ENRICO GASBARRA, legge il processo verbale della seduta del 17 gennaio 2014.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Baldelli, Berretta, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Brambilla, Bray, Brunetta, Caparini, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Ferranti, Fico, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Orlando, Paris, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Sorial, Speranza e Tabacci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
ALESSANDRO BRATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, mi rivolgo a lei, perché si faccia poi tramite presso il Governo, affinché venga a riferire rispetto alle purtroppo recenti calamità, che hanno colpito la regione Liguria, la regione Toscana e la regione Emilia.
Mi esimo dal fare commenti sul tema del dissesto idrogeologico – ne abbiamo parlato tante volte in quest'Aula –, quello che le chiedo è di farsi tramite perché al più presto abbiamo ragguagli e notizie rispetto a tali ultime calamità capitate in queste tre regioni, già tra l'altro scosse recentemente, sempre da eventi alluvionali.
PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole Bratti, il Governo è presente nella persona del sottosegretario Sesa Amici, che certamente si farà carico di riportare la sua richiesta.
Saluto gli alunni ed i docenti dell'Istituto comprensivo «Giovanni Paolo II» di Colleferro, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Spiego loro che siamo nella fase della discussione sulle linee generali di un provvedimento: questa è la ragione per la quale vedete pochi colleghi presenti in Aula in questo momento.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 342-957-1814-A di iniziativa dei deputati Realacci ed altri; Micillo ed altri; Pellegrino ed altri: Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Bazoli.
ALFREDO BAZOLI, Signor Presidente, l'introduzione dei delitti ambientali nel codice penale, che è oggetto di questa proposta di legge, costituisce il completamento di un percorso di progressivo riconoscimento del valore e del significato dei beni ambientali e della loro adeguata protezione e tutela, percorso la cui origine molti fanno risalire al 1986, allorché, con la legge istitutiva del Ministero dell'ambiente, si introdusse per la prima volta il concetto di danno ambientale, inteso come lesione non di beni appartenenti a persone fisiche o persone giuridiche, ma di un bene di natura pubblica appartenente alla collettività. Venne istituito il Ministero dell'ambiente, con il compito proprio di assicurare la promozione, la conservazione, il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento.
Da allora la progressiva introduzione nell'ordinamento di un normativo sempre più complesso ed articolato a tutela e protezione dei beni ambientali è andata di pari passo con la maturazione nell'opinione pubblica della consapevolezza che, solo attraverso lo sviluppo sostenibile e rispettoso dell'ambiente, dell'ecosistema, del paesaggio e dei beni culturali, è possibile coniugare al meglio il benessere economico con la qualità della vita.
Tale consapevolezza è venuta maturando anche per effetto della progressiva scoperta, resa possibile dall'affinamento ed evoluzione delle tecniche di monitoraggio e controllo dei fattori inquinanti, che lo sviluppo impetuoso dei primi decenni del dopoguerra aveva lasciato dietro di sé un lascito di compromissioni e alterazioni ambientali, che avevano finito a volte con il determinare anche un concreto rischio di pregiudizio per la salute di intere comunità e, accanto a ciò, anche l'emergere di fatti di cronaca giudiziaria, che hanno reso sempre più evidente e manifesto quanto il campo degli illeciti ambientali sia diventato da tempo terreno di elezione per le organizzazioni criminali, anche di quelle diffuse sul nostro territorio.
E permettetemi di ricordare, a questo proposito, e di tributare un deferente omaggio, mio personale, ma anche del Partito Democratico, a Michele Liguori, il vigile di Acerra scomparso ieri che aveva fatto della lotta alle ecomafie l'impegno della sua vita .
Questa evoluzione del quadro normativo è avvenuta in tutte le grandi democrazie occidentali ed è stata più volte sollecitata anche dagli organismi europei con numerose decisioni e direttive, l'ultima delle quali del 2008, che hanno suggerito agli Stati membri l'introduzione di nuove fattispecie delittuose nei rispettivi ordinamenti penali.
Un suggerimento che già molti Paesi hanno raccolto da tempo – mi riferisco a Francia, Spagna, Austria e Germania, tra tutti – e che da tempo si attendeva trovasse pieno riconoscimento anche nel nostro Paese. Più volte, infatti, anche nelle passate legislature, erano stati presentati progetti di legge intesi a introdurre tali fattispecie; tentativi, peraltro, sempre falliti prima del raggiungimento della meta.
Con questo provvedimento, dunque, viene completandosi il sistema di protezione e tutela ambientale del nostro Paese, mediante l'inserimento all'interno del codice penale di nuove fattispecie di reato che puniscono le condotte più lesive delle matrici ambientali, ovvero quelle che cagionano un danno effettivo; fattispecie che, grazie ad un lavoro complesso, di affinamento, svolto in Commissione giustizia, anche con l'ausilio dei numerosi esperti del settore che abbiamo ascoltato, non sostituiscono, ma integrano il sistema di tutele che già è presente, in particolare nel testo unico sull'ambiente, dove sono previste e disciplinate numerose ipotesi di reato, per lo più di natura contravvenzionale, oltre ai delitti per gli illeciti inerenti il ciclo dei rifiuti.
Le contravvenzioni previste dal testo unico ambientale puniscono, in particolare, il mero superamento di soglie limite prefissate di sversamenti e immissioni di materiali inquinanti nell'ambiente, secondo una nota tecnica normativa intesa ad anticipare notevolmente la soglia della tutela; puniscono, così, condotte che si presume mettano in pericolo il bene protetto, ovvero l'ambiente, a prescindere dal danno effettivo, con sanzioni, peraltro, piuttosto limitate e leggere, come è nella loro natura contravvenzionale.
Il testo oggi in Aula ha, dunque, l'obiettivo di completare tale sistema sanzionatorio mediante l'introduzione di nuove figure delittuose che puniscano in modo più severo le condotte che non si siano limitate a mettere in pericolo l'ambiente, ma lo abbiano proprio danneggiato in modo rilevante; reati che si è scelto significativamente di collocare in un nuovo titolo all'interno del codice penale, nel testo, cioè, che meglio si presta, per il suo indiscutibile valore simbolico e di orientamento culturale, a rappresentare il particolare disvalore delle condotte punite. Si tratta, dunque, del reato di inquinamento ambientale, previsto dal nuovo testo dell'articolo 452- del codice penale, del reato di disastro ambientale, previsto dal nuovo articolo 452-, e del reato di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, previsto dall'articolo 452-.
I primi due reati, in particolare, l'inquinamento e il disastro, puniscono coloro che, violando normative specifiche poste a tutela e presidio dell'ambiente, nel caso dell'inquinamento, abbiano cagionato un danno rilevante alle matrici ambientali (l'acqua, l'aria, il suolo, la flora, la fauna, la biodiversità) e, nel caso del disastro, abbiano, invece, causato un danno di natura eccezionale, che renda irreversibile la compromissione od offenda la pubblica incolumità in ragione dell'estensione della compromissione o per il numero di persone esposte a pericolo.
Condotte, dunque, che, proprio per la lesione significativa che hanno cagionato all'ambiente, sono punite severamente, con sanzioni assai elevate, aggravate nell'ipotesi che il deterioramento si sia prodotto in zone di particolare pregio e sottoposte a tutela speciale, e che si è previsto che siano punite, sebbene con minor rigore, anche allorché tenute non intenzionalmente, ma per mera negligenza, e dunque a titolo colposo.
Peraltro, anche a rimarcare la circostanza che, in tema di tutela ambientale, è in primo luogo il ripristino, la bonifica, la messa in sicurezza dei siti compromessi o contaminati l'obiettivo da perseguire, e non solo e soltanto la punizione del colpevole, si è previsto un significativo sconto di pena per il colpevole che abbia provveduto in tal senso, così da incentivare in modo robusto le condotte riparative in grado di porre rimedio ai danni cagionati.
Allo stesso modo il nuovo reato di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, che riprende una delle specifiche fattispecie che l'ultima direttiva dell'Unione europea aveva suggerito, mira a prevenire e a punire condotte che, per la particolare pericolosità dei beni trattati, non possono svolgersi senza particolari cautele e autorizzazioni specifiche, con pene aggravate nel caso che l'illecito traffico abbia causato un danno ambientale o abbia determinato un pericolo per la salute e l'incolumità delle persone.
Accanto a ciò si è introdotto anche il reato di impedimento al controllo, che sanziona la condotta di coloro che, al fine di sottrarsi alle verifiche degli organi preposti alla vigilanza, ostacolano o intralciano l'accesso ai luoghi che devono essere ispezionati.
Il normativo all'esame disciplina poi una serie di sanzioni accessorie ed aggiuntive che rafforzano in modo rilevante la tutela dei beni protetti, dalla confisca, anche per equivalente, dei beni che hanno costituito il prodotto o il profitto del reato, alla punizione a titolo di reato amministrativo, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, degli enti responsabili del danno, con severe pene pecuniarie.
Al fine poi di scoraggiare e prevenire gli illeciti ambientali causati da organizzazioni criminali anche di stampo mafioso, il provvedimento aggrava le pene per i delitti associativi allorché si tratti di organizzazioni finalizzate al compimento di delitti o illeciti in materia ambientale, ed in modo particolare quando di esse facciano parte pubblici ufficiali che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.
In conclusione – e ho finito – si tratta nel suo complesso di un testo di legge che cerca di rispondere in modo equilibrato e coordinato ad una richiesta di maggiore tutela e severità nei confronti di condotte che hanno generato negli ultimi anni sempre maggiore allarme sociale.
E credo non sia senza significato, a questo proposito, che il lungo lavoro svolto in Commissione per giungere a un testo unitario, partendo da proposte di legge diverse provenienti sia dalla maggioranza sia dall'opposizione, sia stato caratterizzato da un impegno comune e costruttivo che ci consente di arrivare in Aula con una sostanziale, larghissima condivisione sull'impianto delineato. Mi pare un dato significativo che misura, forse più che tanti argomenti e riflessioni, quanta strada abbia fatto nel nostro Paese la maturazione di una coscienza ambientale radicata, diffusa e profonda.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Micillo.
SALVATORE MICILLO, . Signor Presidente, colleghi: «Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno». Mi permetto di aprire questo mio intervento citando un grande uomo come Paolo Borsellino, perché credo che queste poche parole possano essere di grande aiuto nel far comprendere lo spirito nel quale ho deciso di intraprendere il percorso che ha portato alla costruzione del provvedimento che oggi ci apprestiamo a discutere. Basta cambiare gli attori in gioco, sostituire mafia con ecomafia e morti ammazzati con le vittime di tumore, e il quadro vi risulterà abbastanza chiaro.
Dove non arriva la coscienza arriva il diritto, la legge. Dove non c’è rispetto per il proprio territorio, sia che sia un criminale dello smaltimento o un imprenditore che lavora e produce rifiuti a nero, arrivano allora misure adeguate al danno che, prima ancora di essere circoscritto, occorre identificare a priori nella sua accezione terminologica di inquinamento ambientale o disastro ambientale.
Colpire l'ambiente è un delitto: uccide un luogo. Perché dove contamini terra ed aria, crei delle condizioni di invivibilità, mentre invece nessuno, per colpa di persone senza scrupoli, deve essere costretto a lasciare il territorio dove è nato, cresciuto e dove vive con i propri affetti. Non è la gente onesta che deve lasciare una terra, ma devono essere i criminali dei rifiuti ad abbandonare l'idea che tutto gli è permesso perché tanto, o bruci o metti sotto terra, la fai franca, perché le pene sono ridicole, ed intanto ti fai il tuo bel profitto illecito. Non sarà più così. Questi ragionamenti non potranno più essere fatti per pianificare l'uccisione di terre o di luoghi, parchi e aree protette in generale.
Questa proposta è decisa, definita, chiara in materia di contrasto e repressione del fenomeno descritto. Anzi, quando l'inquinamento è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, prevede che la pena è aumentata.
Sono emozionato questa mattina di essere proprio il relatore di questo testo. Da ambientalista di lungo corso forse ancora non ci credo. Sono di Giugliano, in Campania, punta di diamante di un disastro senza precedenti. Questo testo che relaziona il sogno degli onesti e della natura – consentitemelo –, il progetto esclusivamente per il quale decisi di accettare la candidatura al Parlamento nell'inverno scorso.
Volevo portare il dolore della gente su questi banchi, trasformarlo in una proposta di legge, come di fatto è accaduto, scrivere gli articoli pensando a quelli che ci hanno lasciato per gli effetti del disastro ambientale: l'ultimo – voglio ricordarlo qui – è Michele Liguori, il vigile urbano simbolo della lotta nella «Terra dei fuochi». Si è ammalato sovrintendendo il territorio, facendo con onestà il proprio dovere. Se queste disposizioni fossero entrate in vigore venti anni fa, uomini come Michele avrebbero partecipato con la propria diretta esperienza a riscrivere il futuro. Noi ci crediamo ancora che un altro futuro può arrivare per tutti quei luoghi dove per soldi si è depredata l'integrità del suolo, delle acque, dell'aria.
Fin dal primo giorno in cui ho messo piede in quest'Aula ho fatto una promessa a me stesso e, facendola a me stesso, l'ho fatta contemporaneamente a tutti quei cittadini che, circa un anno fa, mi hanno dato la possibilità di sedere oggi tra questi banchi e a tutti quei cittadini che, come me, vivono in quelle terre, che in molti si ostinano a voler chiamare in maniera semplicistica «Terra dei fuochi», dimostrando di non aver ancora appreso la vera entità dell'emergenza ambientale e, soprattutto, sanitaria che affligge uno dei territori che, per l'immenso patrimonio storico e artistico e paesaggistico, oltre che per le numerose eccellenze enogastronomiche che lo contraddistinguono, dovrebbe far parlare di sé per ben altri motivi rispetto a quelli che oggi ci vedono qui riuniti a discutere di una legge orientata a metterne fine.
Quella promessa, signor Presidente e signori colleghi, si chiama giustizia. Giustizia per le decine di migliaia di morti per tumore, per leucemie, che in pochi anni si sono susseguiti a una velocità assurda, senza normative adeguate a frenare l'impatto ambientale. Giustizia per le vittime di gravi patologie respiratorie, cardiache, del sistema nervoso, per le malformazioni neonatali e per tutte quelle persone che proprio in queste ore, mentre noi parliamo in quest'Aula, lottano tra la vita e la morte, domandandosi perché sia toccato proprio a loro questo calvario. Giustizia per le mamme, i papà, i figli e tutti coloro che in questi anni hanno visto consumarsi, quando non si sono consumati prima loro, i propri cari sotto i terribili colpi di un avvelenamento che ha investito e continua ad investire in maniera indiscriminata, seminando morte e dolore senza nessuna distinzione di età, sesso, razza e, soprattutto, categoria sociale, perché quando qualcuno, anche tra questi banchi, si affretta a concludere che il dramma legato all'emergenza ambientale campana è colpa della camorra e delle mafie, commette un grave errore di valutazione.
Da oggi si colmano la lacuna legislativa ed il vuoto culturale. Il testo su cui inizia la discussione è un testo unificato, in quanto è il risultato finale di un certosino lavoro di concertazione in Commissione giustizia, di cui sono componente. Ringrazio, al riguardo, la presidente della II Commissione, Donatella Ferranti, i colleghi Realacci e Pellegrino, i cui contributi, insieme a quello del sottoscritto, hanno dato vita al testo che ci accingiamo a discutere e che, anche per questo, rappresenta una vittoria di tutti.
Superando pregiudiziali di appartenenza, si è lavorato al risultato finale: un testo dove è confluita nei suoi punti basilari (associazioni ecomafiose, inquinamento ambientale, danno ambientale e disastro ambientale) la mia proposta di legge sui delitti ambientali, la n. 957, presentata il 15 maggio 2013.
L'esame in Commissione è iniziato il 20 giugno 2013 e si è concluso il 16 gennaio 2014. Il 15 ottobre 2013 si è aperta l'indagine conoscitiva, conclusasi il 10 dicembre scorso. Abbiamo udito vertici delle forze dell'ordine e della magistratura. All'unanimità convenivano sulla necessità che una simile proposta fosse introdotta presto.
Il 12 novembre abbiamo ascoltato sulle ecomafie la relazione del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Commentava che il codice penale Rocco ha ottantatré anni e li dimostra tutti. Mentre i vertici del Corpo forestale dello Stato – ricordo che risulta essere la forza di polizia che rileva più reati ambientali – nelle persone di Cesare Patrone, capo del Corpo, e del generale Sergio Costa, primo dirigente del Corpo forestale dello Stato, nel nel corso dell'audizione del 13 novembre hanno detto: «Noi ci troviamo, come forze dell'ordine e non solo, noi, ma tutte e cinque le forze di polizia nazionali, in grande difficoltà, perché ad oggi il concetto di disastro ambientale non è normato. Si tratta di un cosiddetto disastro innominato di fronte, peraltro, ad altre ipotesi di disastro che sono, invece, concepite già come fattispecie autonome nel codice penale. Penso al disastro ferroviario, per esempio. Il concetto di disastro ambientale, al di là se sia nel codice penale o nel decreto legislativo n. 152 del 2006, per noi è un'esigenza assoluta».
Quella delle cosiddette ecomafie, invece, e, nello specifico, quella connessa al traffico illecito e all'interramento dei rifiuti, non è semplicemente una storia di mafia o di camorra, ma la storia della follia che in quasi vent'anni di emergenza montata ad arte ha guidato un gruppo di camorristi, ben coadiuvati dai settori deviati della politica, delle istituzioni, del professionismo e dell'imprenditoria, nel realizzare il più grave attentato alla pubblica incolumità della storia. La bomba atomica non fa testo perché usata in tempo di guerra.
C’è stato un parlamentare attorno al testo che ha raccolto l'entusiasmo di tante persone, ambientalisti, forze dell'ordine e famiglie colpite da lutti. Lo stesso Ministro Orlando, in questo Governo, ha riconosciuto l'amaro nesso tra malattia ed inquinamento.
Il testo intende inasprire il quadro sanzionatorio per le condotte che danneggiano l'ambiente, attualmente punite prevalentemente a titolo di contravvenzione, inserendo nuovi delitti nel codice penale e nuove ipotesi di responsabilità derivanti da reato per le persone giuridiche, oltre che novellare la disciplina normativa contenuta nel codice penale. Si colma una grave lacuna legislativa, si dà più sicurezza ai cittadini, si rispetta, così facendo, i vari richiami in riferimento al Trattato di Maastricht, un tempo inascoltati o solo minimamente accolti dall'Unione europea. Il «ce lo chiede l'Europa» oggi lo dico io ed a ragione. Il rispetto di questi richiami avrebbe dovuto precedere le preoccupazioni sullo . Dall'Europa erano più preoccupati dei vari Governi passati a tutelare i cittadini residenti in zone ad alto rischio ambientale. Una proposta che arriva dopo lunghi anni di proclami fumosi, di strategie puntualmente svanite nel tempo, che venivano annunciate, di norme e leggi scritte apposta per poter essere raggirate. Una proposta che stabilisce finalmente la dimensione del danno ambientale subìto da un territorio come quello campano ad opera, come dicevo poc'anzi, di folli che si sono abbandonati alla ricerca del profitto ad ogni costo, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze, che non hanno risparmiato e non risparmiano i loro cari.
PRESIDENTE. Onorevole Micillo, concluda.
SALVATORE MICILLO. Concludo, signor Presidente. È dal 1998 che c'era, almeno, che era depositata alla Camera dei deputati e in Parlamento una proposta di legge sui reati ambientali nel codice penale. Sono passati sedici anni che hanno scritto la storia della mia terra e credo di tutta Italia. Oggi speriamo di voltare pagina .
PRESIDENTE. La ringrazio e ringrazio i due relatori che hanno ricordato la figura di Michele Liguori, e ovviamente la Presidenza si associa alle vostre considerazioni e al cordoglio nei confronti della famiglia.
Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.
SESA AMICI, . Signor Presidente, dopo l'introduzione dei due relatori, mi pare che questo provvedimento, come ha ricordato poc'anzi l'ultimo relatore, rappresenti una tappa importante di un che ha visto una condivisione, portando qui all'Aula un testo unificato. È di grande impatto non solo perché stabilisce una fattispecie e circoscrive tutto il tema del reato ambientale e, quindi, contiene una condanna oggettiva di una cultura che ha fatto dell'ambiente la ricchezza per alcuni e un danno non solo nell'attualità in cui si commetteva il reato ma anche per le generazioni future. Il lavoro prezioso fatto è stato seguito in Commissione dal sottosegretario competente con grande attenzione, e credo che l'Aula dovrà rispettare questo clima che si è costruito in Commissione, perché ne abbiamo la responsabilità proprio oggi.
E quindi anche il Governo, come ha già fatto il Vicepresidente della Camera, si associa al cordoglio della famiglia del vigile urbano Liguori, perché forse è la testimonianza, dentro un dato di drammaticità, che fare buone leggi potrebbe essere l'unico elemento per il quale le persone possono guardare alla vita e alla speranza di vita con un atteggiamento più sereno e non pensare che la loro opera spesso e volentieri debba essere solo legata al sacrificio rispetto a chi invece commette reati. Mi pare che esistano tutte le premesse, e per questo il Governo auspica una discussione ed una approvazione molto veloce, da parte dell'Aula, di questo provvedimento.
SALVATORE MICILLO, . Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SALVATORE MICILLO, . Signor Presidente, consegno un allegato scritto alla relazione della Commissione giustizia...
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, che cos’è un allegato scritto ? È parte del suo intervento presumo ...
Onorevole Ferranti, sto cercando di capire la richiesta del relatore, perché non si possono lasciare agli atti allegati se non fanno parte dell'intervento...
SALVATORE MICILLO, . Sì, signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Bratti. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, il provvedimento che noi oggi discutiamo rappresenta, come è stato ricordato, una svolta significativa, non solo in ambito strettamente giuridico, cioè l'elevare a delitti i principali reati ambientali, ma anche perché credo ci consenta di fare un passo decisivo per definire quale tipo di sviluppo vorremmo per il nostro Paese.
Mentre la crisi continua a manifestarsi in tutta la sua drammaticità, soprattutto in perdita di posti di lavoro e aumento della disoccupazione giovanile, l'Italia stenta a scegliere una strada che possa darci un futuro in un mondo globalizzato.
Il modello di sviluppo che ci ha portato fino qui, basato su un uso delle risorse naturali senza limiti, ha mostrato tutti i problemi in termini soprattutto di inquinamento e spesso di rischio sanitario per l'uomo. L'ambiente – nel senso ampio del termine – è sempre stato considerato un bene comune infinito. Non è così. È grazie alle grandi battaglie dell'ambientalismo, fin dagli anni Sessanta, mi riferisco al secolo scorso ovviamente, passando attraverso, purtroppo, a grandissimi disastri ambientali, pensate a Bhopal o a Seveso, per rimanere in Italia: grazie a questo oggi abbiamo acquisito un'altra consapevolezza.
L'ambiente, quindi, come risorsa da sfruttare a sua difesa per impedirne la devastazione: questo è stato il primo grande salto culturale, che ha portato anche nel nostro Paese alla costituzione nel 1986 del Ministero dell'ambiente, con una legislazione che ha rivoluzionato completamente il rapporto tra economia, ambiente e salute. Le prime norme per la gestione dei rifiuti, quelle per preservare le risorse idriche, per la definizione delle aree protette dei parchi, l'Agenzia ambientale per il controllo del territorio, sono alcune di quelle che, hanno costituito un nuovo quadro regolamentare. Questa rivoluzione legislativa, in parallelo a quella europea, sempre più attenta, puntuale e numerosa in termini di emanazione di direttive, ha avuto come principale scopo quello di contrastare gli effetti negativi sull'ambiente che causavano le attività economiche.
Alla fine del secolo scorso, poi, si è affermata una visione ancora più sfidante per i decisori politici, per noi. Da Rio 1992 si è cominciato a parlare più decisamente di sviluppo sostenibile, concetto che presuppone che l'ambiente assuma un'ulteriore valenza: non solo ambiente come il principale insieme di beni comuni da tutelare in quanto grande casa per l'uomo, ma un'importante opportunità per impostare un nuovo sviluppo basato fondamentalmente sulla cultura della rinnovabilità delle risorse.
In questo culturale, causa anche la drammatica crisi climatica oltre che economica, si sviluppa la cui oggi noi facciamo riferimento considerandola come una delle possibili strade da percorrere per dare una prospettiva di sviluppo futuro, una strada che l'Italia per storia e vocazione può e deve intraprendere da protagonista.
Ci si chiederà: ma cosa c'entra l'elevare i reati ambientali dal rango di contravvenzioni a delitti ? Credo che c'entri, eccome. Se, infatti, la via dello sviluppo è quella della qualità, della dell'innovazione, della valorizzazione della nostra agricoltura e delle nostre eccellenze storico-culturali, occorre non solo procedere ad una forte semplificazione amministrativa, ma è necessario anche creare un sistema di regole – poche e chiare – e potenziare le strutture di controllo per garantire alle imprese di qualità e innovative, di stare e affermarsi sul mercato.
Se questo non succede e si lavora solo sulla cosiddetta semplificazione, il rischio è che, in un Paese in cui l'illegalità è purtroppo molto diffusa, ne traggano vantaggio solo quelle attività più spregiudicate e spesso colluse con il malaffare, non quelle più innovative.
È interessante a questo proposito capire, attraverso i dati, di che cosa stiamo parlando, facendo una piccola premessa d'obbligo, che è la seguente. L'Italia è uno dei pochissimi Paesi che, attraverso un'azione costante di enti preposti e, soprattutto, dell'associazionismo, monitora da alcuni anni i fenomeni illegali collegati ai reati ambientali. Paesi considerati molto più avanzati presentano molte di queste problematiche, ma non ne conoscono l'entità: pensate solo al traffico illegale transnazionale dei rifiuti, in ordine al quale porti importanti, anche del nord Europa, svolgono un ruolo da protagonisti al riguardo.
Ma veniamo ai numeri nostri, di casa, italiani. Nel 2012, secondo i dati forniti dal rapporto «Ecomafia» di Legambiente, basato, lo ricordo, sul lavoro della magistratura, dei corpi di polizia giudiziaria, dell'attività condotta anche dalle Commissioni parlamentari d'inchiesta, emerge che sono circa 34 mila i reati, 28 mila persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare, più di 8 mila sequestri, per un giro d'affari – e questo è un dato che, secondo me, dovrebbe far riflettere – di circa 17 miliardi di euro, gestito da oltre 300 mafiosi, sei in più rispetto a quelli censiti lo scorso anno.
Il numero degli illeciti ambientali accertati nel 2012 delinea una situazione di particolare gravità: oltre il 40 per cento dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Sicilia, Calabria e Puglia –, seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011; ma anche la Toscana e altre regioni del nord, come la Liguria, non stanno certamente meglio. Crescono nel 2012 anche gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica, sfiorando quota 8 mila, una media di quasi 22 reati al giorno e ha il segno «più», purtroppo, anche il numero di incidenti boschivi che hanno colpito il nostro Paese.
È la Campania, comunque, ancora una volta, purtroppo, a guidare quest'anno la classifica dell'illegalità ambientale, con 4.700 infrazioni accertate, oltre 3 mila persone denunciate, 34 arresti: e questo discorso vale sia per il ciclo illegale del cemento che per quello dei rifiuti. Ricordo che, proprio in questi giorni, per la prima volta dopo numerosi anni di denunce, come Parlamento, attraverso la conversione in legge del decreto-legge del Governo n. 136, il decreto cosiddetto «terra dei fuochi», stiamo dando un segnale concreto di risposta ad una situazione emergenziale che riguarda proprio la regione Campania, ma che è, come è noto dalle diverse indagini giudiziarie, determinato da un traffico illegale di rifiuti che, per anni, si è mosso lungo una direttrice nord-sud. Un decreto che ha soprattutto l'obiettivo, oltre che di favorire la bonifica delle eventuali aree inquinate, di salvaguardare una delle maggiori attività economiche di quella regione, ma anche dell'Italia: l'agricoltura. Una situazione molto grave, che, oltre a provocare danni irreparabili alle matrici ambientali, drena risorse importanti all'economia legale e, quindi, soprattutto oggi, in un momento di crisi, va contrastata con tutti i mezzi.
Quindi, per riassumere, tre sono le direttrici su cui sviluppare un'azione di contrasto all'illegalità ambientale. Primo: la semplificazione normativa, che riduca i margini di discrezionalità e di incertezza. Su questo qualche passo avanti è stato fatto. Secondo: la riforma del sistema dei controlli. Dovremo – e faccio appello a tutte le forze politiche – in pochi giorni licenziare in Commissione ambiente un testo sulle riforme delle agenzie ambientali e dell'ISPRA; una riforma necessaria che assume oggi un'importanza strategica. Sempre nel decreto «terra dei fuochi» abbiamo giustamente stanziato risorse importanti per gli sanitari per le popolazioni campane e tarantine soggette ad una forte pressione dell'inquinamento ambientale. Non dobbiamo però dimenticare il ruolo determinante della prevenzione e questo è esercitato in gran parte proprio dalle agenzie ambientali. Terzo: l'introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale, come, tra l'altro, era già stato previsto, in sostanza, dalla direttiva comunitaria del 2008. Ed è di questo che oggi stiamo parlando.
Come è stato ricordato da tutti e due i relatori, a cui faccio i complimenti per l'ottimo lavoro svolto in Commissione, il quadro normativo complessivo dei reati ambientali è oggi prevalentemente contenuto nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, cosiddetto Testo unico ambientale, che individua reati di pericolo astratto prevalentemente collegati al superamento dei valori soglia puniti a titolo di contravvenzione. Il testo unificato delle tre proposte di legge inserisce, finalmente, con un intervento di sistema, i reati in materia ambientale nel codice penale, con un nuovo titolo, quindi, dedicato ai delitti contro l'ambiente. Si introducono – è stato ricordato – all'interno di tale titolo i delitti di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale di alta radioattività, impedimento al controllo. Si stabilisce che le pene previste possono essere diminuite per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio, il cosiddetto ravvedimento operoso; si obbliga, dove è possibile, al ripristino dello stato dei luoghi; si coordina la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in caso di reati ambientali; si inserisce nel codice dell'ambiente un procedimento per l'estinzione delle contravvenzioni ivi previste collegato all'adempimento da parte del responsabile della violazione di una serie di prescrizioni, nonché al pagamento di una somma di denaro.
È un grande passo avanti, una riforma importante che si aspettava da moltissimi anni. Se riusciremo davvero a sviluppare in tempi brevi quelle tre direttrici che ho sopra ricordato, non solo avremo finalmente costruito un quadro legislativo moderno per tutelare l'ambiente e, quindi, la salute dei cittadini, ma, come ho cercato di dire all'inizio del mio intervento, avremo costruito le regole base per poter consentire davvero alle imprese migliori e di qualità di potersi definitivamente affermare e allo Stato di non essere derubato da quell'economia grigia e nera che oggi, purtroppo, continua a proliferare nel nostro Paese .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Rosa. Ne ha facoltà.
MASSIMO FELICE DE ROSA. Signor Presidente, dopo anni di attese e disastri ambientali anche l'Italia finalmente si adegua ai Paesi civilizzati e riconosce con questa proposta di legge i delitti ambientali. Per anni abbiamo sfruttato, depredato e sperperato le risorse del nostro pianeta. In pochi Paesi ricchi ci siamo arrogati il diritto di consumare risorse che sarebbero dovute essere patrimonio dell'intera umanità; ci siamo permessi un grado di consumo e spreco insostenibile. Mentre noi, Paese tra quelli che si ritengono sviluppati, depredavamo la nostra madre Terra, in altre parti del nostro pianeta altri popoli ne subivano e ne subiscono tutt'oggi le conseguenze. Abbiamo creato una civilizzazione figlia del consumo e della concorrenza in nome dei principi di crescita e globalizzazione. Abbiamo dimenticato quali erano i veri valori della società umana. Il profitto e la crescita hanno superato in importanza valori come la salute e la qualità della vita, la famiglia e il rispetto della natura. Riconoscere i delitti ambientali è finalmente il primo passo; il primo passo verso un recupero dei valori che la nostra società ha dimenticato, verso il ritorno ad un rispetto della Terra e della natura che la globalizzazione e l'economia di mercato hanno cancellato dalla nostra memoria. La politica si è prostrata a questo meccanismo di sviluppo infinito su un pianeta che invece è limitato e spesso ha sfruttato le storture del mercato a proprio uso e consumo. Il problema, quindi, era ed è soprattutto politico, perché è la politica che può intervenire su queste questioni.
Oggi assistiamo a situazioni come l'Ilva di Taranto; questo dramma è l'emblema della nostra società. Abbiamo a Taranto una comunità che è stata convinta negli anni che l'unica via di affermazione e crescita fosse l'industrializzazione. Si è creata, così, una dipendenza dal lavoro in fabbrica che ha portato a dover scegliere tra avere un lavoro e un reddito oppure avere una buona qualità della vita e la salute. L'operaio dell'Ilva lavora e lavora per arrivare ad avere i soldi per pagare il mutuo, per comprarsi l'auto e per tutti quei beni che la società ci fa credere ci rendano felici. Purtroppo ci svegliamo da questo sogno quando lo stesso operaio si ammala e vede morire i propri figli. Tutto questo a causa proprio dell'inquinamento e della produzione senza regole e senza rispetto dell'ambiente, effetto del suo stesso lavoro. Allora ci accorgiamo che quel lavoro di cui non possiamo più fare a meno è anche la causa dei nostri mali, e noi, ormai, ne siamo schiavi.
Chi ha sfruttato questi operai sapeva, ma in nome del profitto e in mancanza di regole e leggi ha deciso che i soldi sono più importanti della vita. La colpa è anche nostra, perché ci siamo scordati che il territorio poteva sostenerci, che la natura generosa poteva essere la nostra datrice di lavoro. Qualcuno disse: che senso ha la nostra vita e la vita di tutti gli esseri viventi se non la felicità ?
Il lavoro doveva essere un mezzo per raggiungere questa felicità. Oggi, il lavoro è diventato, invece, il fine della nostra vita, un fine da raggiungere ad ogni costo, passando sopra persino alla salute, rendendoci schiavi.
Questa proposta di legge finalmente darà una protezione legale alla nostra natura, ci sarà un'arma in più per arginare la mostruosità del profitto che abbiamo creato e che oggi ci domina. Fino ad oggi il territorio italiano non era tutelato perché non esistevano imputazioni specifiche per delitti in campo ambientale; da oggi, giornata storica, non sarà più così.
Tra qualche tempo sarà il nostro semestre europeo e spero proprio che l'Italia si faccia promotrice di un nuovo modo di pensare allo sviluppo, alla tutela dei territori e della natura e che segni il passo verso la riacquisizione da parte dell'uomo della felicità di vivere .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi. Ne ha facoltà.
DORINA BIANCHI. Signor Presidente, devo dire che in questi mesi molte cose si sono fatte o si sono iniziate a fare per quanto riguarda l'ambiente, partendo da quello che ricordava il collega Bratti: in Commissione ambiente si è discusso delle riforme sulle agenzie e sull'ISPRA. Si sta parlando, in questi giorni, in quest'Aula, sia della cosiddetta Terra dei fuochi sia dell'Ilva. Si è parlato del consumo del suolo, di ecobonus; si è parlato del collegato ambientale, il provvedimento collegato alla legge di stabilità, che sicuramente è un provvedimento capace di attivare politiche ambientali virtuose, semplificando il quadro normativo e rendendolo più moderno ed efficace, creando, al tempo stesso, le condizioni per investimenti e crescita economica nel campo della .
Non c’è dubbio che il tema del rispetto dell'ambiente abbia, ormai, assunto una rilevanza di primo piano nella comunità internazionale. L'Unione europea è notoriamente all'avanguardia su questo piano e numerosi Stati dell'Unione già dispongono di specifiche figure di reato per i danni e i disastri ambientali. Il testo che oggi abbiamo in esame risponde anche alla richiesta rivolta agli Stati dall'Unione europea, in particolare con la direttiva 2004/35/CE, di dotarsi di norme penali specifiche a tutela dell'ambiente. Quando si parla di questo sistema, risulta chiaro che lo scenario su cui intervenire è vasto e complesso. Si va dalla tutela dell'acqua a quella del suolo, dalle politiche dirette a mantenere più pulita possibile la qualità dell'aria che respiriamo fino alla tutela dei diritti degli animali. Risulta, quindi, quanto mai evidente che legiferare nel campo del rispetto ambientale significa, inevitabilmente, incidere su quelle che sono o sono state le nostre abitudini di vita sia a livello personale di vita quotidiana che a livello sociale e, nello stesso tempo, sul mondo della produzione.
Non ripeterò i dati che sono già stati riportati dal collega Bratti per quanto riguarda il problema delle ecomafie; un aspetto non trascurabile del presente provvedimento, a mio avviso, è costituito non solo dall'introduzione di pene detentive dirette a sanzionare chiunque si renda responsabile di reati contro l'ambiente, ma anche quello che mira ad impedire che chiunque possa trarre un profitto dall'inquinamento e dal disastro ambientale. La cronaca ci ha ampiamente fornito casi di profitti ottenuti dalla criminalità organizzata attraverso azioni il cui compimento è stato causa di gravi danni all'ambiente e alla salute pubblica. In un tale contesto, quindi, appare un dovere morale sanzionare anche i danni economici che derivano da illecite condotte alla base di inquinamenti ambientali, nel tentativo di arginare la piaga delle attività illecite, soprattutto riconducibili alla criminalità organizzata, spesso causa diretta di processi inquinanti o che comportano veri e propri disastri ambientali.
L'Italia ha iniziato questo suo processo di adeguamento della propria legislazione ai temi dell'ambiente e del suo rispetto in epoca alquanto recente.
Il Testo unico ambientale, di cui prima parlavo, e le leggi speciali che reprimono in modo specifico i fenomeni di inquinamento di aria, acqua, suolo, sottosuolo e paesaggio risalgono al 2006. Mentre è dal mese di giugno del 2011 che l'Unione europea ha imposto a noi e ad altri Paesi membri di recepire le direttive che introducono misure di diritto penale finalizzate a perseguire chi viola le norme medesime e a prevedere, oltre alle sanzioni pecuniarie, anche pene detentive.
Il decreto legislativo n. 121 del 2011, che introdusse le sanzioni sopraccitate, determinò anche sanzioni espressamente rivolte verso aziende o enti, una cosa inedita prima di allora per il nostro Paese, ma che possiamo ritenere come un inizio verso l'adeguamento del nostro sistema nella lotta ai reati ambientali e di conseguenza ad una modifica delle nostre abitudini in tema di ambiente e del modo di rispettarlo.
Occorre, infine, ricordare che la Commissione XIV sta esaminando la legge europea che contiene un articolo 17 che modifica in più punti la disciplina in materia di danno ambientale, incidendo nella fattispecie giuridica di riferimento e sulla qualificazione del danno, sull'azione risarcitoria e sulle misure preventive e di ripristino; disposizioni che bisognerà coordinare con quelle in esame. Questo articolo 17 modifica il decreto legislativo n. 152 del 2006 (Norme in materia ambientale), in alcune parti già modificato dall'articolo 25 della Legge europea 2013. In particolare, si definiscono le fattispecie giuridiche di riferimento concernenti la qualificazione di «danno ambientale».
Abbiamo, quindi, più interventi sulla stessa materia e bisognerà valutare attentamente quanto andiamo ad approvare; è necessario considerare l'impatto anche che queste norme hanno sulla vita economica e delle aziende. Perché se consideriamo tutti i casi di disastri ambientali di cui sono state responsabili aziende negli ultimi anni rischiamo di trovarci davanti oltre al danno ambientale anche alla distruzione di attività produttive per eccesso di costi di ripristino o per confisca. Le aziende non sono dei beni immobili, sono cose vive e confiscarle significa in alcuni casi decretarne la morte.
Il testo in esame, quindi, presenta alcuni aspetti che sarà opportuno valutare. Il primo, e lo ha sottolineato nel suo parere anche la Commissione affari costituzionali, consiste nella necessità di determinare in maniera più puntuale la nozione di «disastro ambientale» al fine di rispettare pienamente il principio di tassatività della fattispecie incriminatrice che è finalizzato a consentire al cittadino la precisa e determinata conoscenza delle condotte vietate, e anche di non lasciare troppo spazio alla discrezionalità del magistrato. Rammento che l'articolo 300 del Codice dell'ambiente stabilisce che: «È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima».
Il secondo consiste nella previsione della confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere reato; la fattispecie è prevista anche per il delitto colposo di danno ambientale. Se la confisca va bene per il traffico illecito di rifiuti, va meno bene in una moltitudine di altri casi e poi dovrebbe essere esclusa nei casi di ravvedimento operoso. Occorrerebbe escludere l'applicabilità del reato ambientale relativamente alle aree oggetto di tutela in forza della presenza di beni artistici, architettonici o archeologici che hanno già le proprie norme di tutela nel Codice per i beni culturali.
Infine, per le ipotesi in cui si configura il reato occorrerebbe togliere il riferimento alla violazione di disposizioni amministrative. Il riferimento a queste ultime, infatti, è estremamente generico e indefinito, ponendosi in contrasto con il principio della riserva di legge in materia penale di cui all'articolo 25, comma 1, della Costituzione.
Tale principio consente al legislatore di rinviare a fonti normative secondarie, ma solo per specificare sul piano tecnico il contenuto di una fattispecie incriminatrice previamente delineato in sede legislativa. Il generico rinvio a fonti amministrative non rispetta quindi tale limite, poiché consentirebbe alla pubblica amministrazione di delineare e modificare in concreto il precetto penale in ogni tempo e senza gli adeguati presidi propri dei processi di formazione delle norme, sia primarie che secondarie.
In conclusione, ritengo necessario introdurre norme penali di tutela dell'ambiente nel nostro ordinamento, adeguandosi alle legislazioni di altri Paesi dell'Unione europea, ma ritengo anche opportuno che queste non debbano essere punitive e non possano lasciare spazi ad arbitrii che potrebbero danneggiare il nostro sistema produttivo, già prostrato dalla crisi economica e di competitività. Concludo quindi dicendo che sarà opportuno proseguire il nostro lavoro su questo tema avviando un'analisi di impatto di questa normativa sul sistema produttivo nazionale, rammento che il presidente di Confindustria ha ritenuto irrealizzabile anche il solo adeguamento dei limiti delle quote di emissione di gas terra alle disposizioni comunitarie.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pellegrino. Ne ha facoltà.
SERENA PELLEGRINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, oggi diamo avvio alla discussione di un testo unificato dal titolo: «Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente», a cui anche il gruppo Sinistra Ecologia Libertà ha contribuito con una propria proposta di legge di cui ho l'onore di essere la prima firmataria, dopo vent'anni che attendiamo questa legge, una reale riforma in civiltà, che colmerà un vuoto dannoso e ingiustificabile, grazie alla quale accanto al delitto, già in vigore, di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti – peraltro non possiamo dimenticare che è una norma penale solo dal 2006 – diventerebbero finalmente legge i reati di inquinamento ambientale, il disastro ambientale, i delitti colposi contro l'ambiente, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento di controllo insieme all'obbligo di bonifica e, ove possibile, di ripristino dei luoghi compromessi, a carico del condannato.
È giunto finalmente il momento di portare a conclusione un organico e sistematico intervento sul codice penale per l'introduzione di un nuovo Titolo, il VI, da dedicare specificatamente ai reati ambientali. Riteniamo che sia significativo che la discussione di questa legge avvenga di fatto in contemporanea all'approvazione del decreto-legge sulla cosiddetta «Terra dei fuochi», perché crediamo che voltare pagina e fermare le illegalità e le ecomafie che su quel prezioso territorio si stanno perpetrando da quasi trent'anni sia un atto assolutamente dovuto a quei cittadini che pagano un tributo ambientale e sanitario per tutta la popolazione italiana.
Riteniamo decisivo che il Parlamento approvi, con la stessa celerità, anche questo provvedimento e che diventi rapidamente legge, inserita nel nostro codice penale, così da poter tutelare l'intero territorio nazionale, perché non è più ammissibile intervenire sempre con soluzioni tampone. Solo così si può colmare un buco normativo, o meglio, un buco nero, che ha inghiottito ambiente, salute, giustizia, diritti e beni comuni, decenni di inchieste giornalistiche, di indagini giudiziarie, di continue richieste da parte della magistratura di definire un nuovo e penalmente stringente quadro normativo in materia ambientale, venti anni di Commissioni parlamentari sulla gestione dei rifiuti e sulle attività illecite ad esse connesse, innumerevoli progetti di legge che non sono approdati nelle Aule parlamentari, anni di denunce e di pressanti appelli da parte delle associazioni ambientaliste, che gridano a gran voce di intervenire legislativamente sulla materia dei delitti contro l'ambiente, mentre in vaste aree del nostro Paese la gestione dei rifiuti è di fatto nelle mani delle organizzazioni criminali. Le ecomafie si infiltrano nell'economia permeando le pubbliche amministrazioni e permeando anche le aziende che vengono lasciate agire impunemente, beneficiando di cosa ? Del vantaggio competitivo di inquinare, ma esternalizzando i danni all'ecosistema, al popolo tutto, con gli attentati alla salute, la rapina dei beni comuni, avvelenando preziosi terreni agricoli, da bonificare a carico della collettività.
I dati diffusi con l'ultimo del 2013, importante studio redatto dall'associazione Legambiente, attraverso anche i dati relativi alla Commissione bicamerale che ha operato in questi anni, evidenziano come l'illegalità ambientale costituisca un fenomeno di assoluto rilievo nel nostro Paese; una forma di economia che non conosce recessione e che contribuisce fortemente ad alimentare i profitti delle organizzazioni criminali ed il loro radicamento sul territorio. In base alle risultanze diffuse nel citato rapporto, nel corso del 2012 sono stati registrati sul territorio nazionale 34.120 reati in materia ambientale, 28.132 le persone denunciate, 161 le ordinanze di custodia cautelare, 8.286 i sequestri – e i numeri sono importanti –, per un giro d'affari stimato in 16,7 miliardi di euro, gestito da 302 clan, 6 in più rispetto a quelli censiti l'anno precedente; un affare, signor Presidente. Il 45,7 per cento dei reati risulta concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, seguite dal Lazio (con un numero di reati in crescita rispetto al 2011, il 13,2 per cento) e dalla Toscana (che sale al sesto posto, con 2.524 illeciti, corrispondenti al 15,4 per cento). Prima regione del nord Italia, però, è la Liguria, con 1.597 reati (9,1 per cento sul 2011), ma anche il mitico nord Est, nello specifico il Veneto (gli illeciti accertati raggiungono il 18,9 per cento) ed anche l'Umbria registra un importante scatto in avanti, passando in un solo anno dal sedicesimo all'undicesimo posto.
Ma l'attività umana contro l'ambiente non si limita solo al territorio, perché nel 2012 aumentano gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica, un incremento del 6,4 per cento, sfiorando quota 8 mila; una media di quasi 22 reati al giorno; e presenta, purtroppo, il segno positivo anche il numero di incendi boschivi che hanno colpito il nostro Paese, con un 4,6 per cento in più rispetto al 2011.
Ma nemmeno le aree protette, Signor Presidente, sono più protette: secondo il Corpo forestale dello Stato, nel triennio 2010-2012 i reati sono stati 5.349 (incremento del 32,18 per cento), le violazioni amministrative hanno avuto un incremento del 75,28 per cento rispetto al 2010. Neppure i parchi nazionali sono immuni dai delitti contro l'ambiente: uccisione di specie protette – i bracconieri sono sempre in attività –, scarico di acque reflue, occultamento di discariche abusive, cattura e commercio di animali protetti nelle varie oasi; questi solo i reati più comuni.
L'incidenza dell'edilizia illegale nel mercato delle costruzioni è passata dal 9 per cento al 16 per cento nel 2013; considerando inoltre che mentre le nuove costruzioni legali sono crollate da 305 mila a 122 mila, quelle abusive hanno subito solo una leggerissima flessione nel 2013.
L'ufficio centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane segnala che i quantitativi di materiale sequestrati nei nostri porti nel corso del 2012 sono raddoppiati rispetto all'anno precedente, e questo grazie soprattutto ai cosiddetti cascami, cioè i materiali che dovrebbero essere destinati ad alimentare l'economia legale del riciclo e che invece finiscono prevalentemente dove ? In Corea del Sud, in Cina, ad Hong Kong, Indonesia, Turchia e India.
A completare il quadro, il descrive anche l'attacco al cibo . Nel 2012 sono stati accertati lungo le filiere agroalimentari ben 4.173 reati, più di 11 al giorno, più di 11 al giorno ! 42 arresti e un valore di beni finiti sotto sequestro pari a 78.467 mila euro, una manovrina finanziaria, Signor Presidente.
Se poi si aggiungono anche il valore delle strutture sequestrate, dei conti correnti e dei contributi illeciti percepiti, il valore supera i 672 milioni di euro, una finanziaria, oserei dire.
Il controllo delle mafie in questo settore nasce dalla campagne, passa attraverso il trasporto e il controllo dei mercati ortofrutticoli all'ingrosso, fino a raggiungere, con i suoi tentacoli, la grande distribuzione organizzata. È chiaro a tutti che in questa situazione è indispensabile un rafforzamento della disciplina normativa, finalizzata alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia ambientale.
Certamente, con l'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 sono stati compiuti importanti passi avanti nell'attività di contrasto delle ecomafie. Ma la complessità dei fenomeni in atto richiede un salto di qualità nella definizione delle figure di reato, con particolare riferimento al profilo penale di alcuni comportamenti oggi colpiti solo in forma contravvenzionale. Infatti, la maggior parte dei reati contro l'ambiente è sanzionata con una contravvenzione, che prevede una prescrizione di appena quattro anni e questo fa sì, nella migliore delle ipotesi, che il procedimento penale si fermi alla sentenza di primo grado, non giungendo mai a sentenza definitiva. Oggi, un volenteroso magistrato, per non fare cadere tutto nell'assoluta impunità, deve ricorrere alla figura di disastro innominato e a quella di getto di cose pericolose. Uno scandalo, che merita risposte adeguate.
La scelta di modificare il codice penale, inserendo i reati ambientali, trova, del resto, solido appoggio nella tendenza della legislazione verso una nuova spinta codicistica, volta a far sì che il codice penale risulti il fulcro del sistema degli illeciti, sulla falsariga del modello francese, in cui il principio della tendenziale riserva di codice viene ancorato al principio di chiarezza e conoscibilità della legge. La riforma del sistema di tutela penale dell'ambiente è prevista, peraltro, dalla direttiva sulla tutela penale dell'ambiente n. 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, che, tra le altre, introduce la responsabilità delle persone giuridiche che costituiscono i principali responsabili di casi di inquinamento ambientale, direttiva che l'Italia, tre anni dopo, con il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121, nei fatti ha sostanzialmente disatteso, limitandosi meramente a questo adempimento formale, senza introdurre norme organiche nel codice penale sulla materia.
Su questi temi il Parlamento europeo si è tornato a esprimere lo scorso 11 giugno, approvando una risoluzione sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro, nell'ambito della quale si fa esplicitamente riferimento, in modo netto, ai reati di natura ambientale. Questo testo impegna, fra l'altro, la Commissione europea – e cito – «a proporre standard giuridici comuni e modelli di integrazione e di cooperazione fra gli Stati membri» e a presentare una proposta legislativa contenente una definizione comune di criminalità organizzata, che dovrebbe includere, fra l'altro, il reato associativo di stampo mafioso (sembra quasi indirizzata a noi). Nella stessa risoluzione l'Europarlamento si esprime con decisione – riprendo sempre il testo originale – «per la creazione di una procura europea, in attuazione dell'articolo 86 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare per lottare contro i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione e i reati gravi di natura transfrontaliera, per indagare su tali reati, perseguirli e sottoporli a giudizio».
Signor Presidente, è evidente che l'Europa ci chiede di introdurre al più presto la responsabilità delle persone giuridiche, quali principali responsabili di casi di inquinamento ambientale, e anche a livello nazionale, in sede codicistica, l'esigenza di disciplinare i delitti ambientali è ormai da tempo più che condivisa. Voglio ricordare che risale al 1998 la stesura della prima bozza di articolato in cui si prevedeva l'inserimento del concetto di reato ambientale, che venne redatta dalla cosiddetta «commissione ecomafia» e rubricata sotto il nome di «delitti contro l'ambiente». Un precursore ! Il fine ultimo era quello di introdurre nel libro II del codice penale il Titolo VI-. Un ulteriore tentativo di codificazione venne effettuato dalla commissione per la riforma del codice penale, presieduta all'epoca dal dottor Carlo Nordio, e sin dalla XIV legislatura sono stati presentati in Parlamento numerosi progetti di legge su questo specifico tema.
Ci tengo a sottolineare che una proposta di legge è stata approvata dal Governo e trasmessa alla Camera nel corso della XV legislatura (A.C. 2692) e analoghe iniziative sono state assunte nel corso della XVI legislatura da parlamentari appartenenti a vari gruppi, ma nessuna di queste è mai approdata al voto in Assemblea.
Di questa riforma si parla da quattro legislature e da due in Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Si è registrata l'unanimità su un testo che identifica specifiche fattispecie delittuose, quali il disastro ambientale, il traffico e abbandono di materiale radioattivo, l'associazione a delinquere anche di stampo mafioso finalizzata ai crimini ambientali.
Anche le sette più importante associazioni ambientaliste italiane – e voglio citarle, perché sono importanti, signor Presidente: Club Alpino Italiano, Fondo Ambiente Italiano, Greenpeace, Legambiente, Pro Natura, Touring club italiano e, non ultimo, WWF – hanno chiesto alle forze politiche un impegno concreto per la tutela costituzionale e penale dell'ambiente. Queste associazioni, prima delle elezioni, hanno illustrato il documento dal titolo «Elezioni nazionali 2013: Agenda ambientalista per la Ri/Conversione ecologica del Belpaese», chiedendo – cito il testo – che «chiunque affronti oggi il problema della tutela penale dell'ambiente deve anzitutto fare i conti con un problema di arretratezza della cultura giuridica. Tant’è che, sebbene il concetto di “ambiente” faccia ormai parte del patrimonio di conoscenza di ciascun italiano, nel nostro ordinamento ne manca una definizione normativa e di conseguenza una mancanza di tutela del bene giuridico, specie sotto il profilo penale».
La mia proposta di legge, firmata anche dai colleghi del gruppo Sinistra Ecologia Libertà Alessandro Zan, Filiberto Zaratti e Daniele Farina, va proprio in questa direzione, perché intende colmare le enormi lacune del nostro ordinamento giuridico e consentire un salto di qualità vero nell'azione di prevenzione e repressione dei delitti contro l'ambiente.
Quanto fatto in Commissione giustizia – e voglio sottolinearlo proprio qui – unificando le tre proposte di legge, oltre alla mia quella del collega Realacci e quella del collega Micillo, credo sia stato un ottimo lavoro, e di questo ringrazio i membri della Commissione giustizia e la presidente Ferranti, oltre che naturalmente i relatori Bazoli e Micillo.
Penso, comunque, che attraverso l'esame che ci attende in questa sede si possa ancora migliorare, ed è per questo che sottoporremmo a quest'Aula ulteriori importanti modifiche, presentando alcuni emendamenti a nostro avviso qualificanti, e mi auguro che possano essere valutati positivamente durante l'esame di questo provvedimento in Aula.
Nello specifico, signor Presidente, noi chiediamo di sostituire l'attuale articolo 452- del testo base con quattro articoli che introducano specifiche fattispecie non inserite nel testo unificato, che prevedono: nel primo caso il danno ambientale, il pericolo per la vita e per l'incolumità personale e le circostanze aggravanti; nel secondo caso il disastro ambientale; nel terzo caso l'alterazione del patrimonio naturale della flora e della fauna selvatica; nel quarto caso il traffico dei rifiuti. Chiediamo anche di sostituire l'articolo 452- prevedendo la diminuzione della pena di un terzo, in luogo della metà proposta dal testo base, se il reato è commesso per colpa. Proponiamo anche che venga aggiunta la sanzione pecuniaria per il disastro ambientale.
All'articolo 452-, comma 2, chiediamo l'aumento della metà della pena se l'associazione mafiosa è finalizzata all'acquisizione della gestione o al controllo delle attività economiche (appalti o servizi pubblici in materia ambientale), e proponiamo di aggiungere un nuovo articolo al 452- per introdurre la fattispecie della frode ambientale, aumentando la pena se la falsificazione concerne la natura e la classificazione dei rifiuti.
All'articolo 452-, comma 1, nella nostra proposta prevediamo che, in caso di qualsiasi delitto presente nel nuovo titolo che stiamo introducendo nel codice penale, si provveda sempre alla confisca delle cose che costituiscono il prodotto e il profitto del reato o che servirono a commettere il reato.
Proponiamo, inoltre, l'introduzione di nuovi articoli. Quali ? L'introduzione nel codice penale di un nuovo reato, ovvero quello di danneggiamento delle risorse economiche ambientali, prevedendo la punizione di chiunque offenda le risorse ambientali in modo tale da pregiudicarne l'utilizzo da parte della collettività, degli enti pubblici o di imprese di rilevante interesse. Chiediamo che venga legittimata l'azione del risarcimento del danno ambientale, introducendo criteri precisi e puntuali e modificando il comma 5 dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, recante istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale.
Chiediamo, inoltre, al voto di questa Assemblea, una delega al Governo per adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo, definendo i relativi principi e criteri direttivi, concernente il riordino, il coordinamento e l'integrazione delle disposizioni legislative relative agli illeciti amministrativi in materia di difesa dell'ambiente e del territorio, nonché per il rafforzamento degli strumenti di prevenzione e contrasto.
Nell'esercizio della delega che proponiamo all'Assemblea, il Governo verrebbe autorizzato ad apportare alle fattispecie introdotte dalla presente legge anche le modifiche strettamente necessarie a coordinare la stessa con l'assetto normativo previgente. Tutto questo per provvedere ad un riordino di tutta la materia secondo le nuove norme approvate dal Parlamento, in conformità alla normativa dell'Unione europea in materia di tutela ambientale.
In conclusione, signor Presidente, ribadisco la disponibilità del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà di poter migliorare ulteriormente in Aula il testo così uscito dalla Commissione giustizia, e mi auguro davvero che, con l'approvazione di questa legge, si possa finalmente colmare un vuoto pericoloso e ormai incomprensibile del nostro codice penale, perché abbiamo raggiunto un livello inammissibile di accettazione di reati contro quanto abbiamo di più prezioso: il nostro bene Terra .
PRESIDENTE. Saluto gli alunni e i docenti della direzione didattica statale «Giacomo Leopardi» di Sant'Antimo, Siena, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune .
È iscritta a parlare l'onorevole Mariastella Bianchi. Ne ha facoltà.
MARIASTELLA BIANCHI. Signor Presidente, Governo e colleghi, inizio con un ringraziamento ai due relatori, l'onorevole Bazoli del PD e l'onorevole Micillo del MoVimento 5 Stelle, e ai firmatari delle proposte originarie, Realacci, Pellegrino e Micillo, appunto, per quello che è un provvedimento molto importante che arriva ora all'esame della Camera e che finalmente introduce un nuovo titolo nel codice penale dedicato ai reati ambientali.
Inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo: queste sono le quattro principali nuove fattispecie di reato che vengono introdotte con il testo di cui iniziamo l'esame oggi. È una nozione ampia di ambiente quella che viene inserita in questo provvedimento: la tutela dell'aria, dell'acqua, del suolo, ma, più complessivamente, la tutela del patrimonio naturale, dell'ecosistema, un'idea di biodiversità, l'idea centrale del bene comune, ciò che è essenziale alla vita di ognuno di noi.
Quindi, una tutela ampia del patrimonio ambientale e, forse, può valere la pena, nel caso del reato di disastro ambientale, di considerare l'opportunità di ragionare sulla «compromissione dell'equilibrio dell'ecosistema», come sta chiedendo la Commissione ambiente, piuttosto che su «alterazione irreversibile dell'equilibrio dell'ecosistema», come ora nella formulazione, proprio per venire incontro alla necessità di affrontare la questione prima che sia troppo tardi. È chiaro che, quando vi è un'alterazione irreversibile dell'ecosistema, molto del danno è stato già purtroppo realizzato.
È un provvedimento importante, e vi sono alcune norme che vorrei sottolineare all'attenzione sua, Presidente, e all'attenzione dell'Aula. La prima che sottolineo è l'obbligo al pubblico ministero di comunicare al procuratore nazionale antimafia l'avvio di indagini sui reati che vengono introdotti con questa normativa. A me sembra una previsione molto importante, perché inserisce i reati ambientali esattamente al cuore della battaglia che si deve fare contro la criminalità organizzata, contro le ecomafie, e dà al procuratore nazionale antimafia la possibilità di coordinare, di avere una visione complessiva delle indagini che si svolgono sull'attacco al bene ambiente, che, come abbiamo, purtroppo, visto in questi anni, è particolarmente al centro delle attività lucrative delle ecomafie.
E ancora due norme: oltre al raddoppio dei tempi di prescrizione – che, vorrei sottolineare, può essere uno strumento molto utile, visto quante indagini purtroppo avviate dalle procure non arrivano a buon fine esattamente per lo scadere dei tempi di prescrizione –, l'altro blocco di norme che vorrei sottolineare è proprio l'obbligo al recupero o, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi a carico del condannato e la previsione di confisca. A me sembrano elementi molto importanti che danno una concretezza, che quantificano la responsabilità in capo a chi ha inquinato e viene condannato per i reati che gli sono stati riconosciuti e gli impone l'obbligo di riportare, per quanto possibile, lo stato dei luoghi nella condizione nella quale era prima della sua azione finalmente criminosa e riconosciuta tale dal nostro ordinamento.
Due grandi filoni vengono in mente ad ognuno di noi di fronte a questo importantissimo provvedimento che esaminiamo: la «Terra dei fuochi» e l'attività criminale delle organizzazioni malavitose. E credo che sia una coincidenza molto importante il fatto che stiamo esaminando insieme il decreto-legge sulla «Terra dei fuochi» e su altre emergenze ambientali portate dal Governo all'attenzione delle Camere, e questo reato ambientale. Credo che sia esattamente nella direzione che il Governo ci ricordava, quella di fare buone leggi, riuscire ad approvare un provvedimento del genere, riuscire ad essere vicini alla memoria, ora, purtroppo, di Michele Liguori e ai tanti che in quella terra potevano far sue le parole che io ho riletto ieri in un'intervista che riportava . Michele Liguori diceva: «Questa è la terra di mio padre e di mio figlio. Non potevo far finta di non vedere. A me i vigliacchi non sono mai piaciuti». E ora a queste parole possiamo dare la possibilità di vedere la rassicurazione, il conforto e l'azione operativa di buone leggi che possono essere utilizzate dalle forze dell'ordine e dalla magistratura.
Accanto però all'azione della criminalità organizzata, credo che a tutti noi vengano in mente i grandi inquinamenti industriali: il caso, che veniva ricordato anche poco fa, di Seveso. Seveso è, credo, una macchia indelebile nella storia del nostro Paese. Nel 1976, l'unico reato contestato fu quello di disastro colposo per i danni arrecati alle persone, e la vicenda fu chiusa con una transazione nella quale l'impresa inquinante, la Roche Givaudan, pagò duecento miliardi alle persone coinvolte, cento per i lavori di spellamento del terreno inquinato. Nessun reato ambientale fu contestato, né poteva esserlo, perché non erano previsti reati ambientali.
Ma altri esempi ci possono venire in mente con, purtroppo, estrema facilità: il caso dell'Acna di Cengio, l'avvelenamento della Val Bormida, il caso del Lambro, delle tante imprese che hanno avvelenato quel fiume nei pressi di Milano, il caso del Sarno, un fiume che è in Campania e che tutti ricordiamo per un'alluvione devastante, resa ancora più devastante dal fatto che c'era una scuola costruita nell'alveo del fiume, ma che è anche uno dei fiumi a maggiore inquinamento d'Italia e la cui azione di bonifica e di depurazione sembra sempre arrivare, come dire, a ridosso della conclusione dopo decenni di attività, e ancora manca. Sarno è un caso emblematico, perché lì sversano concerie e piccole imprese conserviere, come se nel nostro Paese grandi imprese industriali, piccoli gruppi industriali, imprese che operano con lavoro nero si siano ritenute pienamente legittimate nel considerare l'ambiente e i fiumi – perché poi sono sempre i fiumi il simbolo di questo inquinamento, perché lì vengono sversati i rifiuti tossici – come appannaggio dell'impresa.
Quello che noi dobbiamo affermare, e lo affermiamo con questo provvedimento, è anche proprio un'idea completamente diversa di sviluppo, e cioè il fatto che vi è un reato nei confronti dell'ambiente e vi è uno sviluppo che non può essere fatto a danno dei lavoratori, ma non può essere fatto neanche a danno dell'ambiente e della salute. E quindi è proprio un'idea sbagliata di competitività quella che purtroppo sentivo accennare poco fa anche in quest'Aula, di nuovo. Le imprese non competono scaricando costi, non competono abbassando tutele dei lavoratori e tutele dell'ambiente. Le imprese competono sulla qualità, sul saper fare, sul saper rispettare la dignità e rendersi forti anche delle dignità di chi c’è intorno. E credo che questo provvedimento ci possa portare ad una riflessione anche più ampia. Io non lo immagino come reato, ovviamente, ma va fatta una riflessione più ampia sulle esternalità negative, su quanto le imprese e su quanto il nostro modo di produrre e di consumare è fatto a danno dell'ambiente, come se quel costo non dovesse arrivare mai, non dovesse essere mai pagato da nessuno. È un'idea profondamente sbagliata, e non vorrei che ci trovassimo tra qualche decennio come ora, a ricordare Seveso. Seveso è del 1976, e a me l'esternalità negativa più drammatica che viene in mente è il clima, è la lotta ai cambiamenti climatici. Noi continuiamo ad usare combustibili fossili e a immaginare che non sia un obbligo ridurre le emissioni di CO2, che non sia un obbligo investire nella ricerca e passare alle rinnovabili e passare all'efficienza energetica, e invece è un obbligo imperativo, per la salute nostra, dei nostri figli e della possibilità di vita futura sul pianeta.
E credo che dovremmo cominciare a ragionare davvero di inserimento delle esternalità negative, di danni all'ambiente in ogni calcolo economico che noi facciamo.
Finalmente, e concludo Presidente, questo progetto di legge prevede una tutela fondamentale nei confronti di qualcosa che sembra non essere di nessuno perché è di tutti noi, ed è esattamente la tutela dei beni comuni. Noi dobbiamo sentire come propria, di ognuno di noi, la terra nella quale viviamo, l'aria che respiriamo, il patrimonio naturale nel suo complesso.
E finalmente dobbiamo pretendere e finalmente abbiamo uno strumento con il quale possiamo pensare che sarà fatta giustizia dei tanti reati contro l'ambiente e dei tanti comportamenti criminali a danno della salute nostra e delle generazioni future .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Terzoni. Ne ha facoltà.
PATRIZIA TERZONI. Signor Presidente, le condizioni in cui lasceremo l'ambiente alle prossime generazioni segnerà il successo o l'insuccesso delle nostre azioni politiche. Lo stato di profonda crisi economica e sociale che sta vivendo oggi il nostro Paese è da imputare, almeno in parte, alla scellerata gestione del territorio e dei beni ambientali, perché la cura dell'ambiente, il rispetto delle bellezze naturali, il riconoscimento delle responsabilità, l'applicazione delle pene previste e l'obbligo di riparare ai danni cagionati devono rappresentare le fondamenta sulle quali costruire la coscienza civica della nostra nazione, che, per risollevarsi, ha bisogno di riscoprire il senso di comunità, partendo proprio dal rispetto reciproco e, quindi, dell'ambiente in cui viviamo.
Verremo giudicati per questo e saremmo altrimenti riconosciuti complici, se non direttamente responsabili, della distruzione dell'unico bene che ci è stato consegnato in cura e che viene universalmente riconosciuto come bene comune, ossia della collettività tutta indipendentemente dai confini amministrativi, che essi siano quelli regionali o che si tratti di quelli nazionali.
Quando i Padri costituenti si trovavano a dover discutere delle questioni fondamentali da inserire nella prima parte della Costituzione individuarono nel paesaggio, non senza discutere e scontrarsi, una delle emergenze da tutelare, perché nel dopoguerra era chiaro il rischio che si sarebbe corso con il economico, che avrebbe portato a cementificare e costruire in maniera diffusa. Quello dell'ambiente non appariva a loro un valore da dover tutelare, ma veniva percepito come un bene sotto attacco.
Purtroppo, i tempi cambiano e siamo oggi costretti a formulare e discutere proposte di legge che vanno nella direzione di inasprire le pene previste in caso di danno all'ambiente e altre che obbligano coloro che hanno provocato l'inquinamento a porvi rimedio. Non vi sembra che ci sia qualcosa che non è andato nel verso giusto ? Non vi sembra che non saremmo dovuti arrivare a questo punto ? Dov'erano coloro che dovevano vigilare ? Dov'erano coloro che dovevano legiferare per impedire che molti di questi scempi che conosciamo venissero compiuti ? Dov'erano, signor Presidente ?
Con questa proposta di legge riusciremo a fare un passo avanti per quanto riguarda l'aumento delle pene per chi viene riconosciuto responsabile di aver commesso reati contro l'ambiente e, quindi, contro la collettività. Ma, nel frattempo, niente stiamo facendo, o meglio, niente state facendo per impedire che alcuni reati ambientali vengano commessi. Sì, perché esistono reati ambientali legalizzati, cioè reati ambientali che si possono commettere, tutelati proprio dalle leggi che vengono approvate in queste Aule.
Non sentiamo mai parlare dell'applicazione del principio di precauzione, come, invece, viene dettato dall'Unione europea. Vi dice qualcosa ? «Ce lo chiede l'Europa».
Nei nostri territori i cittadini denunciano quotidianamente situazioni di pericolo per l'ambiente e per la salute, organizzando e assemblee pubbliche per informare gli altri cittadini, e sono loro ad essere accusati di fare terrorismo psicologico. Lo sappiamo bene, perché questi cittadini siamo noi, sono i nostri attivisti, che combattono ogni giorno in difesa dei loro diritti, e sono le persone che si sono riunite in comitati. Devono combattere contro i programmi scellerati scritti e autorizzati dalle regioni, piani che alcuni dei parlamentari che siedono qui oggi hanno firmato. Non ho bisogno di fare nomi, perché io sono stata eletta nelle Marche, quindi chi vuol capire capisca.
Le regioni agiscono, supportate dalle scelte del Governo. Così ci troviamo con cementifici autorizzati a inserire nel loro ciclo produttivo i combustibili solidi secondari, senza avere la certezza che questo non provocherà inquinamento.
Ci troviamo in territori invasi da centrali a biogas che sversano il digestato nei terreni senza avere la certezza che questo non causerà sterilità e inquinamento dei suoli. Assistiamo a variazioni dei piani regolatori per consentire l'insediamento di industrie insalubri a rischio di incidente rilevante, ignorando le voci dei cittadini che vivono in quei territori. Magari un giorno ci sveglieremo e ci accorgeremo di essere stati responsabili di un nuovo disastro ambientale.
Parlo di questo, signor Presidente, perché è quello che sta succedendo a pochi chilometri da casa mia. In un territorio, in una città che la Presidentessa Boldrini conosce molto bene, perché sto parlando della sua città, Matelica. Ci sono poi città, come la mia, che un giorno, all'improvviso, scopre di essere attraversata da una falda acquifera inquinata da tetracloroetilene e un altro giorno scopre che la maggiore industria cittadina viene citata nel caso dei traffico dei rifiuti illeciti con i Casalesi. Ma la politica nicchia, fa finta di niente, fa ricadere i costi della bonifica sulla collettività.
Concludo, signor Presidente. Ambiente significa salute. Sono due beni inscindibili, sono due diritti irrinunciabili. Se lo Stato non riesce a tutelare la salute dei cittadini, agendo sulla qualità delle matrici ambientali, dell'acqua, della terra, dell'aria significa che ha fallito. Sentiamo parlare di cancro come la malattia del secolo. Cosa stiamo facendo per combatterla ? Intendo dire, cosa stiamo facendo, al di là delle ricerche mediche, per bloccare la diffusione di questa malattia ? La correlazione tra stato dell'ambiente e quello sanitario è ormai stata provata in maniera inequivocabile. Proprio questa correlazione ci spinge a considerare il reato ambientale nei casi più gravi alla stregua del reato di tentata strage.
Concludo, signor Presidente, dicendo che il provvedimento, a nostro avviso, aiuterà ma non sarà sufficiente. È la politica ambientale e del Governo che deve cambiare, altrimenti questo sarà solo un provvedimento utile a ripulire almeno in parte la coscienza di alcuni. Ma siamo felici che, dopo sedici anni, questa norma stia «girando» nei corridoi di questo Palazzo; chissà, sarà un caso, ma ora che qui dentro c’è il MoVimento 5 Stelle finalmente questa proposta di legge sta volgendo alla sua affermazione.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. I due relatori hanno terminato il tempo a loro disposizione, ma se hanno bisogno di tempo per svolgere una breve replica...
Prendo atto che i due relatori rinunziano ad intervenire in sede di replica.
Prendo altresì atto che il rappresentante del Governo rinunzia ad intervenire in sede di replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Andrea Romano ed altri n. 1-00168, concernente iniziative per la riforma della normativa in materia di diritti d'autore e per la disciplina del relativo mercato .
Lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
Avverto che sono state presentate le ulteriori mozioni Costantino ed altri n. 1-00315, Battelli ed altri n. 1-00316 e Tancredi e Dorina Bianchi n. 1-00317, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente . I relativi testi sono in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Romano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00168. Ne ha facoltà.
ANDREA ROMANO. Signor Presidente, la mozione, che presento e di cui sono firmatario e che è sostenuta da altri parlamentari di Scelta Civica, ha come oggetto una figura fondamentale nel campo di una delle ricchezze altrettanto fondamentali del nostro Paese. Il campo è quello della cultura e la figura è quella dei produttori di cultura ovvero di coloro che la cultura la producono, la realizzano. Si tratti di artisti di qualunque genere, di scrittori, di cantanti. Perché è chiaro a noi tutti che l'Italia ha certamente un enorme e straordinario patrimonio culturale, che è stato a sua volta il frutto del lavoro di secoli e secoli, di quelli che magari allora non si chiamavano ancora produttori di cultura ma che certamente produttori di cultura erano.
Il nostro obiettivo come legislatori è quello di tutelare i produttori di cultura e, in particolare, la modalità attraverso la quale ogni produttore di cultura ha dalla propria produzione un provento, un beneficio anche di carattere economico. Si tratta, per appunto, del diritto d'autore. Tutelare il diritto d'autore e renderlo adeguato al tempo in cui viviamo è un obiettivo fondamentale per chiunque ha a cuore non solo il patrimonio culturale del nostro Paese ma anche la produzione culturale che questo patrimonio deve continuamente alimentare. Il punto è, cari colleghi, che in Italia le modalità attraverso le quali si tutela il diritto d'autore risalgono, dal punto di vista legislativo, ad un'età molto molto antica, nello specifico al 1941.
È, appunto, del 1941 la legge che ha creato la SIAE, la società italiana degli autori e degli editori, e normato da allora in avanti, con piccole modifiche successive, le modalità attraverso cui il diritto d'autore è tutelato. Ma è giunto davvero il momento – non sono naturalmente io il primo a dirlo, ma si è detto e ripetuto negli anni scorsi, senza mai tuttavia arrivare ad una nuova legge che innovasse in maniera strutturata il campo del diritto d'autore –, in questa legislatura, di produrre finalmente una nuova legge per la tutela del diritto d'autore.
Non è soltanto una questione cronologica che ci impone di farlo e, quindi, i molti decenni che sono trascorsi dal 1941, ma ce lo impone quanto è accaduto intorno a noi sul campo specifico della produzione culturale. Basti pensare – ed è il primo elemento a cui, qui in quest'Aula e fuori dall'Aula, si pone attenzione – alle forme di produzione digitale della cultura, ai cambiamenti di modelli di al modo in cui oggi, diversamente dal 1941, ogni produttore di cultura è naturalmente più libero, in qualche modo, di arrivare a fornire la propria opera all'utilizzatore, e tuttavia come poi questa forma di produzione venga ancora tutelata, per l'appunto, da norme assolutamente vetuste.
Ma al di là di questo, bisogna guardare anche all'Europa come un elemento che ci spinge e ci costringe ad innovare la legislazione sul diritto d'autore, perché in Europa, quasi ovunque tranne che in Italia, non esiste quel monopolio nella società per la tutela dei diritti d'autore che esiste, invece, in Italia. Quello che è ormai ampiamente prevalso nei nostri europei è una forma di competitività o, almeno, di pluralismo tra le società cosiddette per l'appunto le società che tutelano il diritto d'autore. E sono forme, queste, di pluralismo e di competitività, che hanno certamente aiutato Paesi simili all'Italia, dal punto di vista demografico e geografico; hanno aiutato questi Paesi ad essere più efficaci nella promozione e nella difesa delle proprie produzioni culturali.
Ma infine, quello che ci spinge a innovare questo settore è anche la stessa Commissione europea, che, in più occasioni e da ultimo, come ricorderò, ha invitato i propri Stati membri a superare le forme del monopolio e, comunque, a rendere più articolato il campo delle società che tutelano il diritto d'autore. Mi sia permesso, Presidente, di citare estesamente dalla Commissione europea, laddove la Commissione ha detto recentemente che: «indipendentemente dal settore, la gestione collettiva dei diritti fornita ai membri e agli utilizzatori deve diventare più efficace, accurata, trasparente e responsabile. Una gestione che non è in grado di stare al passo con i tempi incide negativamente sulla disponibilità di nuove offerte per consumatori e fornitori di servizi, poiché inibisce la prestazione di servizi innovativi, in particolare se forniti . Per garantire» – prosegue la Commissione – «un'adeguata prestazione di servizi che comporti l'utilizzo di opere o altri materiali protetti dai diritti d'autore e dai diritti connessi nel mercato interno, le società di gestione collettiva dovrebbero essere indotte a modificare il loro a beneficio dei creatori, dei prestatori di servizi, dei consumatori e dell'economia europea nel suo insieme». Questo è quanto ci viene – tra le tante, come dire, raccomandazioni – dalla Commissione europea ed è in questa direzione che, a mio parere e a nostro parere, dobbiamo muoverci per rendere più adeguata la legislazione sul diritto d'autore.
Al contempo, l'obiettivo di questa mozione è anche quello di tutelare quelle che sono, poi, le professionalità della SIAE, perché non esiste nella nostra intenzione, in alcun modo, l'obiettivo di colpire la società italiana degli autori e degli editori, tanto meno di abolirla e tanto meno di conculcarne le grandissime capacità professionali, analitiche, che ha accumulato nel corso di questi anni. Semmai, l'obiettivo della nostra mozione è quello di garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali della SIAE e anche delle sue valide competenze, valorizzandole e potenziandole, e anche, accanto a questo, della presenza sul territorio della società italiana degli autori e degli editori, e del che ha maturato nel settore dell'intermediazione dei diritti d'autore, compresa l'attività di accertamento, la vigilanza e la riscossione di imposte.
Quindi, con questa mozione, a cui seguirà un progetto di legge destinato a legiferare in forma più organica sull'argomento, noi immaginiamo che alla SIAE queste competenze restino in via esclusiva, mentre si apre, invece, il campo delle società per la tutela dei diritti d'autore ad una più ampia capacità di competitività.
Quindi, la nostra mozione, la mozione che oggi io presento, ha l'obiettivo, innanzitutto, non tanto di abolire il monopolio, perché sul monopolio, signor Presidente, mi sia permesso di spendere qualche parola. Sappiamo tutti che i monopoli sono delle eccezioni alla concorrenza e che, a volte, talvolta, possono essere mantenuti in vita se sono, però, efficienti dal punto di vista economico e, quindi, se sono efficienti e necessari ai fini dell'interesse generale.
Noi non riteniamo che il monopolio sia una brutta parola: dipende se il monopolio è utile o non è utile all'interesse generale e se è efficiente o non è efficiente dal punto di vista economico. Non ci pare, signor Presidente, che, nella situazione attuale, la SIAE rispetti questi parametri di efficienza: sappiamo – perché si evince, poi, chiaramente dai bilanci dell'ente, che sono tra l'altro consultabili pubblicamente – che la SIAE è in attivo non certo grazie all'intermediazione dei diritti d'autore, ma grazie alle attività collaterali, come ad esempio, le convenzioni con l'Agenzia delle entrate, la vendita di immobili, eccetera.
Questo è il motivo per il quale il monopolio della SIAE va superato, perché l'interesse generale, oltre che l'efficienza dal punto di vista economico (interesse generale che, in questo caso, coincide sia con gli interessi dei produttori di cultura sia con gli interessi dei fruitori di cultura), questo interesse, per l'appunto, sarà meglio tutelato se riusciremo a liberalizzare questo campo per consentire quella che possiamo chiamare sbrigativamente una «atomizzazione» delle società per la tutela dei diritti d'autore, un'articolazione di queste società, che consenta di operare per singoli settori, per esempio, creando società per la tutela del diritto d'autore in campo musicale, società per la tutela del diritto d'autore in campo audiovisivo, società in campo editoriale, eccetera; e non, invece, società che operano in maniera generalista, inevitabilmente generalista, come accade con la SIAE.
D'altra parte, l'esperienza straniera ci insegna che, in generale, le che sono appunto specializzate in singoli campi artistici, sono certamente più efficienti e sono in grado di rispondere meglio alle esigenze dei propri iscritti, dei propri specifici produttori di cultura, perché quelle più specialistiche, conoscono inevitabilmente meglio il mercato.
Quindi, se il primo obiettivo è quello di tutelare le professionalità della SIAE e la sua articolazione sul territorio, lasciando, anzi, garantendo alla SIAE una funzione di controllo e di sul campo delle il secondo obiettivo è quello di articolare il campo delle permettendo finalmente una loro specializzazione tematica.
Il terzo punto – e mi avvio alla conclusione – è quello di potenziare le facoltà dei titolari di diritti: è quello il fondamento, perché la nostra sensazione, la nostra impressione è che in Italia, purtroppo, come accade anche in altri campi, i più forti siano tutelati. E in campo artistico, nel campo della produzione culturale, la realtà dei fatti è tale per cui, con il vigente sistema del monopolio della SIAE, sono soltanto i grandi, i più forti, i più autorevoli produttori di cultura ad essere più facilmente tutelati, mentre un produttore di cultura emergente e poco conosciuto, che ancora non si è creato un mercato forte, inevitabilmente risente di una condizione di svantaggio ed è questo l'obiettivo che dobbiamo superare.
Per questo – e mi avvio alla conclusione –, con questa mozione chiediamo al Governo di impegnarsi per l'abolizione dell'esclusiva che fu stabilita con legge del 1941 a favore della SIAE e la sua scissione almeno in due società: una che svolga le tradizionali attività di gestione, amministrazione e intermediazione dei diritti d'autore, in concorrenza con i ; l'altra società, invece, che rimanga un ente pubblico economico, che mantenga in esclusiva le funzioni di di tali diritti e, quindi, le funzioni di vigilanza e controllo sul rispetto del pagamento dei diritti d'autore sul territorio. In questo modo, noi immaginiamo che la SIAE conservi un ruolo centrale, che permetta quindi di valorizzare le competenze che ha acquisito in questi anni anche sul territorio.
Il secondo punto che chiediamo al Governo con questa nostra mozione è la predisposizione di controlli effettivi sulla delle società di gestione collettiva, magari, da affidare ad un organismo ad un organismo terzo, al fine anche di tutelare adeguatamente gli interessi dei titolari di diritti e degli utilizzatori; ciò in linea anche con quella che potrebbe essere la proposta di direttiva comunitaria, di cui siamo a conoscenza e che, naturalmente è a conoscenza del Governo, per la quale la Commissione europea potrebbe, entro breve, assumere e formalizzare una direttiva sul tema specifico delle .
Infine, chiediamo con questa mozione al Governo che vengano fissati entro l'anno dei requisiti minimi come trasparenza, pubblicità, equità, imparzialità, parità di trattamento e non discriminazione, finalizzati alla costituzione di una nuova al pari di quello che avviene in altri Paesi europei, dove esistono che accedono liberamente al mercato rispettando, tuttavia, dei criteri formali.
Questi sono i principi ispiratori di una mozione che vuole innanzitutto aprire in questa legislatura, in questo Parlamento, una discussione a nostro parere indispensabile sul tema della tutela dei diritti dei produttori di cultura, una mozione alla quale seguirà rapidamente un nostro progetto di legge con l'obiettivo, che noi riteniamo indispensabile, di arrivare entro questa legislatura a superare finalmente una legge che risale al 1941.
PATRIZIA TERZONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PATRIZIA TERZONI. Signor Presidente, intervengo solo per poter aggiungere una frase all'intervento che ho fatto sul precedente punto all'ordine del giorno che avevo «tagliato» per cause di tempo; chiedo pertanto che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative.
PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Costantino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00315. Ne ha facoltà.
CELESTE COSTANTINO. Signor Presidente, non vi è dubbio che ci sia bisogno di riformare la normativa vigente in materia di diritto d'autore e non vi è dubbio che ci siano stati tanti sforzi in sede europea per immaginare un sistema di nell'ambito di un mercato unico e transfrontaliero.
La mozione in esame impegna il Governo, come previsto dalla direttiva europea, a indurre le società di a comportamenti virtuosi: trasparenza, pubblicità, equità, imparzialità, parità di trattamento e non discriminazione; concetti condivisibili e più volte richiamati proprio nella direttiva comunitaria sul diritto d'autore, che però non si è soffermata affatto sulla forma giuridica che le società di devono avere, perché tale ruolo spetta, appunto, agli Stati membri e in particolare spetta proprio a questo Parlamento. Parliamo, infatti, di una normativa di riferimento che risale al 1941 con la legge n. 633 e che in molte delle sue parti dimostra oggi la sua obsolescenza.
Oggi possiamo dire che la SIAE, sebbene in regime monopolista, come evidenziato dal collega Romano, non mostra questi comportamenti virtuosi, anzi. Proprio per questo crediamo si debba aprire una riflessione accurata sul perché la SIAE riveli tali mancanze, soprattutto alla luce dei vent'anni appena trascorsi.
La SIAE è la società in Europa con più dipendenti, con un rapporto raccolta-costi molto basso. Come denuncia la Federazione degli autori, negli anni gli autori italiani sono stati privati di centinaia di milioni per permettere di finanziare una struttura a nostro avviso elefantiaca, burocratica ed inefficiente. La minore efficienza della SIAE – dice l'istituto Bruno Leoni – rispetto agli organismi esteri equivalenti, costa agli autori, ai discografici e ai fruitori di opere musicali protette, complessivamente circa 13 milioni di euro annui. I bassi tassi di efficienza della SIAE si ripercuotono negativamente sull'industria culturale italiana e sulla capacità di diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione.
Il nuovo statuto, approvato durante il commissariamento, ha creato una piena subordinazione della SIAE alle multinazionali discografiche, tagliando fuori le arti con meno successo commerciale dalla rappresentanza. Nel sistema elettorale ideato ogni associato esprime un voto per ogni euro che la SIAE raccoglie a suo favore. In altri termini, ogni associato esprime un numero di voti pari al numero di euro guadagnati, un'alchimia che trasforma il reddito in partecipazione azionaria. Il risultato di tale progettazione è scontato: poche decine di associati esprimono ciascuno milioni di voti. Così, il nucleo duro nelle multinazionali e nei pochi grandi editori musicali nazionali ha il controllo della SIAE. Somiglia già ad una privatizzazione senza che i soci di maggioranza mettano a rischio un proprio euro nella costituzione del capitale sociale. Il rischio imprenditoriale è del tutto assente.
Come riportato ed evidenziato dalla stampa, la SIAE, nel bilancio 2012, ha compensato le perdite di oltre 25 milioni di euro in meno rispetto all'anno precedente con ricavi percepiti da attività che nulla hanno a che vedere con le finalità e gli scopi principali della società, come i soldi incassati dall'Agenzia delle entrate per lo svolgimento di attività ispettive e dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
Sono soldi che sono serviti a far quadrare i conti durante la gestione commissariale e che hanno permesso di chiudere in utile il bilancio 2012.
Il bilancio dell'ente pubblico deriva solo per il 50 per cento dall'attività istituzionale e per il restante si affida a rendite finanziarie, plusvalenze (come se fosse una finanziaria) e una operazione immobiliare sottoposta ad indagine.
La società continua a manifestare una profonda arretratezza: dalle nuove tecnologie la SIAE riesce ad incassare la modesta somma di 5-6 milioni di euro all'anno. Nonostante i servizi carenti, la società presenta costi per gli associati tra i più elevati tra i Paesi comunitari. Tutto ciò, unito alla mancata produttività, riscontrabile in tutti i bilanci presentati dalla SIAE in confronto alle società di europee, e ad una carente trasparenza di gestione, non fa altro che prefigurare la forte necessità di cambiare lo stato delle cose nell'ente pubblico.
Crediamo che l'ipotesi contenuta nella mozione miri principalmente ad una operazione che dice: cambiare tutto per non cambiare niente; e, quindi, miri alla tutela di quello e crei le condizioni per salvaguardare gli interessi dei più importanti associati alla SIAE, dimenticando l'aiuto mutualistico e solidale della società ovvero la creazione di prospettive di affermazione per autori emergenti, intelligenze e creatività che dovrebbero continuare a garantire linfa vitale alla cultura del nostro Paese.
Sia chiaro che la SIAE, come si configura oggi, non va bene per tutti i motivi che ho elencato prima, ma la proposta della mozione in esame non è la soluzione giusta. La costituzione di due distinti organismi, il primo come ente pubblico economico e l'altro quale società privatizzata con autonome strutture organizzative ed amministrative, finirebbe per creare aree di duplicazione dei costi. Tra l'altro, il primo organismo manterrebbe in esclusiva la funzione di dei diritti, ovvero le funzioni di vigilanza e controllo sul rispetto del pagamento dei diritti d'autore sul territorio ed avrebbe di conseguenza la necessità di conservare una propria struttura organizzativa, e il secondo, il soggetto privatizzato, dovrebbe mantenere una rete diffusa e capillare, che per definizione ha costi elevati ed inoltre dovrebbe generare utili adeguati per gli investitori e coprire l'ammortamento per l'acquisto di un bene ad elevato valore aggiunto e che ha costituito negli anni un rilevantissimo investimento finanziario per l'ente pubblico SIAE.
Insomma, la soluzione sicuramente non sta nel creare, da un lato, una società in concorrenza (a questo punto imperfetta) con i e, dall'altro, una pubblica con rami territoriali che abbia il compito di vigilanza e controllo sul pagamento dei diritti d'autore.
Una società privata, come viene prefigurata, deve avere come obiettivo principale il profitto ed è, quindi, evidente che deve puntare alle manifestazioni di maggior successo e, quindi, maggiormente remunerative.
La raccolta del «piccolo diritto» rappresenta al contrario una perdita nel rapporto costi-benefici. L'ente pubblico, agendo nella logica dell'interesse pubblico, è tenuto a raccogliere e a distribuire tutto il diritto d'autore che si genera sul territorio di competenza. Tale approccio è stato di fondamentale aiuto anche per gli autori oggi di maggior successo all'inizio della loro carriera.
Durante la discussione del decreto-legge «Valore cultura» siamo riusciti a semplificare e sburocratizzare l'organizzazione di piccoli eventi, di concerti in locali con una capienza inferiore alle 200 persone che terminano entro mezzanotte.
Avevamo chiesto anche l'abolizione del pagamento dei diritti SIAE per favorire la promozione di attività culturali autogestite e indipendenti. Non è stato possibile, anche per colpa dell'organizzazione elefantiaca ed eccessivamente burocratica della SIAE, un ritardo che allo stato attuale non permette alla SIAE di discernere tra un concerto dal vivo e una festa di nozze, tra uno spettacolo di arti visive e un piano bar.
Siamo sicuri che la direttiva europea vada nella direzione giusta chiedendo il rispetto degli standard europei che stabiliscono un miglioramento della gestione e una maggiore trasparenza nello svolgimento delle attività.
Vorremmo, quindi, che il Governo si impegnasse piuttosto sull'obiettivo principale della direttiva europea proposta ovvero quello di promuovere una maggiore trasparenza e migliorare la della società di gestione collettiva, introducendo obblighi di informazione più rigorosi e rafforzando il controllo delle loro attività da parte dei titolari di diritti, in modo da incentivare l'offerta di servizi migliori e più innovativi.
Vorremmo una società di come chiedeva la direttiva, che preveda una migliore gestione del repertorio, che imponga di versare i compensi più rapidamente, che garantisca chiarezza riguardo alle fonti di entrate provenienti dalla gestione dei diritti, che elabori annualmente una relazione di trasparenza.
Sulla politica incombe il dovere urgente di intervenire con un provvedimento legislativo per correggere l'operato dei commissari che hanno realizzato una società di autori, saldamente controllata da un piccolo gruppo di soci, per restituire alla SIAE invece le logiche di equilibrio e democrazia.
Se la SIAE è carente sotto tutti gli aspetti che abbiamo elencato, la responsabilità va ascritta all'indifferenza degli organi di vigilanza e all'inerzia del Parlamento. È urgente che si adottino provvedimenti legislativi che anticipino la direttiva europea e si provveda ad una profonda rivisitazione della legge n. 633 del 1941 disegnata per un Paese di più di settant'anni fa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battelli che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00316. Ne ha facoltà.
SERGIO BATTELLI. Signor Presidente, colleghi, società impegnata ad «estorcere»: questa è oggi la SIAE. Obsoleta, ingiusta, avida, priva di una visione moderna, «poltronificio» d'eccellenza in mano a dirigenti con idee radicate all'era del grammofono. I tempi sono cambiati, la SIAE no; anzi, si è chiusa a riccio davanti ad un mondo digitale che richiede una svolta epocale immediata, un cambio di visione drastico.
Monopolista per legge, detiene il controllo di tutto ciò che riguarda la tutela, la riscossione e la distribuzione del diritto d'autore, equo compenso, spettacolo dal vivo, musica, cinema, libri, teatro. Insomma, tutta la cultura passa ad un certo punto anche nelle stanze polverose e austere di SIAE, e lì viene deturpata, imbrigliata, burocratizzata all'italiana.
La SIAE assomiglia fortemente a un ente privato, o meglio, a tutela di interessi privati, con il potere di un ente pubblico. Girarsi dall'altra parte, non parlarne, SIAE è da sempre un argomento per la politica. Silenzio perenne, fingendo di non vedere le porcate evidenti sotto gli occhi di tutti, alla luce del sole. Ma oggi c’è il MoVimento 5 Stelle qui dentro, che, come avete potuto apprendere, paura di parlare non ne ha, anzi.
SIAE è tutta da rifare. Colgo l'occasione, quindi, per informare tutti che stiamo preparando una proposta di legge non per rifarla, ma per evolverla del tutto, creando un qualcosa che vada oltre questo sistema, oltre queste logiche.
Facciamo un passo indietro e torniamo al 2012. Il nuovo statuto della società è stato presentato dall'ultranovantenne commissario straordinario, Gian Luigi Rondi e dal Presidente del Consiglio all'epoca, Mario Monti. Il nuovo statuto, messo a punto in gran segreto con associati tenuti all'oscuro senza nessuna consultazione, arrivando addirittura al rifiuto di condividere il testo con la Commissione parlamentare di indagine sui malfunzionamenti della SIAE. Incredibile !
Due le figure istituzionali complici di questo disastro, Il commissario Rondi, e il direttore generale attuale, Gaetano Blandini. Al Ministro va bene, al Governo pure e con un decreto, il 9 novembre 2012, si approva il nuovo statuto, valutando come ottime e innovative le scelte operate dal commissario straordinario e consegnando, di fatto, la SIAE nelle mani degli associati più ricchi che assumono pieno potere decisionale. Il risultato ? Violata, calpestata e distrutta ogni forma di democrazia interna.
SIAE decide anche di aumentare quasi del 70 per cento le quote annuali di iscrizione alla società per gli autori e del 45 per cento quelle per gli editori. Un colpo durissimo per i piccoli artisti che si sentono ancora più esclusi dalle assemblee. Pochi, anzi pochissimi, decideranno le sorti di tutti.
Chi non paga la quota associativa non vota e, in tempo di crisi, ben pochi dei 100 mila iscritti alla SIAE riusciranno ad ammortare l'aumento, tanto più che pochissimi riusciranno a rientrare nella quota associativa a fine anno: questo la dice lunga su quanto SIAE versi ai piccoli artisti associati.
La SIAE è vecchia, l'abbiamo capito. Oggi un autore dovrebbe poter guardare a nuove forme di tutela del diritto d'autore. Pensiamo alle licenze per esempio: il futuro per come lo vediamo noi. Queste licenze, come altre similari, permettono di dare un indizio della paternità dell'opera. Esistono poi diversi servizi atti a trascrivere le tempistiche di protezione sul file originale. Tutto questo senza passare da SIAE, ma dando la possibilità al padre dell'opera di decidere come e cosa farne. Esistono diversi tipi di licenze flessibili e adattabili.
Di fatto, con questo sistema, l'attuale modo di vedere il diritto d'autore verrebbe stravolto, e finalmente portato al passo con i tempi; le possibilità di creazione, diffusione e promozione sono infinite; si creerebbe un nuovo modo di vedere l'intero settore, quindi senza SIAE, secondo noi, si può vivere felici.
Passiamo alla parte economica. La società non riesce neanche ad autosostenersi. Nel 2012, infatti, la SIAE, ha incassato, con la riscossione dei diritti d'autore, oltre 25 milioni di euro in meno rispetto a quanto incassato nel 2011.
È un dato preoccupante che diventa allarmante se si considera che la società nel 2012 ha visto assottigliarsi ulteriormente anche i già esigui risultati relativi ai diritti incassati in ambito multimediale, in assoluta controtendenza rispetto a quanto accade nel resto del mondo. Una società di raccolta e gestione dei diritti d'autore che, nell'era di Internet, vede contrarre gli incassi per le utilizzazioni è una società fallimentare, che non ha idee, che non sa come muoversi e rimane radicata ad un passato lontanissimo. Anche sul territorio comincia a perdere colpi e nel 2012 ha raccolto oltre 10 milioni di euro di diritti d'autore in meno rispetto a quanti ne aveva raccolti nel 2011.
E allora come si spiegano gli eccellenti risultati di bilancio ottenuti nell'esercizio 2012 ? La verità è che, nel 2012, la Siae ha compensato i deludenti risultati ottenuti sul fronte della raccolta dei diritti con i ricavi percepiti da una serie di attività che nulla o quasi hanno a che vedere con le finalità e gli scopi principali della società. A ripianare le perdite, nel 2012, infatti, ci hanno pensato la montagna di soldi incassata quale corrispettivo dei servizi che la Siae ha erogato all'Agenzia delle entrate e a quella dei Monopoli di Stato, gli straordinari proventi finanziari percepiti grazie alla lentezza nel riparto tra gli aventi diritto di quanto di loro competenza e, infine, attraverso le enormi plusvalenze generate dal conferimento straordinario del proprio patrimonio immobiliare nel «Fondo Norma». Si fa presto a fare due conti: oltre settanta milioni di euro di quelli che hanno consentito alla Siae di chiudere il bilancio con un attivo record provengono da meandri di Siae che non c'entrano nulla con i diritti d'autore.
Un ente pubblico economico chiamato a svolgere importanti funzioni pubblicistiche nel settore dei diritti d'autore, evidentemente, non può tenere i propri conti a galla grazie a attività e soluzioni finanziarie che non hanno niente a che vedere con il diritto d'autore. Vogliamo parlare di equo compenso ? O meglio, il compenso da copia privata ? Siae non ha vergogna e come sempre da una parte, come ente pubblico, si scrive statuti e norme e dall'altra parte, quella dei privati, che di fatto la controllano, è pronta ad incassare i proventi ricavati dall'equo compenso.
Siae proprio a dicembre si è scritta, ripeto, si è scritta il decreto che rincarava del 500 per cento la tassa – perché di fatto è una tassa – così come chiarito recentemente dai giudici del TAR del Lazio. Da quanto abbiamo appreso il Ministro Bray ha avuto la decenza di fermare, almeno per ora, questa vergogna, chiedendo un'indagine conoscitiva sugli usi attuali dei consumatori italiani. Ministro, glielo diciamo noi. È sicuro che la questione equo compenso abbia senso in questo momento storico ? Le abitudini in questi anni sono completamente cambiate, la copia privata era quella che si faceva registrando una cassetta, duplicando un dvd. Le dico già che da qualche anno a questa parte neanche i produttori di montano più i masterizzatori sui loro prodotti, quindi di cosa stiamo parlando ? Oggi la musica, i video, i film si guardano in su terminali in cui le copie non sono possibili, potremmo poi aprire un capitolo a parte per quanto riguarda la tutela dell'artista, ma questo è un altro discorso.
Vogliamo parlare della burocrazia in cui la società ha trascinato tutto il settore culturale ? Parliamo di musica, il linguaggio universale per eccellenza. Aiutare la musica come tutte le forme d'arte, vuol dire far aumentare la creatività, aumentare l'occupazione e incentivare il turismo con un enorme indotto.
Mancano gli spazi pubblici dove poter sviluppare arte, anzi mancavano, perché nel decreto cultura, grazie ad un emendamento del MoVimento 5 Stelle, la caserme dismesse potranno essere date in gestione ad un canone simbolico di 150 euro ad associazioni di giovani artisti per creare laboratori culturali dove sviluppare varie forme d'arte. Oggi i locali privati di musica dal vivo sono sempre meno, Siae non aiuta, anzi, rincara la dose, offrendo tonnellate e tonnellate di burocrazia che scoraggerebbe chiunque. Permessi, licenze, autorizzazioni, adempimenti rendono quasi impossibile organizzare qualsiasi cosa, partendo dal piccolo concerto in un piccolo locale fino ad arrivare a grandi eventi. Siae non capisce, Siae è sorda e intanto nel Regno Unito il turismo musicale, viaggi e spostamenti intrapresi per assistere a festival, concerti ed eventi particolari, è una voce di bilancio importantissima, tanto da fatturare oltre 2 miliardi di sterline nel corso del 2012. Di sicuro non hanno un società vecchia e antiquata come la nostra.
Il Governo deve assolutamente tutelare gli artisti, tutelare chi dell'arte ne vuole fare una professione, tutelando la cultura. Dobbiamo assolutamente far cessare il regime monopolista in cui la società vive in questo momento. Dobbiamo portare avanti nuove tecnologie, perché i tempi sono cambiati, le nuove forme di fruizione, accesso e distribuzione dei contenuti creativi sono profondamente evoluti, liquidi, dobbiamo dare la possibilità ad artisti di poter scegliere quali licenze utilizzare per la propria opera. Oggi un giovane ha smesso di credere nella Siae e cerca metodi alternativi di tutela, ed è qui che noi vediamo un futuro. il Governo deve assolutamente e immediatamente mettere sul tavolo parlamentare questo.
Siae vanta di avere fondi a sostegno degli artisti emergenti, ma nessuno li ha mai visti, aveva un fondo per una previdenza ad artisti che hanno smesso di produrre, fondi che erano finanziati dagli stessi artisti, che con la ristrutturazione della società sono stati azzerati.
Il Governo si impegni, fin da ora, a cancellare immediatamente il nuovo statuto, azzeri la dirigenza e valuti profondamente se è il caso di portare avanti questa agonia. Si impegni a studiare il funzionamento delle nuove licenze, si impegni ad adottare le nuove tecnologie, sburocratizzi immediatamente le procedure per spettacoli dal vivo favorendo così l'occupazione e la fruizione della cultura facendo crescere l'indotto legato a tali eventi. Il Governo si impegni a togliere la polvere da quel palazzo austero, si impegni a cancellare le pessime politiche che hanno portato ad essere quello che oggi rappresenta la Siae verso i suoi associati: una vergogna che tutela solo chi può pagare.
Infine, colgo l'occasione per ricordare Claudio Abbado, che è mancato questa notte a Bologna; oggi la cultura italiana e mondiale perde un grandissimo, uno dei più illustri direttori d'orchestra al mondo. Egli ha portato la sua arte e la sua passione nelle migliori orchestre del pianeta: da Berlino, a Milano, a Vienna, ipnotizzando platee e generazioni intere .
PRESIDENTE. La ringrazio anche per il ricordo del maestro Abbado, ovviamente ci sarà un'occasione nella quale, immagino, in particolare nella Camera di appartenenza, sarà ricostruita la sua figura.
È iscritto a parlare l'onorevole Rampi. Ne ha facoltà.
ROBERTO RAMPI. Signor Presidente, io credo che la mozione in discussione ci offra un'importante opportunità per riflettere sul tema fondamentale del diritto d'autore nei tempi moderni in cui molte cose sono cambiate e in cui la reale tutela del lavoro intellettuale rischia di essere minacciata: io vorrei che noi ci trovassimo d'accordo nel partire da questo punto. Il problema principale di questo Parlamento è quello di riconoscere al lavoro intellettuale, dell'ingegno, al lavoro degli artisti e di chi lavora nel campo dello spettacolo e della cultura la pienezza del diritto sul proprio lavoro e sul fatto che esso possa essere retribuito e che non esista, come invece molto spesso viene raccontato, un conflitto tra i fruitori di cultura e coloro che la cultura la producono. Se in qualche maniera noi non riusciamo a tutelare questo diritto, facendo sì che l'opera dell'ingegno venga retribuita, noi non avremo niente di cui occuparci, niente – e lo dico chiaramente – da scaricare gratuitamente come a tutti piace fare. Il vero conflitto che esiste, quello di cui ci dobbiamo preoccupare, è tra chi produce un ricavo, un guadagno lecito da queste opere nel tempo, e chi queste opere le ha messe in campo. Noi dobbiamo fare in modo che in maniera più efficace e più efficiente, rispetto a quello che succede oggi, questi guadagni vengano restituiti a chi ha prodotto davvero la possibilità legata alla loro esistenza e diventino un'occasione per produrre nuove opere incentivando nuovi artisti e favorendo nuovi talenti. Questo è un grande, importante e complicato lavoro che non può essere preso per nessuna delle strade semplificatorie che, a volte, per campagne emergono e che poi rischiano di finire nel nulla. Ecco, nella scorsa legislatura – molti di noi non c'erano, credo che nessuno di coloro che sono intervenuti in questo dibattito ci fosse – è stata realizzata un'importante indagine proprio sulla Siae e sulla tutela del diritto d'autore. Quell'indagine è a disposizione dei parlamentari ed io credo – il nostro gruppo lo ha chiesto da tempo in Commissione cultura – che la Commissione cultura dovrebbe prendere in mano quell'indagine, ripartire da lì, ascoltare anche nuove figure. Io in questi giorni l'ho fatto, da quando abbiamo saputo della calendarizzazione della mozione ho cercato di interloquire con alcuni lavoratori di questo ente, ho cercato di parlare con persone che organizzano concerti anche di grande entità, con persone che si occupano di discografia, magari piccoli produttori di musica, con tutte le persone che lavorano in questo mondo. Ho cercato di capire con loro quali sono i problemi, li abbiamo presenti, li ho sentiti, li condivido: si tratta di problemi legati all'efficienza, alla trasparenza, alla modernizzazione della raccolta del diritto d'autore e alla tutela da esercitare in campi nuovi e vasti del diritto che oggi sono completamente dimenticati. Abbiamo il grande tema della copia libera evocato nell'ultimo intervento: in particolare, della copia libera laddove l'autore deve poter mettere a disposizione la propria opera quando ha un grande valore pubblico. In questo senso, penso alle scuole, all'attività delle associazioni di volontariato.
Quindi, probabilmente serve un nuovo regime che da un lato incentivi gli artisti alla possibilità di utilizzare gratuitamente le loro opere, laddove non esista un guadagno e dove non vengano utilizzate in maniera lucrativa, e che al tempo stesso, invece, non solo li tuteli, ma gli permetta di godere del valore aggiunto che queste opere producono nel mercato, mercato che sia quello tradizionale o ad esempio quello in rete e che, magari, è alimentato non da un pagamento diretto ma, ad esempio, da forme di pubblicità, come molto spesso avviene nella rete.
Io credo che la complessità di queste questioni ci deve spingere a valutare bene i prossimi passi da muovere perché – lo dico molto chiaramente –, ad esempio, noi veniamo da un'esperienza di liberalizzazione del diritto connesso. È un'esperienza che è nata sulla base di un principio che ho risentito in alcune delle parole dette, in particolare, dal presentatore della mozione, oggi qui in Aula, e questa idea che in maniera, direi, qualche volta anche un po’ magica e un po’ automatica dalla concorrenza nasca l'efficienza e la trasparenza molto spesso poi non si rivela vera e, infatti, esistono delle problematiche oggi presenti rispetto al diritto connesso che hanno prodotto, ad esempio, dei contenziosi pericolosi, perché rischiano poi di danneggiare gli autori perché tutto si ferma, tutto si immobilizza, e chi avrebbe diritto ad avere la retribuzione del proprio lavoro rimane senza questo diritto e rimane immobilizzato.
Allora, ad esempio, una delle cose importanti che noi dovremmo fare è partire proprio da lì e andare a vedere quell'esperienza, che ha avuto una certa durata, quali vantaggi ha prodotto e invece quali problemi ha messo in campo, e prima di portare la stessa logica all'interno di un campo ampio come il diritto primario, come il diritto d'autore andare a vedere quali correttivi è meglio utilizzare.
Dico un'altra cosa. Si parlava dell'esperienza in altri Paesi europei. Ebbene, nella maggior parte degli altri Paesi europei in realtà non è che non esista un monopolio. Esiste un monopolio che, però, è suddiviso per tipologie di diritto e, quindi, esistono sostanzialmente monopolisti che però si occupano in maniera esclusiva di cinema piuttosto che di teatro, piuttosto che di editoria, piuttosto che di musica. Questo produce un risultato che va analizzato e che va studiato, perché, ad esempio, uno dei problemi che esistono sicuramente è relativo ad arti più deboli nel campo dei diritti e che producono meno diritti e che, quindi, si possano invece, in una logica di solidarietà tra le diverse forme dell'arte, caricare alcuni costi generali su chi ha dei margini di utile più ampio, a tutela di chi ne ha di meno. Questo è un elemento positivo dell'impostazione della nostra forma rispetto a quella di altri Paesi.
Questo per dire che io credo – e questa è l'idea generale del Partito Democratico – che nel mondo esistano sempre le luci e le ombre e che il compito della politica sia cancellare il più possibile le ombre, soprattutto laddove nascondono ingiustizie e laddove nascondono inefficienze e magari anche qualcosa di peggio. Ma non bisogna mai inseguire le facili titolazioni rischiando poi di buttare via con il negativo anche ciò che di buono esiste, e sicuramente l'esperienza del nostro Paese di buono ne ha molto.
Allora, noi dobbiamo dividere il desiderio di efficienza, di efficacia e di modernità rispetto a questo sistema dall'idea di perdere ulteriormente campi di tutela di un diritto che è fondamentale e che oggi tra l'altro, nella complessità della crisi economica rispetto a questi settori, produce quelle uniche forme di per questi lavoratori rispetto ai quali invece – e noi, come Partito Democratico, lo stiamo sostenendo da tempo – bisognerebbe metterne in campo diverse altre, perché noi crediamo che, ad esempio, si tratti oggi fondamentalmente di capire in maniera definitiva, visto che questi lavoratori hanno un'attività che normalmente è saltuaria, come accompagnarli nelle fasi di non lavoro e come fare in modo che, ad esempio, i contributi retributivi che pagano effettivamente poi possano essere goduti (e oggi molto spesso non è così). Sono tutte questioni connesse, perché oggi il campo del diritto d'autore sostituisce, anche impropriamente, una parte di queste problematiche.
Allora, io penso che per tutte queste ragioni sia importante che questo Parlamento, così rinnovato e con dentro persone che sicuramente hanno una positiva spinta verso la volontà di rispondere a questo mondo e che credono veramente che in particolare in questo Paese, con questi lavoratori e in questo campo dell'attività produttiva, si possa avere un elemento cruciale del nostro futuro, debba fare, però, un lavoro serio.
Dobbiamo riprendere i risultati di quell'indagine di quella commissione, dobbiamo riaprire quel percorso di analisi, dobbiamo andare a confrontarci con le altre esperienze europee e, ad esempio, magari, in fase di recepimento della prossima direttiva, imminente, dell'Unione europea, che è una direttiva importante, che, da quanto abbiamo potuto raccogliere fino ad oggi, sarà complessiva ed interverrà sull'insieme del diritto, tentando di tutelarlo sulla scala corretta che riguarda oggi – perché è chiaro che, sempre di più, anche il diritto d'autore supera i confini nazionali, ed è giusto ed è bene che sia così –, proprio in quella fase di conversione, magari, a differenza che nel passato, arrivando a una conversione rapida, e non lunga, nel tempo, noi potremo non solo recepire quella direttiva in maniera automatica e burocratica, ma aggiungere, in quella fase di recepimento, l'intervento e la soluzione di tutti i problemi che sono stati enunciati oggi, o almeno di parte di essi, e, ad esempio, anche di alcune di quelle problematiche che dicevo sul diritto connesso e di altre problematiche che possono essere in campo.
Credo che questo sia un lavoro da fare sicuramente con il desiderio di andare veloci, ma anche con il desiderio di fare bene, perché noi pensiamo che queste due cose debbano e possano sempre essere fatte insieme. Vedete, il compito di quest'Aula – non smetterò mai di dirlo – non è tanto quello di segnalare i problemi, non è tanto quello di alzare cortine fumogene, non è tanto quello di compiere gesti simbolici.
Il compito di quest'Aula è quello di mettere in campo risultati reali e concreti, che cambino in meglio la vita delle persone. Noi dobbiamo cambiare in meglio la vita di tanti lavoratori della cultura, dello spettacolo, dell'arte e dell'intelletto, dicendo loro che questo Parlamento gli riconosce il ruolo fondamentale che hanno in questa nazione e che non ha nessuna intenzione di fare passi indietro, ma, invece, di fare passi avanti in questo senso.
Proprio per questo, mi associo – avevo pensato di farlo anch'io e sono contento che lo abbia fatto il collega Battelli – al ricordo, nella giornata di oggi, di un maestro come Abbado. Credo che non si possa parlare di queste cose senza pensare che persone come lui hanno fatto grande questo Paese nel mondo e che a persone come lui noi dobbiamo guardare quando pensiamo al giovane Claudio Abbado che oggi, da qualche parte, si trova in qualche luogo dell'Italia e che noi dobbiamo favorire ed aiutare perché sia il Claudio Abbado di domani .
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata testé la mozione Caparini ed altri n. 1-00318, che, vertendo su materia analoga alla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione .
È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino. Ne ha facoltà.
ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) è, ai sensi della legge 9 gennaio 2008, n. 2, ente pubblico economico a base associativa. L'articolo 1, comma 3, prevede che l'attività di vigilanza sulla SIAE sia esercitata dal Ministro per i beni e le attività culturali congiuntamente con il Presidente del Consiglio dei ministri e che tale attività sia svolta di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze per le materie di sua specifica competenza.
In Italia, la normativa che regolamenta il tema dei diritti d'autore risale, di fatto, al 1941: è nel 1941, infatti, che viene adottata la legge che disciplina la SIAE, l'unico organismo in Italia autorizzato a raccogliere i proventi che derivano dalle produzioni culturali e a destinarli poi ai produttori di cultura.
Com’è noto, e come è stato ampiamente detto e preannunciato già nel luglio 2012 dal commissario europeo per il mercato interno, Michel Barnier, giungerà presto all'attenzione di questo Parlamento una direttiva europea volta alla modernizzazione e ad una maggiore efficienza delle società di «» in Europa. Barnier ha sostenuto: «In Europa abbiamo bisogno di un mercato digitale unico, al servizio dei creatori, dei consumatori e dei fornitori di servizi. Il miglioramento del funzionamento delle società che assicurano la gestione collettiva dei diritti d'autore permetterebbe ai fornitori di servizi di realizzare più facilmente servizi accessibili oltre le frontiere, cosa che è nell'interesse dei consumatori europei e anche della diversità culturale».
Obiettivo principale dell'Unione europea è, quindi, quello di un mercato unico che faciliti l'acquisizione dei diritti da parte degli operatori che lavorano a livello comunitario. Si verrebbe, quindi, a creare una sorta di «licenza unica europea» per la gestione dei diritti.
La proposta ha due obiettivi complementari: promuovere una maggiore trasparenza e migliorare la delle società di gestione collettiva, introducendo obblighi di informazione più rigorosi e rafforzando il controllo delle loro attività da parte dei titolari di diritti e incoraggiare e agevolare la concessione di licenze di diritti d'autore multi-territoriali per l'impiego di opere musicali nei diversi Paesi dell'Unione. Il Commissario ha aggiunto: «I bisogni attuali sono differenti da quelli del passato e le società di devono adattarsi al cambiamento. La domanda cresce a ritmi incredibili, così come la rinnovata richiesta di e trasparenza. In passato i produttori di dischi compravano i diritti e poi vendevano prodotti; oggi se, per esempio, vuole mettere un brano in tutta Europa, deve ottenere l'autorizzazione di ben ventisette Paesi, senza menzionare i detentori di diritti. Questo complesso meccanismo è quello che noi vogliamo semplificare».
La presente proposta di direttiva rientra nel contesto dell'Agenda digitale europea e della Strategia «Europa 2020» per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Nell'Atto per il mercato unico la Commissione ha individuato nella proprietà intellettuale uno degli ambiti in cui è necessario intervenire e ha sottolineato che, nell'era di Internet, la gestione collettiva deve essere in grado di evolvere verso un carattere più transnazionale, eventualmente con modelli di concessione di licenze a livello di Unione europea che si estendano al territorio di più Stati membri.
Nella sua comunicazione dal titolo: «Un mercato unico dei diritti di proprietà intellettuale» la Commissione ha annunciato che produrrà un quadro giuridico per la gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi. L'importanza di tale proposta legislativa è stata sottolineata anche nel quadro dell’«Agenda europea dei consumatori» della Commissione stessa.
L'Unione deve tenere conto degli aspetti culturali nell'azione che svolge, in particolare al fine di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture. La tecnologia, la rapida evoluzione della natura dei modelli di digitali e la crescente autonomia dei consumatori richiedono di valutare costantemente se la normativa in vigore in materia di diritti d'autore preveda i giusti incentivi e consenta ai titolari dei diritti, agli utilizzatori dei diritti e ai consumatori di trarre vantaggio dalle opportunità offerte dalle tecnologie moderne.
La proposta è importante ai fini della protezione dei diritti d'autore e dei diritti connessi. La Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, la Convenzione di Roma per la protezione degli artisti, interpreti o esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione, l'Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio dell'Organizzazione mondiale del commercio, il Trattato sul diritto d'autore dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale e il Trattato sulle interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale sono strumenti internazionali fondamentali in questo ambito. La Convenzione sulla protezione e la promozione delle espressioni culturali dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, che estende gli obblighi dell'Unione europea a livello internazionale, sottolinea altresì l'importanza della proprietà intellettuale.
Il mercato delle è già aperto in numerosi Paesi dell'Unione Europea. Si ricorda che già nel 2010 il mercato della musica digitale è cresciuto, in Europa, del 22 per cento, a fronte di un modesto più 4 per cento degli Stati Uniti. Anche in Italia, pertanto, è certamente opportuno preferire il pluralismo competitivo rispetto all'attuale impostazione. Occorre allinearsi alle nuove disposizioni comunitarie, senza tuttavia dimenticare il primario compito affidato allo Stato di vigilare, mediante il Ministero per i beni e le attività culturali congiuntamente con il Presidente del Consiglio dei ministri e di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sulle attività e sul ruolo svolto dalla Società italiana degli autori ed editori.
Auspichiamo pertanto un dibattito chiaro ed esaustivo sull'argomento, al fine di poter recepire al meglio quanto giungerà dall'Europa, senza tuttavia dimenticare il maturato nel settore dell'intermediazione dei diritti d'autore in Italia.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
SILVIA GIORDANO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SILVIA GIORDANO. Signor Presidente, nella trasmissione dello scorso venerdì 17 il purtroppo ancora Ministro Nunzia De Girolamo dichiarava che per la nomina a direttori generali della ASL di Benevento di fatto vi era un'indicazione politica e, dato che solo due erano di Benevento, la scelta è caduta su Michele Rossi, che, per chi non se lo ricordasse, è colui che nelle intercettazioni è uscito come socio in affari per il controllo del 118, ovviamente è ancora tutto da controllare.
Al di là che i direttori generali dovrebbero essere scelti per meritocrazia documentata, a prescindere dal luogo di nascita, di residenza, o meglio, di appartenenza politica, si precisa che la De Girolamo ha dichiarato una inesattezza, o almeno così sembra, poi se qualcuno può smentirmi meglio così. Infatti, nel 2011, con decreto regionale n. 37 del 2011, con cui si approvava l'elenco degli idonei alla nomina di direttore generale, risultano ben venti professionisti di Benevento. Anzi, il dottor Rossi, in realtà, non era proprio presente tra questi venti, è stato aggiunto successivamente.
Ora, visto che è chiaro che la De Girolamo, sia in Aula sia con i suoi comportamenti successivi, non ha ben convinto nessuno, vorrei invitare nuovamente il PD, che aveva dichiarato che in caso di mancato convincimento avrebbe firmato la nostra mozione di sfiducia nei confronti della De Girolamo, a smettere di indignarsi solo fuori delle Aule del Parlamento e incominciare ad indignarsi anche qui dentro, facendo qualcosa di pratico, come, ad esempio, iniziare a firmare la nostra mozione.
MASSIMO ENRICO BARONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MASSIMO ENRICO BARONI. Signor Presidente, sempre in materia di nomine di direttori generali, diversi problemi abbiamo anche qui nel Lazio, oltre che in Campania, dopo le tredici nomine fatte dal commissario Zingaretti. Noi auspichiamo che si possa finalmente iniziare ad assumere dei modelli di sanità di iniziativa, con delle pianificazioni integrate di tipo sanitario e sociosanitario sul territorio, come prevedeva anche il decreto Balduzzi, che è completamente disatteso.
Come recentemente è stato notificato dagli organi di stampa, i Pronto soccorso sono completamente congestionati di richieste, perché qualsiasi persona che si sente un po’ male è completamente abbandonata a se stessa. Le unità di cure primarie complesse, previste dal decreto Balduzzi, non hanno funzionato, non sono a rete con i Pronto soccorso. Quindi, noi vorremmo che il commissario Zingaretti, il commissario del Governo si rendesse conto che in questo momento la sanità nel Lazio è al collasso, proprio per queste inadempienze, che non permettono una programmazione chiara e poi fanno in modo che le persone che stanno male debbano continuamente chiamare il 118, senza che vi sia nessun tipo di presa in carico da parte della regione e da parte di questi piani per quanto riguarda la riabilitazione, che sono completamente inesistenti.
Sappiamo bene dove vanno questi soldi. Vanno agli imprenditori della sanità che investono in case di cura private, non c’è nessun tipo di investimento sulla sanità ambulatoriale e sull'assistenza domiciliare.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.