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Venerdì 22 Maggio 2015 ore 09:30
AULA, Seduta 433 - Svolgimento di interpellanze urgenti
Resoconto stenografico
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Nella seduta odierna ha avuto luogo lo svolgimento di interpellanze urgenti sui seguenti argomenti: iniziative per un piano industriale relativo ai centri commerciali del gruppo Auchan in relazione ai connessi problemi occupazionali (Chimienti – M5S); iniziative per la deliberazione dello stato di emergenza per la regione Sicilia, colpita da intensi eventi metereologici, e per assicurare un adeguato assetto infrastrutturale (Ribaudo – PD); intendimenti in merito alla situazione produttiva e occupazionale degli stabilimenti del gruppo Whirpool, con particolare riferimento a quello di Carinaro (Caserta) (Ricciatti – SEL, Tinagli – PD); elementi in ordine all’iter del regolamento comunitario relativo al cosiddetto made in e iniziative del Governo in vista del Consiglio “competitività” dell’Unione europea per tutelare e valorizzare i prodotti dell’industria manifatturiera italiana (Benamati – PD); elementi ed iniziative circa l’introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie (Quartapelle Procopio – PD); chiarimenti ed intendimenti del Governo in merito alla costituzione di una cosiddetta bad bank per le sofferenze bancarie (Sorial – M5S); stato di attuazione della legge n. 125 del 2014 recante «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo» (Palazzotto – SEL); interventi a favore della Sardegna (Pili – Misto); elementi ed iniziative in relazione agli effetti a carico dell’erario derivanti dalla situazione debitoria del quotidiano L’Unità (Villarosa – M5S).
Per il Governo sono intervenuti il sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali Franca Biondelli, il viceministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, il sottosegretario per l’economia e le finanze Paola De Micheli e il sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale Benedetto Della Vedova.
Per il Governo sono intervenuti il sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali Franca Biondelli, il viceministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, il sottosegretario per l’economia e le finanze Paola De Micheli e il sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale Benedetto Della Vedova.
XVII LEGISLATURA
433^ SEDUTA PUBBLICA
Venerdì 22 maggio 2015 - Ore 9,30
Svolgimento di interpellanze urgenti (vedi allegato).
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Interpellanze urgenti (Svolgimento)
- Iniziative per un piano industriale relativo ai centri commerciali del gruppo Auchan in relazione ai connessi problemi occupazionali - n. 2-00963
- Iniziative per la deliberazione dello stato di emergenza per la regione Sicilia, colpita da intensi eventi meteorologici, e per assicurare un adeguato assetto infrastrutturale - n. 2 - 00975
- Intendimenti in merito alla situazione produttiva e occupazionale degli stabilimenti del gruppo Whirlpool, con particolare riferimento a quello di Carinaro (Caserta) - nn. 2-00958 e 2-00967
- Elementi in ordine all'iter del regolamento comunitario relativo al cosiddetto made in e iniziative del Governo in vista del Consiglio «competitività» dell'Unione europea per tutelare e valorizzare i prodotti dell'industria manifatturiera italiana - n. 2-00966
- Elementi ed iniziative circa l'introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie - n. 2-00955
- Stato di attuazione della legge n. 125 del 2014 recante «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo» - n. 2-00979
- La seduta, sospesa alle 11,15, è ripresa alle 11,20
- Interpellanze urgenti (Svolgimento)
- Stato di attuazione della legge n. 125 del 2014 recante «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo» - n. 2-00979
- Chiarimenti ed intendimenti del Governo in merito alla costituzione di una cosiddetta bad bank per le sofferenze bancarie - n. 2-00964
- Interventi a favore della Sardegna - n. 2-00969
- Elementi ed iniziative in relazione agli effetti a carico dell'erario derivanti dalla situazione debitoria del quotidiano l'Unità - n. 2-00982
- Disegno di legge di conversione (Annunzio della presentazione e assegnazione a Commissione in sede referente)
- Ordine del giorno della prossima seduta
GIANNI MELILLA, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Artini, Bindi, Bratti, Costa, Dambruoso, Fedriga, Ferranti, Garavini, Giancarlo Giorgetti, Guerra, Manciulli, Orlando, Pes, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Sanga, Santerini, Sereni, Tabacci, Valeria Valente e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente novantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Chimienti ed altri n. 2-00963, concernente iniziative per un piano industriale relativo ai centri commerciali del gruppo Auchan in relazione ai connessi problemi occupazionali .
Chiedo all'onorevole Chimienti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
SILVIA CHIMIENTI. Signor Presidente, Auchan Spa è una catena francese di supermercati presente in 16 Paesi che, oltre ad essere leader nella grande distribuzione organizzata, sta diventando tristemente famosa per la politica di esuberi che sta portando avanti nel nostro Paese. Come ampiamente spiegato nell'interrogazione a risposta in Commissione presentata il 24 aprile 2015 e nell'interpellanza urgente annunciata il 12 maggio, da fine marzo la multinazionale Auchan ha annunciato di voler attuare un piano industriale di riorganizzazione che coinvolgerà tutti i suoi supermercati e ipermercati presenti sul territorio nazionale.
La diretta conseguenza di questa riorganizzazione è l'elevato numero di esuberi, che risulta essere in continuo aumento. Su oltre 11.400 dipendenti, infatti, i licenziamenti iniziali dovevano essere 1.100, ma siamo giunti in questi ultimi giorni a 1.426 esuberi, che, nonostante siano il 12,5 per cento del totale, sembrano non essere ancora sufficienti.
Auchan Spa ha dichiarato che la causa di questi esuberi è da ricercare nella necessità di tagliare almeno 50 milioni di euro annui dal costo del lavoro e, nelle lettere di collocazione in mobilità recapitate ai dipendenti, la società si giustifica scrivendo che «risulta strutturalmente in esubero in conseguenza della grave riduzione di attività e di lavoro e delle esigenze di riduzione del numero degli addetti entro livelli compatibili con l'attuale situazione economica gestionale e non ultima di riequilibrio dei costi».
Secondo i sindacati la causa risulta essere diversa e infatti il giorno 9 maggio 2015, durante il presidio dei dipendenti che si è tenuto a Taranto, Giovanni D'Arcangelo, segretario della Filvams CGIL di Taranto, ha dichiarato alla testata giornalistica che «i lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro a causa delle scelte aziendali sbagliate da parte di Auchan».
La stessa situazione viene denunciata anche dall'organizzazione sindacale UILTUCS in una nota, consegnata in occasione dell'audizione del 6 maggio 2015 al Senato, in cui si legge: «Non mancano responsabilità dirette dell'azienda, riconducibili innanzitutto a politiche commerciali quanto meno discutibili adottate nel corso degli ultimi anni, nonché ad uno sviluppo della propria rete di vendita cervellotico, con la concentrazione di numerosi ipermercati in aree geografiche circoscritte, con il conseguente effetto di cannibalizzazione reciproca». Nella suddetta nota sindacale si ravvisa, inoltre, un'importante dichiarazione della UILTUCS: «L'impostazione della comunicazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo presenta un ulteriore aspetto a nostro giudizio estremamente delicato, idoneo a far intravedere un atteggiamento discriminatorio. A eccezione degli esuberi dichiarati nelle sedi/depositi, tutti gli esuberi dichiarati nella rete di vendita (1.381 sui 1.426 totali) riguardano unicamente il personale addetto alle operazioni di vendita, mentre sono totalmente esclusi il personale di servizi e direzione degli ipermercati, nonché tutti i capireparto e capisettore».
Precedentemente agli esuberi, sono stati chiesti a molti dipendenti di tutti i punti vendita italiani enormi sacrifici, attivando già dal 2010 i contratti di solidarietà, con una riduzione di orario del 25 per cento e la conseguente riduzione stipendiale per i livelli contrattuali più bassi: un ricorso all'ammortizzatore sociale che ha consentito all'azienda di risparmiare una media di circa 800 mila euro per punto vendita, per ogni anno in cui è stato attivato.
Dagli inizi di marzo 2015, il colosso francese ha rotto le trattative in corso con i sindacati sulle vertenze degli esuberi del personale, con una proposta unilaterale, in cambio dei preannunciati licenziamenti, che riguarda inderogabilmente la sospensione del contratto integrativo aziendale in ogni sua parte, la definizione di una procedura di mobilità incentivata sull'intero perimetro aziendale avente i presupposti della volontaria adesione, un accordo a sostegno della mobilità volontaria che preveda l'abbassamento di un livello dell'inquadramento di tutto il personale come misura transitoria al centro-nord e definitiva al centro-sud, e un anno di sospensione del pagamento della quattordicesima mensilità.
Dal suo punto di vista, il gruppo Auchan fa ricadere la colpa della collocazione in mobilità di quasi 1.500 lavoratori al calo dei consumi, che colpisce tutta la grande distribuzione e alla relativa flessione nello scorso anno del 12,5 per cento, che la società d'oltralpe ha subito rispetto al 2013.
Nonostante questi siano dati di fatto incontrovertibili, non è comunque corretto attribuire una generica colpa alla crisi della grande distribuzione organizzata, in quanto diverse altre aziende operanti nello stesso settore hanno, invece, registrato dei fatturati in crescita.
Da anni il gruppo Auchan Spa, nonostante abbia dichiarato di avere dipendenti in esubero, continua ad avvalersi di tirocini formativi, a carico dello Stato, retribuiti con stipendi che difficilmente raggiungono i 400 euro mensili, utilizzando impropriamente i tirocinanti nello svolgimento di attività ordinarie, compensando quindi le carenze di organico.
Questa situazione è stata denunciata da alcune sigle sindacali alla procura della Repubblica di Taranto tramite un esposto, in cui si contestava anche l'atteggiamento antisindacale adottato dalla multinazionale francese nei confronti dei dipendenti e dei loro rappresentanti sindacali.
La facilità nei licenziamenti collettivi, nel demansionamento e nell'utilizzo di tirocini sottopagati è stata ampiamente favorita anche dall'introduzione della riforma del lavoro, nota come . Oggi risulta possibile per una società dichiarare lo stato di crisi e al contempo assumere nuovo personale, in base al sistema delle cosiddette scatole cinesi, cioè delle aziende che, a nome diverso, fanno capo alla stessa proprietà e si trovano in diverse condizioni di salute economica.
Il demansionamento applicato ai lavoratori dei punti vendita Auchan, in base alle nuove linee guida statuite dal sarà facilmente applicabile anche a qualsiasi altro rapporto di lavoro. Infatti, a differenza dell'articolo 2103 del codice civile, che tutela la professionalità come espressione del lavoro dell'individuo e della sua personalità, la nuova riforma del lavoro rende possibile il deterioramento della professionalità per decisione unilaterale del datore di lavoro, stipulando accordi individuali che modificheranno, oltre alle mansioni, anche le retribuzioni dei lavoratori.
È facile immaginare che questa pratica verrà facilmente abusata anche per ragioni discriminatorie o punitive, visto che, nel caso in cui un lavoratore non sia d'accordo sul proprio demansionamento, gli verrà immediatamente applicata la procedura di licenziamento, anche questa resa più semplice dalla legge delega sul lavoro, che è riuscita a mortificare i diritti dei lavoratori, faticosamente conquistati in anni e anni di sacrifici e battaglie.
Giungo al punto: se alla facilità nei licenziamenti collettivi, al deterioramento della professionalità lavorativa, alle nuove assunzioni senza alcun tipo di tutela si aggiungono i tirocini formativi, che in teoria dovrebbero essere pagati dallo Stato, ma che in pratica, come nel caso degli di Garanzia Giovani, risultano spesso essere lavori non retribuiti, si ottiene il quadro della situazione del gruppo Auchan Spa.
Il 9 maggio 2015 i dipendenti della multinazionale francese hanno indetto uno sciopero generale e organizzato un presidio davanti all'ambasciata francese di piazza Farnese a Roma, per manifestare contro tutte le ingiustizie subite e per chiedere che vengano adottati sui punti vendita in Italia, senza distinzioni, quegli strumenti di ammortizzazione sociale conservativi che possano evitare l'esubero di quasi 1.500 lavoratori.
Per tutti questi motivi, riteniamo di assoluta importanza che il Governo intervenga con urgenza, aprendo dei tavoli di trattativa con la società Auchan Spa e le organizzazioni sindacali, attuando sia un piano industriale, sia una deroga agli ammortizzatori sociali, al fine di evitare drastici tagli del personale.
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli, ha facoltà di rispondere.
FRANCA BIONDELLI, . Signor Presidente, passo ad illustrare l'atto parlamentare dell'onorevole Chimienti ed altri, inerente alla situazione produttiva ed occupazionale dell'impresa Auchan Spa – facente parte del Gruppo Auchan – operante nel settore italiano della grande distribuzione organizzata di beni alimentari e non alimentari.
Ai fini di un corretto inquadramento della vicenda, è opportuno evidenziare che il mercato della grande distribuzione in Italia è stato interessato da una grave contrazione della domanda, la cui flessione è andata drasticamente a peggiorare negli ultimi anni per effetto di diversi e concorrenti fattori, tra cui: il peggioramento della già negativa congiuntura economica, l'incremento della disoccupazione e dei costi di trasporto e la riduzione dell'attrattività del ipermercati, a causa della distanza dai centri urbani.
In siffatto contesto, Auchan ha accumulato, nel corso degli ultimi anni, perdite di esercizio di ingente entità, senza prospettive di ripresa. Pertanto, lo scorso 24 aprile la società ha comunicato l'avvio – ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 – della procedura di licenziamento collettivo, dichiarando un esubero strutturale di 1.426 unità lavorative, distribuite tra i 49 punti vendita dislocati su tutto il territorio nazionale, su un organico complessivo di 11.422 dipendenti. La predetta procedura, attualmente in svolgimento nella fase sindacale, risulta essere all'attenzione dei competenti uffici del Ministero che rappresento.
Tanto premesso, in ordine alla possibilità, prospettata dagli interroganti, di concedere ai lavoratori dell'impresa una deroga agli ammortizzatori sociali, faccio presente quanto segue. L'articolo 7 del decreto ministeriale n. 46448 del 10 luglio 2009 stabilisce che il limite massimo di fruizione del trattamento di CIGS, stabilito dall'articolo 1, comma 9, della legge n. 223 del 1991, pari a 36 mesi nell'arco di un quinquennio, può essere derogato nelle singole unità produttive qualora il ricorso al contratto di solidarietà si ponga come strumento alternativo alla procedura di mobilità.
Il predetto articolo 7 è stato successivamente integrato dall'articolo 1 del decreto ministeriale n. 85145 del 10 ottobre 2014, che ha stabilito che il ricorso ai contratti di solidarietà, in deroga al suddetto limite temporale, è consentito anche nel caso in cui i lavoratori non si oppongano alla collocazione in mobilità. In altri termini, la nuova formulazione normativa riconosce la possibilità della coesistenza, in una medesima unità produttiva, di contratti di solidarietà e di procedure di mobilità su base volontaria, consentendo in tal modo alle imprese, che abbiano già in corso una riduzione dell'orario di lavoro, di gestire gli esuberi del personale in modo non traumatico.
Ciò posto, con particolare riferimento all'impresa Auchan Spa, nel precisare che la stessa beneficerà fino al 10 agosto 2015 di diversi trattamenti di integrazione salariale conseguenti alla stipula di contratti di solidarietà, faccio presente che, per alcune delle sue sedi, è stato raggiunto il limite massimo di fruizione del trattamento di CIGS. Tali sedi, pertanto, potranno usufruire di un ulteriore periodo di integrazione salariale allorquando, nell'ambito della procedura di mobilità tutt'ora in corso, le parti concordino una gestione non traumatica degli esuberi di personale, sulla base del criterio della non opposizione al licenziamento.
Per quanto detto, voglio rassicurare l'interrogante in ordine all'attenzione rivolta dal Ministero che rappresento alla vicenda evidenziata con il presente atto parlamentare, tenuto anche conto degli istituti di tutela dei lavoratori finora attivati.
Da ultimo, rendo noto che il Ministero dello sviluppo economico, espressamente interpellato per la parte di competenza, ha già manifestato la disponibilità ad aprire, ove richiesto, un tavolo di confronto tra le parti.
PRESIDENTE. L'onorevole Cominardi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Chimienti ed altri n. 2-00963, di cui è cofirmatario.
CLAUDIO COMINARDI. Grazie, Presidente. Non ci riteniamo soddisfatti della risposta del Governo, perché vorremmo delle risposte più concrete e più incisive, anche perché appare chiaro quanto gli ammortizzatori sociali non siano sufficienti per risolvere una crisi che riguarda il settore della grande distribuzione e, nella fattispecie, quella che riguarda Auchan.
Quindi, vogliamo capire: gli ammortizzatori sociali non sono sufficienti e, comunque, in qualche modo con il viene ridotto l'utilizzo dello strumento; il reddito di cittadinanza non s'ha da fare; le normative volte a tutelare e a salvaguardare i lavoratori rispetto ai licenziamenti collettivi sono venute meno.
Quindi, vogliamo capire un po’ dove si può andare a parare, perché le proposte ci sono. Quindi, mi pare di sentire il Governo del «no», contro delle proposte che, invece, il nostro gruppo sta facendo da tanto tempo.
La società diserta i confronti organizzati nelle regioni dalle parti sociali, dai sindacati e dagli assessorati competenti. Il personale dell'Auchan ha aderito allo sciopero addirittura per il 75 per cento, quindi appare evidente quanto la problematica sia sentita in quel comparto. Poi, si aggiunge la questione che anche Auchan stessa rifiuta il ricorso ad ammortizzatori sociali, perché sta facendo un'operazione finanziaria.
L'operazione finanziaria è quella che riguarda la fusione con la Système U, una grossa società che si occupa di grande distribuzione in Francia, e questa manovra finanziaria ovviamente necessita di soldi da parte di Auchan, e quindi dove vanno a prenderli ? Vanno a prenderli, da una parte, togliendo questi cosiddetti esuberi e, dall'altra parte, cercando di rivedere i contratti. Ma non basta tutto ciò, perché tempo fa Auchan ha fatto delle proposte a livello sindacale, volte a ridurre pesantemente la qualità dei contratti all'interno della società stessa, quando non è che si parla di contratti di strapagati, di cui purtroppo ci troviamo a sentire spesso nelle aziende pubbliche, nelle municipalizzate e quant'altro. Sarebbe bello sentir parlare di tagli in quel contesto. Però, va bene, capisco che si sta parlando del privato, ma qua si parla di accettare una riduzione degli stipendi, anche attraverso l'eliminazione della quattordicesima, e di accettare il demansionamento. E voglio ricordare a quest'Aula che il demansionamento è la prima causa, la prima forma di : il 99 per cento delle cause di è legato a forme di demansionamento e probabilmente, anche grazie a questo sarà più semplice attuare il demansionamento, come se non bastassero i licenziamenti collettivi.
Gli effetti del sono questi: sarà più facile, attraverso il decreto legislativo sul lavoro recante l'introduzione delle disposizioni relative alla disciplina dei licenziamenti a tutele crescenti, per i lavoratori neo assunti a tempo indeterminato, effettuare i licenziamenti di massa dei vecchi lavoratori ancora tutelati con l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, per poi procedere più avanti a nuove assunzioni di lavoratori con diverse e minori tutele contenute nel . È forse anche questa l'operazione ? Si fa finta di avere degli esuberi, si lasciano a casa e si riassumono a condizioni molto più convenienti. Alla faccia dell'occupazione, dell'occupazione di qualità, del restituire i diritti ai giovani ! Sappiamo che ci sono molti giovani che lavorano in queste realtà e anche lavoratori in età matura, che sicuramente avranno grosse difficoltà nell'essere poi ricollocati.
Ma io voglio menzionare anche delle situazioni che riguardano il territorio nel quale vivo, perché lo conosco direttamente, e lì si evidenziano delle storture incredibili del sistema della grande distribuzione, dovute anche a normative del passato. Parlo del Governo Monti: con l'articolo 31 del decreto-legge n. 201 del 2011 sono state effettuate delle liberalizzazioni in tema di grande distribuzione, per la creazione di nuovi centri commerciali, eliminando innanzitutto dei vincoli territoriali, e quindi anche vincoli paesaggistici, vincoli di qualsiasi altra natura, rispetto alla creazione di questi nuovi centri commerciali. Questa è una follia, perché ci troviamo in alcune zone d'Italia – il Paese che dovrebbe essere del piccolo commercio, dell'artigianato, delle realtà locali – ad avere la più alta concentrazione di centri commerciali d'Europa.
E cosa succede ? Succede che questi centri commerciali continuano a proliferare e si cannibalizzano tra di loro.
Io vivo a Brescia, tra Brescia e Bergamo. A Brescia c’è un centro commerciale molto importante dell'Auchan all'interno del complesso commerciale «Le Rondinelle», che al suo interno ha degli esuberi. Ma non solo quello di Brescia, c’è poi quello di Molinetto di Mazzano e ce ne sono tanti altri nella provincia di Brescia. Ma faccio l'esempio di quello della città di Brescia, perché lì attorno troviamo Decathlon, c'era Bricocenter che ha già chiuso, e vogliono costruire – anzi è già stata autorizzata la costruzione – un centro commerciale Ikea, che promette 700 nuovi posti di lavoro.
È un assurdo collocarlo all'interno di un contesto dove, in 500 metri in linea d'aria, abbiamo tutte queste concentrazioni di centri commerciali. Ristò, che è all'interno del centro commerciale «Le Rondinelle», ha 34 lavoratori a casa. McDonald's che è situato all'interno del centro commerciale «Le Rondinelle», si sposterà e andrà all'Ikea. Ma questi nuovi 700 posti di lavoro, non sono nuovi 700 posti di lavoro: sono posti di lavoro che si perderanno nelle realtà già esistenti.
Allora, quanto alla norma Monti, noi abbiamo chiesto in Commissione attività produttive con la proposta di legge di Dell'Orco – lo stiamo chiedendo e vi stiamo dando questo consiglio – di abolire assolutamente l'articolo 31 del decreto-legge n. 201 del 2011. È fondamentale perché già ha fatto danni ai piccoli commercianti. Infatti, se andate a vedere i dati della Confcommercio, stanno ancora tuttora chiudendo piccoli esercizi commerciali. Queste sono realtà che dobbiamo mantenere vive. Le liberalizzazioni non hanno aumentato l'occupazione, l'hanno diminuita. In altre forme, ma l'hanno diminuita. Dalle mie parti, a Quintano, vogliono fare un altro centro commerciale e lì, a pochi chilometri, c’è il centro commerciale «Le Acciaierie» che è fallito, che è fallito totalmente. Come se non bastasse, ci sono «Le Porte Franche» di Erbusco, una mega area commerciale nel centro della Franciacorta. Ma vi rendete conto ? Nel centro della Franciacorta ! E poi parliamo di bellezza della Franciacorta in Expo. Siamo pieni di centri commerciali, perché ce n’è un altro ancora vicino, «Le Corte Franche». Ecco, Moretti, il costruttore de «Le Porte Franche», vuole fare «Le Porte Franche due», sempre nel cuore della Franciacorta, sbattendosene della questione paesaggistica e, quindi, della vera bellezza di cui andiamo tanto a parlare. Sinceramente a me di questi palazzinari non me ne frega niente e non dovrebbe fregare niente alla politica, perché non danno posti di lavoro, ma li tolgono. La Corte dei conti dice che almeno un centro commerciale su dieci è fonte di speculazione e dietro la speculazione c’è mafia, camorra e . Fate il ragionamento rispetto a ciò.
Aggiungo un'altra cosa, perché il contenuto del decreto-legge n. 201 del 2011 all'articolo 31 dice anche un'altra cosa: liberalizziamo, facciamo lavorare i lavoratori anche la domenica. Quindi, noi li sfruttiamo fino all'osso e poi un calcio nel sedere e a casa, quando pare non servano più. Ma questo è tutto da vedere. Allora bisogna fermare immediatamente quest'emorragia. Questi li fanno lavorare anche la domenica con la scusa sì, più occupazione, ma, anche in questo caso, è vero il contrario, perché ciò ha inciso negativamente sia sull'occupazione sia sui piccoli commercianti, che sono quelli che fanno più fatica e che dovremmo tenere in piedi. Quindi, non siamo assolutamente soddisfatti.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Cominardi.
CLAUDIO COMINARDI. Il Governo, è un Governo del «no»: «no» al reddito di cittadinanza, «no» ai vincoli territoriali e paesaggistici contro le costruzioni di questi centri commerciali, «no» alle salvaguardie dei lavoratori e «no» a delle procedure per tutelare i lavoratori in ordine ai licenziamenti collettivi.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Ribaudo e altri n. 2-00975, concernente iniziative per la deliberazione dello stato di emergenza per la regione Sicilia, colpita da intensi eventi meteorologici e per assicurare un adeguato assetto infrastrutturale .
Chiedo all'onorevole Ribaudo se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
FRANCESCO RIBAUDO. Grazie, Presidente. Molto brevemente, faccio una leggera cronistoria di questa vicenda, dell'emergenza che si è verificata in Sicilia.
Noi a gennaio avevamo presentato un'interpellanza urgente, poi trasformata in al Ministro delle infrastrutture e l'avevamo presentata con una quarantina di parlamentari, non solo siciliani, ma di tutta Italia. Riguardava proprio le infrastrutture viarie, cioè la viabilità secondaria, per capirci la viabilità che era di competenza delle province regionali. Avevamo avvertito che quella viabilità era stata abbandonata per anni, perché come sappiamo le province regionali, prima ancora di essere cancellate dalla nostra Costituzione – abbiamo già approvato in quest'Aula il provvedimento di trasformazione in città metropolitane – già hanno subito dei tagli e, di fatto, finanziariamente non hanno più le capacità di dare risposte per le tante competenze che hanno.
Quindi, cosa è avvenuto ? È avvenuto che le province non hanno più fatto interventi di manutenzione straordinaria o ordinaria per la viabilità secondaria, per la viabilità di competenza. Di conseguenza, avevamo già avvertito, ai primi di gennaio e a febbraio, che c'era questo grande problema. Avevamo chiesto al Ministro, durante quel se non riteneva opportuno avviare un piano straordinario per le strade secondarie, per la viabilità secondaria, proprio considerato che siamo in una fase di transizione, di passaggio: la provincia non c’è più, dobbiamo costituire le città metropolitane, dobbiamo costituire gli organismi. Addirittura in Sicilia ancora dobbiamo approvare la legge. Ma il problema – ripeto – era italiano.
Allora, in questa fase, chi si occupa di quella viabilità ? Io voglio ricordare a tutti che la viabilità secondaria, rispetto agli assi principali, alle autostrade e ai grandi assi principali della viabilità nazionale, è composta proprio da tutte quelle strade che collegano i piccoli comuni di penetrazione agricola e che sono di vitale importanza.
Allora abbiamo chiesto un intervento straordinario. Il Ministro, l'ex Ministro Lupi, ci venne a dire che, per quanto riguarda la viabilità straordinaria, la viabilità secondaria, se ne dovevano occupare le regioni di competenza, quindi gli enti locali. Ma gli enti locali non hanno più risorse, non avevano più risorse. Allora perché lo abbiamo chiesto ?
Questo – dicevo – è successo a gennaio. Poi si è verificato il nubifragio e si è verificato quello che da ottant'anni non si verificava in Sicilia: sono caduti millimetri di pioggia, relativamente al rapporto tempo/millimetri di pioggia, straordinari, cioè 500 volte la media nazionale. Quindi, si è verificato quello che purtroppo avevamo previsto. Quelle strade abbandonate, senza regimentazione di acque, senza regimentazione a monte, appunto, delle acque, sono state travolte, sono andate in frana. Come sapete, sono crollati persino i viadotti.
Ebbene, sono state chiuse quasi la metà delle strade provinciali, il 40 per cento delle strade provinciali è stato chiuso. Allora, in questo caso abbiamo chiesto un intervento straordinario. La Protezione civile, rispetto a questo, ha svolto una ricognizione dettagliata, precisa, quantificando all'euro i danni che ci sono in Sicilia per quanto riguarda le strade provinciali. Si parla 345.643.990 euro. Dico la cifra, che è fatta alla lira, con una ricognizione che è durata due mesi; è durata anche troppo, ma è puntigliosa, è dettagliata, era necessario che fosse così. L'ha fatto la Protezione civile e poi questo dato è stato verificato dalla Protezione civile nazionale.
A questo, qualche giorno fa, ma ora ci dirà il Viceministro Calenda, il Governo ha risposto con una risposta parziale. Adesso dirà, poi mi riservo io di rispondere e di replicare. Concludo e poi aspetto la risposta. Ma non vi è stato solo il crollo dei viadotti principali, quindi delle strade principali: non è crollato solo il viadotto Himera, cioè quello che conosciamo dalla cronaca perché collega la Palermo-Catania, che ha diviso la Sicilia in due. Ma sono crollati altri viadotti. Per esempio, stava crollando un altro viadotto, si è impedito che crollasse e si è chiuso, quindi si è deviato. Stava crollando anche il viadotto che collega la Palermo-Agrigento. Poi ancora, dall'altra parte della sponda, vicino Messina, c’è un altro viadotto con difficoltà.
Con il crollo dei viadotti è venuto a nudo il problema della viabilità secondaria perché, volendo deviare il traffico presso la viabilità secondaria, è venuto a nudo che quella viabilità non è adeguata. Oggi, per andare da Palermo a Catania, attraverso appunto la viabilità secondaria, ci vogliono quattro ore e mezza. Perciò, quindi, abbiamo chiesto un intervento urgente.
PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, ha facoltà di rispondere.
CARLO CALENDA, . Grazie, Presidente. L'autore dell'interpellanza si riferisce ai fenomeni meteorologici che hanno interessato la regione siciliana negli ultimi mesi e che hanno determinato dissesti idrogeologici ed ingenti danni sul territorio. L'interpellante ha evidenziato, in particolare, l'emergenza connessa al danneggiamento delle infrastrutture viarie principali e secondarie del territorio siciliano ed ha auspicato interventi urgenti che consentano il ripristino delle viabilità interessate da dissesti ed il ritorno delle popolazioni interessate alle normali condizioni di vita.
Per quanto attiene alla domanda formulata dall'interpellante al Governo «se non ritenga urgente dichiarare lo stato di emergenza e intervenire con propria ordinanza di protezione civile a favore della popolazione siciliana (giusta richiesta del presidente della regione siciliana), affinché si ripristinino le normali condizioni di percorribilità delle strade di collegamento con i vari assi viari, intervenendo soprattutto nella viabilità secondaria, oggi l'unica in grado di assicurare i collegamenti tra le comunità e valutando nel contempo di assumere iniziative per concedere la deroga al Patto di stabilità ai comuni che hanno la disponibilità di risorse proprie, e limitatamente ai soli interventi per fronteggiare l'emergenza», si rappresenta quanto segue: con la nota n. 902 del 16 marzo 2015, acquisita nel DPC n. 14259 del 17 marzo 2015, il presidente della giunta della regione siciliana ha trasmesso copia della deliberazione n. 76, adottata dalla giunta regionale nella seduta del 12 marzo 2015, relativa alla richiesta di dichiarazione di stato di emergenza per eventi meteorologici che hanno interessato il territorio della regione siciliana dal 16 febbraio al 9 marzo 2015.
In merito a tale deliberazione, con la nota CG/14977 del 20 marzo 2015, il Dipartimento della protezione civile ha segnalato al suddetto presidente la necessità di procedere in ottemperanza a quanto previsto dalla direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri 26 ottobre 2012 al paragrafo «Le deliberazioni dello stato di emergenza», integrando la predetta richiesta con gli elementi tecnico-economici necessari.
Con successiva nota n. 1351 del 17 aprile 2015, il presidente della regione siciliana, in considerazione dell'interruzione dell'autostrada Palermo-Catania, avvenuta in data 10 aprile 2015, e stante un sostanziale aggravamento dei dissesti sul territorio regionale a seguito degli eventi meteorologici verificatisi nel periodo compreso tra il 16 febbraio e il 9 marzo 2015, ha inviato copia della deliberazione n. 95, adottata dalla giunta regionale nella seduta del 15 aprile 2015, relativa alla richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza per aggravamento delle criticità regionali a seguito degli eventi meteo avversi di cui alla deliberazione della giunta regionale n. 76 del 12 marzo 2015. Le suddette deliberazioni, n. 76/2015 e n. 95/2015, estendono la richiesta dello stato di emergenza a numerosi comuni di tutte le nove province del territorio siciliano (Palermo, Messina, Catania, eccetera), inclusa l'area ove si è verificato il cedimento del viadotto «Himera I» sull'autostrada A-l9 Palermo-Catania.
Nei giorni 27, 28, 29 e 30 aprile 2015 è stata condotta, da parte dei funzionari dello scrivente ufficio, una campagna di sopralluoghi sul territorio diretta a verificare l'entità dei danni subiti nelle località delle province del territorio siciliano che, per quanto segnalato dai tecnici regionali, presentavano le situazioni ed i danneggiamenti più significativi in conseguenza degli eventi meteorologici segnalati con le citate deliberazioni n. 76/2015 e n. 95/2015. Detta campagna di sopralluoghi è stata avviata seppur in assenza di tutti gli elementi previsti dalla citata direttiva del 26 ottobre 2012, specialmente per quanto attiene la descrizione di dettaglio delle situazioni maggiormente critiche e la quantificazione delle voci di spesa, indicate dall'articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, in funzione dei vari territori locali colpiti dall'evento.
Si precisa che, nel corso della suddetta campagna di sopralluoghi, sono state visionate le aree dove, a giudizio dei rappresentanti del Dipartimento regionale della Protezione civile, dei tecnici comunali, dell'Anas e delle province interessate, si sono manifestati i danneggiamenti ritenuti maggiormente significativi in ordine allo scenario di danno e alle condizioni di rischio residuo.
In conseguenza all'esito positivo della citata istruttoria, anche sulla base della documentazione integrativa fornita, in data 6 maggio 2015, da parte del direttore generale del Dipartimento regionale della Protezione civile, richiesta ai sensi della menzionata direttiva del 26 ottobre 2012, con delibera del Consiglio dei ministri del 18 maggio 2015, è stato dichiarato, fino al centottantesimo giorno dalla data del medesimo provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza degli eventi meteorologici verificatisi nel periodo dal 16 febbraio al 10 aprile 2015 nel territorio delle province di Palermo, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina e Trapani.
In considerazione di tale delibera, è in avanzata fase istruttoria la predisposizione dei provvedimenti in deroga all'ordinamento vigente, necessari all'avvio ed all'esecuzione, in regime straordinario, degli interventi ritenuti urgenti e prioritari per fronteggiare il contesto critico di cui si tratta, tenuto conto dei finanziamenti resi disponibili con la suddetta dichiarazione dello stato di emergenza, per la quale il Consiglio dei ministri ha stanziato 27.250.000 euro a valere sul Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 5, comma 5-, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Quanto al finanziamento dei primi interventi urgenti conseguenti al crollo di alcuni piloni del viadotto Himera 1, l'Anas Spa, con note del 12 e del 19 maggio 2015, si è resa disponibile ad intervenire con proprie risorse, pari a 9.800.000 euro.
In merito alle attività di prevenzione del rischio idrogeologico, si rappresenta che in attuazione a quanto disposto dal Governo con la legge finanziaria 2010 (articolo 2, comma 240, legge n. 191 del 2009), inerente la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, il Ministero dell'ambiente ha sottoscritto con le regioni specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico.
In particolare, l'accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Sicilia è stato firmato in data 30/03/2010, a cui hanno fatto seguito tre successivi atti integrativi rispettivamente in data 03/05/2011, 28/10/2014 e 20/01/2015. Attualmente l'accordo di programma prevede un importo complessivo di euro 350.588.362,76 di cui: euro 162.692.572,11 da parte del Ministero dell'ambiente per la realizzazione di 91 interventi; euro 12.756.002,61 con delibera CIPE n. 8/2012 del 20/01/2012 per la realizzazione di 11 interventi; euro 175.139.788,04 da parte della regione Sicilia per la realizzazione di 118 interventi.
Lo stato di avanzamento di tali 220 interventi, come deducibile dal sistema Rendis-Web di ISPRA, è il seguente: n. 60 ultimati; n. 52 in esecuzione; n. 24 aggiudicati; n. 32 con progettazione ultimata; n. 13 in progettazione; n. 13 in attesa di avvio; n. 26 dati non disponibili.
Si rappresenta, infine, che la regione Sicilia ha al momento segnalato, nell'ambito di nuove eventuali programmazioni per la rimozione del rischio idrogeologico, circa n. 960 nuovi interventi per un importo complessivo di oltre 2,4 miliardi di euro.
PRESIDENTE. L'onorevole Ribaudo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
FRANCESCO RIBAUDO. Grazie Presidente, mi reputo solo parzialmente soddisfatto perché prendo atto che la Presidenza del Consiglio, dopo gli accertamenti, ha subito deliberato per quanto riguarda il viadotto e ha dato anche un segnale di intervento con i 27 milioni per la viabilità. Tuttavia, voglio far notare che su 345 milioni di danni accertati 27 milioni sono solo l'8 per cento. Ci rendiamo conto che sarà difficile capire, anche per il commissario che sarà nominato – il Viceministro non ha detto che è stato nominato il commissario ma questa ordinanza sarà gestita da un commissario –, dove intervenire: se ci sono 350 milioni da spendere per interventi assolutamente urgenti e ne ha 27 a disposizione, sarà difficile.
Quindi, veramente, mi chiedo se non sia il caso di valutare bene, anche attraverso l'utilizzo, questa volta credo idoneo, del fondo ex FAS, del Fondo di sviluppo e coesione (FSC), se non sia necessario avviare un intervento straordinario utilizzando parte di quelle risorse. È, quindi, una valutazione che la Presidenza del Consiglio, insieme alla regione, dovrà fare e dovrà farla al più presto.
Noi abbiamo avuto i dati ISTAT, l'altro giorno, l'altro ieri, e parlano chiaro: c’è una ripresa in questo Paese. Checché se ne dica – sono stati dati dai giornali numeri diversi sul fatto che aumenta o non aumenta l'occupazione, che sono 90 mila o, poi, sono 30 mila posti di lavoro in più –, c’è, di fatto, un aumento, intanto, del prodotto interno lordo, perché l'Italia riparte: questo è innegabile, perché ripartono le esportazioni.
Questo aumento del prodotto interno lordo non riguarda il sud e, conseguentemente, non riguarda neanche l'occupazione del sud. Allora, noi abbiamo la necessità di avere un minimo di progetto di sviluppo per questa terra, per questa nostra terra, per questo nostro Meridione: rimangono ancora là sul tavolo i problemi come lo erano nel secolo scorso, quindi, il problema, ormai, è nostro. E qualsiasi forma di sviluppo che si voglia avviare in questa nostra terra non può che partire da un insieme di interventi infrastrutturali.
Abbiamo bisogno di infrastrutture sì, di infrastrutture materiali, e anche di quelle immateriali, se vogliamo – abbiamo bisogno di una classe imprenditoriale che sappia investire –, ma io credo che la viabilità sia l'infrastruttura primordiale, propedeutica a qualsiasi forma di sviluppo che si vuole in una terra. Non è un fatto secondario. Poi, arriverà anche la banda larga, poi arriveranno tutte le altre modernità, ma la viabilità è un fatto essenziale: è il diritto alla mobilità della gente, dei cittadini e io direi anche, portandolo all'estremo, che è un diritto di libertà dei cittadini. Infatti, voi dovete sapere che per uscire da un paese, che si chiama Campofelice di Fitalia o che si chiama Vicari, dove la strada non c’è più, è crollata, i cittadini devono fare un giro: prima, facevano 30 chilometri, adesso devono fare 70 chilometri per arrivare a Palermo. Voi dovete sapere che, all'interno del corleonese, ma anche dalle Madonie, ci sono strade su cui è impossibile transitare: sono bloccate e sono anche a rischio.
Allora, di che cosa parliamo ? Di agricoltura ? Bene, stiamo facendo l'Expo, stiamo esponendo la nostra agricoltura, la Sicilia in questo sta scommettendo, ma quelle strade di cui parlavo io, quella viabilità secondaria, è fondamentale, è funzionale a un possibile sviluppo che ci può essere in agricoltura: perché quelle strade provinciali sono le strade di penetrazione agricola, sono le strade che collegano le comunità interne, le comunità delle aree interne. Se non interveniamo su questo, di quale sviluppo parleremo ?
Allora, ho reputato, reputiamo, importante ed urgente che si affronti questa questione della viabilità. Non ci sono altre soluzioni: deve intervenire lo Stato. E noi cittadini siciliani ci sentiamo parte di questo Stato italiano, perché, nel passato, quando ci sono stati momenti di emergenza, quando ci sono state alluvioni, quando ci sono stati problemi di emergenza terremoti, si è intervenuti ed è giusto, come è giusto che si doveva intervenire in quell'occasione. E io dico che si è intervenuti anche con i fondi nostri, con i fondi FAS, i famosi fondi FAS. Non faccio l'elenco di come sono stati utilizzati i 63 miliardi di fondi FAS previsti dalla programmazione 2007-2013: non faccio l'elenco, perché devo concludere, Presidente, ma veramente sappiamo di cosa parliamo, sappiamo come sono stati utilizzati.
Questo, forse, era il caso di quei fondi, fondi strutturali, che servivano per interventi strutturali, perché, quando abbiamo a consolidare le strade, quando andiamo a consolidare le strade provinciali, la viabilità secondaria, è un intervento strutturale che serve, che è utile, non è spesa corrente. Qui, forse, era ed è il caso di ragionarci un poco e di vedere se si trova una soluzione. Certo è che 27 milioni non sono sufficienti, quindi, invito al Governo a rivalutare.
Un'ultima cosa, Presidente, che ritengo importante. Ci sono pochissimi comuni nella nostra Sicilia che hanno un fondo di cassa: avevamo chiesto che quei comuni interessati dall'area dell'emergenza che hanno la disponibilità di un fondo di cassa avessero la possibilità di intervenire direttamente, andando in deroga al Patto di stabilità, perché sono tutti al limite.
Cosa abbiamo chiesto di straordinario ? Io credo che sia nella normalità, si è fatto anche nel passato. L'ho chiesto al Presidente del Consiglio direttamente, lo chiedo al Viceministro, che se ne fa portavoce presso il Governo. Saranno sette, otto o dieci comuni, perché, ripeto, i «taglieggiamenti» che hanno avuto i comuni in questi anni da parte dello Stato li sappiamo tutti, quindi non ci sono molte risorse. Però, quei pochi comuni che lo possono fare, che possono intervenire per sbloccare la strada comunale esterna o che possono intervenire per il danno che hanno avuto, solo limitatamente agli interventi che riguardano l'emergenza, consentiamoglielo di fare e consentiamoglielo attraverso la deroga al Patto di stabilità interno. Sto chiedendo cose strane, Presidente ? Credo che stia chiedendo delle cose che sono essenziali; per noi cittadini di quei territori sono questioni essenziali. Dopo di ciò, è chiaro che per qualsiasi forma di attività (beni culturali, turismo, agricoltura, industria) abbiamo un sistema di viabilità che deve essere messo in linea. Adesso l'alta velocità arriva a Napoli, lo sappiamo, noi non pretendiamo l'alta velocità. Forse non occorrerà dalle nostre parti l'alta velocità, ma occorre un sistema di viabilità che ci metta in condizioni o crei le precondizioni per uno sviluppo.
PRESIDENTE. Passiamo alle interpellanze urgenti Ricciatti ed altri n. 2-00958 e Tinagli ed altri n. 2-00967, concernenti intendimenti in merito alla situazione produttiva e occupazionale degli stabilimenti del gruppo Whirlpool, con particolare riferimento a quello di Carinaro (Caserta), che, vertendo sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente .
L'onorevole Ricciatti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza.
LARA RICCIATTI. Grazie, signor Presidente. Quando il gruppo di Sinistra Ecologia Libertà ha presentato questa interpellanza urgente vi era già una lunga e triste lista di numeri che di fatto stava decretando la lenta agonia che presumibilmente rischia di portare alla morte degli stabilimenti Whirlpool. Oggi devo dire che quella lista era ancora incompleta, perché è arrivato il piano industriale dell'azienda relativo alla parte impiegatizia, ed è una nuova doccia fredda, sia per i lavoratori che per i sindacati, perché la multinazionale statunitense, ora proprietaria della Indesit Company, prevede altri 480 esuberi (200 a Varese, 200 a Fabriano, 80 a Melano), che si andrebbero ad aggiungere ai 150 dell'area ricerca e sviluppo e ai 1.350 già annunciati in precedenza. Vediamo che dopo l'annuncio del piano di ristrutturazione del settore impiegatizio da parte di Whirlpool, che porta gli esuberi del gruppo a 2.060 totali, i sindacati unitari FIOM, FIM e UILM e le RSU degli stabilimenti Indesit hanno annunciato per oggi e per lunedì degli scioperi e dei presidi davanti agli stabilimenti, per cercare di far sentire anche la loro voce.
La Ministra Guidi ha giustamente detto che questo è un piano che taglia di un terzo la forza lavoro del gruppo in Italia, sommando, mettendo insieme, tutti gli stabilimenti. L'atteggiamento di Whirlpool nella trattativa sugli stabilimenti ex Indesit è inqualificabile, non si possono usare altri aggettivi e non si possono usare altre parole, perché l'annuncio di nuovi esuberi dopo le parziali aperture dei giorni scorsi umiliano le speranze delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti e delle loro famiglie.
Per quello che riguarda noi di Sinistra Ecologia Libertà, però, dobbiamo prendere atto che la strategia del Governo finora non è andata oltre l'espressione di un disappunto sul piano industriale di Whirlpool, per questo ci aspettiamo nelle prossime ore un deciso cambio di passo, per esigere il rispetto di accordi già sottoscritti nel 2013 con la vecchia proprietà Indesit. Ci auguriamo che determinazione e risolutezza non siano attributi che il Governo riserva al Paese solo quando cambiamo la Costituzione e la scuola, e speriamo che prima o poi sia la volta buona anche per il lavoro.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Ricciatti, anche per la sintesi. L'onorevole Tinagli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza.
IRENE TINAGLI. Grazie, Presidente. Questa interpellanza urgente riguarda un aspetto leggermente diverso del caso Whirlpool, rispetto a quello illustrato dai colleghi di SEL, quindi non riguarda in generale la trattativa tra Ministero e azienda sul piano industriale, anche perché comunque questa trattativa è ancora in corso e abbiamo anche fiducia che sarà gestita nel migliore dei modi, nell'interesse dei nostri lavoratori. Riguarda, però, un fatto diverso, ovvero l'erogazione di un finanziamento da parte Invitalia a Whirlpool di 10 milioni di euro per il potenziamento dello stabilimento di Napoli, che è stato sottoscritto il 25 luglio 2014.
Questo finanziamento è avvenuto nell'ambito dei contratti di sviluppo, quei contratti volti a tutelare e supportare lo sviluppo di un'area, in particolare delle aree del sud per tutelarne anche l'occupazione. Quei dieci milioni peraltro erano volti alla tutela di 588 posti di lavoro dello stabilimento, considerato che 540 lavoravano già in quella sede, si suppone che la nuova occupazione creata con questa somma sarebbe stata, più o meno, di 48 posti di lavoro. Solo che, dopo pochi mesi, la Whirlpool ha annunciato oltre 800 esuberi nello stabilimento di Carinaro a Caserta, più o meno trenta chilometri da Napoli. Mi sembra, quindi, che il saldo in termini occupazionali del piano complessivo di sviluppo dell'area risulti essere abbastanza negativo.
Mi chiedevo pertanto se c'era motivo di confermare effettivamente l'erogazione di questi dieci milioni a Whirlpool per lo sviluppo dell'area quando, in fin dei conti, non vi è stata una tutela e uno sviluppo dell'occupazione e non capisco come si possa giustificare tale erogazione. È vero che gli esuberi riguardano lo stabilimento ex-Indesit, e quindi al 25 luglio 2014 l'acquisto di Indesit da parte di Whirlpool non era stato ancora formalizzato, ma era stato ampiamente annunciato nelle settimane precedenti, quindi alla stipula Invitalia era perfettamente consapevole che vi sarebbe stato probabilmente un cambio dei piani industriali e della produzione da parte di Whirlpool.
In uno dei punti dell'interpellanza chiedo di sapere se in questo accordo era previsto un intervento su Carinaro, in che termini si fosse valutato questo impatto, se non era previsto in ogni caso che, una volta formalizzato l'acquisto, Whirlpool dovesse chiedere un'autorizzazione a Invitalia rispetto all'acquisto di Indesit. Mi sembra vi siano degli aspetti poco chiari su come Invitalia ha gestito questo finanziamento e chiedo al Ministero se non sia il caso di utilizzare l'articolo 19 del decreto del dicembre scorso in cui si prevedeva concretamente la possibilità di revocare dei finanziamenti qualora le aziende non mantenessero le premesse e le promesse dei contratti di sviluppo.
Infine, penso che tutti insieme potremo rivalutare le tipologie e le modalità con cui eroghiamo finanziamenti alle imprese. Io non ho niente in contrario a che le aziende si riorganizzino, che vi siano processi di riorganizzazione aziendale, in quanto fondamentali per lo sviluppo futuro e la produttività, devono essere fatti, però, con trasparenza, e, soprattutto, quando poi un'azienda ha esuberi che richiedono l'intervento dello Stato per ammortizzatori sociali forse di finanziamenti precedenti per altri fini se ne può fare a meno.
PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, ha facoltà di rispondere.
CARLO CALENDA, Grazie, Presidente. Come noto, sulla vicenda Whirlpool, il Governo ha tempestivamente attivato il tavolo di confronto sviluppando un'analisi approfondita del Piano Industriale per gli anni 2015 – 2018, presentato dall'Azienda. È un piano che prevede 500 milioni di investimenti in processi, prodotti, ricerca e sviluppo, e lo sviluppo di piattaforme produttive all'avanguardia oltre al consolidamento di una forte presenza industriale nel nostro Paese.
Va anche sottolineato che Whirlpool collocherà in Italia oltre il 70 per cento della ricerca e sviluppo presente in Europa; sarà lasciata in un altro Paese solo lo sviluppo delle lavastoviglie. Lo stesso piano contiene però elementi del tutto inaccettabili, anzitutto una quantità di eccedenze occupazionali che, al netto delle assunzioni previste, è pari ad un quarto della forza lavoro esistente. Ciò significa che la occupazione dovrebbe ridursi di oltre 2 mila persone entro il 2018 (di queste circa 600 sono impiegati e quadri) attestandosi a circa 4.800 dipendenti.
In questa difficilissima situazione si colloca la annunciata volontà di chiudere il sito di Carinaro dove sono occupate 820 persone e quello di None dove sono occupate altre 90 persone. Mentre le eccedenze occupazionali tra gli impiegati sono tutte allocate a Fabriano ed a Varese. Negli altri stabilimenti italiani del gruppo le eccedenze sono certamente minori, ma questo non vale per la Campania ove, oltre a Carinaro, altre 200 eccedenze sono presenti anche nello stabilimento di Napoli ove si producono lavabiancheria.
Su tutti gli aspetti del Piano Industriale, e soprattutto sulle questioni occupazionali, sono stati svolti presso il Ministero dello Sviluppo Economico con la attiva presenza anche del Ministero del Lavoro, numerosi incontri che si sono sommati a quelli svolti direttamente tra le parti.
Dall'inizio del confronto ad oggi si sono svolti, in vario modo, oltre otto incontri nel corso dei quali, al di là di timidi e contraddittori segnali di disponibilità al confronto, non è stato possibile registrare significative modificazioni delle parti più critiche del piano industriale testé richiamato.
Al termine dell'ultimo incontro svolto l'altro ieri, 20 maggio, il Governo ha dovuto prendere atto della indisponibilità di Whirlpool a modificare in modo significativo le parti di piano maggiormente negative e definendo «inqualificabile» un piano industriale che taglia un quarto della forza lavoro con impatto particolarmente negativo al Sud. Questo non può compensare gli aspetti positivi previsti e pur presenti nel progetto.
Il Governo ha ribadito la propria disponibilità a riconvocare le parti «anche immediatamente», ma soltanto dopo che l'azienda avrà presentato nuove proposte «credibili e tangibili», che diano certezze ai lavoratori e che rispondano all'esigenza, più volte sottolineata dallo stesso Ministro Guidi, di dare prospettive reali anche ai lavoratori degli stabilimenti campani.
Non basta garantire il non licenziamento dei lavoratori fino a tutto il 2018 e non bastano neppure gli incentivi all'uscita o l'uso dei contratti di solidarietà, pur necessari in alcuni momenti della vita aziendale; quello che serve sono vere opportunità di lavoro che compensino realmente i tagli occupazionali annunciati. Su questo, fino ad ora, Whirlpool non ha dato risposte accettabili.
Ovviamente il Governo continuerà, e continua anche nelle prossime ore, a tenere rapporti con tutte le parti interessate – ed anche con tutte le istituzioni territoriali coinvolte – per verificare gli elementi positivi che possano far riprendere le trattative ed avviare in questo modo a soluzione positiva la difficile situazione industriale.
In merito, invece, a quanto richiesto dall'onorevole Tinagli sul contratto di sviluppo tra Invitalia e Whirlpool siglato il 25 luglio 2014 riferisco quanto segue.
La domanda di contratto di Sviluppo Whirlpool – Progetto «Omnia» – è stata presentata il 23 dicembre 2013 da Whirlpool Europe Srl, società appartenente al Gruppo Whirlpool Corporation, leader mondiale nel settore della produzione e commercializzazione di elettrodomestici, con un fatturato annuo di 18.8 miliardi di dollari nel 2013, 69 mila dipendenti e oltre 60 centri di produzione e di ricerca tecnologica in tutto il mondo.
La proposta riguarda un programma di sviluppo industriale consistente nell'ampliamento della capacità produttiva del proprio stabilimento di Napoli per la produzione di una nuova tipologia di prodotto di media/alta gamma (lavabiancheria), che prevede investimenti produttivi per 21.6 milioni di euro. È previsto, inoltre, un progetto di ricerca e sviluppo che ha come obiettivo l'incremento di sistemi innovativi relativi all'impatto acustico, al sistema di trasmissione del moto, alla scheda elettronica, alle interfacce utente, al risparmio energetico ed idrico, per un totale di investimenti pari a 31,1 milioni di euro (21,6 per una nuova piattaforma produttiva, 3,3 per ricerca industriale e 6,2 per sviluppo sperimentale). A fronte di tali investimenti, sono stati concessi contributi a fondo perduto per circa 9,7 milioni di euro (deliberati dal CdA di Invitalia).
Evidenzio che l'investimento proposto dalla Whirlpool Europe Srl attiene esclusivamente il sito di Napoli ed ha l'obiettivo di mantenere gli attuali livelli di occupazione che risultano pari a 538 unità lavorative.
Per quanto riguarda, in particolare, il secondo quesito posto dall'onorevole Tinagli, si evidenzia che l'articolo 6.3 del contratto di sviluppo prevede, tra l'altro, che: le «Operazioni di carattere societario effettuate nel corso della realizzazione del “Programma di sviluppo Industriale” o prima di cinque anni dalla data di ultimazione dello stesso, riguardanti l'Impresa Proponente» e comportanti fusioni, scorpori, cessioni di azienda o di rami aziendali, trasferimenti di parti di attività produttive o di beni strumentali agevolati, contratti di affitto o gestione di azienda o di rami aziendali, dovranno essere portate preventivamente a conoscenza di Invitalia al fine dell'eventuale presa d'atto e mantenimento delle agevolazioni.
L'operazione effettuata da Whirlpool in ordine all'acquisizione di Indesit, avvenuta peraltro successivamente alla sottoscrizione del contratto di sviluppo di cui si discute, trattandosi di una acquisizione e non di una cessione azienda o di beni interessati dalle agevolazioni, non rientrava, quindi, nelle fattispecie sopra elencate e, pertanto, non è stata comunicata ad Invitalia, non necessitando di una formale autorizzazione.
Evidenzio, infine, che a seguito della sottoscrizione del contratto di sviluppo, in data 5 dicembre 2014, la suddetta Agenzia ha erogato circa 1 milione di euro di contributo relativo alla prima di spese di ricerca e sviluppo regolarmente rendicontate e che equivalgono a circa il 30 per cento del programma.
PRESIDENTE. L'onorevole Ferrara ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Ricciatti e Scotto n. 2-00958, di cui è cofirmatario.
FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Signor Presidente, noi non possiamo essere soddisfatti, intanto per l'approccio che il Governo ha rispetto a tutte le vertenze che ci sono in questo Paese perché una cosa è il ruolo del sindacato, delle RSU, delle lavoratrici e dei lavoratori che giustamente vivono la loro condizione materiale di vita nella propria azienda e quindi ovviamente non possono fare altro che provare a difendere la loro attività produttiva, i livelli occupazionali, altra cosa invece è il ruolo del Governo. Il ruolo del Governo, se non vuole rischiare di ripetere quello che sta succedendo in questi anni di crisi e cioè tutte le volte discutere una vertenza slegata sempre dall'altra, senza avere in testa un quadro rispetto a quella che è e dovrebbe essere un'idea di politica industriale in questo Paese, è ovvio che tutte le volte, anche con la buona volontà, che ovviamente io non metto in discussione – e qui c’è a rappresentarlo il sottosegretario Calenda –, però c’è poco da fare perché quando arrivi al dunque, cioè quando alla fine le multinazionali vengono nel nostro Paese, prima gli si consente di fare e poi si dice – anche il Governo dice – che abbiamo fatto una grande operazione per salvare le attività produttive, l'industria italiana e i livelli occupazionali, e poi si scopre appunto che queste aziende, fatto poi decidono di prendersi il mercato e di chiudere le attività produttive o di ridimensionarle. Ecco, se non si inquadrano dentro una politica industriale io temo che sia impossibile venire a capo di tutte queste problematiche che stiamo vivendo a partire da quella della Whirlpool.
Poi qui ci sono – me lo faccia dire – delle cose impressionanti, ci sono stanziamenti sia da parte della Whirlpool, sia da parte delle regioni per mantenere questi siti. Gli si consente di prendere questi soldi – penso alla regione Campania, che ha stanziato 50 milioni per il mantenimento delle attività produttive di Napoli e Caserta, di Carinaro – e poi contemporaneamente queste aziende chiudono proprio nei siti dove la regione ha messo dei soldi, allora c’è un'incongruenza che veramente è inaccettabile.
Io penso questo insomma, premesso che il Governo dovrebbe avere chiaro su quali attività il nostro Paese deve continuare ad esserci – e non voglio fare qui esempi che riguardano la Finmeccanica, dove abbiamo perso altre tecnologie, altre attività produttive, penso ai trasporti e all'energia – non solo, ma dovrebbe avere la capacità di stringere ai tavoli queste aziende perché non possono pensare di avere questo approccio appunto di venire nel nostro Paese, di fare e poi fare quello che vogliono.
Io vorrei augurarmi – e finisco – che questo atteggiamento della Ministra Guidi, che ovviamente non possiamo che condividere se lei giudica inqualificabile il piano della Whirlpool, ebbene allora ci vorrebbe una coerenza, io vorrei augurarmi che questa parola «inqualificabile» non valga fino al 31 maggio, quando si vota, per poi il giorno dopo scordarsi di questa affermazione. Io penso che ci debba essere una coerenza, se il piano è inqualificabile, è inqualificabile e il Governo deve costringere la proprietà a fare i conti con il sistema nostro, con il sistema Paese. Non è pensabile appunto che queste aziende vengono in Italia, prendono le attività produttive e poi si prendono esclusivamente il mercato, lasciando morti e feriti sul piano dell'occupazione e depauperando quella che per noi è stata, è e rimane l'Italia che, vorrei ricordarlo in quest'Aula, era uno dei Paesi più industrializzati del mondo, ma anche era uno dei Paesi che dal punto di vista della sua capacità tecnologica e innovativa era molto, molto competitivo. Quindi noi dobbiamo difendere fino in fondo queste aziende, difendere la nostra capacità produttiva, difendere la nostra professionalità, difendere le lavoratrici e i lavoratori.
PRESIDENTE. L'onorevole Tinagli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza n. 2-00967.
IRENE TINAGLI. Grazie, Presidente. Sono parzialmente soddisfatta, nel senso che di molte delle cose dette ero già a conoscenza. Non ero a conoscenza del fatto che la domanda era stata presentata addirittura un anno prima. Francamente non mi consola pensare che decisioni di questo genere richiedono ad Invitalia oltre un anno di istruttoria per essere evase. Immaginavo che il punto normativo e burocratico a cui si sarebbero appigliati l'Agenzia e il Ministero fosse questo articolo 36 dei contratti di sviluppo che prevede la richiesta di autorizzazione in caso di fusione o cessione, ma non è esplicitamente prevista l'acquisizione. Quindi, capisco che, da un punto di vista burocratico-formale, possa essere considerato non necessario un intervento, ma resta un fatto molto semplice, ma veramente semplice, cioè il fatto che al momento della firma e della stipula di questo contratto, con cui si erogavano questi dieci milioni all'azienda, tutti sapevano – o almeno mi auguro lo sapessero, dato che da settimane era su tutti i giornali e quindi mi auguro che anche i dirigenti di Invitalia leggano i giornali ogni tanto – che l'azienda stava acquistando Indesit e si sapeva che Indesit era un'azienda con gravi difficoltà e che avrebbe richiesto un intervento sul piano industriale e numerosi esuberi. E mi stupisce che a nessuno sia venuto in mente di ridiscutere quell'accordo prima di porre l'ultima firma e prima di erogare questi soldi, sapendo che sarebbe stato necessario intervenire poco dopo per gestire questi esuberi e per gestire l'emergenza occupazionale che ne sarebbe scaturita.
Veramente è una cosa che mi rattrista moltissimo pensare che ci siano dirigenti che non abbiano pensato e non siano intervenuti in tempo per prevenire situazioni di questo genere e per non far ritrovare noi, il Ministero e il nostro Governo in una situazione in cui, oltre al danno, si aggiunge la beffa.
Quindi, questo io credo anche che ci debba fare riflettere – come avevo sollecitato nell'interpellanza – sulla necessità di mettere mano alle nostre politiche, riconoscendo il fallimento di alcune politiche industriali e di alcuni strumenti che noi utilizziamo per perseguire questi obiettivi e anche dei soggetti che sono atti ad implementarli perché evidentemente qualcosa lì non ha funzionato.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Benamati ed altri n. 2-00966, concernente elementi in ordine all'iter del regolamento comunitario relativo al cosiddetto e iniziative del Governo in vista del Consiglio «competitività» dell'Unione europea per tutelare e valorizzare i prodotti dell'industria manifatturiera italiana .
Chiedo all'onorevole Taranto se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.
LUIGI TARANTO. Signora Presidente, signor Viceministro, il testo dell'interpellanza ripercorre sinteticamente le tappe storiche dell'azione parlamentare e di governo dell'ultimo decennio sul terreno degli impegni a tutela del e per la prevenzione ed il contrasto della contraffazione.
Di questa azione si rammenta, in particolare, l'incrocio critico e complesso con il diritto comunitario e con il principio di convergenza comunitaria delle modalità tecniche di determinazione dell'origine a vantaggio della libera circolazione dei prodotti. E si sottolinea, ancora, come norme e principi abbiano puntualmente registrato l'intensità del confronto (e non di rado anche dello scontro) tra i Paesi manifatturieri dell'Europa mediterranea ed i Paesi continentali e del Nord Europa con forti quote di produzione delocalizzata o sede delle principali piattaforme logistiche di approdo e transito dell’ manifatturiero proveniente dal .
Così, ad esempio, nonostante le dichiarazioni e le risoluzioni adottate dal Parlamento europeo, tra il 2007 ed il 2013, per sollecitare Commissione e Consiglio all'attuazione di una politica di tutela dell'origine dei prodotti europei, è soltanto nell'aprile del 2014 che viene registrato un significativo punto di svolta, con l'approvazione da parte del Parlamento europeo e a larghissima maggioranza, del noto pacchetto legislativo per la tutela dei consumatori europei da prodotti falsi e nocivi, nel cui ambito è ricompresa la previsione dell'obbligo di apposizione del ai prodotti non alimentari sia realizzati in Europa che extraeuropei, previa approvazione dell'obbligo da parte del Consiglio dell'Unione.
Come è noto, alla scelta maggioritaria (e largamente maggioritaria) del Parlamento europeo non corrispondeva però di certo l'accordo unanime degli Stati membri dell'Unione.
Vale la pena di ricordare che, consapevole dei rischi di azioni dilatorie della scelta operata dal Parlamento europeo, proprio questa Camera impegnava il Governo – tra l'altro con la mozione d'Aula presentata dal gruppo del Partito Democratico ed approvata nella seduta del 10 luglio 2014 – «a monitorare, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, l'iter del regolamento relativo al ».
Come è altresì noto, nel corso del semestre veniva comunque deciso di procedere ad uno studio di analisi dei costi e dei benefici dell'adozione del regolamento, i cui esiti recenti avrebbero evidenziato – secondo le notizie di stampa fin qui circolate – risultati settorialmente differenziati, con benefici particolarmente rilevanti per i comparti della ceramica, delle calzature e del tessile/abbigliamento.
Tali risultati hanno indotto ad ipotizzare una soluzione di compromesso, da discutere in occasione del Consiglio competitività dell'Unione, previsto per la fine di questo mese, consistente nell'applicazione del regolamento appunto a tali settori e con richiesta da parte italiana, per quanto è stato riportato dalla stampa, di estensione di tale applicazione almeno ai comparti del legno-arredo e dell'oreficeria.
Su questi elementi gli interpellanti richiedono, dunque, al Governo informazioni circa l'iter del regolamento e sulla posizione negoziale del nostro Paese, in vista del Consiglio competitività del prossimo 28 maggio. Lo facciamo memori delle considerazioni di esordio del Documento di economia e finanza del 2015, memori della considerazione sulla speciale finestra di opportunità, che si configura per il nostro Paese, per riprendere a crescere ad un ritmo sostenuto. Cogliere le potenzialità di una simile finestra significa anche, sul piano dell'analisi, recepire quanto annota proprio il programma nazionale di riforma, osservando che la globalizzazione ha determinato opportunità e sfide nel cui ambito tutte le economie avanzate hanno registrato perdite di quote di mercato.
Ciò non toglie che l'Italia resti uno dei principali esportatori mondiali e ciò non toglie, soprattutto, che il suo posizionamento nel livello più alto di qualità in tutti i principali settori d'esportazione, anche tradizionali, può ben spiegare non soltanto la resilienza delle esportazioni italiane, ma anche porsi come presupposto solido degli obiettivi quali-quantitativi del piano straordinario per la promozione del a partire dagli obiettivi dell'incremento del flusso di per circa 50 miliardi nell'arco di un triennio, e dall'obiettivo dell'incremento del numero di imprese stabilmente esportatrici di circa 20 mila unità.
Analisi convergenti sono state sviluppate da fondazione Symbola, da fondazione Edison ed Unioncamere. Sulla resilienza delle esportazioni italiane è tornato, negli scorsi giorni, anche il rapporto Istat, mentre il rapporto ICE-Prometeia, presentato giusto nella giornata di ieri, stima una crescita del nostro tra il 2015 ed il 2017, del 5,8 per cento all'anno. In particolare, già quest'anno lo di potrebbe superare i 500 miliardi di euro ed il numero di imprese esportatrici, seppure non stabilmente esportatrici, risulterebbe in incremento di circa 10 mila unità. Inoltre, la ripresa dei mercati maturi potrebbe giovare al nostro in ragione, appunto, di una domanda indirizzata verso beni sofisticati e ad alta intensità tecnologica, settori per i quali, diciamo, la regolamentazione del appare, dunque, particolarmente utile ed opportuna.
Le opportunità, dunque, non mancano. Serve il contributo di buone politiche e della responsabilità politica. Serve che la regolamentazione del avanzi, avanzi sia pure in versione selettiva e con un eventuale periodo di sperimentazione, ma con un approccio che, comunque, ricomprenda, senza esclusioni, imprese piccole, medie e grandi.
Per questo, a nostro avviso, vale la pena di ribadirlo, a pochi giorni dallo svolgimento del Consiglio competitività: l'opportunità del regolamento sul va colta. Va colta in coerenza con i rilievi della Commissione europea, richiamati nel documento sugli squilibri macroeconomici dello scorso mese di marzo e con la segnalazione, in quel contesto, della necessità di un recupero italiano di quote di nei settori dei beni scambiabili.
L'auspicio è, dunque, che il Consiglio competitività del prossimo 28 maggio possa essere annoverato tra le date di riferimento del cronoprogramma di un'Europa che sceglie concretamente di stare dalla parte delle ragioni dei consumatori e della tutela della qualità del suo sistema produttivo.
Come si legge nei documenti preparatori del consiglio: più sicurezza per i consumatori, più certezza per le imprese, più cooperazione tra le autorità competenti. Siamo certi che, rispetto a questi principi, la posizione negoziale del nostro Paese si muoverà con la necessaria determinazione.
PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, ha facoltà di rispondere.
CARLO CALENDA, Grazie, Presidente. Il Governo italiano segue sin dall'inizio con estrema attenzione il negoziato in corso sulla proposta di regolamento in materia di sicurezza dei prodotti di consumo e, in particolare, il suo articolo 7, relativo all'etichettatura obbligatoria dei prodotti cosiddetti fortemente voluta da ampi settori dell'industria e dai consumatori.
Il negoziato in Consiglio UE, iniziato nel mese di febbraio 2013, ha visto l'Italia sostenere la proposta della Commissione e schierarsi a favore del insieme a dieci Stati membri - (Francia, Spagna, Portogallo, Romania, Bulgaria, Croazia, Slovenia, Malta, Grecia e Cipro).
Il 15 aprile 2014, il Parlamento europeo ha approvato, in prima lettura, la proposta di regolamento, esprimendosi a favore dell'articolo 7. Il voto del Parlamento europeo ha rappresentato un elemento molto importante dal punto di vista del sostegno politico, ma non è stato tale da influenzare la posizione dei sedici Stati membri contrari al in seno al Consiglio.
Il 16 settembre 2014 la Presidenza italiana, a seguito della richiesta formulata da numerose delegazioni, ha acquisito dalla Commissione la disponibilità a svolgere uno studio che potesse fornire ulteriori elementi informativi sugli effetti dell'articolo 7 sui consumatori. A seguito di tale richiesta, la Commissione ha commissionato uno studio alla società VVA Europe, successivamente distribuito agli Stati membri il 7 maggio 2015.
A tal riguardo, si sottolinea che nelle settimane subito precedenti alla presentazione, l'Italia ha svolto un'intensa azione di sensibilizzazione sulla Commissione, affinché lo studio venisse utilizzato come uno strumento che, nel fornire gli elementi integrativi richiesti, potesse consentire agli Stati membri di trovare un compromesso. Il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha inviato proprie lettere in tal senso alle Commissarie Bienkowska (Industria, mercato Interno) e Jourova (Giustizia, Consumatori). Similmente, una dichiarazione congiunta, promossa dall'Italia, è stata sottoscritta a livello di rappresentanti permanenti aggiunti presso l'Unione europea da altri dieci Stati membri, amici del (Bulgaria, Cipro, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Malta, Portogallo, Romania e Slovenia).
Il 6 maggio, grazie soprattutto all'azione del Governo italiano, il collegio dei Commissari dell'Unione europea, sulla base delle risultanze dello studio, ha confermato la propria posizione in favore del mantenimento dell'obbligatorietà dell'indicazione d'origine nella proposta legislativa, esprimendosi, al fine di promuovere un compromesso, in favore di una limitazione settoriale dell'ambito di applicazione e dell'introduzione di una clausola di revisione.
Il 7 maggio, al termine della riunione dei Commissari europei, il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha inviato una lettera al Presidente della Commissione Juncker, chiedendo formalmente che alla decisione del giorno prima fossero assicurati i necessari seguiti.
Sentite, quindi, le delegazioni degli Stati membri e la Commissione, il 13 maggio, la Presidenza lettone ha proposto, come compromesso, la limitazione del campo di applicazione ai soli settori calzature e ceramica, proponendo, inoltre, una clausola di revisione sulla base della quale la Commissione, dopo un periodo di tre anni dall'entrata in vigore del regolamento, dovrebbe esaminare l'efficacia della norma e presentare un rapporto di valutazione.
Da parte del Governo, si concorda con la proposta della Presidenza che tiene conto delle risultanze indiscutibilmente favorevoli emerse per i due settori dall'introduzione dell'obbligo dell'etichettatura di origine, sia per il basso impatto in termini di costi aggiuntivi che in ragione dei benefici che potrebbero ottenere le imprese del settore.
Dall'approccio individuato di analisi delle specificità settoriali, emergono infatti le seguenti caratteristiche comuni: i due settori sono regolamentati da discipline che già prevedono determinati obblighi di etichettatura di conformità, cui sono associati compiti di vigilanza del mercato. Addirittura, in tali casi, lo studio ha evidenziato che i costi di tracciabilità dell'indicazione di origine sono sostanzialmente bassi o nulli in quanto i costi delle attività di controllo sono riconducibili ed assorbiti da quelli già previsti per la conformità.
Analogamente, i costi di adattamento per i produttori sono bassi, avendo già l'onere di etichettare i prodotti per la conformità, tant’è che l'indicazione di origine viene apposta, nella maggioranza dei casi, in maniera del tutto volontaria e corrispondente a quella del Codice doganale.
In terzo luogo, l'etichetta di origine, come evidenziato dagli stessi sarebbe inoltre vantaggiosa al fine di evidenziare gli elevati standard di produzione cui i produttori europei sono soggetti rispetto alla concorrenza dei prodotti a basso prezzo provenienti da fuori dell'Unione europea, sprovvisti di marchi e di indicazioni di origine.
Un'altra caratteristica comune ai settori in questione è la prevalenza a livello europeo di piccole e medie imprese che hanno catene di fornitura non complesse, i cui prodotti si rivolgono ad una fascia di consumo di massa, prive quindi di un marchio conosciuto.
Tuttavia, riguardo alle evidenze che emergono dall'analisi delle caratteristiche dei due settori indagati, va rilevato che le stesse sono identiche alla maggioranze delle imprese del tessile, costituite da piccole e medie imprese, e che, come documentato nello studio, troverebbero giovamento dalla riconoscibilità del marchio di origine presso il consumatore e combatterebbero più facilmente la contraffazione dei loro prodotti.
Le stesse caratteristiche appartengono concretamente anche al settore della gioielleria, che si caratterizza per la semplificazione della catena di approvvigionamento e delle fasi di lavorazione e si avvantaggia, tra l'altro, del marchio di identificazione nel quale è presente il numero caratteristico attribuito all'azienda assegnataria e la sigla della provincia dove la stessa ha la propria sede legale.
Analogamente anche il settore del legno arredo possiede caratteristiche simili a quelle dei settori selezionati per l'indagine, dimostrando così di poter avere benefici netti dall'obbligo dell'indicazione di origine. A livello dell'Unione, infatti, vige il regolamento n. 995 del 2010 – entrato in applicazione il 3 marzo 2013 – che impone alle imprese l'obbligo di garantire la tracciabilità del legno e dei prodotti da esso derivati, al fine di evitare l'immissione sul mercato UE di legname tagliato illegalmente e dei prodotti da esso derivati. A tal fine vengono tracciati lungo tutta la filiera tramite un registro dei fornitori e dei clienti. Nell'ambito di tale tracciabilità è facilmente inseribile un'indicazione di origine anche dei prodotti del legno arredo.
Per tali ragioni, in preparazione del Consiglio competitività del 28 e 29 maggio, la delegazione italiana a Bruxelles ha tenuto necessario rimarcare in sede Coreper come proprio l'analisi delle caratteristiche settoriali emersa dallo studio induca a ritenere assimilabile al perimetro dei possibili settori oggetto di compromesso anche quello tessile, dove a livello europeo operano soprattutto PMI, quello della gioielleria e quello del legno arredo.
Su questa proposta l'Italia, insieme agli altri Paesi ha avviato una fortissima attività di pressione sugli Stati ancora contrari per raggiungere un accordo in vista del Consiglio competitività del 28. Quest'azione vede il lavoro congiunto del Governo ai massimi livelli della nostra rappresentanza a Bruxelles e delle associazioni del mondo industriale, in particolare verso la Germania, che inspiegabilmente, essendo un grande Paese manifatturiero, guida il fronte del «no». Al momento il fronte del «no» appare ancora compatto, ma le iniziative proseguiranno fino all'ultimo momento utile. È stata inoltre chiarito alla Presidenza e alla Commissione che l'eventuale mancato accordo sull'articolo 7 metterebbe inevitabilmente a rischio l'approvazione di tutto il pacchetto sicurezza.
PRESIDENTE. L'onorevole Benamati ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
GIANLUCA BENAMATI. Grazie, Presidente, noi non possiamo che prendere atto positivamente del lavoro e dell'impegno che il Governo sta approfondendo in maniera così chiara e netta nella difesa di un tema chiave per l'economia del nostro Paese. Tutelare i prodotti italiani, tutelare la qualità italiana, significa difendere la produzione nazionale, ma anche, come sentivamo anche nella replica del Viceministro, tutelare con forza la salute e il benessere dei consumatori nazionali ed europei. Consentire, quindi, il riconoscimento della provenienza e, magari, avere più informazioni sulla vita di un prodotto, anche mediante forme di tracciabilità, significa non solo soddisfare interessi economici, ma – questo va detto chiaramente – anche tutelare la nostra salute. Questo non si limita, come sarebbe intuibile, al settore agroalimentare, ma investe anche la maggior parte delle categorie merceologiche. Basti pensare ai giocattoli, ai vestiti che indossiamo e ai medicinali che assumiamo.
Ogni sforzo in questa direzione è uno sforzo economicamente vantaggioso, ma anche eticamente e moralmente corretto. Sappiamo che la piaga del falso in Italia ha assunto proporzioni molto elevate nel recente passato e, ancora oggi, ci sono stime nei settori non alimentari di valori di volumi d'affari che raggiungono i 7 miliardi all'anno, con perdite quindi di posti di lavoro nell'occupazione tradizionale e mancate imposte. Nel settore alimentare ci sono situazioni ancora peggiori, nelle quali gioca un ruolo importante anche la mafia, e qui parliamo di ecomafie.
Allora, noi diamo atto al Governo di avere affrontato, con gli strumenti nazionali, questo tema. Voglio ricordare il decreto-legge n. 133, con le misure sull’, il piano straordinario sull’ e per il rilancio del piano di comunicazione, per esempio, per combattere quel fenomeno che è l’. Richiamo anche l'attività di questo Parlamento, con la mozione già citata del luglio 2014, in cui si impegnava il Governo a monitorare e a intervenire con forza sui del regolamento attuativo del .
Infatti, signor Viceministro, signor Presidente, questo è il punto. L'Italia è completamente inserita in Europa, dal punto di vista economico e dal punto di vista del diritto. Noi siamo una parte di quel sistema e sarebbe velleitario, così come è successo nel passato, cercare soluzioni avulse dal contesto comunitario per la protezione del nostro . Questo problema deve trovare la sua soluzione all'interno delle regole e delle norme comunitarie. Nel passato alcuni maldestri tentativi di azioni unilaterali italiane – ricordo la legge n. 55 del 2010, sull'obbligatorietà dell'uso esclusivo del – si sono rivelate assolutamente impraticabili e hanno trovato uno stop, una legge mai applicata.
È per questa ragione che lo sforzo del Governo a Bruxelles diventa fondamentale. È per questa ragione che siamo assolutamente e convintamente a supporto del Governo, quando tende a porre con forza questo tema sul tavolo della trattativa comunitaria, sulle due direttrici che venivano prima indicate, quella della tutela economica delle aziende piccole, medie e grandi e quella della tutela dei consumatori e dei cittadini dell'Italia e dell'Unione. Una battaglia che – abbiamo capito dal Viceministro – non è facile, ma non si combattono solo le battaglie facili. Una battaglia che per l'Italia vale dal punto di vista economico. Come volume d'affari nei settori in gioco si tratta di circa 52 miliardi di euro nel settore del tessile e dell'abbigliamento; nel settore calzaturiero possiamo contare 7,5 miliardi di euro ed altri.
Ma vorrei anche ricordare che la posizione del Parlamento europeo, che è stata richiamata, è una prima ed importante breccia in quel muro di ostilità che alcuni Governi stanno muovendo a questo regolamento e al riconoscimento della provenienza e anche, in parte, della tracciabilità. E non è un caso che questa breccia si apra tra i rappresentanti diretti dei cittadini, che hanno il senso di quella che è la situazione tra i loro elettori.
Per questo, signor Viceministro, signor Presidente, ripeto che noi apprezziamo lo sforzo del Governo nelle difficoltà e nelle complessità che ci sono state descritte dal Viceministro. La proposta della Presidenza lettone può essere una base di discussione, ma non nascondiamoci che il punto di caduta deve essere più avanzato.
Bene, quindi, che il Governo abbia in animo di porre con fermezza questo tema di modificare questa proposta e anche di arrivare a porre in essere azioni significative, ove questa situazione non si dovesse realizzare. Io credo – lo dico a titolo personale, ma penso anche di poter interpretare, in questo caso, lo spirito del mio gruppo parlamentare – che noi tutti saremo convintamente a supporto del Governo in questa battaglia, in tutta la fermezza che vorrà dispiegare a tutela di quello che è un interesse nazionale e un interesse dei nostri concittadini.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Quartapelle Procopio ed altri n. 2-00955, concernente elementi ed iniziative circa l'introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie .
Chiedo all'onorevole Quartapelle Procopio se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie, Presidente. L'interpellanza tratta del tema della tassazione sulle transazioni finanziarie. Nel 2012 il Governo italiano ha aderito, insieme ad altri dieci Paesi membri dell'Unione europea, al progetto di cooperazione rafforzata per l'introduzione di una tassa europea.
L'interpellanza ha l'obiettivo di chiedere quale sia ad oggi lo specifico posizionamento della delegazione nazionale italiana sul disegno della tassazione delle transazioni finanziarie in termini di base imponibile, aliquote e principi di tassazione da adottare; quale sia lo stato di avanzamento dei lavori negoziali e l'orizzonte temporale per il raggiungimento di un accordo, nonché l'orientamento del negoziale italiano sulla destinazione dei proventi della tassazione, in particolare con riferimento alle politiche nazionali di lotta alla povertà e alle politiche di cooperazione internazionale e di contrasto ai cambiamenti climatici a livello internazionale.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Paola De Micheli, ha facoltà di rispondere.
PAOLA DE MICHELI, . Grazie, Presidente. Onorevole Quartapelle Procopio, nel febbraio 2013 la Commissione europea ha adottato, a seguito della richiesta avanzata da undici Stati membri (Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna), una proposta di direttiva che attua una cooperazione rafforzata nel settore dell'imposta sulle transazioni finanziarie. Il contesto negoziale si è presentato sin da subito molto complesso, a causa della forte connotazione politica del della preesistenza di forme di prelievo sulle transazioni finanziarie in alcuni dei Paesi cooperanti e dell'esistenza di rischi di delocalizzazione delle medesime transazioni, potenzialmente acuiti dalla limitata estensione geografica di applicazione dell'imposta.
In occasione dell'incontro Ecofin del 6 maggio 2014, tutti gli Stati cooperanti, ad eccezione della Slovenia, hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta, con la quale hanno affermato la volontà di raggiungere un accordo politico finalizzato alla creazione di un regime armonizzato di tassazione delle transazioni finanziarie, a partire dal 1o gennaio 2016, dichiarando di voler estendere in maniera progressiva il campo di applicazione dell'imposta, al fine di poterne valutare gli impatti economici.
Successivamente, il 27 gennaio 2015, i Ministri di dieci Stati cooperanti, ad eccezione della Grecia, hanno sottoscritto una nuova dichiarazione congiunta, ribadendo l'impegno finalizzato al raggiungimento di un accordo politico che potesse consentire l'applicazione dell'imposta sulle transazioni finanziarie a partire dal 1o gennaio 2016. Nella costruzione dell'imposta, i Ministri hanno, inoltre, espresso la volontà di tenere in debita considerazione il potenziale impatto della stessa sull'economia reale, nonché il rischio di delocalizzazione nel settore finanziario.
Sulla base degli orientamenti espressi dai Ministri dei Paesi europei cooperanti, i lavori tecnici proseguono a ritmo serrato, al fine di conseguire gli obiettivi temporali indicati nella dichiarazione congiunta e di raggiungere un compromesso conforme allo spirito dell'iniziativa che ha portato all'avvio dei lavori in cooperazione rafforzata.
Il tema della cooperazione rafforzata nel settore dell'imposta sulle transazioni finanziarie sarà inserito nell'agenda di una delle prossime riunioni dell'Ecofin. L'Italia, che già applica a livello nazionale forme di prelievo sulle transazioni finanziarie, sin dalla presentazione della proposta di direttiva ha assunto un ruolo attivo, sia per quanto riguarda la discussione sui tavoli tecnici, sia dal punto di vista politico.
Nel corso del semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, pur essendosi modificato il suo ruolo istituzionale, ha continuato ad attribuire grande importanza al in esame, lavorando all'individuazione di possibili soluzioni di compromesso in coordinamento con le istituzioni dell'Unione interessate. In linea con le indicazioni politiche più volte espresse dai Ministri in sede Ecofin, la delegazione italiana supporta la costruzione di un modello di imposta che possa avere, anche a seguito di progressive estensioni, un campo di applicazione appropriato, scongiurando, tuttavia, potenziali impatti negativi sul funzionamento del mercato finanziario e sull'economia reale.
Infine, in merito alla destinazione del gettito dell'imposta in argomento, che, sulla base dell'idea originaria della Commissione, avrebbe dovuto dare vita ad una nuova risorsa propria dell'Unione Europea, occorre precisare che la trattazione di tale argomento nell'ambito dei lavori tecnici appare al momento prematura, in quanto il negoziato è concentrato in questa fase sulla precisa definizione degli elementi strutturali dell'imposta.
PRESIDENTE. Saluto i bambini e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo statale «Via Tedeschi» di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune .
L'onorevole Quartapelle Procopio ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie, Presidente, ringrazio il sottosegretario De Micheli per la risposta, anche se è una risposta parziale, nel senso che, proprio in virtù del ruolo che l'Italia ha assunto su questo ci aspetteremmo un pochino più di chiarezza, sia sul tema della base imponibile, soprattutto sui prodotti del mercato secondario su cui si intende andare ad applicare la tassazione, sia, in particolare, sugli orientamenti della destinazione del gettito.
Ricordo, a questo proposito, che la tassazione sulle transazioni finanziarie è sostenuta da una campagna globale che ha raccolto più di un miliardo di firme a sostegno della tassazione. In Italia, in particolare, è attiva una campagna delle organizzazioni non governative e del terzo settore, la campagna Zerozerocinque, che preme con grande forza su questo tema e, in particolare, alcuni esponenti di questo Governo si sono espressi nel corso della loro attività politica a favore della tassazione sulle transazioni finanziarie.
Sarebbe certamente auspicabile, quindi, giungere ad un più chiaro orientamento italiano sul tema, così come sarebbe auspicabile che il nostro Paese si facesse promotore di una iniziativa sulla valutazione di impatto dell'introduzione della tassazione, che crea certamente una serie di questioni aperte con tutti coloro che ci stanno ragionando e, al tempo stesso, se ci possa essere, da parte del nostro Governo, un orientamento più chiaro sulla destinazione del gettito. Il nostro è un Paese ha fatto una riforma importante sul tema della cooperazione internazionale, è un Paese che a livello internazionale si sta molto spendendo sulla questione del generare risorse addizionali per la cooperazione internazionale, anche attraverso misure di questo tipo, e quindi sarebbe interessante capire se sul gettito della tassazione delle transazioni finanziarie si può fare un ragionamento che tenga conto della espressa dall'Italia sul tema delle risorse addizionali per lo sviluppo.
PRESIDENTE. Dovremmo passare all'interpellanza urgente Sorial ed altri n. 2-00964. Tuttavia l'onorevole Sorial non è presente in Aula.
PRESIDENTE. Passiamo dunque all'interpellanza urgente Palazzotto ed altri n. 2-00979, concernente stato di attuazione della legge n. 125 del 2014 recante «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo» .
Chiedo all'onorevole Melilla se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
GIANNI MELILLA. L'interpellanza urgente chiede i motivi dei ritardi dell'attuazione della legge. Mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. A questo punto sospendo brevemente la seduta, perché il sottosegretario che dovrebbe rispondere all'interpellanza non è presente in Aula. Riprenderemo la seduta non appena sarà arrivato oppure per svolgere le interpellanze successive.
PRESIDENTE. Ricordo che l'onorevole Melilla ha dichiarato di non avvalersi della facoltà di illustrare l'interpellanza Palazzotto ed altri n. 2-00979, di cui è cofirmatario.
Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, ha facoltà di rispondere.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, . Grazie, signor Presidente. Ringrazio innanzitutto l'onorevole interpellante per avermi dato la possibilità di fornire qualche aggiornamento sull'attuazione della legge di riforma della cooperazione allo sviluppo. Si tratta, infatti, di un tema prioritario per il Governo che si è, come sapete, impegnato a rinnovare il settore, coerentemente con l'azione di consolidamento e incremento delle risorse disponibili per la cooperazione avviata a partire dal 2012.
Dopo quasi trent'anni e tre tentativi in sei legislature, la riforma del settore della cooperazione ha, infatti, finalmente visto la luce, grazie anche ad un efficace gioco di squadra in questo Parlamento. Come più volte ribadito in sede parlamentare, obiettivo di fondo della riforma consiste nell'aggiornamento dell'architettura del sistema, attrezzandolo ad affrontare le sfide emerse nei ventisette anni trascorsi dall'adozione della legge n. 49 (quando ancora c'era il muro di Berlino, per capirci), tenendo conto anche delle esperienze dei principali donatori, membri del DAC e partner dell'Unione europea.
Venendo più nel dettaglio alle richieste dell'onorevole interpellante, per quanto riguarda il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, esso è stato istituito con decreto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale del 28 novembre 2014. È il primo fra gli organi previsti dalla legge n. 125 ad essere stato creato ed è lo «strumento permanente di partecipazione, consultazione e proposta» sulle materie attinenti alla cooperazione. Con successivo decreto del 17 aprile 2015, si è completata la designazione dei membri del Consiglio, con la nomina di dodici rappresentanti delle organizzazioni della società civile e degli altri soggetti non aventi finalità di lucro, di sei rappresentanti dei soggetti aventi finalità di lucro e di tre rappresentanti degli altri soggetti attivi nella cooperazione allo sviluppo.
Per quanto concerne il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo, dovrebbe tenersi a breve la prima riunione, durante la quale verranno sottoposti ad approvazione il documento triennale di programmazione e di indirizzo 2015-2017 e la relazione sulle attività di cooperazione allo sviluppo per l'anno 2014. Il documento triennale sarà successivamente inoltrato anche al Consiglio nazionale e alle Commissioni parlamentari per il parere previsto dalla legge.
Quanto allo statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, ricordo che lo schema di regolamento di adozione era stato definito lo scorso autunno dal MAECI e già da fine novembre era stato inviato, per il concerto interministeriale, al Ministero dell'economia e delle finanze. Dopo il completamento del complesso concerto interministeriale, esso è stato inviato il 24 aprile scorso al Consiglio di Stato, che dovrebbe formalizzare il proprio parere nei prossimi giorni. Subito dopo, lo statuto sarà trasmesso alle Commissioni parlamentari.
Sul «regolamento per il riordino e il coordinamento delle disposizioni riguardanti il MAECI all'istituzione dell'Agenzia», è in corso il confronto con le altre amministrazioni competenti, avviato dalla Farnesina nel dicembre 2014. Si sottolinea che l'entrata in vigore di questo regolamento, previsto dall'articolo 20 della legge n. 125, non preclude il trasferimento delle competenze all'istituenda Agenzia che sarà operativa «dal primo giorno del sesto mese successivo» alla data di adozione dello statuto (articolo 31 della legge n. 125).
Vorrei concludere evidenziando che il decreto con cui dovrà essere determinata la dotazione organica dell'Agenzia, ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 125 del 2014, è nella fase finale della concertazione interministeriale e dovrebbe essere approvato a breve.
Come ribadito anche in altre occasioni, ci troviamo alle soglie di un grande cambiamento, che farà sorgere una struttura agile e snella in grado di attrarre giovani competenze, esperienze innovative e competenze all'altezza di una sfida molto diversa dal tradizionale aiuto pubblico allo sviluppo. È nostro impegno far in modo che tutto questo diventi presto una realtà funzionante ed operativa.
PRESIDENTE. L'onorevole Melilla ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Palazzotto ed altri n. 2-00979, di cui è cofirmatario.
GIANNI MELILLA. Grazie, signor Presidente. Ringrazio il sottosegretario per gli affari esteri, Della Vedova, per la risposta, ma naturalmente lei sa che non possiamo essere soddisfatti dell'impegno – che pure riconosciamo – che c’è stato negli ultimi mesi da parte del Ministero, in particolare del Viceministro Pistelli su questa questione.
Non possiamo essere soddisfatti perché la legge n. 125 del 2014 prevedeva dei tempi perentori per quanto riguarda l'istituzione dell'Agenzia nazionale per la cooperazione internazionale, soprattutto nella definizione, attraverso lo statuto dell'Agenzia, delle competenze che possono rendere utile la collaborazione tra l'Agenzia e la Direzione generale per la cooperazione internazionale allo sviluppo, che la legge purtroppo non ha soppresso. Noi non capiamo i motivi del fatto che esista questa possibile contraddizione all'interno del Ministero per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, che potrebbe anche creare più di un problema alla capacità di iniziativa del nostro Governo, dello Stato italiano più in generale, rispetto all'aiuto pubblico allo sviluppo, tenuto conto, poi, che in questa fase di transizione abbiamo una serie di problemi che vengono lamentati dalla società civile, in particolare dalle ONG e dalle associazioni che operano in questo campo, perché purtroppo si è determinata una situazione di paralisi, nel senso che quest'anno probabilmente salteranno molti dei programmi che sono stati presentati dalle organizzazioni non governative e dalle associazioni proprio perché non c’è una certezza anche del quadro normativo. Molte organizzazioni non governative, per esempio, hanno chiesto delle proroghe per i loro progetti e si sono viste rispondere che non è possibile nessuna proroga perché la legge n. 125 del 2014 non lo consente, ma poi vediamo che la legge n. 125 purtroppo presenta dei ritardi notevoli.
Noi siamo anche preoccupati perché le risorse che il nostro Stato destina agli aiuti pubblici e allo sviluppo sono sempre esigue: siamo il fanalino di coda in Europa. Siamo molto lontani da quello che danno le grandi democrazie del nord Europa, che stanno allo 0,7 per cento o comunque oltre lo 0,5 per cento del proprio prodotto interno lordo, come la Germania, il Regno Unito e la Francia, mentre noi siamo sotto lo 0,20 per cento. Abbiamo invertito timidamente la discesa, che ci andava a relegare anche al di sotto di Cipro e Portogallo, quindi Paesi che danno di meno in Europa, però sicuramente siamo in una situazione molto preoccupante. Riteniamo, invece, che la politica estera si faccia anche attraverso un'efficace politica di cooperazione internazionale allo sviluppo. Non è un caso che sia cambiato anche il nome del nostro Ministero degli affari esteri, a cui sono state aggiunte le parole «e la cooperazione internazionale». Quindi, vogliamo che il Ministero superi rapidamente questi ritardi e che si insedi l'Agenzia nazionale per lo sviluppo, che dovrebbe dare flessibilità, efficacia e produttività maggiori rispetto al passato; poi, che in questa fase di transizione vengano confermati i programmi che vedono impegnate le organizzazioni non governative e le associazioni delle società civile, e che, quindi, non ci sia assolutamente una paralisi della nostra attività, cosa che temiamo e che purtroppo in parte è già successa. Soprattutto, chiediamo che la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo abbia delle funzioni delimitate e non in conflitto con quelle dell'Agenzia per la cooperazione internazionale. Quindi, ci auguriamo che questa nostra iniziativa funga da stimolo al Ministero, per accelerare i tempi nell'attuazione di una legge che consideriamo anche noi molto importante, dopo la n. 49 del 1987, che appartiene ad un altro periodo storico neanche lontanamente comparabile con il nostro e che ha consentito al nostro Paese, sulla carta, di dotarsi di quegli strumenti che altri Stati europei come la Francia, la Germania e il Regno Unito hanno da tempo.
Mi auguro che questo sensibilizzi ulteriormente la politica estera del nostro Paese affinché gli aiuti pubblici alla sviluppo e le attività di cooperazione internazionale allo sviluppo non siano più la cenerentola della nostra politica estera.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Sorial n. 2-00964, concernente chiarimenti ed intendimenti del Governo in merito alla costituzione di una cosiddetta per le sofferenze bancarie .
Prendo atto che l'onorevole Villarosa rinuncia ad illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario e si riserva di intervenire in sede di replica.
La sottosegretaria di Stato per l'economia e le finanze, Paola De Micheli, ha facoltà di rispondere.
PAOLA DE MICHELI, . Grazie, Presidente, come riferito dal Ministro dell'economia Prof. Padoan in data 20 maggio 2015 in occasione dello svolgimento di interrogazione a risposta immediata di analogo contenuto, si fa presente che le sofferenze del bilancio delle banche italiane sono andate crescendo a partire dal 2008 a seguito della grave recessione. Attualmente lo stock dei crediti deteriorati è circa un quinto degli impieghi, mentre le sofferenze lorde risultano pari al 9,8 per cento, secondo i più recenti dati.
Gli effetti negativi che ciò ha sulla ripresa delle economie, sono stati ricordati dalle istituzioni internazionali e dall'Unione europea. Il Governo è cosciente di ciò, e affrontare le sofferenze fa parte della strategia complessiva che si può definire di tipo strutturale del settore bancario. Al riguardo, si ricorda la precedente riforma della banche popolari.
Le ragioni per le quali le transazioni dei crediti deteriorati sono state finora sporadiche rispetto ai casi di altri paesi sono: la difficoltà di valutare i crediti, che sono in larga parte nei confronti di piccole e medie imprese; il fatto che un rilevante ammontare di crediti deteriorati è detenuto da banche di piccola dimensione; il timore degli operatori e il grado di fiducia sulle aspettative, che peraltro si stanno rafforzando ultimamente; la durata delle procedure esecutive fallimentari, maggiore di quella media registrata nell'Unione europea. Da questo punto di vista è stata sollevata la questione se sia utile introdurre una e si fa riferimento a casi stranieri.
Il riferimento a casi di altri paesi può essere di aiuto soltanto limitatamente perché in molti casi l'introduzione di quella che si chiama una è stata effettuata nel contesto di sistemi bancari in dissesto: naturalmente, il caso italiano non è un caso di sistema bancario in dissesto, tutt'altro.
Però, anche tenendo conto di questa importante, fondamentale, avvertenza, si conferma che tra le possibili iniziative allo studio da parte del Governo figura anche quella della costituzione di un veicolo per l'acquisto di sofferenze bancarie. Si tratterebbe, ove fosse introdotto, di uno schema volontario destinato solo a banche solventi, volto a facilitare la creazione di un mercato per le sofferenze.
L'interlocuzione con la Commissione cui l'onorevole si riferiva, si sviluppa anche sulle caratteristiche che un intervento del genere dovrebbe possedere per dissipare ogni dubbio sulla possibile presenza di aiuti di Stato. Una specifica metodologia per il calcolo del prezzo a cui gli sarebbero acquisiti è in corso di definizione al fine della qualificazione come operazione di mercato che minimizzerebbe gli oneri a carico dello Stato. Infine, proseguono gli approfondimenti riguardo a possibili interventi sulle procedure esecutive fallimentari al fine di consentire una accelerazione dei tempi di recupero e quindi facilitare più in generale il ritorno del credito a condizione di normalità.
Con riferimento, poi, al quesito inteso a conoscere di quali elementi disponga il Governo circa l'affidamento del delicato compito di costruire un asset management company per la gestione delle sofferenze bancarie ad una realtà esterna, la Boston Consulting Group, la Banca d'Italia, sentita in proposito, ha fatto presente quanto segue.
Il contratto di consulenza stipulato con la Boston Consulting Group (BCG) riguarda la predisposizione di un progetto per la costituzione di una (AMC) per la gestione delle sofferenze bancarie, da sottoporre al vaglio della Commissione Europea.
La realizzazione del progetto, e quindi la costituzione di una potrà essere avviata solo dopo che si sarà chiusa favorevolmente l'interlocuzione con la Commissione.
Dopo una valutazione dei principali operatori attivi sui mercati finanziari, la scelta è caduta sulla Boston Consulting, che possiede un'elevata specializzazione nella materia. Boston Consulting fa, inoltre, parte di un gruppo di rilievo globale che gode di solida reputazione.
Il contratto è stato affidato mediante procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando di gara, in considerazione dell'urgenza del progetto e degli stretti vincoli temporali imposti dalle istituzioni coinvolte, in primo luogo dalla stessa Commissione europea.
PRESIDENTE. L'onorevole Villarosa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Sorial ed altri n. 2-00964, di cui è cofirmatario.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Grazie Presidente, naturalmente non sono per niente soddisfatto, principalmente per le premesse, perché secondo noi è stata dichiarata una enorme falsità. Infatti, abbiamo fatto un convegno pochi giorni fa e abbiamo analizzato le sofferenze: analisi, tra l'altro, effettuata su un documento che lo stesso Governo ci ha dato.
Caro rappresentante del Governo, potrebbe anche entrare nella nostra pagina Internet abbiamo ancora i dati analizzati da un responsabile dell'Istat, così lei si potrà rendere conto che quei debiti di cui parla lei, non sono delle piccole e medie imprese, non sono delle famiglie, ma addirittura il 37 per cento riguarda debiti superiori a 5 milioni di euro. Ora, è chiaro che un debito da 5 milioni di euro non può essere stato contratto da una micro impresa, da una piccola impresa o da una famiglia. Quindi, verificheremo da dove è stata tirata fuori la dichiarazione appena fatta e non ci limiteremo probabilmente a soli atti parlamentari, perché per fare un progetto del genere bisogna avere le idee chiare e bisogna raccontare la verità ai cittadini italiani.
Riguardo alla procedura di scelta, di selezione della Boston Consulting Group, anche lì vedremo se ci sono norme di legge che autorizzavano Banca d'Italia a dare un incarico diretto alla Boston Consulting Group. Non ci si può sempre nascondere dietro all'emergenza e fare atti che, probabilmente, le norme non consentono.
Inoltre, vorrei dire: ma Banca d'Italia che lavoro fa ? Perché durante gli ultimi abbiamo dovuto delegare alla Oliver Wyman, se non sbaglio, un'azienda europea che si occupa, appunto, di valutazione dei bilanci, e abbiamo speso, come Stato, 25 milioni di euro. Cioè, Banca d'Italia che lavoro fa ? Deleghiamo ai privati perché Banca d'Italia non ha i numeri.
Oggi, dobbiamo fare una e Banca d'Italia deve capire e deve mandare all'Europa una relazione e non ha delle persone valide all'interno per poter fare una relazione ? Deve dare per 300 e passa mila euro a un'azienda estera ? Addirittura poi, estera ! Lavora in Italia da tanti anni e la conosco bene, la Boston Consulting, ma è sempre un'azienda estera. Stiamo veramente facendo delle figure pessime.
Inoltre, a breve ci sarà la mia interpellanza che parlerà di debiti de e anche del suo stesso partito, e quei debiti io ora vi chiederò e vorrei sapere se, per caso, saranno anche quelli lì i debiti in sofferenza che finiranno in questa e se quindi i cittadini italiani dovranno poi pagare anche i debiti di alcuni partiti qua dentro. Comunque, mi ritengo assolutamente insoddisfatto e chiudo la discussione qui.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pili e Pisicchio n. 2-00969, concernente interventi a favore della Sardegna .
Chiedo all'onorevole Pili se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
MAURO PILI. Grazie Presidente, questa interpellanza urgente segue il dibattito in quest'Aula sulla mozione relativa alla vertenza Sardegna: mozione che non si è conclusa perché il Governo è sfuggito alle responsabilità che in quest'Aula venivano puntualmente richieste su temi e soprattutto su soluzioni concrete, e non generici e superficiali impegni che si sono manifestati in questi anni. E perché anni ? Perché la continuità politica tra i Governi Monti, Letta e Renzi è una continuità non soltanto politica, ma anche sostanziale rispetto alla vertenza Sardegna.
Una vertenza complessa ma anche dimenticata, nel senso che si è verificata in questi anni l'apertura di decine e decine di tavoli, tavoli di confronto ma soprattutto tavoli per perdere tempo, dal Ministero dello sviluppo economico passando per l'economia, sino ad arrivare alla Presidenza del Consiglio dei ministri. In discussione non ci sono soltanto questioni sostanziali, puntuali che vengono richiamate nell'interpellanza, ma vi è – cosa ben più rilevante – il rapporto fra l'Italia, intesa come Stato con la rappresentanza dei Governi che si sono succeduti, e l'entità Sardegna. C’è questo rapporto che oggi, in questa interpellanza, viene chiamato con grande puntualità su alcune questioni sostanziali, vi è cioè in discussione la totale – e quando dico totale, la sottolineo – assenza dello Stato e delle risposte dello Stato in Sardegna per quanto riguarda due ordini fondamentali costituzionali, sanciti dalla Costituzione: la coesione e il riequilibrio. Su questi due temi lo Stato e non soltanto latitante ma si è mostrato assolutamente strabico e bieco nel rapporto con la Sardegna, basterebbe guardare tutti i dati sostanziali che riguardano le infrastrutture per esempio, o arrivare a guardare quel rapporto per esempio sullo sviluppo economico, basta vedere cosa è stato fatto per l'Ilva di Taranto, sette decreti per affrontare sul piano ambientale ma soprattutto per la ripresa produttiva, cosa che non è stata fatta per esempio per un caso analogo, per la Alcoa, senza dare per tre anni nessuna risposta concreta e anzi portando al licenziamento in blocco di tutti i lavoratori di quell'azienda. Per non parlare della fiscalità, delle entrate, irrisolto il tema della zona franca fiscale in Sardegna, che è un tema attuativo di norme già esistenti, e dall'altra l'atteggiamento mosso dal Governo Renzi verso la regione sarda che ha dovuto per subalternità rinunciare a tutti i ricorsi alla Corte costituzionale degli ultimi anni in materia di entrate, quindi un atto succube da un Governo che ha ricattato la regione autonoma Sardegna, che ha trovato amministratori regionali incapaci di tenere la schiena dritta di fronte alle imposizioni del Governo Renzi.
E c’è il tema più ampio del riequilibrio della misurazione dei divari, tema sul quale anche il Governo Renzi, al pari di quella Letta, di quello Monti ma anche di altri, non ha saputo concretizzare assolutamente niente, basta citare il DEF, il Documento economico-finanziario appena varato, dice che la Sardegna è l'unica regione esclusa dalle opere infrastrutturali strategiche. Lo dice con estrema chiarezza, dice che tutte le opere infrastrutturali del Paese devono ricadere per esempio su quattro corridoi europei, quindi vi è la Sardegna che, in quanto esclusa come piastra logistica euro-mediterranea, come funzionale perno trasportistico di mobilità al centro del Mediterraneo, esclusa da tutti gli investimenti possibili e immaginabili.
E vi è uno Stato, dicevo, strabico e distratto verso la Sardegna, su ogni singolo punto che viene enunciato nell'interpellanza, ma si arriva a uno Stato violento, c’è uno Stato violento che opera in Sardegna, che impone, che mette in campo strategie e azioni che sono violente, a partire dai bombardamenti che vengono messi in campo per otto-dieci mesi all'anno sulle coste più belle della Sardegna, vengano demolite le coste a colpi di bombe e di missili sparati dalla terra, da mare e dall'aria, senza che nessuno si sia accorto che quelle sono aree sottoposte a un vincolo ambientale di tutela massima naturalistica e che la stessa Europa ha aperto in queste settimane un procedimento contro lo Stato italiano per il danneggiamento di quelle aree sensibili, di quei siti di interesse comunitario, senza che lo Stato abbia fatto niente, anzi in realtà viene ogni tanto un generale in Sardegna che si ammanta anche del ruolo di sottosegretario a prendere magari qualche aperitivo e qualche maialetto con i militari, ma di fatto non ha prodotto alcuna virgola di modifica del rapporto tra lo Stato e la regione per quanto riguarda le basi militari. E poi lo Stato violento, che scaraventa in Sardegna 200 capi mafia in regime di 41-.
Viene spostato in Sardegna il 50 per cento dei detenuti in regime di 41- solo perché qualcuno pensa che, essendo un'isola, possa ospitare una mole così rilevante di capimafia, ignorando tutte le regole internazionali, tutte le disposizioni tecniche sulla materia che dicono con estrema chiarezza che è vietato concentrate i capimafia. Lo prevede la relazione dell'antimafia europea, lo dice il massimo esperto sulla mafia a livello mondiale dell'ONU e dice che quello che si sta facendo in Sardegna è una follia.
Ebbene, di fronte a queste affermazioni, voi in questi giorni state pianificando una discarica mafiosa in Sardegna, con tutti i pericoli che ci sono di infiltrazioni mafiose, dimostrate e denunciate dai magistrati ai più alti livelli.
Poi, cosa dire delle bonifiche, delle bonifiche sulle aree industriali ? Avete fatto di tutto perché nessuno faccia niente. È da quattro anni che si discute della bonifica delle aree industriali di Porto Torres, di Porto Vesme, di Macchiareddu, di Ottana; ebbene, non vi è un metro quadro di area bonificata in quelle aree che sono state dichiarate ad alto rischio ambientale.
Ebbene, tutto questo con uno Stato complice, anzi con uno Stato che copre e nasconde le assolute deficienze dei soggetti. Anche nel caso dell'ENI, per esempio: l'ENI finanzia tutto; finanzia i partiti nelle pagine delle fondazioni, finanzia di qua e di là e nasconde però quello che c’è, per esempio, da fare a Porto Torres per bonificare un'area devastata dalla petrolchimica.
E poi c’è la partita che si stava cercando di mettere in campo con le mozioni qualche settimana fa qui alla Camera. In quelle mozioni c’è scritto che si apriranno dei tavoli. La Sardegna non è l'Ikea: non ci interessano i tavoli, ma ci interessano soluzioni concrete e in questo caso servono decreti attuativi, a partire da quello del riequilibrio dell'insularità. La legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, all'articolo 22, prevede che occorre fare un decreto attuativo per misurare il divario insulare e la sua conseguente compensazione.
Ebbene, da allora ad oggi, quello è l'unico decreto che non è stato messo in campo. È un elemento fondamentale del rapporto Stato-regioni. Se non vi è quel passaggio, in Sardegna tutto si può innescare, anche il principio e il processo di autodeterminazione referendaria, come vedremo dopo.
Il decreto per la moratoria: ci sono migliaia di aziende agricole che vengono sequestrate e messe all'asta per poche lire e un sistema economico importante, come quello agricolo, viene devastato. Il decreto sulla zona franca attuativa: serve per far partire in Sardegna un processo importante nel quadro del riequilibrio insulare attraverso una fiscalità di vantaggio. Dall'altra parte, il decreto di revoca della convenzione con la Tirrenia, che pure è richiamato dalla mozione. Ma come è possibile che la Tirrenia continui a fare quello che vuole, che prevede e sopprime le navi, sopprime le tratte togliere tratte, le cancella, prende 72 milioni di euro dallo Stato e nessuno la controlla. Fanno e disfano, nel rapporto sulla continuità territoriale su un'unica regione insulare ultraperiferica europea e italiana. È uno Stato che merita una risposta compiuta; in questo caso io mi permetto di dire – e concludo questa mia prima illustrazione – e di proporre modifiche costituzionali in assenso e d'intesa con la regione autonoma della Sardegna per inserire nella Costituzione la fattispecie del referendum popolare sull'autodeterminazione del popolo sardo, perché non è possibile far parte di uno Stato ed essere contestualmente, da una parte dimenticati, e dall'altra violentati con tutto quello che è stato richiamato. Occorre il referendum per l'autodeterminazione. Saranno i sardi a scegliere di voler restare nello Stato italiano o meno. Ma questo tema, che è sancito delle Nazioni Unite e da tutti gli organismi internazionali deve essere riconosciuto. Non ci può essere uno Stato che detta legge e una regione che subisce. Occorre mettere tutti sullo stesso piano, anche costituzionale e della libertà di stare o di non stare, ma certamente non continuare a subire quello che subisce la Sardegna da questo Stato e da questo Governo che si è dimenticato gli elementi essenziali del riequilibrio e della coesione nazionale.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Benedetto della Vedova, ha facoltà di rispondere.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, . Grazie, signor Presidente. Le questioni sollevate dall'interpellanza urgente presentata dall'onorevole Pili interessano vari profili, con significativa evidenza economica, finanziaria, ambientale, sociale, tanto da investire le competenze istituzionali di molti Dicasteri.
Al riguardo si segnala quanto segue. Il Governo è già impegnato sui processi di ristrutturazione e rilancio produttivo della regione Sardegna, attraverso diversi tavoli già operativi su singole tematiche già di per sé ampie e articolate, che presentano peculiarità del tutto eterogenee tanto da escludere di poter essere esaminate congiuntamente.
Si conferma, anche in questa sede, il parere favorevole del Governo, già espresso in ordine alla mozione Scotto ed altri n. 1-00694, approvata dalla Camera dei deputati il 15 aprile 2015, riguardo ad iniziative per porre in essere, nell'ambito del tavolo di confronto operante presso il Ministero dello sviluppo economico, idonee iniziative affinché la vertenza Meridiana si risolva con la possibile garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali ad oggi esistenti, al fine di impedire che si disperdano forze di lavoro qualificate e si aggravi la situazione occupazionale in Sardegna.
Rispetto alla questione relativa alla continuità territoriale, si fa presente che l'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, al comma 837, ha previsto il trasferimento alla regione Sardegna delle funzioni attinenti alla continuità territoriale e, per quanto concernente il relativo finanziamento, al comma 840 dispone che gli oneri stessi siano a carico della regione stessa, a partire dal 2010. In attuazione della predetta legge, in data 7 settembre 2010 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'ENAC e la regione Sardegna hanno sottoscritto un protocollo d'intesa che, nel delineare concretamente le incombenze che competono a ciascuna amministrazione, ha specificato, all'articolo 6, che le risorse finanziarie necessarie per l'imposizione degli oneri di servizio pubblico sono a carico della regione autonoma Sardegna.
Pertanto, l'individuazione della tipologia attuativa di continuità territoriale è in gran parte condizionata, a partire dalla predetta data, dalle scelte della regione Sardegna, che stanzia sul proprio bilancio le somme da dedicare alla continuità territoriale aerea. Al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, come previsto all'articolo 4 del protocollo d'intesa, spetta disporre, con proprio decreto, gli oneri di servizio pubblico, in conformità alle conclusioni dell'apposita conferenza dei servizi, di cui all'articolo 36, comma 2, della legge n. 144 del 1999, indetta e presieduta dal presidente della regione Sardegna.
Per quanto concerne il regime tariffario, imposto con decreto ministeriale n. 61 del 21 febbraio 2013, è prevista una tariffa massima applicabile indiscriminatamente a tutti i passeggeri per i nove mesi intercorrenti dal 16 settembre al 15 giugno, periodo di minore flusso turistico sull'isola, mentre dal 16 giugno al 15 settembre la predetta tariffa è applicata ai soli residenti ed ad altre categorie di passeggeri a questi equiparati (studenti, anziani, eccetera). A quest'ultimo riguardo, si evidenzia che nel periodo estivo è comunque garantito un tetto massimo delle tariffe applicabili ai non residenti, escludendo, pertanto, una totale liberalizzazione delle stesse.
L'impianto tariffario in questione si fonda essenzialmente sull'esigenza di garantire gli spostamenti della popolazione residente sull'isola da e per il resto del Paese, agevolando così concretamente il diritto alla mobilità della popolazione sarda per tutto l'anno. Peraltro, è opportuno sottolineare che la realizzazione di un modello di continuità a tariffa unica, esteso a tutti i cittadini residenti e non per l'intero anno, avrebbe comportato costi incompatibili con le risorse finanziarie a disposizione.
Sulla questione, inoltre, si richiama l'attenzione sulla decisione della Commissione europea dell'aprile 2007 – n. 125 del 2007 – in cui è stata considerata discriminatoria la sola misura dell'applicazione di tariffe agevolate ai cittadini europei nati in Sardegna ma non residenti, in quanto basata sulla nazionalità di nascita e, pertanto, contraria al Trattato, ma non ha espresso nessuna censura in ordine all'applicazione di tariffe agevolate per i soli residenti. Non si ravvisa, pertanto, alcun profilo di illegittimità nel doppio trattamento tra residenti e non residenti, discrimine questo, peraltro, previsto anche in altre rotte su cui sono stati imposti di servizio pubblico.
Per quanto, infine, riguarda la richiesta di estensione del regime di continuità territoriale ad altre rotte della Sardegna si evidenzia che attualmente i collegamenti Cagliari-Bologna, Cagliari-Torino, Cagliari-Verona, Cagliari-Napoli, Olbia-Bologna e Olbia-Verona, sono operati in regime di oneri di servizio pubblico senza compensazione finanziaria.
Sul progetto Galsi, che avrebbe dovuto trasportare gas proveniente dall'Algeria favorendo la metanizzazione della Sardegna, si è pronunciata favorevolmente la conferenza dei servizi; la regione Sardegna ha espresso la sua intesa favorevole con la delibera di giunta n. 16/33 del 18 aprile 2012; manca ancora l'intesa da parte della regione Toscana interessata per la parte dell'approdo.
Tuttavia, il ritardo nella realizzazione del progetto Galsi, che impedisce la metanizzazione della Sardegna, non è da imputare alla realizzazione dei terminali di rigassificazione e nemmeno alla mancata autorizzazione, ma semmai alla crisi del mercato del gas, che non favorisce e non sostiene, nell'immediato, la decisione finale di investire da parte delle componenti azionarie nella società Galsi.
Anche l'interconnessione esistente tra l'Italia e l'Algeria con il metanodotto Transmed ha risentito della crisi del mercato del gas e del maggior costo del gas importabile attraverso i contratti algerini, tanto che sono stati impiegati nel 2014 circa sette miliardi di metri cubi all'anno, pari a un terzo dei volumi importati negli anni precedenti.
Si fa presente, inoltre, che il Ministero dello sviluppo economico ha costituito nel marzo 2014 un coordinamento interministeriale per dare seguito ad un impegno del Governo, assunto in sede parlamentare, al fine di adottare iniziative per la realizzazione di centri di stoccaggio e redistribuzione, nonché norme per la realizzazione dei distributori di gas naturale liquefatto in tutto il territorio nazionale, anche al fine di ridurre l'impatto ambientale dei motori diesel nel trasporto via mare e su strada, nonché di ridurre i costi di gestione ormai divenuti insostenibili per tutti gli utilizzatori di motori diesel e per sviluppare l'uso del gas naturale liquefatto.
La regione Sardegna ha partecipato ai lavori del coordinamento con alcuni suoi rappresentanti ed una più incisiva azione potrà essere adottata a valle delle indicazioni di programmazione energetica del territorio che devono essere emanate dalla regione stessa. Infatti, anche la regione Sardegna, consapevole dei benefici energetici ed ambientali del gas naturale, sta attentamente valutando proposte per la metanizzazione del suo territorio, basate sia sull'apporto diretto del gas naturale, sia sull'apporto di gas naturale liquefatto. Detta metanizzazione consentirebbe l'impiego del gas naturale come combustibile nei settori industriale, residenziale, termoelettrico (nuovi impianti di produzione e conversione di impianti esistenti), trasporto stradale e marittimo e in prospettiva trasporto ferroviario, oggi a gasolio.
Inoltre, si evidenzia che, anche su del Ministero dello sviluppo economico, sono stati presentati diversi progetti di massima da parte di vari soggetti per la metanizzazione dell'isola, che riguardano sia l'apporto del gas naturale con interconnessioni sottomarine con la rete nazionale del gas naturale sia la realizzazione di depositi di gas naturale liquefatto. Tuttavia, un approfondimento per lo sviluppo del gas naturale liquefatto nella regione Sardegna potrà essere messo in campo nelle prossime settimane con la prosecuzione dei lavori del tavolo tecnico, che è stato già avviato recentemente per studiare le diverse alternative per la metanizzazione dell'isola, attraverso la valutazione e razionalizzazione delle varie iniziative imprenditoriali.
Con riferimento ai costi di approvvigionamento energetico in Sardegna, il Ministero dello sviluppo economico segnala in generale che la piena operatività del cavo SAPEI ha portato benefici sia in termini di sicurezza ed adeguatezza della rete sia in termini di maggiore competitività, con conseguente allineamento dei prezzi zonali all'ingrosso a quelli del continente, con evidenti vantaggi per i consumatori sardi, penalizzati in passato proprio dalla scarsa interconnessione elettrica. Nel dettaglio, si evidenzia che, a seguito della piena operatività del SAPEI, il prezzo nella Sardegna è passato da uno scostamento rispetto alla zona centro-sud del 5-10 per cento del 2008 ad un allineamento al prezzo unico nazionale nel 2013. I dati del 2014 confermano il di allineamento.
In relazione al tema dell'impatto negativo sulla crescita industriale dell'eccessivo costo dell'energia, il Ministero dello sviluppo economico ha evidenziato che dal 2014 sono diventate pienamente operative le agevolazioni a favore delle imprese ad elevata intensità energetica, che consentono alle imprese dei settori maggiormente energivori, quale quello dell'alluminio, di beneficiare di riduzioni dei cosiddetti oneri di sistema elettrico in funzione dell'intensità elettrica.
Nell'attuale contesto di forte pressione competitiva, la misura è finalizzata al sostegno della competitività dell'industria nazionale, soprattutto nei settori più esposti alla concorrenza globale e al rischio di Si ritiene pertanto che le azioni già poste in essere dal Governo vadano nella medesima direzione prevista nell'interpellanza.
Riguardo alle risorse dedicate alle opere infrastrutturali, si fa presente quanto segue. Per quanto riguarda l'infrastruttura strategica nazionale, strada statale Sassari-Olbia, in data 6 febbraio 2013 è stato sottoscritto il contratto istituzionale di sviluppo per la realizzazione dell'itinerario stradale Sassari-Olbia, tra il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro per le infrastrutture e dei trasporti, il presidente della regione autonoma della Sardegna e l'amministratore unico di ANAS, in attuazione della delibera CIPE n. 62 del 2011, come rimodulata dalla delibera CIPE n. 93 del 2012.
L'intero programma di interventi relativo alla suddetta infrastruttura strategica nazionale ha un costo di 930,7 milioni di euro, finanziati tra l'altro per 606,45 a valere sulle risorse FSC (delibere CIPE n. 62 del 2011 e n. 93 del 2012); 162 milioni di euro di risorse nazionali a valere sul Fondo strategico a sostegno dell'economia reale e delle imprese di cui alla delibera CIPE n. 120 del 2009; 21,6 milioni quota parte delle risorse assegnate dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3841 del 2010 e provenienti da risorse FSC del periodo 2000-2006; 21,6 milioni, quota parte di euro 92,8 milioni assegnati dall'adeguamento del Piano di azione e coesione.
Relativamente allo stato di attuazione del programma, nel corso della riunione del 16 aprile 2014 del comitato di attuazione e sorveglianza del contratto istituzionale di sviluppo in questione è stata discussa e approvata la proposta del soggetto attuatore ANAS di modifica dell'allegato 3 del contratto (schede tecniche e cronoprogrammi) da sottoporre all'approvazione del comitato di coordinamento. I dati procedimentali rivisti sono stati recepiti nel sistema di monitoraggio (sistema gestione progetti) con l'allineamento completo delle previsioni alla versione 30 aprile 2014, base di partenza per la misurazione di eventuali futuri scostamenti.
Le criticità nell'attuazione dei singoli lotti sono rappresentate dalle interferenze Enel, Telecom e Terna, come peraltro confermato nella recente riunione del comitato di attuazione e sorveglianza del 13 maggio 2015, che potrebbero portare ad ulteriore slittamenti del cronoprogramma nell'esecuzione di determinati lotti rispetto a quelli già acquisiti con la predetta modifica dell'allegato 3. Qualora si protragga la situazione d’ verrà attivato un livello istituzionale superiore di confronto.
Infrastrutture strategiche regionali in materia di viabilità. In data 29 settembre 2014 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro «Interventi di rilevanza strategica regionale nel settore della viabilità», copertura finanziaria 98,6 milioni di euro, di cui 80,26 milioni di risorse FSC 2007-2013, per il finanziamento dei seguenti interventi: strada statale n. 125 Cagliari-Tortoli, tronco Tertenia-Tortolì, 4o lotto, 2o stralcio e strada statale n. 125 Cagliari-Tortoli, tronco Tertenia-San Priamo, 1o lotto, 1o stralcio.
Inoltre, all'esito delle procedure previste dalla delibera CIPE n. 21 del 2014, come peraltro indicato all'articolo 4 del predetto Accordo di programma quadro, è imminente la sottoscrizione di un atto integrativo per il finanziamento, per un ammontare di 286,907 milioni di euro di cui 255,050 di risorse FSC, dei seguenti interventi: ammodernamento della strada statale n. 131 dal chilometro 119,5 al chilometro 165 (progetto complessivo e primo intervento funzionale); strada statale n. 125, tronco Tertenia-San Priamo, 1o lotto, 2o stralcio; ammodernamento strada statale n. 554 (progetto complessivo e primo intervento funzionale);
Risorse comunitarie della politica di coesione-FESR. Nell'attuale fase di programmazione comunitaria 2007-2013 la regione Sardegna dispone di un Programma operativo regionale FESR con una dotazione finanziaria pari a 1.361,34 milioni di euro.
Tali risorse sono destinate a interventi per la società dell'informazione (174,74 milioni), inclusione, servizi sociali, istruzione e legalità (89,70 milioni), energie rinnovabili (164,67 milioni), ambiente, attrattività naturale, culturale e turismo (273,86 milioni), sviluppo urbano (209,84 milioni), competitività (412,84 milioni). Il programma è in fase di attuazione molto avanzata: le risorse sono state interamente impegnate e i pagamenti hanno superato 1'82 per cento della dotazione a fine 2014.
Ulteriori risorse per il territorio sono quelle del Piano di azione e coesione. Al riguardo, dalla dotazione originaria di 372,98 milioni di euro il PAC è stato ridotto, in attuazione della legge di stabilità 2015 (articolo 1, commi 122 e 123), secondo la proposta del gruppo di azione trasmessa alla regione il 2 aprile 2015, per l'annualità 2015 di 80,43 milioni di euro e con una ulteriore riduzione prevista per le annualità 2017 e 2018 di 117,24 milioni di euro. La regione procederà nei prossimi giorni alla rideterminazione delle appostazioni delle risorse sulle varie linee di intervento (ferrovie, porti, grande viabilità stradale, servizi di cura, istruzione e scuola digitale, rifinanziamento credito d'imposta).
Nella nuova fase di programmazione comunitaria 2014-2020 la regione disporrà di un programma operativo regionale FESR con una dotazione finanziaria pari a 895,94 milioni di euro. Sono previsti interventi in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, agenda digitale, competitività del sistema produttivo, energia sostenibile e qualità della vita, tutela dell'ambiente e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale a fini turistici, promozione dell'inclusione sociale, lotta alla povertà e a ogni forma di discriminazione. L'approvazione del programma avverrà nei prossimi mesi.
Circa l'attuazione di una zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale, si segnala che nella regione Sardegna è stata istituita in via sperimentale – come previsto dall'articolo 37, comma 4- del decreto-legge n. 179 del 2012 – la zona franca urbana, ai sensi della legge n. 296 del 2006, nei comuni della provincia di Carbonia Iglesias. La citata legge prevede, infatti, all'articolo 1, commi da 340 a 342, la concessione di agevolazioni fiscali e previdenziali (esenzioni dall'IRPEF, dall'IRES, dall'IRAP e dall'IMU, nonché esonero contributivo) in favore delle piccole e medie imprese localizzate nelle zone franche urbane, al fine di incentivare la localizzazione di attività economiche in alcune aree degradate caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale.
Ciò premesso, giova rilevare che l'individuazione e la perimetrazione di ulteriori zone franche urbane, diretta ad estendere la misura agevolativa, è demandata al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro dello sviluppo economico. Inoltre, deve precisarsi che l'istituzione di zone franche urbane, di cui alla legge n. 296 del 2006, deve tener conto dei connessi effetti sui saldi di finanza pubblica, nonché dei limiti e delle condizioni posti dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato.
È opportuno evidenziare che la legge regionale 2 agosto 2013, n. 20, recante «Norme urgenti per l'attuazione ed il funzionamento delle zone franche istituite nella Regione autonoma Sardegna», al fine di dare piena operatività alle zone franche istituite ai sensi del decreto legislativo n. 75 del 1998, nel prevedere l'adozione da parte della giunta regionale di apposita deliberazione concernente la proposta di modifica del DPCM 7 giugno 2001, attribuisce alla presidenza della regione stessa, il compito di raccogliere, e qualora non ancora perfezionata, di definire la delimitazione territoriale di tutte le zone franche della Sardegna.
Per quanto riguarda la questione del contenzioso pendente presso la Corte costituzionale in materia di entrate, si fa presente che la problematica è superata, in quanto il 21 luglio 2014 è stato sottoscritto un accordo dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal presidente della regione Sardegna, completato con l'intesa del 24 febbraio 2015, nell'ambito del quale sono da ricondurre tutte le tematiche relative.
Infine, il Ministro della Difesa ha fatto presente che, in data 8 gennaio 2015, è stato aperto un tavolo di confronto istituzionale in cui si è concordato lo sviluppo di specifiche attività mirate a definire i lavori e le percentuali della realtà militare in Sardegna, in rapporto anche al dato nazionale, attraverso l'individuazione di misure di riequilibrio e di armonizzazione in termini di riduzione quantitativa e qualitativa dell'incidenza delle attività militari. Le esigenze di armonizzazione e mitigazione già evidenti sono riconducibili alla riduzione dell'estensione dei poligoni del demanio militare e delle aree soggette a servitù militari e le connesse occupazioni temporanee, alla tutela ambientale della salute nei poligoni, alla riconversione delle attività svolte nei poligoni, all'impatto della presenza militare sulle prospettive di sviluppo dei territori e al riavvio dei processi di dismissione dei beni militari in applicazione dell'articolo 14 dello statuto sardo. Il tavolo costituirà, tra l'altro, occasione per garantire trasparenza e informazione alle popolazioni, a partire dai dati sullo stato dei luoghi e sulla salute, ma anche un'approfondita analisi degli eventuali costi da mancati sviluppi alternativi dei territori condotta secondo gli standard internazionali.
In relazione all'ultimo punto dell'interpellanza, concernente «iniziative, anche di rango costituzionale, volte a prevedere l'effettuazione di un referendum popolare, analogo a quello svoltosi in altri Paesi europei, teso a sottoporre ai cittadini sardi il quesito circa la possibilità di un processo di conseguimento di più intense e significative forme di autodeterminazione», si ribadisce quanto già espresso in quest'Aula lo scorso 12 maggio: il Governo non può assumere iniziative, anche di rango costituzionale, per garantire forme di autodeterminazione, essendoci altri soggetti costituzionalmente preposti che possono operare in tal senso.
PRESIDENTE. Salutiamo gli alunni della scuola «Tito Acerbo» di Loreto Aprutino (Pescara) e dell'istituto «De Amicis» di Randazzo (Catania), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune e sono i vincitori del concorso «Parlawiki» .
L'onorevole Pili ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
MAURO PILI. Grazie Presidente, il Governo, con questa risposta, inconsistente sotto ogni punto di vista...
PRESIDENTE. Onorevole Pili, mi permetta: certamente non su quello della durata. Prego.
MAURO PILI. Non ho capito, Presidente.
PRESIDENTE. Certamente non è stata inconsistente dal punto di vista della durata perché questa risposta ha occupato metà mattinata, più di tutte le altre interpellanze. Prego.
MAURO PILI. Ha ragione, Presidente, infatti questa è la tecnica che si usa per non dire niente. Non si affronta un solo tema e, anzi, questo Governo, con questa risposta, conferma quanto detto nell'interpellanza e, cioè, l'inconsistenza politica della vertenza Sardegna rispetto al Governo Renzi. Una risposta che richiama in ogni punto dei tavoli e si affianca all'apertura del tavolo una data, che quantomeno è di un anno, un anno e mezzo, ma in alcuni casi di due o tre anni. Tavoli totalmente privi di contenuto, incapaci di dare qualsiasi tipo di risposta. Un Governo sottovuoto spinto e questa risposta lo conferma sotto ogni punto di vista. A partire da quale ? Il rappresentante del Governo, anzi della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha detto che si esclude che si possa dare una risposta compiuta a questa interpellanza perché i temi trattati escludono – è la parola testuale – di poter essere affrontati congiuntamente in una risposta. Ma, allora, perché avete dato parere favorevole a più mozioni che contemplano gli stessi argomenti ? Perché volevate acclarare quel concetto che una mozione non si nega a nessuno. La genericità e la superficialità degli argomenti. E avete messo in campo una risposta che è di per sé la rappresentazione di quello che è stato il Governo Renzi in questo anno di Governo: un Governo incapace di dare qualsiasi risposta, ma, anzi, di mettere in campo azioni, come quella sulla continuità territoriale, di totale incompetenza.
Chi ha scritto quella risposta è un incompetente perché sostiene la tesi che la regione sarda abbia la totale competenza rispetto alla legge ordinaria finanziaria del 2006 e tuttavia nella stessa risposta dice che vi è la legge n. 144 del 1999 che mette in capo non al presidente della regione – sottosegretario, va corretta quella risposta – nella legge c’è scritto che la competenza è del Ministro competente che dà la delega di volta in volta al presidente della regione. Quindi la competenza è in capo al Ministero ed è il Ministero che fa i decreti attuativi. Quindi si tenta di lavarsi le mani rispetto ad un errore, quello della legge finanziaria 2006, un imbroglio di Stato compiuto da Soro e compagni in concomitanza con la legge finanziaria di allora. La competenza e la continuità territoriale non può che essere dello Stato, se siamo in uno Stato, perché la connessione aeroportuale tra Milano e Roma non è in capo alle regioni, è in capo allo Stato che paga la continuità ferroviaria, la mobilità, le strade, paga tutto quello che c’è da fare per la continuità dei territori. Questo significa che la regione deve farsi carico della continuità territoriale anche sul piano finanziario. Vuol dire lavarsene le mani e vuol dire non affrontare il tema quando si dice che per tre mesi all'anno si può far pagare ai non residenti di più di quanto pagano i residenti. Non significa discriminare i non residenti: significa discriminare la Sardegna e i sardi che vengono per tre mesi all'anno privati di quel processo di uguaglianza che mette tutti sullo stesso piano e quindi, per andare in Sardegna e produrre sviluppo economico, bisogna far pagare di più a chi viene in Sardegna. Altro che continuità territoriale: significa non aver tenuto conto di quel dispositivo comunitario che in maniera puntuale dice «no» alle discriminazioni e per tre mesi all'anno, per fare un regalo alle compagnie aeree, agli amici di questo Governo che stanno dentro le compagnie aeree, si è preclusa alla Sardegna la possibilità di essere alla pari degli altri.
Dicasi la stessa cosa sul gas. Ma com’è possibile che in tutta Italia, in tutta Europa ci sono i metanodotti e adesso si scopre che in Sardegna – è una notizia nuovissima – ci sarebbero dei soggetti privati che avrebbero proposto di realizzare in Sardegna rigassificatori e depositi ? Guarda caso rigassificatori e depositi in Sardegna. Ma per quale motivo non si tiene conto di un aspetto elementare ? Se si fanno i depositi o i rigassificatori in Sardegna, rispetto alla tesi che è contenuta nella stessa risposta in cui si dice che bisogna limitare il traffico navale del trasporto di gas e bisogna limitarlo sul piano anche del trasporto automobilistico su strada in Sardegna, se si procede come è lo schema della risposta, significa inquinare i mari con un trasporto navale continuo di metano e quant'altro, significa sulle coste della Sardegna avere un carico di navi metaniere e gasiere straordinariamente grave e significa – siccome non ci sarà il costo economico per realizzare la dorsale sarda da nord a sud – che bisognerà assolutamente trasportare quel metano o quel gas lungo il gommato sulle strade della Sardegna, congestionando e mettendo a rischio il transito. Stranamente questo ragionamento si fa in Sardegna e non si fa da nessun'altra parte in Italia. E guarda caso chi sta mirando a realizzare i rigassificatori sono le stesse cooperative rosse legate al sistema politico di Renzi e compagni che vorrebbero mettere le mani addosso anche alla questione energetica della Sardegna. Il SaPeI, il cavo di connessione tra la Sardegna e la penisola italiana, dice il sottosegretario, avrebbe generato il riallineamento effettivo e, se è così, De Vincenti si conferma un bugiardo perché De Vincenti, argomentando sul tema dell'Alcoa, ha detto che bisogna chiedere all'Unione europea la replica, la reiterazione del provvedimento sulla superinterrompibilità per riallineare i costi energetici della Sardegna rispetto agli altri europei. Ma si dice questo da una parte perché si afferma che c’è il riallineamento dall'altra: o si imbroglia da una parte o si imbroglia dall'altra ma sempre di imbroglio si parla perché sarebbe davvero improbabile un atteggiamento diverso dal Governo che tiene da tre anni mille lavoratori, un intero tessuto produttivo, quello del Sulcis, sotto scacco di un Piano Sulcis che non ha visto nemmeno un'opera iniziata e conclusa, anzi nemmeno iniziata.
Si parla della Sassari-Olbia: ma con quale pudore, con quale spudoratezza si parla della Sassari-Olbia ? Su 930 milioni di euro, i quattro quinti sono fondi della regione autonoma della Sardegna. Non sono soldi dello Stato: sono soldi presi da vecchi fondi FAS per le aree sottoutilizzate, che sono stati obbligatoriamente utilizzati perché lo Stato non metteva le proprie risorse; così come per la strada statale n. 125, il richiamo a quei fondi è evidente.
Poi, c’è l'elenco dei fondi europei della regione autonoma della Sardegna: ma se la Presidenza del Consiglio ha l'autorevolezza per venire qui a leggere le indicazioni programmatiche e puntuali dei fondi comunitari della Sardegna vuol dire che questa è l'inconsistenza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Anzi, annuncio, sottosegretario, che, in questi prossimi giorni, la Sardegna farà una riprogrammazione di quei fondi. Davvero una soluzione imperdonabile di un pacchetto Sardegna, di una vertenza Sardegna che è inconsistente.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURO PILI. Così come è inconsistente la risposta relativamente all'autodeterminazione del popolo sardo. La procedura costituzionale prevede l'intesa tra il Governo e la regione per le modifiche costituzionali. La modifica costituzionale proposta dal Governo sul sistema Paese è di procedura parlamentare, ma di indicazione governativa e firmata dal Ministro per le riforme. Essere incapaci di assumere questo onere significa che i sardi e la Sardegna dovranno organizzarsi a livello internazionale e comunitario per arrivare a quelle procedure di autodeterminazione che, per esempio, nella Scozia, hanno portato ad un referendum: perché non si può accettare uno Stato che impone, uno Stato vile, strabico verso la Sardegna e verso i sardi.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Villarosa ed altri n. 2-00982, concernente elementi ed iniziative in relazione agli effetti a carico dell'erario derivanti dalla situazione debitoria del quotidiano .
Chiedo all'onorevole Pesco se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.
DANIELE PESCO. Grazie, Presidente. Sono felice ed anche un po’ rattristato di parlare di questi fatti in Aula, qui al Parlamento, a Montecitorio, perché i fatti sono riferiti al quotidiano un quotidiano su cui, magari, molti cittadini avevano ancora molte speranze sul fatto che fosse un giornale serio; magari, era anche un giornale serio, ma, comunque, è stato gestito male, soprattutto negli ultimi tempi.
Ma partiamo da quando è stato fondato. È stato fondato nel 1923 – la prima uscita nel 1924 – da Antonio Gramsci: io penso che se Gramsci sapesse le cose che sono successe e che stanno succedendo intorno a questo giornale veramente si rivolterebbe nella tomba. Perché dico questo ? Perché, comunque, è un giornale, uno strumento, un organo di informazione dell'allora Partito Democratico di Sinistra, prima del PCI, poi del PdS, poi dei DS e, attualmente, del PD. Cosa ha così di particolare ? Essendo un giornale, essendo più un giornale politico, ha ricevuto molti, molti finanziamenti pubblici.
Negli ultimi quindici anni, in pratica, ha ricevuto 60 milioni di euro: una media circa di 4 milioni di euro all'anno. Sempre negli stessi anni, comunque, è stato gestito male, secondo noi e, quindi, ha avuto grandi perdite: in media, se facciamo i conti, tra il 2005 e il 2012, in questi sette anni, ha perso, guarda caso, circa 4 milioni di euro all'anno mediamente. Ce lo certifica anche Alfonso Scarano: grazie alla puntata di ha certificato che sui bilanci emergono questi dati.
Cosa vuol dire ? Che, praticamente, tutto il finanziamento pubblico se ne è andato in perdita. E una persona, un cittadino, un elettore del PD potrebbe pensare: sì, ci sono state delle perdite, ma, effettivamente, svolge un servizio pubblico. Sì, ma questo servizio pubblico è stato gestito da persone che si prendevano dei lauti stipendi. Lauti stipendi ! Ad esempio, Meli, l'amministratore delegato, ha detto che il suo stipendio era, praticamente, pari a 180 mila euro: aggiungiamoci quali l'appartamento in centro a Roma vicino a Piazza Navona e la macchina, e si superano tranquillamente i 200 mila euro. Ma non solo: lui dice di essere il quinto in ordine di grandezza come stipendio.
Quindi, vi erano persone, come direttori e vicedirettori, che prendevano stipendi molto più alti del suo. Vogliamo fare una media, magari, pesata ? Sicuramente, un milione di euro andava in stipendi solo per pagare la dirigenza del giornale. Quindi, su 4 milioni di finanziamenti pubblici, un milione è stato perso solo per gli stipendi. Bene: penso che siano contenti tutti i cittadini e, soprattutto, anche gli elettori del PD. Quindi, questo giornale, secondo noi, è stato veramente gestito male.
Ma andiamo un pochino più indietro nel tempo. Cosa è successo negli ultimi anni ? È successo che questo giornale aveva bisogno di finanziamenti. E dove è andato a cercare finanziamenti ? Ha trovato una persona che, effettivamente, potremmo definire una persona molto fortunata e, comunque, anche abbastanza divertente: si è visto nelle varie puntate di è veramente una persona simpatica. Ebbene, questa persona, comunque, ha investito addirittura 9 milioni di euro all'interno di questo giornale. Ma in che modo ?
Perché ha investito questi soldi ? Innanzitutto, perché è una persona fortunata ? Perché ha ereditato un'azienda di famiglia, un'azienda farmaceutica di Pisa, l'ha venduta a una ditta americana e ha praticamente racimolato 135 milioni di euro. Poi, non li ha racimolati in Italia, mi sembra fosse in Liechtenstein, e ha goduto poi dello scudo fiscale per portarli in Italia. Quindi, in pratica, i 9 milioni di euro che il PD ha utilizzato per finanziare (magari non li ha utilizzati il PD, li hanno utilizzati gli altri azionisti e in parte solo il PD) arrivano praticamente da fondi – come li vogliamo chiamare, neri ? – comunque sono nascosti al fisco, distratti al fisco e ritornati in Italia. Va bene. Quindi, tutti contro lo scudo fiscale e poi alla fine si usano i soldi scudati. Benissimo ! Benissimo anche questo. Questa persona, però, aveva delle idee un pochino stravaganti, nel senso che non solo ha comprato il Pisa Calcio, che ci può stare, non solo ha chiesto alla Cicciolina di diventare la madrina della squadra e non solo ha comprato anche una villa a Miami – risorse ne aveva – ma ha investito 9 milioni di euro nel PD. Non li ha investiti a caso, li ha investiti perché comunque voleva veramente portare a termine un suo programma mediatico, un suo ideale. Qual era questo ideale ? Perché ha scelto ? Lo dice proprio nella trasmissione: a me interessava avere appoggi, perché un partito, bene o male, può conoscere; a me interessava entrare nel mondo della comunicazione e far parte della manipolazione, del gotha; cioè, volevo costruire un gruppo di cinque persone che fossero un modello, un modello sperimentale di felicità. Ma quale sarà questo modello sperimentale di felicità che può comunque entrare a far parte di questa grande famiglia del Partito Democratico o comunque de di un giornale storico ? Ebbene, manipolare la comunicazione, per Mian – questo lo dice il giornalista –, significa promuove un modello rivoluzionario di famiglia: non più moglie e marito, ma un gruppo di cinque persone (tre ragazze e due ragazzi) e l'immancabile pastore tedesco, dove la sessualità ha un ruolo centrale ed è praticata in una versione innovativa, programmata e promiscua, e che non esclude nemmeno il cane Gunther. Un modello che Mian vuole diffondere attraverso la TV. Siamo veramente tutti sorpresi e veramente mi rammarico di parlare di queste cose all'interno di quest'Aula. Però, una cosa è chiara, nel senso che questa persona ha messo lì dei soldi (ben 9 milioni di euro) perché questo progetto lo voleva portare a termine, e nessuno, secondo noi nessuno, gli ha detto che questa cosa era impossibile. Infatti, abbiamo sentito e abbiamo letto le dichiarazioni di altre persone. Anzi, è stato praticamente redatto un documento. Sempre lo stesso Mian dice: giusto, giusto, c'era un documento scritto, proprio una cosa nostra che abbiamo tramite riportato a Orfini. Quindi, non solo Meli sapeva tutto, sapeva tutto anche Orfini. Non solo, anche il segretario Bersani sapeva tutto ed è stato portato a conoscenza di questa intenzione mediatica. Queste veramente sono cose grosse, secondo noi, anche se un partito ha bisogno di soldi per pagare gli stipendi ai poveri lavoratori, che comunque hanno partecipato alla redazione de . Ricordiamo che i giornalisti venivano pagati 35 euro a pezzo, quando venivano pagati; non dimentichiamo questo. Gli amministratori prendevano quasi 1 milione di euro in quattro in un anno, i giornalisti prendevano 35 euro a pezzo. Tutti sapevano ! Tutti sapevano e sono andati addirittura al Nazareno, da Bersani, a parlare di queste cose. Purtroppo, però, si vede che il bisogno di soldi era veramente grande, quindi nessuno, dalle dichiarazioni che si apprendono attraverso la trasmissione gli ha detto che queste cose non si potevano fare, tant’è che lo stesso Meli gli ha consigliato comunque un produttore dove rivolgersi, perché era l'unica cosa che poteva dirgli di fare. Però, secondo noi è chiaro comunque che lì nessuno gli ha detto che questo non si poteva fare attraverso canali pubblici, altrimenti uno 9 milioni di euro mica ce li mette. O mi sbaglio ? Forse mi sbaglio, Presidente, però l'intenzione a noi sembra questa. Perché non sono stati racimolati i soldi in un altro modo ? Probabilmente perché era dicembre 2012 e faceva freddo, una festa de non si poteva organizzare per racimolare soldi proprio nel 2012. Noi ce lo ricordiamo che faceva freddo: questi partiti ci hanno costretto a raccogliere le firme per presentarci alle elezioni proprio a dicembre 2012 e a gennaio 2012. Ce lo ricordiamo, perché mi sembra non sia mai successo nella storia che si sia andato a votare in quei mesi. Quindi, l'unico modo per racimolare i soldi probabilmente era questo. Questa cosa a noi dà veramente fastidio. Molti ci diranno: ma ormai il PD non c'entra più con il giornale de . Praticamente ha una quota azionaria molto bassa, intorno allo 0,1 per cento. Anche qui casca l'asino, Presidente, perché questa quota azionaria dello 0,1 per cento è solo praticamente una copertura, dietro ci sono patti sociali, patti sociali scritti nei quale il PD decide praticamente l'amministratore delegato, il presidente, il vicepresidente: decide tutte le figure del giornale ! Ma ci rendiamo conto ! Ci rendiamo conto ! Anche di questa cosa chiediamo spiegazione al Governo, se è a conoscenza di questi patti parasociali che secondo noi sono veramente un controsenso.
Quindi, l'intenzione di finanziare per portare avanti questa cosa secondo noi c'era. Andiamo oltre. Questo giornale è stato storicamente gestito male, con la prima liquidazione, perché si tratta di un giornale che va spesso in liquidazione, nel 1994 si portava già dietro un monte debiti di quasi cento milioni di euro. Cosa è successo concretamente ? In pratica questi debiti non li ha mai pagati nessuno e grazie a leggi dello Stato è facile che questi debiti saranno pagati dallo Stato e dai cittadini, di leggi al riguardo ve ne sono molte, a partire dal 1981 per arrivare al Governo Prodi nel 2008. In pratica vi è un modo col quale si possono praticamente trasferire queste perdite allo Stato, tanto che sembra siano arrivati alla Presidenza del Consiglio dei ministri tre decreti ingiuntivi perché le banche vogliono essere pagate. Hanno bussato alla Presidenza perché sanno che in quella sede potranno ricevere ristoro grazie alle leggi fatte nel corso di questi anni.
Andiamo a vedere all'interno del partito dell’ in questi anni. Il PDS diventa dal 2000 DS e ristruttura il debito. Sono andati in banca, hanno promesso di pagare e effettivamente hanno iniziato a pagare. Nel 2007, però, le garanzie fornite alle banche vengono trasferite da un'altra parte, parliamo di immobili, i famosi immobili del PD, che sembra ammontino a 500 milioni di euro. Gli immobili, da garanzia per le banche vengono trasferiti in fondazioni intoccabili, una di queste viene nominata anche Fondazione 2000. A cosa servono le fondazioni in Italia ? Non servono a fare del bene, ma servono solo a nascondere i soldi ! Presidente, noi di questo siamo veramente stufi e stanchi, vogliamo che venga fatto finalmente qualcosa per riuscire a placare questo fenomeno, perché secondo noi le fondazioni servono solo a questo. In più, non solo vengono trasferiti i fondi, ma vi è anche un documento segreto del PD del 2004 nel quale si dice che è necessario un intervento politico per fare pagare questi debiti allo Stato. Anche questo è un atto vergognoso, perché mostra che esiste una costruzione, un'architettura, l'intenzionalità finalizzata solo a far pagare i cittadini e a togliere ristoro ai creditori, che non sono solo le banche ! Di questo ne fa una nota ben esplicativa lo stesso Sposetti, l'ex – tesoriere dei DS.
Concludo ponendo delle semplici domande al Governo.
Innanzitutto chiediamo se tale soluzione, quella in cui pagheranno i cittadini, qualora confermata, possa configurarsi come illecito aiuto di Stato e, quindi, comportare una sanzione da parte dell'Unione europea. Chiediamo se il Governo sia a conoscenza dei decreti ingiuntivi e cosa hanno risposto. Chiediamo se sia a conoscenza del patto parasociale che è stato stipulato dal Pd per la gestione interna della nuova iniziativa editoriale pur avendo una partecipazione così piccola, se sia a conoscenza delle richieste, riportate nel documento riservato richiamato in premessa, in quanto nella sezione «Interventi da avviare subito con effetti di medio periodo entro il 2004», al punto 1, si legge «effettuare un intervento “politico”, sul debito del partito derivante da mutui editoriali al fine di trasferire tale debito allo Stato, il quale peraltro ne è già garante».
Chiediamo anche se al Governo risulti quale sia il valore totale degli immobili trasferiti in capo a fondazioni o società immobiliari, a questa Fondazione duemila e ad altre, che sembra ammonterebbero a circa 500 milioni di euro. Se la Fondazione duemila ha preso anche dei finanziamenti pubblici e se non intenda intervenire repentinamente sulla vigente normativa per porre fine alla possibilità per cittadini, società e partiti politici insolventi di nascondere e distrarre il patrimonio aggredibile per non ristorare i creditori. Se, anche in seguito alle dichiarazioni rese dal senatore Sposetti, che, ad avviso degli interpellanti, documenterebbero la premeditazione delle azioni finalizzate alla costruzione dello strumento per la distrazione dei beni immobiliari, il Governo non intenda valutare se sussistano i presupposti di fatto e di diritto per rivalersi sul Partito Democratico, che, tra l'altro, rappresenta il partito di maggioranza che sostiene il Governo; se possano confermare l'importo totale del debito ad oggi, che sembra essere pari a 110.000.000 di euro.
In ultimo, Signor Presidente, se la Presidenza del Consiglio non dovesse ristorare le banche, i crediti, andando in sofferenza, potranno rientrare tra quelli assegnati alla cosiddetta a cui le vere banche potranno trasferire le sofferenze ed essere ristorate dallo Stato, quindi in un modo o nell'altro pagheranno i cittadini !
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato Benedetto Della Vedova, ha facoltà di rispondere.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, . Grazie, Presidente. Con l'interpellanza urgente l'onorevole Alessio Mattia Villarosa – muovendo dalle notizie emerse nel corso della trasmissione televisiva del 10 maggio 2015 – pone al Governo una serie di interrogativi concernenti la gestione de le passività della società editrice, il rapporto con i partiti che nel tempo hanno costituito l'area di riferimento del giornale (PDS, DS, PD), l'eventualità che le passività del giornale debbano essere ripianate a carico dell'apposito Fondo di garanzia statale.
L'onorevole interpellante ripercorre le vicende societarie dell'impresa a partire dal 1994 sino ad oggi, evidenziando, in particolare: le ingenti esposizioni debitorie contratte nel tempo dall'impresa stessa nei confronti di più istituti bancari, nonostante la costante percezione dei contributi pubblici per l'editoria, esposizioni assistite dalla garanzia concessa dallo Stato in virtù di quanto disposto dall'articolo 12 della legge n. 67 del 1987 e dall'articolo 1 della legge n. 278 del 1991; il meccanismo di trasferimento del patrimonio immobiliare di proprietà dei DS in favore di fondazioni (con più specifico riferimento alla «Fondazione 2000») posto in essere, a partire dal 2007, che potrebbe vanificare le azioni di recupero dei creditori e la successiva avvenuta interruzione del pagamento dei ratei di restituzione del debito concordati con le banche creditrici; la particolare composizione societaria dell'impresa editrice de nelle cui scelte gestionali il Partito Democratico avrebbe esercitato un ruolo condizionante per il tramite della Eventi Italia srl, ancorché azionista con lo 0,01 per cento, in virtù di un «patto parasociale», vale a dire di un accordo riservato stipulato con i soci dell'impresa editrice; il presunto avvenuto finanziamento della testata giornalistica da parte dei soci anche attraverso risorse finanziarie dapprima occultate al fisco e poi fatte rientrare nel nostro Paese in virtù del cosiddetto «scudo fiscale».
L'interpellante adombra anche una strategia del Governo tesa a salvaguardare la predetta società editrice e, per essa, il Partito Democratico, detentore dell'attuale maggioranza parlamentare, ed a riversare sul bilancio pubblico i debiti e le esposizioni dell'impresa in questione nei confronti degli istituti bancari creditori.
Ciò premesso, in riferimento alle vicende esposte dall'onorevole interpellante e per quanto specificamente rientra nelle competenze istituzionali del Governo e del Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La vicenda prende le mosse dalla concessione di finanziamenti alla Società editrice Spa da parte di alcuni istituti di credito, assistiti dalla garanzia primaria dello Stato. Ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 67 del 1987 e dell'articolo 1 della legge n. 278 del 1991, la Presidenza del Consiglio dei ministri concesse, infatti, a suo tempo, alla società contributi in conto interessi a fronte dei finanziamenti contratti per il ripianamento delle passività aziendali; gli stessi finanziamenti erano assistiti dalla garanzia primaria dello Stato, accordata ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 177 del 1989, nell'eventualità di un mancato pagamento da parte della società editrice.
Successivamente, in un contesto di crisi finanziaria che colpì la società Spa, il partito PDS-DS si accollò, nell'anno 2000, tutti i mutui della società, subentrando al posto della società editrice, previa delibera del Comitato per il credito agevolato istituito presso la Presidenza del Consiglio. Lo stesso Comitato deliberò il conseguente trasferimento della garanzia primaria dello Stato in favore del partito PDS-DS, subentrato nei finanziamenti con specifici «atti aggiuntivi a contratto», stipulati nel 2000, quale accollante de Spa in liquidazione e, pertanto, tenuto al pagamento delle relative rate secondo un nuovo piano di ammortamento debitamente rimodulato.
Nei medesimi «atti aggiuntivi a contratto di finanziamento» che hanno disciplinato il subentro da parte del PDS-DS, era specificato che al pagamento delle rate si sarebbe provveduto mediante la «canalizzazione» dei contributi spettanti al partito a titolo di rimborso di spese elettorali, dando mandato irrevocabile alla banca su cui quei contributi sarebbero affluiti, di pagare prioritariamente i debiti relativi ai finanziamenti in questione.
A fine 2007 gli istituti finanziatori notificarono al partito PDS-DS ed alla Presidenza del Consiglio atti di diffida al pagamento, invitando le parti obbligate a provvedere al pronto pagamento dei debiti scaduti e non pagati, a far data dall'anno 2005.
Il Dipartimento interpellò – stante l'avvenuto scioglimento dei partiti PDS e DS e la nascita del Partito Democratico – il tesoriere del partito, al fine di acquisire i necessari chiarimenti sulla vicenda. Il 7 febbraio 2008 fu acquisita una dichiarazione recante l'assicurazione che il partito PDS-DS era ancora in attività e non era confluito nel nascente Partito Democratico e che ogni eventuale futura decisione sulla modifica dello stato giuridico del soggetto debitore (appunto il partito PDS-DS) sarebbe stata tempestivamente comunicata.
Sulla base di tale dichiarazione, al fine di salvaguardare la posizione assunta dallo Stato quale garante, la Presidenza invitava i DS, con raccomandata trasmessa per conoscenza anche agli istituti finanziatori, a provvedere al pagamento delle rate dei finanziamenti nel rispetto degli obblighi contrattuali assunti.
Nel marzo 2009 gli istituti di credito notificavano al partito PDS-DS e al Dipartimento «atti di risoluzione ed invito ad adempiere», dichiarando di ritenere risolto il finanziamento erogato e intimando il pagamento fino al saldo del debito, con l'avvertenza che, in caso contrario, si sarebbe dato inizio alle conseguenti azioni, ivi compresa l'escussione della garanzia primaria dello Stato. A fronte di tali intimazioni, il Dipartimento obiettava l'illegittimità e l'infondatezza delle richieste di pagamento chiedeva il parere dell'Avvocatura generale dello Stato sull'interpretazione da dare alla norma secondo cui «la garanzia concessa a carico dello Stato applicata per capitale, interessi anche di mora ed indennizzi contrattuali, è escutibile a seguito di accertata e ripetuta inadempienza da parte del concessionario ovvero a seguito di inizio di procedure concorsuali».
L'Avvocatura generale dello Stato ha espresso il proprio parere con nota del novembre 2011, in cui si afferma tra l'altro che l'escussione della garanzia dello Stato da parte delle banche è subordinata alla previa dimostrazione: di quale sia (sia stata nel periodo dal 1999 all'attualità) la situazione patrimoniale complessiva dei debitori (comprensiva sia dei crediti spettanti a titolo di rimborsi elettorali che delle possidenze immobiliari); delle iniziative di cui le banche si siano fatte promotrici per aggredire il patrimonio dei debitori e cercare di ottenere il soddisfacimento dell'ingente credito vantato.
Solo qualora dall'esame di tali elementi dovesse emergere uno stato di perdurante insolvenza, nonostante la tempestiva adozione di tentativi di recupero dei rispettivi crediti da parte delle banche, si potrebbe ipotizzare un intervento dello Stato. Ed invero le banche saranno tenute a dimostrare quali siano stati i motivi ostativi all'utilizzo della canalizzazione promessa dai debitori.
Con atto di diffida ad adempiere, notificato nel dicembre 2011, Intesa San Paolo e altre banche hanno intimato il pagamento di una somma pari ad euro 109.572.866,88 relativi ad agevolazioni di credito a suo tempo concesse alla società editrice L'Unità Spa. Sono stati successivamente notificati, tra il febbraio e il giugno 2014, tre decreti ingiuntivi, ad opera di tre distinti di banche (facenti capo rispettivamente a Banco Popolare, Intesa San Paolo e Banca Nazionale del Lavoro), per complessivi 94.890.805,30 euro oltre interessi di mora. Avverso i decreti ingiuntivi è stata proposta opposizione, con le motivazioni su ricordate, in quanto cioè mancherebbe la dimostrazione, da un lato, dell'effettiva situazione patrimoniale del debitore e, dall'altro, dell'adeguata diligenza impiegata dalle banche nel tentativo di recuperare il credito vantato nei confronti del debitore principale.
In sede di opposizione, l'Avvocatura ha chiesto inoltre l'autorizzazione a chiamare in giudizio il partito dei Democratici di sinistra – che risulta ancora esistente come associazione non riconosciuta – perché, nel caso di accoglimento della pretesa azionata dagli istituti di credito, venga contestualmente accertato il diritto di regresso dell'Amministrazione nei suoi confronti, con conseguente condanna di tale partito a tenere indenne l'Amministrazione o, comunque, a restituire tutte le somme che la Presidenza del Consiglio fosse condannata ad erogare direttamente a titolo di garanzia.
Il giudice ha effettivamente autorizzato la chiamata in causa dei DS e, peraltro, ha concesso la clausola di provvisoria esecutività ai decreti ingiuntivi delle banche, che potrebbero così esigere la liquidazione del credito nel termine di legge (centoventi giorni dal deposito della decisione).
L'esame del merito è invece fissato a fine novembre.
Nel frattempo la Presidenza del Consiglio, con l'ausilio dell'Avvocatura generale dello Stato e il supporto dell'Agenzia delle entrate, è impegnata ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare facente capo ai DS: in particolare, quali siano attualmente, e quali siano state a partire dal 2000 e sino ad oggi, le proprietà immobiliari riconducibili al partito DS (e PDS), dalla cui espropriazione le banche avrebbero potuto recuperare, in tutto o in parte, i loro crediti, eventualmente anche previa revocazione di atti a titolo gratuito pregiudizievoli per i creditori (in particolare, gli atti con i quali il patrimonio immobiliare è confluito nelle numerose fondazioni riconducibili anche al Partito Democratico – PD). Ciò anche al fine di valutare se sia ancora possibile esercitare, in via cautelativa, azioni revocatorie di tale patrimonio immobiliare nell'interesse dell'amministrazione, a conservazione dell'azione di regresso.
Questo è quanto. Non si ritiene di intervenire sulle altre questioni solevate dall'interpellante, poiché relative ad ambiti di non diretta competenza.
PRESIDENTE. L'onorevole Villarosa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Signor, Presidente. Come potrei dichiararmi soddisfatto da questa risposta ? Non posso, non posso perché non c’è stata risposta. A parte a una delle numerose domande che avevamo fatto, non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Ma la verità qual è, Presidente ? La verità è che c’è un partito che ha una sala assembleare dedicata ad uno dei suoi, che si chiama Berlinguer, che ha fatto della questione morale una battaglia in politica, e che gli stessi non rispondono a delle dichiarazione schifose – perché sono delle dichiarazioni schifose – di un loro attuale senatore, ex tesoriere dei DS, per usare questa parola, perché sono le stesse parole che usano i cittadini quando sentono certe notizie, quando sentono delle dichiarazioni come quella di Sposetti, che dice: «Cosa vuole dire ? Che sono stato bravo ?» quando il giornalista gli domanda: «Ma quindi lei ha distratto i beni immobili della società per far sì che poi un'eventuale causa non potesse aggredirli ?» E Sposetti: «E lei cosa mi vuole dire ? Che sono stato bravo ?» Un politico, un rappresentante dei cittadini che sposta gli immobili in una fondazione per far sì che i propri creditori poi non possano aggredirli risponde al giornalista che è stato bravo, Presidente.
Presidente, senza la questione morale, senza la limpidezza, senza la pulizia delle persone e l'onestà, questa politica non cambierà mai. Siamo il Paese con la corruzione più alta di tutta Europa, probabilmente anche del mondo, in base al reddito che abbiamo, perché di solito quando il reddito è basso e la media del reddito è bassa si capisce che la delinquenza e la corruzione siano un po'più diffuse. Ma un Paese che fa parte del G8 o del G7, che paga metà della corruzione europea è uno scandalo. Manca la questione morale, la voglia di indignarsi per determinate affermazioni, la voglia di indignarsi per un segretario di partito con cui io poi dovrei andare a fare una norma antielusiva. Dovrei andare a fare una norma sull'abuso del diritto, con un ex segretario di partito, con un rappresentante del partito qui, nel Lazio, a Roma, Orfini, che chiama una persona che ha usufruito dello scudo fiscale fatto dalla politica e lo chiama per chiedergli dei fondi ?
Presidente, sa qual è la cosa più schifosa di quell'intervista a Mian ? È che Mian – forse è sfuggito a molti – a un certo punto dice: «Io sono a Miami, mandami qualcuno». Ma che significa: «Mandami qualcuno» ? Che significa «Mandami qualcuno» ? Quanti milioni sono rientrati in Italia ? Quanti milioni se ne vanno ogni giorno ? Alle Cayman sono calcolati 60 mila miliardi, che sono arrivati anche dall'Italia. E come sono arrivati ? E come ritornano in Italia ? Grazie allo scudo fiscale, grazie alla ? Quindi, noi permettiamo a questa gente di eludere il fisco, evadere il fisco, trasferire i soldi all'estero, poi farli rientrare, mentre la gente ha Equitalia, gli imprenditori hanno Equitalia, che magari, per 20 mila euro, li aspetta fuori dalla propria impresa e poi si suicidano perché lo Stato non gli dà risposte e fa queste dichiarazioni in TV ?
«Sono stato bravo» dice Sposetti, «sono stato bravo a trasferire gli immobili a un'altra società». È stato bravo Sposetti. Il giornalista glielo dice: «Sì, è stato bravo con il suo partito, non con i cittadini, che lei rappresenta».
Io mi scaldo perché queste cose, Presidente, non le posso più sopportare, perché questo Paese è allo sbando ed è allo sbando per questi atteggiamenti. Lasciamo perdere l'attività legislativa, perché ognuno di noi ha una propria posizione, ma queste cose non si possono più vedere in questo Paese. Non si possono più vedere !
Cento milioni di debito di un partito legato a un suo giornale, a un suo giornale che i cittadini comprano, ma con la vita che fanno, con i sacrifici che fanno, non hanno il tempo di approfondire le notizie. Vedono un giornale come tutti gli altri, lo vedono al bar e prendono quelle notizie per vere, ma quel giornale fa la pubblicità a un partito e fa 5 milioni di debiti e quei cittadini, che vengono presi in giro da quel giornale, pagano i contributi pubblici a quel giornale e quel giornale gli dice che il PD, i DS, i PDS fanno un ottimo lavoro e quel giornale prende 5 milioni di euro l'anno e perde 5 milioni l'anno. Fa 100 milioni di euro di debito, nasconde gli immobili e i cittadini, presi in giro, dovrebbero pagare quei 100 milioni di euro, Presidente.
Con questi atteggiamenti non si va da nessuna parte. «Un uomo non deve solo essere onesto, deve anche sembrare essere onesto, un politico ancor di più». Lo sapete di chi sto parlando, lo sapete chi ha fatto queste affermazioni.
Quindi, cosa mi devo aspettare da questo Governo ? Va bene, ora vedremo, c’è un decreto ingiuntivo, cercheremo di vedere se possiamo aggredire gli immobili... Ma ve lo ha detto Sposetti: ci sono i rogiti, ci sono i notai, ha rispettato le leggi. Ha rispettato la legge che qualcuno ha fatto. Non possiamo dichiarare per certo che qualcuno ha emanato quella disposizione legata a questi fatti. Questo non lo possiamo dimostrare: ci vorrebbe la magistratura.
Ma solo il fatto, solo il fatto, di avere un documento all'interno di un partito che chiede un intervento politico per se stesso, per salvare i propri debiti e scaricarli sullo Stato, sui cittadini che votano quel partito, già solo questo dovrebbe bastare per smetterla di credere in questa politica. Già solo questo ! E la tranquillità della risposta... Io dovrei togliermi questa giacca, andare di là, dalla Presidente Boldrini, e dirle: «Io mi dimetto, perché io qui dentro non ci voglio più stare», perché, se non ci si indigna neanche per queste cose, per che cosa ci dobbiamo indignare ? Se io avessi trovato, Presidente – e lo dico qui davanti a tutti, davanti alle telecamere, davanti a chi ci segue da fuori –, un documento del genere all'interno del mio gruppo parlamentare, io avrei denunciato quella persona ! Presidente, io denuncerò qualsiasi persona del MoVimento 5 Stelle che si permetta di scrivere o dire una cosa del genere. E, invece, voi degli altri partiti no ! Con tranquillità dite: «Va bene, vediamo. Ora vediamo, sistemiamo, facciamo».
Questo Paese, se continuate così, lo distruggerete. Ancora non è morto, però se non iniziamo, ve lo dico sinceramente... Mi arrabbio perché io queste cose non le posso sopportare, non le posso sopportare, però ve lo dico sinceramente: siamo sul baratro. Siamo sul baratro e, intanto, arrivano gli interessi dall'esterno, ci sono le si fanno le norme per alcuni. In Europa è normale: abbiamo le grandi e i concorrenti fuori dal Parlamento europeo. Quindi, ora ditemi se nello stesso ambito di mercato, la grande è nel Parlamento europeo, che parla con i parlamentari europei e gli consiglia cosa fare, mentre il piccolino, che concorre con questa grande è fuori e non viene calcolato dalla politica ! Verrà distrutto, verrà distrutto !
Presidente, è veramente un grido di dolore, un grido di aiuto. Cambiamo questo Paese, cambiamo noi e combattiamo veramente la corruzione e questi atteggiamenti. Sottosegretario, si indigni di più, si indigni di più per questi atteggiamenti. Siete un nuovo partito, cercate di cancellare queste cose, perché – lasciando perdere la nostra competizione politico-elettorale – dovete cambiare.
Dovete cambiare perché noi non siamo solo parlamentari, siamo anche cittadini italiani. Quei debiti noi non li vogliamo pagare, li devono pagare le persone che hanno contratto quei debiti e hanno trasferito gli immobili. Fate il possibile, perché questo lederà l'immagine dell'Italia, l'immagine di tutti i cittadini italiani e l'immagine della politica, che ormai è distrutta, ma verrà ancora più distrutta. Concludo qui il mio intervento.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con lettera in data 21 maggio 2015, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla XI Commissione (Lavoro):
«Conversione in legge del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, recante disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR» (3134) – Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X, XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.