordo più, sulle banche. Siamo di nuovo sull'ennesimo provvedimento che va a favore delle banche. E non si tratta semplicemente di dare 7 miliardi e mezzo di quote di Bankitalia alle banche private. Magari fosse stato un altro provvedimento del genere. Magari, veramente magari ! Ormai siamo disposti veramente ad accettare qualsiasi cosa piuttosto che questo che avete scritto, piuttosto che quello che c’è scritto all'interno di questo decreto. È un provvedimento che secondo noi non solo fa un favore gigantesco agli istituti di credito, ma è proprio un provvedimento che va a distruggere la piccola e media impresa, la va a demolire completamente; va a vessare i piccoli e i microimprenditori e non la grande impresa, ma gli artigiani, le partite IVA, i liberi professionisti, che quando avranno bisogno di un finanziamento andranno in banca e la banca gli chiederà di dare delle garanzie ulteriori rispetto a quelle che fino ad oggi venivano richieste, perché le nuove garanzie che verranno richieste saranno delle garanzie che potranno essere espropriate in tempi rapidissimi. Infatti, è questo che sta facendo questo decreto con l'articolo 1 e con l'articolo 2, ma anche con gli articoli successivi fino al 6.
Sta facendo esattamente questo. Il pegno non possessorio in un mondo ideale potrebbe essere anche uno strumento utile e, come avete definito voi, uno strumento aggiuntivo alle normali linee di credito in normali sistemi di finanziamento a cui oggi un imprenditore o un'impresa possono accedere. Ripeto: uno strumento ulteriore. Ma in un mondo come quello che viviamo oggi, fatto da migliaia di piccole e medie imprese, la stragrande maggioranza delle quali è in difficoltà ed è alla canna del gas, ci si ritroverà da domani in poi quello strumento come unico, esclusivo strumento, non ulteriore, non aggiuntivo, non una cosa in più, ma l'unico strumento per poter accedere al credito. È questa la cosa che voi non volete capire. Ma, sinceramente, io parlo, ma si capisce che non sono un politicante di professione, non ho l'esperienza che sicuramente avrete fatto tutti voi qua dentro, che avete visto e che potete portare. Io mi baso su quello che leggiamo e ancora una volta vi dico chi ci basiamo anche su quelle che sono state le audizioni al Senato. Le associazioni delle piccole imprese sono venute e ci hanno messo in guardia, hanno messo in guardia quelli del Senato che quello che stavano approvando era qualcosa di devastante per l'economia. Eppure, poco o quasi nulla, anzi qualcosa è stato accettato, ma addirittura peggiorativo. Quindi, noi ci limitiamo a portare quello che sono venuti a riferirci i rappresentanti delle piccole e medie imprese.
Ma poi l'articolo 2 che, invece, istituisce una cosa fantastica, e «fantastica» tra virgolette ovviamente. Fantastica perché è esattamente, o meglio non è esattamente, perché l'ho ricordato anche in Commissione... Facciamo un passo indietro: un mese fa approvavamo quel famoso decreto legislativo sui mutui ipotecari con il quale la banca poteva espropriare direttamente, dopo un inadempimento da parte del debitore, l'immobile posto a garanzia di un mutuo. In quell'occasione abbiamo fatto, mi lasci passare il termine, «casino» e abbiamo costretto la maggioranza a tornare sui suoi passi. La maggioranza ha capito che su quel tema lì non poteva cadere; noi stavamo alzando l'attenzione mediatica e la maggioranza è tornata indietro e ha riscritto il parere, di fatto depotenziando lo strumento. Ad oggi quello strumento potrebbe, anzi quasi sicuramente sarà inutilizzato da parte delle banche. Durante la discussione di quel provvedimento si chiedeva se quello strumento avrebbe potuto essere anche applicato alle imprese. La maggioranza rispose dicendo: non sia mai, sarebbe follia applicare il patto marciano – stiamo parlando del patto marciano – alle imprese, ai finanziamenti erogati alle imprese. Questa cosa non succederà mai, mai. Ve lo ricordate che dicevate queste cose qua ? E infatti un mese dopo siamo al decreto-legge n. 59, all'articolo 2, che istituisce il patto marciano per i finanziamenti verso le imprese. Complimenti ! Complimenti ! Guardate, non mi aspetto più nulla, o meglio mi aspetto qualsiasi cosa. Io pensavo l'altro giorno – non so se vi ricordate – a quando avete istituito il prestito vitalizio ipotecario, cioè la facoltà da parte di un anziano di ipotecarsi la propria casa di proprietà per avere un piccolo finanziamento. Ovviamente, voi dicevate che questo strumento andava a favore degli anziani, a creare e a rimettere in circolo più moneta perché era più facile accedere al credito. Certo, ti ipotecavi la casa di famiglia. Poi quando l'anziano veniva meno, ripagare il mutuo era sulle spalle degli eredi; e se gli eredi non dovessero essere in grado di pagare il mutuo, la casa è espropriata. Bene, anche in quell'occasione noi vi abbiamo messo in guardia, stavate creando uno strumento pericoloso. Non ci avete voluto ascoltare. Ma sapete quali sono gli effetti negativi di questa approvazione ? Voi siete riusciti a inventarvi una cosa ancora più pericolosa, ancora più assurda, cioè la possibilità di andare in pensione prima aprendo un mutuo bancario. Avete preso anche quel prestito vitalizio ipotecario, lo avete ripensato e avete costruito uno strumento ancora più demenziale. Quindi, mi aspetto qualsiasi cosa da questa maggioranza e da questo Governo, qualsiasi follia. Qua parliamo proprio di finanza creativa, perché non si può definire in altro modo.
Presidente, tornando sempre agli articoli 1 e 2, il Governo chiede alle piccole e medie imprese maggiori garanzie. Il sistema del credito non eroga più credito. La maggioranza non vuole prendere atto del fatto che le banche non fanno più le banche. Quando una banca non fa più la banca, il legislatore e il Governo dovrebbero semplicemente fare una cosa, dovrebbero dire: «Banca, ritorna a fare la banca». No, se la prendono con l'ultima ruota del carro, se la prendono con gli imprenditori, con le imprese che sono strozzate da una crisi economica globale senza precedenti. Se la prendono con le imprese che sono strozzate da una crisi dei consumi. Se la prendono con gli imprenditori che sono strozzati dal fisco, magari da Equitalia. Se la prendono con un mondo economico che è già alla canna del gas e gli danno il colpo di grazia. Dicono: «Guardate, se voi volete avere soldi, io, Stato, non mi invento magari un sistema di garanzia pubblica per l'accesso al credito» – e, dopo, su questo punto ci ritorno – «No, io faccio in modo che voi possiate impegnarvi il rene, ma sarete vivi». Era il paragone che faceva il mio collega Alfonso Bonafede, su cui in Commissione tutti si sono scandalizzati. È questo quello che voi state facendo. Voi state dicendo a una persona in fin di vita: «Se tu mi dai il tuo rene – ne hai due, uno me lo dai –, io ti faccio sopravvivere ancora un po’». Questi sono gli strumenti che voi state dando alle piccole e medie imprese. Voi dovete rendervi conto di questo ! Voi non volete rendervi conto dalla realtà delle cose.
Poi chiedete più garanzie. Il Governo chiede più garanzie che devono essere messe a disposizione immediata e automatica – ripeto, automatica – delle banche, altrimenti niente soldi. A proposito di garanzie, l'altro giorno Renzi, dal suo solito predellino, commentava le nostre proposte di legge, in particolare il reddito di cittadinanza. Parlava del reddito di cittadinanza e diceva che i problemi non si risolvono dando a tutti una garanzia. Lasciamo stare il fatto che non ha capito minimamente cosa sia il reddito di cittadinanza previsto all'interno la nostra proposta di legge, perché non l'ha proprio letta. Ma torniamo sul termine «garanzia». I problemi non si risolvono dando garanzie a tutti. Certo, a tutti no, alle banche sì. E che garanzie ! Lo ripeto: e che garanzie ! È allucinante !
Lunedì arriverà un altro provvedimento, una delega in bianco relativa alla riforma dei confidi. È un altro provvedimento che è passato alla Commissione finanze, su cui non c’è stato un secondo di discussione. Però, è vero, abbiamo fatto le audizioni, servite a tantissimo, mi raccomando ! Un sacco ! Non c’è stato un emendamento approvato, un emendamento proposto. È una legge delega in bianco sulla riforma dei confidi, che arriverà lunedì in Aula e nella quale, forse, proprio lì, si poteva andare a intervenire e a introdurre qualche nuovo principio e qualche nuovo criterio per dare quelle garanzie che oggi il piccolo e medio imprenditore non ha più. Abbiamo uno strumento, che è quello del Mediocredito Centrale, il fondo di garanzia centrale, che noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo imparato a conoscere bene, perché all'interno di quel fondo c’è il fondo che eroga le garanzie per la microimprenditorialità.
Abbiamo imparato e lo abbiamo conosciuto bene. Per fortuna che ci siamo inventati questa cosa e per fortuna è arrivato in Parlamento un gruppo politico che ha voglia di tagliarsi gli stipendi e di restituirli allo Stato e che si è inventato questa cosa. Non parlo tanto dell'istituzione, perché – lo ricordiamo – il fondo di garanzia per la micro imprenditorialità esisteva già, questo è sacrosanto, nessuno dice che l'ha inventato il MoVimento 5 Stelle. Però, il MoVimento 5 Stelle lo ha fatto funzionare, il MoVimento 5 Stelle l'ha fatto partire, il MoVimento 5 Stelle ha rotto le scatole affinché partisse. Oggi è partito, ci sono 16 milioni di euro di stipendi tagliati dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle. Sono stati erogati 45 milioni di euro a 2 mila nuove imprese, per un totale di 4 mila posti di lavoro. Costo per le casse dello Stato ? Zero. Noi abbiamo fatto la stessa domanda, cioè qual è il costo per le casse dello Stato della riforma del provvedimento o meglio quanto è il costo per le casse dello Stato, nei primi tre anni, della decontribuzione per ogni nuovo assunto previsto la legge di stabilità. Alla domanda nessuno ci ha dato una risposta. Il Ministro Poletti, in occasione del non è riuscito a dare una risposta, non ha dato dei numeri e noi volevamo dei numeri.
Apro una parentesi: ci sembra assurdo che ancora oggi non esista uno strumento che verifichi, a cadenze semestrali, trimestrali, annuali, l'efficacia dei provvedimenti che vengono presi all'interno di questo Parlamento e dal Governo. È assurdo. Come possiamo verificare la bontà del la bontà degli 80 euro, anche la bontà del reddito di cittadinanza, di qualsiasi provvedimento o dei tredici provvedimenti che sono stati approvati sulle banche ? Come facciamo a valutarlo ? Non possiamo. Ma chiudo la parentesi.
Noi abbiamo chiesto al Ministro quali sono i costi reali ed effettivi per ogni nuovo assunto, secondo le modalità previste dalla decontribuzione della legge di stabilità dell'anno scorso. Ebbene, non c’è stata nessuna risposta. Però c’è qualcuno che si è messo a fare i conti. Le stime parlano di 25 mila euro per ogni nuovo assunto, 25 mila euro di costi per le casse dello Stato per ogni nuovo assunto. Questo è il vostro modo di fare. Voi credete, voi dite di fare del bene per il Paese, per l'economia reale, per le piccole e medie imprese, ma lo fate a costi assurdi, allucinanti: ripeto, 25 mila euro – queste sono le stime –, nei tre anni, per ogni nuovo, non per un dipendente precario, stabilizzato, a tempo pseudo-indeterminato, ma per ogni nuovo contratto di lavoro, 25 mila euro.
Presidente, io vado verso la conclusione perché so che ho poco tempo, ma avrei ancora tantissimo da dire. Quanto ho ancora, Presidente ? Un minuto ? Meno ?
PRESIDENTE. Un minuto e trenta in questo momento.
FERDINANDO ALBERTI. Presidente, sull'articolo 4 io mi limito a leggere la lettera che è stata mandata alla Commissione finanze del Senato dal vicepresidente dell'associazione ufficiali giudiziari. In merito all'articolo 4 – non vado a leggere il testo dell'articolato, per farla breve – il vicepresidente dice: «Pur condividendo gli scopi del decreto in questione, bisogna sottolineare che lo stesso interviene in un settore dove il disagio sociale è fortissimo. Si tratta principalmente di soggetti che non pagano il mutuo per la perdita del lavoro e che subiscono il pignoramento della casa. L'impatto della norma sarà devastante, visto che si aboliscono di colpo tutte le garanzie poste a tutela della procedura». In particolare, l'articolo 4 va a sospendere sostanzialmente alcuni articoli del codice di procedura civile; in particolare l'articolo 605, disapplicazione del termine di giorni 10 per adempiere spontaneamente al rilascio dell'immobile; l'articolo 608, disapplicazione della comunicazione in cui l'ufficiale giudiziario avvisa il debitore dell'esecuzione forzata per mancato adempimento spontaneo; l'articolo 609, disapplicazione della modalità per l'asporto delle cose di proprietà dell'esecutato. In altri termini, continua il vicepresidente, si sospende ogni diritto del debitore per risparmiare circa 30 giorni, dovuti agli adempimenti di legge per le notifiche: 30 giorni ! Voi create una norma – e sto parlando dell'articolo 4 – devastante. Presidente, io chiudo, avevo iniziato dicendo che non dovevamo essere qua, ma ora sono ancora convinto che non dovevamo essere qua.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Maestri. Ne ha facoltà.
ANDREA MAESTRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, Alternativa Libera-Possibile esprime un giudizio fortemente negativo sul provvedimento in discussione, che contiene misure capaci di provocare profonde fratture a principi sacri e intangibili della nostra tradizione e civiltà giuridica.
Si introducono norme che si pongono in contrasto frontale con la Costituzione, ed è proprio attraverso il richiamo degli articoli della Costituzione violati che proponiamo al Governo, al Parlamento e al Paese una rilettura critica di questo provvedimento. Iniziamo dall'articolo 1 del disegno di legge, che viola palesemente gli articoli 2 (solidarietà sociale ed economica), 3 (eguaglianza e non discriminazione), 41 (libertà di impresa) e 42 (tutela della proprietà privata).
Viene introdotto l'istituto del pegno non possessorio, attraverso il quale l'imprenditore, per ottenere un finanziamento dalle banche, impegna i beni aziendali, presenti e anche futuri, senza tuttavia spossessarsene. In altre parole, i beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa rimangono nella disponibilità dell'imprenditore, che continua a utilizzarli, ma sono iscritti in un registro telematico a garanzia del credito erogato dalla banca. Viene meno, quindi, la caratteristica tipica del pegno, che è la realità, la prensione materiale da parte del creditore.
Potrebbe sembrare un istituto innovativo, che consente all'imprenditore di avere un accesso facilitato al credito, ma in realtà, ad una lettura più approfondita, ci accorgiamo che il pegno non possessorio consente alla banca di ottenere in garanzia l'intero patrimonio aziendale, presente e futuro, diventando, di fatto, essa l'imprenditore, ma a rischio zero. E c’è di più: se l'impresa fallisce, il curatore fallimentare su quali beni aziendali potrà realizzare un attivo per pagare i lavoratori e i fornitori dell'impresa fallita, se quel patrimonio aziendale è stato dato in pegno alla banca, che ne dispone in via privilegiata ? In questo modo, i crediti dei lavoratori dipendenti e dei fornitori delle imprese fallite non potranno contare su cespiti aziendali per ottenere il pagamento dei loro crediti e non saranno più, quindi, creditori privilegiati, dovendo raccogliere solo le briciole lasciate dalle banche.
Potrà darsi anche il caso dell'imprenditore disonesto, che, a fronte di un imminente fallimento della sua azienda, impegnerà con la banca tutto il patrimonio aziendale e porterà al sicuro i denari ottenuti dalla banca grazie al pegno non possessorio, danneggiando irrimediabilmente lavoratori e creditori. Comunque sia, l'unico soggetto della partita a cadere sempre in piedi sarà sempre e solo la banca.
Veniamo poi all'articolo 2 del provvedimento in questione, che introduce il nuovo istituto del finanziamento alle imprese, garantito dal trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato, e che viola non solo gli articoli 2, 3, 41 e 42, che ho già citato, ma anche gli articoli 23 (divieto di prestazioni personali e patrimoniali, se non in base alla legge) e 24 (diritto di difesa e tutela giurisdizionale).
In base a questa norma, l'imprenditore che ha ricevuto un finanziamento dalla banca, garantito dal trasferimento di un immobile di sua proprietà, esclusa solo l'abitazione principale, condizionato sospensivamente ad un inadempimento relativamente modesto, tre rate di mutuo mensile o anche una sola rata di mutuo se non è previsto un rimborso mensile, perde la proprietà di quell'immobile senza alcuna garanzia e alcun controllo giudiziario, perché la banca lo può vendere direttamente, senza sottostare alla procedura esecutiva ordinaria.
Questa scorciatoia a favore delle banche sarà applicabile anche ai contratti di finanziamento in corso e, se quell'immobile è già gravato da ipoteca, il nuovo patto di trasferimento prevarrà sull'ipotetica. Il punto più debole del nuovo istituto si pone a monte: il debitore, al momento della stipula del contratto di finanziamento, è solo davanti al potere della banca di imporre le sue condizioni. E se c’è sproporzione tra il valore del finanziamento e quello del bene dato in garanzia, per il debitore non c’è nessuna tutela, perché l'intervento giudiziale è previsto solo nel momento successivo alla vendita, così che egli perderà la proprietà dell'immobile e dovrà accontentarsi solo dell'eventuale eccedenza.
Un simile meccanismo viola di fatto il divieto di patto commissorio previsto dall'articolo 2744 del codice civile, che ha come fondamento proprio il divieto di coazione morale e di approfittamento della condizione di subalternità del debitore da parte della banca, ma viola anche la tutela della e la riserva statale attraverso il controllo giudiziale sulla realizzazione coattiva dei crediti.
Si assiste, signor Presidente, ad una regressione dei diritti allo stato di natura di «hobbesiana» memoria, dove dove prevale il diritto del più forte. Tutte le volte che ci sarà sproporzione tra il valore del finanziamento e il valore dell'immobile dato in garanzia, si verificherà una situazione di vera e propria usura reale, vietata dal codice penale (articolo 644) e maldestramente consentita da questo nuovo mefistofelico meccanismo civilistico.
Sarebbe bastato introdurre un correttivo semplice, di buonsenso ma di enorme portata concreta: il trasferimento non può essere convenuto in relazione a immobili il cui valore sia sproporzionato rispetto al finanziamento concesso. Prima dell'erogazione del finanziamento la banca in contraddittorio con l'imprenditore, assistiti dai rispettivi consulenti, verificano la detta sproporzione, che si constata tutte le volte che il valore dell'immobile sia almeno il doppio del finanziamento concesso. E in ipotesi di contestazione sulla stima del valore dell'immobile, il creditore avrà, comunque, diritto di conseguire la proprietà dell'immobile e il debitore di recuperare l'eccedenza, ma solo dopo l'accertamento della fondatezza della contestazione da parte del giudice che ha nominato il perito. In altre parole, solo il controllo giurisdizionale ed può evitare qualsiasi forma di abuso. È la soluzione tecnica suggerita da uno dei massimi esperti in materia di diritto bancario, l'avvocato Biagio Riccio, e dall'Associazione che si contraddistingue proprio per il rigore dell'approccio alla materia, che è scientifico e non demagogico o umorale.
Un altro capitolo di questa narrazione al contrario di una buona legislazione è quello che riguarda la modifica dell'articolo 560 del codice di procedura civile. Fino ad oggi, l'attuazione del rilascio dell'immobile pignorato veniva eseguita dall'ufficiale giudiziario, un funzionario dello Stato, un pubblico ufficiale con una laurea e, soprattutto, garante della terzietà tra il creditore e il debitore esecutato. Con quella che l'Associazione degli ufficiali giudiziari in Europa definisce una novella sciagurata, e noi con loro, questa delicatissima funzione – ricordiamoci che spesso l'immobile oggetto di pignoramento è l'abitazione principale del debitore, che ha perso il lavoro, che non ha potuto onorare le rate del mutuo e dentro ci possono essere minori, anziani, persone malate e non autosufficienti – viene assegnata al custode giudiziario, un soggetto privato, privo di competenze specifiche, che peraltro ha tutto l'interesse a liberare sbrigativamente l'immobile per incassare la sua parcella. Si tratta, dunque, della pericolosissima privatizzazione di una fondamentale funzione statale, che di nuovo evoca la regressione ad uno stato di natura in cui il più forte detta legge.
Ed è interessante richiamare un'altra autorevole presa di posizione su questo decreto-legge di cui vi accingete ad approvare la conversione, quella dell'Associazione nazionale forense, la quale afferma che le disposizioni del decreto sembrano essere destinate a rafforzare la posizione e le tutele di un singolo ceto creditorio, a scapito di tutte le altre categorie di creditori, ad esempio lavoratori e fornitori. Inoltre, la liberazione dell'immobile senza l'intervento dell'ufficiale giudiziario e il trasferimento dell'immobile tramite l'attivazione del «patto marciano» introducono, in forma embrionale, la privatizzazione del processo di esecuzione immobiliare, che si svolge su impulso del creditore senza la presenza del giudice e senza garanzie per il debitore.
L'ultimo capitolo riguarda, poi, le disposizioni a favore – si fa per dire – degli investitori in banche in liquidazione. Anche qui assistiamo ad una ostentata, sfacciata violazione della Costituzione e, precisamente, dell'articolo 47, secondo il quale: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Su questa specifica tematica, al fine di rendere obbligatorio uno strumento – quello degli scenari probabilistici – utile, anche se da solo non sufficiente, a colmare la simmetria informativa che caratterizza il rapporto tra clienti, investitori ed intermediari finanziari, abbiamo presentato un emendamento che ci è stato dichiarato inammissibile per estraneità di materia. Abbiamo fatto ricorso e, di nuovo, è stata chiusa la porta in faccia ad una norma di assoluto buonsenso, utile per la tutela dei risparmiatori per evitare che, in futuro, si ripetano gli scandali delle obbligazioni subordinate rifilate ad investitori ignari.
Noi, però, siamo di pasta dura, signor Presidente, non ci arrendiamo, non ci fermiamo al primo ostacolo, non disperiamo. Abbiamo già predisposto una proposta di legge per l'inserimento degli scenari probabilistici nei prospetti informativi di offerta al pubblico di prodotti finanziari e chiediamo, signor Presidente, che venga incardinata al più presto, se è vero che il tema è urgente ed indifferibile, tanto da avere giustificato la decretazione d'urgenza del Governo in materia e l'imminente posizione della questione di fiducia.
Sappiamo che questo provvedimento è blindato, sappiamo che ci troviamo, ormai, ad agire all'interno di un monocameralismo di fatto, in cui una delle due Camere legifera e l'altra può solo ratificare, peraltro, sotto ferrea dettatura e dittatura del Governo. Noi, che vogliamo essere un'opposizione seria e propositiva, non scomposta ed improvvisata, non riusciamo a rassegnarci a questa deriva: pretendiamo l'agibilità democratica e la garanzia delle prerogative del Parlamento, a fronte di un abuso continuo della decretazione d'urgenza e di una prospettiva – quella della riforma costituzionale – che minaccia di aggravare ulteriormente un quadro già oggettivamente e gravemente compromesso.
Qui si discute di norme che incideranno pesantemente nella vita concreta dei cittadini e delle imprese e non può accadere che a chi è stato eletto per rappresentare gli interessi dei cittadini sia resa impraticabile una fattiva dialettica parlamentare per emendare, correggere, migliorare una proposta di legge.
Concludo il mio intervento, signor Presidente, elencando tutte le vittime di questo decreto: i risparmiatori truffati dalle banche; gli imprenditori costretti a moltiplicare le garanzie a copertura dei crediti ottenuti dalle banche; gli imprenditori costretti a perdere la proprietà degli immobili trasferiti alle banche a prestiti di stima fissati senza controllo giurisdizionale; i proprietari di immobili pignorati, che hanno perso il lavoro, che non riescono a pagare le rate del mutuo e si ritroveranno sbattuti fuori di casa senza le cautele necessarie a tutelare almeno i minori, gli anziani e i malati che in quegli immobili abitano; gli ufficiali giudiziari, spogliati di una funzione che hanno sempre svolto con competenza, con equilibrio e con imparzialità; i cittadini in generale, stritolati dal mito renziano della velocità, che sacrifica i diritti e mette la finanza al di sopra delle persone.
Noi, deputati di Possibile, continueremo a batterci in difesa delle vittime di questo sciagurato provvedimento in Parlamento e fuori di qui, nelle aule di giustizia, dove tutti gli errori, tutte le omissioni e tutte le furbizie emergeranno nella loro patente incostituzionalità.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.
MARCO CAUSI. Grazie, Presidente. Mi faccia dire, in premessa al mio intervento, che sono molto stupito che finora, in quest'Aula, mentre affrontiamo la discussione sulle linee generali di un provvedimento relativo al sistema bancario, nessuno abbia ricordato che, mentre noi parliamo qui di questo decreto, il giorno in cui ne parliamo, il 24 giugno 2016, oggi, resterà nella storia come uno dei giorni più terribili per il sistema economico e finanziario mondiale.
Poco fa, sentivo dire che questo decreto non è urgente e mi stupisce, Presidente, vuol dire che non si sa: questo decreto, con quello che è successo stanotte, quindi, per effetto del voto dei cittadini inglesi sull'Unione europea e con quello che sta succedendo oggi in tutto il mondo, è già vecchio, perché le situazioni di instabilità finanziaria che dovremo affrontare per effetto del voto sulla Brexit, rendono questo decreto una piccola cosa già, probabilmente, vecchia; altro che mancanza di urgenza.
Io so che qui siamo nel tempio del legislatore: io sono un volgare economista, però io chiedo ai legislatori almeno di guardare la televisione e di leggersi i giornali, perché mi sembra finora di avere sentito persone che vivono sulla luna, pur parlando o pretendendo di parlare degli interessi dei cittadini. Questo decreto ha a che fare, Presidente, con la difficoltà e il vero e proprio stato di crisi del settore bancario in Italia e noi su questa difficoltà e su questo stato di crisi non possiamo permetterci di fare pura demagogia: dobbiamo riconoscerlo, perché, come in qualsiasi settore, se c’è una crisi va affrontata.
Non dobbiamo fare confusione, perché questa crisi deriva da due questioni che vanno distinte fra di loro, perché confonderle crea solo confusione: ci sono alcuni fattori di tipo sistemico e strutturale del nostro sistema bancario italiano che hanno generato questa crisi e su cui bisogna incidere. Poi, ci sono – altra questione – vicende specifiche di singole banche e, dentro le vicende specifiche di singole banche, che hanno le loro microstorie, come ciascuna organizzazione industriale, possono emergere anche responsabilità che vanno accertate e sanzionate, ma che sono sempre responsabilità individuali.
Confondere fra i fattori sistemici, le storie specifiche delle banche che sono in difficoltà e le eventuali responsabilità da sanzione o da accertare, a livello personale, non distinguere fra questi fattori crea soltanto una confusione strumentale e non si fa un buon servizio a quella che Amartya Sen chiama una buona discussione pubblica.
Allora, discutiamo per un attimo quali sono i fattori sistemici che hanno portato a questa crisi del settore bancario: non deriva questa crisi da un eccesso di finanza strutturata, così come è stato, invece, per il settore finanziario americano e anche tedesco e francese nella crisi del 2008-2009. Il paradosso della crisi nel sistema bancario italiano è che non deriva da un eccesso di finanza creativa. Infatti, per anni si è detto, fra il 2008 e il 2012, che le banche italiane sono state meno investite perché facevano meno finanza strutturata, ma il paradosso è proprio questo: che, invece, le banche italiane sono andate in crisi come controeffetto della crisi prolungata dell'economia reale. Dopo sette, otto anni di crisi così profonda dell'economia reale, le banche vanno in crisi perché i loro clienti sono andati in crisi: meno 10 per cento di PIL, meno 25 per cento di produzione industriale, tante imprese in difficoltà e, quindi, anche le banche in difficoltà.
Circa 200 miliardi di crediti bancari incagliati, deteriorati in vario modo: questa crisi e, quindi il fatto che le banche italiane abbiamo 200 miliardi di crediti incagliati, crea un paradosso, perché, da un lato, la Banca centrale europea inonda il mercato di liquidità e inonda le banche di liquidità, ma, dall'altro lato, le banche possono evitare di usare questa liquidità perché hanno paura di fare credito, perché se il credito che fanno, poi, non gli rientra perché non viene restituito, allora, questo peggiora i loro coefficienti patrimoniali e le obbliga a ricapitalizzare. Quindi, paradossalmente, se la situazione dell'economia reale continua ad essere così drammaticamente negativa – in questi ultimi mesi, è meno drammaticamente negativa, però, come sappiamo, il tono della ripresa è ancora modesto –, le banche non trasmettono pienamente l'impulso monetario della Banca centrale perché hanno troppi crediti deteriorati. Quindi, incidere su questo problema di come disincagliare i crediti deteriorati è un fatto importante, perché toglie quello che oggi è il principale ostacolo ad una ripresa ordinata e normale del mercato creditizio in Italia.
Poi ci sono altri due fattori sistemici che incidono. Primo, il fatto che il nostro Paese – come si sa – è un Paese con tantissime piccole e medie imprese e le piccole e medie imprese hanno come tradizionale canale di finanziamento il canale bancario e creditizio e hanno una difficoltà di accesso agli altri canali di finanziamento e al mercato dei capitali. Si dice che il nostro Paese è un Paese bancocentrico e quindi, ancora di più, ogni elemento di difficoltà strutturale del sistema bancario si riflette e peggiora il tono dell'economia reale.
Ma poi ci sono altri fattori sistemici, che sono stati ampiamente discussi, e che stiamo poco affrontando, e che sono innanzitutto un eccesso di localismo bancario. Guardate che noi abbiamo discusso in quest'Aula la riforma delle banche popolari, la riforma delle banche cooperative e io ho sentito in quest'Aula posizioni un po’ ideologiche in merito a quanto è bella la piccola banca locale. Ebbene, non è vero affatto che la piccola banca locale sia bella, non è detto neanche che sia brutta, però la piccola banca locale ha in sé un elemento di distorsione che è dovuto al fatto che il suo rischio è tutto su un solo territorio e inoltre è un altro elemento di distorsione perché quando va poi a chiedere ai suoi clienti – come è successo – di diventare azionisti o di comprare le obbligazioni subordinate, va anche a fare sollecitazioni del risparmio sempre su quel territorio. Quindi questo circuito vizioso significa che, se poi quella banca va male, e in alcuni territori italiani coinvolti dalle crisi bancarie di oggi è successo proprio questo, l'eccessiva concentrazione territoriale sia del rischio di credito, sia della sollecitazione del risparmio crea un potenziale – se non è ben governata e se non è tenuta sotto controllo – rischio di tipo strutturale.
Poi certo, collegati a questi rischi e a queste situazioni di rischio, ci sono anche aspetti di perché un'attività bancaria che come ha il voto capitario, le elezioni dei consigli di amministrazione, come fossero elezioni politiche di consiglio municipale o di consiglio comunale, e non invece la professionalità, l'efficienza, il merito e la scelta del credito sulla base del merito, può creare anche lì dei fattori distorsivi.
Guardate che questi elementi distorsivi non implicano necessariamente che poi ci siano, come dire, responsabilità amministrative, di natura penale o legale, ci possono anche essere quelle, ma anche se non ci sono quelle, queste distorsioni esistono e sono perfettamente venute in evidenza anche dai fatti di cronaca degli ultimi mesi. Di fronte a questa crisi del sistema bancario e di fronte al tema di come uscire dall'incaglio di 200 miliardi di crediti deteriorati, io ho sentito molto spesso, non soltanto oggi, da parte delle opposizioni parlamentari al Governo Renzi, delle posizioni fortemente contraddittorie – mi permetta, Presidente, di mettere in evidenza queste contraddizioni – perché, da un lato, si dice che le banche sono cattive, potenti e vengono dipinte col cappello capitalistico di fine Ottocento, come istituti che affamano le piccole e medie imprese; dall'altro lato, finisce invece che le banche sono poco virtuose, che erogano troppo credito, che si prendono troppi rischi e infatti poi falliscono e falliscono poi soprattutto quelle appunto governate male.
Ora, o l'una o l'altra cosa: o le banche sono cattive e affamano le piccole imprese, oppure le banche sono poco virtuose e invece danno il credito a chiunque senza valutarlo bene. La verità, Presidente, è che i fattori sistemici di crisi del sistema bancario sono emersi con tantissima evidenza, tra l'altro anche ieri in Commissione finanze congiunta Camera e Senato, il Governatore Ignazio Visco ci ha dato anche dei numeri drammatici: nel 2015 sono ventitré le procedure di amministrazione straordinaria nei confronti di banche e altri intermediari, solo sei finite felicemente, senza il fallimento, sette finite con la liquidazione, sei in corso e, di queste sei, quattro – come sappiamo – mettendo in campo non la tradizionale liquidazione coatta amministrativa, ma il nuovo istituto di risoluzione della crisi.
Allora, la verità è che i fattori sistemici di crisi danno ragione al lavoro importante e rilevante che in questa legislatura si sta facendo per superare i fattori sistemici di crisi e le debolezze strutturali del sistema bancario italiano.
Noi in questa legislatura – lo voglio dire a voce alta – stiamo compiendo un lavoro di riforma e di superamento di questi vincoli strutturali, che non oso dire che è storico e arriva, come altre riforme in Italia, con troppo e tanto ritardo. Abbiamo eliminato la distorsione che il sistema fiscale metteva sui crediti delle banche, perché da noi, fino a due anni fa, il trattamento fiscale delle svalutazioni dei crediti incagliati in Italia era molto, ma molto meno favorevole di tutti gli altri Paesi europei; abbiamo allineato quindi la distorsione fiscale. Siamo intervenuti sulle distorsioni localistiche e di con la riforma delle grandi banche popolari e con la riforma del credito cooperativo, una riforma che – lo sottolineo – è importante sia dal lato della concessione dei crediti e sia dal lato della composizione dell'azionariato. Abbiamo – e mi stupisce che nessuno finora l'abbia ricordato – rafforzato i poteri di vigilanza della Banca d'Italia. Con il decreto legislativo n. 72 del 12 maggio 2015 abbiamo fatto una cosa che la Banca d'Italia chiedeva da anni e che colpevolmente il legislatore e i Governi di questo Paese non avevano mai fatto fino all'anno scorso e cioè abbiamo conferito alla Banca d'Italia dei poteri sanzionatori che prima non aveva. Oggi, grazie a questo decreto legislativo, la Banca d'Italia può intervenire durante una crisi bancaria non più soltanto – come è sempre stato – con la ma a rimuovere singoli componenti dei consigli di amministrazione o gli interi consigli di amministrazione delle banche, laddove emerga nella banca in crisi che il consiglio di amministrazione o singoli membri siano inadatti a gestire quella crisi o abbiano compiuto azioni che hanno portato alla crisi.
La Banca d'Italia può intervenire restringendo l'attività della banca, può intervenire vietando l'effettuazione di alcune operazioni: noi finalmente, con grande ritardo, l'anno scorso, in questa legislatura e con questo Governo, abbiamo rafforzato i poteri di vigilanza della Banca d'Italia. Vi ricordate in passato, quando si diceva, come nel caso del Monte dei Paschi: la Banca d'Italia arriva, interviene, fa la vigilanza, manda le carte alla Procura, ma non può intervenire sugli organi amministrativi. L'intervento sugli organi amministrativi doveva comunque derivare da una .
Abbiamo poi affrontato tutto il tema dei requisiti patrimoniali e di accesso al mercato dei capitali per le banche piccole, perché le banche piccole, per esempio le banche cooperative, adesso col nuovo sistema del gruppo potranno più facilmente accedere al mercato dei capitali. Stiamo intervenendo sui tempi della giustizia civile – poi di questo parlerò – perché guardate che ridurre i tempi con cui, non solo le banche, ma qualsiasi soggetto, recupera un credito, per esempio anche un fornitore rispetto a un'impresa a cui ha fornito un bene, non è affatto leggibile come un favore fatto al creditore. In verità, maggiore certezza sui tempi di risoluzione di un contratto di debito-credito è utile anche per il debitore, perché questa maggiore certezza si trasforma, per esempio, in minor costo del credito. Se si sa che in un sistema Paese il contratto, se il debitore non paga velocemente, può essere risolto, il credito per tutti sarà meno costoso. Oggi in realtà la lentezza nei tempi di recupero dei crediti, anche fra privati, viene pagata dai debitori onesti che pagano regolarmente i loro debiti, ma li pagano a un costo più elevato perché quel coefficiente di rischio aggiuntivo viene spalmato su tutti. Anche alcuni dei nuovi strumenti che si introducono in questo decreto, come il pegno non possessorio o il patto marciano sono semplicemente un'estensione a nuovi oggetti del sistema delle garanzie, cioè un'impresa potrà ottenere credito anche ricorrendo a questi nuovi oggetti, anche se non è obbligatorio che lo faccia. Questo perché può essere importante in Italia ? Perché in Italia – ricordiamocelo – nelle piccole e medie imprese – è uno dei problemi strutturali italiani – c’è una indecifrabilità e indistinguibilità fra il patrimonio familiare e il patrimonio dell'impresa, infatti molto spesso le nostre piccole imprese si finanziano in modo inefficiente, dando le garanzie sui patrimoni personali con le cambiali firmate dalla moglie, dalla cugina, dal cognato nelle piccolissime imprese. Questo è un mondo che si deve cercare di modernizzare: se riusciamo a separare meglio il patrimonio delle persone da quello delle imprese, su quello delle imprese introduciamo nuovi strumenti di garanzia e non attacchiamo il patrimonio delle persone. Oggi invece per molte piccole imprese italiane, dove c’è questa indistinguibilità, è il patrimonio delle persone e delle famiglie che viene attaccato quando c’è una crisi dell'impresa. Quindi, nuovi strumenti di garanzia sono strumenti che addirittura migliorano, sotto un certo punto di vista, la possibilità delle imprese di avere credito, fermo restando che poi, appunto, non sono obbligatori; sono strumenti aggiuntivi rispetto agli esistenti.
In generale poi voglio ricordare a tutti, perché questo è un altro lavoro importante che è in corso e speriamo che si possa completare, che quando un'impresa va in difficoltà – qualsiasi impresa, anche una banca – è bene che queste difficoltà non arrivino all'esito ultimo del fallimento e della liquidazione ed è bene che vengano prese per tempo. Per esempio, noi abbiamo discusso, in Commissione giustizia, una riforma del diritto fallimentare che io spero possa introdurre degli istituti, diciamo così, di risoluzione prefallimentare della crisi che permettono, quindi, anche al soggetto che è andato in crisi di non arrivare proprio fino in fondo e che permettono ai soggetti creditori nei suoi confronti di rivalersi per quanto possibile.
Questi nuovi strumenti di garanzia vengono criticati dai nostri oppositori, portando sempre il caso di un'impresa che fallisce: se un'impresa fallisce e ha fatto il pegno non possessorio perde i suoi beni strumentali. Ma, scusate: questo vale per qualsiasi strumento di finanziamento. Se un'impresa fallisce, e aveva ricevuto una linea di credito a medio termine da una banca e non la restituisce, la banca l'aggredirà perché non ha restituito quella linea di credito; se un Paese aveva emesso un'obbligazione, un titolo, e non lo rimborsa, verrà aggredito perché non lo ha rimborsato. Quindi, non è che la base di garanzia di quello strumento finanziario sia un'altra modifica la questione. Noi non dobbiamo guardare questi strumenti nel caso del fallimento, perché questi casi sono tutti uguali; dobbiamo guardarli nel caso di un'impresa normale, di un'impresa sana che con questi strumenti potrà avere più credito.
Mi avvio alla conclusione, Presidente, ricordando che in questo decreto poi viene affrontato il completamento dell'introduzione in Italia delle famose procedure di risoluzione delle crisiovvero del . Il è, in sostanza, il principio che è stato introdotto dalla legislazione europea, su spinta delle opinioni pubbliche di tutti i Paesi, perché anche in questo Parlamento io ho sentito tante volte dire che i cittadini normali non devono essere chiamati a pagare per gli errori dei banchieri. Il è questo: i cittadini normali, il contribuente, lo Stato, non devono pagare per gli errori dei banchieri. Le direttive comunitarie sono state introdotte l'anno scorso, contrattate fra il 2012 e il 2013 a livello europeo, e purtroppo il nostro Paese, con questa crisi bancaria in corso, è stato il primo a sperimentarle sulla sua pelle. Il principio è giusto. Anche lì io ho sentito molti dei nostri oppositori di oggi partecipare per esempio al movimento «Occupy Wall Street» o al movimento «mai più soldi pubblici per i banchieri» e poi oggi, invece, cambiare idea e dire: «No ! Se una banca fallisce paga lo Stato, paga Pantalone, paghiamo tutti noi». Il principio, quindi, è giusto, è sacrosanto: azionisti e obbligazionisti subordinati sono i primi che devono essere chiamati a pagare. Voglio ricordare che quelle famose quattro banche non sono fallite perché il Governo ha fatto il decreto, ma è il contrario: stavano fallendo e l'intervento del Governo ha evitato che fallissero, perché se fossero fallite oggi non saremmo soltanto a pensare agli azionisti e agli obbligazioni, ma dovremmo anche pensare a 2 milioni di depositanti e a 700 mila imprese che ricevono i loro finanziamenti ordinari e quotidiani da quelle quattro banche.
Invece, noi abbiamo – il Governo ha – con quel decreto salvato i depositanti, salvato le imprese, salvato il normale circuito del credito in quei territori, salvato l'occupazione e salvato le aziende bancarie. Quindi, è stato un intervento che ha minimizzato i danni. Dunque, i danni c'erano ma i danni derivavano da una gestione di quelle banche che, per effetto di quei fattori sistemici che poco fa citavo e anche per errori specifici che andranno ovviamente accertati e sanzionati, stavano appunto andando male. Quindi, il principio è sacrosanto ma, Presidente, l'attuazione di questo principio probabilmente ha trovato, nel circuito decisionale fra Italia e Unione europea, qualche elemento di difficoltà perché: l'attuazione poteva essere più graduale; c’è il tema, inoltre, se assoggettare o no al le obbligazioni, i titoli obbligazionari, che erano stati acquistati prima che la normativa del fosse introdotta e, infatti, in questo decreto il risarcimento automatico e forfettario avviene, appunto, per gli obbligazionisti che li avevano acquistati prima.
Poi, c’è il tema se nel caso di crisi bancarie si possano o no usare gli esistenti fondi di tutela dei depositi con i soldi delle banche. In Italia esiste il Fondo interbancario di tutela dei depositi, finanziato dai privati, finanziato dalle banche senza soldi pubblici, che è sempre stato usato storicamente per le crisi bancarie, ma invece in questo caso l'Unione europea ci ha impedito di usarlo. Qui ci sono stati alcuni temi, che sono ancora aperti, ma voglio ricordare che questi temi non derivano dal percorso dell'unione bancaria; derivano, invece, da un'interpretazione della Commissione europea, Direzione generale della concorrenza, sul fatto che il Fondo interbancario di tutela dei depositi sarebbe, secondo la Commissione, un istituto che fornisce aiuti di Stato, e che, quindi, ai fini della concorrenza non è utilizzabile. Lo Stato italiano ha fortemente criticato questa posizione della Direzione generale della concorrenza e, come è noto, si è rivolto alla Corte di giustizia e adesso noi abbiamo presentato un ricorso alla Corte di giustizia proprio su questo punto.
Peraltro, il fatto che la Commissione europea abbia approvato il sistema dei rimborsi, sia quello di dicembre sia questo, ci dà un'apertura, nel senso che anche la Commissione europea si è resa conto che questa posizione della Direzione generale della concorrenza è probabilmente sbagliata. Chissà, Presidente, dato che un tema simile sta arrivando in Germania, perché è in grande difficoltà la Sparkasse di Amburgo e per intervenire sulla Sparkasse di Amburgo i tedeschi vorrebbero usare il loro Fondo interbancario di tutela dei depositi, vedremo, dunque, se la Direzione generale della concorrenza, grazie alla spinta dei tedeschi, finalmente darà ragione anche a noi sull'uso di quel Fondo. Questo avrebbe sicuramente, anche per quanto guarda la costruzione della manovra di salvataggio governativa, portato molti meno problemi.
Io penso – e concludo – che di fronte a problemi così seri, come quelli della crisi del settore bancario accumulata per fattori sistemici e strutturali esistenti da decenni, per troppo ritardo nelle riforme della modernizzazione del Paese, ci siano soltanto due atteggiamenti possibili: quello di affrontarli o quello di fuggire. Chi ha parlato prima di me, Presidente, mi sembra che non solo scappi, ma proprio non capisca e non riconosca i problemi che abbiamo di fronte, che sono problemi molto rilevanti e che, invece, i Governi di centrosinistra di questa legislatura stanno affrontando, recuperando un ritardo storico in qualche modo clamoroso, per esempio sui poteri di vigilanza e di intervento della Banca d'Italia. Quindi, io dico, come Partito Democratico, che dobbiamo andare avanti così: dobbiamo andare avanti così sull'unione bancaria, strappando finalmente, anche a livello di Unione europea, un accordo sull'assicurazione per i depositi; dobbiamo andare avanti sul completamento della costruzione europea. L'esito del referendum inglese ci mette di fronte – questo è evidente e ne discuteremo molto nei prossimi giorni – a un'alternativa drammatica, perché dopo quello che è successo stanotte l'alternativa è drammatica: o salta tutto o riusciamo a trovare il modo di rafforzare tutto, magari anche con un numero inferiore di Paesi, partendo da un numero più piccolo di Paesi. L'Italia come Paese fondatore, io credo assieme agli altri Paesi fondatori, ha una grande responsabilità storica in queste ore, non chissà quando. Quindi, occorre rafforzare la costruzione europea.
Poi, c’è la politica monetaria, che ha acquisito in questi anni nuovi e importanti strumenti. Io do solo due numeri: in questo momento – in questo momento ! –, e grazie al della Banca centrale europea, noi abbiamo che il sistema della Banca centrale europea ha acquistato 156 miliardi di titoli pubblici – 130 miliardi italiani, l'8 per cento per cento del nostro debito pubblico – e in questo momento la liquidità che il sistema europeo garantisce alle banche italiane è di 158 miliardi: è il 10 per cento del fabbisogno finanziario per il credito alle imprese in Italia. Se venisse a mancare questo, cioè se venisse a mancare l'apporto del noi registreremmo una restrizione credo del 10 per cento.
Io apprezzo molto e devo dire che ritengo che politicamente anche alcune delle iniziative dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, relativamente alle loro remunerazioni, ai loro stipendi, abbiano una simbologia, come dire, che va nella direzione giusta. Hanno azzeccato simbologicamente questo tema. Però, voglio ricordare che stiamo parlando di 16 milioni, da un lato, e di 158 miliardi, dall'altro. La simbologia di quell'azione la capisco e capisco anche che va nella corretta direzione, però non si possono neanche illudere i cittadini italiani che con 16 milioni si risolve un problema che non è ancora risolto con 158 miliardi. Quindi, bene questa nuova politica monetaria, ma sarà necessario accostare alla nuova politica monetaria nuove politiche economiche di crescita, perché la politica monetaria può garantire la stabilizzazione dei mercati, può garantire che non ci sia instabilità, speriamo che ce la faccia il presidente Draghi in queste ore, in questi giorni, ma poi per crescere occorre rafforzare politiche fiscali di bilancio comuni e rafforzare anche il lavoro per le riforme strutturali che facciano ritornare i nostri Paesi europei su un di crescita.
Quindi, quelle del sistema bancario sono riforme importanti, forse fra le più importanti di questa legislatura, e gli eventi critici che sono in corso in queste ore (ricorderei a tutti i colleghi deputati di connettersi con le notizie, con quello che sta succedendo nel mondo), se guardati con onestà intellettuale e non con pregiudizio strumentale, dimostrano la piena e totale ragione del lavoro riformista fatto sul sistema bancario in questi ultimi tre anni .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Busin. Ne ha facoltà.
FILIPPO BUSIN. Grazie Presidente. Oggi, come ricordava l'onorevole Causi, è effettivamente un giorno speciale. Da un lato, triste, perché ci lascia un popolo che è il portatore della migliore cultura economica e finanziaria di questo continente e del mondo intero, il portatore della migliore tradizione democratica, della più antica tradizione democratica d'Europa. Da un lato è triste, dall'altro, però, è anche un giorno esaltante, perché abbiamo l'esempio di un popolo fiero che con coraggio decide di prendere in mano il proprio destino e ci dà un grande esempio di libertà, di democrazia, e anche un monito a questa Europa di burocrati fortemente antidemocratica che ci sta portando in una situazione di una via senza scampo, di una via senza soluzione e senza prospettive. Per quanto riguarda invece il decreto in discussione oggi, siamo di fronte all'ennesimo decreto d'urgenza che tenta di intervenire in modo positivo sul sistema bancario, ma – ahimè – con risultati pessimi, almeno fino ad ora, e questo decreto credo non sarà un'eccezione. È evidente la preoccupazione ed è giusta la preoccupazione del Governo per una crisi che sembra sempre più pericolosa e che si avviluppa in un circolo vizioso. Qui si interviene sul problema dei crediti incagliati, che è il problema dei problemi, i cosiddetti NPL, che ammontano a più dei 200 miliardi che ho sentito prima; sono circa 300 i miliardi, in parte coperti e in parte scoperti dagli accantonamenti bancari. Viene affrontato questo problema istituendo degli strumenti che accorciano e semplificano le procedure di recupero e di escussione del credito e danno per così dire una corsia preferenziale alle banche in caso di insolvenza del debitore.
La crisi del sistema bancario ha molteplici concause, a partire dalla dei vertici, che molto spesso si sono dimostrati non all'altezza, se non improvvisati, nella gestione delle banche, e troppo condizionati da logiche clientelari e poco di mercato, CdA pletorici, direttori strapagati, inutilmente strapagati e quant'altro. Poi ci sono delle falle evidenti, e ieri abbiamo avuto modo di riferirlo anche al Governatore Visco della Banca d'Italia, nel sistema di vigilanza da parte di Banca d'Italia e di Consob; temi che non sono stati per niente affrontati né in questo, né in precedenti decreti e che il Governo sembra ignorare, ma che sono lì e sono evidenti. Ma è soprattutto una crisi del debito privato e qui il tema diciamo è stato centrato come ho detto prima e su questo siamo d'accordo. Però, individuato il problema, il modo di risolverlo scelto dal Governo, la metodologia e il merito di questo decreto, ci trovano totalmente dissenzienti.
La questione fondamentale è che il debito privato italiano è espresso in valuta troppo forte e non corrispondente ai reali valori della nostra economia; il problema è quello dell'euro. È stata pubblicata da Eurostat a questo proposito una statistica, recentemente, che vede il costo del lavoro in Italia scendere dell'1,5 per cento, a fronte di una crescita media europea dell'1,7 per cento. È in calo addirittura il costo orario del lavoro in Italia, che cala dello 0,5 per cento, sempre a fronte di un aumento medio europeo dell'1,7 per cento; la Germania cresce addirittura del 3,2 per cento.
I dati Istat confermano una deflazione in atto nel nostro Paese unita a una crescita anche essa inferiore alla media europea, quindi il divario rispetto agli altri Paesi più avanzati continua a crescere. La forbice ha cominciato ad allargarsi nel 2011, con la crisi dello e continua con i Governi Monti, Letta e Renzi, inesorabile, senza nessuna inversione di tendenza. Accade, quindi, che la nostra economia sta tornando dolorosamente a ragionare in lire, mentre il debito diventa insostenibile perché espresso ancora in marchi tedeschi. Chi ha avuto l'esperienza di indebitarsi in valuta forte, come il sottoscritto nella sua umile e breve esperienza imprenditoriale, sa cosa vuol dire avere un debito in una valuta troppo forte per le proprie capacità di restituire il debito stesso. Le nostre imprese, le nostre famiglie, non ce la fanno più a restituire quanto loro concesso con troppa facilità, in modo spregiudicato, negli anni passati, anche da parte di banche straniere, anzi soprattutto da parte di banche straniere, che hanno alimentato questo debito, quello dell'Italia, ma anche del Portogallo e della Grecia, quando conveniva prestare i soldi ad un tasso di interesse vantaggioso, senza avere il rischio del cambio, perché il debito era espresso in euro. Tutto ciò lo conferma anche una recente statistica che ho letto dell'Adico di Mestre, che testimonia che la difficoltà, non solo dell'impresa a restituire i debiti, ma anche delle famiglie italiane a restituire le rate del mutuo, è in continua ascesa. L'ammontare dei debiti delle rate non onorate delle famiglie è aumentata del 10 per cento quest'anno rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso, una famiglia su quattro non riesce restituire quanto chiesto in prestito, senza contare che il valore dell'immobile e dei terreni, a fronte del quale si sono indebitate nel frattempo, probabilmente, se il mutuo è stato contratto nel 2007 o nel 2008, è grosso modo dimezzato; quindi si è in deflazione conclamata, al di là di quello che ci dicono poi i dati Istat.
Di fronte a questo quadro drammatico, il Governo interviene senza aver colto le dimensioni e le cause profonde della crisi, con un approccio superficiale estemporaneo, intervenendo ora qua, ora là, e con misure che cercano disperatamente di salvare il settore bancario senza curarsi delle strette interdipendenze che, come ricordava anche l'onorevole Causi, ha il nostro sistema imprenditoriale ed economico in generale, che è, come detto, bancocentrico. Non si possono salvare le banche pensando di far fallire le imprese o mandare in rovina i risparmiatori. È evidente che le misure adottate sono tutte, in questo caso, a favore delle banche i cui crediti grazie al patto non possessorio, al patto marciano, acquisiscono per così dire la qualità di prededucibili, con uno stravolgimento delle procedure concorsuali tutte a favore della banca che bypassano in qualche modo una figura terza data dal giudice a garanzia dei diritti del debitore e del creditore. Inoltre, alcune indeterminatezze e lacune del testo, che non ha minimamente, almeno alla Camera, ricevuto il contributo delle opposizioni, né di esperti o rappresentati delle categorie interessate per mancanza totale di audizioni (questo è stato un percorso assolutamente offensivo o quasi per chi fa il deputato, perché il nostro contributo è stato completamente ignorato), che consentono ad esempio di iscrivere il diritto di trasferimento del bene immobile anche per contratti di finanziamento già in essere, fanno di queste misure degli strumenti pericolosi e sproporzionati che stravolgono gli equilibri dei diritti del debitore e del creditore. Facevo, ieri, l'esempio in Commissione di quell'imprenditore che si è indebitato e che ha messo a garanzia del proprio debito delle azioni della Banca Popolare di Vicenza o di Veneto Banca, che una volta azzerate queste azioni, si trova con la banca che gli chiede o di rientrare o di sostituire questa garanzia con una garanzia che preveda il trasferimento del bene, così oltre a perdere il capitale in azioni, perderà anche il capannone e via via gli strumenti che gli servono per lavorare, così l'azzeramento del suo capitale e la sua povertà saranno conclamate. Misure di questa portata, tutte di natura ordinamentale, quindi estranee alla logica della decretazione d'urgenza, sarebbero state un pericolo e un azzardo anche in condizioni normali o di crescita economica. In questo periodo diventano veramente qualcosa di esplosivo e di drammaticamente pericoloso. In un contesto come quello attuale rischiano di trasformarsi in veri espropri che darebbero sì ossigeno momentaneo alle banche, ma rischiano seriamente di distruggere le aziende e impoverire i risparmiatori. In questo senso i nostri emendamenti tendevano tutti a riequilibrare i diritti del debitore e del creditore; sono stati inascoltati, come quelli di altre opposizioni, per i motivi già detti. Il Governo, in tema di sistema creditizio, ha più volte agito in questo modo recentemente con decreti d'urgenza che hanno semplicemente danneggiato e alterato i rapporti tra banche e i loro clienti, innescando un pericoloso circolo vizioso di cui non si vede la fine. Si citava prima il decreto sulle banche popolari. Se quel decreto, pur giusto in linea teorica e pur condivisibile in linea teorica, abbia sortito gli effetti desiderati, io lo lascio a chi vive la realtà e non la teoria di tutti i giorni. Penso che un disastro simile era anche difficile da concepire. Perché ? Perché il decreto ha avuto una tempistica e un modo di implementazione e di realizzazione totalmente sbagliati creando un danno superiore a quello che era preesistente. Solo il recepimento critico e affrettato della direttiva BRRD, quella sul per fare ancora un esempio, ha provocato una vera e propria corsa agli sportelli che non è stata testimoniata dai nazionali, ma che c’è stata e c’è stata perché, come abbiamo sentito in audizione, MPS in pochi mesi, a seguito di quel recepimento e quindi della preoccupazione che ha innescato nei depositanti, ha visto sparire dai propri depositi 5 miliardi. La Banca Popolare di Vicenza, che aveva una situazione ancora più critica e più di crisi conclamata, ha visto sparire in quattro mesi 9 miliardi di depositi. È chiaro che questi poi, essendo dei moltiplicatori del credito, si riversano anche sulla possibilità di credito delle banche e creano i presupposti di un che si sta verificando almeno nelle province di Vicenza e Treviso, ma diciamo in tutto il Veneto e probabilmente anche in altre parti d'Italia.
Ma Renzi insiste con questa linea di interventi estemporanei e diciamo noi inefficaci, quando anche non dannosi, moltiplicando le tensioni che avranno effetti negativi per decenni. E qui bisogna ricordare che i risparmiatori hanno la memoria lunga e una volta che sono stati scottati è difficile poi ricostruire quel rapporto di fiducia, che forse era anche esagerato e che andava corretto, che avevano nei confronti delle banche e soprattutto delle banche locali, quelle che portavano nel titolo la parola «popolare» o nel titolo la parola della propria città, come Chieti, Ferrara, Vicenza. Gli effetti sono una conseguenza di una minor raccolta, conseguenza di minor capacità di erogare i crediti come detto. I risparmiatori sono a torto definiti in questo decreto – e anche qui le parole hanno un peso – «investitori». Ma sono dei semplici risparmiatori, nella gran parte dei casi, nella maggioranza dei casi ignari e sprovvisti di quegli strumenti culturali e tecnici che gli consentano di valutare l'effettivo grado di rischiosità degli strumenti finanziari che gli vengono proposti. I risparmiatori non hanno visto neanche in questo caso il ristoro dei propri diritti perché negli articoli che riguardano appunto la restituzione di quanto perso con le obbligazioni subordinate nelle quattro banche fallite, non salvate, ma fallite, il ristoro è assolutamente ridicolo e offensivo quanto a lesione dei loro diritti. Se uno Stato come il nostro che vuole dirsi Stato di diritto ha ravvisato la violazione di un diritto in capo ai risparmiatori, secondo noi deve semplicemente, per quanto questo sia oneroso e doloroso, agire in modo che tale diritto sia ripristinato. Qui, invece, abbiamo uno Stato che si comporta come un assicuratore che mette regole complesse per stabilire quanto deve essere restituito, addirittura con dei calcoli impossibili che dovrebbero detrarre dall'importo già detratto del 20 per cento la differenza fra il rendimento dei BTP di uguale durata rispetto alle obbligazioni sottoscritte. Quando non ci sono BTP di uguale durata bisogna andare per analogia a BTP più vicini con dei calcoli veramente assurdi che non fanno onore a questo Governo, con dei limiti forfettari come ho detto dell'80 per cento che non hanno alcun presupposto logico o spiegazione in punto di diritto o di equità.
Poi ci sono parametri arbitrari di reddito e di patrimonio immobiliare che non hanno nessuna attinenza, né con il danno subito dagli investitori, perché è di quello che si parla, non della loro capacità di reddito o del loro patrimonio, ma che non hanno neanche appunto nessuna corrispondenza con la loro capacità di reddito che sappiamo non è legata strettamente, né ai beni immobiliari detenuti, né al reddito dichiarato per ovvi motivi che non sto qui a spiegare. È uno Stato che assomiglia come ho detto a un'assicurazione che contratta al ribasso ponendo il cliente di fronte a uno snervante percorso ad ostacoli e a un ricatto: prendere il certo e poco di oggi per l'incerto assoluto di domani. E, infatti, in questo decreto non troviamo nulla sulle modalità di ristoro delle perdite attraverso quanto già preannunciato in legge di stabilità, cioè attraverso l'arbitrato istituito presso l'ANAC. Avanti di questo passo il danno del sistema produttivo economico in generale sarà irreparabile e ve ne assumete in pieno la responsabilità visto il modo in cui avete deciso di procedere in spregio alle prerogative del Parlamento e di una normale dialettica democratica che la trattazione di un tema così delicato e complesso avrebbe reso più che mai necessaria.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Grazie Presidente. Anch'io devo dire che discutere di un provvedimento che ha il suo obiettivo fondamentale nella stabilità finanziaria e in particolar modo nella stabilità del sistema bancario oggi è abbastanza ironico sotto certi aspetti, nel senso che ci troviamo in una condizione in cui in questo momento tutte le banche italiane quotate in Borsa, ma credo molto più probabilmente tutte le banche europee, anche se non lo guardo quel dato, sono di fatto sospese a tempo illimitato per eccesso di ribasso teorico. Circa quello che è successo ieri sera, questa notte in Gran Bretagna, cioè la scelta di UK di uscire dall'Unione europea non siamo in grado ancora di valutare precisamente – probabilmente ci vorranno anni – quale impatto possa avere sul sistema economico complessivo, ma di certo possiamo stabilire da subito che avrà un impatto significativo sugli equilibri finanziari, non fosse altro che perché una delle principali valute su cui si basano gli scambi internazionali e anche l'accumulazione internazionale di valore, cioè la sterlina, ha perso fra il 15 e il 20 per cento in queste ore; non fosse altro perché quella che è stata definita in anni passati, dopo l'ultima grande crisi, la più grande bolla speculativa esistente sul pianeta Terra, cioè la città di Londra, è denominata di fatto in sterlina. In altre parole, di fatto la principale bolla speculativa attualmente esistente, a cavallo fra l'immobiliare e il finanziario, ha appena perso il 20 per cento del valore dei propri . Quindi, pensare che questo non abbia un'immediata e possibile conseguenza anche sulla stabilità del nostro sistema bancario sarebbe puerile e non a caso la BCE fin da ieri – credo che già in questo momento stia intervenendo – ha garantito di attivarsi con tutti gli strumenti che può avere e con tutta la fantasia e la creatività di cui Draghi saprà farsi interprete a tutela questa volta appunto, non del sistema bancario italiano gravato da sofferenze, ma del sistema bancario europeo che in questo momento si trova ad affrontare una condizione inedita e probabilmente a cui non era nemmeno fino in fondo preparato. Quindi, questo è lo scenario di queste ore. Noi invece discutiamo di un provvedimento nato prima e probabilmente anche con altri presupposti.
Abbiamo avuto modo in Commissione di avere un dialogo, una discussione molto approfondita per quelli che erano i limiti imposti dalla maggioranza e dal Governo che vanno qui denunciati, ossia limiti su un provvedimento comunque molto rilevante io credo e anche molto più di quella che è l'attenzione che gli è stata fin qui riservata da stampa, opinione pubblica e persino dalla stessa classe politica. Un provvedimento molto importante e molto impattante sul sistema economico e finanziario italiano è stato messo alla Camera dei deputati per una settimana di fatto. Questo è stato il tempo che ci è stato concesso per discutere e di conseguenza, dato che il tempo era così ridotto, non ci è stata data la possibilità di intervenire in alcun modo per provare a modificarlo ed eventualmente a migliorarlo. E di miglioramenti – io credo – questo provvedimento aveva molto bisogno, perché se era condivisibile – come sempre è stato anche per altri – l'approccio iniziale, cioè l'obiettivo, quello di andare a smaltire i famosi 200 miliardi e più di sofferenza accumulati all'interno dei bilanci delle banche in questo Paese e anche gli altri 200, quelli di cui si parla meno, cioè quelli dei crediti incagliati, perché, stante una ripresa economica molto anemica, ci si può aspettare che progressivamente anche quelli rischino di raggiungere livelli di deterioramento ulteriore, se quello di smaltirli è un obiettivo condiviso, ancora una volta io devo dire che, con questo provvedimento, sono le strade che divergono, sono le soluzioni che divergono fra noi e la maggioranza. La maggioranza ha già detto in altre occasioni e il Governo ha già detto in altre occasioni di ritenere che sia il mercato, in qualche modo, a doversi fare carico di questo problema e a doverlo risolvere. Come abbiamo avuto modo di discutere, anche ieri, con il Governatore della Banca d'Italia, il mercato ci metterà molto tempo e soprattutto il mercato per risolvere da solo questo problema ha bisogno di accelerare i tempi e rendere più facile l'escussione dei crediti. Rendere più celeri i tempi e più facile escussione dei crediti vuol dire una cosa molto semplice, che chi è dall'altra parte del credito, cioè il debitore, dovrà essere espropriato più rapidamente e con più facilità dei propri beni. È un debitore moroso, non c’è alcun dubbio, però sempre di debitore si tratta e quando diciamo debitore intendiamo un'impresa o una famiglia.
Ovviamente quando parliamo di accorciare i tempi, parliamo anche di una condizione in cui tempi più lunghi possono permettere ad un'impresa di riprendersi ovviamente con più facilità; tempi più corti significa che anche alla prima difficoltà, al primo accenno di difficoltà in un tempo medio, tu non hai la possibilità di riprendersi perché il vero obiettivo del sistema è prendere i tuoi beni per soddisfare quelli che sono i bisogni delle banche.
Devo anche avvertire, preliminarmente me stesso e l'Aula e i colleghi, che quando noi immaginiamo una riscossione dei crediti fatta dall'istituto di credito che li ha concessi, noi parliamo spesso di un mondo che non c’è più. Evidentemente non guardiamo a quelli che sono stati anche casi europei. Penso alla Spagna, penso alla Grecia, che, prima di noi, hanno avuto un problema di accelerare e rendere più forte il recupero dei crediti da parte degli istituti bancari. I crediti vengono ceduti. Non sono le banche che si occupano più del rapporto diretto con i propri debitori morosi. I crediti, soprattutto quelli in sofferenza, soprattutto quelli incagliati, vengono cedute a società terze che hanno come unico obiettivo quello di rientrare rapidamente e di rientrare del massimo possibile. Quindi, noi ci dobbiamo immaginare un mondo in cui questi strumenti, cioè la possibilità di espropriare più rapidamente e con più facilità beni d'impresa e non solo di impresa, non verranno messi nelle mani delle banche e della relazione diretta che queste hanno con i loro clienti, ma verranno messi nelle mani di istituti di riscossione di crediti – quasi sempre non italiani, peraltro, almeno nella loro proprietà, nel loro stabilimento, italiane saranno, al massimo, le ditte che verranno coinvolte per fare questo lavoro –, i quali acquisteranno crediti a 20, 30, 40, 50 e dovranno realizzarci sopra un margine di guadagno.
Quali strumenti noi diamo oggi alle banche e, di conseguenza, anche a questi operatori terzi ? Il primo che viene inserito è il pegno non possessorio. Noi abbiamo fatto molte critiche, io credo abbastanza ragionevoli e motivate a questo tipo di strumento. Cosa significa pegno non possessorio ? Significa che, da domani, sarà possibile per il sistema bancario, nel momento in cui si concede un credito – un credito di qualsiasi tipo: un credito a scadenza, un credito a fronte di presentazione di fattura, un credito di un credito di scoperto di conto corrente, un credito a rate, qualsiasi tipo di credito –, questo potrà essere accompagnato da una garanzia di pegno non possessorio. Il pegno che esisteva anche prima, come è evidente, ma trovava il suo limite molto forte nella sua natura. Il pegno poteva essere posto su un bene materiale o anche immateriale, per la verità, che sostanzialmente, però, veniva sottratto alla disponibilità d'uso del proprietario: pegno possessorio. Viene tolta la disponibilità d'uso, di conseguenza si tratta di un istituto molto poco utilizzato, perché non era nemmeno pensabile di poter mettere un pegno su un magazzino o su un bene strumentale se l'imprenditore doveva contestualmente utilizzarlo.
Con il pegno non possessorio, di fatto, è come se noi smaterializzassimo e trasformassimo in mera misura finanziaria tutti quelli che sono gli attivi di impresa, materiali e immateriali, dai marchi ad eventuali quote societarie, ai macchinari, al magazzino, introducendo in questa norma, peraltro, anche la possibilità di dare continuità al pegno. In magazzino dove viene lavorato e trasformato in un prodotto diverso il pegno si trasferisce automaticamente al prodotto di terzi. Il bene prodotto viene venduto e il pegno ritorna al magazzino. È questo che dà la misura di un provvedimento che, di fatto, tende non tanto a dare una possibilità in più al sistema bancario nel suo rapporto con l'impresa e all'impresa nel suo rapporto con il sistema bancario nel momento in cui richiede credito, ma, di fatto, cambia la natura stessa del rapporto di credito, introducendo una garanzia accessoria che, dal mio punto di vista, diventerà rapidamente – poi dirà la storia se sbaglio – una garanzia ordinaria. Infatti, il risultato finale di questo pegno non possessorio sarà semplicemente stravolgere quella che è la gerarchia dei creditori.
Noi eravamo abituati ad un mondo in cui, in caso di fallimento, in caso di procedura concorsuale, una volta ceduti beni d'impresa per fare fronte alle necessità dei creditori, si partiva dai lavoratori si andava i fornitori e le banche, almeno i crediti chirografari, erano in fondo. Ora, noi possiamo immaginare che questi crediti chirografari saranno ordinariamente accompagnati da pegno non possessori, che diventa, di fatto, un privilegio generalizzato e aggiuntivo, e, quindi, andranno in cima. Questo, certo, rende molto, molto, molto più facile e più celere per le banche, di fronte ad imprese in difficoltà, andare a recuperare il loro credito. Infatti, di fatto, devono passare relativamente persino dalla procedura concorsuale alla procedura di fallimento, perché escono per prime ed escono con quello che c’è disponibile. Se sono abbastanza attente, considerando che di solito un'impresa prima di fallire comincia a produrre incagli e sofferenze, possono addirittura prendere ciò che a loro spetta prima che inizi la procedura concorsuale o fallimentare. Poi, eventualmente, qualora questa avvenisse e fossero ancora nei tempi, sarebbero chiamati a rispondere, ma successivamente, dopo aver già ottenuto il proprio.
Bisogna anche ricordare che questo pegno non possessorio non è stato nemmeno delimitato dal Governo nelle sue clausole contrattuali, cioè la condizione che lo fa scattare è lasciata alla libera contrattazione fra le parti. Quindi, potrebbe essere anche semplicemente una rata non pagata, potrebbe essere semplicemente un ritardo di un mese o potrebbe essere una cosa anche molto più lunga, ma è lasciata alla libera contrattazione tra le parti. La condizione di escussione del pegno non possessorio è lasciata a questo. Quindi, questo sarà iscritto e possiamo immaginare che sarà iscritto sulla totalità delle disponibilità d'impresa, progressivamente.
Perché dico questo ? Perché non c’è un conflitto di interesse. Non è un problema per l'imprenditore permettere che sui suoi beni strumentali venga messo un pegno non possessorio. Se poi la banca fosse addirittura talmente generosa da concedergli un piccolo sconto sul tasso di interesse – piccolo, non è necessario molto altro –, non c’è proprio nessuna difficoltà: tu continui a lavorare con le tue cose e un domani, quando mai si dovesse verificare il fatto negativo, a cui, però, nessuno pensa in partenza quando gli affari vanno bene, eventualmente rischiarai di perderle. Peraltro, se le cose non vanno bene, rischieresti di prenderli comunque.
Un secondo elemento negativo di questo pegno non possessorio, che credo vada, invece, sottolineato è il fatto che può essere messo anche su beni abbastanza significativi, cioè gli immateriali: marchi e quote. Qui, dal mio punto di vista, c’è una prova molto serio, perché quote societarie e marchi e brevetti sono cose che possono valere moltissimo e possono essere valorizzate molto poco in partenza. Una piccola e media impresa può attraversare normalmente, nel corso della sua vita, molti momenti di tensione finanziaria, cioè molti momenti che teoricamente potrebbero far scattare l'escussione di un pegno non possessorio. È chiaro che, se immaginiamo, come spesso si fa all'interno degli esempi che ci siamo fatti anche in Commissione, il tornio, certo è molto difficile immaginare una banca che, anche in un momento di difficoltà finanziaria dell'impresa, ne approfitti per espropriare il tornio: è totalmente inimmaginabile. Parliamo di una cosa che non ha mercato. Diversa è la condizione nel momento in cui quest'impresa avesse, ad esempio, avuto la ventura di sottoporre a pegno un brevetto importante, un marchio di valore. Voi capite che lì siamo in una condizione completamente diversa, perché marchi e brevetti, invece, possono valere molto più anche di quello che è stato diciamo il valore ipotizzato quando si è concesso di mettere un pegno su quel bene. E voi sapete che soprattutto, pensate una che azzecchi un investimento, diciamo così, nel momento in cui, all'inizio, ha il bisogno di avere credito, sei ovviamente disponibile, se te lo chiedono, a mettere pegno su qualsiasi cosa, tanto più sull'unica che hai, cioè la tua idea, se la legge lo consente, perché il credito è necessario per fare impresa.
Questi sono rischi, non si tratta di fare del catastrofismo, sono rischi, però io credo che il legislatore, quando i rischi sono importanti, possono impattare direttamente sul concreto e corretto svolgimento dell'attività di impresa, quindi dell'attività economica, debba guardare questi rischi con molta attenzione e possibilmente metterli da parte, perché nel rapporto fra banca e impresa, il nostro obiettivo principale, più ancora che tutelare il diritto delle banche di riavere i loro crediti, noi dovremmo avere come obiettivo fondamentale e politico la continuità dell'attività imprenditoriale, di cui la finanza è uno strumento, se impostiamo le cose correttamente. Cioè, non è la valorizzazione del capitale prestato, non dovrebbe essere la valorizzazione del capitale prestato l'obiettivo fondamentale dell'attività economica, ma dovrebbe essere la continuità d'impresa e la sua capacità di produrre valore, remunerando anche il capitale prestato. Ora io, di questo obiettivo fondamentale, non vedo alcuna traccia in questo decreto, sotto questo profilo, parliamo del pegno non possessorio, e nemmeno negli altri.
Altro strumento, quello che viene chiamato «patto marciano»: ora noi, di «patto marciano» c'eravamo già occupati come Commissione finanze, anche con scontri abbastanza accesi all'interno della Commissione, con un dibattito molto serrato e anche con un forte dietrofront del Governo rispetto all'impostazione originaria. Il «patto marciano» noi lo avevamo affrontato relativamente ai mutui fondiari casa, parliamo di privati consumatori, famiglie. Il «patto marciano» è quella cosa per cui, di fronte al mancato pagamento di una certa serie, si diceva allora di rate della propria casa, la banca, anziché rivolgersi al tribunale per mettere all'incanto eccetera, poteva direttamente prendere il bene per tenerlo per sé o per venderlo, realizzare con la vendita la copertura di ciò che mancava rispetto all'impegno del debitore ed eventualmente risarcire il debitore con quello che mancava.
Patto marciano-casa: dibattito molto forte, perché si erano denunciati tutti i rischi di questo, ossia di accelerare la messa per strada delle famiglie italiane, che si era concluso con alcune modifiche, per la verità è ancora in itinere ma le proposte di modifica della maggioranza, poi recepite in parte dal Governo, quasi tutte, erano arrivate ad allungare di molto i tempi di mancato pagamento delle rate, a stabilire che, comunque, se si fosse fatta scattare quella clausola, non sarebbe stato possibile chiedere altro al debitore, cioè con l'espropriazione dell'immobile tutti i debiti venivano automaticamente cancellati, quelli collegati all'immobile medesimo, e si era stabilita la non retroattività della norma, cioè la non possibilità di apporre quella clausola all'interno di un contratto di mutuo già emesso.
Allora, quando parlavamo di questo, io avevo ipotizzato, dato che non vedevo scritto il contrario all'interno della norma, che, per estensione almeno analogica, quel tipo di strumento, una volta inserito nell'ordinamento, potesse essere utilizzato anche sui beni d'impresa (capannoni). Dicevo allora che la cosa mi sarebbe sembrata ancora più problematica, perché ovviamente è più facile per una famiglia trovare un'altra casa, anche laddove si trovi in condizione di un esproprio della propria, di quanto sia per un'impresa trovare un altro capannone, laddove abbia un problema immediato nell'essere messa fuori, lei e tutti i suoi macchinari, in mezzo alla strada, perché di questo di fatto parla la norma.
Allora venivo tranquillizzato dalla maggioranza e dal Governo, che dicevano: assolutamente questa norma non riguarda le imprese, riguarda solo le famiglie e non saremmo mai tanto pazzi da estendere una norma del genere anche alle imprese. Puntualmente, un paio di mesi dopo, appunto in questo provvedimento, il «patto marciano» arriva, scritto appositamente per il sistema imprenditoriale e significativamente peggiorato anche rispetto a quello allora immaginato per le famiglie; peggiorato, non solo perché le scadenze di mancati pagamenti sono più ravvicinate (nove mesi contro diciotto), non solo perché non si prevede più che, in caso di riscossione dell'immobile, cioè di presa in carico della proprietà dell'immobile da parte della banca, ci sia comunque la chiusura del debito, no, «fino a», potrebbe anche il resto del debito in essere dover essere pagato in altro modo, e questa è una clausola, invece, che dovrebbe definire il «patto marciano» come tale, e non c’è, ma soprattutto perché non c’è la possibilità di inserirlo solo su debiti rateizzati, a scadenza, ma anche sui fidi, sugli scoperti di conto corrente, per esempio, sul .
E lì c’è un problema, perché pensare che uno scoperto di fido, per esempio, che si protragga per nove mesi e un giorno, perché questo è scritto nella legge, se garantito da questa norma, che può essere inserita anche a posteriori, a contratti in essere, faccia scattare il passaggio di proprietà dell'immobile strumentale all'attività d'impresa o di altro immobile, purché non prima casa, messo a disposizione da familiari, amici, parenti, la stessa persona, ma fosse solo, insomma, la seconda casa, ma l'immobile strumentale per fare impresa è un problema serio, perché nove mesi e un giorno, per chiunque abbia visto un po’ come hanno funzionato le imprese in questo Paese negli anni più duri della crisi, che non è finita peraltro, è un tempo breve. Avere uno scoperto di conto corrente, un extra fido, che si manifesta consecutivamente per nove mesi è relativamente facile, e nove mesi sono pochi. Considerate anche che vale, per il «patto marciano», come valeva per il pegno non possessorio, la possibilità anche di essere inseriti in contratti già in essere, anche relativi a crediti già incagliati o a sofferenza, con questo pregiudicando ulteriormente il rapporto che dovrebbe essere paritario fra il creditore banca e gli altri creditori, perché, chiaramente, io banca so già che tu sei in difficoltà perché hai già dei crediti incagliati su cui hai delle difficoltà di pagamento; io vedo i tuoi bilanci, io ho accesso alle banche dati, io conosco la tua condizione molto meglio dei fornitori, molto meglio dei lavoratori. Le banche sono sempre il primo soggetto all'interno della catena economica a sapere quando si produrrà un momento di difficoltà finale per uno dei loro clienti, perché sono gli unici ad avere accesso, di fatto, all'intera catena dell'informazione. Ebbene, a quel soggetto lì è data la possibilità di inserire clausole che pongono privilegi rispetto a quelli che sono i beni d'impresa, a partire appunto, con il «patto marciano», dal capannone.
Peraltro, questa cosa del «patto marciano» è anche particolarmente antipatica, checché se ne dica, perché è evidente che non c’è un rapporto di pari forza contrattuale, soprattutto in momenti di difficoltà, fra un piccolo, medio imprenditore, potrei dire anche uno grande, e l'istituto di credito. Per cui tu hai voglia a dire che ci deve essere l'accordo di entrambi, ma resta il fatto che io voglio vedere quando, di fronte ad un fido a scadenza, quindi a revoca, cioè che sta per essere revocato perché è scaduto, nel momento in cui c’è la ricontrattazione di questo fido, cosa che capita mediamente ogni due o tre anni ad un'impresa, andare a rinegoziarlo, a rinegoziare la sua sussistenza, davanti all'istituto di credito che ti dice: sì, c’è il rinnovo, non c’è problema, ma a patto che tu mi metti una garanzia accessoria, cioè l'immobile è tuo, l'immobile è di un terzo, su un fido, eh, per esempio, prima non era possibile, non potevi mettere ipoteca collegata a un fido, ecco, voglio vedere qual è l'imprenditore che si trova nella condizione, in un momento in cui ancora il è forte, di poter rifiutare. Rifiuterà, se ne andrà, sbatterà la porta, andrà all'istituto di fronte, chiederà l'apertura di credito, gli verrà chiesta la stessa cosa o gli verrà negata e tornerà a firmare nella banca precedente: questo è più o meno l'iter immaginabile ma perché è l'iter che tutti i giorni vivono gli imprenditori di questo Paese, a cui appunto adesso viene fatto questo regalo.
Perché l'uno e l'altro ? Il perché, appunto, ce lo ha detto ieri Visco: perché velocizzare questo tipo di procedura è funzionale allo smaltimento di quei 200 miliardi di sofferenze, che sarà comunque un processo lungo, lungo anni, anni e anni, ma che, senza questo tipo di strumenti, non sarebbe nemmeno possibile. Se voi andaste in Grecia – non per dire che l'Italia sia in quelle condizioni, ma è per capire – e chiedeste quale è stato il punto di rottura principale nella società di quel Paese, il punto di rottura principale è stato quando è stata data la possibilità di fare questo genere di cose, quando i crediti delle banche in crisi sono stati tutti cartolarizzati a società terze, specializzate nel recupero, e queste hanno cominciato a girare, casa per casa, impresa per impresa, a chiedere l'immediato rimborso o l'esproprio dei beni.
Quello è stato il punto di vero all'interno della società greca. Non a caso, il Governo Tsipras, che, come è noto, ha ceduto su tanto, quasi su tutto, nei negoziati con i creditori, su un punto solo ha tenuto duro, anche recentemente, questo: ha rifiutato di aderire alle richieste che gli venivano date di facilitare e rendere ancora più veloce la possibilità per gli istituti di credito e, soprattutto, le società terze – perché gli veniva chiesto di rendere anche più facile il passaggio di questi crediti – di rivolgersi ai beni dei debitori. Invece, con questo provvedimento, senza nemmeno essere in quelle condizioni e con un dibattito che a me preoccupa soprattutto per la grande leggerezza con cui viene tenuto, come se si facesse finta o, peggio, non si riuscisse a vedere che quello che noi facciamo qui dentro, anche se da un punto di vista formale ineccepibile, in realtà ha una conseguenza, può avere una conseguenza pesante sulla vita reale e materiale delle persone, questo non viene visto.
Articolo 4, disposizioni in materia di esecuzione forzata. Qui la possiamo fare molto più rapida, anche se non è meno importante, perché è molto più semplice da capire e, soprattutto, da spiegare. Si tolgono di mezzo in parte gli ufficiali giudiziari all'interno dell'esecuzione forzata, si affida quello che era prima il loro mestiere a custodi nominati dal tribunale e si tolgono tutte le clausole che, in qualche modo, prima si dice che rallentavano la procedura di esecuzione forzata, per renderla molto più veloce. Lo si fa per tutti ? Parliamo di sfratti, per essere molto chiari, parliamo di sfratti; parliamo del momento in cui una persona che abita in una casa non è più in grado di pagare, e quindi deve essere sfrattata. L'obiettivo di questa norma è uno ed è molto semplice: far sì che quella persona esca da quella casa molto più velocemente di come faccia adesso, perché quella casa deve essere venduta.
Più rapidamente la persona si toglie di mezzo, più rapidamente quella casa sarà venduta a più alto valore, punto. Nemmeno necessariamente al più alto valore, perché, poi, la stessa norma permette anche al tribunale di abbassare rapidamente, purché si venda, in sostanza, rapidamente. Viene fatto per tutti ? No, viene fatto solo per chi abbia debiti verso le banche, e questa è una cosa, da un punto di vista anche costituzionale, abbastanza stravagante. Cioè, per l'inquilino che non paga l'affitto, tutto come prima; per il debitore che ha fatto un mutuo e non paga le rate alle banche, accelerazione della procedura di espulsione dall'immobile. Ora, qualcuno dovrebbe spiegare in questo Paese per quale ragione una persona che affitti una casa ad un inquilino che non la paga debba da domani attendersi di metterci più tempo a riavere indietro il suo immobile di quanto invece spetti alla banca a cui non viene pagato il mutuo.
Infatti, se è certo che, probabilmente, la parte più debole è sempre l'inquilino o il mutuatario, l'altra cosa altrettanto certa è che, per quanto forte possa essere il palazzinaro di turno, per non parlare del pensionato che possiede esclusivamente una seconda casa, su cui paga l'IMU, sarà sempre e comunque più debole di un istituto di credito. Quindi, qui la tutela della parte debole non c’è; né la più debole di tutte, né, fra quelli che sono i possibili creditori, c’è la parità, perché, ripeto, l'obiettivo di questo decreto non è quello di fare giustizia, questo nemmeno ce lo attendevamo, non è nemmeno quello di fare efficienza all'interno del sistema.
L'obiettivo di questo Governo è facilitare lo smaltimento delle sofferenze, dando più strumenti esclusivamente alle banche, in spregio a qualsiasi regola elementare che ci dovrebbe imporre, nel momento in cui si rompe un equilibrio, di dare tanto ad una parte e tanto all'altra. Qui l'equilibrio si rompe e tutto viene sbilanciato a favore degli istituti di credito.
PRESIDENTE. Concluda.
GIOVANNI PAGLIA. Vado a concludere: quello per cui questo decreto è famoso, quello per cui si è provato a dargli il nome – probabilmente è l'unica cosa che la maggioranza riteneva fosse positiva per tutti all'interno –, è il fatto che si aumentano e si rendono più facili gli storni per chi abbia sofferto la perdita di obbligazioni subordinate con il decreto di novembre. Ecco, si inseriscono alcuni automatismi: 80 per cento per chi abbia meno di 35 mila euro di reddito, meno di 100 mila euro di patrimonio immobiliare, per chi abbia comprato sul mercato primario fino al 12 giugno del 2014 queste obbligazioni subordinate. Per loro, se fanno la domanda entro sei mesi, l'80 per cento di quello che hanno perso, qualcosa in meno, ma sarà restituito. Quello che non è chiaro in questo procedimento è perché si siano inseriti dei criteri di questo tipo, che vanno oltre la truffa; ma la cosa più grave – lo dico perché ho finito il tempo – è che, per fare questo, si deve rinunciare alla possibilità di adire l'arbitrato, dove uno potrebbe ottenere anche il 100 per cento, qualora sia stato truffato e l'arbitro lo riconosca come tale.
Ma, dato che le regole per l'arbitrato, nonostante dovessero avvenire entro 90 giorni da novembre, ancora il Governo non le ha emesse, una persona sa che prende questa strada, ma non sa a cosa rinuncia, perché ancora il Governo, nel momento in cui gli dice come fare per avere il rimborso con lo sconto – con lo sconto, con la perdita garantita del 20 per cento –, non gli dice qual è la strada alternativa, cioè quella ordinaria dell'arbitrato, già scritto nella legge di stabilità dello scorso anno, di cui mancano ancora i decreti attuativi. Credo che decoro istituzionale minimo dovrebbe imporre che almeno ad una persona che ha perso tutto, anche in condizione di un decreto-legge, soprattutto per responsabilità di chi ha amministrato quelle banche, dovrebbe essere garantito di sapere tutti i canali a cui ha la possibilità di rivolgersi, non solo uno.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore di minoranza, l'onorevole Villarosa, non è presente in Aula e che i relatori per la maggioranza per la II Commissione (Giustizia) e per la VI Commissione (Finanze), gli onorevoli Guerini e Petrini, non intendono replicare.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
PIER PAOLO BARETTA, . Grazie, Presidente. Non c’è dubbio che, come è stato opportunamente rilevato dai colleghi, in particolare Causi e Paglia, quanto è accaduto in queste ultime ore apre uno scenario ed una fase politica ed economica molto delicata. Rilevo solo il fatto che questa implicherà un necessario salto di qualità della nostra azione, dell'azione economica del Governo, ma non solo del Governo; credo che il Paese intero sia di fronte ad una riflessione, lo sarà l'Europa, e devo dire che forse questo, probabilmente, ci porrà anche un problema di capire un po’ meglio tutti insieme anche la qualità e la natura del dibattito parlamentare, dei rapporti tra maggioranza ed opposizione.
Faccio questa osservazione perché devo dire che sono rimasto molto stupito, oggi, dall'approccio di una parte dell'opposizione, per tre motivi. Il primo: i rappresentanti del MoVimento 5 stelle, avendo pure a disposizione un tempo di quasi un'ora tra relatore di minoranza e intervento, hanno praticamente, per il 90 per cento, parlato di metodo, assolutamente legittimo, di come è andata la riunione di ieri in Commissione, dei tempi che sono stati concessi. E, quando hanno accennato a questioni di merito, hanno parlato del reddito di cittadinanza, delle pensioni, delle elezioni di domenica scorsa.
Non voglio dedurne che non hanno argomenti, perché non sarebbe corretto dirlo, però ne deduco che c’è un atteggiamento soltanto strumentale. Quando si utilizza l'intero tempo parlamentare di una discussione senza entrare davvero nel merito delle obiezioni e delle osservazioni, e si affida, invece, un messaggio pubblico esclusivamente di tipo politico, di tipo strumentale, questo lo considero non utile alla soluzione dei problemi, non utile alla ricerca delle soluzioni, ma soltanto utile a una voluta polemica. La seconda natura del mio stupore di oggi è che quasi tutte le opposizioni – do atto all'onorevole Paglia di non assimilarlo a questo approccio – hanno praticamente parlato esclusivamente dell'articolo 1 e dell'articolo 2: lo hanno fatto sia i 5 Stelle, sia l'altro interlocutore e persino l'onorevole Busin, che ha fatto solo un accenno. Gli articoli 1 e 2 sono molto importanti perché si tratta di questioni di fondo nel rapporto tra banca e impresa, ma hanno assolutamente trascurato – anche in maniera critica, come sarebbe da aspettarsi – una discussione sugli articoli 8 e 9, quelli nei quali c’è una evidente novità, che è quella che prevede il rimborso alle persone, agli investitori, ai risparmiatori che hanno visto il loro risparmio tradito. Questa scelta di non discutere di questi aspetti è singolare ed è vero, è vero che io in Commissione, quando per un giorno intero si è discusso solo ed esclusivamente degli articoli 1 e 2, avendo convenuto la Commissione che ci sarebbe stato un tempo a termine, ho fatto presente questo. Allora, vedete, quando invece a questo invito ad una discussione compiuta si risponde, come è stato qui risposto, ebbene il comportamento è noto: Manzoni avrebbe detto «caso chiaro» o «caso contemplato», citando l'Azzeccagarbugli. Si tratta di ostruzionismo, assolutamente legittimo nella tecnica parlamentare, ma questo è, e così va chiamato, assumendosi la responsabilità delle scelte: non è vittimismo, è ostruzionismo. La terza ragione di questo mio stupore è la rappresentazione della realtà: anche qui, non voglio assimilare tutte le opposizioni, ma francamente il tono prevalente è questo. Sembra quasi che la crisi bancaria non ci sia, cioè che 200 miliardi eccetera di sofferenze non pesino sull'economia reale, non solo sui problemi delle banche, ma sull'economia reale. Appare un giudizio esclusivamente ideologico, tutto basato sullo strapotere di una sola parte e sulla loro, diciamo discussa, moralità; ma guardate, sugli eccessi e sulle distorsioni del sistema bancario italiano è proprio il Governo che è intervenuto – ha fatto bene l'onorevole Causi a ricordarlo. Siamo intervenuti, e cito solo quattro mosse che abbiamo fatto nell'arco del tempo che ci separa dal momento in cui il Governo ha preso in mano la situazione italiana. La prima con delle riforme: la riforma delle popolari – voglio dire all'onorevole Busin, di cui condividiamo anche le origini territoriali, che ha fatto riferimento alle situazioni specifiche – ha tolto un coperchio che restava invece chiuso e impediva di cogliere una realtà che era già deteriorata. Non è la riforma delle popolari che ha scatenato la crisi di Vicenza e di Veneto Banca: è il contrario, era una crisi che stava mordendo il territorio, che lo stava distruggendo e che non veniva affrontata. È stata condivisa invece con i soggetti la riforma del credito cooperativo e la riforma delle popolari, che oggi possono intervenire nel capitale delle fondazioni bancarie e che possono intervenire nel capitale delle popolari.
La seconda: non abbiamo posto nessun ostacolo al fatto che ci sia un'indagine parlamentare sulle responsabilità; c’è una discussione aperta su come condurla, ma il Governo non si è opposto, anzi la discussione è sulla natura di questa indagine, ma non che non sia necessario ed utile capire sulla questione anche della vigilanza come è andata. La terza: abbiamo avviato appunto il rimborso ai risparmiatori traditi con risorse delle stesse banche, non con risorse pubbliche, perché non si può caricare sugli interi contribuenti quello che è il risultato di una, pur drammatica, situazione soggettiva di chi è rimasto tradito, ma che è il risultato di comportamenti specifici di un settore che comunque è privato.
La quarta: abbiamo attivato, anche qui con risorse bancarie, nuovi strumenti, penso all'ultimo di Atlante, che resta privato. Ma per quale scopo ? per impedire il fallimento delle banche. Ci è bastato vederne quattro fallite e le conseguenze che il fallimento ha comportato. Ecco, allora, non c’è dubbio: tutto questo mette in gioco una rappresentazione del mondo che è un po’ distorta, compresa – voglio dirlo con grande chiarezza – la rappresentazione che viene data degli imprenditori. Insomma, che ci siano degli squilibri è del tutto evidente, che nel rapporto tra imprenditori e banche ci sia una situazione talvolta di diversa capacità di gioco e di peso è assolutamente evidente, e infatti gli strumenti di questo decreto intervengono su questa questione; ma – guardate – sostenere che gli imprenditori sono sostanzialmente incapaci di intendere e di volere, l'ultima ruota del carro, mi sembra anche poco rispettoso nei confronti di una classe imprenditoriale che lavora quotidianamente e che fatica, anche con genialità, a mandare avanti, ad esempio, il nostro e le nostre imprese, senza dire, al contrario – perché la verità va sempre detta – che, proprio rispetto alla situazione di crisi di alcune banche, non ci possiamo dimenticare che gli imprenditori erano alla guida delle banche stesse.
Il secondo contenuto che voglio esprimere questa mattina riguarda il merito. Senza farla lunga, le sofferenze debbono ridursi, è convenienza di tutti, non delle banche e basta, ma del sistema economico italiano che si riducano, altrimenti si riduce la propensione al credito. Questo è il punto da cui bisogna partire, onestamente e culturalmente in maniera onesta. Allora, per ridurre le sofferenze, è necessario rendere più veloci le procedure esecutive – questo è il secondo punto –, ma, poiché vogliamo ridurre le sofferenze e vogliamo rendere più veloci necessariamente o più efficaci le procedure esecutive, dobbiamo fare in modo di offrire ai debitori delle condizioni che riducano il rischio di essere in qualche modo fagocitati o messi in una condizione di eccessiva debolezza. Questo è il senso del decreto, ed è per questo che allora noi abbiamo introdotto degli elementi che sono esattamente quelli relativi all'articolo 1 e all'articolo 2, cioè il pegno non possessorio; si è poco discusso, non in Commissione, ma nell'opinione pubblica, sul concetto di «non possessorio», che distingue nettamente l'attuale gestione del pegno, così com’è strutturata, da questa che viene introdotta. Il «non possessorio» significa esattamente che l'imprenditore può – perché il patto è un patto libero, che viene attivato dall'imprenditore – mettere a disposizione un bene strumentale e immateriale anche, se serve, di cui continua a detenere il possesso, la disponibilità e anche la sua esecutività, tant’è che nel decreto sono previste due cose: la possibile trasformazione di valore di quel bene, che viene considerata e, la seconda, che può essere alienato dallo stesso detentore. Sono due condizioni che rendono in qualche modo una opportunità all'imprenditore di potersi giocare una partita. Il secondo è il «patto marciano», sul quale voglio solo sottolineare le modalità di esecutività che sono uno dei punti più discussi, che rendono non automatico, ma francamente – pur nella necessità di rendere più stringente l'esecutività delle sofferenze – vi è una situazione di attenzione particolare, perché – quando si realizzano tre rate non consecutive non pagate – il creditore deve aspettare nove mesi, poi mette in moto un processo di due mesi, finiti i quali (siamo a 11) deve rivolgersi al giudice che determina le condizioni. A quel punto viene nominato un perito, il perito ha due mesi di tempo per fare la propria relazione, può essere contestata entro dieci giorni e il perito ha altri dieci giorni per rispondere. E siamo a un anno e mezzo, allora non è un tempo così breve. Aggiungo anche – ed è l'elemento qualificante di questo intervento – che, nell'arco di questo tempo, qualora il debitore pagasse una delle rate, si riazzera e si ricomincia. Mi pare insomma una situazione nella quale si offrono maggiori opportunità; in definitiva quello che voglio dire è che, siccome tutti ci spiegano che noi non conosciamo la realtà e invece sembra che sia tutta conosciuta da altri, allora immedesimatevi: immedesimiamoci nel piccolo imprenditore, nell'artigiano che oggi è già in una condizione di difficoltà. Cosa ci dicono oggi gli artigiani e gli imprenditori quando li incontriamo ? Che fanno fatica ad avere il credito, che le banche non gli danno il credito; le banche dicono che non glielo danno perché hanno le sofferenze e il risultato finale è che l'artigiano, il piccolo imprenditore, non ha la liquidità disponibile nei confronti del sistema bancario. E, allora, quando offriamo degli strumenti in più ci sono dei margini di rischio ? Certo che ci sono dei margini di rischio, ma questa è una condizione generale. Dunque, noi stiamo offrendo nuove opportunità.
Il secondo qualificante argomento del decreto, sul quale non mi dilungo molto, è, appunto, il rimborso agli obbligazionisti. Voglio sottolineare la novità assoluta, nel panorama non solo italiano, di un rimborso automatico, costringendo le banche a farlo, degli obbligazionisti che hanno subito questo intervento. Abbiamo detto «non soldi pubblici», ma abbiamo detto anche «rimborso automatico». Per questo, onorevole Paglia, è in alternativa. Colgo bene la sua osservazione e rispondo solo a questa perché è quella che più caratterizza il punto di riferimento, perché la scelta non è tra due opzioni da andare a vedere: la prima, quella che il decreto prevede, è che l'obbligazionista possa scegliere un rimborso all'80 per cento ma automatico e fatta questa scelta la partita si chiude. Credo che l'obbligazionista sarà in grado di valutare bene quale sia la sua convenienza.
Concludo, signor Presidente, con un'ultima, terza considerazione, che è più di carattere generale, ma che mi sembra necessario sottolineare. Quello che è apparso in questa discussione, e credo che una discussione sul «decreto banche» sia significativa, è complessivamente un messaggio che ci è venuto dalle opposizioni, che è un messaggio di conservazione. Questo è più in generale che nello specifico, ma il fatto che sia avvenuto in maniera così pregnante, in un decreto economico di questo tipo, è significativo. Insomma, poco importa la veste che prende questo messaggio, se è fatta di piena contestazione, se è fatta di un tentativo di apparire che si vuole cambiare tutto, se si pensa che questo riguardi un atteggiamento antisistema. Alla fine il punto è che non deve cambiare nulla: la realtà attuale è migliore del cambiamento. Ebbene, a noi non appare che sia così. Quello che ci è stato proposto è che questo decreto sostanzialmente o venisse ritirato o che alcuni punti qualificanti venissero stralciati. La conseguenza logica è che, se mi si dice che questo decreto non doveva essere fatto, si considera questa realtà migliore della necessità di cambiare.
Ebbene, abbiamo di fronte a noi, come abbiamo detto, tempi difficili ed una realtà che non è soddisfacente per nessuno dei soggetti in campo, ma il nostro compito e la nostra responsabilità sono quelli di migliorare le condizioni di questa realtà, di modificarla quando serve, di dare strumenti per renderla più gestibile e per superare le difficoltà. Questa è la sfida di questi tempi; c’è chi l'assume, chi la interpreta, con le difficoltà, ovviamente, e con i limiti presenti, e c’è chi la rifiuta per rinuncia alla fatica quotidiana di rispondere alle difficoltà delle famiglie, delle persone e delle imprese. È tutto qui il punto che ci divide, che divide in questo dibattito la maggioranza, il Governo e le opposizioni, soprattutto in alcune loro rappresentazioni. Questa divisione va sottolineata, perché ha a che fare con la responsabilità che ci si assume in una fase di grande difficoltà. Il dibattito che ci attende è un dibattito che ci misurerà ancora reciprocamente su questo punto. Noi siamo tra coloro che pensano che la realtà attuale non sia soddisfacente, che vada migliorata e che bisogna assumersi la responsabilità di farlo.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Avverto che, con lettera trasmessa il 15 giugno, il presidente della Commissione affari sociali, anche a nome del presidente della Commissione giustizia, ha rappresentato che l'ufficio di presidenza delle Commissioni riunite ha unanimemente convenuto in ordine all'opportunità che l'esame da parte dell'Assemblea della proposta di legge in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della e dei suoi derivati, A.C. n. 3235 e abbinate, previsto a partire da lunedì 27 giugno sia rinviato al mese di luglio.
Avverto altresì che, con lettera trasmessa il medesimo 15 giugno, il presidente della Commissione finanze ha rappresentato l'impossibilità per la Commissione di concludere l'esame della proposta di legge in materia di separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari, A.C. n. 1472, il cui esame da parte dell'Assemblea è previsto, ove appunto concluso dalla Commissione, a partire dal 27 giugno.
Sempre con lettera in data 15 giugno, il presidente della Commissione affari costituzionali, anche a nome del presidente della Commissione lavoro, ha segnalato che l'ufficio di presidenza delle Commissioni riunite ha convenuto sull'opportunità che l'esame delle proposte di legge in materia di videosorveglianza negli asili nido, nelle scuole dell'infanzia e presso strutture socio-assistenziali, A.C. n. 1037 ed abbinate, anch'esse attualmente previste per la prossima settimana con la clausola «ove concluso dalla Commissione», sia differito al mese di luglio.
Lo stesso presidente della Commissione affari costituzionali, con lettera del 21 giugno, ha infine rappresentato che l'ufficio di presidenza ha convenuto sull'esigenza che l'esame delle proposte di istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle città italiane e delle loro periferie, Doc. XXII, n. 65 e abbinate, anch'esse iscritte nel calendario dei lavori della prossima settimana sempre con la clausola «ove concluse dalla Commissione», sia differito ad altra data non antecedente il prossimo 15 luglio.
Conseguentemente l'esame di questi provvedimenti non sarà iscritto all'ordine del giorno delle sedute della prossima settimana e la loro calendarizzazione sarà stabilita dalla Conferenza dei presidenti di gruppo.
PRESIDENTE. Avverto che in calce al resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicata l'organizzazione dei tempi per l'esame del disegno di legge recante disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, legge europea 2015-2016 (A.C. n. 3821), e della proposta di legge recante delega al Governo per la riforma del sistema dei confidi (A.C. n. 3209 ed abbinate).
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.