GIAN LUCA GALLETTI, Grazie, signora Presidente. Ringrazio anche gli onorevoli deputati. Desidero, innanzitutto, formulare il mio vivo ringraziamento per avermi dato la possibilità, oggi, di venire qui a illustrare lo stato dell'arte della Conferenza di Parigi. Due premesse: la Conferenza di Parigi si terrà in una città che è stata oggetto di durissimi attacchi terroristici proprio nei giorni scorsi. Noi abbiamo apprezzato molto la posizione del Presidente Hollande e del Ministro Fabius, che hanno voluto, immediatamente dopo poche ore dal tragico attentato, ribadire con forza che la Conferenza si sarebbe comunque tenuta a Parigi.
Quell'attacco terroristico, quell'attacco delinquente è un attacco ai valori costituenti dell'Occidente e dell'Europa. All'interno di quei valori, trova posto anche la difesa del globo e la difesa dell'ambiente, e noi andremo a Parigi per esprimere solidarietà al popolo francese e per ribadire che, comunque, ai valori che tutelano il pianeta e che tutelano le nostre nazioni e i nostri territori non rinunceremo e non rinunceremo mai; e lo faremo nei giorni che avevamo stabilito, con le modalità che abbiamo stabilito.
Penso che questo sia un grandissimo segnale di civiltà che l'Europa, in un momento di difficoltà oggettivo che sta vivendo, dà a tutto il pianeta. Seconda cosa, ancora una volta il tema ambientale è un tema che unisce. Al mondo ci sono tanti temi che dividono le nazioni: quello dell'ambiente è un tema che unisce tutte le coscienze del pianeta. Credo che questo sia un elemento su cui noi dobbiamo sempre di più riflettere.
Lunedì prossimo, giorno di apertura della COP 21, saranno presenti più di 160 Capi di Stato, che insieme discuteranno di come combattere i cambiamenti climatici. Fra quei 160 Capi di Stato, ci sono Presidenti che rappresentano Stati che sono in guerra fra di loro; eppure, si ritrovano insieme per discutere insieme della risoluzione di un problema globale. Ritengo che questo sia il giusto approccio per affrontare tutti i temi che oggi sono globali e che rischiano di degenerare in guerra, in povertà, in illegalità. Quindi, anche sotto l'aspetto valoriale, morale ed etico, la Conferenza di Parigi, in questo momento, assume una priorità e un simbolismo molto più forte che nelle COP che l'hanno preceduta.
Che cosa andiamo a discutere a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre 2015 ? Andiamo a discutere di come raggiungere l'obiettivo che noi ci eravamo dati a Cancun nel 2010, che tutti i Paesi si erano dati a Cancun nel 2010, cioè come adottare politiche globali per fare in modo che il surriscaldamento del pianeta, da qui al 2100, resti sotto la temperatura dei due gradi, cioè non aumenti più di due gradi, anzi, auspicabilmente, che aumenti meno di due gradi.
Questa è ritenuta dagli scienziati la soglia minima perché il pianeta possa sopravvivere, stiamo parlando di questo. La scienza ci ha indicato quali sono i gas che più di tutti contribuiscono al surriscaldamento del pianeta: questi sono i gas serra. Quindi, tutti i Paesi andranno a Parigi portando propri piani nazionali per riuscire a mantenere il surriscaldamento del pianeta nell'obiettivo di Cancun 2010; quindi, politiche di riduzione di gas serra.
Tecnicamente, nel periodo della Conferenza di Parigi, si prevede l'ultima sessione della ADP, Ad Hoc Working Group on the Durban Platform, cioè il gruppo negoziale a cui è affidato il compito di preparare proprio l'Accordo di Parigi. Ha lavorato molto in questi anni: lì sarà la sessione finale, dove dovremmo riuscire ad adottare il testo finale.
La Conferenza di Parigi rappresenta, quindi, è chiaro, un'opportunità storica per adottare quell'accordo internazionale che già da anni la comunità internazionale sta perseguendo. Nell'ambito del negoziato, l'Unione europea si è sempre espressa e continuerà ad esprimersi con un'unica voce, e in essa, nella posizione dell'Europa, si riflettono la posizione e gli obiettivi del nostro Paese. Il mandato negoziale dell'Unione europea per la Conferenza di Parigi è stato concordato proprio sotto la Presidenza italiana, sotto la Presidenza del nostro Presidente Matteo Renzi, nell'ottobre dell'anno scorso, ed è una posizione ambiziosa, a cui l'Italia ha contribuito in maniera decisiva.
I Capi di Stato e i Governi europei hanno assunto tre impegni: tagliare entro il 2030 di almeno il 40 per cento le emissioni di gas serra rispetto al 1990. Tengo a precisare la data di partenza, la data base a cui noi ci riferiamo, il 1990, perché questo rende ancora più ambizioso il nostro obiettivo. Molti dei contributi nazionali misurano il proprio taglio di emissioni a partire dal 2005; noi abbiamo scelto come base il 1990. Questo rende ancora più performante il nostro ; questo lo ricordo, è vincolante dal punto di vista giuridico con .
Quindi, l'obiettivo del 40 per cento verrà considerato in tutti i Paesi nazionali, ognuno avrà il proprio obiettivo – non è europeo, l'Italia avrà un proprio obiettivo nazionale – e sarà vincolante dal punto di vista giuridico, cioè soggetto al sistema di sanzioni europee. Ci siamo, ancora, impegnati a elevare fino al 27 per cento la produzione di energia da fonti rinnovabili e ad incrementare del 27 per cento l'efficienza energetica. Poi, nel Consiglio ambiente del 18 di settembre, abbiamo votato all'unanimità, come Consiglio ambiente europeo, il mandato negoziale, che abbiamo dato alla Presidenza lussemburghese, con gli aspetti tecnici per l'accordo in ciascuna tematica del documento della piattaforma che dovremmo votare a Parigi.
Nell'ambito del lungo negoziato preparatorio alla Conferenza, l'Italia è sempre stata presente, e noi continuiamo, fino ad oggi, a lavorare, attraverso gli esperti del Ministero, che voglio ringraziare per la loro professionalità, in tutti i gruppi tecnici negoziali europei, contribuendo in maniera costruttiva, e anche con proposte molto concrete, alla definizione della posizione europea in tutti i suoi dettagli. Nei numerosi contesti internazionali, anche a livello informale, a cui abbiamo partecipato, l'Italia ha, in particolare, spinto l'Unione europea a costruire le proprie posizioni negoziali per un accordo che sia fondato su basi che consentano la più ampia partecipazione possibile, superando le limitazioni del protocollo di Kyoto, che, ricordo, oggi pesa, in termini di emissioni, solo per il 12 per cento. Noi siamo stati promotori di una proposta, che troverà spazio, probabilmente, nella versione definitiva che approveremo a Parigi, sulla cosiddetta insomma di un meccanismo che aiuta i Paesi che non sono in grado da soli di fare il piano di contenimento delle emissioni, che non sono in grado di attuarlo, di monitorarlo e di renderlo trasparente. Quindi, un meccanismo efficace per aiutare questi Paesi a essere integrati nel Protocollo di Parigi proprio perché non succeda quello che è successo a Kyoto, dove alcuni Paesi non hanno potuto partecipare perché non avevano le conoscenze tecniche e scientifiche per poter identificare le proprie azioni e portarle avanti e monitorarle. Noi abbiamo lavorato molto in questi mesi anche per aiutare i piccoli Paesi, soprattutto le piccole isole e le parti più povere del Paese, a preparare i propri contributi nazionali. Abbiamo studiato un meccanismo molto funzionale che ha permesso anche ad altri Paesi di poter fare quello che noi abbiamo fatto. E questo ha dato ottimi risultati ed è diventata una strategia che sarà proprio inserita nel Protocollo di Kyoto. Che cosa vogliamo ? Come vogliamo che sia questo accordo ? Vogliamo che sia un accordo inclusivo, dinamico e allargato. Inclusivo, dinamico e allargato. Queste sono tre caratteristiche essenziali per il Protocollo di Parigi dove tutti i Paesi possano partecipare, tutti i Paesi del mondo, e si assumano le proprie responsabilità, che saranno comuni. La responsabilità di Parigi sarà una responsabilità comune, non sarà una responsabilità individuale di ogni singolo Paese. Poi, certamente, le responsabilità saranno differenziate e basate sulle circostanze nazionali. È impensabile che ogni Paese possa fare e avere lo stesso obiettivo di un Paese che sta dall'altra parte del globo e ha posizione completamente diversa, sia economica, che sociale. Quindi, saranno responsabilità sicuramente comuni e differenziate.
L'accordo deve avere un sistema di robusta e chiara. La sarà una parte fondamentale di questo accordo. Lo sarà quanto sono indispensabili gli obiettivi. Io do la stessa importanza alla e agli obiettivi che saranno definiti. E questa ripeto, deve essere robusta e chiara e soprattutto che non consenta passi indietro, ma che, al contrario, ci obblighi ad una revisione ciclica solo al rialzo. Noi sappiamo che i contributi nazionali, così come sono stati presentati oggi, cioè le azioni che i Paesi hanno dichiarato di fare, non sono ancora sufficienti per raggiungere i 2 gradi. Noi chiederemo ai Paesi a Parigi di essere più virtuosi ancora e di arrivare a quell'obiettivo che ci siamo dati. Ma sappiamo anche che Parigi non finisce a Parigi. Parigi inizia a Parigi per continuare sempre, almeno fino al 2100 e, poi, forse anche oltre. Quindi, abbiamo bisogno di un meccanismo di che ci permetta ciclicamente di poter misurare dove siamo, che cosa abbiamo fatto e anche di rivedere in modo più ambizioso gli obiettivi che ci siamo dati, proprio perché dobbiamo restare ai 2 gradi, ma, grazie allo sviluppo della tecnologia e grazie allo sviluppo di Paesi che oggi sono in via di industrializzazione e che domani saranno industrializzati, sarà possibile anche migliorare quell'obiettivo dei 2 gradi che ad oggi ci siamo dati.
Mi preme sottolineare che, anche grazie all'Italia, l'Europa si presenta forte degli impegni assunti al suo interno, che sono i più elevati del mondo. I nostri contributi nazionali sono quelli più performanti che sono stati presentati a Parigi, non paragonabili con quelli delle altre grandi economie. E abbiamo dimostrato ancora una volta una in un tema tanto delicato quanto strategico per il futuro della nostra società, proprio perché io credo, e lo ribadisco ancora, che la difesa dell'ambiente per l'Europa sia diventato uno dei temi costituenti della propria identità. Abbiamo ancora molte questioni da risolvere a Parigi. Abbiamo dei nodi aperti ancora importanti. Ad esempio, come inserire l'obiettivo di lungo termine. Come ho già detto, a Cancun nel 2010 abbiamo deciso di mantenere la temperatura al di sotto dei 2 gradi nell'anno 2100 rispetto ai livelli preindustriali. Allora, a Parigi dovremmo decidere come arriviamo a questi 2 gradi, con quale traiettoria, con quale tempistica.
Ci limitiamo a dire semplicemente che l'obiettivo è quello e ci arriveremo nel 2100 o ci diamo degli obiettivi temporali ? Al 2025 dovremmo essere a un punto della traiettoria; al 2050 a un altro punto. In altre parole, identificheremo già una traiettoria precisa del taglio delle emissioni oppure ci limiteremo a un'enunciazione di risultato finale ? L'Italia e l'Europa hanno già espresso la propria posizione, che è quella di identificare una traiettoria precisa di taglio delle emissioni, da concordare certamente con gli altri Paesi, ma il principio è quello della traiettoria e noi lo andremo a dire con forza a Parigi. Come indicare gli aspetti di mitigazione ovvero che tipo di impegni ? Quali politiche, quali misure, quali strategie nazionali ? E queste diventeranno vincolanti ? Poi vi è la presentazione ciclica di nuovi e più ambiziosi impegni, come dicevo prima. Ogni quanto ci misuriamo ? Ci misuriamo, prima di tutto ? E ogni quanto ci misuriamo ? Ogni tre, ogni cinque anni ? Parigi si riunisce una volta ogni tre anni o ogni cinque per vedere a che punto siamo e se ognuno dei Paesi che ha preso gli impegni li sta portando a termine in maniera virtuosa ? E quali sono i criteri con i quali noi ci andiamo a misurare ? In altre parole, le regole di trasparenza, quali sono ? Come intendiamo riuscire a misurare i risultati che ogni Paese ha adottato ?
Poi, un altro tema aperto è come esprimere la differenziazione. Voi sapete che questo è un tema che può dividere e sul quale il Protocollo di Parigi può anche fallire. Gli obblighi dei Paesi che aderiranno al nuovo regime, come debbono essere formulati, tenendo proprio conto delle diversità delle realtà ambientali ed economiche e dell'evolversi delle mutate circostanze nazionali presenti e future ? In altre parole, come facciamo a misurare queste differenziazioni ? Come facciamo a stabilire la differenza che c’è fra un Paese in via di sviluppo e un Paese già sviluppato ? Qual è il metodo e il peso che diamo alla differenziazione ? Questo è molto importante, sia in termini – e ne parleremo dopo – di risorse da mobilitare, sia in termini di percentuale di taglio di emissioni. E, soprattutto, quand’è che un Paese da Paese in via di sviluppo diventa Paese sviluppato ? Come facciamo ad aiutare di più i Paesi che invece non hanno neanche incominciato il periodo di industrializzazione ? Ecco, il tema della differenziazione, sul quale abbiamo già fatto molti passi in avanti, l'ultimo a Bonn il mese scorso, è un tema ancora aperto, che andrà definito in maniera chiara e precisa proprio a Parigi. Io credo che noi dovremmo favorire su questo tema un approccio equo, dinamico e sufficientemente ambizioso.
E, poi, dicevo, c’è il tema della finanza per il clima. Questo è un altro tema aperto sul quale sono già stati fatti moltissimi passi avanti, ma che ha ancora bisogno di una definizione definitiva. In altre parole, il bilanciamento tra gli impegni richiesti e il supporto finanziario garantito a favore dei Paesi in via di sviluppo. È chiaro che i Paesi che noi abbiamo aiutato a fare le politiche di contenimento delle proprie emissioni di CO2, i Paesi a cui abbiamo dato gli strumenti per poterle monitorare, oggi hanno bisogno anche delle risorse per mettere in pratica quelle misure che si sono impegnati a fare. E sono i Paesi in via di sviluppo e i Paesi che ancora devono incominciare il percorso di sviluppo. Allora, noi diciamo che questo tema è un tema globale che tutti insieme dobbiamo risolvere e introduciamo il principio della differenziazione delle responsabilità fra i Paesi già industrializzati che hanno contribuito di più all'emissione di gas serra e i Paesi che devono ancora industrializzarsi e, quindi, nel tempo e nella storia hanno contribuito meno alle emissioni di CO2. Noi dobbiamo essere disposti a una grande mobilitazione di risorse finanziarie verso i Paesi in via di sviluppo e che oggi sono i Paesi più poveri. Questo è uno dei temi fondamentali che affronteremo a Parigi. E, guardate, questo è il vero tema etico-morale. Su questo si misureranno le parole dai fatti, quanti Paesi sono pronti a passare dalle parole ai fatti e se l'Europa sarà disponibile a passare dalle parole ai fatti, perché noi ci riempiamo la bocca degli effetti dei cambiamenti climatici.
Noi sappiamo quali sono i disastri che i cambiamenti climatici possono apportare al globo in termini di nuove guerre, in termini di carestie, in termini di nuove povertà, in termini di illegalità, in termini di emigrazioni fortissime da un Paese all'altro, da una zona del globo all'altra. Gli immigranti ambientali sono stimati, nei prossimi anni, in 250 milioni. Quindi, tutti sappiamo gli sconvolgimenti del pianeta. Però, su questi temi, che ho elencato adesso, cioè differenziazione, equità e solidarietà, Parigi sarà il momento in cui ognuno dovrà dimostrare di passare dalle parole ai fatti. Devo anche dire che grandi passi sono stati fatti: è stato certificato che fino ad oggi c’è stata una mobilitazione, in campo ambientale, di oltre 62 miliardi dai Paesi in via di sviluppo ai Paesi sviluppati in tema ambientale. Tuttavia, molto abbiamo ancora da fare, in termini di risorse pubbliche e in termini di risorse private.
Durante l'ultima sessione negoziale della ADP a Bonn, in ottobre, i Paesi si sono trovati d'accordo sulla necessità di accelerare i lavori in vista di Parigi – lo ricordavo prima – e hanno avviato una vera e propria redazione, riga per riga, di un testo di accordo, affrontando tutte le tematiche che vi ho sopra elencato. In quel documento c’è già un'ipotesi di risoluzione con più versioni, cioè con più possibilità, di tutti i temi che io vi ho posto. Questo per dire che il lavoro è stato avanzatissimo e di questo bisogna riconoscere il merito sia alla presidenza francese sia alla presidenza peruviana, che in questi ultimi due anni, cioè nell'anno precedente a Lima e nell'anno precedente a Parigi, hanno lavorato intensamente, insieme a tutti i Paesi e con una grande collaborazione da parte europea e anche italiana, per arrivare alla redazione di questo accordo. Al termine della sessione negoziale di Bonn, i Paesi hanno concordato che il testo finalizzato riflette i contributi espressi da tutti i Paesi e costituirà, quindi, la base per il successivo negoziato che avverrà proprio a Parigi.
A fronte dell'impegnativo lavoro che ci aspetta a Parigi, esistono anche molti aspetti positivi che dobbiamo considerare e che costituiscono chiare premesse per un possibile successo a Parigi. Il primo è rappresentato dai Paesi che si sono impegnati nella politica di taglio di emissioni. Io vi porto due termini di confronto: a Kyoto, nel 1997, i Paesi dell'Annesso I, cioè i Paesi che si erano impegnati allora a tagliare le proprie emissioni – non quelli che hanno partecipato all'accordo, ma quelli che si erano impegnati a tagliare le proprie emissioni – oggi rappresenterebbero il 12 per cento delle emissioni globali (il 12 per cento: pochissimo).
Allora, voi capite che, oltre che non centrare l'obiettivo, se solo il 12 per cento dei Paesi si impegnano a ridurre le proprie emissioni e, quindi, non c’è un vero vantaggio ambientale, questo ha dato modo a molti di poter cavalcare la teoria che l'ambiente è contro lo sviluppo, rovina la concorrenza e incide negativamente sulla concorrenza. Qualche ragione ce la potevano anche avere. Io non la condividevo ma qualche ragione ce la potevano anche avere. In un momento in cui solo una parte dei Paesi del pianeta si impongono e si vincolano al taglio delle emissioni, questo può diventare un problema, dal punto di vista economico. Questo è Kyoto.
Oggi noi apriamo Parigi. A Parigi oggi hanno presentato i propri NDC, le proprie politiche nazionali di taglio delle emissioni, 160 Paesi su 193 e io credo che cresceranno ancora da qui a domenica. Credo che da qui a domenica – quindi, per l'apertura di lunedì – la quasi totalità dei Paesi, salvo i Paesi che sono in guerra e che non hanno potuto materialmente farli, presenteranno la propria piattaforma per la riduzione delle emissioni di CO2. Ad oggi questi Paesi rappresentano il 93 per cento delle emissioni totali. I 160 Paesi rappresento il 93 per cento delle emissioni totali. Quindi, 93 contro 12 per cento (93 contro 12 !). Questi sono due numeri chiave, perché nel momento in cui io mi impegno nella globalità e, cioè, tutti i Paesi del mondo si impegnano a tagliare le emissioni, allora il vantaggio economico ce l'ho; il vantaggio ambientale ce l'ho; il vantaggio ambientale ce l'ho eccome, perché allora riesco davvero a diminuire le emissioni e a provare a centrare quell'obiettivo che mi ero dato a Cancun nel 2010.
Ma non solo. Questa diventa una grandissima opportunità economica e, quindi, la mobilitazione delle risorse diventerà più facile perché questo non è più un fattore di vincolo; diventa un fattore di competitività internazionale. I Paesi che sono più avanti, i Paesi che hanno investito di più in tecnologia verde, in riduzione delle emissioni, oggi hanno una potenzialità economica più forte degli altri e noi siamo fra quelli, perché noi abbiamo aderito a Kyoto e non solo ma abbiamo anche rispettato gli obiettivi di Kyoto. Il mese scorso è stato certificato sul sito dell'ONU il raggiungimento del primo obiettivo di Kyoto da parte dell'Italia e la scorsa settimana è stato certificato il cioè che siamo nella direzione giusta anche per cogliere il secondo obiettivo di Kyoto, quello al 2020. Stiamo facendo e abbiamo fatto i compiti a casa e questo ci mette in una condizione di competitività maggiore degli altri, ma mette tutti i Paesi nella direzione giusta per potere fare politiche economiche e ambientali per il raggiungimento di quell'obiettivo. Io credo che dopo Parigi l'economia sarà diversa e i tipi di produzione saranno diversi, perché abbiamo un obiettivo chiaro e preciso, che tutti i Paesi insieme si sono dati, con una sensibilità ambientale che è aumentata negli ultimi anni.
Dicevo prima che do molta importanza all'aspetto dei meccanismi di e quindi, a questo riguardo, è senza dubbio fondamentale che il raccordo che si sta costruendo preveda meccanismi di in grado di rafforzare periodicamente gli impegni assunti dai Paesi secondo cicli di comunicazione di tali impegni ogni 5 o 10 anni e di valutarne regolarmente, possibilmente con cadenza triennale o quinquennale, la portata collettiva, alla luce proprio dell'obiettivo di rimanere sotto i 2 gradi.
Al di là dei numeri, la dimensione del successo di questo accordo dovrà essere misurata dalla sua capacità di porre in essere un regime duraturo – lo ricordavo prima – e realmente ambizioso. Parigi deve durare per sempre e, soprattutto, deve essere in grado di affrontare le sfide che ci sono poste davanti, cioè l'abilità dei Paesi di adattarsi alla realtà che sarà nei prossimi anni in continua trasformazione. È questa la sfida che abbiamo davanti: la capacità di adattarsi a un territorio che cambierà molto rapidamente. Dobbiamo tagliare le emissioni e dobbiamo adattarci alle nuove sfide che abbiamo davanti.
Per quanto riguarda il nostro impegno a livello nazionale ed europeo, come sapete – l'ho già ricordato prima – l'Italia ha già raggiunto l'obiettivo previsto dal protocollo d'impegno che, lo ricordo, era la riduzione del 6,5 per cento di emissioni nel periodo 2008-2012. Siamo sulla strada giusta, certificata dall'ONU, per arrivare anche al secondo obiettivo, cioè la riduzione di emissioni del 20 per cento al 2020.
L'adozione dei nuovi obiettivi al 2030, quindi, apre una nuova fase di sviluppo e di definizione delle politiche ambientali a livello europeo. Dobbiamo passare dalla riduzione del 20 per cento, prevista al 2020, al 2020 e, quindi, cogliere l'obiettivo che ci stiamo dando di ridurre le emissioni di almeno il 40 per cento entro il 2030.
Lo scorso 15 luglio, fra l'altro, la Commissione ha presentato la nuova proposta per la modifica del sistema di scambio di emissioni, il sistema ETS delle sul quale l'Italia sta lavorando. Partecipa ai tavoli tecnici e penso che verrà definito nel nuovo anno. Colgo l'occasione anche per informarvi che stiamo predisponendo un apposito capitolo di spesa che tenga conto di questi nuovi impegni e individui degli strumenti adeguati per raggiungerli.
In molti – lo dicevo prima – hanno collegato la scelta del luogo e del tempo della COP. Io ribadisco fortemente che l'Italia sarà in prima linea nel negoziato di Parigi. Noi ci andiamo con una grande spinta etico-morale che, voglio ricordare, ci viene da un anno straordinario per l'ambiente, con grandissimi messaggi. Ne voglio ricordare uno, in particolare, che è quello che ci viene dall'enciclica del Papa che ci ha indicato bene la strada morale ed etica per combattere i cambiamenti climatici.
Io ricordo una sola cosa di quell'enciclica, e con questa voglio chiudere il mio intervento, il Papa in un passaggio ci dice «non dite che lo fate per i vostri figli, ma voi lo dovete fare per voi, perché è responsabilità vostra». Questa frase è fortissima. Noi spesso diciamo «lo facciamo per i nostri figli», «dobbiamo fare delle azioni anche politiche per i nostri figli», il Papa su questo tema ci ricorda e ci riporta alla realtà. La responsabilità è una responsabilità individuale di ognuno di noi. Io andrò a rappresentare, con molto orgoglio, la responsabilità di ognuno di voi all'interno di questo Parlamento .
CHIARA BRAGA. Grazie, signora Presidente. Voglio ringraziarla, signor Ministro, e attraverso di lei il Governo, per aver fornito all'Aula un aggiornamento sullo stato dei negoziati per la conclusione dell'Accordo sui cambiamenti climatici e sulle prospettive della prossima Conferenza di Parigi. Fino a qualche anno fa c'era nel Parlamento qualcuno che negava la dimensione e gli effetti del cambiamento climatico, anche se non era certo tra le fila del Partito Democratico. Oggi si può dire che anche in questo senso il verso è cambiato. Affrontare i problemi e le opportunità legate ai cambiamenti climatici e, più in generale, all'ambiente, alla sostenibilità, alla gestione corretta delle risorse naturali del Paese, alle potenzialità di un modello di sviluppo che faccia della sostenibilità ambientale non un ostacolo, ma un fattore di competitività economica, è tema sempre più strategico ed assume una crescente centralità nel dibattito politico e nell'opinione pubblica del Paese. È in questo contesto che si colloca questa nostra importante discussione sull'appuntamento che tra meno di una settimana avrà inizio a Parigi. È grazie anche ad una nuova e più diffusa consapevolezza della centralità di questi temi, che qualche settimana fa la Presidenza della Camera ha organizzato un momento di discussione e di riflessione di grande rilevanza sul tema dei cambiamenti climatici e sulla prossima Conferenza delle Parti. Lo ha ricordato lei, gli scienziati dell'ONU e dell'IPCC nel 2014 hanno riconosciuto in maniera unanime che c’è una stretta interdipendenza tra i cambiamenti climatici e l'azione dell'uomo. È in particolare l'uso dei combustibili fossili a determinare fenomeni di riscaldamento globale che hanno effetti dannosi sulla qualità della vita delle popolazioni, sui sistemi economici e sulla sopravvivenza stessa degli ecosistemi naturali. Alla luce dell'innalzamento della temperatura media globale, dal 1880 al 2012, di 0,85 gradi, in assenza di politiche correttive, entro la fine del secolo si stima un aumento compreso tra i 3,8 e i 4,5 gradi, più del doppio della soglia limite del 2 per cento rispetto ai livelli preindustriali oltre la quale si avrebbero effetti non più stimabili, né controllabili. Esiste anche una relazione importante tra cambiamenti climatici e sicurezza globale dell'umanità. Questo è un tema molto sensibile in questo momento, ma è bene ricordare che di questo tema se ne è discusso già in occasione dei lavori del G7 di Lubecca, affermando nel documento finale che il cambiamento climatico è una potenziale minaccia non solo per l'ambiente, ma anche per la sicurezza globale. In assenza di sforzi adeguati i cambiamenti climatici porteranno ad un aumento preoccupante del rischio di conflitto e di stabilità e non faranno che accrescere il senso di precarietà di popolazioni, spingendole a cercare soluzioni violente o a emigrare. Molti dei conflitti che infiammano varie parti del globo, lo vediamo anche in questi giorni, hanno una qualche relazione con emergenze climatiche, ne sono aggravate o addirittura contribuiscono, a seguito dell'abbandono dei territori, a processi di deterioramento e di desertificazione. Le migrazioni per fuggire da guerre e povertà sono sempre più frequentemente legate anche ragioni ambientali.
A Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre si terrà la XXI sessione della Conferenza delle Parti. Il principale obiettivo della Conferenza è la definizione di un accordo per un protocollo vincolante a livello globale che sia, come lei ha ricordato, ambizioso, dinamico, trasparente, per affrontare la sfida posta dei cambiamenti climatici. I temi del negoziato si rivolgono alla riduzione dell'emissione di CO2, ma anche alle azioni di adattamento, agli obiettivi di indennizzo dei danni subiti dai cambiamenti climatici, a un sistema di monitoraggio di analisi dei dati e di valutazione, alla finanza per i Paesi in via di sviluppo, per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Dopo le Conferenze delle Parti di Copenaghen e di Durban, vissute come parziali fallimenti rispetto alle grandi aspettative che già avevano generato, la natura stessa dei negoziati ha subito una trasformazione. Si è scelto di adottare una procedura diversa, basata essenzialmente su tre punti. Si è aperta una nuova fase di negoziati per sviluppare un regime vincolante entro l'autunno di quest'anno attraverso il lavoro di un gruppo creato sulla piattaforma di azione rafforzata di Durban. Le Parti sono state chiamate a fornire contributi volontari nazionali, anziché impegni vincolanti calati dall'alto e si è definito un processo articolato in due fasi: entro il 31 marzo del 2015 vari Stati avrebbero chiarito l'entità dei propri contributi per poi lasciare il tempo ad una valutazione scientifica sulla congruità dei contributi stessi forniti. Attualmente i Paesi che hanno inviato delle proprie proposte sono 160 e rappresentano, come lei ha ricordato, il 96 per cento della produzione mondiale di gas serra. Gli impegni che sono finora assunti non arrivano ancora a centrare l'obiettivo che la Conferenza si pone, ma va rilevato che, sulla base di questi contributi, si arriverebbe comunque a stimare un aumento della temperatura media globale pari a 2,7 gradi inferiore rispetto alla stima in aumento prevista in assenza di politiche correttive. Soprattutto occorre sottolineare come l'attuale punto di partenza, se paragonato al Protocollo di Kyoto del 1997, pesa in termini di emissioni per il 96 per cento rispetto al 12 per cento del solo Protocollo di Kyoto. Ci sono allora delle condizioni nuove, inedite, nonostante le molte difficoltà che ancora permangono, e che spingono nella direzione di un risultato positivo raggiungibile a Parigi: lo storico Accordo per la riduzione di emissioni di gas serra raggiunto a novembre del 2014 tra Stati Uniti e Cina, che da solo rappresentano il 45 per cento delle emissioni globali; il forte impegno assunto dalla Presidenza Obama per contrastare i cambiamenti climatici; le conclusioni del vertice G7 di Elmau, in Germania, del giugno scorso, in cui gli Stati hanno ribadito la loro compattezza in vista di Parigi 2015, per un impegno volto a raggiungere una riduzione delle emissioni fino al 70 per cento al 2050 rispetto al 2010; l'obiettivo della decarbonizzazione a fine secolo; il contributo straordinario al dibattito democratico mondiale sul clima che viene dall'enciclica «» e il ruolo di riconosciuto all'Europa su questo fronte specie in questo momento; la consapevolezza che una posizione unitaria ed autorevole europea, frutto anche dell'impegno del nostro Governo durante il periodo di presidenza dell'Unione, può contribuire a determinare un risultato positivo alla prossima Conferenza di Parigi. L'Unione Europea, fermo restando i propri obiettivi del Pacchetto al 2020 si è impegnata a ridurre, in vista di Parigi, di almeno il 40 per cento le proprie emissioni di CO2 al 2030, a raggiungere un vincolante a livello europeo del 27 per cento per la produzione di energia da fonti rinnovabili e l'obiettivo del 27 per cento di efficientamento energetico. Questi impegni sono stati assunti nel Pacchetto clima-energia al 2030 che è stato adottato dal Consiglio europeo dei Capi di Stato durante l'ottobre del 2014 e sono poi stati tradotti negli impegni che gli Stati membri in termini collettivi europei hanno trasmesso al Segretariato della Convenzione quadro lo scorso 6 marzo.
Ma c’è anche l'impegno dell'Europa sul fronte del finanziamento a sostegno dei Paesi poveri e vulnerabili, il cui contributo di gas serra è poco rilevante, ma che purtroppo subiscono conseguenze disastrose degli stessi cambiamenti proprio per consentire la loro transizione verso economie resilienti a basse emissioni di gas a effetto serra. L'Europa, gli Stati membri, si sono impegnati ad aumentare gradualmente i finanziamenti per il clima attraverso il loro contributo al Fondo verde per il clima, attingendo anche a un'ampia varietà di fonti non solo pubbliche, ma anche private, bilaterali e multilaterali. Ad oggi le risorse effettive del Fondo sono pari a 10 miliardi di dollari, quindi va ancora rafforzata rispetto all'obiettivo dei 100 miliardi l'incremento e l'azione sulle politiche di . C’è infine l'obiettivo che l'Unione europea più volte ha ribadito nelle conclusioni del Consiglio del 18 settembre 2015 con cui è stata definita la posizione negoziale che l'Europa porterà alla Conferenza di Parigi: fissare un obiettivo globale di mitigazione a lungo termine per mantenere l'aumento della temperatura sotto i due gradi e un Protocollo che sia giuridicamente vincolante, applicabile a tutte le parti che applichi, che indichi, impegni ambiziosi per tutti i Paesi e che contenga un meccanismo di monitoraggio dei risultati raggiunti e di revisione quinquennale in base alla quale le Parti sono tenute a presentare nuovi impegni, o aggiornati, che non siano inferiori ai precedenti livelli di impegno.
Abbiamo assistito a varie fasi nel dibattito internazionale sui cambiamenti climatici in questi anni; siamo passati da una fase in cui ci si scontrava sull'esistenza stessa del problema, ad una in cui la possibilità di arrivare ad un accordo si è arenata di fronte a una diversa lettura del grado di responsabilità dei Paesi. Oggi siamo in una fase in cui ci si rende conto che il problema tocca e riguarda tutti e che la possibilità di arrivare ad una soluzione richiede uno sforzo certamente differenziato, ma comune e di ciascuno. Quando parliamo di affrontare i cambiamenti climatici ci misuriamo certamente con un problema che comporta obblighi e cambiamenti profondi anche nel nostro stile di vita, ma parliamo anche di un'occasione importante con cui misurarci per costruire una stagione di sviluppo nuova per il nostro Paese e per il futuro del mondo, perché un'efficace politica di contrasto passa attraverso politiche di mitigazione e di adattamento, ma anche attraverso politiche industriali che puntino sempre più ad un uso efficiente delle risorse naturali e dell'energia secondo i principi dell'economia circolare che saranno contenuti nella direttiva europea di prossima emanazione.
Abbiamo davanti a noi una sfida contro il tempo – concludo, Presidente – che richiede capacità di visione ideale e insieme di concretezza politica. Per questo motivo le chiediamo di rappresentare, signor Ministro, nel prossimo vertice di Parigi, una posizione come Paese all'interno dell'Unione europea, che favorisca l'approvazione di un accordo globale vincolante ed inclusivo e che tenga conto del principio dell'equità intergenerazionale tra i principi fondanti del nuovo accordo.
Qualche mese fa, in occasione degli stati generali sui cambiamenti climatici organizzati qui alla Camera dal nostro Governo, la Ministra dell'ambiente della Francia, Ségolène Royal, chiuse il proprio intervento con queste parole, che oggi assumono un significato più profondo: «ogni essere umano ha due patrie: la propria e il pianeta». Oggi ci si rende conto che essere al servizio della patria nazionale, ossia impegnare Paesi nella transizione energetica-ecologica, rende possibile al contempo servire gli interessi dell'intero pianeta. Ecco, noi le chiediamo, signor Ministro, che, all'appuntamento di Parigi, questa sia anche la posizione del nostro Paese e ancor più di quell'Europa che continuiamo a vedere oggi più che mai come soggetto promotore di pace e di speranza per il futuro del pianeta.