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Venerdì 24 Febbraio 2017 ore 09:30
AULA, Seduta 748 - Svolgimento di interpellanze urgenti
Resoconto stenografico
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Nella seduta odierna ha avuto luogo lo svolgimento di interpellanze urgenti sui seguenti argomenti: chiarimenti e iniziative di competenza, anche di carattere ispettivo, in relazione alla vicenda della morte del manager di Monte dei Paschi di Siena, David Rossi (Pesco – M5S); chiarimenti in merito alla fissazione della data delle elezioni comunali del 2017 (De Girolamo – FI-PdL); iniziative di competenza volte a dare piena attuazione alla direttiva europea 2008/63/CE relativa al mercato dei terminali nel campo delle telecomunicazioni (Catalano - CI); iniziative di competenza volte a chiarire l’efficacia delle disposizioni di attuazione della normativa europea in materia di commercializzazione di bevande analcoliche e succhi di frutta (Oliverio - PD); chiarimenti in merito alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di un provvedimento di chiusura dello stabilimento ILVA di Taranto, a tutela della salute pubblica (De Lorenzis – M5S); intendimenti del Governo in merito all’adozione di misure tese a migliorare i servizi di farmaco-vigilanza e farmaco-sorveglianza veterinaria (Cova - PD); intendimenti del Governo in merito all’inserimento della valutazione multidimensionale geriatrica nei livelli essenziali di assistenza (Lea) (Binetti – M-UDC); elementi e iniziative relativi allo stato di attuazione del piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, anche alla luce di recenti episodi di intolleranza (Cenni - PD); iniziative in ordine al ruolo dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e ai criteri di accreditamento delle associazioni assegnatarie di risorse, anche alla luce di recenti notizie di stampa (Gigli – DeS-CD); chiarimenti in merito al numero delle discariche tuttora non conformi alla normativa e alla giurisprudenza dell’Unione europea in materia di gestione dei rifiuti nonché in merito all’ammontare delle multe comminate all’Italia (Mannino – M5S)
XVII LEGISLATURA
748^ SEDUTA PUBBLICA
Venerdì 24 febbraio 2017 - Ore 9,30
Svolgimento di interpellanze urgenti (vedi allegato).
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Svolgimento di interpellanze urgenti.
- Chiarimenti e iniziative di competenza, anche di carattere ispettivo, in relazione alla vicenda della morte del manager di Monte dei Paschi di Siena, David Rossi – n. 2-01669
- Chiarimenti in merito alla fissazione della data delle elezioni comunali del 2017 – n. 2-01671
- Iniziative di competenza volte a dare piena attuazione alla direttiva europea 2008/63/CE relativa al mercato dei terminali nel campo delle telecomunicazioni – n. 2-01600
- Iniziative di competenza volte a chiarire l'efficacia delle disposizioni di attuazione della normativa europea in materia di commercializzazione di bevande analcoliche e succhi di frutta – n. 2-01643
- Chiarimenti in merito alla sussistenza dei presupposti per l'adozione di un provvedimento di chiusura dello stabilimento Ilva di Taranto, a tutela della salute pubblica – n. 2-01630
- Chiarimenti in merito alla sussistenza dei presupposti per l'adozione di un provvedimento di chiusura dello stabilimento Ilva di Taranto, a tutela della salute pubblica – n. 2-01630
- Intendimenti del Governo in merito all'inserimento della valutazione multidimensionale geriatrica nei livelli essenziali di assistenza (Lea) – n. 2-01670
- Elementi e iniziative relativi allo stato di attuazione del piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, anche alla luce di recenti episodi di intolleranza – n. 2-01651
- Iniziative in ordine al ruolo dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e ai criteri di accreditamento delle associazioni assegnatarie di risorse, anche alla luce di recenti notizie di stampa – n. 2-01672
- Chiarimenti in merito al numero delle discariche tuttora non conformi alla normativa e alla giurisprudenza dell'Unione europea in materia di gestione dei rifiuti nonché in merito all'ammontare delle multe comminate all'Italia- n. 2-01668
- Interventi di fine seduta
- Sui lavori dell'Assemblea
- Ordine del giorno della prossima seduta
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
CLAUDIA MANNINO, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Matteo Bragantini, Capelli, Dambruoso, Dellai, Fedriga, Ferranti, Gregorio Fontana, Garofani, Giancarlo Giorgetti, La Russa, Losacco, Marazziti, Migliore, Pisicchio, Rampelli, Realacci, Rosato, Sani, Tabacci e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente novantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno dei deputati Pesco ed altri n. 2-01669 .
Chiedo al deputato Pesco se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
DANIELE PESCO. Grazie, Presidente. Ci troviamo di nuovo, in quest'Aula, a parlare della morte di David Rossi e la formazione è la stessa: Sarti, Pesco e, a risponderci, c’è ancora il sottosegretario Ferri. L'ultima volta siamo riusciti a ottenere, non noi, ma la famiglia, la riapertura delle indagini sulla morte di David Rossi. Purtroppo, secondo me, ci troviamo ancora di fronte a un ostacolo, un ostacolo rappresentato dalle indagini che non proseguono come dovrebbero. Per descrivere a che punto sono le indagini, mi vien da fare un'analogia col mondo della vela, mi scusi, Presidente, se faccio questa divagazione, ma, secondo me, è importante; io pratico sono abbastanza scarso e, di fatti, spesso, esco in acqua con un vento parallelo alla costa, mi spingo verso il largo, cerco di tornare indietro, ma, spesso, mi trovo a un punto molto distante da quello da cui, appunto, sono sceso in mare. Questo perché ? Perché non ho lottato abbastanza forte contro la forza del mare e della corrente. Quindi, cosa faccio ? Riprovo, faccio un altro tentativo, vado ancora più al largo, prendo acqua, vado lontano, mi spingo più al largo, pensando che, guadagnando acqua, magari, riesco a tornare più vicino al punto di partenza. Eppure, però, magari mi trovo ancora, ancora, più lontano dal punto di partenza, perché ho scarrocciato ancora di più, perché non sono stato abbastanza performante nella lotta contro il vento e mi sono fatto portare dal vento in un punto ancora più lontano. Bene, Presidente, bene, sottosegretario, ci troviamo di fronte a quel punto; le indagini sono state riaperte, sono state svolte ancora, si sono spinte ancora più al largo, ma siamo ancora al punto di partenza, ossia che non ci sono elementi certi per dire che David Rossi o si è ammazzato o è stato istigato a suicidarsi oppure è stato ucciso da qualcuno. Purtroppo, anche con lo svolgimento di queste indagini ci troviamo di nuovo al punto di partenza e badate bene, perché il nostro obiettivo non è quello di dire che David Rossi è stato ammazzato, noi vogliamo fugare ogni dubbio per riuscire ad avere una certezza sulla morte di David Rossi. Questo è il nostro punto di partenza e, purtroppo, siamo ancora qui, perché si sono svolte veramente tantissime indagini ma siamo ancora al punto di partenza.
Ma andiamo avanti; per riuscire a capire David Rossi in che stato d'animo si trovava bisogna tornare indietro di quattro giorni, e le cose che dico sono depositate agli atti. Anzi, bisogna tornare al 4 marzo, due giorni prima della morte di David Rossi. Ebbene, in quella giornata, vi è uno scambio di tra David Rossi e il suo capo, l'amministratore delegato Viola. Il TG5 trasmette un servizio sui mutui di Monte Paschi della filiale di Prato, un servizio che getta un po’ di cattiva luce sulla Banca Monte Paschi. Viola scrive a Rossi e gli chiede, appunto, di riportargli su questo fatto. David Rossi sa che Viola è a Dubai e gli chiede: ma come, non sei a Dubai ? Sì, sì, sono a Dubai, ma ci possiamo sentire per telefono. E questa è la terza . Dopo la terza avvengono tre telefonate; la prima ha una durata di zero secondi e poi avvengono due colloqui telefonici. Andiamo a vedere che cosa si sono scritti dopo, perché certo non possiamo sapere che cosa si siano detti in quei colloqui telefonici. Andiamo a vedere che cosa si sono scritti, dopo. Ebbene, nella quinta David Rossi, all'1,09, chiede a Fabrizio Viola di poter parlare con lui, sempre sui fatti di stamani, e, quindi, probabilmente, si riferisce, sempre, ai fatti, appunto, del servizio del TG5 di Pamparana. Ma andiamo avanti; che cosa c’è di strano tra la terza e la quinta ? L’ numero 4. Nell’ numero 4, David Rossi dice di volersi suicidare, chiede aiuto: se no mi suicido. Ma questa guardata nel contesto di tutte le comunicazioni – che, tra l'altro, mi sembra siano almeno 13 le che si sono scambiati David Rossi e Viola in quella giornata – è l'unica col carattere «suicidiario», dove David Rossi dice di volersi suicidare e a noi, questo, appare strano.
Anche perché nelle dopo, sicuramente, David Rossi appare come una persona che vuole parlare con la polizia, che però è dubbioso, ha paura di essere messo in cattiva luce, ha paura di essere collegato in modo diretto alla cattiva gestione di Monte Paschi che si è verificata negli anni prima, quindi, sì, è molto indeciso se andare dagli inquirenti a parlare o aspettare che gli inquirenti lo chiamino. Però, certo, non dice nelle altre di volersi suicidare, lo dice solo in questa unica . presa a fondamento dalla procura della Repubblica per dire che David Rossi voleva suicidarsi, ma, secondo noi, non è così, e per poterlo affermare abbiamo elementi in più, perché l'autorità giudiziaria dopo la morte di David Rossi ha chiesto di accedere al computer, anzi, ha chiesto che venisse acquisita dal computer l'intera casella di posta elettronica di David Rossi e per farlo chiede che venga eseguita una copia di . È molto importante la terminologia, copia di vuol dire prendere tutto, acquisirlo in modo integrale e portarlo all'autorità giudiziaria. In realtà si chiede di spedirlo via e anche questo è abbastanza strano. Ebbene, viene eseguita una copia di delle di David Rossi ? No, viene creato un PST, se non erro, un PST che tutti possiamo creare dal nostro computer della nostra casella ma è un che tranquillamente si può trasferire su un altro computer, può essere riaperto da qualcun altro, può essere modificato, ci si può infilare ciò che si vuole, si può richiuderlo, si può rimettere nel computer originale e si può far finta di estrarlo, come se fosse, appunto, la versione originale. Le in Italia, da parte delle procure, non vengono acquisite in questo modo, per acquisire delle si fa una copia di dell'intera casella postale. E questo è un grave atto svolto dalla procura e, quindi, secondo noi, già questo elemento potrebbe far sì che il Ministro, appunto, voglia inviare degli ispettori in procura, perché secondo noi già questo è stato un grave errore.
Ma andiamo avanti. Oltre alle viene chiesto di svolgere, di acquisire il famoso dove vengono acquisite tutte le operazioni svolte dalla macchina, dal computer, sia in modo automatico, sia, logicamente, tramite l'operatore. Ebbene, questo di a sua volta, contiene molte, non dico, inesattezze, ma incompletezze, cioè, nel senso che è un non completo e, quindi, anche da questo punto di vista, possiamo dire che anche questo elemento non sia del tutto utile per lo svolgimento delle indagini. In più, ricordiamo che tutti questi elementi vengono trasferiti via da Banca Monte Paschi alla procura e anche questo ci sembra un cattivo modo di acquisire degli elementi. Quindi, possiamo andare avanti, abbiamo detto dello stato d'animo di David Rossi. Sicuramente era una persona che sapeva molte cose, sicuramente, dai fatti, dalle varie testimonianze che ci sono state, sappiamo che David Rossi era al corrente di molte cose, come ad esempio delle attività finanziarie svolte dalla Banca Monte Paschi per l'acquisizione di Banca Antonveneta, sapeva, probabilmente, molte cose anche sui vari derivati che erano stati fatti; insomma, David Rossi era una persona molto informata e per questo, lo ripeto, temeva di essere messo in cattiva luce, temeva di essere preso a bersaglio dalla magistratura.
Ma andiamo avanti, perché, secondo noi, è veramente importante riuscire a descrivere anche ciò che è stato svolto con le indagini medico-legali, perché siamo partiti da una prima indagine dove non si riconosceva alcuna attività di terzi nell'operare le lesioni sul corpo di David Rossi, siamo arrivati ad una perizia di parte dove, invece, si metteva nero su bianco che molte lesioni possono essere state inferte su David Rossi solo attraverso l'attività di terzi, arriviamo a una perizia di parte svolta dalla procura dove su molte lesioni, almeno su alcune, non viene escluso che possano essere state operate da terzi; il PM che cosa dice ? Al posto di avallare, di notare questa aderenza tra le diverse ipotesi, il pubblico ministero dice che no, non si può dire che queste lesioni siano state causate da terzi perché non si può dire che nell'ufficio vi fosse la presenza di terzi. Ma, Presidente, sottosegretario, non è stata svolta nessuna indagine approfondita nell'ufficio di David Rossi per vedere se vi fossero tracce di altre persone. Non è stato fatto nulla, quindi non si può escludere che nell'ufficio vi fosse qualcuno. Se in più andiamo a vedere il famoso filmato – e anche sul filmato ci sarebbe da aprire una parentesi, per il fatto che sappiamo benissimo che il filmato era stato acquisito su una chiavetta da otto giga e, poi, invece, è stato restituito alle parti, che hanno chiesto l'accesso di questo video, su una o due chiavette da 4 giga, facendo finta che appunto la chiavetta fosse la stessa, in realtà non è così – abbiamo molti dubbi anche sull'acquisizione del video; ma andiamo avanti, ebbene, da quel video che cosa appare ? Appare una cosa evidente: che David Rossi è morto alle 19,46. Ebbene, esaminando, mettendo a confronto le varie dichiarazioni dei testi, che cosa si è potuto apprendere ?
Si è appreso che, probabilmente, qualcuno è passato nell'ufficio di David Rossi in quei momenti e, soprattutto, guardando quel video, si nota che – lo abbiamo già ripetuto una prima volta, ma lo ripetiamo – che circa 15 o 20 minuti dopo la morte di David Rossi, un oggetto precipita dalla finestra con una forza orizzontale impressa nel lancio, perché la traiettoria dell'oggetto parabolica, ebbene questo oggetto probabilmente è l'orologio, e questo oggetto, quindi, non è caduto da solo, perché, se fosse caduto da solo, avrebbe avuto una traiettoria rettilinea, verticale, in realtà qualcuno l'ha lanciato. Ebbene, utilizzando questo elemento con le acquisizioni prese dal confronto dei testi, facilmente appare che nell'ufficio c’è stato qualcuno. Sì, perché una collega di David Rossi, una vicina di stanza di David Rossi, dice di essere uscita dall'ufficio alle 20,05, di essere passata vicino all'ufficio di David Rossi, di aver visto la porta socchiusa e di aver visto anche della luce all'interno della stanza di David Rossi. Questo alle 20,05 e ricordiamo che David Rossi è precipitato dalla finestra alle 19,46.
Andiamo avanti. Vi è un'altra testimonianza, quella del Filippone, un altro collega di David Rossi, che, allarmato dalla moglie di David Rossi, Antonella Tognazzi, e dalla figlia Carolina Orlandi, si avvicina all'ufficio di David Rossi, fa accomodare la Orlandi, che si trovava a Palazzo perché cercava, appunto, David Rossi, fa accomodare Carolina Orlandi nel suo ufficio, va verso l'ufficio di David Rossi e trova la porta chiusa. Trova la porta chiusa, quindi vuol dire che, in quel frangente, qualcuno è passato da David Rossi. Filippone apre la porta, va nell'ufficio, vede la finestra aperta, si affaccia e nota, appunto, che David Rossi si è buttato dalla finestra. Questo almeno, all'incirca, più di 20 minuti dopo la precipitazione, quasi mezz'ora dopo la precipitazione di David Rossi, anzi forse molti minuti in più. Quindi, Presidente, qualcuno in quell'ufficio c’è passato.
In più, la procura di Siena non ha acquisito o ha acquisito solo molto tardi i tabulati telefonici, quei tabulati telefonici, che, secondo noi, sono la base da cui partire per stabilire se nel Palazzo vi era o non vi era qualcuno: la base ! Ebbene, questi tabulati telefonici sono stati consegnati ai legali, sono stati messi a disposizione dei legali solo negli ultimi due giorni prima dello scadere del termine per l'opposizione, e secondo noi anche questo è un fatto molto grave. È un fatto molto grave perché ? Che cosa si evince da quei tabulati telefonici ? Si evince che qualcuno ha risposto al telefono alle ore – mi sembra – 20,06, cioè praticamente molti minuti dopo l'avvenuta precipitazione del corpo di David Rossi. Avviene una risposta ad una telefonata di Carolina Orlandi di tre secondi e, quindi, vuol dire che qualcuno per sbaglio aveva in mano il telefono e qualcuno ha risposto. In più, sempre dallo stesso telefono, è stato composto un numero, un numero molto strano, probabilmente riferibile – dice così la stampa – ad un conto dormiente di Banca Monte Paschi.
Ora, questi sono tutti elementi che ci fanno capire che qualcuno in quella stanza c’è stato, ma sappiamo ancor di più. Sappiamo ancor di più, perché – ed è una notizia molto fresca perché arriva dalle analisi dei tabulati – il telefono di David Rossi, dopo l'avvenuta morte di David Rossi, non è rimasto sempre nella stessa stanza – no ! – perché si è agganciato su tre celle diverse, questo l'ho saputo ieri sera dai legali che hanno esaminato le carte. Ebbene, quindi vuol dire che, probabilmente, il telefono di David Rossi si è pure spostato dalla stanza, ed essendo un'apparecchiatura che non può spostarsi autonomamente dalla stanza, probabilmente qualcuno ha spostato il telefono di David Rossi dalla stanza.
Quindi, dalle testimonianze abbiamo potuto apprendere che qualcuno in quella stanza c’è stato e qualcuno ha chiuso la porta, e probabilmente qualcuno ha spostato pure il telefono. Quindi sono veramente interrogativi strani, che ci danno l'idea che probabilmente le indagini non sono state svolte bene, perché, se fossero state svolte bene, non avremmo ancora questi dubbi.
In più, su un filmato – riparliamo del filmato – che non si sa, ne sono girate diverse versioni e l'ultima versione è quella più lunga, quella definita in modo migliore, l'abbiamo appresa, l'abbiamo potuta acquisire da un su un sito americano, dove il video si può scaricare nella sua interezza. Ebbene, da questo video, noi come ufficio, MoVimento 5 Stelle, abbiamo fatto un'analisi e abbiamo potuto notare almeno settanta eventi – settanta eventi ! – particolari, che possono, quanto meno, far sorgere nuovi quesiti sulle indagini, far sorgere nuovi quesiti su quello che è successo. Perché da questo video si vedono i riflessi delle luci sui muri, i riflessi delle macchine che passano lungo il vicolo su cui si affaccia il vicolo di Monte Pio, ebbene alcune luci sembrano essere quelle di veicoli passanti, alcune luci, invece, sembrano essere di un veicolo stazionario, messo lì apposta. Apposta per cosa ? Apposta, secondo noi, per ostruire la vista e per non far vedere che, sulla pavimentazione di quel vicolo, vi era il corpo di David Rossi.
E in più, oltre a queste luci così strane che si accendono e si spengono, con un'ombra definita in modo particolare, come se appunto ci fosse un veicolo in grado di proiettare un'ombra molto definita, si vede anche una attività molto intensa di persone che si affacciano sul vicolo, si vede una attività di persone che si affacciano sul vicolo anche mentre David Rossi chiede aiuto, perché in questo video, io non so se l'avete visto, ma è un video straziante, dove si vede una persona che, per venti minuti, chiede aiuto ! Una cosa veramente che fa rabbrividire.
Ebbene, Presidente, ci sono veramente moltissimi elementi che ci fanno capire che le indagini sono state svolte in modo non idoneo.
In più, per quanto riguarda le perizie medico-legali, vi sono veramente dei punti di coincidenza e il pubblico ministero, al posto di valorizzare questi punti coincidenza tra la perizia di parte e la perizia svolta dall'ufficio, no, nega che le lesioni sul corpo di David Rossi siano proprie, diciamo, di un'istigazione al suicidio, abbandona l'ipotesi che David Rossi possa essere stato spinto a suicidarsi e, a quanto pare, a quanto apprendiamo da un comunicato stampa della procura, sembra che l'unica pista che rimanga aperta sia quella dell'omissione di soccorso. A noi così non sta bene.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.
COSIMO MARIA FERRI, . Buongiorno Presidente, grazie. Rispondo all'interpellanza urgente dell'onorevole Pesco e di altri deputati e devo dire che, dopo la lunga esposizione, devo necessariamente riportare quello che la procura di Siena ha comunicato al Ministero in merito a questa attività di indagine e, quindi, indicherò tutta la serie di passaggi che sono stati effettuati, tra l'altro in risposta anche all'interpellanza, per quanto riguarda anche l'acquisizione di tabulati telefonici, di video e quindi tutta l'attività istruttoria di indagini che è stata svolta e che, rammento, oggi è al vaglio del Gip, in quanto comunque, nel rispetto del contraddittorio, pubblico ministero e difensori delle persone offese potranno, appunto, ancora sviluppare di fronte al giudice le loro istanze.
L'atto di sindacato ispettivo in discussione ripropone all'attenzione del Governo la dolorosa vicenda relativa alla morte di David Rossi, già responsabile dell'area comunicazione di Banca MPS, che è avvenuta a Siena il 6 marzo 2013 e sulla quale il Ministero della giustizia si è già espresso in risposta ad analoghe interpellanze, secondo i dati processuali all'epoca resi disponibili. Il perimetro dell'odierna interpellanza è, invece, tracciato dagli esiti successivi alla precedente risposta, in ordine ai quali sono stati richiesti aggiornati elementi conoscitivi all'Autorità giudiziaria procedente.
Ricostruendo integralmente lo sviluppo delle investigazioni ed allegando ampia documentazione, ovviamente non coperta dal segreto investigativo, la procura della Repubblica presso il tribunale di Siena ha ricostruito l'iter procedimentale nei termini che seguono. Quindi ora apro le virgolette e testualmente riporto quello che la procura di Siena in maniera approfondita ha comunicato al Ministero. La procura dice: «A seguito del decesso di David Rossi, si apriva il procedimento n. 962/013 a carico di ignoti per istigazione al suicidio. In data 2 agosto 2013 questa procura, all'esito delle investigazioni svolte, richiedeva l'archiviazione, a seguito della quale ed in conseguenza degli avvisi ex articolo 408 del codice procedura penale e della successiva opposizione all'archiviazione della persona offesa, si dava luogo ad udienza camerale davanti al Gip di Siena, dottoressa Monica Gaggelli, che, con ordinanza del 5 marzo 2014, accoglieva la richiesta di archiviazione, riconducendo la morte di David Rossi ad un fatto di suicidio», richiesta di archiviazione e ordinanza di accoglimento, inclusi nella nuova richiesta di archiviazione, di cui si dirà tra poco.
In data 6 novembre 2015 è stata depositata, sempre in relazione al decesso del Rossi, richiesta di riapertura delle indagini da parte della vedova Tognazzi Antonella. L'istanza veniva assegnata al dottor Andrea Boni, già sostituto di questo ufficio, che non si era occupato del procedimento principale archiviato.
Il dottor Boni, alla luce degli elementi prodotti dalla difesa di Tognazzi Antonella, con provvedimento del 17 novembre 2015, disponeva la riapertura delle indagini. Il procedimento riaperto al registro ignoti per lo stesso titolo di reato – istigazione al suicidio – assumeva al «modello 44» il numero 8636/2015.
In data 16 dicembre 2015, il dottor Boni conferiva incarico di consulenza tecnica, ex articolo 359 del Codice procedura penale, alla professoressa Cristina Cattaneo dell'Istituto di medicina legale dell'università di Milano e al tenente colonnello Davide Zavattaro, del RIS dei Carabinieri di Roma, per il compimento di ogni necessario accertamento al fine di stabilire se la morte di Rossi Davide sia riconducibile ad intervento di terze persone oppure sia riconducibile al gesto suicida.
Nello stesso incarico si precisava che qualora fosse necessario procedere alla riesumazione della salma del Rossi, i consulenti daranno avviso a questa procura al fine di procedere nei modi di cui all'articolo 360 del Codice di procedura penale.
In data 16 marzo 2016, i consulenti tecnici del PM rappresentavano la necessità di procedere a riesumazione del cadavere per poter proseguire ad indagini medico-legali dettagliate, comprensive anche di prelievi di indagini di laboratorio, ad un sopralluogo sul luogo dei fatti finalizzato al riscontro di elementi emersi nel corso del presente accertamento, nonché a misurazioni, riprese, foto, video ed eventuali campionature dei luoghi.
Il PM, in relazione alla natura degli accertamenti richiesti, procedeva con le forme previste dall'articolo 360 del Codice di procedura penale – accertamenti tecnici non ripetibili –, con la partecipazione delle persone offese e dei loro consulenti.
La esumazione del cadavere avveniva in data 6 aprile 2016, con trasferimento presso l'Istituto di medicina legale dell'università degli studi di Milano, dove si procedeva ad esame autoptico o ad indagini di laboratorio.
Nel corso del procedimento riaperto è stata avanzata istanza di nuove acquisizioni presentate dalla difesa delle persone offese, cui fa riferimento il deputato interpellante, che è stata riscontrata. Sono stati acquisiti i tabulati telefonici, il audio del 118 e del 112; i video delle telecamere di videosorveglianza non è stato, invece, possibile acquisirli perché le immagini dell'epoca sono andate cancellate, rimanendo conservate solo per sette giorni; i fazzolettini con le macchie di sangue, di cui si conservano le foto, analiticamente analizzate dai consulenti sono stati all'epoca dissequestrati e distrutti.
I nuovi e complessi accertamenti prevalentemente di natura tecnica, chimica, tossicologica, biologica e medico-legale sono stati eseguiti dai consulenti tecnici d'ufficio nel contraddittorio con quelli di parte. I risultati della complessa attività sono stati rappresentati nelle relazioni depositate – l'ultima, quella riepilogativa, in data 7 dicembre 2016 –, messe a disposizione dalle parti. Tutti gli elementi disponibili sono stati acquisiti senza ricusare alcunché.
Sulla base delle relazioni, delle acquisizioni eseguite a seguito di riesame complessivo di tutto il materiale raccolto, anche nella precedente indagine, si è addivenuti ad una nuova richiesta di archiviazione, perché gli elementi raccolti – gli unici su cui ragionare sulle cause del decesso – conducono a ritenere ragionevole l'ipotesi del suicidio e altamente improbabile quella dell'omicidio.
È stata perciò depositata, in data 8 febbraio 2017, richiesta di archiviazione – allegato 2 –, previo stralcio, del procedimento per l'ipotesi di omissione di soccorso a carico di ignoti. Si è manifestata, infatti, la necessità, sulla base delle immagini video, di approfondire gli accadimenti immediatamente successivi alla caduta, avendo gli accertamenti medico-legali rilevato che Rossi non è deceduto immediatamente e che possibili soccorsi subito dopo la caduta, in base alle lesioni riscontrate, avrebbero, forse, evitato il decesso.
Nella richiesta di archiviazione si è cercato di dare risposte ai quesiti sollevati dalle parti, con le quali si aprirà il confronto davanti al giudice delle indagini preliminari a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione depositata in data 20 febbraio 2017. In particolare, i consulenti hanno focalizzato la loro valutazione in modo specifico sulle problematiche inerenti le lesioni sulla parte anteriore del corpo, fornendo spiegazioni ragionevoli, come è riportato nella richiesta di archiviazione. Circa le asserite anomalie riprese da un di un tal Pierre Jovanovic, i punti indicati come critici dall'interpellante sono stati tutti esaminati nella relazione di consulenza tecnica, con spiegazioni di parte, in parte riportate nella richiesta di archiviazione, alla cui lettura si rinvia.
Sulla vicenda dell'occultamento del «» del derivato Alexandria, il tribunale di Siena, all'esito di un giudizio immediato, è pervenuta la sentenza di condanna, in data 31 ottobre 2014, su conforme richiesta del pubblico ministero nei confronti dei tre imputati Mussari Giuseppe, presidente del Banco Monte dei Paschi, Baldassarri Gianluca, direttore dell'area finanza, Vigni Antonio, direttore generale, per il reato di ostacolo all'attività di vigilanza.
Sono state depositate impugnazioni anche dalla procura, perché la pena irrogata in primo grado è stata ritenuta inadeguata e occorre serenamente attendere il giudizio di appello.
Sulle altre indagini MPS procede l'autorità giudiziaria di Milano, a seguito di trasmissione degli atti da questo ufficio per competenza territoriale, dove risulta esservi stato rinvio a giudizio a carico di vari imputati, non solo per le vicende collegate all'acquisizione di Banca Antonveneta, ma anche per le vicende relative ai derivati Nomura, Santorini e Alexandria. Questo ufficio ha proceduto, poi, alla citazione a giudizio, in data 4 dicembre 2015, del giornalista Davide Vecchi e Antonella Tognazzi, vedova di Davide Rossi, per il reato di cui agli articoli 110 e 167, comma 1, del decreto legislativo n. 196 del 2003, nei termini descritti nell'atto allegato.
È attualmente in corso il dibattimento davanti al giudice monocratico di Siena. Qui chiudo le virgolette e finisce la nota trasmessa dalla procura di Siena al Ministero della giustizia a seguito, appunto, di richiesta di chiarimenti in seguito alla nuova interpellanza che stiamo discutendo.
Quindi, come emerge dalla risposta della procura di Siena, sono state esaminate ed evidenziate tutte le indicazioni delle istanze sia indicate nell'interpellanza che dalla persona offesa. L'analitica relazione, infatti, trasmessa dalla procura della Repubblica di Siena e gli atti allegati danno conto degli approfondimenti svolti, anche in relazione all'attività integrativa eseguita in seguito alle istanze delle persone offese.
La valutazione della richiesta di archiviazione e della opposizione conseguentemente formulata dalle persone offese risulta ora rimessa all'apprezzamento del giudice per le indagini preliminari, che potrà, nelle forme del contraddittorio e nell'ampia latitudine dei poteri declinati dagli articoli 408 e seguenti del codice di rito, apprezzare le deduzioni difensive e determinarsi in ordine all'esercizio dell'azione penale. Non appaiono, pertanto, allo stato, ricorrere i presupposti per l'esercizio di alcuno dei poteri di sindacato sull'esercizio della giurisdizione che la Costituzione riserva al Ministro della giustizia.
Con riferimento, infine, al quesito relativo alle iniziative che si intenderebbero adottare – apro le virgolette – «per tutelare la nazione e la stabilità economica, oltre che i risparmi dei cittadini italiani truffati dalle vicende che hanno visto il crollo di ogni valore immobiliare connesso alla banca MPS alla luce delle imposizioni patrimoniali che la BCE sta pretendendo dall'istituto, per il quale lo Stato sta intervenendo a proprie spese, a proprio rischio, a garanzia dei diritti costituzionali» – chiuse le virgolette –, il Ministero dell'economia e delle finanze ha riferito come la Banca d'Italia, interpellata sul punto, abbia evidenziato che nel decreto-legge n. 237 del 2016, contenente misure per la tutela del risparmio nel settore creditizio, sono stati previsti stanziamenti di risorse fino a 20 miliardi di euro in linea con la disciplina europea degli aiuti di Stato e sulla gestione delle crisi bancarie.
Le citate misure, finalizzate al sostegno pubblico della liquidità del capitale di istituti bancari che ne facciano richiesta al ricorrere di determinate condizioni, mirano a prevenire il rischio di crisi degli intermediari finanziari ed intendono assicurare la complessiva stabilità del sistema finanziario, come ribadito anche dal capo del Dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia nell'audizione dello scorso 17 gennaio presso le Commissioni riunite 6a del Senato e VI della Camera.
Con riferimento, infine, alle vicende relative al Monte dei Paschi di Siena, il Ministero dell'economia ha riferito che il gruppo bancario ha presentato il 30 dicembre 2016 richiesta di ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato in seguito all'insuccesso del piano di rafforzamento patrimoniale basato su capitali privati. L'intervento dello Stato potrà essere finalizzato all'esito dell'approvazione del piano di ristrutturazione aziendale da parte delle autorità europee. Le vicende finanziarie e giudiziarie richiamate nell'interpellanza sono, pertanto, oggetto di costante attenzione unitamente alle iniziative che il Parlamento riterrà opportuno adottare. Quindi, il Governo è attento di fronte a questi temi, che sono temi molto sentiti, che meritano chiaramente i dovuti accertamenti e risposte concrete, anche dal punto di vista politico, come il Governo sta dando, con l'aiuto del Parlamento.
PRESIDENTE. La deputata Sarti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all'interpellanza Pesco ed altri n. 2-01669, di cui è cofirmataria.
GIULIA SARTI. Grazie, Presidente. No, non siamo affatto soddisfatti della risposta del sottosegretario Ferri. Ringraziamo certamente per questa risposta e per i chiarimenti forniti dalla procura di Siena nel totale rispetto del lavoro della magistratura e nella complessità di questa vicenda e delle indagini che sono state condotte fino ad oggi, con una prima archiviazione, poi con questa istanza di riapertura fatta dai legali, con la conseguente riapertura delle indagini, e ora, di nuovo, con questa richiesta di archiviazione, per cui sarà il GIP, appunto, a decidere, anche relativamente all'opposizione già presentata, come ci ricordava lei prima, sottosegretario.
Il punto è che noi, in questo totale rispetto, come dicevamo prima, del lavoro della magistratura, però sappiamo anche che l'attività di sindacato che come Ministero vi è propria vi dà la possibilità di poter mandare degli ispettori, quando vi siano delle palesi violazioni di legge o abnormità. Allora, dagli elementi che ci sono stati forniti e dagli atti che si possono leggere, qui i dubbi permangono e rimangono veramente tantissimi: sulla posizione del cadavere, sulla posizione in cui è stato trovato l'orologio, sui segni nelle scarpe, sulle modalità di caduta di David Rossi dalla finestra, sulle persone che erano presenti nel vicolo, sui molti video – lo ricordava lei prima – delle telecamere di videosorveglianza che sono stati cancellati, perché, dopo sette giorni, non ci sono più, e quindi, anche qui, ci sono delle problematiche.
Ma, ancora, i fazzoletti sporchi di sangue e, magari, probabilmente anche di saliva che sono stati dissequestrati e successivamente distrutti. Ma come è possibile che ancora in fase di indagini preliminari uno dei reperti più importanti venga fatto distruggere in questo modo ? A noi sembra comunque che ci siano dei rilievi che ci fanno continuare ad avere dei grossi dubbi sulle modalità con cui queste indagini sono state condotte, ma, semplicemente, per dire che, anche da parte del Ministero, sarebbe interessante avere e fare degli approfondimenti in più, non semplicemente prendere atto di quello che è stato detto dalla procura di Siena, senza valutare correttamente anche quello che c’è stato con la nuova richiesta di riapertura delle indagini che poi, appunto, sono state disposte, e con la nuova richiesta di archiviazione, che, in realtà, ripercorre la prima richiesta di archiviazione, che, in realtà, doveva essere completamente, se vogliamo, non considerata, proprio perché, altrimenti, non vi sarebbe stata una nuova riapertura delle indagini, se le prime indagini fossero state disposte correttamente.
Allora, ci sono anche degli accertamenti che, se non vengono fatti, e probabilmente non sono stati fatti correttamente, immediatamente dopo la morte David Rossi, nel marzo del 2013, purtroppo, poi, tanti e tanti aspetti non possono più essere accertati correttamente oggi, perché sono passati ormai quattro anni. Quindi, già per il fatto che un reperto così importante come questi fazzoletti sia stato distrutto in fase di indagine, oltre ai video e, come le abbiamo detto prima, la descrizione di quelle le telefonate, perché non si capisce come mai ci siano delle telefonate anche successive alla morte di David Rossi, le celle e tutto quello che le ha descritto prima anche il collega Pesco, ci fanno ritenere che, probabilmente, anche da parte del Ministero potevano esserci e potrebbero esserci degli accertamenti in più da poter fare.
Ma, ancora, qui è dal settembre del 2015, quando le avevamo fatto la precedente interpellanza, che non sono stati chiariti anche i contorni intorno a questa morte, non soltanto alla modalità in cui la morte di David Rossi è avvenuta. Sappiamo che David Rossi si recava al Ministero dell'interno negli anni 2006-2008, durante il Governo Prodi, quando era Ministro dell'interno Giuliano Amato. Allora, che cosa faceva David Rossi quando si recava al Ministero dell'interno ? Possibile che non siano mai stati disposti degli accertamenti, anche interni ? E lasciamo perdere il lavoro della procura di Siena, per cui, anche l'altra volta, ci aveva detto: non c’è nessun elemento di collegamento tra i viaggi che David Rossi faceva al Ministero dell'interno e le cause della sua morte.
Va bene quell'aspetto che ha voluto chiarire la procura di Siena, ma il Ministero dell'interno non ha effettuato e non ha voluto effettuare degli accertamenti per capire che cosa veniva a fare David Rossi a Roma, anche considerando il fatto che, proprio nel 2008, è stata acquistata da parte del Ministero una immensa struttura in via Tuscolana, a Roma, pagando 11 milioni di euro all'anno di canone di locazione, struttura di proprietà del Monte dei Paschi. E, ancora, Giuliano Amato, nel 2010 sappiamo che chiama Mussari per confermargli un sostegno alla candidatura a presidente dell'ABI, e, successivamente, in cambio, sembra che gli venga data la sponsorizzazione da parte del Monte dei Paschi al torneo presso il Circolo del tennis di Orbetello.
Allora, tutti questi rapporti trasversali, che abbiamo già ricordato nel settembre 2015, che abbiamo continuato a ricordare in questi due anni e che continuiamo a citare ancora oggi, potrebbero essere tranquillamente chiariti anche da parte della politica qui, non soltanto da parte della magistratura, perché il fatto che una persona esterna, il capo della comunicazione di una banca, si rechi con cadenza bisettimanale a Roma, al Ministero dell'interno, visto che ci sono telecamere che possono accertare gli accessi e chiarire che cosa veniva a fare David Rossi qui a Roma, sono tutti chiarimenti che potevano essere dati tranquillamente in questi anni senza dover ritrovarci a febbraio del 2017 a porre di nuovo le stesse domande senza avere le dovute risposte. Allora, Presidente, concludo semplicemente, ovviamente dedicando un pensiero anche alla vedova Tognazzi, ai legali e ai consulenti di parte, che stanno davvero lottando contro un gigante, perché, purtroppo, quando ci si ritrova in queste situazioni, le difficoltà per cercare la verità sono effettivamente notevoli, e non parliamo soltanto dei problemi legati al punto di vista giudiziario, ma anche per cercare di tenere alta l'attenzione e di volere, soprattutto, un'attenzione da parte delle istituzioni e della politica.
Infatti, quello che è successo intorno a Monte dei Paschi è davvero di una gravità immensa, e questa morte ne è, se vogliamo, uno dei simboli, che ci fa capire quante storture ci siano state dietro all'acquisizione di Antonveneta, dietro ai motivi che hanno portato al dissesto di Monte dei Paschi. Speriamo che vada avanti la proposta di legge per l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sulle banche, ma che, magari, possa far luce anche sulle vicende di Monte dei Paschi, e, sapete, insomma lo abbiamo sempre sostenuto, una Commissione d'inchiesta su questi aspetti certo che sarebbe necessaria, anche se siamo a conclusione di legislatura. Sono cose che la politica dovrebbe fare proprio per l'accertamento di responsabilità che vanno oltre le indagini della magistratura.
E, allora, speriamo e continuiamo a chiedere con forza che non siano soltanto la vedova Tognazzi o i legali della famiglia a muoversi per ricercare la verità, ma che anche il Ministero della giustizia, il Ministero dell'interno, la Presidenza del Consiglio si attivino per dare chiarimenti su tutti quei rapporti trasversali tra i vertici di Monte dei Paschi, David Rossi e personaggi delle istituzioni che qui hanno ricoperto dei ruoli nelle precedenti legislature e che non sono mai stati chiariti.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente De Girolamo e Occhiuto n. 2-01671 . Chiedo alla deputata De Girolamo se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
NUNZIA DE GIROLAMO. Grazie, signor Presidente. Sottosegretario, come tutti sappiamo nel 2017 ci saranno le elezioni amministrative per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali di alcuni enti locali che sono in scadenza. La data dovrebbe essere compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. La legge prevede che il termine per la sottoscrizione delle candidature e l'autenticazione delle stesse è di sei mesi precedenti la fissazione di quella data, pertanto siamo già pienamente nei sei mesi compresi ma, nonostante questo, il Ministro dell'Interno non ha fissato la data delle elezioni. Pertanto ci chiediamo come mai non abbia ancora provveduto a fissare la data delle elezioni amministrative del 2017 e quando il Governo intende farlo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.
COSIMO MARIA FERRI, . Grazie, Presidente. Con l'interpellanza urgente all'ordine del giorno gli onorevoli De Girolamo e Occhiuto lamentano e chiedono chiarimenti sulla mancata adozione da parte del Ministero dell'interno del decreto di fissazione della data di svolgimento delle prossime consultazioni per le elezioni dei sindaci e dei consigli comunali. Chiedono altresì di conoscere i tempi entro i quali si intenda provvedere all'adempimento. Ai fini della risposta giova richiamare innanzitutto le due disposizioni di legge che disciplinano in modo compiuto e inequivocabile lo specifico adempimento oggetto dell'odierna interpellanza urgente che riveste estrema importanza nel processo elettorale, dato che da esso prende l'abbrivio la fitta serie di adempimenti a carico degli organi statuali e comunali che alla fine porta gli elettori all'esercizio del diritto di voto per le consultazioni amministrative. Quindi gli onorevoli toccano un punto importante sul quale chiaramente il Governo vuole precisare e dare tutte le informazioni necessarie. Si fa riferimento all'articolo 1 della legge n. 182 del 1991 secondo cui le consultazioni elettorali amministrative si svolgono, come peraltro già indicato dagli interpellanti, in un turno annuale ordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno e all'articolo 3 della medesima legge secondo cui la data per lo svolgimento delle elezioni è fissata dal Ministro dell'interno non oltre il cinquantacinquesimo giorno precedente quello della votazione ed è comunicata immediatamente ai prefetti perché provvedano alla convocazione dei comizi e agli altri adempimenti di loro competenza previsti dalla legge. In attuazione di tali disposizioni, in occasione delle precedenti elezioni, il Ministero dell'interno, senza eccezione alcuna, ha adottato il decreto in questione nei termini di legge. Quindi sottolineo questo aspetto perché il Governo, tramite il Ministero dell'interno, non ha mai fatto alcuna eccezione e ha sempre rispettato i termini indicati in maniera chiara dal legislatore nelle norme che ho sopra citato. A titolo esemplificativo si evidenzia che nelle ultime cinque tornate di elezioni amministrative il decreto di fissazione della data dello svolgimento delle elezioni comunali è stato adottato in un intervallo temporale variabile tra i cinquantotto e settantatré giorni antecedenti le votazioni. Quindi basta andare a verificare e ad acquisire i decreti che ho citato e che si riferiscono alle ultime cinque tornate di elezioni amministrative. Quanto alle prossime elezioni appare evidente che la legge conceda al Ministero dell'interno ancora un ampio lasso di tempo per l'adozione del decreto in questione. Quindi allo stato posso certamente assicurare gli onorevoli interpellanti che, visto l'approssimarsi dell'appuntamento elettorale, la questione ovviamente è già all'attenzione dell'amministrazione dell'interno e, così come è sempre stato, verranno rispettati i termini indicati dal legislatore.
PRESIDENTE. La deputata De Girolamo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
NUNZIA DE GIROLAMO. Presidente, no, non siamo assolutamente soddisfatti perché ci sembra che si giri intorno al problema pur ammettendo che abbiamo centrato il tema cioè i sei mesi per la raccolta delle firme per l'autenticazione e quindi per tutti i procedimenti burocratici a cui saranno costretti i molti cittadini che hanno la legittima ambizione di rappresentare gli enti locali nella prossima tornata amministrativa. Probabilmente il Governo ci meraviglia, vista l'attenzione e la precisione di questo Ministro, il Ministro Minniti. Il Governo non sta comprendendo che non siamo nelle condizioni delle cinque tornate precedenti: è un momento storico molto differente, un momento nel quale le persone non vanno a votare a livello nazionale da diverso tempo pur chiedendolo e vedono anche in questo caso non rispettati i termini di legge fissati proprio da noi e dai recenti Governi. Pertanto è chiaro che questo senso di smarrimento fa nascere anche il dubbio politico, da parte nostra e da parte di molti, che si stia giocando sulla fissazione delle date delle amministrative per continuare a utilizzare questa e la data di fissazione delle elezioni nazionali per i regolamenti interni al Partito Democratico con riguardo ai congressi e alle primarie, che stanno interessando la stampa nazionale. Ciò dispiace notevolmente, visto che il Ministro Minniti di solito è assolutamente estraneo a queste logiche. Pertanto ci aspettiamo che, come lei ha detto, a breve, con la serietà che lo contraddistingue, fissi questa data per segnare anche una differenza dal passato, se ancora vogliamo rappresentare una politica vicina alla gente, che riesce a dare risposte ai cittadini e ai molti amministratori che attendono di poter procedere alle raccolte delle firme e agli adempimenti che noi stessi abbiamo fissati nei mesi e nei termini che noi stessi abbiamo deciso. Ovviamente la speranza è l'ultima a morire.
PRESIDENTE. Passiamo alla interpellanza urgente all'ordine del giorno Catalano ed altri n. 2-01600 . Chiedo al deputato Catalano se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
IVAN CATALANO. Grazie, Presidente. Sottosegretario, attualmente alcuni Internet italiani non rilasciano ai propri clienti le credenziali di registrazione/autenticazione come i dati di registrazione VoIP, ID ed ogni ulteriore utile parametro di configurazione, così imponendo, di fatto, l'utilizzo obbligatorio dei loro apparati di proprietà. Al contrario, già oggi, nelle connessioni di rete mobile 3G/4G, i vari operatori rilasciano i parametri di configurazione e connessione alle loro reti mobili e pubblicano i dati degli A.P.N. ed altri: può quindi essere impostato per la navigazione Internet qualsiasi apparato, anche diverso da quello proprietario fornito dall'operatore. L'eliminazione di questa barriera ha favorito in soli dieci anni un incremento degli utenti di Internet che sono passati dal 45 per cento al 73 per cento con un'esplosione di accesso da parte dei dispositivi mobili. Per un utente di rete fissa invece cambiare operatore non è così semplice, nonostante la liberalizzazione consenta la migrazione. Ad ogni cambio di contratto, infatti, occorre cambiare il proprio apparato rispedendo il vecchio al precedente operatore, aspettando l'arrivo del nuovo e dovendo poi provvedere alla sua installazione con perdite di tempo e/o denaro. Inoltre, l'esborso mensile dovuto al comodato d'uso, a pagamento nella gran parte dei casi, e la «blindatura» del che equipaggia gli apparati dell'ISP, le cui modifiche sono anch'esse a pagamento in molti casi, limitano ulteriormente la piena accessibilità e sana concorrenza per una tecnologia come quella relativa all'accesso su rete fissa che potrebbe invece costituire un importante volano di sviluppo socio-economico del territorio e della popolazione italiana come previsto dall'Agenda digitale italiana, in attuazione dell'Agenda digitale europea. Questo limita drasticamente la libertà di scelta degli utenti impossibilitati ad utilizzare apparati diversi da quelli dati in comodato d'uso e costituisce una significativa barriera non tariffaria alla libera concorrenza tra i diversi operatori. Esistono nel nostro Paese aziende che operano nel settore dei dispositivi terminali di accesso che potrebbero trovare un'opportunità di e quindi di crescita occupazionale se venisse eliminata questa barriera. Potersi connettere, rimanendo aggiornati sul miglioramento dei dispositivi terminali migliorerebbe di gran lunga l'accesso alla rete, aumentando la competitività del sistema industriale del Paese e potendo così raggiungere gli obiettivi di miglioramento del .
La Germania ha da tempo preso in esame questa soluzione, anche in ragione degli investimenti nel programma «Industria 4.0», discutendo in Parlamento una proposta di legge nel 2015 che, nelle premesse, dice che spesso gli utenti non hanno la possibilità di scegliere liberamente il da essi utilizzato, che cioè è dovuto al fatto che alcuni gestori di rete del collegamento a banda larga consentono esclusivamente l'utilizzo dell'apparecchio da loro prestabilito, che «alla base di tale prassi viene posto il punto di vista che la rete di telecomunicazioni pubblica finisca solo in un punto che sarebbe da individuare dopo un'interfaccia per il collegamento di apparecchi e per questo motivo l'apparecchio proprio dell'offerente per motivi funzionali farebbe parte della rete» e che «tuttavia questa gestione non è compatibile con il mercato dei terminali completamente liberalizzato, ai sensi della direttiva 2008/63/CE». Recentemente il Parlamento europeo ha approvato il Regolamento n. 2120 del 2015, che enuncia al considerando 5: «quando accedono ad gli utenti finali dovrebbero essere liberi di scegliere tra vari tipi di apparecchiature terminali, quali definite dalla direttiva 2008/63/CE della Commissione». I fornitori di servizi di accesso a non dovrebbero imporre restrizioni all'utilizzo di apparecchiature terminali che collegano alla rete, oltre a quelle imposte dai fabbricanti e dai distributori di apparecchiature terminali conformemente al diritto dell'Unione. Questo concetto è poi ripreso nel Regolamento, all'articolo 3, comma 2, dove si dice che gli accordi tra i fornitori di servizi di accesso a e gli utenti finali, sulle condizioni e sulle caratteristiche commerciali e tecniche dei servizi di accesso a quali prezzo, volume dati o velocità e le pratiche commerciali adottate dai fornitori di servizi e accesso a non limitano l'esercizio dei diritti degli utenti finali. L'interpellanza dunque chiede quale sia l'orientamento del Governo in merito alle questioni e alle sue ripercussioni sull'agenda digitale e sul e se il Governo condivida la valutazione espressa dall'esecutivo della Repubblica federale tedesca in riferimento ad una identica situazione che si verifica nel mercato tedesco circa l'incompatibilità dell'attuale gestione di apparati terminali con il mercato dei terminali completamente liberalizzato, ai sensi della direttiva 2008/63/CE, alla luce anche del Regolamento appena attuato (in Italia la direttiva è stata recepita con decreto legislativo n. 198 del 2010) e, in caso affermativo, quali siano le iniziative di competenza che intende adottare per dare più completa attuazione alla direttiva e al Regolamento. In ogni caso se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per quanto di competenza anche nell'ambito del prossimo disegno di legge in materia di concorrenza, al fine di prevedere il divieto per l’ di imporre ai clienti apparati di loro proprietà per le offerte fibra e tecnologie simili o derivate.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Gentile, ha facoltà di rispondere.
ANTONIO GENTILE, . Buongiorno, signor Presidente. All'onorevole Catalano devo una risposta. In via preliminare, si fa presente che la direttiva 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 198/2010 impone agli operatori di rete di rendere note le specifiche tecniche delle caratteristiche delle proprie interfacce dirette di comunicazione pubblica, attraverso la loro pubblicazione in . Ciò al fine di permettere ai fabbricanti di costruire le apparecchiature terminali da connettere a tali reti in un mercato di libera concorrenza. Inoltre il recente Regolamento UE 2015/2120, che stabilisce misure riguardanti l'accesso ad un aperto, sancisce che, per la salvaguardia dell'accesso ad aperto, gli utenti finali hanno il diritto di accedere ad informazioni e contenuti e di diffonderli, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi e utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta, indipendentemente dalla sede dell'utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall'origine e dalla destinazione delle informazioni dei contenuti delle applicazioni o del servizio tramite il servizio di accesso a .
Sotto questo aspetto, il Governo ritiene importante che sia garantito il principio di un accesso ad da parte degli utenti completamente aperto e senza barriere di alcun tipo. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sentita al riguardo, ha comunicato che la libertà d'uso degli apparati di rete fissa è oggetto di disciplina da parte del suddetto Regolamento ed il tema in questione è stato approfondito da BEREC, gruppo dei regolatori della UE, il quale ha emanato apposite linee-guide sulla neutralità della rete, ribadendo il diritto degli utenti ad utilizzare un apparato terminale di propria scelta, definito, come noto, dalla direttiva 2008/63/CE «attrezzatura direttamente o indirettamente collegata all'interfaccia di una rete pubblica di telecomunicazioni».
Al fine di verificare il rispetto del Regolamento UE, nello scenario del mercato italiano delle telecomunicazioni, l'Agcom, nell'ambito delle sue competenze, ha in corso un'attività di vigilanza sul tema della neutralità della rete, ivi inclusa la libertà d'uso degli apparati.
Nel merito, l'attività di vigilanza da parte dell'Autorità si è concretizzata nella ricognizione delle offerte sul mercato e nell'analisi delle eventuali limitazioni imposte dagli operatori all'utilizzo degli apparati in oggetto, nonché anche al fine di verificarne le motivazioni tecniche di sicurezza e di interportabilità. L'Agcom ha informato inoltre che su questi aspetti sono stati sentiti i principali operatori di comunicazione elettronica e nel corso delle prossime settimane concluderà l'attività di vigilanza sopra descritta ed assumerà le relative valutazioni in merito.
PRESIDENTE. Il deputato Catalano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
IVAN CATALANO. Grazie, Presidente. Sì, mi reputo abbastanza soddisfatto della risposta del sottosegretario. Vede, sottosegretario, noi dobbiamo abbattere tutte le barriere affinché l'accesso alla rete sia sempre più garantito e neutrale. Questo Governo si è impegnato ad accelerare il processo di digitalizzazione della PA. Secondo i dati CENSIS, il 14,9 per cento degli utenti utilizza la rete per accedere ai servizi della PA digitale e l'8,3 per cento prenota le visite mediche. È un passo avanti, ma non è abbastanza. La cultura di è ancora troppo scarsa e troppo poco diffusa. È dovere del Governo impegnarsi per abbattere le barriere cognitive del ; pensiamo per esempio che la percentuale di utenti della rete è ferma al 31,3 per cento negli 65 anni. È necessario mettere in campo tutte le azioni volte a favorire un'effettiva fruizione delle tecnologie digitali, ma oggi l'accento non si pone sulla capacità di utilizzare tecnologie digitali, ma sulla possibilità di accedervi: poter usufruire del proprio terminale di accesso alla rete cambiando operatore è un fattore di libertà, concorrenza e opportunità per il nostro Paese, come lo è stato nel settore immobile. In un mercato concorrenziale cambiare operatore deve essere un processo semplice e non vessatorio per l'utente. L'accento si pone in quello che rientra in un problema più ampio e che ha a che fare con le opportunità perse per le nostre imprese; pensiamo ad esempio cosa può comportare il cambio di operatore per una piccola azienda che fa . Nuovi mercati digitali stanno arrivando, domineranno la scena nei prossimi anni e queste limitazioni impediscono ad imprese e cittadini di sfruttare al meglio le opportunità che da questi mercati possono derivare. L'accesso alla rete diventerà sempre più importante nei prossimi anni e le discriminazioni all'accesso sono una questione in democrazia. Come gruppo parlamentare dei Civici e Innovatori, abbiamo presentato molte proposte in questa direzione, tra cui quella sulla neutralità della rete. Il nostro impegno verso l'innovazione tecnologica, normativa e di processo è massima e pone al centro del nostro lavoro il cittadino e le sue libertà. Sottosegretario, accolgo con favore il fatto che l'Autorità garante delle comunicazioni stia avviando un processo di consultazione e di audizione degli operatori e stia facendo il vaglio delle offerte commerciali, ma il regolamento entra direttamente nel nostro diritto, quindi ci sono già consumatori che pretendono che questo regolamento venga applicato, che vogliono utilizzare i loro terminali per accedere alla rete, vogliono poter non avere questa barriera e quindi l'azione che l'Agcom deve effettuare di vigilanza deve essere assolutamente garantita e deve essere comunicata ai consumatori, affinché questi possano rivolgersi all'Autorità quando si vedono ledere questo diritto. Io sono già al corrente che sono state fatte alcune istanze all'Autorità e spero che il lavoro venga svolto in tempi molto rapidi per garantire ai cittadini e alle imprese di poter usufruire della rete senza barriere all'ingresso e per consentire uno sviluppo migliore e un accesso anche ai servizi della pubblica amministrazione. Come sappiamo con un accesso da rete mobile è molto più facile, grazie anche all'assenza di barriere che invece nella rete fissa, nonostante i regolamenti e le direttive siano stati recepiti e attuati, risultano ancora non rispettate da molti operatori di rete fissa.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Oliverio e altri n. 2-01643 .
Chiedo al deputato Oliverio se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Grazie, signor Presidente.
PRESIDENTE. Signora !
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signora Presidente, le chiedo scusa...
PRESIDENTE. Stamattina tutti mi avete cambiato genere.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. No, no, è ben visibile. L'interpellanza urgente oggi in discussione in quest'Aula si poggia sulle seguenti premesse: l'articolo 17 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, la cosiddetta legge europea del 2013, ha innovato la disciplina sulla produzione di bevande vendute con il nome dell'arancia a succo, prevedendo che le stesse bevande analcoliche prodotte in Italia debbano avere un contenuto di succo di arancia non inferiore a 20 grammi per 100 centilitri o all'equivalente quantità di succo di arancia concentrato o disidratato in polvere. Tale limite si applica, esclusivamente, alle bevande commercializzate nel mercato nazionale, mentre ne sono escluse quelle destinate al mercato degli altri Stati dell'Unione europea o degli altri stati contraenti l'accordo sullo spazio economico europeo, nonché quelle verso Paesi terzi. E ciò per non creare interferenze rispetto al principio della libera concorrenza. Lo stesso articolo, al comma 3, stabilisce che tale obbligo entri in vigore a decorrere dal dodicesimo mese successivo al perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica alla Commissione europea, ai sensi della direttiva 98/34/CE. Di tale esito è previsto che venga data notizia mediante pubblicazione nella della Repubblica italiana. La norma tecnica è stata notificata alla Commissione europea tramite l'ufficio centrale di notifica del Ministero dello sviluppo economico e il periodo di risulta essere terminato il 5 gennaio 2015 senza alcuna reazione da parte della Commissione europea. La decorrenza dei termini prescritti in sede europea consente che la norma possa entrare in vigore e possa essere resa applicativa in tutto il territorio nazionale, non essendovi più alcuna ragione ostativa che ne impedisca l'applicazione. Per tali motivi, insieme ad altri 44 colleghi, tra i quali tutti i componenti del gruppo PD della Commissione agricoltura, abbiamo chiesto di interpellare il Ministro dello sviluppo economico per rinnovare l'attenzione, peraltro mai sopita, per una sollecita attuazione, su tutto il territorio nazionale, della norma in esame e perché provveda a dare notizia, mediante pubblicazione nella della Repubblica italiana dell'esito positivo della procedura di notifica alla Commissione europea, come previsto dal comma 3 dell'articolo 17 della legge 30 ottobre 2014, n. 161.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonio Gentile, ha facoltà di rispondere.
ANTONIO GENTILE, . Presidente, l'interpellanza posta dall'onorevole Oliverio fa riferimento, come lei ha detto prima, all'articolo 17 della legge europea 2013- che nasce dall'esigenza primaria di risolvere il caso EU PILOT citato dall'onorevole Oliverio. Questo procedimento era stato aperto a carico dell'Italia a seguito della conversione in legge del «decreto Balduzzi», in quanto la procedura di notifica prevista dalla direttiva 98/34/CE non era stata applicata in maniera conforme e la norma tecnica era stata adottata senza l'osservanza del periodo di . Voglio ricordare, infatti, che nel 2012 era stato notificato, ad istanza del Ministero della salute, il disegno di legge di conversione del decreto Balduzzi e in tale contesto furono emessi sei pareri circostanziati – Repubblica Ceca, Spagna, Francia, Regno Unito, Irlanda e Austria –, quattro osservazioni – Germania, Slovenia, Polonia e Romania – ed una richiesta di informazioni supplementari da parte della Commissione. Tali pareri comportarono, come è noto, ai sensi del diritto dell'Unione, l'applicazione di un periodo di per i progetti notificati dagli Stati membri che, nel caso di specie, avrebbe dovuto avere termine il 2 aprile 2013. La conversione in legge e la relativa pubblicazione prima della scadenza del periodo di fecero perdere lo di progetto alla norma in questione, portando alla chiusura anticipata della procedura di notifica, per testo già adottato dallo Stato membro prima dello spirare del periodo di . Di conseguenza, la Commissione europea aprì un progetto pilota.
Per sanare la situazione di precontenzioso conseguita all'apertura del progetto pilota, è stato inserito, nel disegno di legge europea 2013-, l'articolo 17 che abroga quanto originariamente previsto dal decreto Balduzzi e, contemporaneamente, detta previsioni analoghe a quelle abrogate, per superare, nell'intenzione del Governo, i rilievi di merito sollevati nel corso della prima notifica richiesta dal Ministero della salute. L'articolo 17, su richiesta, questa volta, del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stato notificato alla Commissione con una scadenza di prevista per il 6 ottobre 2014. Anche a seguito della seconda notifica, sono stati emessi quattro pareri circostanziati – Repubblica Ceca, Polonia, Paesi Bassi e Irlanda – e sei osservazioni – Danimarca, Francia, Austria, Romania, Spagna e Croazia –; i pareri circostanziati hanno come effetto l'allungamento del periodo di di altri tre mesi. Pertanto, il termine di scadenza è stato posticipato al 5 gennaio 2015. Nel frattempo, la legge europea 2013- è stata approvata ed è entrata in vigore il 25 novembre 2014, ancora una volta prima della chiusura del periodo di ; in tal modo si sono riproposti gli stessi problemi di natura procedurale che già si erano evidenziati con la prima notifica. Tuttavia, il comma 3 dell'articolo 17 sospende l'efficacia della norma fino al perfezionamento della procedura di notifica. Esso dispone, infatti, che la disposizione di cui al comma 1 si applica a decorrere dal dodicesimo mese successivo al perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica alla Commissione europea. Tale disposizione, che pure rende esplicita l'applicabilità della norma all'esito positivo della procedura di notifica, crea una criticità procedurale essendo l'intero progetto di regola tecnica diventato legge prima del previsto passaggio alla Commissione. Peraltro, vi è da dire che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, la mancata conclusione naturale della procedura di notifica comporta che le regole tecniche che rientrano nel campo di applicazione della direttiva UE 1535/2015 risultano non opponibili ai singoli; in caso di contenzioso, i giudici nazionali sono pertanto tenuti a disapplicarla.
L'interpellanza dell'onorevole Oliverio fa riferimento al tacito assenso. Tale possibilità, in effetti, è prevista dall'ordinamento, ma solo nel caso in cui nei primi tre mesi dello nessun soggetto titolato intervenga nel corso della procedura di notifica. Nel caso in esame, come sopra ricordato, sono intervenuti una serie di pareri circostanziati che hanno allungato i tempi di altri tre mesi ed hanno aperto una interlocuzione che solo la Commissione può chiudere. Il Ministero dell'agricoltura, nel dicembre 2014, ha pertanto inviato, tramite il dipartimento per le politiche europee, la reazione dell'Italia ai pareri circostanziati e alle osservazioni fatte dagli altri Stati membri. Ad oggi, tuttavia, la Commissione non ha mai commentato o, comunque, reagito alla difesa dell'Italia. La stessa unità di controllo presso l'unità centrale di notifica presso il MISE, ad oggi, non è a conoscenza di alcuna risposta ufficiale, ai sensi della vigente normativa comunitaria, da parte dei servizi della Commissione europea. Nell'assenza di tale riscontro, non appare possibile ritenere perfezionata con esito positivo la più volte menzionata procedura di notifica. Risulta, invece, che il MIPAAF stesso, titolare della notifica in questione, abbia di recente chiesto alla predetta unità centrale di notifica un intervento presso la Commissione per avere una pronuncia definitiva. Lo stesso Ministero ha specificato di aver inviato in data 10 gennaio 2017, quindi, di recente, una nota di sollecito con la quale ribadisce che l'Italia non intende dar seguito a quanto eccepito dagli altri Stati membri. L'Italia chiede, dunque, alla Commissione medesima di esprimersi ufficialmente, come previsto dalle direttive in vigore. Allo stato, quindi, in conclusione, si ritiene che non sussistano le condizioni per dare attuazione alla citata normativa nazionale, fino a quando la Commissione europea non abbia fornito il riscontro richiesto.
PRESIDENTE. Il deputato Oliverio ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signora Presidente, ringrazio in modo particolare il sottosegretario Gentile per questa comunicazione, che richiama tantissimo quel noto proverbio che dice: i medici studiano e intanto l'ammalato muore. Insomma, sono molti anni, diversi anni, che abbiamo di fronte questa vicenda e ancora non troviamo la soluzione. Per cui la risposta fornita dal Governo non risulta pienamente soddisfacente, in quanto fa riferimento ad ostacoli di natura comunitaria che non sembrano, emergere dalle procedure poste in essere.
Mi sia consentito, comunque, fare alcune precisazioni per meglio comprendere l'intera vicenda. Originariamente, era stata approvata una disposizione inserita nel decreto-legge n. 158 del 2012, decreto Balduzzi, che aveva destato perplessità da parte della Commissione europea, così come il sottosegretario ci ha illustrato.
In data 5 marzo 2013, la suddetta Commissione aveva fatto una richiesta di informazioni all'autorità italiana sulla disciplina ivi contenuta, rilevando, tra l'altro, che il fare riferimento – era questa una delle motivazioni – al solo succo naturale e non alle altre alternative di succo concentrato, liofilizzato o sciroppato, comportava un'indebita limitazione della materia prima utilizzabile, non riscontrabile nella normativa europea di riferimento.
Al fine di far fronte ai rilievi mossi dalla Commissione europea è stata prevista una nuova formulazione della norma, inserita appunto nella legge europea 2013. Il testo dell'articolo 17 fa ora riferimento alle bevande analcoliche che, nella denominazione, si richiamano all'arancia succo. Esse non potranno essere commercializzate con un contenuto di succo naturale inferiore a 20 grammi per 100 centilitri o inferiore ad una equivalente quantità di succo di arancia concentrato, disidratato, in polvere, così come ci aveva indicato la Comunità europea.
Colgo, però, l'occasione per evidenziare tre punti. Il primo, politico: è stata condotta in Parlamento una lunga battaglia, affinché venisse riconosciuto a livello normativo l'obbligo di una quantità minima di succo di arancia nelle bevande in esame, nella convinzione che occorre tutelare l'affidamento che il consumatore ripone nel nome dei prodotti acquistati. In secondo luogo, è nostra profonda convinzione che ogni scelta che vada verso un innalzamento della qualità del prodotto venduto, nel contenuto reale di frutta, fa crescere consapevolezza verso l'importanza di un'alimentazione sana ed equilibrata e pone le premesse per una diminuzione delle malattie e, con essa, della spesa sanitaria a cui lo Stato deve far fronte.
Ultimo motivo, ma non per importanza: l'introduzione dell'obbligo dà una mano ad un comparto, quello agrumicolo, che, considerato nel suo insieme in relazione al valore della produzione, rappresenta oltre il 3 per cento della produzione lorda vendibile agricola nazionale, che sconta numerose difficoltà, tra le quali la liberalizzazione dei mercati e l'introduzione di misure comunitarie tese a favorire l'importazione da parte di Paesi terzi, e con conseguenze negative anche in termini di introduzione in Italia di fitopatie dannosissime. Oggi, per esempio, a Catania vi è una manifestazione dell'intera filiera agrumicola siciliana.
È noto, inoltre, che negli ultimi anni la quantità di agrumi destinata alla trasformazione è cresciuta, sia per la difficoltà di collocazione nel mercato del frutto fresco italiano, sia per il nuovo orientamento dei consumatori, che scelgono sempre più succhi e bevande. L'innalzamento del contenuto di succo d'arancia mira a tutelare la salute del consumatore, adeguandosi ad un contesto programmatico europeo, che tende a promuovere un'alimentazione più sana e a diffondere corretti stili alimentari.
In tale ambito, alcuni studi hanno posto in evidenza che una bevanda con il 20 per cento di succo d'arancia soddisfa il 40 per cento del fabbisogno giornaliero di vitamina C raccomandato dalle diverse accademie scientifiche e la sua assunzione veicola un variegato mix di sostanze fitochimiche che possono incidere positivamente sulla difesa del sistema immunitario.
Con la nuova norma si contribuisce, inoltre, ad offrire il giusto riconoscimento alle bevande di maggiore qualità, riducendo l'utilizzo di zucchero, la cui elevata concentrazione potrebbe essere utilizzata per sopperire alla minore qualità dei prodotti. Del resto, la stessa società San Pellegrino ha da tempo innalzato al 20 per cento la percentuale di succo di arancia delle proprie bevande, con una pubblicità che espressamente richiama una ricetta ricca con il 20 per cento di succo per una aranciata inimitabile.
Molte sono, infine, le società che richiamano in etichetta la dicitura di frutta al 100 per cento italiana. Ma aggiungo che da tempo è stata resa nota una lettera che il Ministro dell'agricoltura, Maurizio Martina, ha scritto all'allora Ministro delle attività produttive, Federica Guidi, per sollecitare decisivi passi avanti per l'aumento del contenuto di succo di arancia nelle bibite al 20 per cento.
L'articolo 17 della legge 30 ottobre 2014 – afferma, in particolare, il Ministro Martina – al comma 3 stabilisce che tale obbligo entri in vigore a decorrere al dodicesimo mese successivo al perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica della Commissione e bisogna darne, in questo caso, notizia mediante pubblicazione nella
Sempre il Ministro Martina scrive: in proposito ricordo che la norma tecnica è stata notificata alla Commissione europea e risulta essere terminata lo scorso 5 gennaio 2015 senza alcuna reazione da parte della Commissione. Sempre il Ministro Martina: poiché la richiamata direttiva europea non prevede – prosegue la lettera di Martina – necessariamente l'emanazione di un provvedimento esplicito da parte della Commissione, è da ritenersi che, decorsi utilmente i termini, sia possibile dare attuazione alla norma tecnica, di cui al citato articolo 17 della legge comunitaria. Conclude il Ministro Martina: ti chiedo, pertanto, di valutare l'opportunità di adottare iniziative finalizzate a confermare la piena efficacia delle citate disposizioni della legge europea 2013.
Per tutte queste ragioni, abbiamo voluto ribadire l'importanza della questione sollevata e abbiamo sollecitato il Ministro competente a dare urgente attuazione alla normativa in esame, rispettando quella che è stata la volontà del Parlamento e che, per ben due volte – la seconda portando le dovute correzioni richieste – ha mostrato di voler compiere una scelta di campo per la tutela della salute dei cittadini e per la valorizzazione delle nostre migliori produzioni.
Ci auguriamo, quindi, che le solite multinazionale delle bollicine non continuino a frapporre ulteriori ostacoli burocratici e, come hanno fatto già alcune società, adeguino la percentuale di succo delle bibite analcoliche con arance 100 per cento italiane. Questa non è una rivoluzione, né fornirebbe occasione per far fallire queste multinazionali; basti pensare soltanto che da un chilo di succo concentrato a 60 Brix si ottengono 6 litri di succo naturale, che consentono di produrre circa 50 litri di bibita contenenti il 12 per cento di succo d'arancia, ovvero un litro di aranciata al 12 per cento di succo naturale contiene 3 centesimi di arance ed è venduta mediamente ad oltre un euro al litro; un euro è il costo di un litro di bibita, che contiene solo 3 centesimi di arance; pagando le arance 10 centesimi, così come sa bene il sottosegretario Gentile, il costo per la sola raccolta è di 6 centesimi e in un litro di aranciata ci sarebbero 5 centesimi di arance.
PRESIDENTE. Concluda.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Ho concluso, Presidente.
Sarebbe un bel segnale, quindi, nei confronto di un vasto territorio che ha nell'agrumicoltura una reale possibilità di sviluppo e reddito, e un contributo fondamentale a coniugare giustizia economica e sociale.
Gli interpellanti, quindi, sulla base delle su esposte considerazioni, ritengono che l'entrata in vigore del più volte richiamato articolo 17 dipenda dalla posizione, soprattutto, del Ministero dello sviluppo economico, anche nell'ottica di favorire lo svolgimento di una corretta relazione fra produzione e industria.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente De Lorenzis ed altri n. 2-01630 .
Chiedo al deputato De Lorenzis se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Prego, onorevole.
DIEGO DE LORENZIS. Grazie, signora Presidente. In data 4 ottobre 2016, il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, insieme con il direttore del dipartimento promozione della salute, Giovanni Gorgoni, il commissario dell'AReS, Giancarlo Ruscitti, e il dirigente del dipartimento di epidemiologia della regione Lazio, Francesco Forastiere, ha presentato alla stampa lo studio epidemiologico sugli effetti delle esposizioni ambientali sulla popolazione residente a Taranto, Massafra e Statte, in cui sono approfonditi gli effetti a lungo termine delle emissioni industriali per lo stato di vita, i ricoveri, l'incidenza per i tumori e la mortalità.
La conclusione del citato rapporto così reca: «L'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera emessi dall'impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell'organismo umano, che si traducono in eventi di malattie e morte». Le metodologie adottate hanno permesso di quantificare i rischi di malattia e morbosità derivanti dalle esposizioni recenti e passate e hanno permesso di escludere il ruolo di confondimento di possibili fattori esterni: il che vuol dire che si è fatta un'analisi esclusivamente per quanto riguarda l'inquinamento prodotto dallo stabilimento Ilva di Taranto.
Nella stessa data, quindi, del 4 ottobre 2016, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, coinvolto anche lui nel procedimento «Ambiente svenduto», che, appunto, indaga sui disastri ambientali e sanitari dello stabilimento Ilva, in riferimento allo studio epidemiologico promosso dal presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, ha dichiarato a mezzo stampa: «I dati epidemiologici appaiono molto gravi. Se il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, non risponde alla nostra lettera in cui chiediamo di sapere se ci sono pericoli attuali per la popolazione, abbiamo già pronta la bozza dell'ordinanza di chiusura dello stabilimento Ilva».
In data 4 novembre 2016 – quindi, a distanza di un mese –, il sindaco di Taranto, quello che prima aveva detto «se la Ministra non risponde alla nostra lettera, siamo pronti a chiudere lo stabilimento», rispondendo alle domande dei giornalisti dichiarava: «Il silenzio del Ministro Lorenzin non può che essere interpretato in maniera positiva: non c’è alcun pericolo. C’è una situazione di massima allerta, ma non di ordinanza di chiusura. Del resto – conclude – sarebbe allucinante non intervenire se ci fosse una situazione di rischio per i cittadini» . Quindi, il sindaco Ippazio Stefàno contraddice con la propria opinione uno studio epidemiologico fatto dal presidente della regione Puglia, Michele Emiliano.
Ancora oggi, non risulta agli interpellanti che sia giunta la lettera al sindaco di Taranto da parte del Ministro alla lettera inviata. Pertanto, il sindaco rimane ancora in attesa di una risposta da parte del Ministro interpellato.
Allora, noi chiediamo quali siano i contenuti di tale risposta, se questa risposta è stata mai inviata, e, nel caso in cui questa lettera, come è presumibile pensare, non sia stata mai spedita dal Ministro Lorenzin, chiediamo di sapere per quali ragioni il Ministro, a fronte di dati tanto allarmanti, non abbia mai risposto.
Inoltre, visto che abbiamo avuto la possibilità di interloquire con il Ministero in questa occasione, chiediamo di sapere qual è la situazione effettivamente reale dello stabilimento degli inquinanti e, quindi, i possibili effetti sulla popolazione di Taranto; chiediamo, quindi, se ci siano gli estremi per la chiusura dello stabilimento Ilva per tutelare la salute pubblica, come, in prima battuta, aveva dichiarato il sindaco Ippazio Stefàno.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Antonio Gentile, ha facoltà di rispondere.
ANTONIO GENTILE, . Grazie, signora Presidente. Onorevole Diego De Lorenzis, questa risposta è molto articolata, perché l'argomento è di grande interesse sociale e richiama il recente Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni ambientali ed occupazionali sulla morbosità e mortalità della popolazione residente a Taranto. Questo studio è stato condotto dalla regione Puglia, con la collaborazione del Dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario della regione Lazio, dell'ASL Roma 1, dell'ASL di Taranto, dell'ARPA e dell'ARES Puglia.
Per quanto riguarda le valutazioni tecniche in ordine allo studio in esame, l'Istituto superiore di sanità ha ricordato che esso è stato condotto su oltre 320 mila persone residenti nei comuni di Taranto, Massafra e Statte, seguiti per sedici anni – 1998-2014 – fino alla data di morte o trasferimento, mentre l'esposizione dei soggetti della coorte è stata ricostruita dal 1965, anno dell'avvio dell'impianto Ilva, fino al 2014.
Dallo studio emerge l'incidenza della stratificazione sociale sullo stato di salute, mentre sia la mortalità naturale complessiva è causa specifica sia i ricoveri ospedalieri vengono positivamente associati con l'esposizione individuale ed aumentano con l'incremento dell'esposizione.
L'analisi della latenza degli effetti sul rischio di mortalità indica, in particolare per i tumori, un danno per la salute avvenuto in 15-30 anni prima dell'inizio dello studio e, quindi, non riconducibile all'esposizione ambientale stimata dallo stesso studio. Nel caso delle malattie cardiovascolari o respiratorie, la latenza tra esposizione ed effetto è di pochi anni: è, quindi, riconducibile all'esposizione ambientale stimata ed in linea con i dati della letteratura scientifica.
Secondo l'Istituto superiore di sanità lo studio presenta punti di forza e criticità: i primi sono la numerosità elevata della popolazione in esame, la completezza dei dati anagrafici, i metodi usati per la modernizzazione delle concentrazioni ambientali, la buona qualità dei dati sulla storia residenziale ed il controllo del confondimento da fattori socioeconomici da esposizione professionale e da fattori legati alle abitudini individuali. Le criticità risiedono, invece, nell'incertezza insita nell'uso di modelli matematici per stime di esposizione, nell'impiego di indicatori di esposizione che possono essere solo considerati traccianti di emissioni industriali generiche, nei tempi di latenza, che non permettono di ricondurre l'aumento della mortalità per tumore all'esposizione stimata.
In conclusione, l'Istituto superiore di sanità afferma che questo nuovo studio, rispetto agli studi precedenti, fornisce ulteriori indicazioni sulla necessità di monitorare lo stato dell'ambiente e della salute della popolazione residente nell'area di Taranto e di prendere immediate misure di mitigazione della contaminazione presente.
Proprio al fine della valutazione sia dell'esposizione ambientale attuale della popolazione residente in aree della città di Taranto prossime allo stabilimento Ilva rispetto alle aree non impattate dalle emissioni di Ilva, sia del possibile impatto sulla salute, l'Istituto superiore di sanità ha inteso richiamare le conclusioni del citato studio da esso condotto nel periodo 2015-2016 in collaborazione con l'ARPA Puglia e l'ASL di Taranto, nell'ambito del progetto del Centro di prevenzione e controllo delle malattie 2013.
I risultati dei test confermano: 1) la presenza di sostanze con attività immunotossica e genotossica del particolato aerodisperso delle aree urbane, ma non evidenziano specificità per la città di Taranto rispetto ad altro sito urbano; 2) le concentrazioni di policlorodibenzodiossine, diossine e policlorobifenili riscontrate nel siero sono in linea con i valori osservati in un altro recente studio su gruppi di donne. In linea con quanto osservato in uno studio analogo effettuato su donne residenti a Roma, si osserva come, ad un aumento dei livelli ematici di diossine e di policlorobifenili, sia associato un contenuto incremento di rischio di endometriosi, leggermente aumentato dalla presenza di alcuni genotipi di enzimi detossificanti; 3) non viene evidenziata una correlazione fra esposizione a idrocarburi policiclici aromatici ed endometriosi, tuttavia si sono rilevate concentrazioni di alcuni IPA mediamente più elevate di quelle riscontrate in altri studi; 4) le dosi interne misurate nel sangue, nelle urine e nei capelli di metalli neurotossici (arsenio, cadmio, manganese, mercurio e piombo) osservate nei bambini di Taranto non sono elevate rispetto ai limiti tossicologici e ai riferimenti di altri studi e non sono distribuite in funzione delle zone di residenza né della distanza dalle sorgenti emissive; 5) gli effetti osservati a carico delle funzioni neuropsicologiche risultano in relazione alla zona di residenza, alla distanza delle sorgenti di emissioni, ai livelli ematici di piombo; è, comunque, elevata l'influenza dei fattori socio-economici e culturali legati alle famiglie di appartenenza dei bambini.
In sintesi, l'Istituto superiore di sanità afferma che gli studi condotti negli ambiti del citato progetto evidenziano, in generale, con qualche piccolo distinguo, una situazione ambientale-sanitaria per il territorio di Taranto paragonabile a quella di un'area urbana ad alta antropizzazione.
Inoltre, lo stesso Istituto segnala che, in base ai dati riportati dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e da ARPA Puglia, per la qualità dell'aria in riferimento alla concentrazione nel PM10 (materia particolata) del benzo(a)pirene, considerato un contaminante dell'aria tipico dell'area tarantina, si evidenzia un netto miglioramento negli ultimi anni e tale andamento di riduzione è stato ripreso e confermato anche dall'Agenzia europea per l'ambiente.
Si segnala che, al fine di contrastare le criticità sanitarie riscontrate in base alle evidenze epidemiologiche nel territorio della provincia di Taranto, con le proposte di deliberazione CIPE delle quote vincolate agli obiettivi del Piano sanitario nazionale per gli anni 2013, 2014 e 2015 elaborate dal Ministero della salute, si è data attuazione all'articolo 3- del decreto-legge n. 207 del 2012, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 231 del 2012, che ha destinato la somma di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, a valere sulle risorse finalizzate all'attuazione dall'articolo 1, comma 34, della legge n. 662 del 1996, per consentire di finanziare i maggiori oneri dell'azienda sanitaria di Taranto connessi alla sospensione, per il citato triennio, delle disposizioni vigenti relative alla limitazione del e al rispetto del vincolo sulle spese per il personale, dettato dall'articolo 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009, delle disposizioni limitative dei posti letto e delle disposizioni limitative degli accordi contrattuali con le strutture accreditate, di cui al piano di rientro e di riqualificazione del sistema sanitario regionale sottoscritto dalla regione Puglia.
In aggiunta a tali risorse, il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto del 18 marzo 2015, in applicazione di quanto previsto dall'articolo 2 del decreto-legge n. 136 del 2013, convertito dalla legge n. 6 del 2014, ha anche assegnato euro 8.069.554,07 in favore della regione Puglia per l'anno 2014, per finanziare accertamenti e definire modalità di offerta di esami per la prevenzione e per il controllo dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Taranto e di Statte.
Inoltre, è in corso di adozione l'ulteriore decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per l'assegnazione alla regione Puglia di euro 8.069.554,07 anche in riferimento all'anno 2015.
Colgo l'occasione, inoltre, per ricordare che il disegno di legge A.S. 2692, di conversione del decreto-legge n. 243 del 2016, recante interventi urgenti in alcune aree del Mezzogiorno, dispone, tra l'altro, iniziative e finanziamenti a vantaggio della regione Puglia anche per l'acquisizione dei beni e servizi necessari alla realizzazione di interventi di ammodernamento tecnologico delle apparecchiature e dei dispositivi medici e diagnostici delle strutture sanitarie pubbliche dei comuni di Taranto, Statte, Crispino, Massafra e Montemesola e per la realizzazione di un progetto che garantisca gli approfondimenti diagnostici ed epidemiologici su donne e minori in età evolutiva, residenti nel territorio di Taranto e Statte, anche al fine di sottoporre tali persone ad interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi.
Oltre alla norma sopra indicata, nel corso dell'esame alla Camera è stato approvato un emendamento, accolto a seguito di una specifica riformulazione del Ministero della salute, finalizzato a destinare una quota pari a 100 milioni di euro da devolvere alla riqualificazione e all'ammodernamento tecnologico dei servizi di radioterapia oncologica alle regioni del Sud, compresa, quindi, la regione Puglia.
PRESIDENTE. Il deputato De Lorenzis ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
DIEGO DE LORENZIS. Grazie, Presidente, ma come ci si può dichiarare soddisfatti della risposta del sottosegretario, che praticamente nega quelle che sono le evidenze? Faccio notare che lo studio epidemiologico chiesto dal presidente della regione Michele Emiliano fa il paio con quello che costituisce prova in un procedimento legale, quello, appunto, nel processo «Ambiente svenduto», chiesto dal giudice delle indagini preliminari Todisco, nel quale si dichiara in maniera ufficiale che lo stabilimento Ilva causa, ogni anno, almeno trenta morti e centinaia di eventi di malattie. Ora, delle due l'una, Presidente e sottosegretario: o voi dite che avete fatto dodici decreti, anzi tredici, visto che anche nel decreto milleproroghe andate di nuovo a toccare questa materia, quindi tredici decreti, che sono nati, lo ripeto, sono nati per un'esigenza di emergenza ambientale e sanitaria, e quindi avete fatto questi tredici decreti perché un'emergenza c'era, c’è e continua a esserci, come ha appunto dimostrato l'ultimo studio epidemiologico, oppure semplicemente state rinnegando il motivo per cui avete commissariato quello stabilimento, non c’è altra alternativa.
E pensavo, mentre il sottosegretario rispondeva, che questa, forse, poteva essere l'occasione per dire agli italiani qual è la vostra visione di sviluppo economico, perché il primo decreto Ilva è stato fatto per dare la possibilità di usare lo stabilimento nonostante fosse in qualche modo precluso dall'azione della magistratura, perché era sotto sequestro. Questo tipo di provvedimento è stato impugnato davanti alla Corte costituzionale e la Corte costituzionale ha detto, in maniera chiara ed esplicita, che devono essere contemplati due diritti, quello alla salute e quello al lavoro, e che nessuno può, in qualche modo, sovrastare l'altro.
Ora, a fronte del fatto che c’è una crisi occupazionale, perché Ilva ha chiesto la cassa integrazione per oltre 5 mila dipendenti, e tenuto conto che la parte sanitaria, la tutela della salute, il diritto quindi alla salute, non viene comunque rispettato, ora questi due diritti non soltanto non vengono garantiti, non soltanto avete chiesto alla popolazione di avere speranza per altri 3-4 anni, con un commissariamento statale, per evitare una nuova Bagnoli, quindi per evitare che il risanamento ambientale non fosse più possibile perché lo stabilimento venga chiuso, allora la domanda che io pongo è: qual è la vostra visione ?
Infatti, al momento voi non siete stati in grado, pur con un commissariamento statale che dura praticamente da tre anni, né di tutelare l'occupazione, né di tutelare la salute, né di tutelare la bonifica e il risanamento ambientale del territorio, e non soltanto dello stabilimento. Abbiamo fatto una serie di proposte, che vanno in direzione opposta a quelle che sono le proposte della maggioranza. Noi avevamo chiesto di cominciare a pensare a una riconversione economica, non soltanto dello stabilimento, ma di tutto l'arco ionico, di tutta la città di Taranto e del territorio circostante, atteso che il modello di sviluppo fondato sulla produzione di acciaio, fondato sulla produzione industriale, è un modello ottocentesco, che già in altre parti del mondo viene abbandonato.
Avevamo fatto gli esempi, nella discussione di questi tredici decreti, di quanto avvenuto già a Pittsburgh, negli Stati Uniti, o anche a Bilbao, in Spagna. Avevamo chiesto di istituire un'area marina protetta nel Mar Ionio, in modo da tutelare ancora parte di quell'ambiente. A tutto questo voi avete detto di no. Ma la cosa più grave, sottosegretario, è che non soltanto non avete una visione politica, ma continuate a prendere in giro i cittadini di Taranto e della provincia di Taranto. Il fatto che voi abbiate dato dei fondi per le strutture sanitarie tarantine vi fa probabilmente stare a posto con la vostra coscienza, ma questo è assolutamente insufficiente.
Sottosegretario, lei immagini che un'intera città stia bruciando e voi, a fronte di questo incendio, di questo disastro, state dicendo: beh, ma ogni anno noi abbiamo un bel secchio di acqua.
Questa è la vostra risposta a un'emergenza assolutamente incommensurabile, a un disastro di dimensioni veramente sconcertanti e la vostra risposta è: abbiamo dato qualche milione di euro alle strutture sanitarie tarantine. Dunque la domanda che di nuovo pongo, come cittadino prima che come rappresentante istituzionale, è la seguente: come è possibile pensare di risolvere un problema come quello dell'impatto sanitario di questo stabilimento nell'area circostante senza prima pensare di spegnere lo stabilimento e, quindi, di impedire alle fonti inquinanti di produrre ulteriore inquinamento ? Quindi il fatto di dare soldi alle strutture sanitarie non risolve il problema, semmai lo diluisce nel tempo e faccio notare che oggi i piani industriali dei due contendenti che devono subentrare alla gestione statale, alla gestione dei commissari prevedono ancora 6 milioni di tonnellate annue o 10 milioni di tonnellate annue e ancora c’è l'uso del carbone e dello stesso fondamentale processo di produzione dell'acciaio in entrambi i casi perché ne verrà sempre prodotta una parte come è stato prodotto fino adesso. Quindi la riduzione delle fonti inquinanti praticamente nel vostro piano non esiste. Tutte le mitigazioni che possono derivare dall'applicazione dell'autorizzazione integrata ambientale e dalle prescrizioni che voi continuate a posticipare – addirittura date la facoltà ai soggetti subentranti di posticiparle e di attuarle in tempi diversi da quelli stabiliti – non sono altro che una pezza, non sono altro che un timido tentativo di mascherare quanto sta avvenendo a Taranto cioè il fatto che centinaia di persone si ammalano ogni anno e che migliaia di persone sono continuamente esposte a inquinanti che prima o poi avranno, come dicono gli studi epidemiologici, un effetto molto forte, molto visibile sulla morbosità e mortalità dei cittadini. Quindi a fronte del fatto che voi sapete che quello stabilimento produrrà, produce e ha prodotto eventi di malattia e morte, l'unica cosa che fate è semplicemente lavarvi le mani, dando pochi spiccioli per le strutture sanitarie.
PRESIDENTE. Passiamo alla interpellanza urgente all'ordine del giorno Cova ed altri n. 2-01648 .
Chiedo al deputato Cova se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
PAOLO COVA. Grazie, signora Presidente. Grazie sottosegretario, la presente interpellanza urgente sottoscritta da altri colleghi prende origine dal fatto che un mese fa l'Aula della Camera ha approvato una mozione con degli impegni per quanto riguarda il tema dell'antibiotico-resistenza che si è sviluppato in questi anni soprattutto a livello umano. Tra i vari impegni che sono stati sottolineati nelle mozioni da tutti i colleghi e illustrati a suo tempo era compreso proprio quello dell'attenzione al tema dell'uso degli antibiotici e dei farmaci a livello del mondo animale e degli allevamenti zootecnici, di animali che finiscono per essere animali da reddito per il consumo umano. In questi anni è stato già fatto molto negli allevamenti zootecnici. In particolare penso ai decreti legislativi n. 118 e n. 119 del 1992 che sono intervenuti, arrivando a normare in modo chiaro e netto il sistema della tracciabilità del farmaco veterinario nelle aziende zootecniche e soprattutto hanno previsto la richiesta di un intervento con delle ricette. Si tratta di una normativa che è stata un po’ farraginosa ed è stata anche modificata negli anni ed ha una sua complessità; tuttavia queste due decreti legislativi hanno cominciato a porre paletti e hanno cominciato a sistemare e a cercare di regolare la tracciabilità del farmaco negli allevamenti zootecnici. Dobbiamo dire che, in questi anni, anche ultimamente gli allevatori sono oggetto continuo di attenzione da parte dei media e da parte dei consumatori per la preoccupazione per la loro salute proprio perché si teme un uso e un abuso dei farmaci. Devo dire che l'introduzione di queste norme ha migliorato enormemente la situazione: infatti, c’è un uso più responsabile del farmaco sugli animali.
Tuttavia questo non esime dal dire che l'Italia resta comunque il terzo Paese per consumo di farmaci veterinari sugli animali da reddito. L'Agenzia europea di sorveglianza del consumo degli antimicrobici veterinari dichiara ancora che l'Italia è al terzo posto per consumo in Europa. Questo è ancora un grosso problema per cui è un tema da affrontare per i nostri consumatori considerato che soprattutto stiamo trattando di una delle eccellenze italiane: l'Italia ha puntato in tutti questi anni su prodotti di qualità; si è distinta a livello mondiale soprattutto per i suoi prodotti di grande qualità, le sue DOP, le IGP, la sua tipicità e soprattutto anche per avere prodotti che sono espressione della propria biodiversità. Per questo in Italia si è investito molto sui controlli rispetto ad altre nazioni europee; è stato costituito un sistema veterinario pubblico completamente diverso, con una struttura completamente diversa rispetto a ciò che è avvenuto a livello europeo. Questo è anche un'eccellenza: permette di avere un maggiore controllo e garantire una maggiore sicurezza per il consumatore italiano. A fronte di questo dobbiamo dire che, come abbiamo anche sottolineato nell'interpellanza urgente, in Italia ci sono circa 6.500 veterinari pubblici rispetto ai 900 in Francia o ai 1.200 veterinari dipendenti in Germania. In Italia ci sono 6.500 veterinari pubblici, più 1.500 veterinari assunti dalle regioni, quasi come i 1.200 veterinari tedeschi assunti nei Lander. Pertanto abbiamo un numero consistente di medici veterinari con un patrimonio zootecnico che, a volte, risulta simile a quello delle altri nazioni – citavo la Francia e la Germania – o addirittura in alcuni casi la metà. Per cui possiamo dire che abbiamo un patrimonio di medici veterinari pubblici dipendenti consistenti che può intervenire direttamente su questo controllo. Eppure, nonostante questo, il Piano nazionale integrato del 2015 segnala che non sono stati raggiunti gli obiettivi che erano stati prefissati. Siamo ancora lontani da quelli che erano gli obiettivi prefissati. La motivazione riportata dal PNI del 2015 è indicata nelle carenze croniche di personale veterinario ed amministrativo e nelle difficoltà di riorganizzazione territoriale. Partendo da tali considerazioni è importante, a mio avviso, chiedere e verificare quello che sta avvenendo. Quelli segnalati dal PNI sono dati che un po’ stupiscono perché, guardando quello che riporta la tabella, si deve affermare che i controlli avvengono e non avvengono. La normativa che citavo prima, il decreto legislativo n. 119 del 1992, prevede che vi sia la possibilità di tenere le scorte, un armadietto farmaceutico, per cui l'allevatore può detenere in casa farmaci e usarli sotto prescrizione medica quando ce n’è l'occasione, in altri casi senza scorte. Cosa sta avvenendo guardando i dati ? Solo il 5 per cento degli allevamenti di bovini da latte e da carne si è regolarizzato e ha fatto richiesta di detenere le scorte; nel campo dei suini 1.206 allevamenti che corrispondono al 2 per cento degli allevamenti suini. Perché abbiamo fatto questa distinzione ? Perché le aziende che detengono le scorte devono essere soggette al controllo da parte dei medici veterinari almeno una volta all'anno. Tutti gli allevamenti zootecnici che non detengono scorte hanno un controllo che è pari al 33 per cento all'anno, perciò non tutti gli allevamenti vengono controllati.
Come balza completamente agli occhi di tutti solamente il 5 per cento degli allevamenti viene controllato il 100 per cento delle volte, il 100 per cento all'anno, mentre per quelli senza scorte avviene in modo veramente ridicolo o poco consistente.
Andando anche a guardare – a volte noi possiamo segnalarla e vederla – anche la consistenza dei capi, perché aziende familiari potrebbero non avere la necessità di detenere le scorte, gli allevamenti bovini che hanno più di 50 capi, e che pertanto sicuramente sono soggetti ad avere una scorta sono 25.000, quelli che hanno fatto richiesta sono solo 6.000, quelli che hanno da 20 a 50 capi sono altri 23.000, per cui su quasi 50.000 aziende potenzialmente soggette a una richiesta di scorte solo 6.000 hanno fatto richiesta. Questo dato poi possiamo riportarlo anche con riguardo ai suini: solamente 1.200 aziende – come accennavo prima – hanno richiesto scorte su 67.000 e le aziende che hanno una consistenza non familiare in Italia sono circa 30.000, per cui si nota un po’ il . La mia amarezza, la nostra amarezza – e per questo facevamo anche questa richiesta – è che effettivamente detenere le scorte vuol dire essere sottoposti al controllo, controllo annuale e controllo dei medici veterinari; non avere la detenzione della scorta comporta che ci sono meno controlli e lo vediamo dai dati. Pochissime aziende, come ho segnalato nell'interpellanza, vengono controllate. A fronte di questo, un altro dato che ci riporta il PNI, il Piano nazionale integrato, è il numero delle ricette: 6.000 aziende fanno 93.000 ricette all'anno; delle altre restanti – qui sto parlando sia di bovini che di suini, per cui stiamo parlando di quasi 250.000 aziende – quelle che hanno scorta, che sono 6.000 allevamenti di bovini, più 1.200 di suini fanno 93.000 ricette. Tutte le altre aziende ne fanno 5.000. Questo dimostra che probabilmente non mettersi nella condizione di accettare o di essere sottoposti alle scorte o a una scorta veterinaria comporta meno controlli e meno verifiche. Io credo che su questo debba essere fatto anche un ragionamento. Difatti – e vado a chiudere – chiedevamo giustamente al Ministro risposte su questa situazione. Chiediamo se le aziende che non sono sottoposte alle scorte, senza una scorta farmaceutica, vengono almeno controllate una volta ogni tre anni, perché, se quel numero che nel PNI ci viene indicato in circa il 20 per cento riguarda sempre le stesse aziende, riusciamo a capire come viene a mancare e a cadere il tema della tracciabilità del farmaco e invoglia anche gli allevatori a non detenere le scorte e poi soprattutto se ogni anno viene controllato almeno il 40 per cento degli animali presenti sul nostro territorio. Concludendo, credo che il numero consistente che abbiamo di veterinari rispetto ad altre nazioni – come accennavo in precedenza – può solo far pensare che ci sia l'opportunità e l'occasione di avere un controllo maggiore, cosa che non sta avvenendo, per cui chiediamo anche al Ministro se non sia il caso di pensare a una migliore organizzazione del sistema veterinario pubblico dipendente. Chiediamo una maggiore attenzione soprattutto a quello che è il processo che si sta mettendo in atto del veterinario aziendale, da parte sia del Ministero della salute, sia del Ministero delle politiche agricole che ha istituito il sistema della consulenza. Per cui io credo che i tempi siano maturi per poter intervenire e migliorare questa situazione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Gentile, ha facoltà di rispondere.
ANTONIO GENTILE, . Onorevole signora Presidente, onorevole Cova, i controlli ufficiali in materia di distribuzione e impiego dei medicinali veterinari vengono disciplinati – come lei sa – dal decreto legislativo 6 aprile 2016, n. 193 e sono stati oggetto inoltre di specifiche linee-guida adottate nel 2012 per la predisposizione, effettuazione e gestione dei controlli anzidetti.
Tali linee-guida si prefiggono l'obiettivo di armonizzare sull'intero territorio nazionale la programmazione di piani di sorveglianza di competenza regionale, tenendo conto del numero minimo di controlli richiesti dalla norma e sulla base di indicatori di rischio e di valutazione di congruità d'uso. A tal fine, le linee-guida sono correlate da che permettono di eseguire i controlli ufficiali in base alla valutazione dei rischi e secondo procedure documentate in conformità con il Regolamento CE n. 882/2004. In particolare, per gli allevamenti, sono presi in considerazione i seguenti indicatori di rischio: il aziendale, la verifica della coerenza per quantità e tipologia dei trattamenti eseguiti e dei medicinali presenti nella scorta alla realtà zootecnica, alla dimensione e alla tipologia dell'allevamento e alla situazione epidemiologica locale, la registrazione dei trattamenti, le segnalazioni di reazioni avverse e di sospetta diminuzione di efficacia, l'uso prudente degli antimicrobici anche attraverso l'acqua di abbeverata dei mangimi, unitamente alle implicazioni di benessere animale legate alla dimensione e alla tipologia dell'allevamento stesso. Ciò permette di classificare ciascuno allevamento in tre classi di rischio: alto, medio e basso. Gli allevamenti autorizzati alla tenuta delle scorte e anche quelli in cui viene dichiarata l'assenza di trattamento sono considerati ad alto rischio e pertanto la frequenza dei controlli è di almeno una volta all'anno. Per quelli invece sprovvisti di scorta le ispezioni avvengono in un congruo tempo (tre anni) sulla base del rischio definito «rischio alto»: almeno un controllo annuo, «rischio medio»: almeno un controllo ogni due anni, «rischio basso»: almeno un controllo ogni tre anni. Pertanto la percentuale di attuazione per dette attività dovrebbe essere del 33 per cento annuo. Tra gli allevamenti a basso rischio, rientrano anche quelli registrati per autoconsumo che, sebbene certamente caratterizzati da elementi di rischio meno rilevanti rispetto alle attività di allevamento per fini commerciali, non possono comunque prescindere da un'accurata e puntuale valutazione da parte delle autorità competenti. Quanto ai controlli, lei faceva riferimento ad 8.000 veterinari che vengono assunti sia dallo Stato, che dalle regioni, le attività di controllo ufficiali sono appunto svolte dai servizi veterinari locali, con la supervisione delle regioni e delle province autonome, del Comando dei Carabinieri per la tutela della salute che opera individualmente e/o in accordo con i servizi veterinari. Ottimizzare le attività di farmaco sorveglianza in un contesto più ampio di controllo delle filiere, principio base del Regolamento CE n. 882/2004 mediante sopralluoghi multidisciplinari, che implicano l'integrazione ed il coordinamento tra i diversi servizi veterinari e/o altre autorità o enti può rappresentare un valido strumento per superare le carenze di organico che le regioni e le province autonome denunciano e segnalano come motivazione alle insufficienze nei livelli minimi di controllo, che comunque negli ultimi anni risultano in crescita rispetto agli anni precedenti.
PRESIDENTE. Il deputato Cova ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
PAOLO COVA. Grazie, signora Presidente. Signor sottosegretario, provo a dirlo in modo sommesso e in modo un po’ corretto: credo di sapere che cosa avvenga nelle aziende agricole zootecniche perché faccio il medico veterinario, libero professionista. Nella risposta che lei mi ha appena dato non viene indicato il consumo di farmaco come un rischio; anzi, mi è stato detto che la detenzione delle scorte potrebbe essere un motivo di potenziale rischio. Il problema è che, se io ho 25.000 aziende che hanno più di 50 capi e solo 6.000 hanno le scorte, vuol dire che mi sfuggono la bellezza di 19.000 aziende.
Glielo dico da veterinario: è impossibile che non abbiano una scorta di farmaci in azienda. È impossibile, perché chi lavora in un'azienda zootecnica sa che in quella situazione devi avere presente o un antibiotico o un antinfiammatorio o un antimastitico e la stessa cosa si ripercuote sui suini, succede sui cavalli. Allora, io ho un dato e vedo che su 25.000 aziende, 19.000 che sono potenzialmente... perché se aggiungiamo anche quelle da 20 a 50 capi, il numero diventa enorme, lo ripeto, diventa enorme; allora, vuol dire che io non sto tracciando il farmaco, ho l'idea che non c’è un reale controllo o, per lo meno, il potenziale rischio è proprio dato dal fatto che aziende grosse non hanno fatto richiesta di scorte. E, come ho sottolineato prima, se 6.000 aziende da bovini da latte e da carne e 1.200 allevamenti di suini fanno 93.000 ricette in un anno e tutte le altre 250.000 ne fanno solo 4.000 ho presente che sta sfuggendo qualcosa. Non credo solo a me, credo a tutti. Allora, io credo che debba essere messa una particolare attenzione sui nostri prodotti; è quello che ci interessa, bisogna salvaguardare i prodotti italiani, la propria tipicità e i propri controlli. Per cui, io mi auguro che veramente il Ministero voglia fare un intervento deciso su questo, che possa andare, veramente, a riformare, a riverificare quello che sta avvenendo, perché questa situazione mi sembra che stia sfuggendo e prima che siano scappati i buoi è meglio chiudere il recinto. Glielo dico onestamente, sulla situazione del personale, io credo che ci siano dei dubbi, perché, nel chiedere ancora più personale con ottomila veterinari, quando in altre nazioni raggiungono gli stessi obiettivi con novecento o 1.200 veterinari, c’è probabilmente qualcosa che non funziona. Io credo che sia un problema di riorganizzazione; allora, bisogna, probabilmente, riorganizzare tutto questo sistema e porre le basi per ricostruire una nuova veterinaria pubblica a servizio del controllo e una veterinaria libero-professionale che possa dare il suo apporto e il suo sostegno agli allevamenti zootecnici.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti ed altri n. 2-01670 .
Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
PAOLA BINETTI. Credo che abbiamo salutato tutti, quest'anno, con grande soddisfazione, l'aggiornamento che è stato fatto a proposito dei LEA. Sono stati raggiunti obiettivi importanti, mi riferisco, primo tra tutti, a quello che ha riguardato, per esempio, le malattie rare che da oltre quindici anni erano in attesa di essere inserite in questi LEA per poter godere di alcuni dei vantaggi previsti per queste persone; abbiamo visto partire il nuovo Piano vaccinazioni, con tutto quello che questo può significare, anche in un momento in cui, da un lato, c’è una particolare attenzione verso questi problemi della prevenzione e, dall'altro, però, c’è anche un'ondata di opposizione, una sorta di passo indietro fatto nel rapporto tra scienza e consapevolezza. Abbiamo visto anche fare degli investimenti importanti e significativi per quello che riguarda i farmaci innovativi. Però, ci ha colpito molto questa sorta di silenzio o, comunque, questa mancanza di concentrazione attenta e selettiva su un tema com’è quello della salute degli anziani e, forse, da questo punto di vista, può esserci utile ricordare qualche indice, anche per capire perché, comunque, gli anziani rappresentano una platea significativa dal punto di vista dell'assistenza. Penso che sappiamo tutti quel detto che dice che ognuno di noi nell'ultimo anno di vita costa al sistema sanitario nazionale quanto è costato per tutto il resto della sua vita; cioè, l'attenzione all'anziano si riflette anche sotto il profilo non solo della qualità, del rapporto umano con lui, non solo sulla qualità dell'indotto delle reti familiari che coinvolge, ma, anche, semplicemente, in una visione puramente economica e richiede una particolare attenzione.
Ebbene, in tutto questo, non c’è un'adeguata attenzione all'interno dei nuovi LEA. Comunque, per ricordare alcuni dati interessanti per tutti noi, l'indice di vecchiaia dice che in Italia, nel 2016, c'erano 161,4 anziani ogni 100 giovani. Forse a qualcuno, ha anche colpito una notizia uscita proprio tra ieri e l'altro ieri sui giornali di come la nuova soglia dell'anzianità sono i novant'anni. Fino a poco tempo fa pensavamo che l'età media si attestasse tra gli 84 e gli 85 anni, a secondo degli uomini o delle donne, adesso sappiamo che la vita si è ulteriormente e fortunatamente prolungata, ma, questo, chiaramente, pone una serie di problemi specifici. Il fatto che ci siano 161 anziani ogni 100 giovani ci dice come il consumo di medici e il consumo di medicine sia tutto concentrato prevalentemente nella fascia geriatrica. Sappiamo anche che c’è, poi, un altro indice che può essere interessante tenere presente: l'indice cosiddetto di dipendenza strutturale, quello che tiene conto dell'inserimento nel mondo del lavoro delle persone. Sappiamo che su cento persone che lavorano ce ne sono 55, o un po’ di più, che, invece, sono a carico loro e anche questo la dice lunga su quello che è il tipo di costo che bisogna affrontare quando ci si pone il problema degli anziani, non solo sotto il profilo strettamente sanitario, ma anche sotto il profilo di quelli che sono gli aspetti sociali e la presa in carico sociale di queste persone. Alla fin fine è anche di un certo interesse il cosiddetto indice di ricambio della popolazione attiva, perché ci dimostra quanto stia invecchiando complessivamente il nostro Paese. L'indice di ricambio è stato del 126,5, significa davvero che anche la popolazione in età lavorativa è una popolazione molto anziana. Quindi, abbiamo davanti un quadro demo-sociologico che, da un lato, ci dice che in Italia non nascono bambini – la famosa sindrome delle culle vuote o dell'inverno demografico o comunque la si voglia chiamare – e sono numeri concreti non c’è bisogno di fare uno sforzo di previsioni o di proiezione, sono i dati che la realtà ci mette sotto gli occhi, dall'altro, ci dice, quindi, come la cura dell'anziano meriti ormai una attenzione, una progettualità e una concentrazione che prevede, da un lato, lo studio delle patologie specifiche di cui l'anziano è portatore, dall'altro le modalità concrete per farsi carico di queste patologie, quindi, il modello assistenziale, un modello ospedaliero, un modello ambulatoriale, un modello misto. In terzo luogo, ci dice anche un'altra cosa molto importante, che non c’è patologia di tipo sanitario dell'anziano che non abbia contestualmente una sua dimensione sociale. Le patologie dell'anziano sono sempre patologie di tipo socio sanitario, di cui sono parte integrante anche le sofferenze sotto il profilo psicologico, non a caso molto spesso nella geriatria noi troviamo che il geriatra esperto è anche uno psico-geriatra e c’è proprio una visione integrata della persona umana e, nello stesso tempo, sappiamo, però, che la solitudine resta uno di quei fattori induttori di percezione dei segnali che provengono dal proprio corpo che con più facilità inviano al medico e alla presa in carico. In tutto questo che vuole essere semplicemente un piccolo cappello che io ho fatto al quadro, cosa troviamo noi nei LEA ? Nei LEA troviamo una sorta di quella che io chiamo «dispersione di punti di riferimento», dobbiamo andare a cercare in diversi passaggi dove si parla di anziani, come si parla di anziani e perché si parla di anziani, concretamente dove andare a pescarli negli articoli 3, alla lettera oppure nell'articolo 21, ai commi 2, 3 e 4, oppure negli articoli 23 e 27, ma ogni volta se ne parla sub specie di un dato, un elemento, una sfaccettatura. Ecco, ciò che invece l'anziano chiede è una presa in carico globale; per questo quando si parla dell'anziano si parla di una visita multidimensionale.
Non possiamo immaginare di prendere un anziano, immaginando una struttura ospedaliera con tanti ambulatori che si affacciano lungo lo stesso corridoio e già questo sarebbe un vantaggio incredibile; avere gli ambulatori disponibili nello stesso giorno e lungo lo stesso corridoio potrebbe quasi considerarsi il miracolo del secolo, mentre, invece, sappiamo perfettamente come le visite diverse vengano assegnate agli anziani in giorni diversi, con la fatica fisica di andare, di andare a cercare, di andare a vedere dove sta questo medico o dove sta l'altro, con la fatica di prenotare le visite un giorno piuttosto che un altro e, soprattutto, di ottenere ogni volta una risposta parcellizzata, che prevede un'indicazione terapeutica diversa, senza che ci sia nessuno nell'ambito della struttura che senta il bisogno di integrare i dati diagnostici e terapeutici. Quindi, vi è la fatica di fare la sintesi, a un certo punto di mettersi davanti tutte le proprie analisi, tutte le proprie ricette e di cercare di capire «ma io che cosa c'ho davvero ?», oppure ancora «ma io che cosa devo prendere di tutte queste medicine ?», con tutti i problemi, sappiamo benissimo, che può avere un anziano anche semplicemente nella memorizzazione dei rituali: «la avrò presa, questa medicina, non la avrò presa ?». È vero che sono state inventate delle scatoline che servono apposta a facilitare nell'anziano la memoria delle medicine prese e delle medicine non prese, però quello che l'anziano chiede e quello che i geriatri da anni chiedono e propongono è che si possa avere una visita multidimensionale, in cui è la figura del geriatra, nella complessità di persona che conosce i problemi a 360 gradi, ad avere la responsabilità di «regista», cioè di medico di riferimento che fa la sintesi di tutto questo.
Tutto questo avrebbe potuto rappresentare una semplificazione nel lavoro della struttura, avrebbe potuto semplificare il riconoscimento della qualità della relazione interpersonale medico-anziano, ma avrebbe potuto significare, anche dal punto di vista dell'assunzione di farmaci, una sintesi molto più ragionevole e molto più razionale, perché sappiamo tutti che, poi, scatta nell'anziano una sorta di resistenza a prendere tutti quei farmaci, per cui prevale una sorta di «fai da te», per cui «questo lo prendo, questo non lo prendo, di questo tre pillole, di quest'altro ne prendo due, non posso prendere tante pillole nell'ambito di una giornata». Manca questo punto di riferimento.
Ora, noi, nell'interpellanza, chiediamo, visto che nel nuovo modello dei LEA è previsto che ogni anno ci sia un aggiornamento dei LEA, se non sia il caso di inserire nella sua specificità, nella sua semplicità e nella sua unitarietà, la possibilità di ottenere una visita multidimensionale, in cui tocchi a un solo medico, che in quel momento assume la responsabilità di questo paziente, la possibilità di precisare e di puntualizzare i diversi accertamenti, se sono diversi accertamenti necessari, disponibili e poi di offrire al paziente una unica risposta, quello che si chiama una sorta di colloquio di restituzione, in cui l'anziano possa tornare a casa avendo capito che cosa ha, cosa deve prendere e cosa deve fare a garanzia della qualità della sua salute.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico, Antonio Gentile, ha facoltà di rispondere.
ANTONIO GENTILE, . Grazie, signora Presidente. Onorevole Binetti, lei è molto attenta a questi temi sociali, conosce bene le leggi e ci ha dato anche un aggiornamento su tutti gli ultimi avvenimenti della società italiana, però l'aggiornamento del nomenclatore nazionale della specialistica ambulatoriale prevede una serie di visite specialistiche, prima visita e poi visita di controllo, che di norma afferiscono alle branche specialistiche indicate nel nomenclatore. Come è noto, questa articolazione è finalizzata esclusivamente all'applicazione delle disposizioni in materia di compilazione della ricetta e di partecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini e non riveste alcun carattere definitorio, né delle competenze degli specialisti coinvolti, né dei professionisti e delle strutture abilitate all'erogazione delle prestazioni, che formano l'oggetto della normativa nazionale e regionale in materia di autorizzazione all'esercizio delle attività sanitarie di accreditamento.
Le visite di competenza geriatrica potranno essere, in ogni caso, prescritte utilizzando le rispettive prestazioni previste per le visite non espressamente codificate: codice 89.7, che è la prima visita, escluse le prime visite specificamente codificate, codice 89.01, visita di controllo, di routine o di escluse le visite di controllo specificamente codificate.
Per quanto attiene alla valutazione multidimensionale, la stessa si rende necessaria se l'anziano presenta esigenze sanitarie e sociosanitarie complesse, tali da richiedere una valutazione dei bisogni sanitari, assistenziali e tutelari. Tale attività, rientrante nei livelli essenziali di assistenza, può essere richiesta anche dal medico specialista e viene effettuata dall’équipe multidisciplinare del distretto con il coinvolgimento di tutte le componenti dell'offerta assistenziale sanitaria e sociosanitaria. Essa esita nella definizione di un progetto di assistenza individuale (PAI), che include gli specifici trattamenti medici, riabilitativi, infermieristici e di aiuto infermieristico, nonché gli obiettivi e i risultati attesi in termini di mantenimento o miglioramento dello stato di salute nel quale sono individuati il livello di complessità e di intensità di cura, la durata dell'intervento e il assistenziale più appropriato, sia esso domiciliare, residenziale o semiresidenziale, tenendo conto delle condizioni sociali ed ambientali di provenienza dell'anziano non autosufficiente.
PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza. Prego, onorevole.
PAOLA BINETTI. Sarei più soddisfatta se avessi capito se le buone cose dette dal sottosegretario sono un fatto o sono semplicemente una aspirazione, perché la realtà concreta è che le cose non funzionano così quando un anziano va in un ambulatorio, quando l'anziano va, per esempio, non dico presso un pronto soccorso, ma quando si rivolge a porre la sua problematica, che sia di tipo prevalentemente cardiologico, ma mai esclusivamente cardiologico, potrebbe essere anche una problematica di tipo tumorale, ma non esclusivamente tumorale perché coinvolge tutti gli altri aspetti, che sia una problematica ortopedica, ma mai solo ed esclusivamente ortopedica.
Il sottosegretario, all'inizio del suo intervento, ha sottolineato una cosa che avevo dimenticato di dire, e cioè come tutto questo ha anche un effetto di moltiplicatore economico di spesa per l'anziano, perché per ognuno di questi posti dove va, deve affrontare un costo specifico, che sia anche il costo del però comunque deve affrontare dei costi specifici. Io voglio dire che noi stiamo chiedendo, di necessità, una revisione e una rivalutazione di quella che è la stessa geriatria come medicina. Teniamo presente che oggi la branca della medicina che più e meglio incarna l'ideale – di cui tutti a volte ci riempiamo la bocca – di una medicina globale, di una medicina personalizzata, di una medicina che prenda in carico non gli organi o le malattie, ma il paziente nella sua complessità, oggi come oggi è praticamente solo la pediatria, da un lato, e la geriatria, dall'altro, cioè branche della medicina che fanno perno su quella che è l'età, e nell'età includono la complessità del paziente.
Sicuramente, tra l'altro, mi fa piacere vedere qui anche il sottosegretario De Filippo, nella sua nuova veste al MIUR, perché una delle cose che noi chiediamo anche da tempo è che il numero dei posti nelle scuole di specializzazione di geriatria aumenti, semplicemente perché aumenta la richiesta, aumenta la necessità della competenza, aumenta la necessità che questo nuovo modello di integrazione si diffonda. Non ci dimentichiamo che il geriatra è chiamato a fare sintesi tra le diverse branche della medicina, quindi è la persona che, giocoforza, trovandosi davanti a un paziente complesso, deve operare nella linea del recupero della visione d'insieme del paziente. Ciò è quello che, oggi come oggi, può fare questa dimensione di una medicina personalistica, prima, più e meglio di quanto non faccia il singolo gastroenterologo, piuttosto che il cardiologo, piuttosto che l'oncologo o l'ortopedico o chi sia. Mentre, giocoforza per questi specialisti è il concentrarsi sull'organo e sulla patologia, chi recupera la visione d'insieme e, quindi, rimanda a una visione unitaria dell'uomo, oggi, sono il pediatra per i piccoli e il geriatra per le persone, chiamiamole così, che hanno superato una certa età. Già sarebbe abbastanza complesso dire che cosa significa «superata quell'età», a volte lo stesso geriatra sostiene che il termine geriatria si riferisce a un'età che ormai va, non me ne voglia nessuno in quest'Aula, dai 65 (che una volta era l'età canonica al momento in cui si andava in pensione e costituiva, in quel momento, la famosa terza età), fino ai 90.
Cioè, noi dobbiamo coprire l'arco di vita di un paziente: è statisticamente dimostrato che nel momento stesso in cui va in pensione si attenua, si allenta quello che è il suo interesse nei confronti del contesto sociale, nel senso che ne riduce la responsabilità specifica. È come se aumentasse, quasi contemporaneamente, l'attenzione e la concentrazione su di sé, sul proprio corpo, sulle proprie condizioni. Quindi, questa situazione del tutto particolare, che prevede davvero milioni di persone che accedono alle cure, non è coperta in modo adeguato. Non ci sono specialisti, non c’è nemmeno quella rivisitazione importante, che tante volte, ad altri livelli, noi abbiamo denunciato, che è la dimensione sociosanitaria. Le patologie dell'anziano nascono molte volte, prevalentemente, in un contesto sociale di solitudine, in un contesto sociale in cui si sente, in qualche modo, trascurato, abbandonato e lo riverberano immediatamente sul sintomo fisico. Per quale ragione ? Perché è l'unico modo per vincolare l'attenzione dei figli o di qualcuno a se stesso: se sto male dovranno farsi carico di me.
Ma se non c’è una competenza ampia, quello star male si traduce in una enfasi messa proprio sulla patologia organica, sulla biologia, su questo corpo malato, ma non restituisce a questa persona una dimensione del guardare alla vita con un progetto nuovo, diverso da quello che ha avuto fino a quel momento; un progetto nuovo, che è un progetto di interessi, che è un progetto di impegni, che riscrive. Non è facile: se pensiamo all'attenzione che mettiamo nella programmazione della vita di una persona da zero a vent'anni, potremmo dire da quando nasce a quando si laurea, per dirla in qualche modo, non mettiamo, invece, alcuna attenzione nella programmazione, nella pianificazione, nella valorizzazione di quelli che, invece, sono gli ultimi – chiamiamoli così – vent'anni di vita di una persona – i 65-85 –, che, in questo momento, possiamo immaginare arrivino fino a trenta.
È chiaro che li si riempie di malattia, non solo perché l'organismo presenta l'usura di una vita spesa in una serie di impegni, ma perché presenta la consunzione anche di quelli che sono la progettualità, il senso di vita, eccetera. Noi abbiamo bisogno che il geriatra svolga questo lavoro e lo svolga nella completezza e nella compiutezza di chi non si fa distrarre dagli obiettivi veri per concentrarsi, magari, su obiettivi più semplici. Noi sappiamo tutti che la cosa più semplice è scrivergli una ricetta e mandarlo a casa con la ricetta, perché questo, in qualche modo, soddisfa un bisogno immediato, ma non risolve un problema: non lo risolve sul piano sociale, non lo risolve sul piano economico, non lo risolve sul piano psicologico, non risolve anche nell'ambito di quella che potremmo chiamare la dignità del lavoro professionale di ognuno di noi, come medici, ma anche come legislatori.
Quindi, io mi auguro davvero, sottosegretario Gentile, che lei sappia riportare ai suoi colleghi del Ministero della salute tale necessità. Il modo stesso – mi scusi e, poi, concludo –, con cui lei ha voluto ripercorrere, sicuramente, le possibilità di accedere sono afflitte da burocraticismo spinto: lei non può pensare che un poveraccio di ottanta o di ottantacinque anni, che probabilmente non guida più, arrivi lì, ci arrivi con i mezzi pubblici, debba aspettare delle ore, non riuscendosi a rendere conto – perché le dimensioni degli ospedali sono dimensioni macro – dove deve andare, come deve andare, a chi chiedere.
Non è possibile: noi dobbiamo mandarlo in un luogo preciso, concreto, unico, dove è lì che gli altri vanno per prendersi cura di lui. Questo significa visita multidimensionale: non sono io ad andare di ambulatorio in ambulatorio, a raccogliere, di laboratorio in laboratorio, i risultati delle mie analisi, ma, in un luogo concreto in cui sto, vengono gli specialisti, arrivano i risultati di analisi, si scrive l'unica ricetta che deve rispondere della qualità della mia vita e della mia salute. Visita multidimensionale significa un modello nuovo di assistenza che è quello che noi vorremmo a garanzia di una umanizzazione della nostra medicina.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Cenni ed altri n. 2-01651 .
Chiedo alla deputata Cenni se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
SUSANNA CENNI. Grazie, signora Presidente. Qualche settimana fa a Siena, all'esterno di una storica scuola dell'infanzia, l'asilo «Monumento», è stato apposto durante la notte uno striscione, uno striscione gravemente offensivo firmato da Forza Nuova: «La chiamano educazione, è solo perversione», c'era scritto nello striscione.
Le ragioni di questo atto sono riconducibili, indubbiamente, all'intolleranza ed anche che all'uso strumentale di una interrogazione che era stata presentata in consiglio comunale a Siena da una lista di minoranza. Oggetto dell'aggressione dell'interrogazione è stato un progetto didattico: un progetto concordato con i genitori dei piccoli alunni della scuola dell'infanzia sull'educazione di genere. Insegnanti formate, preparate, insegnamento ed educazione alle differenze di genere, rispetto fra i generi, rimozione degli stereotipi di genere: sì, perché non solo i principi, ma anche le principesse possono sconfiggere i draghi.
Non solo questo episodio in quei giorni ha toccato il tema, sempre avendo come protagonista Forza Nuova: sappiamo che a Cesena è stato posto in atto questa sorta di funerale d'Italia mentre si celebrava un'unione civile, motivando questo atto incivile quale una sorta di difesa delle nostre tradizioni, della famiglia naturale come unico canone di riferimento della società.
Io tralascio in questa sede i commenti di carattere politico su comportamenti, dichiarazioni gravi, antistoriche, che non sono certo limitate agli episodi che io ho richiamato nell'interpellanza, per ricordare che questo Parlamento e questo Governo hanno compiuto scelte molto importanti e altre scelte si stanno ancora compiendo.
Io le ricordo molto brevemente (poi, sono richiamate più diffusamente nel testo): la Convenzione di Istanbul, atto che stabilisce un chiaro legame fra l'obiettivo della parità fra i sessi e quello dell'eliminazione della violenza nei confronti delle donne, promuovendo, innanzitutto, la cultura del rispetto fra i generi in ogni dimensione della vita, a partire dalla scuola; il decreto-legge n. 93, convertito, poi, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, che istituiva il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere: una delle finalità di questo piano è proprio l'adeguata formazione del personale della scuola sul contrasto alla violenza, alla discriminazione di genere e la sua promozione nella programmazione didattica curricolare ed extracurricolare delle scuole di ogni ordine e grado, incluse le scuole dell'infanzia; ed ancora, l'articolo 1, comma 16, della legge n. 107 del 2015, la cosiddetta «buona scuola», che, con il piano triennale dell'offerta formativa, dovrebbe assicurare l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità fra i generi; ed ancora, potrei citare alcune regioni, alcune leggi regionali che hanno istituito norme e programmi per l'attuazione dell'educazione di genere e il linguaggio di genere in ogni ordine di scuola. Ed ancora, voglio ricordare che lo scorso 7 febbraio 2017, la Commissione cultura della Camera ha adottato il testo base della proposta di legge che concerne l'introduzione all'educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione.
Quindi, c’è un apparato completo dal punto di vista normativo degli intenti di Governo e di Camera e Senato ad andare in questa direzione. L'attuazione di queste norme, però, viene ostacolata, anche con atti molto gravi come quelli che io ho richiamato.
Pertanto, sottosegretario – vedo che lei è qui presente e risponderà a questa interpellanza –, io sono a chiedere, intanto, se siete a conoscenza di tutti questi gravi fatti, oltre a quelli che io ho richiamato; quali iniziative il Governo intenda porre in atto per mettere fine a queste iniziative e per contrastarle ovviamente; ma, soprattutto, quale sia lo stato di attuazione dell'articolo 1, comma 16, della legge 107 del 2015 e del Piano d'azione straordinario sulla violenza sessuale, perché noi sappiamo che c’è già un tavolo tecnico che ha svolto dei lavori, che quindi attendono di essere trasformati in atti concreti.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.
VITO DE FILIPPO, . Presidente, onorevole Cenni, mi corre l'obbligo innanzitutto di segnalare in premessa che il MIUR è da sempre impegnato a promuovere nelle scuole la cultura del rispetto delle differenze, nonché la consapevolezza dei diritti e dei doveri, con l'obiettivo di formare cittadini sempre più responsabili. In considerazione di ciò, se da un lato le autonomie scolastiche rappresentano il riferimento fondamentale per mettere in atto tutte quelle misure necessarie per prevenire e contrastare ogni forma di violenza e di discriminazione, il MIUR dall'altro esercita il proprio ruolo istituzionale di garanzia, come descriverò, attraverso azioni mirate, il più possibile condivise con tutti i soggetti interessati, cioè le famiglie, gli studenti, le loro associazioni rappresentative e gli organi collegiali, in raccordo anche con le realtà del territorio e degli enti locali.
Anche l'ordinamento italiano, come è stato ricordato dall'onorevole Cenni, a partire dai principi riconosciuti della nostra Carta costituzionale, impegna il Ministero a promuovere politiche finalizzate al rispetto dei diritti umani, contro ogni tipo di intolleranza e di violenza. Non si tratta ovviamente di introdurre la cosiddetta discussa teoria del ma di sensibilizzare ad una cultura inclusiva e solidale, dando attuazione alle indicazioni sul tema espresse dal consesso sia europeo che internazionale: come la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, la cosiddetta Convenzione di Istanbul che è stata citata, ratificata proprio dall'Italia nel 2013 e che è anche citata, dicevo, nell'atto ispettivo in argomento.
VITO DE FILIPPO,. Il decreto-legge n. 93 del 2013 prevede all'articolo 15, comma 1, un Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che dev'essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020. A questo proposito, il Ministero ha coordinato proprio il sottogruppo di lavoro dedicato all'educazione, nell'ambito della interistituzionale che è stata costituita per elaborare quel Piano. Il MIUR ha adottato le linee di orientamento per l'azione di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo: si tratta, anche questo, di uno strumento offerto alla comunità educante, affinché sia posta nelle condizioni di affrontare in modo coordinato e sinergico questi fenomeni sempre più diffusi tra i giovani, purtroppo. Rispondiamo così alle situazioni di disagio degli adolescenti, che coinvolgono in pari misura sia i bulli che le loro vittime nel loro percorso scolastico. Proprio le scuole hanno il compito di realizzare, quindi, interventi mirati alla prevenzione di questi fenomeni e di integrare l'offerta formativa con attività finalizzata al contrasto proprio del bullismo e del cyberbullismo.
Il Ministero ha sostenuto anche la proposta parlamentare in materia di prevenzione del cyberbullismo, come è noto. Si rammenta poi che lo scorso 4 febbraio, ultimo, è stata celebrata la Prima giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo a scuola, promossa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'ambito del e la Giornata mondiale per la sicurezza in rete istituita e promossa proprio dalla Commissione europea. Alla luce di quanto esposto, si ricava che l'azione del MIUR, anche in queste sintetiche descrizioni che ho voluto fare, si sostanzia nel fornire la cornice pedagogica, educativa e culturale nell'ambito della quale le scuole possono promuovere anche autonome iniziative.
In riferimento poi alle iniziative legislative su queste tematiche, si ricorda che l'impegno, non solo del MIUR, ma del Governo e anche dal Parlamento direi, si è sostanziato nell'intervento che stiamo portando a termine, proprio con l'attuazione della legge n. 107 del 2015, in cui è stata inserita, tramite un emendamento, la specifica previsione che il piano triennale dell'offerta formativa assicuri l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni. Questo al fine di informare e sensibilizzare tutte le componenti della comunità scolastica, cioè studenti, genitori e docenti, sui temi della violenza di genere, come previsto nel nostro ordinamento dal già citato articolo 5 della legge n. 93 del 2013.
È di tutta evidenza che l'argomento posto dall'onorevole Cenni interpellante è stato affrontato già in più occasioni ma continua, comunque, a sollecitare dibattiti e pretende sicuramente ulteriori azioni ed iniziative. A questo proposito il Ministero è intervenuto ripetutamente circa informazioni non veritiere diffuse riguardo proprio al comma 16 della legge n. 107. Con una nota del 15 settembre 2015 è stata emanata una circolare volta a ufficializzare la posizione del MIUR sull'esatta portata di quella disposizione. Con quella circolare, diffusa sia agli uffici scolastici regionali sia ai dirigenti scolastici, è stato espressamente scritto che la finalità del comma summenzionato non è quella di promuovere pensieri e azioni ispirate all'ideologia di qualsivoglia natura, bensì quello di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo ai diritti e ai doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le competenze chiave di cittadinanza nazionale europea e internazionale entro cui rientrano la promozione all'autodeterminazione consapevole e il rispetto sicuramente profondo e pieno della persona.
La norma in discorso, quindi, si ispira ai principi di pari dignità e non discriminazione, di cui agli articoli 3, 4, 29, 37 e 51 della nostra Costituzione, ed è volta a far conseguire alle alunne e agli alunni un maggior rispetto delle diversità e anche delle pari opportunità. A questo si aggiunge che, come anche ricordato dall'onorevole interpellante, al fine di orientare le scuole circa la previsione di cui al comma 16, è stato istituito, proprio il 30 ottobre 2015, un tavolo tecnico, con il compito di elaborare apposite linee-guida. Quel tavolo si è insediato il 10 dicembre 2015 e, proprio in ragione e per effetto anche di questo atto ispettivo, mi sono preoccupato di sollecitare la conclusione dei lavori, che dovrebbe giungere veramente a breve, sulla definizione delle cosiddette linee-guida, che devono essere ristrutturate, implementate e ovviamente poi anche diffuse nel sistema scolastico del nostro Paese. A questo riguardo si sottolinea che il Ministero è comunque ancora aperto, ovviamente, ad ogni contributo, nell'ottica di pervenire alla stesura di un documento quanto più ampiamente condiviso, sul quale possono riconoscersi tutte le componenti e le sensibilità rappresentate dalla comunità scolastica nazionale.
VITO DE FILIPPO, . In conclusione, si ricorda che la legge n. 107 del 2015 punta a rendere centrale l'educazione al rispetto e alla libertà dai pregiudizi, riconoscendo dignità alla persona senza esclusione, nell'eguaglianza dei diritti e delle responsabilità per tutte e per tutti. L'educazione alle pari opportunità, alla prevenzione della violenza, al contrasto delle discriminazioni, se è bene intesa non è destinata a produrre conflitti con le esigenze educative delle famiglie perché si tratta di iniziative che danno attuazione proprio a quei principi costituzionali che ho voluto ripetere e ricordare. Per di più la legge n. 107, avendo rafforzato il ruolo degli organi collegiali coinvolgendo in modo più valido e opportuno genitori e studenti, si presenta come uno strumento ancora più adeguato a creare questa cultura del rispetto della persona che ho voluto descrivervi.
PRESIDENTE. La deputata Cenni ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
SUSANNA CENNI. Grazie, Presidente. La ringrazio, sottosegretario, per la risposta, però faccio un po’ fatica a considerarmi soddisfatta, perché nella sua precisa esposizione lei ha sostanzialmente ripreso tutti i punti e i richiami normativi che io avevo già illustrato nell'interpellanza; fatta eccezione per l'auspicio, che faccio mio, che a breve il tavolo insediato nel dicembre 2015 produca queste benedette linee-guida di cui si fa cenno nella legge n. 107 del 2015.
Non trovo, però, risposta all'altro mio quesito e, cioè, lo stato di attuazione del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale.
Anch'esso richiama alcuni obiettivi e compiti che riguardano l'educazione di genere. Quindi, francamente, spero di potere avere un'altra occasione e un altro contesto in cui avere informazioni su questo tipo di impegni che le normative e gli atti di Governo si sono assunti nei mesi passati. Dico questo perché mi pare che sarebbe francamente la risposta più seria che le stesse insegnanti, così impegnate in questo tipo di attività nella scuola dell'infanzia, e non soltanto, si attendono in termini di incoraggiamento, di copertura normativa e anche di risorse che cofinanzino questo tipo di progetti.
Lo dico, sottosegretario, perché il tema dell'educazione di genere, come lei giustamente ha richiamato nella sua risposta, nella sua esposizione, non è un argomento da salotto. Pochi mesi fa la capitale è stata invasa da una marea di donne di tutto il Paese che hanno rimesso al centro il tema della violenza (ancora una volta anche con giorni di confronto, di elaborazione, che hanno preceduto e seguito quella manifestazione) e di altri contenuti. E fra questi contenuti, ancora una volta, ci sono stati i temi della formazione e dell'educazione di genere che sono il primo passo necessario per prevenire ed evitare la violenza, gli stereotipi e così via.
Quindi, le norme varate sono importanti e io sono felice di sentire anche questa mattina dalle sue parole che il Governo le conferma ed è determinato nell'andare avanti, però le norme poi sappiamo tutti quanti che vanno applicate. Io credo che le condizioni per applicarle pienamente esistono, anche per le tante competenze che si stanno spendendo per questi obiettivi (insegnanti, associazioni di donne, linguiste, giuriste). C’è un lavoro avviato, però credo che non ci possiamo permettere in questo Paese di avere ancora un iter che procede così lentamente, soprattutto non ci possiamo permettere di fermare questo lavoro.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Gigli ed altri n. 2-01672 .
Chiedo al deputato Gigli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
GIAN LUIGI GIGLI. Grazie, signora Presidente. Buongiorno, signor sottosegretario. Domenica scorsa, al termine di una giornata trascorsa all'estero, mi sono messo davanti alla televisione, attorno alle 11 di sera, curioso di avere notizie dell'assemblea del Partito Democratico che si era tenuta in quella giornata e mi sono dedicato a fare un po’ di per cercare dichiarazioni di esponenti politici, del segretario del partito Renzi, del Presidente Gentiloni, di quelli che volevano provocare la scissione, eccetera. A un certo punto, gira, gira, mi imbatto su un servizio de che mi vedo in diretta rimanendo veramente esterrefatto, mi creda. Io non so se lei ha avuto poi modo di vederla, ma questa cosa era aldilà di ogni immaginazione.
Io non sto al testo scritto perché dovrei stare a ritirare fuori argomenti scabrosi e non mi piace la non è questo che dobbiamo fare in questo Parlamento. Ma anche perché ormai, purtroppo, sono fatti noti sui quali peraltro la stampa, finché poi il caso non è esploso, ha messo anche un certo silenziatore. Allora però vorrei partire proprio, non andando al testo scritto, esprimendole, sottosegretario De Filippo, la mia sorpresa nel vederla oggi qui. La mia sorpresa perché io avrei voluto la Boschi oggi qua al suo posto. Avrei voluto il sottosegretario Maria Elena Boschi. Lei lo sa, ci conosciamo da tanto tempo, da quando ancora era sottosegretario alla salute, io per lei ho grande stima e la reputo una persona squisita, affabile. Ma avrei preferito la Boschi e l'avrei preferita non per ragioni di ordine estetico e nemmeno di sesso, di genere bisogna dire, non di sesso perché altrimenti si è politicamente scorretti. Dico appunto di genere per evitare poi di incappare in qualche censura dell'UNAR; uno poi rischia di passare per omofobo senza esserlo.
L'avrei preferita, la Boschi, per ragioni di responsabilità politica, nel senso che, come sappiamo, l'UNAR dipende dal dipartimento delle pari opportunità. Vorrei capire cosa c'entrano le pari opportunità con tutto questo, perché le pari opportunità si prefiggono l'obiettivo, nobilissimo, di realizzare la parità tra uomini e donne nell'accesso agli impieghi, alle carriere, eccetera, eccetera. Comunque, sta di fatto, che l'UNAR dipende dal dipartimento delle pari opportunità che, in via gerarchica, fa capo al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Ed è per questo che avrei voluto Maria Elena Boschi.
Ma la avrei voluta anche per un altro motivo, perché secondo parole non smentite del direttore dimissionario dell'UNAR, Francesco Spano, lei avrebbe manifestato apprezzamento comunque per l'opera del direttore Spano; questo almeno è stato rilasciato dagli organi di stampa. Allora io capisco che forse c'era un leggero appiglio per mandare qui lei oggi, perché l'ultimo dei quesiti che io ponevo al Governo riguardava un eventuale ruolo dell'associazione Anddos nell'ambito della chiamiamola propaganda o chiamiamola rieducazione in atto in alcune scuole italiane. Ma era l'ultimo dei quesiti, certamente il minore, e ciò nonostante hanno avuto il buon gusto di mandare lei e io credo – mi consenta questo di dirlo con estrema franchezza – che si è trattato però un po’ di una ritirata strategica, una sorta di fuga se vogliamo, o quanto meno di non metterci la faccia su argomenti che invece meritavano che ci venisse messa la faccia giusta. Allora, detto tutto questo, io credo che i quesiti che noi poniamo alla luce di quel servizio che è andata in onda e di quello che è accaduto dopo, cioè il fatto che il direttore dell'UNAR si sia dovuto dimettere e il fatto che il Governo abbia dovuto sospendere gli effetti del bando in autotutela, pongano alcuni interrogativi seri. E quali sono questi interrogativi seri ? A noi rimane la curiosità di sapere, non so se oggi purtroppo mi potrà rispondere lei, come è stato scelto questo direttore, cioè in base a quali competenze, e quant'altro, è arrivato a quel posto. E poi ci piacerebbe sapere in base a quali strane sollecitazioni l'UNAR da – come recita il nome – Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali (realizzato in base ad una direttiva del Consiglio europeo del 2000 che non aveva niente a che fare con gli argomenti poi dopo prodottisi) sia finito a occuparsi di ciò, in un contesto come quello italiano che voglio ricordare ha seri problemi che si stanno sviluppando di razzismo, di xenofobia, che si stanno sviluppando perché – non è questa la sede per entrarci – è chiaro che ogni volta che si creano fenomeni di transizione, se la transizione è troppo accelerata, poi finiscono per esplodere anche cose poco governabili. Quindi avrebbe avuto argomenti enormi di cui occuparsi, perché c’è un razzismo che sorge dalle periferie di questo Paese. Ebbene, l'UNAR nel corso degli anni, a partire in particolare dal 2012, ha finito per trasformarsi in una succursale di organizzazioni LGBT. Vale la pena di ricordare come proprio già in questa Aula avemmo modo – e fu proprio io il primo a sollevare l'argomento – di far vedere al Governo come fosse inopportuna per esempio la produzione di un certo libretto, che era il libretto che doveva andare nelle scuole e che era parte di una strategia ben più ampia.
Una strategia codificata, che ha visto anche alcune azioni veramente preoccupanti: corsi di rieducazione per gli insegnanti, corsi di rieducazione per giornalisti, per abituarli al linguaggio cioè corsi di rieducazione degni di quello – mi scusi le assonanze – che un tempo avrebbe fatto il Minculpop in epoca fascista.
Ora, l'UNAR è diventato questo: a noi sarebbe piaciuto capire come è potuto diventare questo. Ci sarebbe anche piaciuto sapere come mai di un milione di fondi da allocare... A parte che, a proposto di fondi, non sappiamo manco adesso quanto costa l'UNAR, non sono riuscito a capirlo, perché, nell'ambito del piano dei fondi per la Presidenza del Consiglio dei ministri, figura la voce «zero» all'UNAR, zero. In tutti i bilanci per il 2017, preventivi, diciamo, per il 2016, per il 2015, voce «zero». Mi pare strano che questo Ufficio non costi nulla, anche perché genera un volume, sembra, di consulenze che non finisce più. Quindi, c’è un fiume di denaro che probabilmente esce, però c’è la voce «zero».
Ma rimango alle cifre note: la cifra nota è che c’è stato un milione di euro allocati per la lotta contro la discriminazione non razziale. Bene, con l'emergere del fenomeno razziale che abbiamo in Italia, il 40 per cento di questi fondi, cioè 400 mila euro, sono stati allocati, come se questo fosse il primo problema di questo Paese, per la discriminazione contro gli omosessuali; 400 mila di un milione sono stati allocati per la discriminazione contro gli omosessuali.
E poi avremmo voluto sapere, ammesso che questa avesse dovuto essere la ripartizione dei fondi, sulla base di quali criteri questo bando ha assegnato a Tizio piuttosto che a Caio i fondi, per quali progetti esatti e quale era il progetto presentato, appunto, dall'Anddos, visto che poi, dopo, questa stessa associazione – voglio usare un eufemismo – di culturale aveva molto poco, visto che lì dentro si faceva di tutto e di più.
Avremmo anche voluto sapere se, appunto, tutto questo snaturamento delle finalità dell'Anddos non doveva meritare da parte del Governo una riconsiderazione dell'Ufficio, un riportarlo nei suoi binari originali.
E poi, appunto, c'era l'ultimo quesito, che riguardava il suo Ministero, ma, ripeto, era certamente il minore nell'ambito dell'economia generale di questa interpellanza.
E, infine, avremmo voluto sapere, visto che qui probabilmente si è trattato di una truffa, e mi auguro che su questo lei possa rispondermi, se il Governo contro questa truffa abbia intenzione di svolgere un'azione legale; non solo di congelare i fondi, ma di andare a chiamare in causa i responsabili di un bando che, evidentemente, era un bando truffaldino.
Io, ad altre azioni penali, invece, spero che pensi la magistratura ordinaria, perché lì ci sono, come lei sa, anche vicende che riguardano la legge Merlin sullo sfruttamento della prostituzione e c’è un tema che riguarda l'elusione fiscale, perché si trattava di aziende cosiddette no-profit, che hanno tutti i vantaggi del no-profit, per fare, evidentemente, altri tipi di attività. Ma di questo spero che se ne occupi, ripeto, la giustizia ordinaria.
La ringrazio stamattina per aver sacrificato il suo venerdì a venire a rispondere a questi quesiti. Non me ne vorrà, glielo dico subito: siccome penso che lei potrà, purtroppo, rispondermi fino a un certo punto, non me ne vorrà se io poi, dopo, mi dichiarerò fortemente, probabilmente, insoddisfatto, salvo sorprese da parte sua, per quello che il Governo credo non avrà voluto dirci.
PRESIDENTE. Onorevole Gigli, mi corre l'obbligo di spiegarle che il sottosegretario di Stato De Filippo sta qui a rappresentare il Governo e non il suo Ministero; quindi, la risposta sarà quella che il Governo avrà ritenuto di predisporre.
Il sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.
VITO DE FILIPPO, . Grazie, Presidente. Grazie all'onorevole Gigli. Con riferimento proprio alla sua interpellanza, che concerne gli ultimi eventi che hanno interessato proprio l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, l'UNAR, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, si rappresenta, per quanto di competenza, quanto segue.
Circa le motivazioni che hanno condotto al conferimento dell'incarico di coordinatore dell'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e sull'origine etnica, si segnala che lo stesso è avvenuto, questo conferimento, in conformità alle disposizioni di cui alle direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 gennaio e del 5 settembre 2008.
In particolare, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha provveduto a pubblicare, il 28 settembre 2015, una richiesta di interpello rivolta alla generalità dei dirigenti dei ruoli della Presidenza; successivamente, come è d'uopo, constatata l'infruttuosità di quell'interpello, la Presidenza del Consiglio dei ministri si è determinata a conferire quell'incarico, ai sensi dell'articolo 19, commi 4 e 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, all'avvocato Francesco Spano.
Quest'ultimo risultava, infatti, in possesso dei requisiti di comprovata esperienza professionale a livello nazionale ed internazionale nelle materie di competenza dell'UNAR, nonché in ambito accademico, ed è stato, quindi, ritenuto idoneo ad assicurare, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati e alla complessità della struttura interessata, il buon funzionamento di quell'Ufficio.
Per ciò che, invece, riguarda i criteri attraverso cui l'UNAR effettua le erogazioni dei fondi pubblici, merita puntualizzare che, al pari di tutti gli uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'UNAR eroga fondi pubblici sotto forma di concessione di contributo per progetti ed azioni afferenti le proprie competenze istituzionali, nel rispetto, segnalano, assoluto della legislazione vigente e nella totale trasparenza, anche mediante la pubblicazione delle relative graduatorie sulla sezione «Amministrazione trasparente» dei siti istituzionali del Governo.
In particolare, si segnala che ciascun bando o avviso prevede, oltre alla presentazione di specifica documentazione progettuale volta a comprovare la regolarità dell'attività dei partecipanti ex articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, anche la sottoscrizione del cosiddetto Patto di integrità, finalizzato a conformare l'agire delle associazioni ai principi di lealtà, di trasparenza e di correttezza.
Si ricorda, inoltre, che il bando richiamato dall'interpellante aveva ad oggetto il finanziamento di azioni positive contro la discriminazione e non il funzionamento in generale delle attività delle associazioni che parteciparono a quel bando.
Per ciò che attiene alla riconsiderazione delle competenze dell'UNAR, si ritiene di poter confermare l'attuale quadro di competenze, tenuto conto che l'Ufficio è stato istituito con decreto legislativo n. 215 del 2003, in attuazione proprio della citata direttiva del Consiglio europeo del 29 giugno 2000.
Con riferimento all'opportunità, poi, di sospendere immediatamente l'erogazione dello stanziamento ad Anddos, si rammenta che, apprese le notizie di stampa, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha provveduto a disporre, in via di autotutela cautelare, la sospensione di ogni effetto del decreto direttoriale del 23 dicembre 2016 di approvazione della graduatoria dell'avviso pubblico del 18 ottobre 2016, al fine di procedere ad ulteriori verifiche.
Si ricorda che mediante posta certificata è stato quindi comunicato l'annullamento dell'inserimento in graduatoria di Anddos, e quindi del relativo finanziamento, che peraltro, si sottolinea, non era mai stato erogato.
Infine, si precisa che Anddos non rientra tra gli enti formativi accreditati dal Ministero dell'istruzione e della ricerca, e dunque non è abilitato ad entrare in contatto con gli studenti e con le scuole del nostro sistema scolastico nazionale.
PRESIDENTE. Il deputato Gigli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
GIAN LUIGI GIGLI. Sono soddisfatto certamente per l'ultimo punto, cioè apprendo dal sottosegretario, e questo mi solleva, mi fa piacere, visti i precedenti, che l'Anddos non ha nessun ruolo nell'ambito dei progetti formativi del Ministero dell'istruzione.
Questo certamente mi solleva. Sul resto rimango però molto perplesso sia per quanto riguarda il conferimento dell'incarico, cioè l'interpello andato a vuoto e l'esperienza professionale e accademica, che poi mi piacerebbe anche sapere esattamente qual è. Infatti dunque in giro, sui siti almeno, sembra che il dottor Spano fosse un docente di dialogo interreligioso o cose di questo genere, ma non ho capito bene con che titolo: se era un cultore dalla materia, se era un ricercatore, se era un professore associato, se era un professore ordinario, quale fosse la sua caratura accademica; e non ho capito nemmeno bene quale fosse la sua esperienza internazionale nell'ambito proprio delle competenze dell'UNAR, perché non mi risulta che precedentemente si fosse occupato granché di discriminazione razziale o di discriminazione su base etnica.
Per quanto riguarda l'erogazione dei fondi, è chiaro che è stato fatto un bando. Ho avuto modo poi di verificarlo dopo aver presentato l'interpellanza urgente: sono riuscito a tirarlo fuori con qualche fatica e in effetti c’è un bando. Però mi consenta di dirle – questo è un motivo di insoddisfazione – che non mi pare che i criteri di valutazione siano così espliciti e mi sembra, invece, che lascino molto margine alla discrezionalità delle valutazioni da parte degli organismi competenti, cioè, nel caso particolare, del direttore dell'UNAR.
Infine, la Presidenza del Consiglio, da quanto lei ci ha detto, non ravvisa l'opportunità di ricondurre l'UNAR sotto binari più precisi per quanto riguarda la sua attività. Ne prendo atto, ma faccio sommessamente rilevare, però che è il secondo direttore generale che salta e, quindi, evidentemente forse qualcosa che non funziona c’è o, quanto meno, ce lo dobbiamo chiedere e, ciò tuttavia, il Governo non ritiene che vada modificato.
Allora, avanzo una proposta: cambiamo almeno nome, cioè non lo chiamiamo più ufficio contro la discriminazione razziale, perché non ha più niente a che fare con una razza; chiamiamolo ufficio per la promozione di opportunità per quanto riguarda la comunità LGBT. Va benissimo, basta saperlo insomma. Quello che però si richiede è che, così come è stata invocata una trasparenza e il Governo l'ha detto, analoga trasparenza possa essere utilizzata nel non nasconderlo dietro specchietti per le allodole. L'UNAR è oggi uno specchietto per le allodole.
Io mi auguro che non tutti gli altri fondi andassero a circoli come quello che è stato filmato da non voglio nemmeno pensarlo. Sta di fatto, però, come io ho detto, che c’è una netta sproporzione di interesse per determinate tematiche rispetto ad altre, che, torno a dirle, dal punto di vista sociale sono, a mio avviso, estremamente più pressanti per questa nostra comunità nazionale e mi riferisco, in particolare, proprio al tema del razzismo che sorge da diversi territori.
Concludo perché mi pare che non ci sia materiale, purtroppo, per poter andare avanti su questo tema, forse lei ha ancora buoni uffici presso il Ministero che, con grande competenza, ha frequentato in precedenza il Ministero sulla salute. Mi permetto di dare un sommesso consiglio e lo do da medico ad un ex sottosegretario del Ministero della salute. Quel servizio andava esaminato anche alla luce dei possibili rischi di diffusione di malattie sessualmente trasmissibili: avevamo a che fare con vicende che, per la loro modalità di realizzazione, erano fonte presumibile di contagio di malattie anche estremamente gravi. Mi auguro che anche su tutto questo possa esser fatta qualche luce. Questo certamente non ha niente a che fare con l'UNAR, ma forse è qualcosa di cui tener conto.
Nessuno ce l'ha con le persone che hanno una visione diversa della loro sessualità. Lo facciano tranquillamente, ma non possono pensare né di diventare una razza, visto che parlavamo di discriminazioni razziali, perché non sono una razza, tanto meno una razza protetta, che ha bisogno di essere, come dire, foraggiata nelle sue associazioni e nelle sue attività. Facciano quello che vogliono, nessuno glielo contesta, ma lo facciano senza spese per il contribuente e soprattutto l'UNAR cessi di essere un meccanismo di erogazione di soldi per associazioni di diverso genere che, anche quando non hanno a che fare con questo tema – parlo di altri temi –, spesso sono amici degli amici ed è una modalità che, purtroppo, vediamo anche in altri ambiti, talvolta in legge di stabilità e nei decreti milleproroghe, diventa il modo con cui vengono foraggiate persone ed istituzioni o associazioni che in qualche maniera sono oggetto di produzione di consenso.
Per quanto mi riguarda, comunque, certamente in questo caso il consenso non l'hanno prodotto.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Mannino ed altri n. 2-01668 .
Chiedo alla deputata Mannino se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
CLAUDIA MANNINO. Grazie, Presidente. Allora in questa prima fase di spiegazione mi limiterò a raccontare i fatti e resto in attesa della risposta del Governo.
Semplicemente questa è una vicenda che ci portiamo dietro da molti anni. Parliamo di una procedura di infrazione avviata nel 2003 con una prima sentenza nel 2007, una seconda sentenza nel 2013 e la condanna definitiva nel 2014.
La sentenza ci ha portato, da una parte, a scoprire, dopo tutti questi anni, che avevamo circa 200 discariche abusive, quindi non rispondenti alle norme di legge, e di queste circa 218 discariche, distribuite su 18 delle 20 regioni italiane, 16 contenevano anche rifiuti pericolosi.
A seguito della condanna definitiva e della sanzione inflitta il 2 dicembre 2014, l'Europa ci condanna a 40 milioni di sanzione forfettaria e, per ogni sei mesi di messe in sicurezza non effettuate, fa un calcolo semplicemente matematico: 200.000 euro per ogni discarica che contiene rifiuti non pericolosi non corrispondenti alle norme e 400.000 euro per ogni discarica che conteneva, invece, rifiuti pericolosi.
Dal dicembre 2014 al dicembre 2016 possiamo dire che è cambiato ben poco perché, dopo quella sentenza dei 40 milioni, basta fare un calcolo: ai 40 milioni è seguita una multa di 42,9 milioni e, a luglio 2015, abbiamo pagato 39,8 milioni. Quindi nell'arco di sei mesi abbiamo bonificato, messo in sicurezza o verificato pochissime discariche.
A dicembre del 2015 paghiamo ulteriori 33,4 milioni e ad agosto 2016 paghiamo ulteriori 27,8 milioni; per un totale, ad agosto 2014, di oltre 141 milioni.
L'interpellanza urgente chiede, quindi, in maniera molto semplice – mi auguro, tuttavia, che il Governo voglia anche fare un esame di quanto è accaduto all'indomani di questa condanna definitiva – di sapere a quanto ammonta la sanzione che è scattata a dicembre 2016 dato che siamo arrivati ormai quasi a marzo 2017 e considerato che nelle precedenti sanzioni la Commissione europea si è presa circa un mese, un mese e mezzo per comunicare all'Italia l'ammontare di tali sanzioni. Affermo questo alla luce di tutto quanto è accaduto dopo e mi limito quindi ad ascoltare la risposta del Governo e a fare poi le valutazioni in fase di replica.
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.
SILVIA VELO, . Grazie, Presidente. È stato detto anche dall'interrogante: il 2 dicembre 2014 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento di una sanzione forfettaria di circa 40 milioni di euro e di una penalità semestrale calcolata per il primo trimestre a partire da un importo iniziale di 42,8 milioni di euro in ragione della mancata esecuzione della sentenza di condanna del 26 aprile 2007 da parte delle amministrazioni comunali e regionali sul cui territorio ricadono le discariche non in regola con la direttiva rifiuti n. 75/442 e con la direttiva n. 91/689.
Da tale importo si devono detrarre 400.000 euro per ciascuna discarica contenenti rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. La sentenza di condanna riguardava complessivamente 200 discariche.
Il Ministero dell'ambiente, anche con l'organizzazione della struttura di missione per il Dipartimento delle politiche europee, ha immediatamente intensificato l'azione di supporto tecnico-amministrativo alle regioni ed ai comuni coinvolti per coadiuvarli nelle attività di messa a norma delle discariche in infrazione, attività che richiedono interventi strutturali. Le questioni in argomento hanno, infatti, rappresentato fin da subito un obiettivo primario per il Governo.
In seguito a tale attività, a valle della prima scadenza del 2 giugno 2015, la Commissione europea ha stralciato quindici siti, con la decisione del 15 luglio 2015, riducendo il numero di quelli in infrazione da 200 a 185. Successivamente, per la seconda scadenza del 2 dicembre 2015, la Commissione europea ha accolto favorevolmente, e quindi eliminato dalla procedura di infrazione, 30 siti, decisione dell'8 febbraio 2016. Pertanto, le discariche in infrazione si sono ridotte ulteriormente da 185 a 155.
Per la scadenza del 2 giugno 2016, i servizi tecnici della Commissione hanno ritenuto regolarizzati ulteriori 22 siti, con la decisione del 15 settembre 2016, facendo ridurre le discariche in infrazione da 155 a 133. Infine, per la quarta scadenza semestrale del 2 dicembre 2016, sono state inviate alla Commissione europea 40 certificazioni degli enti territorialmente competenti attestanti la regolarizzazione dei rispettivi 40 siti. Alla data odierna tali certificazioni risultano ancora in istruttoria presso i servizi tecnici della Commissione europea, che ne verificherà l'idoneità.
Pertanto, la Commissione non ha ancora notificato l'ingiunzione di pagamento relativo alla quarta penalità, che tuttavia è attesa a breve. Ad ogni modo si fa presente che sul sito del Ministero dell'ambiente sono pubblicate e aggiornate con scadenza semestrale tutte le informazioni inerenti la procedura oggetto appunto dell'interpellanza.
PRESIDENTE. La deputata Mannino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
CLAUDIA MANNINO. Grazie, Presidente. Purtroppo, non posso ritenermi soddisfatta, pur capendo che ovviamente l'oggetto principale, quello di quanto ammonta, è una comunicazione che ci deve arrivare dalla Commissione europea. Come dicevo in premessa o comunque nella spiegazione dell'interpellanza, non mi reputo soddisfatta proprio per tutto quello che è successo all'indomani di quella sentenza. Allora, cosa è successo all'indomani di quella sentenza, di quella condanna definitiva ?
Con la legge di stabilità per il 2016, questo Governo ha voluto adottare il principio di rivalsa sui comuni, cioè ha detto che, pur essendo lo Stato italiano il soggetto che paga la Commissione europea, queste quote che il Paese Italia paga all'Unione europea verranno prese e richieste per mezzo di mancati trasferimenti nei confronti di quei territori dove si trovano le discariche abusive. E, siccome parliamo di quote abbastanza elevate, ovviamente qui dovrebbe intervenire un qualche senso di responsabilità, sia ovviamente da parte degli enti locali in cui si trovano le discariche, sia da parte del Governo, perché parliamo di cifre veramente elevate che mettono in difficoltà, o meglio in dissesto quelle amministrazioni.
Ma, come se ciò non bastasse, la critica che io mi permetto di fare al Governo è sulle tempistiche, perché, sì, nell'arco di due anni in cui abbiamo pagato 140 milioni che chiederemo a quei comuni abbiamo ridotto del 50 per cento il numero delle discariche, ma il ritmo, a mio avviso, è veramente lento ed è veramente lento anche perché col decreto-legge sugli enti locali abbiamo istituito un commissario, che doveva in qualche modo accelerare le procedure, ma solo per quegli enti locali che avevano già in qualche modo avviato qualche procedura, perché in realtà ci sono poi anche degli enti locali che il problema continuano a non porselo completamente. Ma, come se ciò non bastasse, lo stesso Ministro Galletti, il 17 novembre del 2016, quindi dopo quasi due anni dalla sentenza, ha detto che era necessaria una valutazione puntuale delle singole discariche per mezzo della Conferenza Stato-regioni.
Ad oggi non ci risulta che ci sia questo tavolo tecnico o almeno non mi è dato sapere come procede, perché appunto quei comuni che hanno in qualche modo affrontato la situazione sollevano questo problema perché devono capire come comportarsi con i loro bilanci comunali.
Faccio solo un esempio per fare capire un po’ come questa situazione, che si porta avanti dal 2003 (siamo al 2017) da quasi quattordici anni proceda, di come questa lentezza sia il principale problema perché, tanto per fare un esempio, il comune di Augusta, in Sicilia, si ritrovava inizialmente con due siti inquinati, due siti inseriti tra le discariche abusive, di cui uno era la rada di Augusta, quindi era in mare e quindi non era una discarica abusiva e questo ha portato alla sua cancellazione, però intanto il Paese Italia e un domani, col principio di rivalsa, anche il comune di Augusta dovrà pagare questa quota che lo Stato gli richiede, così come anche il campo di calcio, che ricade in un SIN e quindi di conseguenza l'amministrazione comunale di Augusta – ma è solo per fare un esempio – dovrà in qualche modo pagare perché lo Stato l'ha chiesto agli enti locali e non l'ha chiesto, invece, a chi è il referente del sito di interesse nazionale.
Davanti a questa lentezza, cosa abbiamo fatto noi, con l'obiettivo sicuramente di rintracciare i responsabili, ma anche, a nostro avviso, con l'auspicio che veramente il Governo prendesse un'accelerata dal 2003 a oggi, cosa che devo dire non è avvenuta ? Cosa abbiamo fatto ? Il 17 dicembre del 2014 abbiamo presentato un esposto per danno erariale alla Corte dei conti della regione Lazio affinché la Corte dei Conti verifichi chi sono effettivamente i soggetti responsabili di tale danno erariale.
La stessa regione Campania, il 29 giugno del 2016, quantifica per la regione Campania un danno erariale di 27 milioni in capo ad alcuni amministratori e – notizia di pochi giorni fa – sempre la Corte dei Conti della regione Campania il 15 febbraio dice che a pagare saranno i soggetti inadempienti e non genericamente gli enti locali, che poi ovviamente devono ripartire questi mancati trasferimenti o queste richieste di rimborso da parte dello Stato ovviamente tagliando i servizi al cittadino.
Ma, come se ciò non bastasse ad avallare che il Governo dovrebbe fortemente accelerare questa procedura, anche la Ragioneria dello Stato l'11 febbraio 2016 ha sostanzialmente dato in qualche modo ragione, con un comunicato stampa, a quello che era l'obiettivo del nostro esposto per danno erariale, dicendo appunto banalmente che non può essere sempre Pantalone a pagare, cioè non possono essere sempre gli ignari cittadini a pagare. Ci dovrebbero essere, a fronte di queste considerazioni, delle azioni del Governo non con un principio di rivalsa, ma con effettive responsabilità di tutti quei soggetti che in tutti questi anni non hanno effettivamente lavorato e minimamente si sono interessati a queste attività di bonifica o messa in sicurezza e verifica.
A questo ragionamento si aggiunge che informalmente a me risulta che il commissario individuato con il DL enti locali non avrà attività, nel momento in cui lo riusciate ad individuare – perché mi risulta anche che un soggetto che era stato individuato ha di fatto rinunciato per non so quali motivazioni all'incarico –, nel momento in cui individuerete un commissario per completare e accelerare i tempi su questa situazione, ebbene questo potrà agire solo per quei territori in cui i comuni siano stati totalmente inadempienti, lasciando invece in disparte quei comuni che in qualche modo si siano occupati della questione.
Ma, oltre all'esposto alla Corte dei Conti, abbiamo anche – io personalmente, ma so che anche altri colleghi, ho seguito la stessa attività sulle varie regioni italiane coinvolte – presentato degli esposti in procura, ovviamente contro ignoti, affinché la procura verifichi, alla luce di tale sentenza, chi sono i soggetti che effettivamente non hanno provveduto alla bonifica e quindi il reato è quello di mancata bonifica. Per questo motivo, abbiamo anche sollecitato la regione, in particolare io ovviamente parlo alla regione siciliana, ad agire in autotutela, abbiamo proceduto con delle diffide nei confronti della regione affinché questa situazione sia veramente accelerata, anche perché in Sicilia abbiamo 12 discariche abusive.
A fronte di questo esposto che io ho presentato alla procura di Palermo qualche giorno fa – e lo ammetto con non poco stupore e sarò curiosa di andare a verificare gli atti nei prossimi giorni – mi è arrivata una richiesta di archiviazione del provvedimento da parte della procura di Enna, mi auguro perché, appunto, il sito di Enna sia, di fatto, stato bonificato. Ma la richiesta dell'esposto era quella di capire chi non aveva effettuato la bonifica e, di conseguenza, capire il danno erariale che questo comporta.
Sinceramente, sottosegretario, non mi posso ritenere soddisfatta per due ragioni; una, per l'eccessiva lentezza, noi continuiamo a pagare all'Unione europea e col principio di rivalsa ad accanirci contro le amministrazioni comunali vigenti, quando, essendo un provvedimento iniziato nel 2013 e in qualche modo concluso nel 2014, i responsabili non possono ovviamente essere quelli che stanno amministrando in questo momento quei territori, ma ovviamente, a essere i soggetti responsabili di tale inadempienza, devono essere i sindaci di quei comuni gli assessori all'ambiente delle regioni coinvolte i presidenti di regione e i Ministri dell'ambiente che hanno sottovalutato questa questione, come tante altre, con le procedure di infrazione che sono e in attesa di sanzione, una fra tutte ricordo quella sulla depurazione. Un'ultima annotazione su una questione che ovviamente non ha a che fare con questa interpellanza, la voglio fare relativamente alla depurazione delle acque.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
CLAUDIA MANNINO. Concludo. Ebbene, noi come Paese, abbiamo una bellissima delibera CIPE che doveva essere utilizzata per finanziare la depurazione, gli impianti di depurazione su tutto il territorio nazionale, sappiamo benissimo la devastante situazione, sappiamo benissimo che c’è un codice degli appalti, in teoria nuovo, ma già aggiornato, che non funziona, anche quella situazione continua ad andare avanti con assoluto silenzio. Mi auguro che, poi, un giorno, questa delibera CIPE non debba essere convertita per pagare le sanzioni all'Europa e noi continuiamo ad avere un sistema di acque inquinate veramente da terzo mondo.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. La ringrazio, Presidente Sereni. Io chiedo la parola per il sollecito di due atti di sindacato ispettivo. Non saranno grandi temi di filosofia politica, ma sono certamente temi che, secondo il mio avviso, meritano di essere trattati e meritano di coinvolgere il mandato parlamentare degli eletti in quest'Aula, Presidente. Un atto di sindacato ispettivo riguarda la curiosa competenza del comune di Milano sull'aeroporto di Segrate e sugli strumenti di rilevazione elettronica delle violazioni al codice della strada che sono stati impiantati nella prossimità di questo aeroporto. Un'altra interrogazione riguarda il curioso che c’è attorno alle cosiddette ZTL, le zone a traffico limitato, e che vede protagoniste le società che istituiscono, montano per molte amministrazioni, queste società, e in cambio ricevono dalle amministrazioni la gestione delle multe e dei ricorsi. Quindi, tutto questo innesca un circuito vizioso che fa proliferare le multe e, probabilmente, anche i ricorsi a danno, chiaramente, dei cittadini e degli automobilisti i cui diritti vengono violati in maniera sistematica, perché questi strumenti vengono utilizzati in maniera vessatoria. Ecco, chiediamo al Governo di rispondere a queste interrogazioni, perché crediamo che si debba dare una risposta a questi cittadini e si debba fare chiarezza in un mondo dove, probabilmente, di chiarezza ce n’è davvero poca.
PRESIDENTE. Avverto che, con lettera del 23 febbraio, il presidente della Commissione affari costituzionali ha rappresentato che l'ufficio di presidenza ha concordato in ordine all'esigenza che l'esame della proposta di legge n. 3558, recante misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista, già previsto a partire da lunedì 27 febbraio, sia differito al prossimo 15 marzo, in ragione della complessità del provvedimento.
Avverto, inoltre, che con un'ulteriore lettera, sempre datata 23 febbraio, lo stesso presidente Mazziotti Di Celso ha comunicato che la Commissione affari costituzionali, a seguito della mancata espressione del parere da parte della Commissione bilancio, non ha potuto concludere l'esame della proposta di legge n. 3683 e abbinate, recante l'istituzione della «Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie», iscritta nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da lunedì 27 febbraio, con la clausola: «ove conclusa dalla Commissione».
Avverto, altresì, che con riferimento alla proposta di legge n. 1142 e abbinate, recante norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, il cui esame è previsto dal calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da lunedì 27 febbraio, il presidente Marazziti, con lettera del 23 febbraio, ha rappresentato che l'orientamento maggioritario della Commissione affari sociali è nel senso di concluderne l'esame in sede referente entro giovedì 2 marzo, al fine di attendere l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni affari costituzionali e giustizia sul provvedimento.
L'esame di tali provvedimenti non sarà, pertanto, iscritto all'ordine del giorno delle sedute della prossima settimana e alla loro iscrizione in un successivo calendario dei lavori potrà provvedere la Conferenza dei presidenti di gruppo.
Avverto, infine, che nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicata l'organizzazione dei tempi relativa ai seguenti provvedimenti: proposta di legge n. 3772-A e abbinate, recante modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici; proposta di legge n. 3500-A, recante disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.