PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ROBERTO CAPELLI, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Bobba, Boccia, Matteo Bragantini, Bratti, Caparini, Catania, Centemero, Dambruoso Damiano, Dellai, Di Gioia, Epifani, Fontanelli, Giachetti, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Incerti, La Russa, Laforgia, Losacco, Manciulli, Marcon, Mazziotti Di Celso, Merlo, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Rossomando, Sanga, Schullian, Tabacci e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente centoquattordici, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna allegato A.
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Sospendo pertanto la seduta, che riprenderà alle ore 10.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 4135-A: Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato; e delle abbinate proposte di legge nn. 2014-3108-3120-3268-3364.
Ricordo che nella seduta di ieri è stato da ultimo approvato l'articolo 13.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 14 e dell'unica proposta emendativa ad esso riferita
Nessuno chiedendo di parlare, invito i relatori e il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulla proposta emendativa.
CESARE DAMIANO, . Grazie, Presidente. Emendamento 14.1 Simonetti: invito al ritiro o parere contrario.
PRESIDENTE. Onorevole Simonetti, il parere del relatore per la minoranza Lega Nord ? Colleghi, per favore ! Onorevole Laffranco, onorevole Latronico, se vi accomodate, mentre l'onorevole Simonetti ci dà il parere.
ROBERTO SIMONETTI, . Favorevole, Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Ciprini ?
TIZIANA CIPRINI, . Contrario.
LUIGI BOBBA, . Conforme al relatore di maggioranza.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento 14.1 Simonetti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Gribaudo.
TIZIANA CIPRINI, . Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Ciprini, su cosa ? Cambia il parere ?
TIZIANA CIPRINI, . Ho letto la pagina sbagliata, scusi. Sull'emendamento 14.1 Simonetti il parere è: astenuto.
PRESIDENTE. Si rimette all'Assemblea.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gribaudo. Ne ha facoltà.
Nella speranza che poi anche i colleghi utilizzino i venti minuti per svolgere le funzioni preposte. Prego.
CHIARA GRIBAUDO. Sì, grazie Presidente. Naturalmente noi oggi continuiamo la discussione su un provvedimento atteso da anni, un provvedimento che parla a un pezzo del mondo del lavoro, che rappresenta un quarto del PIL nel nostro Paese, un provvedimento che di fatto include, per la prima volta, nel nostro Paese lavoratrici e lavoratori che erano stati messi ai margini, ai margini di un'esclusione sociale, senza diritti e senza tutele.
Per questa ragione anche questo articolo ci richiama a un argomento di cui abbiamo già discusso ieri. Ieri dicevamo che è importante andare a dare delle risposte puntuali, delle risposte puntuali che devono arrivare dopo questo provvedimento, che mira intanto a dare delle tutele a tutti, mira a riconoscere il lavoro genuino, puro, mira, quindi, a una semplificazione del mercato del lavoro giusta e necessaria, dopo anni di precarizzazione, di flessibilità, che ha voluto dire troppe forme contrattuali, troppa precarietà. Oggi, invece, con la prima parte del che ha ridotto alcune forme contrattuali, quelle più precarie, e con questo provvedimento, che estende tutele a chi versa alla gestione separata, si va nella direzione giusta e cioè si dà un elemento di garanzia a tutti coloro che in questi anni sono stati esclusi dalle tutele. Penso al tema della maternità, della malattia, e in questo senso l'articolo 14, in maniera puntuale, dà anche delle risposte rispetto a una normazione successiva, che deve essere maggiormente dettagliata, delle tante professionalità che si sono formate in questi anni all'interno del nostro Paese.
Su questo io penso che ci sarà un impegno successivo, in cui dobbiamo dare risposte al mondo dello spettacolo, al mondo delle nuove professioni che sono emerse e altresì alle nuove esigenze, che all'interno degli ordini professionali, gli ordini più classici, sono cresciute e sono cambiate in questi anni, soprattutto guardando alle nuove generazioni che, più di altri, hanno utilizzato la partita IVA e si sono iscritte alla gestione separata per poter lavorare nel nostro Paese. La ringrazio, Presidente.
PRESIDENTE. Ringrazio io lei, onorevole Gribaudo, e prego anche i colleghi, se e quando è possibile, di evitare di passare davanti agli oratori che intervengono, se non altro per una questione, se non di rispetto verso l'oratore, che pure sarebbe dovuto, quanto meno di decenza nei confronti dei lavori della nostra Assemblea.
Siamo sull'emendamento 14.1 Simonetti su cui vi è un invito al ritiro, altrimenti parere contrario. Immagino che l'onorevole Simonetti non intenda accettare l'invito al ritiro.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14.1 Simonetti, con il parere contrario della Commissione e del Governo, favorevole del relatore della Lega Nord, e sul quale si rimette all'Assemblea la relatrice del MoVimento Cinque Stelle.
Dichiaro aperta la votazione.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 14- e dell'unica proposta emendativa ad esso riferita
Nessuno chiedendo di parlare, invito i relatori e il rappresentante del Governo ad esprimere il parere.
CESARE DAMIANO, . Parere favorevole.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Non abbiamo sentito, ma leggendo il labiale da dietro, deduco che sia conforme a quello del presidente Damiano; anche questo fa parte dei poteri divinatori della Presidenza.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14-.100 della Commissione, con il parere favorevole del Governo e dei relatori.
Dichiaro aperta la votazione.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 14- e delle proposte emendative ad esso riferite
Nessuno chiedendo di parlare, invito i relatori ad esprimere il parere. Se siete dell'idea, per una questione anche di economia dei nostri lavori, vi chiederei i pareri in sequenza.
Quindi, siamo sull'emendamento 14-.1 Simonetti.
CESARE DAMIANO, . La Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Contrario.
PRESIDENTE. Emendamento 14-.2 Ciprini.
CESARE DAMIANO, . La Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Contrario.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 14-.3 Tripiedi.
CESARE DAMIANO, . La Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Contrario.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 14-.4 Cominardi.
CESARE DAMIANO, . La Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Contrario.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 14-.100 della Commissione.
CESARE DAMIANO, . Favorevole.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
LUIGI BOBBA,. Conforme al relatore per la maggioranza.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14-.1 Simonetti, con il parere contrario della Commissione, del Governo e della relatrice del MoVimento 5 Stelle, e favorevole del relatore della Lega Nord.
Dichiaro aperta la votazione.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 15 e delle proposte emendative ad esso presentate .
Se nessuno chiede di intervenire sul complesso degli emendamenti, invito i relatori ad esprimere il parere. Emendamento 15.1 Ciprini ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere favorevole.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 15.3 Dall'Osso ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere contrario.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 15.4 Polverini ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere favorevole.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 15.5 Placido ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere favorevole.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 15.6 Ciprini ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere contrario.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 15.7 Ciprini ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Mi rimetto all'Aula.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 15.8 Polverini ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere favorevole.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 15.10 Ciprini ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere favorevole.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamenti identici 15.11 Polverini e 15.12 Rizzetto ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere favorevole.
TIZIANA CIPRINI, . Mi rimetto All'Aula.
PRESIDENTE. Articolo aggiuntivo 15.01 Ciprini ?
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro, altrimenti parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, . Parere favorevole.
TIZIANA CIPRINI, . Parere favorevole.
LUIGI BOBBA,. Parere conforme a quello espresso dal relatore per la maggioranza.
PRESIDENTE. Sta bene, vi ringrazio.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 15.1 Ciprini.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ciprini. Ne ha facoltà.
TIZIANA CIPRINI. Presidente, specifichiamo subito cosa dovrebbe essere il lavoro agile o secondo noi: una modalità di svolgimento del lavoro, uno strumento che, grazie alle opportunità offerte dalla tecnologia, permette di conciliare i tempi di vita e tempi di lavoro, che consente al lavoratore e alla lavoratrice di organizzare il lavoro attorno alle proprie esigenze di vita e non viceversa; non è il lavoratore o la lavoratrice a doversi adattare alla competitività di mercato senza più regole, in balia delle leggi del capitale. Questo era anche il senso della proposta di legge a mia prima firma sulla flessibilità dell'orario di lavoro. Quindi, uno strumento, lo utile al lavoratore. È uno strumento utile per le neomamme o utile ad abbattere il fenomeno del pendolarismo, con tutto ciò che ne consegue, ma utile anche per le aziende per aumentare la qualità del lavoro e abbattere ad esempio i costi fissi.
Tuttavia, affinché sia considerato uno strumento positivo e non una tipologia contrattuale, c’è bisogno di alcuni punti fermi; a nostro avviso, le forme e le modalità di introduzione del lavoro agile all'interno dell'azienda dovrebbero essere stabilite nell'ambito di una contrattazione collettiva, in maniera tale da escludere anche il dubbio della concretizzazione di una nuova categoria di contratto di lavoro. Infatti, la scelta del contratto individuale per stabilire il lavoro agile è senz'altro penalizzante, perché il lavoratore si trova ad essere in una posizione di debolezza contrattuale. Inoltre, un aspetto grave, che troviamo negli articoli successivi, è il fatto che è lasciato all'accordo individuale l'individuazione delle condotte che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, e non è previsto un obbligo di formazione.
Quindi, bisogna specificare che il lavoro agile consiste in una scelta volontaria. Infatti, ad esempio, anche nei successivi articoli in tema di accordo relativo alle modalità di lavoro agile non vi è alcun riferimento alla volontarietà di tale accordo tra datore di lavoro e dipendente tanto che la richiesta da parte del datore di lavoro di organizzare la prestazione lavorativa in modalità agile potrebbe ritenersi anche vincolante per il lavoratore. Sarebbe quindi opportuno prevedere l'inserimento della volontarietà quale condizione per l'accesso al lavoro agile nonché la clausola di salvaguardia secondo la quale il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa in modalità agile non si possa configurare come motivo o causa di risoluzione del rapporto di lavoro. Questo è il senso contenuto in questo nostro emendamento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.
CESARE DAMIANO, . Grazie, Presidente. Ho ascoltato con attenzione le parole dell'onorevole Ciprini e mi associo ovviamente alla sua preoccupazione circa il fatto che il lavoro agile possa costituire una forma unilaterale gestita dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, che, come sappiamo, è la parte più debole. Tuttavia vorrei dire che questa normativa non va in questa direzione. Intanto è chiaro che con il lavoro agile, con lo noi non stiamo inventando – bisogna che di questo siamo certi – una nuova tipologia di lavoro. Non è una nuova tipologia di flessibilità che si aggiunge ma è un'opportunità legata alla digitalizzazione del lavoro che consente di svolgere il lavoro non nella comunità aziendale ma nel luogo scelto dal lavoratore d'intesa con l'imprenditore. Si tratta di lavoro subordinato: l’ di questa normativa parla di lavoro subordinato ma non basta dire «lavoro subordinato»; si dice anche con chiarezza che questo lavoro, svolto in un luogo diverso dell'azienda, avrà per quel lavoratore le stesse condizioni normative e salariali del lavoratore che svolge la medesima mansione all'interno dell'azienda. In terzo luogo, ci tengo a precisare, perché è stato un intendimento comune della Commissione lavoro, che noi abbiamo aggiunto un inciso nel disegno di legge: quando parliamo di «normative» e di «salario» ci riferiamo alle normative e al salario stabiliti dalla contrattazione collettiva – ma non basta – dalla contrattazione collettiva svolta dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative perché stiamo lottando e ci stiamo battendo purtroppo contro la presenza e il dilagare di accordi pirata stipulati da finte associazioni imprenditoriali, con la compiacenza di alcuni sindacati e non i sindacati confederali, CGIL, CISL e UIL, che hanno invece una normale contrattazione maggiormente rappresentativa. Quindi stiamo andando in questa direzione e credo che si tratti di un fatto molto importante. Aggiungo una nota a margine e ho concluso: penso che stiamo votando un buon provvedimento. Abbiamo terminato la parte relativa al lavoro autonomo e stiamo affrontando la seconda parte relativa al lavoro agile: sarà anche questa una normativa che aiuta l'avvicinamento delle condizioni tra uomo e donna nel lavoro, le pari retribuzioni, una pensione parimenti dignitosa, le tutele migliori che stiamo introducendo per quanto riguarda la maternità. Penso che con orgoglio questa Camera potrebbe dedicare il provvedimento in esame, al di là delle diverse sfumature ed interpretazioni, alle donne e alla giornata dell'8 marzo per celebrare concretamente un provvedimento legislativo che va nella direzione di migliorare le condizioni di tutti e, in particolare, delle lavoratrici, in questo caso delle lavoratrici autonome e delle lavoratrici dipendenti, che con lo insieme agli uomini, potranno avere anche quella migliore conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro che tutti quanti abbiamo auspicato .
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 15.1 Ciprini, con il parere contrario della Commissione e del Governo e il parere favorevole di entrambi i relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
TIZIANA CIPRINI. Questo emendamento, che presentiamo in Aula, è frutto del salvataggio, effettuato dal MoVimento 5 Stelle in Commissione lavoro, dal ritiro forzato degli emendamenti ad opera degli stessi membri del PD. Mi spiego meglio: alcuni membri del PD hanno presentato buoni emendamenti che meritavano quanto meno di essere discussi e votati ma evidentemente sono stati costretti dal Governo a ritirarli. Noi siamo riusciti a salvare dall'oblio alcuni di questi e oggi li ripresentiamo in quest'Aula. Abbiamo dovuto assistere in Commissione lavoro a scene imbarazzanti: i membri del PD, coloro che avevano presentato gli emendamenti, costretti a votare contro i loro stessi emendamenti. L'emendamento 15.3 Dall'Osso in particolare fa riferimento al lavoro agile in attuazione del principio di accomodamento ragionevole di cui alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ratificata dalla legge n. 18 del 2009. Il principio di accomodamento riguarda tutti gli aspetti dell'accessibilità complessiva dell'ambiente di vita e di lavoro, della riprogettazione individualizzata del posto di lavoro, dell'adozione di ausili tecnici utili a facilitare i compiti lavorativi e dell'eventuale supporto di assistenza personale. Quindi l'emendamento è rivolto ai disabili. Nel metodo invece stigmatizziamo questo modo di procedere caratterizzato da una drastica limitazione degli interventi su questo testo praticamente imposto dal Senato, con la scusa data come motivazione di dover procedere rapidamente all'approvazione del provvedimento a causa della durata incerta della legislatura. Si tratta di una motivazione inaccettabile, tenuto conto che il provvedimento è rimasto ostaggio del Senato – lo ricordo ancora – per nove mesi e quello del Governo e della maggioranza è un atteggiamento non collaborazionista e inaccettabile. Infatti per provvedimenti che interessano veramente la vita dei cittadini, come quello in esame, assistiamo a ritardi mostruosi. Il Parlamento se la prende comoda. Invece altri provvedimenti hanno impegnato il Parlamento a lavorare a vuoto per mesi e mesi, come le riforme incostituzionali promosse da Renzi o i decreti-legge lampo per salvare le banche, qui invece il Parlamento si spiccia a portare avanti questi provvedimenti. Ricordo che abbiamo lavorato mesi e mesi a vuoto e molte delle leggi che ho citato prima sono state bocciate dalla Corte Costituzionale o dai cittadini stessi o dal Consiglio di Stato. Prego, votate pure contro – lo dico alla maggioranza, a quelli del PD – e invito invece i deputati di Articolo 1 a votare a favore di questo emendamento. Vediamo in Aula alla resa dei conti i deputati che votano contro i loro stessi emendamenti presentati in Commissione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Dall'Osso. Ne ha facoltà.
MATTEO DALL'OSSO. Grazie, Presidente. È veramente una comica: qui si sta votando qualcosa che è stato proposto dalla maggioranza, che poi lo ha ritirato, l'unica cosa che ci vedeva favorevoli. Quindi, noi l'abbiamo fatto nostro, lo abbiamo presentato in Commissione, come consente il Regolamento, e la maggioranza ha votato contro un emendamento proposto dalla maggioranza stessa ! Poi la maggioranza mi dice: eh no, ma vedrete che quando sarete al Governo, quando sarete al Governo... No ! Un cavolo, quando saremo al Governo faremo le cose giuste, giuste, giuste !
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 15.3 Dall'Osso, con il parere contrario della Commissione, del Governo, del relatore della Lega Nord e con il parere favorevole della relatrice del MoVimento 5 Stelle.
Dichiaro aperta la votazione.
TIZIANA CIPRINI. Qui si propone il soppressivo, ovvero il testo di legge prevede che il lavoro agile può avvenire anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro. Ebbene, questa definizione è tipica del lavoro autonomo, mentre, lo ricordo, il capo II di questa legge norma il lavoro agile per il lavoro subordinato, quindi, dipendente. Sono certa che molti si staranno domandando che c'azzecca lo per i dipendenti con lo statutino in versione dei lavori autonomi. Rispondo subito: in verità, con questo disegno di legge si vanno ad abbattere i confini tra le due tipologie di lavoro, mistificandole, però, e riandando ad aprire la voragine del parasubordinato che il Jobs Act, in teoria, voleva arginare.
Certo, anche dalla nostra ricerca previsionale sul futuro del lavoro, il lavoro 20-25, è emerso che, in un prossimo futuro, il lavoro sarà sempre meno dipendente e sempre più intraprendente, ma questo cambiamento va gestito con chiarezza di regole e di tutele, non abbattendo i muri e lasciando i lavoratori in preda alle esigenze fluttuanti di un mercato a richiesta di consumo, che richiede flessibilità massima, precarizzando le esistenze. Faccio un esempio: il lavoratore agile, in questo disegno di legge, verrebbe anche condizionato al raggiungimento di determinati obiettivi, analoghi a quelli dei co.co.pro. e del lavoratore autonomo, così, di fatto, trasformando un lavoratore subordinato in un lavoratore autonomo senza vincoli di orario e che, sotto il profilo dell'organizzazione, dovrebbe organizzarsi da sé. Il lavoratore agile si troverebbe in una zona grigia, a metà subordinato e a metà autonomo, con l'effetto di perdere le garanzie tipiche del lavoro dipendente, sia in tema di limiti di orario di lavoro massimo, anche per staccare la spina, sia in termini di garanzie di sicurezza del luogo di lavoro, perché non avrebbe una sede fissa presso l'azienda. Ma è chiaro qual è il modello economico di riferimento che ha ispirato questo provvedimento, è la che è sempre più diffusa, dove non esiste più il posto fisso e dove domanda e offerta vengono gestite attraverso piattaforme e dedicate come Uber o Foodora. Nella i lavoratori sono tutti considerati come autonomi; in verità, sono tutti dei falsi autonomi, con tutele zero e massimo sfruttamento, mentre andrebbero riconosciuti, tutti, come subordinati. Ebbene, questo Capo II non è altro che una sanatoria che non darà alcuna tutela a questi lavoratori, ma che ne consentirà lo sfruttamento a norma di legge. E un po’, mi viene in mente, quello che è accaduto col Jobs Act quando ha introdotto il falso contratto indeterminato a tutele crescenti che di indeterminato non aveva proprio un bel niente; una fregatura, quindi, in termini spicci. È una fregatura se non vengono, appunto, inseriti dei paletti di tutela, come da noi proposto.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 15.6 Ciprini, con il parere contrario della Commissione, del Governo, e del relatore della Lega Nord e con il parere favorevole della relatrice del MoVimento 5 Stelle.
Dichiaro aperta la votazione.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 16 e delle proposte emendative ad esso riferite
Nessuno chiedendo di parlare, invito i relatori, presidente Damiano, onorevole Simonetti, onorevole Ciprini, ad esprimere il parere. Emendamento 16.1 Ciprini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.3 Polverini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.4 Ciprini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.5 Polverini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.7 Ciprini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.8 Ciprini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.10 Polverini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.11 Ciprini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento 16.12 Polverini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Articolo aggiuntivo 16.01 Airaudo.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
PRESIDENTE. Articolo aggiuntivo 16.02 Polverini.
CESARE DAMIANO, . Invito al ritiro o parere contrario.
ROBERTO SIMONETTI, Favorevole.
TIZIANA CIPRINI, Favorevole.
LUIGI BOBBA, . Conforme al relatore per la maggioranza.
PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento 16.1 Ciprini, su cui ho l'invito al ritiro, o parere contrario, di Commissione e Governo, e parere favorevole di entrambi i relatori di minoranza.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO SIMONETTI. Grazie, Presidente. Prendo l'occasione per intervenire su questo emendamento. Abbiamo dato parere favorevole perché così va di pari passo con quanto, poi, era anche stato inserito nell'articolo successivo, però il dato che ci allarma – a parte la garanzia, che prima è stata data dal presidente Damiano, che questa nuova modalità di attuazione della prestazione lavorativa denominata è un lavoro agile – è che essa possa effettivamente essere considerata non una nuova tipologia contrattuale, perché la previsione normativa, così come è stata formulata nel testo del disegno di legge del Governo, porta a supporre che lo sia una nuova tipologia contrattuale, proprio perché viene normata nel dettaglio all'interno di questo disegno di legge.
Perché, se è vero quello che dice – e non metto in dubbio la sincerità del presidente – e cioè che questa è solo una metodologia di attuazione di una prestazione professionale già normata attraverso i contratti collettivi nazionali, quelli aziendali, eccetera, già in essere, risulta anomala una ulteriore normazione così puntuale, attraverso la stesura di semplici accordi che possano, poi, trasformarsi, per chi volesse inserirsi giuridicamente all'interno della materia, in una nuova tipologia contrattuale. Infatti, si va a disciplinare la prestazione lavorativa, con che modalità, i tempi di riposo, la disconnessione, l'accordo se «a termine» o se «a tempo indeterminato», e si va nuovamente a dire che il trattamento economico-normativo deve essere uguale a quello, ma è implicito: se non è un nuovo contratto, è superfluo dire che lo deve stare all'interno del decreto legislativo n. 81, perché è implicito, non è un nuovo contratto e quindi sta già all'interno di tutto quello che è normato. Se noi andiamo, invece, a dire che lo deve essere sottoposto alla disciplina, appunto, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, potrebbe nascere il dubbio che questa sia una nuova tipologia contrattuale che fa riferimento a quei contratti nazionali.
Diciamo che doveva essere squisitamente una operazione di contrattazione di secondo livello quella dell'attuazione delle prestazioni professionali, delle prestazioni di lavoro dipendente con il lavoro agile e al massimo era da andare a normare tutte le tipologie legate alla sicurezza sul luogo di lavoro, perché questa era una materia veramente grigia, una zona non ben definita e che, purtroppo, così come poi è stata determinata nel testo e, lo vedremo negli articoli successivi, creerà a mio avviso più un deterrente per il datore di lavoro, piuttosto che uno sprone per poter attuare questa metodologia, che dovrebbe risolvere dei problemi soprattutto al comparto femminile, per quanto riguarda la possibilità di lavorare nella propria abitazione.
Quindi, io pongo dei seri dubbi sul fatto che ci possa essere qualcuno che consideri questa formulazione come una nuova contrattazione e non come qualcosa di già esistente.
CESARE DAMIANO, Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CESARE DAMIANO, Vorrei fugare i dubbi dell'onorevole Simonetti. La definizione puntuale, vale a dire la garanzia che, a parità di mansioni, lavorare fuori o dentro l'azienda fa sì che la retribuzione sia uguale per quei lavoratori, come la normativa, è a supporto, a tutela, a garanzia dei lavoratori. Il riferimento al decreto legislativo n. 81 è semplicemente per una armonizzazione normativa della dicitura relativa ai sindacati e alle associazioni comparativamente più rappresentative. Anche questo rappresenta una garanzia di tracciabilità dei comportamenti contrattuali stipulati dalle organizzazioni veramente maggiormente rappresentative.
Tengo a precisare che in attualmente ci sono già 250.000 lavoratori e che questa normativa non inibisce, anzi favorisce, l'utilizzo di questa strumentazione. Inoltre è anche un invito alle organizzazioni sindacali a trovare, nell'ambito dei contratti nazionali di categoria, una specifica definizione che raccolga questa spinta di carattere legislativo, a pura tutela dei lavoratori, perché non è un nuovo rapporto di lavoro, ma è una modalità di lavoro nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato già esistente e normato dalla contrattazione.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Damiano.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.1 Ciprini, con il parere contrario di Commissione e Governo e il parere favorevole di entrambi i relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali adottata il 14 gennaio 2017 (Doc. XVI, n. 3).
Ricordo che nella seduta del 6 marzo si è conclusa la discussione sulle linee e sono state presentate le risoluzioni Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290, Cimbro e Duranti n. 6-00291, Vito ed altri n. 6-00292, Frusone n. 6-00293, Gianluca Pini ed altri n. 6-00294, Palazzotto e Marcon n. 6-00295 e Artini ed altri n. 6-00296 ().
Avverto che la risoluzione Cimbro e Duranti n. 6-00291 è stata successivamente ritirata dalle presentatrici.
ROBERTA PINOTTI, . Grazie, Presidente. Io farò una breve replica alla discussione importante che è stata fatta, poi i pareri saranno espressi dal Vice Ministro Giro.
PRESIDENTE. Però, colleghi, per favore, sta parlando il Ministro della Difesa. Per favore !
ROBERTA PINOTTI,. È un momento importante quello che viviamo oggi, qui, alla Camera, perché dopo molti anni di discussione stiamo dando applicazione ad una legge approvata dal Parlamento. La legge quadro sulle missioni internazionali (l'atto più importante delle politiche di difesa e di sicurezza che fa il Parlamento, con l'approvazione delle missioni internazionali), quindi, per la prima volta, dopo molti anni, non avviene per un decreto, ma avviene attraverso un'ampia e importante discussione che è stata fatta, dopo un'audizione approfondita e molto seria fatta nelle Commissioni, dopo una lunga discussione nelle Commissioni, con la presentazione di risoluzioni ed oggi con il voto delle stesse.
Quindi, prima di tutto, un grazie al Parlamento che ha approvato questa legge. È un momento importante, un cambio di passo, per un confronto più serio su questioni politiche che sono di prioritaria importanza. Nonostante la confusione dell'Aula, si discute... io vi pregherei, non per me, ma perché discutiamo dell'invio di più 7 mila militari, che forse meriterebbero un po’ più di attenzione dall'Aula
PRESIDENTE. Colleghi, per favore. La Presidenza ha già richiamato... onorevole Palese, per favore, onorevole Guidesi, non dia le spalle alla Presidenza. Sta intervenendo il Ministro della difesa, se non siete interessati al dibattito, si può uscire dall'Aula, non è necessario stare in Aula. Ciascun deputato è libero di esercitare il proprio mandato come meglio crede, però fate la cortesia di non mettere nelle condizioni il Ministro della difesa di dover chiedere il silenzio in Aula. Per favore ! Prego Ministro.
ROBERTA PINOTTI,. Dicevo: si discute delle missioni internazionali, ma si decide sulla sicurezza del nostro Paese. Interveniamo in molte aree fuori dal territorio nazionale, ma lo facciamo per prevenire delle minacce e ridurre i rischi. Dobbiamo lavorare per tenere lontane minacce, quelle che potrebbero raggiungerci, e per questo dobbiamo fare la nostra parte per rendere più pacifico il mondo. Con questa deliberazione, lo dicevo prima, noi autorizziamo, il Parlamento autorizza, l'invio, fino ad un massimo, di 7459 militari delle Forze armate e 167 unità delle forze di polizia che sono impiegati in oltre 40 missioni e in ventidue Paesi, oltre al Mar Mediterraneo e nell'Oceano Indiano. Fanno parte di questi contingenti 200 donne e a loro, particolarmente oggi, va il nostro saluto, a loro che stanno vivendo in missioni internazionali questa giornata dell'8 marzo.
Quali sono i cardini principali di questo impegno ? Innanzitutto la partecipazione alle missioni delle Nazione Unite. Dal 2006, l'Italia è il maggior contributore europeo per le missioni delle Nazioni Unite, siamo quelli che danno i contingenti più numerosi. Ovviamente, un indirizzo nazionale è quello della stabilizzazione dell'area nel Mediterraneo, ma c’è poi anche una condivisione di impegni con i nostri alleati all'interno della NATO e all'interno dell'Unione europea. Alcune delle missioni nuove che approviamo oggi, come le sono missioni che, a rotazione, tutti i Paesi della NATO fanno. Lo scorso anno noi non eravamo impegnati, due anni fa sì, adesso per l'Islanda e la Bulgaria c’è un impegno dell'Italia, ma fanno parte dell'attività routinaria che facciamo a sostegno di quei Paesi che non hanno le capacità aeree che invece abbiamo noi come Italia o altri Paesi della NATO.
Perché queste missioni ? Nella scelta di queste missioni vi è lo sguardo sui teatri di instabilità che vanno dal Sahel, al Medio Oriente, fino all'Afghanistan, e un impegno molto forte voluto da questo Governo riguardo la lotta all'ISIS. Ma c’è il mantenimento delle missioni nella regione balcanica che ho visto essere condiviso da tutte le risoluzioni anche perché – e ringrazio, da questo punto di vista, per i suggerimenti e le sottolineature che sono venute dalle risoluzioni – nei Balcani la situazione di instabilità permane.
C’è questo rischio dei che è una preoccupazione che dobbiamo guardare con estrema attenzione; ho visto che nelle risoluzioni parlamentari è stato molto sottolineato questo tema e quindi ringrazio di questa sottolineatura.
Anche, come abbiamo avuto modo di discutere in Commissione, il nostro sguardo va verso l'est e il nord Europa. È uno sguardo che, da un lato, ha sempre richiesto di tenere aperto, e anzi di incentivare, il dialogo con la Russia, ma nello stesso tempo, offriamo la nostra parte insieme a tutte le altre nazioni della NATO, la stragrande maggioranza, per dare una rassicurazione agli alleati. Si tratta di attività in Lettonia di cui avete avuto modo di discutere.
Esiste, quindi, una continuità nelle missioni, ma anche una capacità di adattare l'intervento a quelle che sono le situazioni che via via si evolvono.
Molto rapidamente, continuità in Libano, e su questo apprezzo la sottolineatura di incentivare non solo la nostra presenza in UNIFIL, ma anche il rapporto bilaterale con il Libano che abbiamo cominciato e possiamo far crescere. Benissimo nel Kosovo, di cui ho già parlato.
L'Afghanistan: abbiamo più volte discusso del perché, dopo una prima previsione, che l'alleanza aveva fatto, di chiudere la missione nel 2015, si è deciso di continuare. Anche qui ciò è avvenuto non solo per una lotta al terrorismo di antica data, ma perché le preoccupazioni rispetto a infiltrazioni dell'ISIS, con episodi evidenti, facevano sì che sguarnire un'area dove tanto si era lavorato sarebbe stato poco sensato.
Su vorrei sottolineare che la nuova postura di questa missione, che prima era ed era una missione antiterrorismo che nasceva dalla missione in Afghanistan, ovvero la richiesta di spostarla sull'antiterrorismo che può venire dall'ISIS, è una richiesta che ha fatto l'Italia. È una missione di sicurezza marittima e di antiterrorismo. Ovviamente il soccorso in mare, se necessario, viene fatto perché è un obbligo derivante dalle convenzioni internazionali, ma trattandosi di missione militare della NATO, non è il primo compito, il primo compito è quello della sicurezza marittima e dell'antiterrorismo.
Anche per Sophia, i compiti sono il contrasto agli scafisti e nuovi compiti di addestramento della guardia costiera e attenzione sull'embargo delle armi. Ovviamente, anche queste navi, quando necessario, fanno soccorso in mare, ma io ricordo al Parlamento che, dopo l'Europa si è impegnata con la missione per il soccorso in mare, ed è proprio di questa missione questo compito. La missione Sophia è una missione militare, che certamente quando serve soccorre, ma che ha come compito precipuo il contrasto alla rete degli scafisti; questo è l'obiettivo principale. E anche con orgoglio per il lavoro che stanno facendo i militari, sottolineo che in Iraq noi siamo il secondo contingente dopo gli Stati Uniti, siamo presenti ad Erbil, a Baghdad, a Mosul. Stanno facendo, i nostri militari, un lavoro straordinario. Pensate che noi, da soli, come contingente italiano, abbiamo addestrato circa il 25 per cento delle forze irachene dei peshmerga che sono stati addestrati, un numero veramente significativo che credo sicuramente ha dato un contributo importante su quello che state vedendo nella battaglia di Mosul, cioè la ripresa di questa importante città.
E sulla Libia: l'ospedale ha già operato su 4.000 feriti o persone che necessitavano di cure. Ovviamente siamo stati sollecitati per intervenire anche su altre parti e altre necessità della Libia, e stiamo dando il massimo di disponibilità. Quindi, l'impegno è un impegno alla cura e al sostegno per tutti coloro che ne possano avere bisogno. Le nuove missioni sono una in Libia, che è una missione con tre unità delle forze di polizia, la missione in Lettonia e le due missioni di che citavo prima, in Bulgaria ed Islanda, che vanno inquadrate in attività routinarie e non in decisioni inusuali.
Concludo dicendo che all'interno della NATO e dell'Unione europea noi siamo non soltanto solidali e partecipi ma protagonisti, abbiamo ruoli importanti, con questo cerchiamo di orientare delle decisioni. Lo abbiamo fatto, per esempio, sulla Russia, sulla postura non aggressiva di quello che doveva essere l'intervento; lo abbiamo fatto chiedendo che gli interventi della NATO, per quanto riguarda il sud, avessero come Napoli, un per il Mediterraneo, che credo sia un importante successo che abbiamo ottenuto; oltre questo, anche la postura diversa della missione sulla quale abbiamo lavorato – e anche questo avviene su proposta dell'Italia – per un coordinamento più stretto su NATO ed Unione europea, in particolare nel Mediterraneo.
Concludo, quindi, ringraziando il Parlamento per l'importante lavoro che ha fatto e per gli stimoli che sono venuti dalla discussione, e ringraziando – credo questo insieme a tutti voi – il lavoro straordinario che i nostri militari fanno in ogni teatro, dove, sapendo coniugare un'altissima professionalità con una umanità che li rende capaci di interagire in ogni relazione con popoli diversi e con situazioni diverse con la capacità di inserirsi in quella cultura sempre in modo empatico e non come coloro che devono prevaricare, ma anzi sempre con una estrema attenzione alla sensibilità delle culture delle popolazioni o delle Forze armate degli altri Paesi, davvero sono una bella carta di identità del nostro Paese in molte parti del mondo .
PRESIDENTE. La ringrazio, Ministra Pinotti. A questo punto invito il Vice Ministro Giro ad esprimere i pareri sulle risoluzioni presentate.
MARIO GIRO, . Presidente, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290, parere favorevole; sulla risoluzione Vito ed altri n. 6-00292, parere favorevole; sulla risoluzione Frusone n. 6-00293, parere contrario; sulla risoluzione Gianluca Pini ed altri 6-00294, parere contrario; sulla risoluzione Palazzotto e Marcon 6-00295, parere contrario; sulla risoluzione Artini ed altri n. 6-00296, parere contrario.
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Locatelli. Ne ha facoltà.
PIA ELDA LOCATELLI. Presidente, come ha già detto la Ministra della difesa, l'Italia si è finalmente dotata di uno strumento normativo, in tema di politica estera e di difesa, dal carattere strutturale ordinario, che attribuisce al Parlamento il ruolo di codecisori, il che è decisamente positivo.
Con il provvedimento in discussione decidiamo per l'anno 2017 l'intero impegno programmatico relativo alle missioni internazionali. Si tratta di una quarantina di missioni in aree che coincidono con la mappa dell'instabilità del pianeta. Alcune sono nuove, altre sono trasformazioni di missioni precedenti, tutte però presentano un di componenti, militare e civile, che rende speciale e molto apprezzato il modello italiano, e più probabile una stabilizzazione più duratura delle aree coinvolte.
Di queste missioni voglio sottolineare alcuni aspetti, nel contesto di grandi responsabilità internazionali del nostro Paese che il seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Presidenza del G7 o la Vicepresidenza dell'Assemblea dei Paesi parte dello Statuto della Corte penale internazionale comportano: il ripetuto riferimento al rispetto dei diritti umani in parallelo al binomio «solidarietà e sicurezza»; la richiesta di rigore e solidarietà ai Paesi europei nella gestione delle politiche migratorie (chiaramente il punto di riferimento dell'Italia è certamente il Mediterraneo), utilizzando lo strumento delle missioni internazionali per promuovere nei Paesi vicini la capacità di gestire fenomeni ad alto impatto sulla sicurezza dell'Europa; l'aumento delle risorse per iniziative in ambito umanitario, di rafforzamento dello Stato di diritto, di sostegno alle amministrazioni locali, di consolidamento delle strutture di governo; e, infine, la previsione del coinvolgimento e la partecipazione delle donne secondo quanto prevede la risoluzione n. 1325, e le successive sullo stesso tema, del Consiglio di sicurezza ONU e il Piano nazionale da esse previsto per implementare l'agenda «Donne, pace e sicurezza». Solo undici Paesi al mondo hanno adottato con continuità questi piani, noi siamo uno di questi undici Paesi, e ne siamo orgogliosi. I socialisti voteranno a favore della risoluzione o delle risoluzioni cui il Governo ha dato parere favorevole .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Altieri. Ne ha facoltà.
TRIFONE ALTIERI. Presidente, signora Ministra, onorevoli colleghi, la nostra componente non farà mancare il supporto e il sostegno agli oltre 7.000 militari che sono i protagonisti delle missioni internazionali di pace del nostro Paese, seppure nei lavori della Commissione la nostra posizione sia stata per alcuni versi critica nei confronti della visione del Governo. Critica, però, non per fare meno, ma perché chiediamo al Governo e all'Italia di fare di più. Siamo in prima linea rispetto alle minacce che oggi provengono dal Mediterraneo, dai Paesi del vicino Oriente; siamo in prima fila nel ricevere sul nostro territorio le minacce alla sicurezza nazionale, quindi, Ministro, riteniamo che dovremmo essere in prima fila ancora di più per contrastare i fenomeni criminali del terrorismo nel Medio Oriente e in particolare nella vicinissima Libia, dove abbiamo chiesto, in Commissione – e abbiamo anche ricevuto l'accoglimento di parte delle nostre istanze –, una maggiore forza nel contrasto ai criminali. Gli scafisti sono dei criminali, e come tali vanno trattati e contrastati, quindi l'evoluzione della missione Eunavfor Med alla fase 3, quella di contrasto diretto dei barconi dei criminali che operano la tratta degli esseri umani, deve essere fatta con ogni urgenza, perché abbiamo registrato in questi primissimi mesi dell'anno, nonostante ci troviamo ancora in inverno, il 74 per cento in più di sbarchi sulle nostre coste. Questo diventa un rischio molto alto, anche per la sicurezza nazionale, per la sicurezza dell'Europa e anche per la sicurezza dei Paesi alleati della NATO, della quale facciamo parte e rispettiamo da sempre gli impegni. E oggi va chiesto anche alla stessa NATO una nuova configurazione, che guardi alle minacce che arrivano dal sud; dobbiamo cambiare le strutture, l'impostazione e la visione dell'alleanza, rivolgendola contro le minacce più attuali, quelle che, ripeto, guardano all'Italia come un Paese di frontiera. È per questo che noi dobbiamo operare di più ed essere più decisi, sia nel contrasto che nell'azione diplomatica, che in Libia deve riguardare tutte le parti in causa .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palazzotto. Ne ha facoltà, con la preghiera ai colleghi di contenere gli interventi almeno entro i tempi previsti.
ERASMO PALAZZOTTO. Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli sottosegretari, vorrei utilizzare questa discussione, in questa nuova modalità che noi abbiamo di affrontare le questioni che riguardano le missioni internazionali in cui l'Italia è coinvolta in questo Parlamento, per provare a cambiare anche la modalità con cui abbiamo fin qui discusso le missioni internazionali. Abbiamo fin qui discusso solo attraverso un decreto-legge di rifinanziamento delle missioni internazionali ovvero non siamo mai riusciti – questa è stata una delle contestazioni che spesso abbiamo fatto – a discutere nel merito del valore politico che ogni missione internazionale ha avuto e ha tutt'oggi ed è proprio su questo che io penso che noi dobbiamo discutere oggi non solo guardando a queste missioni come una questione che riguarda la difesa o le spese militari ma guardando a queste missioni nel complesso della politica estera del nostro Paese anche con un'idea strategica di prospettiva. Ed è proprio qui, potrei dire, che casca l'asino nel senso che, a guardare complessivamente l'impegno militare nel nostro Paese, la prima cosa che si evince è un impegno totalmente disorganico, cioè partecipiamo quasi ad ogni missione internazionale di coalizione in qualunque parte del pianeta, come a dire che è utile che noi ci siamo anche con risorse spesso ridicole.
Dunque, da qui nasce la prima riflessione: qual è la politica estera che guida le scelte di politica militare del nostro Paese ? Perché siamo presenti in alcuni scenari senza alcun motivo apparente o, se c’è un motivo, evidentemente non è ben chiaro, non è dichiarato.
Vorrei provare ad analizzare alcune delle questioni più spinose. Riguardo alla presenza nel Mediterraneo abbiamo una presenza nel Mediterraneo che è oggettivamente sproporzionata. Credo che siamo il Paese con la più grande presenza attiva in questo momento nel Mediterraneo ma divisa su missioni che spesso non si capisce tra di loro che legame hanno. Ricordo che stiamo discutendo ancora di autorizzare la presenza di nostri militari, di nostre navi dentro una missione nata dopo il 2001 e l'attentato alle Torri Gemelle con l'idea di intercettare eventuali flussi di terroristi in arrivo dall'Africa. Ritengo che abbiamo un problema relativamente alla missione . Veniva richiamata prima dal Ministro: io non credo che abbiamo un conflitto alle porte sul confine sud dell'Europa. C’è, invece, un esagerato dispiegamento militare e un'offensiva europea verso il confine nord dell'Africa. Da questo punto di vista la missione porta con sé grandissima conseguenze. Per questo chiediamo che non venga autorizzato l'ingresso nella fase 3 della missione .
Ma potrei continuare segnalando la nostra presenza in Afghanistan. Dovevamo andare via dall'Afghanistan qualche anno fa: non solo siamo rimasti ma stiamo ridiscutendo il fatto che i nostri soldati non facciano più semplicemente assistenza e addestramento alle forze di difesa afghane ma stiamo discutendo del fatto che, invece, adesso vengano reimpiegate al fronte a causa della nuova avanzata dei talebani. Potrei dire – lo ha ricordato lei, signora Ministra – che siamo la seconda presenza militare in Iraq senza che questo Parlamento e questo Paese abbiano mai fatto una vera analisi rispetto al fallimento della missione militare in Iraq, a quanto noi in quel Paese siamo andati a fare, alla caduta di Saddam Hussein e al disastro di cui i Governi occidentali, quello europeo e quello statunitense, non si sono mai assunti in pieno la responsabilità. Credo che di questo dovremmo discutere prima di andare a fare altri disastri.
Aggiungo un'altra questione spinosa. Il nostro ex-Presidente del Consiglio ha simpaticamente detto che, per non andare a votare dopo il 2018, avremmo potuto dichiarare guerra a San Marino. Penso che, da questo punto di vista, la presenza dei nostri 160 soldati in Lettonia rappresenti la stessa questione che può rappresentare militarmente San Marino per l'Italia e che, invece, abbiano una valenza politica provocatoria nei confronti della Russia che rischia di fare realmente trascendere quello che, ad oggi, è un conflitto a bassa intensità prevalentemente tra le due grandi potenze, Stati Uniti e Russia, in qualcosa di peggio in cui l'Europa è semplicemente un campo di battaglia.
Voglio dirlo: è assolutamente inaccettabile che, davanti alle dichiarazioni del Presidente statunitense, che dice di voler riprendere la corsa agli armamenti nucleari, andando contro il Trattato di non proliferazione nucleare, non si sia levata una sola voce da uno dei Governi europei, neanche da quello italiano, contro queste dichiarazioni, facendo precipitare il mondo di nuovo davanti a una corsa agli armamenti.
È l'ultima questione che pongo perché i tempi sono sovrani. Noi anche quest'anno andiamo verso un incremento delle spese militari. Complessivamente nel pianeta la corsa agli armamenti sta facendo sì che tutti gli Stati aumentino tale spesa. Uno degli obiettivi dichiarati da parte dei Paesi della NATO è raggiungere il 2 per cento del PIL in spese e investimenti militari. Il nostro Ministero dello sviluppo economico, di fatto, tutti gli investimenti sta mettendoli sulla parte militare. Abbiamo Finmeccanica che sta dismettendo il ramo civile di produzione per potenziare quello bellico. Noi dobbiamo dirci che la politica estera di questo Paese è esattamente come quella di tutti i Paesi alleati occidentali e va nella direzione di produrre elementi di conflitto che servono a garantire l'industria bellica.
È quanto sta accadendo: basta guardare le autorizzazioni all’ di armamenti che anche il nostro Governo ha concesso. Basta guardare il fatto che, come dicevo, abbiamo incrementato la nostra spesa militare del 7 per cento solo quest'anno. Abbiamo aumentato la vendita di armamenti in Medio Oriente del 200 per cento. La nostra vendita di armamenti a Paesi come l'Arabia Saudita è al centro di una questione etica, morale, signora Ministro. Voglio dirlo chiaramente, perché rischiamo di trovarci in una condizione, anzi, ci troviamo già in una condizione in cui in molti scenari di guerra i nostri militari si confrontano con gruppi di terroristi di vario tipo, armati fino ai denti, con armi prodotte nel nostro Paese . Questo è quanto succede e quelle armi le abbiamo vendute noi a Paesi nostri alleati che poi con il meccanismo delle triangolazioni le fanno arrivare in Paesi in conflitto, bypassando in questo modo la legge n. 185 del 1990.
Voglio aggiungere un fatto che, invece, non ha nemmeno questo : l'autorizzazione della vendita di bombe all'Arabia Saudita, bombe che sono attualmente utilizzate nel conflitto in Yemen. Abbiamo tutte le testimonianze anche dell'ONU rispetto alle violazioni dei diritti umani e alla condizioni in cui vengono massacrati i civili, donne e bambini, in quel Paese con bombe prodotte in Italia, signora Ministro. Penso che di questo dovremmo discutere perché, quando andremo a votare adesso gli impegni delle risoluzioni di maggioranza e di minoranza, avremo anche il compito di assumerci la responsabilità rispetto al mondo che abbiamo costruito e questo tema della responsabilità è un tema che dobbiamo assumerci fino in fondo. Lo dico perché, anche rispetto a tutti i fenomeni che oggi ci troviamo a contrastare, dai cambiamenti climatici ai grandi flussi migratori, dobbiamo sapere che su quella vicenda c’è una responsabilità dei nostri Governi e delle scelte di politica internazionale e di politica estera dei nostri Governi rispetto alle condizioni di vita in buona parte del pianeta e non possiamo pensare di non assumerci la responsabilità rispetto a questa vicenda.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ERASMO PALAZZOTTO. Noi fino ad ora la responsabilità – concludo, Presidente – ce la siamo assunta con l'idea di costruire muri, veri o immaginari che fossero, ce la siamo assunta non dicendo una parola su quello che sta facendo un Governo dell'Unione europea, come Orban, in Ungheria e ce la siamo assunta firmando un accordo con la Turchia che costruisce un altro muro, anche se non fisico, con cui bloccare quei profughi siriani che scappano da un conflitto che abbiamo armato.
PRESIDENTE. Deve concludere.
ERASMO PALAZZOTTO. E la stessa cosa – e concludo veramente, Presidente – riguarda la frontiera sud, come dicevo prima, la presenza militare nel Mediterraneo: quella presenza militare serve a costruire un nuovo muro, non quello di Berlino, ma quello di Lampedusa, se così lo volete chiamare, con cui bloccare i flussi di profughi che scappano da conflitti e da condizioni di invivibilità che noi abbiamo creato, a partire dalla situazione e dal pantano libico in cui io ho paura che ci stiamo andando a ricacciare, mantenendo una presenza militare che, oggi, non è più giustificata da nessun tipo di intervento, perché quell'ospedale da campo che serviva per la battaglia di Sirte...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
ERASMO PALAZZOTTO. ... finita la battaglia di Sirte, sarebbe da riportare a casa.
Quindi, concludo, Presidente, mi scusi...
PRESIDENTE. No, ha già concluso perché è già un minuto fuori dai tempi...
ERASMO PALAZZOTTO. E, quindi, noi voteremo contro il rifinanziamento di tutte quelle missioni che non hanno questo profilo .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Artini. Ne ha facoltà.
Saluto gli studenti e gli insegnanti del liceo scientifico Leon Battista Alberti, di Minturno, in provincia di Latina, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna .
Prego, onorevole Artini.
MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente. Giusto per fare il punto su questa nuova introduzione di un metodo diverso di approvazione delle missioni internazionali: a prescindere dal merito, è effettivamente un pregio che questo Parlamento possa aver portato a casa questo tipo di modalità.
Nel merito, intervengo molto brevemente, dati i tempi veramente contingentati. L'Afghanistan, la Turchia e la situazione in Kosovo sono missioni che meritano una riflessione su cui ci accingeremo a votare contrari rispetto a quella azione. In particolare, sull'Afghanistan, il ragionamento che ci viene da fare è lo stesso fatto negli ultimi quattro anni: è una missione che non corrisponde a nessuno dei nostri interessi; lo stesso vale per la situazione in Turchia, dove l'imbarazzante situazione del livello democratico di quell'area non può che portarci a fare delle riflessioni rispetto alla missione Active Fence, di cui siamo attualmente in carico. Relativamente, invece, al Kosovo, e concludo, Presidente, nell'andare ad approvare quella missione, l'unica valutazione che mi viene da riportare qui in Aula è di fare attenzione a mantenere – proprio per il discorso di cui diceva il Ministro relativo ai – anche il comando di quella missione. Dove noi, per varie volte abbiamo avuto questo ruolo, è opportuno continuare ad averlo, perché rispetto a quel canale di problematiche, anche da un punto di vista non solamente di ma di criminali, essere presenti con quel ruolo sinceramente è un passaggio non indifferente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vargiu. Ne ha facoltà.
PIERPAOLO VARGIU. Grazie, Presidente, colleghi, il gruppo Civici e Innovatori voterà per il rifinanziamento delle missioni, così come proposto dal Governo, e voterà con convinzione per tale rifinanziamento con alcune valutazioni che è utile fare in quest'Aula. La prima è che il nuovo regime autorizzativo che pone in capo al Parlamento compiti e incombenze importanti, attraverso il disposto della legge n. 145 del 2016, comporta anche un obbligo per il Parlamento, e cioè quello di affrontare la discussione in materia non come se si trattasse di una discussione politica su cui le divisioni devono essere per schieramento, ma come se si trattasse di una valutazione in cui l'approccio deve essere quello dello statista, cioè un approccio che guarda agli interessi complessivi del Paese, che guarda agli interessi del Paese inseriti nel contesto globale a cui il nostro Paese comunque fa riferimento e, quindi, tenendo fuori le polemiche che sono legate alle divisioni di schieramento e alle divisioni partitiche da quelle che sono decisioni importanti e che hanno come punto di riferimento gli interessi complessivi del Paese.
La seconda considerazione, che discende immediatamente da questa, è che, in un mondo globale, non esistono più i confini dei singoli Paesi, delle singole nazioni o, almeno, non esistono quando ci si trova di fronte a necessità di cooperazione internazionale anche legate, come in questo caso, ad aspetti di carattere bellico che hanno gli interessi dei valori fondanti delle comunità a cui noi apparteniamo in discussione.
È infatti del tutto evidente come ci sia un riverbero su ciò che succede nel nostro Paese di ciò che apparentemente sembra succedere a migliaia di chilometri di distanza; è del tutto evidente che le instabilità che si sono create in Libia hanno comportato un cambiamento radicale del fenomeno dell'immigrazione nel nostro Paese, così come le difficoltà di Paesi come la Siria o la Somalia si riverberano costantemente in flussi di persone che attraversano i confini e tentano di raggiungere i confini della civiltà, cioè quelli all'interno dei quali non esistono guerre e dove si possa dedicare l'attività umana al miglioramento delle proprie condizioni esistenziali e non semplicemente a preservare la propria esistenza.
Allora, io credo che i quattro parametri fondamentali che sono stati citati nella prima delle risoluzioni su cui il Governo ha espresso un parere favorevole, siano quelli che devono, veramente, guidare la nostra iniziativa politica: l'atlantismo, l'europeismo, il multilateralismo efficace e quella difesa dei diritti umani di cui il Ministro ha ricordato l'importanza come valore che contraddistingue il contingente italiano in qualunque parte del mondo sia stato impegnato.
Io credo che la nostra capacità di trovare empatia con le popolazioni nell'ambito delle quali le missioni italiane si sono esercitate sia una nota che contraddistingue la nostra capacità di impegno nei teatri territoriali dove siamo stati impegnati e che contraddistingue l'italianità specifica dei nostri contingenti, spesso impegnati all'interno di missioni che prevedono il supporto logistico per le popolazioni dei teatri in cui siamo impegnati o, addirittura, l'assistenza sanitaria.
Concludo, sottolineando come la decisione, che è presente nella determinazione che andiamo ad approvare con una risoluzione, di affidare all'Istituto superiore della sanità il monitoraggio e la salvaguardia della salute delle Forze armate che vengono impegnate nei contingenti dispiegati nei vari teatri mondiali sia una risposta intelligente, una risposta coerente che il Governo sta dando alla situazione di sofferenza che si è verificata in passato, rispetto alla mancata osservanza di tutte quante le attenzioni nei confronti della salute dei nostri militari o dei nostri poliziotti che sono stati impegnati in varie parti del mondo. Quindi, credo che anche questo sia stato un atto intelligente di cui il Parlamento deve in qualche misura dare riscontro e di cui il gruppo dei Civici e Innovatori darà riscontro, senz'altro, attraverso il voto favorevole .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rabino. Ne ha facoltà.
MARIANO RABINO. Grazie, Presidente. Signora Ministro, onorevoli colleghi, con l'entrata in vigore della legge n. 145 del 2016 sulla partecipazione del nostro Paese alle missioni internazionali ci siamo dotati di uno strumento nuovo e trasparente, volto a superare la procedura di decretazione d'urgenza, con cui, per lunghi anni, abbiamo operato sulla materia.
Sono stati molti i Governi che, soprattutto qualche legislatura fa, si sono trovati costretti a porre la questione di fiducia sull'impegno dei nostri militari all'estero. Governi che – ricordo il caso dell'ultimo Governo Prodi – proprio sulle missioni internazionali rischiarono di essere sfiduciati dal Parlamento per diatribe interne alla maggioranza dell'epoca. L'impegno del nostro Paese nei teatri internazionali più complicati è cosa troppo seria e troppo importante per essere usata per sanare conti interni ad uno schieramento politico. Ne va della serietà dell'intero sistema, anche agli occhi dei partner stranieri e delle istituzioni comunitarie e mondiali.
Siamo, quindi, felici di aver contribuito, anche con il nostro voto favorevole, sia alla Camera che al Senato, all'adozione di una legge quadro sulle missioni internazionali, i cui strumenti mettiamo per la prima volta, oggi, al vaglio dell'Aula. Una cornice legislativa stabile era proprio quello che serviva anche per offrire solidi punti di riferimento sia sul piano del rispetto del rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento, sia su quello dei delicati profili di natura giuridica ed economica riguardanti il personale civile e militare coinvolto. L'aver dato a tutte le tipologie di missioni che si sono man mano andate definendo negli ultimi anni – da quelle di ovvero quelle del mantenimento della pace, a quelle di quelle per il conseguimento della pace, fino agli interventi umanitari – un quadro normativo chiaro e definito, è un risultato di cui questo Parlamento può davvero andare fiero.
Al di là di alcune previsioni di principio contenute nella legge sull'ordinamento delle Forze armate, non esisteva, infatti, una disciplina organica, né per quanto riguarda il procedimento di autorizzazione, né per quanto riguarda il trattamento economico e normativo, come dicevo, del personale impegnato.
Le nostre Forze armate sono particolarmente apprezzate e si sono distinte in questi anni, non solo per le capacità militari, ma anche per la modalità di conduzione delle missioni, contraddistinta da imparzialità fra le parti in causa e grande sensibilità e attenzione alle esigenze delle popolazioni civili e soprattutto agli aspetti umanitari. Con il loro esempio, i nostri militari hanno fatto in modo che l'elemento di cooperazione assumesse un ruolo sempre più significativo.
La politica estera nel nostro Paese, ormai da più di trent'anni, annovera tra le sue componenti più qualificanti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali. Si è trattato e si tratta di un impegno oneroso, sia da un punto di vista economico che umano, ma essenziale, perché abbiamo contribuito ad importanti risultati di stabilizzazione in tante parti del mondo ed anche perché abbiamo migliorato il nostro strumento militare con l'addestramento e il rafforzamento della componente operativa. Crediamo, credo sia opportuno sottolineare questi successi, senza però negare che qualcosa si potrà e si dovrà cambiare, anche in considerazione del nuovo quadro delle crisi globali che si pongono di fronte a noi e della crisi economica, che inevitabilmente costringerà a selezionare in maniera più rigorosa gli impegni. Da oggi in poi, si tratterà di valutare in maniera più strategica le modalità e, soprattutto, gli ambiti regionali della nostra partecipazione alle missioni, concentrando, in particolar modo, l'attenzione sul Medio Oriente, ma soprattutto sul Mediterraneo.
Sono due i parametri cui dovremo attenerci per valutare l'opportunità della nostra presenza militare all'estero: garantire la sicurezza interna del nostro Paese e cooperare con le istituzioni internazionali – l'ONU e la NATO – per stabilizzare territori martoriati da conflitti lunghi, spesso, molti anni; territori che, se abbandonati a loro stessi, continuerebbero a essere teatro di scorribande e violenze inaudite.
In questo senso, va salutato positivamente l'accordo sancito col Governo libico in tema di contrasto alla immigrazione clandestina, come tutti gli altri accordi che sono tesi a prevenire le migliaia di morti di cui, purtroppo, il Mediterraneo ogni anno è teatro.
Le missioni internazionali sono questo. Troppo spesso si è dato spazio a pseudopacifisti pronti a citare, il più delle volte a sproposito, l'articolo 11 della nostra Costituzione, ma i nostri militari all'estero non vanno a combattere guerre inutili e ingiuste, vanno a salvare vite e a creare opportunità nuove per le popolazioni locali. I nostri contingenti entrano in un'azione per cercare e costruire la pace, non certo per fare la guerra, e, proprio per mantenere questa pace, siamo impegnati in una trentina di missioni con migliaia di uomini. Il nostro Paese è il settimo contributore al bilancio ONU sul fronte economico. Quando si parla dello stanziamento di fondi per le missioni internazionali, soprattutto in tempi di crisi e di difficoltà economiche, le polemiche sorgono quasi spontanee.
Garantire la pace a livello internazionale, sedare i conflitti in varie zone del mondo, senza avere l'ambizione e commettere l'errore di pensare di poter esportare il nostro modello di democrazia, risponde anche al nostro specifico interesse di cercare di frenare sul nascere gli estremismi, che, nel corso degli anni e, purtroppo, ancora oggi, hanno minacciato e minacciano noi e l'intero Occidente, da Al Qaeda all'ISIS.
Il Governo, per quest'anno, propone di spendere quasi un miliardo e mezzo di euro, andando ad impegnare più di 7.500 uomini in una quarantina di missioni internazionali, che spaziano dalla difesa dei confini esterni della NATO, passando per l'Asia, fino all'Africa.
Non lo nascondiamo, alcune missioni ci convincono di più e altre meno: non crediamo, ad esempio, che la decisione della NATO di dispiegare truppe nei Paesi baltici e in Polonia sia la via migliore per perseguire il miglioramento dei rapporti con la Russia; altre missioni, invece, dai Caschi blu della cultura in difesa del patrimonio UNESCO, fino agli sforzi nel Corno d'Africa, passando per il dispositivo di sicurezza istituito presso la diga di Mosul in Iraq, ci vedono pienamente concordi.
In definitiva, pensiamo che le nostre truppe all'estero, per la complessità del compito che svolgono e per sentire il supporto di tutta la comunità nazionale, abbiano bisogno di un sostegno parlamentare il più largo possibile. Fatemi sottolineare, in particolare, l'impegno n. 19, laddove, grazie ad una iniziativa del collega Artini, è stata prevista l'opportunità di incrementare le risorse disponibili di ulteriori 5 milioni di euro, finalizzandole allo scopo di rafforzare l'attuazione degli interventi dell'Unità di crisi del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a tutela dei cittadini e degli interessi degli italiani all'estero. Questo perché proprio ieri una delegazione di parlamentari della Commissione affari esteri da me guidata, l'onorevole Grande, l'onorevole Tacconi e l'onorevole Cimbro, insieme a me, hanno visitato l'Unità di crisi della Farnesina. Grazie alla mobilitazione naturalmente della Commissione affari esteri e dei suoi valenti funzionari, siamo stati accolti benissimo dall'ambasciatrice Elisabetta Belloni e abbiamo capito la delicatezza, l'importanza e la rilevanza di questo strumento, l'Unità di crisi, guidato splendidamente dal dottor Stefano Verrecchia.
Per tutte queste ragioni e per quelle che ho poc'anzi elencato e per il buon lavoro svolto dal Governo nel fornire tutti gli elementi utili a valutare il nostro impegno militare nei teatri internazionali, voteremo positivamente a tutte le risoluzioni su cui il Governo porrà voto favorevole.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà. Se i colleghi di fronte a lui lo mettono nelle condizioni... onorevole Pagano, per favore.
Prima di darle la parola, onorevole Picchi, volevo salutare studenti e insegnanti dell'Istituto superiore di istruzione «Podesti-Calzecchi Onesti» di Chiaravalle, in provincia di Ancona, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna
Prego, onorevole Picchi.
GUGLIELMO PICCHI. Grazie, Presidente. La giornata di oggi ci dà finalmente la possibilità che il Parlamento voti la prima risoluzione della legge quadro sulle missioni internazionali, dopo dieci anni di tentativi di arrivare a questo risultato. Quindi, la nota positiva è che finalmente ci siamo arrivati. L'altra cosa positiva è che finalmente possiamo fare un dibattito a tutto tondo su quale sia il ruolo dell'Italia nello scenario internazionale. Le missioni internazionali non sono solo missioni fini a se stesse, ma sono il nostro strumento principale di politica estera. Qui però c’è qualcosa da ridire: non sempre siamo in grado di fare leva sulla grande presenza e sul grande sforzo che mettiamo in campo. Il Ministro ha ben ricordato che abbiamo quasi 7 mila militari impegnati nelle varie missioni. Siamo tra i principali Paesi, se non mi sbaglio addirittura il secondo Paese dopo gli Stati Uniti, quanto a numero di forze dispiegate all'estero. In un anno in cui siamo nella della Presidenza OSCE, abbiamo il seggio al Consiglio di sicurezza dell'ONU e abbiamo la Presidenza del G7, dovremmo far valere meglio il nostro impegno, in termini di uomini, mezzi ed economico. Non siamo in grado di sfruttarlo, non lo abbiamo mai fatto in passato, dovrebbe essere il cardine della nostra politica estera e della volontà di qualsiasi Governo italiano, per fare avvertire forte la nostra presenza.
Per cui, al di là delle singole missioni, ce ne sono alcune che giudichiamo inutili, una su tutte la missione su Cipro. Siamo fortemente scettici dell'impegno in ambito NATO nei Paesi baltici, non lo giudichiamo positivo per le nostre relazioni con la Federazione russa; l'Italia è sempre stato un ponte tra NATO e Federazione russa; dobbiamo riprendere questo ruolo, dobbiamo far sentire la nostra voce forte all'interno della NATO e dobbiamo porre anche il problema di una riconfigurazione della NATO, che la NATO diventi uno strumento che possa rispondere alle sfide che ci pone il ventunesimo secolo, meglio e in modo più agile. Penso soprattutto alla lotta al terrorismo: la NATO, con la configurazione attuale, non ha tutte le caratteristiche per affrontare questa sfida e l'Italia dovrebbe essere protagonista per far capire questo.
Citiamo alcuni punti che per noi sono prioritari: ricordiamo che la sicurezza del Mediterraneo per l'Italia è prioritaria, ma dobbiamo far capire in tutte le sedi che un Mediterraneo stabile e in sicurezza è una sicurezza per tutto il continente europeo e anche per gli Stati Uniti. Non sempre tutti i nostri alleati sono consapevoli di questo e noi dobbiamo in ogni sede ricordare che un Mediterraneo stabile è importante. L'altra cosa è che dobbiamo rafforzare la nostra presenza in tutte le varie missioni africane perché questo, se le missioni vengono configurate attentamente come anche la lotta al traffico di essere umani e quindi il contrasto all'immigrazione clandestina, darà a tutto il continente europeo maggiore sicurezza. Per cui credo che questo sia qualcosa che dobbiamo migliorare e su cui dobbiamo focalizzarci, in particolare tutte le missioni, comunque esse siano inquadrate, a cui l'Italia partecipa nel Mediterraneo. Ci poniamo alcuni interrogativi anche sulla nostra presenza in determinati scenari. Dopo tanti anni di presenza in Afghanistan, avendo ancora una presenza solida, dobbiamo esattamente capire perché siamo ancora lì e non troviamo motivi che giustifichino ancora un impegno così forte da parte dell'Italia. Anche riguardo alla missione in Libano che va avanti da tantissimi anni – ricordo fu autorizzata durante il Governo Prodi – oggi forse dobbiamo porci il problema se l'Italia debba continuare a essere presente in un modo così massiccio. Tuttavia, nonostante queste critiche, la Lega non farà mai mancare il proprio appoggio morale a tutte le nostre Forze armate dovunque esse siano schierate, però, poiché ci sono tanti elementi che non ci convincono della risoluzione di maggioranza, apprezzando le tante aperture che ci sono state date in Commissione, con l'approvazione di nostri emendamenti, annuncio il voto di astensione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cimbro. Ne ha facoltà.
ELEONORA CIMBRO. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi. Il passaggio parlamentare di oggi sulle missioni internazionali segna un passo in avanti rispetto al passato, in quanto la legge n. 145 del 21 luglio 2016 supera l'adozione dei consueti decreti-legge in favore di un procedimento autorizzatorio che prende avvio dalla deliberazione del Consiglio dei ministri e dall'esame delle due Camere per affrontare aspetti politici e strategici delle singole missioni, per poi passare alla seconda fase dei provvedimenti legislativi recanti la copertura finanziaria delle spese connesse alle missioni internazionali. Un nuovo corso dunque, che può e deve riconoscere la centralità del Parlamento rispetto ad un tema fondamentale che non può essere una mera ratifica di un pacchetto di missioni, ma che discute – e nel caso ridefinisce – la presenza italiana nel mondo, sulla base di un ragionato e meditato assetto geopolitico. Avere la capacità critica di affrontare le potenzialità e i limiti delle singole missioni internazionali, sulla base però di un orizzonte geopolitico condiviso, deve essere il nostro principale obiettivo e dunque qui oggi viene richiesto a tutti di entrare in un'altra prospettiva, che sia quella di avere uno sguardo sul mondo lungimirante e che non si riduca a mettere delle bandierine – passateci il termine – per dire: «noi ci siamo». Come infatti abbiamo avuto modo di approfondire attraverso diverse audizioni nelle Commissioni congiunte esteri e difesa, la presenza italiana nell'attuale contesto geopolitico deve essere in grado di incidere là dove serve, ma allo stesso tempo deve avere il coraggio di lasciare dove il bilancio risulti negativo. In questo quadro più generale è importante sottolineare il senso di responsabilità che non mancherà verso il Governo rispetto all'autorizzazione delle missioni, ma riteniamo altresì che sia importante mettere in evidenza alcuni aspetti su cui chiediamo al Governo stesso, in particolare ai Ministri interessati, un supplemento di approfondimento e di controllo in vista dei provvedimenti che daranno la copertura finanziaria alle missioni.
Riteniamo infatti che, dopo più di quindici anni di presenza italiana in Afghanistan, sia necessario rivedere radicalmente la nostra presenza in questo contesto, prevedendo la fine delle operazioni entro il 31 dicembre 2017 e auspicando e sottolineando il carattere della missione, che espone le nostre Forze armate a rischi elevati. In Afghanistan il bilancio è negativo: permangono livelli elevatissimi di violenza, tensioni, instabilità, che collocano questo Paese al quartultimo posto nel Global Peace Index del 2016. Dopo più di un decennio di guerra, soltanto nel 2015 ci sono stati 11.000 civili vittime di violenza e lo scorso anno 640.000 afgani sono stati costretti a lasciare le proprie case. È estremamente preoccupante il dato sulla produzione di oppio nel Paese: nel 2016 si è registrata una crescita del 43 per cento rispetto al 2015 e si stima che lo scorso anno in Afghanistan siano state prodotte 4.800 tonnellate di oppio. Tutti gli investimenti fatti in questi anni non hanno portato all'auspicata stabilizzazione e transizione democratica nel Paese, ma si è assistito ad un inasprimento delle tensioni e a un generale peggioramento delle condizioni di vita dei civili, con una presenza dei talebani che controllano poco più della metà del Paese, come riportato anche in un recente rapporto dell'Ufficio dell'ispettore generale speciale per la ricostruzione dell'Afghanistan. L'altro grande scenario geopolitico su cui è urgente una riflessione che tenga conto, non solo delle emergenze, ma anche delle prospettive future, in un'ottica lungimirante e non miope, è il Mediterraneo. Questa piattaforma, che è da sempre crocevia di scambi culturali economici e sociali, fin dai tempi dell'Impero Romano, e che oggi ha assunto nuovamente una centralità ahimè per motivi tragici, deve tornare ad essere il fulcro dell'equilibrio geopolitico europeo. Per fare questo è necessario non alzare muri, ma costruire ponti, gestire fenomeni a partire da quello delle migrazioni e non contrastarli o subirli . Per questo, riteniamo che la missione dell'Unione europea e EUNAVFOR Med – operazione Sophia debba continuare ad operare senza il passaggio alla terza fase, e lo sottolineiamo con chiarezza. Al momento infatti le operazioni hanno un'impronta umanitaria e sono incentrate sull'attività di pattugliamento e controllo delle acque e soccorso ai barconi dei migranti, ma presto potrebbero trasformarsi con l'estensione dell'attività nelle acque territoriali libiche e con l'attivazione del blocco navale.
Nel 2016, 5.022 persone sono morte in mare, provando a raggiungere l'Europa, un triste che non può non interrogare le nostre coscienze. Oggi, nonostante una presenza massiccia di navi militari nel Mediterraneo, quasi il 50 per cento dell'attività di ricerca e soccorso dei migranti in mare viene effettuato grazie alla presenza dell'imbarcazione delle organizzazioni non governative, che portano in salvo i migranti sulle coste. I soccorsi europei di Frontex e di EUNAVFOR Med sono diminuiti molto di numero e si sono assai allontanati dalle acque libiche. L'attivazione della terza fase dell'operazione Sophia sarebbe quindi un'inevitabile tragedia.
Anche la gestione della crisi libica presenta delle criticità oggettive che non possono ridursi – se davvero vogliamo governare i processi, e non subirli –, ad un semplice intervento securitario. Siamo fortemente preoccupati che il sottoscritto dal nostro Paese non aiuti a governare il processo migratorio, ma anzi lo esacerbi, creando una sorta di gabbia libica contraria al rispetto dei diritti umani. Per questo, riteniamo che sia importante, con riferimento alla missione «Mare sicuro», specificare, tra gli obiettivi primari della missione, le attività di ricerca e soccorso in mare, non soltanto la protezione delle unità navali nazionali impegnate in dette operazioni. Così come è importante rivedere la presenza dell'Unione europea a sud, portando a compimento, con il partenariato meridionale, il processo di Barcellona, iniziato ormai più di vent'anni fa – è bene ricordarlo – ed è altresì fondamentale rivedere il partenariato orientale e dunque capire quale rapporto avere con la Russia. Non è pensabile, pur nel rispetto degli accordi internazionali legati alla vicenda ucraina, che permangano blocchi contrapposti e che non si operi per superare questa dicotomia, che non serve e che non tiene conto anche del mutato assetto geopolitico a seguito della nuova presidenza statunitense.
Per questo, nello specifico, sarebbe auspicabile che le missioni in quell'area geografica vengano fatte cessare al 31 dicembre 2017 e che in Lettonia riteniamo inopportuno e controproducente lo schieramento di truppe al confine orientale.
Il mondo è cambiato e cambia velocemente; dobbiamo essere in grado di cogliere per tempo i cambiamenti e saper dare risposte che servano e che non siano una coazione a ripetere fine a se stessa. Per essere incisivi sullo scenario mondiale non è importante la quantità ma la qualità della nostra presenza e la capacità di capitalizzare le missioni da un punto di vista diplomatico. È necessario superare l'attuale impostazione securitaria e aggressiva delle missioni, che sostanzialmente è la stessa degli ultimi 15-16 anni, in favore di una vicinanza ai popoli, perché il fine ultimo è la convivenza tra diverse realtà e non la guerra permanente.
Ribadendo, dunque, la responsabilità nei confronti del Governo, chiediamo che questo nuovo metodo di discussione e votazione sulle missioni internazionali possa essere sostanziale e un momento per riflettere davvero su ogni singola missione, senza freni ideologici ma, allo stesso tempo, avendo ben chiara, appunto, quale sia la nostra .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scopelliti. Ne ha facoltà.
ROSANNA SCOPELLITI. Grazie, Presidente, mi scusi. Il gruppo parlamentare di Area Popolare voterà a favore della risoluzione a prima firma Garofani e Cicchitto sulla deliberazione del Consiglio dei Ministri in merito alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali. Questa risoluzione autorizza, infatti, tutte le missioni e le attività di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 14 gennaio 2017. Questa deliberazione rappresenta il primo elemento attuativo della nuova legge quadro sulle missioni internazionali, uno strumento che ha finalmente assunto un carattere strutturale. L'Italia, infatti, da sempre è impegnata con le sue donne e i suoi uomini, di cui ricordiamo il valore e la professionalità internazionale, a rafforzare il suo approccio nella gestione alle crisi internazionali, in linea con i principi della strategia globale dell'Unione europea. Le linee di intervento italiane, insieme agli altri partner, spaziano dall'Africa all'Asia, dal Medioriente ai confini dell'Alleanza atlantica, andando ad affrontare le principali aree di instabilità nel mondo.
Il Governo, pertanto, si prepara ad affrontare, nel 2017, circa 40 missioni. Il punto di riferimento più importante è senza dubbio quello dell'area del Mediterraneo, come peraltro ha ricordato anche la Ministra, unitamente all'azione contro il terrorismo. Infatti, la sicurezza del Mediterraneo rappresenta il nucleo fondamentale della sicurezza di tutta l'Europa. Come sopra evidenziato, è anche importante un impegno contro il terrorismo di e questo intervento si esplica innanzitutto nella coalizione di cui l'Italia è parte, insieme a 65 Paesi e ad altre organizzazioni internazionali. Come sempre, l'Italia partecipa con una rilevante consistenza di mezzi e di uomini e tra i compiti che il contingente italiano dovrà affrontare si annoverano quelli umanitari, di fornitura di equipaggiamento, di ricognizione e di sorveglianza dell'area, di recupero del personale civile e militare e di addestramento delle forze di sicurezza irachene e curde. Si tratta, quindi, di un impegno che il nostro contingente affronta con grande capacità, allo scopo di contrastare e di vincere la sfida contro il e il terrorismo in genere, condizione questa fondamentale per la stabilizzazione dell'area.
Inoltre, è prioritario anche agire per dare consistenza agli aiuti umanitari, promuovendo, al tempo stesso, processi di pace e di riconciliazione attraverso misure di assistenza e di sostegno alle minoranze vittime delle offensive, che sono tantissime peraltro. Inoltre, è prioritario agire per dare appunto un aiuto, una mano proprio perché molto spesso queste minoranze non hanno loro stesse la forza di potersi ribellare e di trovare comunque i mezzi per poterlo fare. Altri impegni fondamentali sono quelli nel Kosovo e in Afghanistan, dove il nostro Paese contribuisce all'addestramento e alla formazione nonché all'assistenza delle locali forze di sicurezza e di difesa, che, proprio in questa zona, risultano essere ancora fragili. Pertanto, è necessario ancora essere presenti per giungere a un'effettiva stabilizzazione del territorio e per contrastare il terrorismo che è ancora troppo presente e minaccioso. Va dato atto al nostro Paese – e questo è molto importante – di essersi impegnato, in questi anni e come continuerà a fare anche in futuro, con grande sforzo e con grande capacità in aree delicate del mondo. Dunque, proprio per questo motivo e con grande convinzione, noi ribadiamo il nostro voto favorevole .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Elio Vito. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, signora Ministra, innanzitutto, come è stato già detto da alcuni colleghi che sono intervenuti prima di me, voglio esprimere una particolare soddisfazione per il fatto che, per la prima volta, il Parlamento autorizza la partecipazione del nostro Paese alle missioni internazionali in base alla nuova procedura della cosiddetta legge quadro. L'ho seguita personalmente e non voglio vantarmene, perché è una legge che è stata condivisa praticamente da quasi tutti i gruppi parlamentari. Io credo che si tratti di una delle riforme più importanti fatte da questo Parlamento in questa legislatura. Se n’è parlato poco, ma è una riforma importante che, come stiamo vedendo e come vedremo poi con i voti, non toglie nulla e, anzi, esalta il ruolo del Parlamento nell'autorizzazione al Governo a partecipare alle varie missioni e pone fine alla pratica dei decreti di proroga delle missioni stesse, che spesso venivano fatti dai vari Governi che si sono succeduti anche con molto ritardo, con ritardi di settimane e a volte di mesi, rispetto alla scadenza precedente, creando non pochi problemi da un punto di vista giuridico e operativo ai nostri militari che, invece, hanno bisogno di certezze.
Questa riforma, voglio ricordarlo senza spirito di polemica, non è stata fatta per iniziativa del Governo ma per iniziativa parlamentare: non c’è stato nessun referendum, non c’è stata nessuna nessuna propaganda; l'abbiamo votata tutti e credo che sia un buon metodo che dimostra come le riforme si possono fare e si possono realizzare d'intesa tra Governo e Parlamento, e do atto anche dello spirito di partecipazione che il Governo e la signora Ministra hanno sempre avuto.
Quindi, si tratta di un obiettivo importante. Infatti, la gran parte delle missioni che noi oggi stiamo votando rientrano nella più che decennale linea del nostro Paese di aderire, senza alcun dubbio e anzi con molta partecipazione da parte dei nostri militari che ringraziamo, alle missioni internazionali dell'ONU, della NATO e dell'Unione europea. Quindi, si riprende questa lunga tradizione, sulla quale Forza Italia ha sempre votato a favore, sia quando stava al Governo, sia quando è stata all'opposizione, che è una linea di coerenza di politica estera che avremmo auspicato che ci fosse stata in passato anche da parte di altri gruppi che ora sono nella maggioranza.
Quindi, mi soffermerò su quelle che sono alcune missioni cruciali. Innanzitutto, voglio dire di una missione particolarmente delicata, che è quella della partecipazione alla missione NATO sui confini a est dell'Europa. Credo che rispetto all'attore Russia nello scenario di politica internazionale dobbiamo avere una politica di maggiore coinvolgimento e collaborazione. Non può essere la politica delle sanzioni o la politica del contrasto, anche muscolare, sui confini a est dell'Europa l'unica politica che il nostro Paese, l'Unione europea e la NATO possono avere nei confronti dell'attore Russia, che in tanti scenari internazionali svolge un ruolo strategico.
Siamo, però, soddisfatti dalle decisioni assunte, in sede NATO negli ultimi vertici, che hanno spostato l'attenzione anche sul confine sud dell'Europa, che è un confine che ci vede particolarmente protagonisti (le sponde del Mediterraneo). Diamo atto anche al Governo di essersi adoperato in questa fase. È un equilibrio importante e necessario che consente finalmente di dire che non c’è solo un problema di confini orientali – a nostro giudizio questo è un problema minimale – ma c’è soprattutto, per la NATO, un problema ai confini meridionali dell'Europa, quelli che ci riguardano da vicino e più direttamente.
Vengo, quindi, a quest'area. Innanzitutto Siria e Iraq, dove noi partecipiamo attivamente. Noi abbiamo votato le risoluzioni che autorizzavano la partecipazione del nostro Paese sin dall'inizio alla coalizione contro il terrorismo internazionale, ma il nostro Paese deve fare di più. Deve fare di più con gli uomini che abbiamo in campo e deve fare di più anche per difendere i siti storici (penso a quelli dell'Unesco). Infatti, abbiamo dei corpi specializzati su questo e, dunque, non è possibile che assistiamo a quello che sta accadendo in quelle aree del mondo, così delicate, senza che ci sia un intervento diretto dei nostri militari, che pure il Parlamento ha autorizzato.
E si deve fare di più anche in Libia. Qui c’è un impegno specifico della nostra mozione che il Governo ha ripreso e accolto – e lo ringraziamo per questo – che è quello di fare in modo che nelle sedi internazionali vi possa essere la consapevolezza di passare alla terza fase della missione Eunavfor Med . Si dice che ci vuole l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ci vuole la richiesta del Governo in carica libico. Il Governo in carica libico è stato in grado di chiedere la presenza dei nostri militari con l'ospedale, che pure noi di Forza Italia abbiamo sostenuto e votato, a Misurata, ad esempio.
Quindi, credo che possa essere anche in grado di chiedere la partecipazione della coalizione internazionale alla terza fase in Libia. Noi oggi sediamo nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, quindi abbiamo anche la possibilità e il modo per far sì che ci siano quelle iniziative diplomatiche che noi chiediamo vengano assunte, affinché si passi a questa terza fase.
Perché è necessaria questa terza fase ? Perché, per quanto possa essere costosa, per quanto possa essere difficile, per quanto possa essere anche onerosa da un punto di vista operativo, è necessaria per combattere i trafficanti illegali di persone, gli scafisti. Senza questo combattimento senza arrivare sulle coste libiche a impedire le partenze, noi non porremo mai fine alla tragedia delle morti in mare, non porremo mai fine al dramma dell'emigrazione clandestina e al fatto che, di fatto, siamo costretti unicamente a trasportare gli immigrati che partono dalle coste libiche e arrivano nel nostro Paese.
Vi è una disattenzione crescente dell'Europa su questo tema. L'Europa aveva preso degli impegni in tema di respingimenti, in tema di ricollocamenti, che non sono stati mantenuti. Sentiremo oggi su questo l'Alto Rappresentante Mogherini, nelle Commissioni parlamentari.
Noi riteniamo che anche in questa sede dobbiamo farci ascoltare e pretendere che gli impegni che sono stati assunti dal Governo in sede europea e dall'Unione europea nei confronti del nostro Paese vengano mantenuti tutti. Quindi, noi siamo convinti assertori da sempre della partecipazione del nostro Paese alla coalizione antiterrorismo, chiediamo semplicemente che questa partecipazione sia resa più operativa, sia resa più fattiva.
Forza Italia, dunque, voterà a favore dell'autorizzazione al Governo per la piena partecipazione del nostro Paese a tutte le missioni internazionali, in linea con quanto abbiamo già fatto. E abbiamo presentato questo specifico impegno sulle coste libiche, sull'operazione Eunavfor-Med, perché crediamo che il nostro Paese abbia bisogno di una maggiore partecipazione dell'Unione europea e degli altri Paesi della coalizione internazionale, per combattere il fenomeno dell'immigrazione clandestina.
Concludo, signor Presidente, con un ringraziamento diretto alle donne e agli uomini del nostro Paese che servono la patria a rischio della loro vita, non solo in patria, ma in territori lontani di tutto il mondo, perché, come si vedrà con l'elenco delle missioni, sono territori lontani sparsi in tutto il mondo. Queste donne e questi uomini lo fanno con grande professionalità, che ci viene riconosciuta dagli attori internazionali, lo fanno per difendere la nostra sicurezza, per difendere la pace e la democrazia nel mondo e anche per tenere alto il prestigio del nostro Paese. Noi vorremmo che questa consapevolezza del ruolo dei nostri militari, del lavoro che fanno ogni giorno – sono migliaia e migliaia di donne e di uomini – fosse una consapevolezza diffusa, al di là delle divisioni politiche che ci possono essere sull'una o sull'altra missione internazionale. Credo che su questo ci debba essere il consenso e il ringraziamento unanime di tutto il Parlamento
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scagliusi. Ne ha facoltà.
EMANUELE SCAGLIUSI. Grazie, Presidente. Questo è un periodo in cui cambiano gli equilibri internazionali tra i vari Paesi: è in corso la Brexit, negli USA il Presidente Trump chiede di rivedere il ruolo del proprio Paese all'interno della NATO e l'Europa rischia di uscire ancora più frammentata dalle prossime elezioni nazionali in Francia, Olanda e Germania, dopo la gestione fallimentare europea di questi anni.
Cosa succede invece in Italia ? Qui da noi è tutto fermo, abbiamo il «brodino riscaldato» del Governo Gentiloni che ha come unico scopo quello di mantenere lo e fare in modo che gli italiani vadano alle urne il più tardi possibile, aumentando il rischio che il nostro Paese resti il fanalino di coda nel futuro politico del nostro continente.
Mentre si tagliano i fondi per la sanità, per le politiche sociali, per la scuola e mentre la disoccupazione continua ad aumentare, il Partito Democratico ha bloccato il Parlamento e l'intero Paese in attesa del proprio congresso e di risolvere le proprie beghe interne di partito, costringendo l'intero Paese all'immobilismo.
Ma un paio di cose, signor Presidente, le hanno fatte e tra quelle poche cose fatte abbiamo: il piano «Salva banche», con cui in una notte avete dato 20 miliardi alle banche, fatte fallire sempre per i giochi di prestigio del Partito Democratico, e l'aumento della spesa per le missioni militari all'estero; un aumento dell'8 per cento rispetto al 2016, in totale si arriva quasi a un miliardo e mezzo di spese militari.
Naturalmente, la parte riservata alla cooperazione internazionale resta minoritaria: cooperazione che invece sarebbe importante proprio per prevenire alcuni dei problemi che ci troviamo ad affrontare dal punto di vista internazionale.
In politica estera, dove oggi siamo rappresentati da Angelino Alfano, i nostri alleati ci considerano ancora il piccolo Paese uscito sconfitto dalla Seconda Guerra mondiale, abbiamo una sovranità limitata e gestita direttamente da Stati Uniti, NATO ed Unione europea. Non si spiega altrimenti la predisposizione da parte dei Governi italiani nel giocare a Risiko per conto terzi. L'Italia ha un elevato numero di militari all'estero, quasi 7.000, in quasi tutti gli scenari di guerra c’è almeno una nostra pedina, ma non per nostri interessi diretti; spesso siamo in guerre che non ci appartengono e che portano più svantaggi che vantaggi alla nostra causa, guerre che vanno nella direzione opposta rispetto all'interesse dell'Italia e degli italiani. Gli Stati non hanno amici, ma interessi e gli italiani fanno fatica a capire perché dovremmo difendere quelli altrui, quando non coincidono con i nostri.
Inoltre, il Paese conta poco sui tavoli internazionali, non solo per ragioni militari, economiche e finanziarie, ma anche morali. Non abbiamo credibilità internazionale proprio per motivi morali, paghiamo: cattiva amministrazione, lassismo e corruzione della classe politica.
Abbiamo inviato militari ai confini con la Russia, nei Paesi baltici ad esempio, per imposizioni nordatlantiche, quando invece fare l'interesse degli italiani vorrebbe dire scongelare immediatamente i rapporti con la Russia ed eliminare le sanzioni, viste le ingenti perdite di quote in termini di agroalimentare che stanno subendo le nostre imprese italiane.
Lo stesso si può dire per la nostra presenza in Afghanistan, dove l'Italia è presente con 900 uomini ad Herat. Ma qual è l'interesse dell'Italia nel tenere uomini in Afghanistan, ancora nel 2017 ?
Lo stesso si può dire per l'Iraq, dove siamo presenti dal 2003, a seguito dell'invasione americana, con 1.500 uomini, di cui 5-600 a presidio della diga di Mosul appaltata ad un'azienda italiana. In altre parole, signor Presidente, i nostri uomini fanno vigilanza alla diga per interessi di un'azienda privata.
In Libia, invece, ci siamo dal 2011, quando ci siamo accodati a francesi ed inglesi, che hanno bombardato senza neanche avvisarci, nonostante il rapporto privilegiato che l'allora Governo italiano stringeva con Gheddafi.
È giunto il momento in cui l'Italia debba farsi promotrice in quel Paese, in Libia, di un tavolo di pace, per riprendersi il ruolo chiave che ha sempre avuto nel Paese nordafricano, soprattutto dopo il fallimento da parte degli inviati dell'ONU. Ma su questo Gentiloni e Alfano dormono, attendono che siano gli altri a fare la prima mossa.
Abbiamo militari in giro per il mondo, ma la guerra ce l'abbiamo in casa: siamo soli, in affanno, nella gestione dei flussi migratori, siamo un bersaglio sensibile per i terroristi – vi ricordo che gli attentati in Europa sono stati realizzati da lupi solitari e di ritorno – e attualmente l'Italia è un vero e proprio crocevia mal gestito di flussi.
Quello che si poteva fare da subito, già con questo atto, era ottimizzare l'uso dei mezzi e uomini, riducendo il nostro impegno all'estero, per concentrare le risorse sulla difesa interna e dei nostri confini. Per ognuna delle missioni è necessario soppesare meglio il nostro intervento, chiedendoci banalmente: quanto ci costa e quanto ci rende ogni missione in termini di sicurezza interna e posizionamento internazionale ?
Infatti, noi del MoVimento 5 Stelle voteremo, grazie a questa nuova modalità della legge-quadro, a favore di alcune missioni che riteniamo utili, abbiamo proposto delle riformulazioni, naturalmente riformulazioni negli impegni, per altre missioni, voteremo contro quelle che da questo punto di vista, secondo questa logica, non riteniamo utili.
Naturalmente, tornando al finanziamento, sarebbe opportuno investire più risorse in sicurezza interna, non con questo atto naturalmente, ma con altri atti, evitando ulteriori tagli alle forze dell'ordine, privilegiando un lavoro maggiore da parte dell’ e intensificando gli scambi sia con i Paesi europei, che con quelli balcanici, che sono un vero e proprio serbatoio di di ritorno dai Paesi del Medio Oriente in guerra, dalla Siria e da altri.
Invece, questo rifinanziamento rappresenta un'ulteriore occasione persa per il nostro Paese. La maggioranza in Parlamento ha dimostrato, ancora una volta, di essere succube del Governo e per le opposizioni c’è stata una limitata possibilità di intervenire, in quanto interveniamo alla fine su una relazione, quindi su un atto di indirizzo al Governo che ha un peso minore di quello che hanno le leggi; quindi, rispetto al «decreto missioni», purtroppo, è anche un passo indietro da questo punto di vista. Questa è l'ennesima dimostrazione che questo Parlamento continua a ripetere gli stessi errori dal passato.
Signor Presidente, in questi atti vediamo tutelati gli interessi di altre nazioni, di organizzazioni sovranazionali, di aziende private, di venditori di armamenti, ma mancano gli interessi dell'Italia e degli italiani. Le missioni internazionali devono diventare uno strumento al servizio della politica estera, al servizio degli interessi dei cittadini italiani, non un modo per privare risorse alla nostra sicurezza interna. Ma gli italiani sanno già, signor Presidente, che l'unica speranza per il nostro Paese, per rialzare la testa e avere una politica estera indipendente, è quella di avere un Governo a 5 Stelle .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Quartapelle Procopio. Ne ha facoltà.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie, Presidente. Approviamo oggi la partecipazione italiana alle missioni internazionali per l'anno 2017. Si tratta del principale provvedimento sui temi della pace e della sicurezza internazionale per il nostro Paese. L'Italia, come ricordava anche il Ministro Pinotti, è attiva in più di 40 missioni, con 7459 donne e uomini delle Forze armate, 167 donne e uomini delle forze di polizia, e un impegno economico di oltre 1427 milioni di euro, di cui 295 milioni andranno per i processi di pace e di stabilizzazione.
L'approvazione del provvedimento odierno è una discussione che facciamo ogni anno, ma quest'anno avviene in una cornice differente che forse avrebbe richiesto una maggiore attenzione dell'Aula. È la prima volta che approviamo le missioni internazionali con il processo autorizzativo previsto dalla legge quadro sulle missioni, la legge n.145 del 2016, nata dal lavoro di tanti colleghi parlamentari, a partire dal presidente della Commissione, Francesco Garofani, e dallo stesso Ministro Pinotti quando era ancora al Senato.
Il nuovo quadro autorizzativo è stato elaborato proprio per permettere da un lato una discussione approfondita di ciascuna missione, valutandola nel quadro degli impegni globali; un'occasione di discussione di politica estera che, purtroppo, da parte dei colleghi del MoVimento 5 Stelle è stata un'occasione persa, visto che hanno parlato di banche, hanno parlato del Governo Gentiloni, hanno parlato del congresso del PD.
Dall'altro lato, abbiamo fatto questa legge per valorizzare le specificità di un provvedimento parlamentare che deve raccogliere un consenso più ampio della semplice maggioranza di Governo. Trattandosi di politica estera e di difesa è importante, infatti, garantire all'Italia un quadro stabile per quanto si fa come nazione nel mondo per difendere l'interesse della pace e della stabilità.
L'Italia può rivendicare con orgoglio quello che facciamo con il nostro impegno militare nei vari teatri di crisi. Richiamo l'attenzione su questo punto non per difendere questo Governo o per fare una narrazione ottimista: quando si parla all'estero del nostro impegno per la stabilizzazione e la pace, a nessuno viene in mente di ricollegarlo a un Ministro, o a un Presidente del Consiglio, è semplicemente l'impegno dell'Italia. La presenza internazionale del nostro Paese si è caratterizzata nel corso della nostra politica estera proprio per un'esperienza, una presenza, qualificata e autorevole, nell'ambito delle missioni di pace. Siamo, come diceva il Ministro questa mattina, i primi contributori tra i Paesi occidentali di truppe per le missioni ONU e per le missioni dell'Unione europea. Ma non è solo questo Governo o il precedente ad assumersene i meriti, è l'Italia, nella continuità degli impegni dei suoi Governi, con il lavoro e l'autorizzazione del Parlamento. Un lavoro delicato che abbiamo l'onere di svolgere insieme, con la consapevolezza che la crescente preoccupazione dei nostri cittadini rispetto alle questioni della sicurezza internazionale richiede una continuità nel tempo per costruire le condizioni per la pace e la sicurezza internazionale.
C’è stato uno studio, quest'anno, pubblicato da Ispi e Ipsos che ha identificato come le questioni di sicurezza globale, in particolare terrorismo e immigrazioni, siano, anche per quest'anno, le minacce più importanti per l'ordine globale indicate dai cittadini italiani. Per combatterle, prevenire i rischi di nuovi attentati, per stabilizzare i Paesi da dove partono i migranti, sappiamo che serve un impegno nel tempo, anche attraverso l'uso dello strumento militare. Un impegno diversificato a partire dai teatri più vicini, da quel Mediterraneo che è, inevitabilmente e da sempre, il centro geografico delle nostre preoccupazioni strategiche, e quindi anche del nostro impegno. Quindi, siamo convinti, insieme ai libanesi e israeliani, che la nostra presenza in Libano, con la missione UNIFIL, il principale esempio di modello di cooperazione civile e militare di sia una missione molto efficace nel mantenere stabilità in un'area delicata. Siamo convinti che il terrorismo senza scrupoli di si combatta anche con la nostra presenza in Kurdistan iracheno, a fianco della ricostruzione della diga di Mosul e a fianco nell'addestramento delle Forze armate peshmerga contro . Siamo convinti, molto convinti, che l'impegno in Libia, anche dopo la firma del tra il nostro Governo e il Governo nazionale di accordo, sia utile a contrastare il traffico di esseri umani, a rafforzare il controllo delle frontiere, ad addestrare la guardia costiera libica. Siamo convinti che sia necessario continuare con l'impegno nel Mar Mediterraneo, con per salvare le vite, soprattutto per contrastare il traffico di persone, valutando la possibilità e cercando di costruire le condizioni per passare alla fase tre dell'operazione. Siamo convinti che la stabilizzazione dell'Afghanistan, per quanto il processo sia lungo e complicato, passi anche dalla nostra presenza all'interno della missione NATO. Siamo convinti, insomma, che nei vari teatri in cui siamo coinvolti, le nostre Forze armate stiano facendo con professionalità, per conto dell'Italia, quanto possibile per assicurare stabilità e pace.
Come Italia, sappiamo bene di essere una media potenza e quindi di poter garantire il nostro interesse nazionale e la nostra sicurezza non da soli, non con atti unilaterali, ma solo all'interno del quadro delle nostra alleanze, nel rapporto con i europei e con quelli dell'Alleanza transatlantica. È per questo che è importante, a pochi giorni dal sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, sottolineare come il processo di integrazione europea stia trovando un nuovo e più che necessario vigore con le azioni per rafforzare la cooperazione in materia di difesa in ambito europeo. Siamo anche convinti che questi sforzi di stabilizzazione si possano fare con un tratto italiano, attento alla mediazione, ai diritti umani, e soprattutto all'impegno sul versante delle donne nei processi di pace. Lo dico non solo perché oggi è l'8 di marzo, ma perché, come ricordava la collega Locatelli, noi siamo effettivamente all'avanguardia della messa in pratica della risoluzione n.1325 su donne, pace e sicurezza.
Alcune forze parlamentari nel corso del dibattito si sono dichiarate contrarie ad alcune delle missioni oggetto del provvedimento. Capiamo ovviamente, anche se non è possibile condividere, la posizione di chi, come il MoVimento 5 Stelle, qualche settimana fa ci proponeva di uscire dalla NATO e oggi, auspicando un diverso quadro delle nostre alleanze globali o forse nessuna alleanza internazionale, ci propone un altro modello di sicurezza, quello di abbandonare tutte le missioni della NATO. Ci chiediamo come faranno loro, quando sarà, semmai sarà, il loro turno di andare al Governo, per creare stabilità. Forse seguendo i consigli dell'onorevole Di Battista che dice che bisogna dialogare con tutti, anche con i terroristi di o forse prendendo ad esempio la pacificazione «fai da te» inaugurata dall'onorevole Tofalo che si è fatto accompagnare da dei trafficanti di armi per provare a mettere al tavolo tutti gli attori della Libia e oggi si trova, suo malgrado, coinvolto in una inchiesta della magistratura sul traffico internazionale di armi. Sono queste, parole e atteggiamenti, di cui possono servirsi con privilegio quelle forze politiche che rifiutano la responsabilità istituzionale che sarebbero invece richiamati ad assumere.
Ma vi sono anche altre forze politiche, che si dicono di Governo, che hanno ieri presentato una mozione, poi ritirata, in cui si mettevano in discussione due capisaldi della nostra politica estera: da un lato, il nostro impegno in Libia e dall'altro lato, il nostro impegno nella NATO. Mi riferisco ai colleghi dell'MDP. Nell'intervento dell'onorevole Cimbro abbiamo sentito delle critiche molto forti sul tema del nostro impegno in Afghanistan e sul tema del nostro impegno in Libia. MDP è nato, uscendo dal PD, perché il PD non era abbastanza di sinistra e il primo provvedimento sul quale si qualificano con la loro presenza in Parlamento è esattamente questo. Capiremo dai voti che cosa intendono loro con l'essere «abbastanza di sinistra». Al momento, guardando al testo della risoluzione che hanno presentato, sembrerebbe che essere di sinistra, nell'atteggiamento di MDP, significhi rimangiarsi gli impegni che il nostro Paese si è assunto a livello internazionale, provare a disfare il lavoro che è stato sulla politica estera. Certo, questo è effettivamente un antico vizio di una certa idea di sinistra. Lo sa bene Romano Prodi, che proprio sulla missione in Afghanistan ha visto il suo Governo cadere nel 2008 e lo sa bene anche Massimo D'Alema, che da Ministro degli affari esteri ha dovuto contrastare una certa idea di politica di sinistra che affermava la propria identità proprio distinguendosi sugli impegni internazionali. Lo sanno bene anche gli italiani, che non dimenticano come quella incapacità di essere inaffidabile sulle scelte di politica estera ha qualificato come inaffidabile tutto il Governo dell'Unione. Credo sia di sinistra e di buonsenso, invece, continuare a sostenere un'idea di politica estera del nostro Paese che mantenga gli impegni, che si faccia carico delle nostre responsabilità in sede internazionale e che non si sottragga a quanto richiesto dalle nostre alleanze per la pace, la sicurezza e la stabilità .
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
ANDREA MANCIULLI, . Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREA MANCIULLI, . Presidente, veramente in maniera molto breve, vorrei fare un ringraziamento sentito e non formale a tutte le forze politiche, perché si compie un atto non ordinario. Durante il corso della stessa legislatura abbiamo approvato una legge, tutti insieme, che riformava il meccanismo di decisione sulle missioni, e oggi, a mio avviso, abbiamo dato corso a un dibattito che nobilita la nostra politica estera e che soprattutto rende onore ai tanti militari italiani che sono impegnati in quel contesto. Non era bello lo stillicidio sul rifinanziamento. Oggi ogni forza politica ha potuto esprimere la sua posizione, e lo ha fatto anche in maniera molto diversa. Si voterà su alcune missioni a favore e su altre contro, ma il nostro Parlamento, a mio avviso, ha fatto un atto formale e importante di vicinanza a chi lo rappresenta nel mondo in un momento così preoccupante per il pianeta.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Come da prassi, le risoluzioni saranno poste in votazioni per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.
Passiamo alla votazione della risoluzione Garofani, Cicchitto ed altri 6-00290.
Avverto che ne è stata chiesta la votazione per parti separate.
Tale richiesta può essere accolta alla luce di quanto già emerso in occasione della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 1o marzo scorso e in ragione del fatto che, nella prima parte dispositiva della risoluzione, l'autorizzazione di tutte le missioni e le attività di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2017 deve intendersi oggettivamente scindibile per le missioni e le attività individuate dalle schede numerate da 1 a 49 recate nella deliberazione citata, con riguardo alle quali, pertanto, si può procedere, su richiesta, a votazioni per parti separate.
In particolare, tutti i presentatori delle risoluzioni diverse da quella Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290 e Vito ed altri n. 6-00292, con riferimento alle quali il Governo ha espresso parere favorevole, hanno avanzato richieste di votazione per parti separate, corrispondenti alle missioni per le quali, nell'ambito delle rispettive risoluzioni, hanno proposto di negare l'autorizzazione.
Sono state inoltre formulate le seguenti ulteriori richieste di votazione per parti separate della risoluzione Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290: il gruppo MoVimento 5 Stelle ha chiesto di votare distintamente sia la premessa sia l'autorizzazione alle missioni nn. 19, 31 e 35, nonché l'autorizzazione alle missioni nn. 24 e 32; il gruppo Articolo 1-MDP ha chiesto di procedere alla votazione per parti separate dell'autorizzazione alle missioni nn. 10 e 40; i gruppi SEL e MoVimento 5 Stelle hanno chiesto di votare distintamente l'autorizzazione alla missione n. 30; il gruppo di Forza Italia ha chiesto di procedere alla votazione per parti separate dell'impegno al Governo n. 5, che sarà posto in votazione congiuntamente all'unico impegno al Governo recato dalla risoluzione Vito ed altri n. 6-00292, che è di identico contenuto.
Poiché le varie richieste si intersecano tra loro, la Presidenza ha ritenuto di accoglierle in modo da renderle reciprocamente compatibili.
Si procederà pertanto alle seguenti votazioni per parti separate della risoluzione Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290: dapprima la parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni nn. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 12, 13, 18, 34, 43, 44, 45, 46, 47 e 49, e alla parte dispositiva relativa a tutti gli impegni al Governo, ad eccezione dell'impegno al Governo n. 5, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; a seguire la parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni 1, 19, 23, 25, 26, 27, 28, 29, 31, 35, 36 e 42, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; quindi, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni nn. 8 e 42, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; a seguire, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione della missione n. 9, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; quindi, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione della missione n. 10, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; successivamente, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni nn. 11, 37 e 38, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; quindi, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni nn. 14, 15, 16, 17 e 20, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; a seguire, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni nn. 21 e 48, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; successivamente, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni nn. 22, 24, 30, 32, 33 e 39, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; a seguire, la parte dispositiva relativa all'autorizzazione della missione n. 40, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; successivamente la parte dispositiva relativa all'autorizzazione della missione n. 41, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; a seguire, l'impegno al Governo n. 5, congiuntamente all'unico impegno recato dalla risoluzione Vito ed altri n. 6-00292, che è di contenuto identico. Ove approvato, in tutto o in parte, il dispositivo della risoluzione Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290, ne sarà infine posta in votazione la premessa.
C’è un'ulteriore precisazione, cioè che la missione n. 42, citata per errore due volte, sarà votata congiuntamente alla missione n. 8.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Garofani, Cicchitto ed altri n. 6-00290, limitatamente alla parte dispositiva relativa all'autorizzazione delle missioni 2, 3, 4, 5, 6, 7, 12, 13, 18, 34, 43, 44, 45, 46, 47 e 49 e alla parte dispositiva relativa a tutti gli impegni al Governo, ad eccezione del n. 5. Il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro dell'interno, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per gli affari regionali, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
Invito gli oratori ad un rigoroso rispetto dei tempi, considerata la diretta televisiva in corso.
PRESIDENTE. Passiamo alla prima interrogazione all'ordine del giorno Fedriga ed altri n. 3-02851 .
Il deputato Allasia ha facoltà di illustrare l'interrogazione, di cui è cofirmatario. Ha un minuto, onorevole. Prego, onorevole può cambiare microfono...
STEFANO ALLASIA. Grazie, Presidentessa. In questa giornata, innanzitutto, le faccio i migliori auguri di buona festa della donna. Entrando direttamente nel merito dell'interrogazione al Ministro, recentemente il TAR della Liguria ha dichiarato illegittimo il diniego del permesso di soggiorno nei confronti di un extracomunitario, a seguito di due condanne per reati inerenti lo spaccio di sostanze stupefacenti e ha accolto un analogo ricorso presentato da uno straniero precedentemente condannato per furto aggravato, al quale le questure avevano revocato il permesso di soggiorno di lungo periodo. Il TAR stesso ha ritenuto inadeguato – tenuto conto della gravità del reato commesso dal ricorrente e della conseguente pericolosità sociale dello stesso – revocare la disposizione del permesso di soggiorno. Vorremmo sapere direttamente dal Ministro quali iniziative intenda adottare al fine di procedere alla revoca del permesso di soggiorno anche di lungo periodo e all'allontanamento degli stranieri titolari che abbiano commesso dei reati in Italia.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Interno, Marco Minniti, ha facoltà di rispondere. Prego, Ministro, ha tre minuti.
MARCO MINNITI, . Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghi, gli onorevoli interroganti richiamano l'attenzione su due pronunce del TAR Liguria, verosimilmente la sentenza n. 180 del 2017, pubblicata il 6 marzo scorso, e la sentenza n. 39 dello stesso anno, pubblicata a gennaio, con le quali sono stati annullati, rispettivamente: il provvedimento di diniego di un rinnovo di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo, adottato dalla questura di La Spezia, relativamente a un cittadino straniero, nei confronti del quale risultavano condanne irrevocabili per detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti; il secondo provvedimento di revoca, sempre del permesso di soggiorno dell'Unione europea per soggiornanti di lungo periodo, disposto dalla questura di Savona nei confronti del cittadino straniero, alla luce di una riscontrata pericolosità sociale del medesimo.
Non ritengo opportuno, per evidenti ragioni, in questa sede, entrare nel merito delle richiamate decisioni dell'autorità giudiziaria amministrativa. È evidente, infatti, che le stesse, riferendosi a casi specifici, vanno necessariamente lette alla luce della peculiare situazione che è stata sottoposta al vaglio dei giudici.
Desidero, tuttavia, rappresentare che la tipologia di provvedimenti, oggetto di valutazione da parte del giudice amministrativo, che ho appena citato, è adottato dalle questure a seguito di un'attenta comparazione e di un bilanciamento tra la natura e la gravità dei reati commessi e una serie di altri parametri, quali la durata del soggiorno, il lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta dell'interessato durante tale periodo. Vengono, altresì, valutati la situazione familiare ed economica, anche con riferimento alla circostanza che dal matrimonio siano nati figli, e l'età degli stessi, con le relative difficoltà in caso di espulsione, nonché la solidità dei legami sociali e culturali con il Paese ospitante.
L'Amministrazione è, d'altro canto, consapevole della particolare delicatezza che riveste la necessità di una esaustiva motivazione dei provvedimenti amministrativi di diniego e di revoca.
Infatti, sono state adottate, dalla competente articolazione ministeriale, puntuali indicazioni che concernono lo svolgimento di tali procedimenti amministrativi, ma anche il giudizio di pericolosità sociale, che deve effettuarsi in aderenza allo specifico caso, con un vaglio approfondito e motivato della posizione soggettiva.
PRESIDENTE. Deve concludere.
MARCO MINNITI, . Finisco subito. Merita ancora aggiungere che la normativa italiana, citata dagli onorevoli interroganti, recepisce precise direttive comunitarie, che prevedono che l'Amministrazione procedente, in particolare nei casi di revoca di un'autorizzazione al soggiorno anche di lungo periodo, operi un bilanciamento tra la situazione familiare dello straniero e la sua pericolosità sociale e per l'ordine pubblico nazionale.
Concludo sul punto, informando che è, comunque, in corso un approfondimento delle pronunce giurisprudenziali in questione, con l'Avvocatura distrettuale dello Stato della Liguria, per valutare una loro eventuale impugnativa di fronte al Consiglio di Stato.
PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Io ho suonato qualche secondo prima, quindi una trentina di secondi prima della conclusione, così vi regolate per dopo.
L'onorevole Allasia, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare. Prego, ha due minuti. Onorevole Allasia, c’è una congiura contro di lei.
STEFANO ALLASIA. No, si figuri, non essendo io una donna capisco che nella giornata di oggi, io l'ho vissuta...
PRESIDENTE. Nessuno è perfetto.
STEFANO ALLASIA. Soprattutto io ! La risposta è assolutamente – non voglio dire, né offendere nessuno – fumosa, perché prende in considerazione quello che oggi ha detto il Consiglio d'Europa, in cui bacchetta l'Italia stessa per colpa delle procedure italiane in riferimento ai rimpatri, e ci siamo stupiti tutti che il Presidente del Consiglio Gentiloni rispondesse che ci vorrebbe il mago Merlino, qua non ci vuole il mago Merlino, ci vuole solo buona coscienza e un buon rapporto Governo-cittadini, e da quel che dice, con le puntuali considerazioni che voi avete fatto ai distretti competenti, riferite qua che avete dato disposizioni per cercare di fare una mega sanatoria per i reati commessi dagli extracomunitari. Questo è evidente, anche se avete, in ultima istanza, proprio in questi frangenti – e mi riferisco anche all'interrogazione –, aperto delle procedure per verificare, ma sappiamo benissimo che le verifiche, poi, non seguiranno il loro iter. Perciò, abbiamo necessità di capire qual è l'indirizzo.
La nostra soluzione è ben chiara: bisogna far capire ai cittadini che non sono considerati cittadini di serie B, rispetto soprattutto non agli italiani stessi, ma agli extracomunitari. Voi state discriminando gli italiani, perché date una opportunità ulteriore agli extracomunitari tramite il TAR
PRESIDENTE. La deputata Martelli ha facoltà di illustrare l'interrogazione Ricciatti e altri n. 3-02852 di cui è cofirmataria. Ha un minuto, prego onorevole.
GIOVANNA MARTELLI. Grazie, signora Presidente. Isolante K-Flex è un'azienda italiana specializzata nella produzione di isolanti elastomerici per l'isolamento termico ed acustico, conta undici impianti produttivi e oltre 2 mila addetti in sessanta Paesi. I dipendenti dello stabilimento di Roncello sono in presidio permanente dal 24 gennaio 2017, davanti alla sede dell'azienda, per protestare contro la volontà della società di chiudere lo stabilimento italiano e trasferirlo in Polonia.
Si è tenuto, presso il Ministero dello sviluppo economico, un incontro sulla vertenza K-Flex presieduto dalla Viceministra Teresa Bellanova, con la presenza delle organizzazioni sindacali e dei rappresentanti della regione Lombardia, tuttavia l'incontro è stato disertato dall'azienda. E nonostante i richiami, Marta Spinelli ha confermato i 187 licenziamenti annunciati e la volontà di trasferire la sede produttiva italiana, che impiega attualmente 250 lavoratori, nella sede polacca.
PRESIDENTE. Onorevole, concluda.
GIOVANNA MARTELLI. Chiediamo quali iniziative il Ministro di competenza intende adottare, tenendo conto anche che, negli ultimi anni, a quanto riferiscono le organizzazioni sindacali, sono stati erogati dodici milioni di euro di finanziamenti pubblici.
PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, ha facoltà di rispondere per tre minuti. Prego, Ministro.
CARLO CALENDA, Grazie, onorevole Presidente. Onorevoli deputati, in merito alla richiesta di elementi informativi sull'eventuale delocalizzazione in Polonia dello stabilimento di proprietà della ditta Isolante K-flex Spa, ubicato nel comune di Roncello, il Ministero dello sviluppo economico ha prontamente attivato un tavolo di confronto con la partecipazione delle istituzioni del territorio e delle organizzazioni sindacali, al fine di cercare una soluzione alla difficile situazione creata dall'annuncio di voler licenziare gli oltre 180 addetti alla produzione, mantenendo in Italia le solo attività commerciali di ricerca nelle quali operano poco più di 50 persone. Va detto che K-flex è una multinazionale che opera in 10 Paesi, con oltre 1.500 addetti, e non è pertanto un'azienda in crisi come mostrano gli stessi bilanci che evidenziano tra l'altro investimenti in crescita. Tra il 2007 e il 2012 Simest ha supportato il processo di crescita internazionale di K-flex attraverso la partecipazione a cinque operazioni di aumento di capitale, per 17,2 milioni, e attraverso un fondo di per 5 milioni destinati a Paesi strategici quali gli Emirati Arabi Uniti, la Cina, l'India e la Malesia. Tali partecipazioni sono in parte rientrate a giugno 2015, per un totale di 5 milioni; 9,2 milioni rientreranno entro giugno di quest'anno e 8 milioni tra giugno 2020 giugno 2021. Non si tratta di delocalizzazioni, ma di produzioni a basso valore unitario che vanno necessariamente realizzate nei Paesi di destinazione per poter intercettare la specificità della domanda locale.
Per quanto riguarda gli investimenti nel campo della ricerca e sviluppo, la società ha beneficiato di 7,7 milioni di agevolazioni; 5,1 milioni di euro su un progetto selezionato attraverso una procedura negoziale a sportello, finanziata con fondi della Cassa depositi e prestiti; 1,35 milioni di euro sul bando REACH ultimato; 1,2 milioni sul bando Horizon 2020 per un finanziamento agevolato non ancora erogato. Per questo ultimo strumento, qualora venisse delocalizzato l'investimento, si dovrà procedere alla revoca del contributo in quanto l'attività di ricerca deve necessariamente essere svolta in Italia. Per i precedenti due strumenti agevolativi, sulla base dei regolamenti comunitari, non è previsto il mantenimento dell'attività produttiva in Italia a seguito della conclusione degli investimenti.
Il quadro di valutazione che emerge alla luce di queste considerazioni rende del tutto incomprensibile e non giustificata la decisione di cessare l'attività produttiva nello stabilimento italiano, quando, come risulta dagli accordi sottoscritti, vi erano impegni a non licenziare e ad avviare una riorganizzazione che avrebbe reso ancora più competitivo il sito. Negli incontri svolti presso il MISE si è sviluppata una serrata discussione con l'obiettivo di riportare il confronto su aspetti diversi dal licenziamento e quindi sulla ristrutturazione dello stabilimento, anche attraverso l'utilizzo di ammortizzatori e strumenti che il Governo e la regione possono attivare. Su queste basi, sono state formulate proposte operative concrete che i responsabili aziendali hanno finora respinto. Il Ministero, e io personalmente, non intendiamo subire passivamente questo comportamento e, oltre al già programmato incontro del 15 marzo, ci stiamo attivando per chiarire con la proprietà le ragioni che rendono necessario un passo indietro e il rapido ritorno ad un confronto.
PRESIDENTE. La deputata Ricciatti ha facoltà di replicare, per due minuti.
LARA RICCIATTI. Grazie, signora Presidente. In parte abbiamo apprezzato la risposta del Ministro Calenda rispetto al nostro quesito. Guardi signor Ministro, senza alcuna polemica, noi suggeriamo il 15 marzo di rivolgere parole nette e chiare alla proprietà, qualora avesse la decenza peraltro di presentarsi e non di disertare, viceversa, come ha fatto la volta scorsa, il tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico. Le vorremmo solo suggerire due punti, signor Ministro: gli ammortizzatori sociali vengono utilizzati per quelle aziende che sono in crisi e questo non è il caso di K-flex, questo è un caso di delocalizzazione pura in cui imprenditori che hanno poco a cuore l'Italia, il loro Paese, scelgono di abbassare le saracinesche, essendosi però prima premurati di aver ricevuto dalle casse pubbliche dello Stato più di 12 milioni di euro, e andare a fare profitto altrove.
Allora guardi, signor Ministro, siccome le sue parole ci hanno lasciato sottintendere una sua condanna a questo fenomeno, noi le vorremmo suggerire una cosa. Da circa due anni e mezzo giace una nostra proposta di legge, non si sa bene dove, in quale cassetto, ma le assicuriamo che abbiamo depositato una nostra proposta, in cui abbiamo messo nero su bianco parole chiare: l'azienda che delocalizza dopo aver preso soldi pubblici, quindi da parte di tutte e tutti i contribuenti dello Stato, restituisce quei soldi, ci paga gli interessi, ci paga l'IVA e andiamo a istituire un fondo che dovrà essere, e dovrà servire, a garantire tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori vittime di delocalizzazione.
Guardi, signor Ministro, il suo Governo ha un'occasione storica: dimostrare che il lavoro in questo Paese non è una merce e che le attività produttive si possono salvare, basta semplicemente, però, iniziare a legiferare in questo senso .
PRESIDENTE. La deputata Di Vita ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02853 per un minuto.
GIULIA DI VITA. Grazie, Presidente. Il Ministro Costa ha presieduto la Conferenza Stato-regioni del 23 febbraio scorso e in cui è stata approvata un'intesa che stabilisce dei tagli che definirei scellerati. Il Fondo per le politiche sociali viene ridotto di ben 211 milioni di euro, passando infatti da 311 a poco più di 99 milioni. Il Fondo, poi, per le non autosufficienze viene ridotto di 50 milioni tornando a quota 450. E qui oltre al danno la beffa, infatti appena 24 ore prima, ovvero il 22 febbraio, in quest'Aula veniva approvato il «decreto Mezzogiorno» che stabiliva un aumento dello stesso Fondo proprio di 50 milioni; un bel gioco delle tre carte. Quindi, siamo qui oggi a chiederle di dare a tutti delle spiegazioni convincenti e soprattutto di illustrare come intendete adesso assicurare ai cittadini di ogni regione i servizi relativi a questi due Fondi e quindi i diritti costituzionalmente garantiti.
PRESIDENTE. Il Ministro per gli Affari regionali, Costa, ha facoltà di rispondere.
ENRICO COSTA, . Grazie, Presidente. Devo dire che la ricostruzione da parte degli interroganti è una ricostruzione corretta, perché nella seduta del 23 febbraio ultimo scorso, in Conferenza Stato-regioni, è stata sancita l'intesa tra Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, prevista dalla legge di stabilità 2016, sul documento concernente il contributo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario 2017, pari a complessivi 2 miliardi 691 milioni di euro. Sulla scorta di tale intesa, parte di tale contributo, pari a 485 milioni, andrà a gravare sui Fondi trasferiti dallo Stato alle regioni. Tale intesa recepisce come previsto dalla legge quanto definito in sede di autocoordinamento dalle regioni. Nel novero dei fondi interessati figurano anche il Fondo per le non autosufficienze e il Fondo nazionale per le politiche sociali che passano da 311 milioni di euro a 99 milioni di euro. Più in particolare, la riduzione delle risorse a carico del Fondo per le non autosufficienze, pari a 50 milioni di euro, individuata dalle regioni in sede di intesa, comporta uno stanziamento residuo per tali finalità per il 2017 pari a 450 milioni. Detto stanziamento è comunque superiore a quello previsto per il 2016, pari a 400 milioni di euro, poi incrementato di 50 milioni di euro con la legge di stabilità 2017 e con ulteriori 50 milioni di euro con il decreto-legge di fine anno sul Mezzogiorno.
Quindi, malgrado la riduzione di 50 milioni di euro per il 2017, le risorse per tali finalità a disposizione delle regioni sono superiori a quelle del 2016: 450 milioni di euro per il 2017 a fronte di 400 milioni del 2016. Per i criteri di riparto di tali risorse, è intervenuto il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 26 settembre 2016 ed è a questo che va fatto riferimento proprio nella ripartizione della somma tra le regioni.
PRESIDENTE. Il deputato Baroni, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare, per due minuti.
MASSIMO ENRICO BARONI. Gentile Ministro, due anni fa abbiamo denunciato agli italiani i vostri tagli ai comuni e alle regioni per quasi 3 miliardi di euro, ora ne vediamo gli effetti. Dieci giorni fa ci avete allietato con il taglio di quasi mezzo miliardo che ricadrà sul Fondo sanitario nazionale e tagliate oltre un quarto di miliardo di euro ai Fondi delle politiche sociali e della non autosufficienza.
Nel continuo tipico dei prestigiatori malati di gioco d'azzardo, avete inserito 50 milioni di euro nel Fondo per la non autosufficienza in una legge nazionale, per riprendervi letteralmente, il giorno dopo, la stessa cifra in Conferenza Stato-regioni. La FAND, la FISH e il Forum del Terzo settore hanno dichiarato la vostra decisione di una gravità inaudita, io aggiungo che state piantando una coltellata al cuore dello stato sociale, un ennesimo tentativo di piegare la Costituzione ai vostri indegni interessi da plutocrati di casta, una rapina ai diritti dei più fragili, di diritti inalienabili sanciti dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016, in cui si sancisce che questi diritti sono incomprimibili dalle esigenze di bilancio.
Voi farete morire altre persone, altri disabili, a causa del pareggio di bilancio, di stenti o di suicidio. Avete innaffiato di soldi una classe dirigente inetta, su chiamata diretta, di vostri amici, ma vi girate dall'altra parte quando dovreste guardare con attenzione gli affetti delle vostre politiche sui più bisognosi. Padoan già dichiarava nel 2014 al : il risanamento fiscale è efficace, il dolore è efficace, con questi tagli abbiamo scoperto la matrice della zona grigia della violenza, quella vera. Lei, signor Ministro per gli affari regionali, mi scusi, ma è l'apostrofo inutile tra le parole «ti odio» sussurrate dalla bocca del Ministro dell'Economia Padoan all'orecchio di milioni di italiani che usufruiscono di questi soldi per asili nido, assistenza domiciliare diretta e indiretta e centri antiviolenza, che già da due anni non vedono un euro di questi soldi. Buon 8 marzo, buona festa della donna, signor Ministro .
PRESIDENTE. Il deputato Calabrò ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02854 per un minuto.
RAFFAELE CALABRÒ. Presidente, signor Ministro, dati ISTAT ci dicono che nel 2016 sono nati 476.000 bambini a fronte di 486.000 del 2015, 10.000 in meno, e questa è una progressione che va aumentando dal 2014 e 2013. Sicuramente la crisi economica ha determinato tutta una serie di difficoltà, quindi il calo delle nascite compreso, e il Governo è intervenuto con una serie di misure, dal «nido», al babysitter, l'asilo nido, al «mamma domani» o il premio alla nascita. Accanto a queste, sicuramente importanti, fondamentali norme, credo che occorrano misure strutturali, misure di ordine fiscale a favore della famiglia e delle famiglie numerose. Signor Ministro, le chiedo quali iniziative intende assumere il Governo, in termini di misure strutturali, in termini di misure fiscali, e in che tempo, per poter consentire che ci sia un reale sostegno ai nuclei familiari e che ci sia un incremento del numero delle nascite nel nostro Paese.
PRESIDENTE. Il Ministro per gli Affari regionali, Enrico Costa, ha facoltà di rispondere.
ENRICO COSTA, . Presidente, rispondo al - dell'onorevole Calabrò concordando ovviamente sulla preoccupazione per questi dati, che dimostrano un calo delle nascite che è ormai progressivo da alcuni anni. Il Governo precedente, il Governo Renzi, con l'obiettivo di invertire questa tendenza, ha cercato di avviare una politica che fosse organica, strutturata e pluriennale a sostegno della natalità, con misure innovative ma soprattutto stabili, con un impiego di risorse di 600 milioni di euro per il 2017 e di 700 milioni di euro a partire dal 2018. Alcune misure particolarmente significative ci tengo a ricordarle: il premio alla nascita e all'adozione, pari a 800 euro, corrisposto direttamente dall'INPS, che peraltro ha provveduto proprio recentemente a pubblicare sul proprio sito istituzionale la relativa circolare, un premio, quindi, per le future mamme al compimento del settimo mese di gravidanza o all'atto dell'adozione. Questa è una misura complementare con il bebè, già previsto in passato per le famiglie a basso reddito, per tre anni, a partire dalla nascita del figlio: 80 euro al mese e, per le famiglie con un ISEE inferiore a 7.000 euro, 160 euro al mese per tre anni. Aggiungiamo poi il «buono nido», un sostegno al pagamento della retta dell'asilo nido, per tre anni, per i nati dal 1o gennaio 2016, pari a 1.000 euro l'anno. Questo sostegno va anche per i bambini che per malattie croniche non possono frequentare l'asilo nido, per un supporto domiciliare.
Aggiungiamo poi anche il «babysitter» un'altra misura significativa implementata, rafforzata, con un contributo di 600 euro per sei mesi in alternativa al congedo parentale; il Fondo credito nuovi nati, pari a 60 milioni di euro per i prossimi tre anni, per offrire garanzie alle banche per piccoli prestiti alle famiglie con figli appena nati. È evidente che queste misure non sono da sole sufficienti a ribaltare questa difficile situazione, è necessario proseguire in un piano pluriennale. È fondamentale intervenire e ragionare, avviare una riflessione anche dal punto di vista fiscale: il rapporto tra il numero di figli di una famiglia e il fisco è un elemento che certamente deve essere oggetto di una valutazione e di una riflessione. Quindi, il Governo è determinato ad andare avanti per fare in modo che queste misure siano il punto di partenza di una politica organica e complessiva.
PRESIDENTE. Il deputato Calabrò ha facoltà di replicare.
RAFFAELE CALABRÒ. Presidente, signor Ministro, senz'altro devo esprimere apprezzamento per il senso della stabilità e della continuità del finanziamento che il Governo fino ad oggi ha immaginato. Particolarmente faccio riferimento a due punti: quello del «buono nido», perché è una preoccupazione costante di molte famiglie che hanno grandi difficoltà a mandare i figli a scuola, e il supporto che questo dà nell'assistenza domiciliare nel caso di soggetti disabili – una cosa che mi sembra particolarmente innovativa, perché finalmente il nostro Paese pone sullo stesso livello persone disabili, bambini disabili, e bambini normali –; così come anche il Fondo di credito delle banche per le famiglie in grande difficoltà. Però, signor Ministro, credo che abbiamo anche necessità che ci sia chiarezza sui tempi. Diciamo che ci sarà un piano pluriennale, forse abbiamo bisogno che il Governo ci rappresenti bene questo piano pluriennale, che ci rappresenti nel tempo quali sono le diverse operazioni ed opzioni che si possono prendere nel tempo. E l'ultimo aspetto che lei ha trattato, quello degli interventi di carattere fiscale, credo che abbiano una certa urgenza. Ci sono famiglie che hanno necessità di poter ricorrere a un miglioramento della situazione fiscale, e se vogliamo migliorare il livello di natalità in questo Paese dobbiamo puntare anche al fatto che le famiglie abbiano più coraggio per avere più figli, e aiutarli in questa linea.
PRESIDENTE. Il deputato Monchiero ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02855 per un minuto.
GIOVANNI MONCHIERO. Presidente, la domanda è semplicissima. I commi 524 e 525 della legge di bilancio relativa all'anno 2016 avevano stabilito in 10 milioni, in termini assoluti, e nel 10 per cento, in termini percentuali, i limiti di disavanzo al di sopra dei quali ogni singolo ente, ogni singola azienda ospedaliera, era tenuta a presentare un piano di rientro. Con la finanziaria relativa all'anno 2017 questi limiti sono stati abbassati, quindi è stata ulteriormente ampliata la platea degli enti destinatari della norma, portando da 10 a 7 milioni il valore in termini assoluti e dal 10 al 7 per cento quello in termini percentuali. Risulterebbe, da informazioni peraltro ufficiose, che questa norma sia stata poco applicata. Il mio quesito riguarda proprio il numero di regioni che hanno dato concreta applicazione a questa norma.
PRESIDENTE. Il Ministro per gli Affari regionali, Enrico Costa, ha facoltà di rispondere.
ENRICO COSTA, . Presidente, l'onorevole Monchiero ha ricostruito l'iter normativo, ricordando che l'articolo 1, comma 526, della legge di stabilità per il 2016 prevedeva l'adozione di un decreto interministeriale per l'individuazione di un'apposita metodologia per la definizione degli scostamenti da utilizzare quale riferimenti per individuare, da parte delle regioni, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e gli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura da sottoporre a piano di rientro.
Il predetto decreto interministeriale è stato adottato il 21 giugno 2016, e pubblicato in il 15 luglio 2016, pertanto la tempistica prevista dalla normativa, rivista in funzione della disponibilità del decreto per la metodologia, è la seguente: entro 60 giorni dalla pubblicazione in del decreto, per l'individuazione delle aziende da parte della regione (scadenza prevista 15 settembre 2016), entro i successivi 90 giorni la presentazione dei piani di rientro (scadenza prevista 15 dicembre 2016), entro i successivi 30 giorni approvazione da parte delle regioni (scadenza prevista 15 gennaio 2017). Secondo quanto comunicato dai Ministeri dell'economia e delle finanze e della salute ad oggi le regioni che hanno adottato il previsto provvedimento di individuazione delle aziende da sottoporre a piano di rientro sono le seguenti per un totale di 31 aziende: regione Calabria (4 aziende), regione Campania (10 aziende), regione Lazio (6 aziende), regione Sicilia (8 aziende), regione Puglia (non è pervenuto alcun decreto regionale), regione Piemonte (1 azienda), regione Emilia Romagna (1 azienda), regione Sardegna (1 azienda). Al momento non risulta che le aziende individuate abbiano presentato il relativo piano di rientro e che lo stesso sia stato ovviamente approvato dalla regione.
PRESIDENTE. Il deputato Monchiero ha facoltà di replicare.
GIOVANNI MONCHIERO. Grazie, signor Ministro, per la precisione della risposta ma lo scopo era proprio sapere e, adesso che so, posso fare un piccolo commento meno caustico di quello che mi ero preparato perché mi risultava che il numero delle regioni adempienti fosse inferiore. Osservo comunque che sono soltanto sei, mentre le aziende ospedaliere che non pareggiano i propri conti sono presenti in tutte le regioni italiane. Quindi questa norma è stata applicata con precisione da parte del Governo e con una certa larghezza di vedute da parte della regione. Auspico che in futuro ci sia meno larghezza e che alle regioni più distratte venga comunque chiesto di provvedere. Grazie, signor Ministro.
PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Fassina ed altri n. 3-02856.
Chiedo all'onorevole Fassina se intenda illustrare la sua interrogazione per un minuto o se si riservi di intervenire in sede di replica.
STEFANO FASSINA. Grazie, Presidente. Signor Ministro, come lei sa, la direttiva del suo predecessore del 24 giugno 2013 ha fissato procedure molto stringenti per quanto riguarda la individuazione delle nomine per gli organi sociali delle società controllate direttamente o indirettamente dal Ministero dell'economia e delle finanze. A noi pare che, per quanto riguarda la designazione dell'ingegner Marroni queste procedure non siano state rispettate. In particolare un punto della procedura nel quale si prevede, oltre alla pubblicazione sul sito, un'istruttoria del dipartimento del Tesoro, una un parere da parte del comitato di garanzia e infine la designazione. In particolare risulta contraddittoria con i criteri per la designazione la scelta di un assessore dato che tra i requisiti di eleggibilità è prevista l'indisponibilità di figure che siano state sostanzialmente rappresentanti politici, sebbene non in consiglio ma in giunta in questo caso.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Economia e delle finanze, Padoan, ha facoltà di rispondere per tre minuti.
PIER CARLO PADOAN,. Grazie, Presidente. Come è stato già ricordato, in data 12 giugno 2015 è stato nominato il consiglio di amministrazione di Consip che resterà in carica fino all'approvazione del bilancio dell'esercizio 2017. In relazione alla composizione dell'organo amministrativo si ricorda che l'articolo 23- del decreto-legge n. 95 del 2012 dispone che il Ministero dell'economia e delle finanze provvede a nominare il consiglio prevedendo la composizione dello stesso con tre membri di cui due dipendenti dell'amministrazione economico-finanziaria e il terzo con funzione di amministratore delegato nel rispetto delle quote di genere. Come ricordato, a seguito della direttiva del Ministro Saccomanni nel 2013, sono stati rafforzati i requisiti di eleggibilità prevedendo che non possono ricoprire la carica di amministratore coloro che, tra l'altro, hanno ricevuto rinvii a giudizio o condanne per una serie di reati contro la pubblica amministrazione o in materia finanziaria. Tali requisiti sono stati trasfusi negli statuti sociali delle società controllate dal Ministero tra i quali Consip. Oltre a tali requisiti di onorabilità la direttiva prevede ulteriori requisiti di professionalità e autonomia tra i quali l'assenza di cariche politiche, comprovata professionalità ed esperienza in ambito giuridico, finanziario e industriale, assenza di conflitti di interesse. In occasione della nomina dei consigli d'amministrazione e dei collegi sindacali il dipartimento del Tesoro accerta il possesso dei requisiti di legge, di statuto e della direttiva da parte dei candidati individuati nell'esercizio delle prerogative dall'organo di indirizzo politico.
Quanto alla nomina dell'amministratore delegato di Consip è stato individuato, nell'esercizio delle prerogative dell'organo di indirizzo politico, l'ingegner Marroni quale profilo idoneo a ricoprire l'incarico previa verifica dei requisiti di eleggibilità, professionalità, onorabilità e autonomia che è avvenuta da parte del dipartimento del Tesoro sulla base delle significative esperienze attestate dal profilo professionale.
PRESIDENTE. Il deputato Fassina ha facoltà di replicare.
STEFANO FASSINA. È evidente che non siamo assolutamente soddisfatti. Dalle parole del Ministro risulta chiaro che la procedura prevista dalla direttiva del 24 giugno 2013 non è stata osservata: non è stata pubblicata la sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze; non è stata fatta un'istruttoria, come previsto dalla direttiva, affidata a società specializzate nella selezione di ; non è stata fatta una e non è stato acquisito il parere del comitato di garanzia. Quindi la prerogativa dell'organo di indirizzo politico alla quale si è richiamato il Ministro ha assolutamente bypassato quella che è la procedura prevista per legge. Tanto più che l'ingegner Marroni era appena o forse era ancora in carica come assessore regionale alla sanità della regione Toscana, visto che le elezioni si sono tenute il 31 maggio 2015 e l'assemblea dei soci nominava l'ingegner Marroni il 12 giugno 2015. Infine una considerazione politica: lei, Ministro, qualche giorno fa ha confermato la sua fiducia all'ingegner Marroni e il Presidente del Consiglio ha confermato la fiducia al Ministro Lotti. Le due figure hanno espresso posizioni contraddittorie: il Ministro Lotti dice di non aver informato nessuno per quanto riguarda l'indagine in corso su Consip, l'ingegner Marroni dice invece di aver ricevuto informazioni, secondo quanto è stato pubblicato sui giornali, dal Ministro Lotti. A questo punto la fiducia del Governo in entrambi risulta assolutamente contraddittoria.
PRESIDENTE. Passiamo alla interrogazione Brunetta n. 3-02857 .
Chiedo al deputato Brunetta se intenda illustrare la sua interrogazione per un minuto o se si riservi di intervenire in sede di replica.
RENATO BRUNETTA. Grazie, signora Presidente. L'ingegner Marroni ha raccontato agli inquirenti di ricatti subiti, di richieste di intervento, di incontri riservati, di aspettative ben precise sull'assegnazione di gare d'appalto indette da Consip. Ha inoltre raccontato di aver fatto rimuovere le microspie piazzate dai carabinieri nel suo ufficio: parole di Marroni. Nonostante tutto questo, Marroni non ha revocato la procedura d'appalto, non l'ha sospesa, non ha denunciato i fatti all'autorità giudiziaria né a lei, signor Ministro. Marroni ha violato esplicitamente lo statuto e il codice etico: l'articolo 11.7 dello statuto e l'articolo 3.2 del codice etico. Si apprende inoltre che Marroni avrebbe presentato a lei le sue dimissioni e lei le avrebbe respinte. È evidente che Marroni ha violato statuto e codice etico ed è anche noto che lei ha respinto le sue dimissioni. Le chiedo, signor Ministro, perché ha respinto le dimissioni...
RENATO BRUNETTA. ...quando c’è stata una violazione esplicita di statuto e codice etico.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Economia e delle finanze, Padoan, ha facoltà di rispondere per tre minuti.
PIER CARLO PADOAN, . In merito alle richieste formulate dagli interroganti circa i flussi informativi periodici a carico dalla società nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze si evidenzia che gli stessi sono avvenuti regolarmente su base trimestrale nel rispetto dei limiti anche di oggetto che la legge e lo statuto definiscono in merito agli obblighi informativi posti a carico degli amministratori e dei sindaci. Quanto alla richiesta relativa alla convocazione dell'assemblea perché sollevi dall'incarico l'ingegner Marroni, si osserva che l'amministratore delegato non si trova in una condizione per la quale lo statuto della società, che ha accolto la direttiva Saccomanni, contempla o prescrive la decadenza.
PRESIDENTE. Il deputato Brunetta ha facoltà di replicare.
RENATO BRUNETTA. Come nella precedente risposta lei, signor Ministro, risponde in maniera apodittica: è così perché è così, non l'abbiamo rimosso perché non l'abbiamo rimosso. Ma si rende conto di quello che sta dicendo, signor Ministro ? Sono ormai conosciute dichiarazioni dell'autorità giudiziaria, riportate da tutti i giornali e da tutti gli organi di stampa, di quello che ha subito e fatto l'ingegnere Marroni ed è chiara ed evidente la violazione, tanto del codice etico, quanto dello statuto. È noto pure che l'ingegnere Marroni, con qualche senso di sensibilità ha presentato a lei le sue dimissioni e lei le ha respinte. Ma siamo veramente alla follia, signora Presidente e signor Ministro: di fronte ad una lampante violazione di legge, di statuto, di codice etico e di correttezza politico-istituzionale, lei mi risponde: «È così perché è così» ? Fino a quando, signor Ministro, lei continuerà con questa sua incapacità di dar conto del suo operato ? Fino a quando, signor Ministro, lei continuerà a non guardare in faccia non il sottoscritto, ma la realtà, la realtà secondo la quale siamo di fronte ad uno dei più grandi scandali della Repubblica e lei risponde: «È così perché è così» ? Quando sta per crollare tutto e lei risponde in maniera apodittica: «È così perché è così». Signor Ministro, è inaccettabile non solo quanto lei ha detto in quest'Aula quest'oggi, ma la sua stessa presenza in quest'Aula oggi .
PRESIDENTE. Il deputato Gigli ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02858 per un minuto.
GIAN LUIGI GIGLI. Grazie, Presidente. Il Presidente degli Stati Uniti, signor Ministro, ha suscitato notevoli polemiche, ma una cosa buona, a mio avviso, l'ha fatta ed è stata quella di definanziare le organizzazioni non governative che si erano prefisse lo scopo di diffondere a tutti i costi aborto e sterilizzazione nei Paesi in via di sviluppo, talora condizionando gli aiuti stessi ai Paesi in via di sviluppo. Ora, c’è qualcuno in Europa che vorrebbe sostituire i fondi negati dal Presidente Trump con fondi europei, quindi anche con fondi italiani, quindi anche con fondi pagati da noi contribuenti, cioè noi dovremmo finanziare appunto l'aborto nei Paesi in via di sviluppo. Cosa ne dice il Governo italiano in riferimento al prossimo incontro dei Ministri che si occupano della cooperazione ?
PRESIDENTE. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, ha facoltà di rispondere.
ANGELINO ALFANO, . Desidero innanzitutto confermare all'onorevole Gigli che un gruppo di dieci Stati membri dell'Unione europea, su iniziativa danese, ha inviato due settimane fa una lettera all'Alto rappresentante Mogherini ed al Commissario europeo per lo sviluppo, Mimica, per esprimere preoccupazione riguardo all'intenzione degli Stati Uniti di ridurre il finanziamento dei programmi di cooperazione allo sviluppo che si occupano della salute riproduttiva delle donne. Quindi è confermato quello che diceva l'onorevole Gigli. La lettera che potrebbe essere evocata da parte danese anche in occasione della riunione informale dei Ministri dello sviluppo economico dell'Unione Europea, convocata dall'Alto rappresentante Mogherini il 16 marzo prossimo a Bruxelles si riferisce proprio all'opportunità di compensare, con l'utilizzo di fondi allo sviluppo nazionale ed europei, la riduzione dei finanziamenti statunitensi. Tali finanziamenti riguardano impegni internazionali in materia di salute riproduttiva delle donne e non sono intesi a sostenere l'interruzione volontaria della gravidanza, questione questa, come peraltro giustamente ricordato dall'onorevole Gigli, di competenza delle legislazioni nazionali dei Paesi partner, quindi non c’è una competenza diversa da quella nazionale. Il Governo italiano ha deciso tuttavia di non sottoscrivere la lettera danese, condividendo tale scelta peraltro con ulteriori 17 Stati membri dell'Unione europea. Noi riteniamo infatti che prima di prendere qualunque decisione a livello di Unione europea sia necessario raccogliere elementi per valutare l'effettiva incidenza delle misure evocate. L'Italia continuerà comunque a sostenere l'azione delle Nazioni unite, in particolare laddove è rivolta a programmi contro le mutilazioni genitali femminili e ad iniziative che vedono come dirette beneficiarie le donne in situazioni di emergenza e conflitto. Questo al fine di prevenire il rischio di abortì o di morti materne e infantili.
Un altro pilastro essenziale della nostra cooperazione deve restare la protezione delle donne e delle ragazze da ogni tipo di violenza ed in particolare dalla violenza di genere e dalla violenza sessuale. Il Governo continuerà quindi a perseguire l'obiettivo dell'accesso universale alla salute come diritto umano fondamentale. In tale contesto, la salute delle donne e la loro dignità costituiscono un aspetto cruciale per il benessere della famiglia, dei bambini e della comunità complessivamente intesa.
PRESIDENTE. Il deputato Gigli ha facoltà di replicare.
GIAN LUIGI GIGLI. Io la ringrazio molto, signor Ministro. Ho apprezzato quello che lei ha detto, la ricostruzione che ha fatto e per ora, devo dire, quello che lei dice mi tranquillizza. Vorrei però solo fare una precisazione: dobbiamo vigilare molto perché dietro al termine «salute riproduttiva», in realtà non ci sono le cose buone che noi vorremmo fare con la cooperazione sanitaria, in particolare internazionale; il termine è diventato ormai estremamente ambiguo e comprende – poi le dirò di chi sono queste parole che le virgoletto – «il diritto di aborto e la sua promozione generalizzata di fronte a maternità indesiderate o problematiche con richiami critici ai Paesi dove l'interruzione volontaria di gravidanza non è legale e dove ne è limitato l'accesso». Sono parole, queste, di una deputata dei Socialisti e Democratici italiana, che ha votato contro la risoluzione che c’è stata recentemente nel Parlamento europeo. Questa è la salute riproduttiva ed è capitato anche a me in progetti di cooperazione di viverlo in prima persona questo dogma delle Nazioni Unite. Allora, noi dobbiamo chiarire se vogliamo che i nostri soldi vadano a promuovere la salute delle donne, la mortalità materno-infantile da migliorare, l'educazione anche sessuale da promuovere, eccetera, oppure se questi nostri soldi debbano servire per compiere quello che alcuni vorrebbero, cioè eliminare il problema. Attraverso la sterilizzazione e attraverso l'aborto si elimina la domanda di giustizia sociale che dai Paesi meno sviluppati sale alle orecchie di chi non vuole ascoltare, cioè i Paesi dell'affluenza e della ricchezza.
PRESIDENTE. Il deputato Rampelli ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02859 .
FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente. L'Unione europea vuole chiudere la rotta libica, Ministro; ha chiesto a Tripoli l'autorizzazione ad entrare nelle sue acque territoriali per contrastare i trafficanti di uomini, vuole istituire, finanziandola, una linea di protezione, cioè un blocco navale, con uomini libici, vuole proseguire le attività di soccorso riportando indietro i migranti con la distruzione conseguente di barconi, vuole verificare l'attività di organizzazioni non governative, su cui esistono due procure italiane che stanno indagando perché la presenza di autonome imbarcazioni al confine tra le acque italiane e le acque internazionali incentiva i trafficanti a caricare ancora più persone su barche inadatte. Quando si sarà operativi ? Perché l'Italia non ha agito secondo questa direzione, nonostante le indicazioni, gli indirizzi e le raccomandazioni della comunità internazionale ?
PRESIDENTE. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Alfano, ha facoltà di rispondere.
ANGELINO ALFANO, . Siamo consapevoli del fatto che le indicazioni e anche gli orientamenti dell'Unione Europea siano molto dipesi di da quanto l'Italia ha voluto e potuto rappresentare in termini di linea e di indirizzo politico sulla questione libica e sulla presenza nel mare Mediterraneo e quindi quello che dice l'Europa è fortemente ispirato, da un lato, dal punto di vista rappresentato dall'onorevole Rampelli, dalla posizione italiana. L'Italia ha inoltre sostenuto e continua ad operare per il passaggio alla fase 3 dell'operazione EUNAVFOR Med Sophia, che, come noto, prevede l'ingresso dei mezzi dell'Operazione navale nelle acque territoriali libiche per poter fermare i trafficanti e le loro imbarcazioni a partire dalle coste libiche, quindi quella è la nostra posizione, e serve anche per smantellare più efficacemente il modello di delle reti del traffico della tratta di esseri umani, compiti che andrebbero ad aggiungersi a quello che sta già facendo Sophia e cioè intercettare il traffico di armi e quello cruciale della formazione della Guardia costiera libica affinché possa essa stessa operare al più presto all'interno delle proprie acque territoriali, uno sviluppo che sarebbe peraltro di fondamentale importanza atteso che il passaggio alla fase 3 dell'operazione Sophia, che come detto sosteniamo con forza e senza riserve, non dipende solo da noi.
Ecco io vorrei sottolineare questo punto, essendo in Parlamento e quindi in un luogo che tecnicamente è preposto anche a valutare questi profili e questi aspetti. Non dipende solo da noi; cioè, ci vuole il consenso delle istituzioni libiche e serve, in modo indispensabile, un voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Dobbiamo, quindi, continuare ad operare un paziente lavoro diplomatico con tutti gli attori coinvolti, rafforzando nel contempo la nostra strategia globale. Dopo l'accordo con la Libia, infatti, il Governo è impegnato su un altro importante traguardo, cioè un accordo con il Niger che è il Paese di attraversamento principale di coloro che arrivano in Libia dal Corno d'Africa. Questo accordo può essere la chiave di volta, a mio parere, in quanto se si blocca l'accesso dal sud, specificamente dal Niger, si contribuisce a rendere risolvibile gran parte del problema dell'accesso dei migranti in direzione di Tripoli e questo è un pezzo importante di una strategia globale.
Per il resto, continueremo a lavorare per il passaggio alla fase 3, di cui ho appena parlato, con tutti gli attori coinvolti, in primo luogo il Governo libico, per il consenso libico, e il Consiglio di sicurezza dell'ONU, che è un interlocutore che deve dare il proprio parere imprescindibile e, come l'onorevole Rampelli sa di certo, c’è anche qualcuno che può esercitare il potere di veto e senza il potere di veto non si ottiene il parere del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
PRESIDENTE. Il deputato Rampelli ha facoltà di replicare.
FABIO RAMPELLI. Un filosofo tedesco diceva che «il pregiudizio è l'inizio dell'ideologia». Io sinceramente di come questo ne ho fatti a decine e, più o meno, in questi anni abbiamo ascoltato, da parte vostra, sempre le stesse parole. Riteniamo, quindi, che ci sia un pregiudizio e non siamo gli unici ad esserci accorti di questo pregiudizio, perché l'Europa, giustappunto oggi, ci dice che dobbiamo prevenire la tratta di esseri umani; ci dice che dobbiamo essere più efficaci nella politica dei rimpatri che non abbiamo saputo fare e che non abbiamo voluto fare; ci dice che dobbiamo fare una lotta più efficacie alla corruzione nella gestione dei servizi per l'accoglienza (persino questo: un'umiliazione); ci dice di migliorare contestualmente le capacità d'accoglienza perché si è accorta che, nonostante i miliardi che spendiamo, buona parte dei migranti richiedenti asilo sono stipati sotto i capannoni in PVC d'inverno e d'estate; ci dice che vanno tutelati maggiormente i minori rifugiati e non; ci dice di accelerare l'esame delle richieste di asilo, perché voi ci impiegate oltre tre anni per dire a un migrante se ha diritto alla protezione internazionale o no e dopo aver magari dato diniego, come accade nel 90 per cento dei casi, come è ahimè noto vi siete inventati la protezione umanitaria per consentire di fatto una sorta di condizione di soggiorno permanente, che si va rinnovando di anno in anno.
Quindi, non abbiamo affatto fiducia nelle sue parole, Ministro Alfano, anche perché vogliamo ricordarle che nel 2016 – e se le cose fossero state così chiare non sarebbe accaduto – sono arrivati in Italia 180 mila migranti censiti e la chiusura della rotta balcanica prevede per il 2017 un disastro, cioè un'implementazione persino di questo numero esorbitante, che ho citato, che si accompagna ai 550 mila migranti che sono entrati in Italia grazie al vostro Governo.
PRESIDENTE. La deputata Locatelli ha facoltà, per un minuto, di illustrare la sua interrogazione n. 3-02860 .
PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signora Presidente. Il 27 settembre scorso questa Camera ha approvato due mozioni che impegnavano il Governo a promuovere, nelle competenti sedi internazionali, ogni iniziativa per il riconoscimento del genocidio yazida e per assicurare i responsabili di questi crimini alla giurisdizione della Corte penale internazionale. Gli yazidi, come sappiamo perché ne abbiamo parlato in quest'Aula, sono un'etnia antichissima, linguisticamente di ceppo curdo, la cui identità è definita dalla professione di una fede preislamica. Nell'agosto 2014, quando Daesh prese il sopravvento nella regione al confine tra Siria ed Iraq, la popolazione yazida, che vive per lo più nella regione e nella provincia di Sinjar, ha subito persecuzioni, violenze e massacri: migliaia di uomini e donne massacrati, migliaia di donne e ragazzi yazidi ridotti in schiavitù.
Chiaramente, non potevamo rimanere inerti e inattivi e, di fronte a questa tragedia, abbiamo chiesto al Governo di impegnarsi per il riconoscimento del genocidio e per assicurare i responsabili di questi odiosi crimini alla Corte penale internazionale. Sono passati 160 giorni; chiediamo di sapere che cosa il Governo abbia fatto nel frattempo.
PRESIDENTE. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, ha facoltà di rispondere.
ANGELINO ALFANO, . Presidente, come giustamente ricordato dall'onorevole Locatelli, la minoranza religiosa yazida è stata una delle principali vittime della violenza e degli abusi compiuti dagli estremisti di Daesh in Iraq dal 2014 ad oggi. La Commissione indipendente di inchiesta sulla Siria, istituita nel 2011 dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel rapporto del giugno 2016 ha definito quale genocidio le violenze commesse da Daesh nei confronti degli yazidi, facendo particolare riferimento ai tragici eventi avvenuti nell'area del Sinjar. Il 40 per cento dell'area circostante tale località, peraltro, non è stato ancora liberato dal controllo dei terroristi.
Il contrasto al Daesh è la priorità dell'azione del Governo e in quest'ottica mi recherò la prossima settimana a Washington, per partecipare alla riunione ministeriale della coalizione globale contro Daesh. Siamo in contatto con i nostri partner per valutare ogni possibile modalità per assicurare che i responsabili delle atrocità siano assicurati alla giustizia. Il tema dell’ è, come è noto, complesso soprattutto in contesti in cui le atrocità sono commesse da attori non statuali. Analogamente, stiamo seguendo con attenzione quanto i nostri partner intendono fare e con quali modalità per il riconoscimento di quei fatti come genocidio, anche nell'ottica di assicurare una coerenza d'azione sul piano internazionale. In questo importante anno, che vede il nostro Paese ricoprire uno dei seggi non permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, abbiamo inoltre sensibilizzato a più riprese i Paesi che siedono in Consiglio di sicurezza nonché le autorità locali del Governo centrale del Kurdistan iracheno affinché vengano adeguatamente promossi e tutelati i diritti di tutte le minoranze etnico-religiose stanziate in Iraq e, in particolare, quelli della popolazione yazida.
Siamo uno dei Paesi maggiormente impegnati nella coalizione internazionale contro Daesh ed il nostro impegno proseguirà fino a quando questa minaccia esistenziale per le minoranze etnico-religiose del Medioriente non verrà definitivamente sconfitta. Intendiamo tenere fede al nostro impegno a favore della comunità yazida anche nell'ambito del nostro contributo alle attività di stabilizzazione delle aree liberate attraverso il ripristino dei servizi essenziali, per favorire un corretto e progressivo ritorno degli sfollati nelle loro aree di riferimento. Infine, credo sia importante mettere in rilievo anche il contributo che sta dando la nostra cooperazione, perché, grazie ai 500 mila euro stanziati, Unicef ha potuto costruire a Duhok un centro per la riabilitazione psicologica delle donne yazide vittime di violenze ed abusi. È stato questo il nostro impegno e in questa direzione proseguiremo e andremo avanti.
PRESIDENTE. La deputata Pia Elda Locatelli ha facoltà di replicare.
PIA ELDA LOCATELLI. Signor Ministro, mi pare di poter rispondere che rimaniamo in una fase interlocutoria. Aspettiamo che lei vada a Washington per assumere e concordare con i membri dell'Alleanza azioni, però siamo in una fase interlocutoria perché mi pare di poter capire che per adesso, in modo specifico con riferimento al riconoscimento del genocidio, non ci siamo ancora mossi.
Lo capisco: c’è stata la fase di passaggio del Governo e capiamo anche che c’è questa battaglia infinita per la conquista di Mosul, per cui ancora il 40 per cento del territorio è ancora lì nelle mani dell'Isis e, quindi, è chiaro che la nostra attenzione è focalizzata soprattutto su questo. Però, dopo 160 giorni noi sentiamo il dovere di richiederle nuovamente di agire per arrivare al riconoscimento e per deferire i responsabili, con tutte le difficoltà del caso, che riconosciamo, perché sappiamo bene che l'Iraq non è parte dello statuto della Corte penale internazionale. Però, noi siamo stati in al-Alil, che è il centro spirituale di questa popolazione, e i rappresentanti religiosi, politici e civili erano informati di questo impegno del Governo e ci hanno chiesto a che punto siamo e noi gli abbiamo detto a che punto saremo tra un po’. Adesso lei ci dice di aspettare ancora qualche tempo.
Contiamo sul suo impegno, perché lei ha detto che intende tenere fede all'impegno nei confronti della popolazione yazida. Le diamo credito, però sappia che tra non molto, dopo il suo ritorno da Washington, noi le presenteremo di nuovo una richiesta per sapere a che punto siamo.
PRESIDENTE. La deputata Quartapelle Procopio ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02861 .
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie, Presidente. Abbiamo approvato oggi l'autorizzazione alle missioni internazionali, tra cui la nostra missione a fianco e per l'addestramento dell'esercito iracheno, impegnato contro Daesh. Sappiamo, come dicevamo anche dall'interrogazione precedente, che proseguono le operazioni per la liberazione di Mosul, che stanno portando alla luce i tanti e indicibili crimini di cui si è macchiato ISIS. Siamo tornati da poco da una missione di amicizia interparlamentare Italia-Kurdistan, nel corso della quale abbiamo rilevato da parte di tutti gli interventi istituzionali un grande apprezzamento per lo sforzo italiano, in particolare militare, ma anche molta preoccupazione su quello che succederà nel dopo Daesh, su come si ricostruirà la fiducia, il tessuto sociale dell'Iraq. Chiediamo, quindi, al Ministero se si sta già facendo un piano di contingenza per la ricostruzione e la riconciliazione delle zone che saranno – presto, ci auguriamo – liberate dall'influenza di Daesh.
PRESIDENTE. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, ha facoltà di rispondere.
ANGELINO ALFANO, . Grazie. L'Iraq, lo dicevamo già poc'anzi, sta vivendo in questi giorni una fase cruciale, poiché la campagna per la liberazione di Mosul procede rapidamente e potrebbe sancire la fine del controllo diretto di buona parte dei territori iracheni da parte di Daesh. Va dato atto che le forze irachene, incoraggiate anche dalle Nazioni Unite, si sono impegnate non poco per assicurare la protezione dei civili e l'accesso agli aiuti. La situazione umanitaria, tuttavia, rimane difficile, ed è per questo che nei prossimi mesi l'attenzione sarà concentrata, oltre che sulle operazioni militari, anche sulle prospettive di ricostruzione e riconciliazione. In questo scenario, l'Italia svolge un ruolo molto importante: a livello bilaterale, continuiamo a sensibilizzare gli iracheni a proseguire, anche quando Daesh sarà stato definitivamente sconfitto, la cooperazione instaurata a Mosul tra il Governo federale e le autorità regionali curde. A Mosul e nella provincia di Ninive convivono, infatti, diverse componenti etniche e religiose, che necessitano di formule politiche inclusive, per potere sperare, un giorno, di vivere in pace.
Intendo risollevare il tema della riconciliazione nazionale la prossima settimana a Washington, alla ministeriale della coalizione globale per il contrasto a Daesh cui mi riferivo poc'anzi, e anche nei miei incontri alle Nazioni Unite, dove l'Italia quest'anno siede tra i membri del Consiglio di sicurezza. Ricordo, poi, che la nostra azione a favore della stabilizzazione delle aree liberate da Daesh, che è alla base per il futuro del processo di riconciliazione, è un'azione forte e riconoscibile. I nostri carabinieri continuano ad addestrare le forze di polizia locali e federali, ad oggi circa 6.800 unità, e a loro spetta il delicato compito di vigilare sulla normalizzazione della vita delle comunità irachene liberate da Daesh. Abbiamo, poi, una grande responsabilità verso quelle popolazioni, ossia quella di proteggere la diga di Mosul.
Sulla diga abbiamo fatto un lavoro importante sia dal punto di vista militare sia da quello infrastrutturale, con i nostri nazionali di settore che hanno fatto un lavoro straordinario e continuano a farlo. Sul fronte umanitario vorrei, infine, ricordare la preziosa opera della cooperazione italiana, che ha ulteriormente aumentato il proprio impegno a Mosul. È stato, infatti, predisposto un pacchetto di iniziative dell'importo di 4,7 milioni di euro, da realizzare tramite ONG italiane e agenzie ONU per garantire servizi di base a favore degli sfollati, dei profughi che sono ospiti nei campi e delle donne vittime di violenza, tra cui le ragazze yazide. In tutto questo, certamente gli iracheni dovranno fare la loro parte, e molto dipenderà, infatti, dai futuri assetti politici e istituzionali locali, che possono essere decisi solo dalle autorità irachene, seppure con il sostegno internazionale, e cruciali in questo senso saranno le elezioni provinciali previste per il settembre del 2017, ossia di quest'anno, e le elezioni legislative nel 2018.
PRESIDENTE. Il deputato Romanini, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare, per due minuti.
GIUSEPPE ROMANINI. Grazie, Presidente. Signor Ministro, confido, confidiamo, che le parole che abbiamo sentito oggi trovino nei prossimi mesi concrete realizzazioni in progetti. Abbiamo sentito di uno stanziamento di 4,7 milioni specificamente dedicati a quest'area, e questo ci fa molto piacere, anche se abbiamo riscontrato la difficoltà di questi mesi a costruire dei percorsi, dei corridoi umanitari, in particolare per le donne yazide, che hanno subito, come lei ha ricordato, le violenze di Daesh. Con soddisfazione registriamo l'impegno della cooperazione internazionale per progetti che abbiano a cuore gli sfollati, soprattutto i minori, gli orfani che sono stati vittime delle violenze di quella regione. Noi abbiamo costituito un intergruppo di amicizia Italia-Kurdistan, raccogliendo l'adesione convinta di molti parlamentari, deputati e senatori, all'indomani dell'occupazione militare da parte di Daesh di una parte consistente del territorio curdo.
Lo abbiamo fatto in riconoscimento anche del ruolo che i hanno avuto nella contrapposizione militare al fondamentalismo dei tagliagole. Ora che la battaglia sul campo sta per essere vinta, ci sentiamo di insistere perché il nostro Governo, e più in generale la comunità internazionale, si sentano impegnati nei confronti di un popolo che ha subito massacri e violenze, soprattutto a danno delle sue minoranze, e che si sta facendo carico di centinaia di migliaia di profughi e di sfollati in una condizione segnata, tra l'altro, da una severa crisi economica. Noi lo chiediamo perché siamo convinti che soltanto attraverso la cooperazione internazionale possiamo trovare, si possano ritrovare, condizioni stabili di sicurezza in quell'area, per dare una risposta concreta alle minoranze vittime dei crimini, per evitare che siano costrette a disumane migrazioni verso l'Europa, e per mettere un po’ di carburante in quel processo di riconciliazione che si dovrà realizzare, ed in parte si sta realizzando, consapevoli che dalla stabilità di quell'area, di quella regione mediorientale, dipende gran parte della stabilità internazionale.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 16,30 con le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 9 e 10 marzo 2017. La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Artini, Bobba, Boccia, Matteo Bragantini, Bratti, Cicchitto, Dambruoso, Damiano, Dellai, Di Gioia, Epifani, Gregorio Fontana, Garofani, Giorgis, Laforgia, Locatelli, Losacco, Manciulli, Marcon, Mazziotti Di Celso, Pisicchio, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Sanga, Sani, Schullian, Speranza, Tabacci e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente centotredici, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 9 e 10 marzo 2017.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni Silveri. Ne ha facoltà.
Prego i colleghi di prendere posto e abbassare il tono della voce. Prego, Presidente.
PAOLO GENTILONI SILVERI, . Presidente e onorevoli colleghe, tanti auguri per l'8 marzo, e onorevoli colleghi, l'informativa di oggi riguarda un vertice europeo che per certi versi è un vertice di transizione, che non deve affrontare decisioni formali di grandissima rilevanza, ma che tuttavia ha per quanto ci riguarda, e credo anche per quanto riguarda i destini dell'Unione, una rilevanza speciale, perché sarà una delle tappe fondamentali, forse l'ultima a livello di Capi di Stato e di Governo, per discutere della occasione dei sessant'anni dell'Unione europea, che come sapete ci vedrà impegnati tra quindici giorni, il 25 marzo, a Roma.
Alla discussione della Dichiarazione di Roma sul sessantesimo dei Trattati sarà dedicata la giornata di dopodomani, con un primo esame dei contenuti di una dichiarazione che, nelle nostre intenzioni, e nelle intenzioni delle istituzioni comunitarie, può essere un punto di rilancio, di svolta per un'Unione europea che certamente attraversa un momento difficile e complicato.
Sarebbe molto bello che l'Italia riuscisse, come Paese ospite e grazie all'impulso del Governo e del Parlamento, a dare a questa occasione il significato appunto di una svolta e un rilancio di cui oggi si sente fortissimamente il bisogno. Se pensiamo a quello che accadde 60 anni fa, con la firma in Campidoglio, nella Sala degli Orazi e Curiazi, dei Trattati istitutivi della Comunità europea, ci rendiamo conto di un elemento che può essere prezioso anche per descrivere la situazione attuale: allora, nel 1957, si veniva da due o tre anni complicati, nei quali i grandi ideali europeisti, che avevano attraversato la parte migliore delle classi dirigenti politiche ed intellettuali europee nei decenni precedenti, avevano trovato sbocchi, ma questi sbocchi erano apparsi come privi di prospettiva. C'era stata la Comunità europea di difesa, che era nata all'inizio degli anni Cinquanta, ma poi era stata definitivamente bocciata dal Parlamento, dall'Assemblea nazionale francese nel 1954; c'era la Comunità europea del carbone e dell'acciaio; ci fu un ruolo dell'Italia: l'Italia non fu solo Paese ospite per caso a Roma nel 1957, l'Italia fu anche il Paese che, attraverso l'azione dei Governi dell'epoca (importante fu il ruolo del Ministro Gaetano Martino), organizzò quella Conferenza a Messina che riuscì ad impostare quella che poi sarebbe diventata la nascita della Comunità economica europea.
Si fece allora una scelta; per quelli che hanno la mia età, qualcuno anche qualche anno più di me, vi ricorderete anche la sigla, il MEC. Si fece la scelta di puntare sull'aspetto economico, sul mercato comune, individuando nel mercato comune il motore di progressivi processi di integrazione, di allargamento, di coinvolgimento di Paesi. Credo che se guardiamo a quella scelta, alla scelta che l'Italia favorì attraverso la Conferenza di Messina e che poi fu sancita da quella cerimonia, se la guardiamo con gli occhi di chi fa un bilancio dopo sessant'anni, credo che cogliamo un primo significato dell'occasione che ci si presenta tra quindici giorni di nuovo qui a Roma, l'occasione del sessantesimo: il significato è innanzitutto quello di rivendicare i risultati che in questi sessant'anni sono stati raggiunti. La pace innanzitutto, che oggi a noi appare assolutamente scontata, ma che certamente scontata non era in un'Europa che usciva da mezzo secolo di guerre, con milioni di morti. La libertà, perché non dobbiamo mai dimenticare che è stato grazie alle Comunità europee che si è riusciti a dare un'uscita di sicurezza alle dittature fasciste che, negli anni del dopoguerra, nei decenni del dopoguerra, si erano insediate in Grecia, in Portogallo e Spagna; e alle dittature comuniste, che hanno retto fino alla caduta del muro di Berlino. È stata l'esistenza della Comunità europea, dell'Unione europea dopo, a consentire il disgelo e la libertà per decine di milioni di europei. E poi è stata l'Europa del della protezione sociale: il punto che oggi ci appare più drammaticamente debole dell'Europa, è stata una delle conquiste di cui in questi sessant'anni dovremmo essere, e siamo credo tutti quanti consapevoli. Il modello europeo è un modello in cui c’è pace, c’è libertà, ma c’è anche protezione sociale universale, certamente in modi diversi da Paese a Paese. E poi è stata la nascita di una superpotenza commerciale, del primo mercato unico al mondo come dimensioni, di una realtà che continua ad essere... Ho appena incontrato il Primo Ministro della Georgia, la prospettiva di questo Paese è una prospettiva di enorme attrazione nei confronti dell'Unione europea, innanzitutto per le opportunità dal punto di vista economico che offre. E infine è stata l'Europa, nonostante tutto, una grande comunità di valori, di culture, di istruzione, di educazione.
Ecco, questo edificio, che come sempre le ricorrenze aiutano a ricordare nella sua forza, nei suoi successi, nei suoi risultati, oggi è sotto pressione, sotto accusa. Sarebbe credo miope da parte del Parlamento italiano e del Governo italiano non rendersene conto: è sotto accusa da parte di componenti molto consistenti delle cittadinanze dei 27 o 28 Paesi europei. Non è solo Brexit.
Brexit è stata certamente, il 23 giugno scorso, l'episodio scatenante, la cosa più evidente, ma sappiamo bene che la diffidenza nei confronti delle istituzioni europee, della costruzione europea, lo scetticismo, la polemica attraversano le nostre società, le nostre opinioni pubbliche, come frutto direi da un lato della crisi economica e sociale che abbiamo attraversato negli ultimi anni e dall'altro lato della difficoltà che le istituzioni europee, spesso ferme e non capaci di adeguarsi a questa realtà, hanno messo in evidenza nel corso degli ultimi anni.
Qui, io credo, scatta il collegamento che dobbiamo cercare di realizzare tra un'occasione, quella del 25 marzo, in cui rivendicare i risultati che sono stati raggiunti in questi sessant'anni, e l'esigenza di indicare la prospettiva futura, la prospettiva dei prossimi 10 anni.
Sarà questo l'asse della Dichiarazione di Roma, della quale cominceremo a discutere nella giornata di venerdì al Consiglio Europeo e che io mi auguro rappresenti esattamente questa capacità di non dimenticare da dove veniamo e quello che siamo riusciti a realizzare in questi sessant'anni, perché faremmo un torto non solo ai padri dell'Unione europea, faremmo un torto ai nostri figli, faremmo un torto alle generazioni che devono venire: se venisse a mancare l'Unione europea, noi ne sentiremmo la mancanza molto rapidamente e drammaticamente.
Quindi dobbiamo, a mio avviso, partire da questa consapevolezza, ma al tempo stesso indicare una strada in avanti, una strada di futuro per i prossimi 10 anni, un futuro che nella Dichiarazione di Roma dovrebbe basarsi, a nostro avviso, su 3 o 4 scelte fondamentali: la scelta innanzitutto di un'Europa più coesa sul piano della sicurezza e della difesa, capace quindi, se ci sono vuoti di riempirli. Adesso non voglio aprire una discussione sul nuovo contesto della politica internazionale, ma di certo l'Unione europea ha tutto l'interesse ad avere sul terreno della sicurezza e della difesa politiche più coese e più integrate, per assumersi responsabilità e fare dei passi in avanti. Paradossalmente lì dove, nel ’54, fallì un primo tentativo di costruzione europea con il «no» francese alla Comunità europea di difesa, oggi ci sono le condizioni per ripartire, almeno con forme di cooperazione rafforzata, strutturata tra alcuni Paesi e con decisioni che in parte si sono già prese: la scorsa settimana, ad esempio, si è deciso di dar vita a dei comandi militari unificati per alcune missioni che l'Unione europea conduce soprattutto in Africa, decisioni limitate, ma che vanno nella direzione giusta.
Sicurezza e difesa certamente, politiche economiche che devono essere orientate verso la crescita e verso gli investimenti, politiche sociali: quel primato di un'Europa che crede nella protezione sociale, in un sistema di noi rischiamo che vada sgretolandosi sotto i colpi della crisi e lì dobbiamo ricostruire l'Europa sociale, quindi terzo pilastro dopo le politiche per la crescita e gli investimenti, dopo la sicurezza e la difesa comune, l'Europa sociale e infine un'Europa che sia capace di conservare uno dei risultati più belli che abbiamo raggiunto e cioè la libera circolazione delle persone, attraverso un impegno comune e un impegno comune nelle politiche migratorie, perché senza questo impegno comune nelle politiche migratorie sarà molto difficile riuscire a conservare le conquiste, in termini di libera circolazione delle persone.
In questo contesto si svilupperà anche la discussione, se volete per il momento un po’ astratta, teorica, sull'assetto istituzionale futuro dell'Europa.
Perché dico in questo momento un po’ astratta e teorica ? Perché si possono fare certamente dei passi in avanti nella cooperazione strutturata tra singoli Paesi, sono passi avanti che gli attuali trattati consentono, che non hanno bisogno di grandi riforme istituzionali nell'ambito dell'Unione europea e nel frattempo si può avviare una discussione su qual è l'assetto di un'Europa che non può che avere, a mio avviso, se pensiamo all'orizzonte dei prossimi 10 anni, livelli di integrazione differenziati al proprio interno.
Ora questa prospettiva non deve essere vista né come una resa né come una minaccia, certamente è un cambiamento di prospettiva, perché l'Europa di oggi, l'Europa a 28 o a 27, ha come sua ragione sociale la frase sempre ripetuta di una cioè di una unione sempre più integrata, ma sappiamo bene che la discussione che ci fu negli anni Novanta e all'inizio di questo secolo tra i sostenitori dell'allargamento dell'Unione europea e i sostenitori dell'approfondimento dell'Unione europea è una discussione che ormai ci siamo lasciati alle spalle, non è che dobbiamo lasciarci alle spalle, è alle nostre spalle, perché l'Unione è fatta da un numero di Paesi molto, molto vasto, quindi l'allargamento è un fatto.
Il tema in discussione è se i passi avanti ulteriori sul terreno dell'integrazione, che sono necessari, possono essere fatti tutti a 27 oppure se, nell'ambito di questi necessari passi in avanti, si possano immaginare delle geometrie variabili.
Non sarà una decisione delle prossime settimane e dei prossimi mesi, non è l'oggetto della celebrazione della dichiarazione per il sessantesimo a Roma.
Cercheremo, in quella dichiarazione, di tenere conto del fatto che in questa direzione si sta andando.
La Commissione europea ha varato una settimana fa un Libro bianco, nel quale si mettono in fila 5 diversi scenari addirittura su quelle che possono essere le prospettive più o meno ambiziose dell'Unione europea, da quelle meno ambiziose (solo il mercato unico, rinunciando a tutto il resto), a quelle più ambiziose (Stati uniti d'Europa, per tradurla), ma anche qui siamo di fronte a un tracciato, a una cornice di discussione, non a scelte che vengono proposte o addirittura imposte dall'alto.
Io dico, a nome del Governo, che di questa prospettiva noi non dobbiamo avere paura, anzi, la dobbiamo considerare, dal mio punto di vista, come un'opportunità.
I diversi livelli di integrazione sono già una realtà dell'Unione europea.
Sappiamo che ci sono Paesi che hanno una moneta unica e Paesi che hanno le loro monete nazionali, sappiamo che esistono Paesi dell'area Schengen e Paesi che non fanno parte dell'area Schengen, Paesi membri della NATO e Paesi neutrali, quindi non è una novità senza precedenti, quella di prevedere diversi livelli di integrazione: è la strada che dobbiamo seguire, se vogliamo evitare quello che oggi è il rischio principale dell'Unione europea e cioè stare fermi di fronte alle difficoltà, agli scricchiolii, agli elementi di crisi che ti si presentano davanti.
Se a questo si reagisce con la continua minimizzazione dei problemi, se la velocità a cui si affrontano i problemi è la velocità dell'ultimo vagone del treno, io temo che col passare del tempo la risposta dell'Unione europea non sarà all'altezza delle sfide che il mondo di oggi pone al continente europeo, sapendo che, se noi vogliamo avere un ruolo nel mondo che si va profilando, dobbiamo investire sul nostro essere italiani, ma anche sul nostro essere europei.
Quindi, Roma è l'occasione per dare questo segnale, da un lato, di orgogliosa rivendicazione di quanto si è raggiunto in questi sessant'anni e, dall'altro lato, di indicazione di una prospettiva per i prossimi dieci anni – i quattro pilastri che citavo prima – e l'avvio, solo l'avvio, di una discussione sull'assetto futuro dell'Unione, per consentire ai Paesi, che sono pronti a fare dei passi in avanti maggiori in termini di integrazione, di farli.
E, per favore, non viviamo questa discussione, come ogni tanto ci capita, come se fosse un gigantesco complotto nei confronti dell'Italia. È vero che c’è stato vent'anni fa, trent'anni fa, un dibattito sull'Europa a due velocità, nel quale l'Italia poteva essere considerata un Paese a rischio di far parte della serie B, piuttosto che della seria A. Stiamo parlando di una cosa completamente diversa: l'Italia è tra i Paesi promotori di questa impostazione. E ovviamente, in modo particolare in un'Unione europea che perderà il Regno Unito, sarà uno dei Paesi assolutamente protagonisti di questo processo. Quindi, non guardiamo a questa cosa come una minaccia, non guardiamo a questa cosa come una decisione da prendere domani, guardiamola come a una risposta di prospettiva alle lentezze, alle difficoltà, al rischio di dei processi europei che abbiamo.
Più rapidamente sugli altri punti all'ordine del giorno, perché davvero la questione di Roma sarà centrale nel vertice di domani e dopodomani. L'occasione, come sempre nei vertici del Consiglio europeo di marzo, sarà per fare il punto sulla situazione economica dei diversi Paesi. Avremo anche una relazione di Mario Draghi su questo.
Noi proporremo la nostra impostazione tradizionale del nostro Governo, che dice che, da un lato, siamo per rispettare le regole dell'Unione europea e, dall'altro, siamo per contribuire a cambiare le sue politiche. È un punto di equilibrio non facile rispettare le regole e contribuire a cambiare le politiche. Ma da qui, onorevoli colleghi, non si scappa, perché far finta che le regole non esistano sarebbe quantomeno superficiale e rinunciare a cambiare le politiche sarebbe rinunciare al ruolo del nostro Paese. Noi abbiamo bisogno di un'Unione europea rispetto a tassi di crescita, che apparentemente a livello europeo sono positivi, perché non sono molto diversi da quelli degli Stati Uniti, ma che sono ancora lenti e che sono in particolare lenti per il nostro Paese, anche se ricordo a tutti che il distacco dell'Italia dalla media della crescita dei Paesi europei è oggi il più basso degli ultimi sei anni. Quindi siamo indietro, siamo più lenti, ma il gruppo è più vicino di quanto non fosse 6, 7, 8 anni fa.
Ecco, questa situazione deve portarci a dire che vogliamo un'Unione europea che non deprima questa crescita ancora lenta, ma che consenta di incoraggiarla. E questa sarà la nostra battaglia nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, sarà l'impegno del DEF che presenteremo in Parlamento tra un mese, sarà l'impegno del nostro piano nazionale per le riforme.
Se c’è una cosa che io considero assolutamente immotivata, in alcune delle valutazioni che ho visto emergere a Bruxelles e nelle ultime settimane, è la descrizione dell'Italia come di un Paese nel quale il processo di riforme si è fermato o è stato rallentato. Non è così, Certamente, se parliamo della riforma costituzionale, non possiamo non riconoscere che il referendum è andato come è andato e che la posizione a favore del referendum, la mia e quella del Governo e di tanti altri, è risultata sconfitta alle urne, ma il processo di riforme va avanti.
Non voglio ripetere qui il catalogo che ho fatto stamattina intervenendo al Senato, ma dico che non ci atteggiamo a essere i primi della classe, ma non accettiamo lezioni, perché se c’è un Governo e un Parlamento che in tantissimi settori ha un'agenda di riforme, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, questo è il Governo, questo è il Parlamento, italiano
Siamo noi che siamo impegnati in questo terreno. E sarei curioso di sapere se lo stesso grado di intensità di progetti di cambiamento è davvero all'ordine del giorno facilmente in altri Paesi. All'ordine del giorno sono anche le questioni di sicurezza e difesa, che ricordavo prima, con i passi avanti, sia pure limitati, che si stanno facendo.
E naturalmente, di nuovo, le questioni dell'immigrazione, delle politiche migratorie comuni. Ci tengo a ribadire su questo punto che, quando si parla di politiche dell'accoglienza e in particolare dell'accoglienza dei rifugiati, non si sta parlando di una richiesta italiana. Si sta parlando di una decisione presa dall'Unione europea. L'Unione europea ha preso delle decisioni sull'accoglienza dei rifugiati, di coloro ai quali è stato riconosciuto il diritto all'asilo, e le ha prese molto tempo fa. E noi non siamo disponibili a rassegnarci all'idea di un'Europa a due rigidità, un'Europa per la quale la rigidità, su alcune virgole di bilancio, è assolutamente inamovibile e per la quale, invece, ci sono scelte fondamentali sull'accoglienza ai rifugiati, che pur essendo state prese vengono dimenticate. Si sorvola, si è distratti. Questa logica noi non l'accetteremo, lo abbiamo detto nei mesi scorsi e lo ripeteremo domani a Bruxelles e
Ci saranno, io credo, dei piccoli passi avanti sul terreno almeno della dimensione esterna delle politiche migratorie. Già nel vertice informale di Malta abbiamo avuto un sostegno formale dei 27 all'intesa tra Italia e Libia sull'immigrazione. Io voglio dire qui, onorevoli colleghi, che da quella intesa nessuno deve aspettarsi risultati improvvisi e miracolosi. Io non li ho venduti, non li ho promessi. Il giorno in cui ho firmato l'intesa con il Presidente Serraj, la prima cosa che ho detto: questo è un piccolo passo in un contesto molto fragile. Ma è nell'interesse comune di questo Parlamento che quel piccolo passo fragile gradualmente si rafforzi e, quindi, sono contento che le due parti, la Libia e l'Italia, abbiano indicato le loro delegazioni per la cabina di regia bilaterale, che ha preso forma una decina di giorni fa e che sta cominciando a lavorare per la gestione del fenomeno.
Sono contento che si comincino a manifestare – sono molto limitati – primi risultati nell'attività da parte della guardia costiera libica di contenimento di significativi flussi migratori. Sono primi risultati, che risalgono agli ultimi 15-20 giorni, ma che noi dovremmo coltivare con la cura con cui si coltivano delle piantine promettenti. Cercheremo di rafforzarli, fornendo imbarcazioni, sostegno, mezzi e naturalmente stando attenti a che lo sviluppo di questa attività sia pienamente rispettoso delle regole e dei diritti umani.
La soluzione perfetta di questa questione dell'immigrazione non esiste.
A chi dice che esistono metodi miracolosi – naturalmente stiamo parlando nell'ambito dei nostri principi di civiltà e di diritto – io rispondo che metodi miracolosi non esistono. Esiste tuttavia la possibilità di trasformare un fenomeno totalmente irregolare e criminale in un fenomeno che gradualmente diventa regolato, meno rischioso per chi fa questa scelta, più rispettoso delle nostre regole e quindi meno foriero di tensioni e di reazioni dal punto di vista sociale. Questo è possibile, ci vuole tempo e ci vuole la collaborazione di Paesi, in particolare Paesi chiave come la Libia e il Niger. Infine – ultimo punto all'ordine del giorno, che voglio menzionare perché nel corso della giornata è andato acquisendo forse un rilievo più significativo di quanto si potesse pensare – il Consiglio di domani e dopodomani è anche chiamato a rinnovare l'incarico all'attuale Presidente del Consiglio europeo che – come sapete – è l'ex Primo Ministro polacco, Donald Tusk. Fino a stamani mattina non c'erano candidature alternative; credo che sia stata oggi, stamattina, formalizzata una candidatura alternativa da parte del Governo polacco, di un esponente politico dell'attuale Governo polacco e quindi è probabile che ci sia, da questo punto di vista, una discussione insolita, nel senso che normalmente a queste decisioni si arriva per consenso. Tuttavia, la posizione italiana – non ci sono candidati italiani e non c’è una discussione – è purtroppo una discussione più nazionale, che non europea ed è quella di contribuire a una soluzione condivisa e al momento la soluzione condivisa sembra essere quella della conferma del Presidente Tusk, al quale quindi io, salvo novità assolutamente al momento imprevedibili, rinnoverò a nome del Governo la fiducia anche del nostro Paese.
Infine, onorevoli colleghi, voglio semplicemente dire che cosa il Governo chiede a questa Assemblea. Molto semplicemente chiede un sostegno per rendere la nostra posizione al tavolo di Bruxelles la più forte e rappresentativa possibile; il che non vuol dire naturalmente che non ci siano opinioni diverse nel Parlamento – naturalmente ci sono e figurarsi se non ci sono su un tema oggi così sentito come quello del rapporto con le istituzioni europee –, di queste posizioni diverse io ho il massimo rispetto, ma so anche che l'Italia può svolgere un ruolo all'altezza della sua storia nella misura in cui il Governo può presentarsi a questo tavolo nel difendere le nostre posizioni sul terreno economico, sul terreno delle politiche migratorie, sull'iniziativa per i sessant'anni dei Trattati di Roma, avendo non solo dietro di sé la rappresentanza del Governo – come è ovvio – e della sua maggioranza, ma anche la più larga rappresentanza possibile del Parlamento. Un Governo più forte al tavolo di Bruxelles è un Governo che fa più forte l'Italia .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
È iscritta a parlare la deputata Maria Chiara Carrozza. Ne ha facoltà.
MARIA CHIARA CARROZZA. Grazie, Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi. Anche a nome del Partito Democratico vorrei esprimere il nostro apprezzamento e sostegno all'impegno del Governo perché, in occasione del Consiglio europeo del 25 marzo a Roma, sia adottata una dichiarazione di Roma ambiziosa e all'altezza delle sfide che l'Europa ha di fronte, in modo da avviare un processo di riforma dell'Unione da concludersi entro le elezioni europee del 2019.
Le risoluzioni approvate recentemente dal Parlamento europeo e il Libro Bianco della Commissione Europea vanno in questa direzione e mostrano che la linea italiana trova sostegno nelle istituzioni sovranazionali europee, a testimonianza del ruolo e dell'autorevolezza del Paese. Vorrei ribadire la nostra consapevolezza che l'integrazione europea è stata e continua ad essere l'orizzonte e il quadro imprescindibile per lo sviluppo e la modernizzazione della democrazia, dell'economia e della società in Italia, la stella polare degli statisti italiani, da Spinelli, a Einaudi, a De Gasperi, a Andreatta, a Andreotti e Amato, fino a Prodi, Ciampi e Napolitano. Ma il mondo è cambiato. Nell'arena globale nessuno Stato membro può giocare un ruolo da solo, nessuno di loro sarebbe nel G8 del 2025, contano solo gli Stati di dimensioni continentali, come Usa, Cina, Russia India e Brasile, il più piccolo è più grande dell'intera Unione europea. Gli europei oggi sono come i greci delle di fronte all'impero macedone e all'impero romano e gli abitanti degli staterelli del rinascimento italiano di fronte al consolidamento dei primi Stati moderni europei, Francia, Spagna e Impero asburgico. Hanno una scelta semplice: unirsi o scomparire. La frammentazione si indebolisce anche nei confronti della sfida per contendersi l'egemonia tra Stati Uniti, Russia e Cina, in seguito al fallimento del Trattato TTIP dopo che già con il Presidente Obama il strategico americano si è spostato sul Pacifico. Il conseguente vuoto di potere è stata una delle condizioni di possibilità della caduta dei regimi autoritari, ma filo-occidentali nel Nordafrica e nel Medio Oriente, nello sviluppo di Daesh e delle guerre civili in corso, nonché...
PRESIDENTE. Onorevole Carrozza, mi scusi. Colleghi, non è necessario urlare, si può anche parlare sottovoce.
Prego, onorevole Carrozza.
MARIA CHIARA CARROZZA. Trump accelera e accentua il . L'Unione europea deve passare da consumatore a produttore di sicurezza per sé e per l'area del vicinato, altrimenti il flusso di migranti o rifugiati continuerà ancora per decenni e non basta aumentare la spesa per la Difesa a livello nazionale. Occorre una politica europea per gestire il fenomeno migratorio, a partire dai nostri valori, senza scaricare il problema solo su alcuni Paesi di frontiera come l'Italia. Serve una fiera difesa europea. Ma oltre la difesa, l'elemento fondamentale della coesione dell'Europa è soprattutto la tenuta sociale. Nei prossimi anni dovremo dare un senso al concetto di cittadinanza europea, che significa garantire un benessere minimo per tutti i cittadini europei e per chi vive in Europa e non solo garantire libera circolazione delle persone e delle merci. Per mantenere la nostra coesione sociale e la nostra tenuta interna, dovremo combattere l'invecchiamento della popolazione e la disoccupazione giovanile, trasformare il nostro continente in un luogo ospitale per i giovani e definire uno minimo di diritti e di qualità della vita, che faccia di nuovo dell'Europa un punto di riferimento politico e culturale per il resto del mondo. Non voglio solo guardare al passato, ai primi del Novecento, quando l'Europa era il centro culturale del mondo, ma vorrei trasformare questo pensiero storico in un modello di civiltà sostenibile per invertire la rotta e pensare ai giovani e al loro futuro. I nostri valori quindi devono dare credibilità al comportamento dell'Unione monetaria con le unioni bancaria, economica, fiscale e politica. È urgente una capacità fiscale di debito dell'Unione, o almeno nell'Eurozona, per rilanciare investimenti, crescita e occupazione e rafforzare decisamente l'Europa sociale, dando un senso culturale e politico alle istituzioni europee. Le due velocità o le più velocità sono un metodo importante, come cerchi concentrici, per garantire il processo di integrazione dell'Europa sociale, ma anche la sistematizzazione dei nostri meccanismi di difesa e di europea per combattere il terrorismo, la riforma dei meccanismi per la gestione della migrazione del Trattato di Dublino e l'alleanza per uno spazio europeo della ricerca e dell'innovazione. E l'Italia, come sempre, dovrà essere non solo nel gruppo di testa, ma tra i Paesi che spingono per completare il processo di unificazione europea. Auspico che il Consiglio europeo, sulla spinta del Governo italiano, sappia ascoltare la voce dei cittadini europei alzarsi all'altezza delle sfide che la storia ci pone di fronte, per assicurare diritti, lavoro, benessere e sicurezza alla nostra società, avviando un processo di incisiva riforma dell'Unione, perché essere europeisti oggi non significa difendere l'attuale, fragile e incompleta Unione europea, ma impegnarsi per riformare e rilanciarla, nel solco della visione di Ventotene. Brexit e Trump hanno ricordato agli europei la fragilità dell'Unione; dobbiamo difendere e rafforzare le nostre conquiste di libertà e di civiltà, vi è una nuova e diffusa consapevolezza a tutti i livelli sulla necessità di un cambio di passo. In tutta Europa è stato pubblicato un appello di oltre 300 intellettuali europea di diversi Paesi e orientamento politico che chiedono l'unione politica, la creazione di un governo federale europeo e invitano i giovani, la società civile, l'Accademia, il mondo del lavoro e dell'impresa, gli enti locali a mobilitarsi in occasione della marcia per l'Europa del 25 marzo a Roma.
Decine di associazioni e di organizzazioni hanno risposto alla chiamata alla mobilitazione dalle organizzazioni europeiste, il Movimento federalista europeo. Moltissime personalità della cultura e della politica si uniranno ai cittadini che sfileranno pacificamente per le strade di Roma, in una marcia che, per una volta, non mira a dire «no» a qualcosa o a qualcuno, ma a progettare e a costruire un'Europa migliore. Sono orgogliosa del fatto che a questa iniziativa, a cui sono stata tra le prime ad aderire e alla quale hanno aderito molti colleghi della Camera, si svolga in Italia. Sono contenta che l'appello degli intellettuali europei sia partito dall'Italia e, in particolare, dalle università italiane, che si confermano così non solo centri di ricerca ma anche serbatoi di idee e di responsabilità per pensare al futuro, alimentati dallo Spazio europeo dell'istruzione superiore. Per costruire questo orizzonte saranno l'investimento e il modo stesso di investire in ricerca e formazione che decideranno quello che sarà di noi. Saranno queste le basi per costruire un nuovo compito europeo, un nuovo stato sociale europeo; paradossalmente, le questioni monetarie e finanziarie saranno meno importanti.
La mia esperienza è che ci sono settori, come quello della ricerca e dell'innovazione sociale, dove la dimensione europea è indispensabile per ottenere la massa critica necessaria a costruire una culturale, scientifica e industriale competitiva e forte nel contesto internazionale. Vi sono sfide globali della società, come quelle del riscaldamento climatico, della produzione di energia pulita, della lotta alle epidemie e della resistenza agli antibiotici, dell'invecchiamento della popolazione, dell'esplorazione dello spazio, delle telecomunicazioni, della che non possono essere combattuti da un singolo Paese, ma devono essere realizzati con grandi collaborazioni internazionali e interdisciplinari, dove le infrastrutture e la condivisione delle conoscenze è cruciale. Alle soglie della quarta rivoluzione industriale si aprono scenari di relazione fra capitale, tecnologie e lavoro che muteranno radicalmente la società, influenzandone la coesione sociale. Non è possibile affrontare questi mutamenti con una somma di Stati membri, ma occorrono alleanze e sinergie per un'Europa che sappia esprimere una politica industriale coerente. Il rischio è la marginalizzazione dell'Europa che, insieme all'invecchiamento della popolazione, può causare una crisi profonda alla quale dobbiamo reagire con più unione e non con la frammentazione. Dobbiamo essere all'altezza dei nostri antenati che hanno tracciato la strada per lo sviluppo dei nostri valori e per essere all'altezza del nostro passato occorre sognare un futuro con il coraggio e la forza delle idee, nel nome dei nostri valori: solidarietà, cultura, accoglienza e tolleranza.
Vorrei concludere con la citazione con cui si apre il Libro bianco della Commissione europea sul futuro dell'Europa del 1o marzo, cioè una citazione di Robert Schuman del 9 maggio 1950: «L'Europa non potrà farsi in una sola volta né sarà costituita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto» .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luigi Di Maio. Ne ha facoltà.
LUIGI DI MAIO. Grazie, Presidente. Presidente Gentiloni, siamo agli ultimi mesi prima della caduta del vostro impero. Lei è l'ultimo Presidente ... Presidente io non ho neanche iniziato...
PRESIDENTE. Colleghi ! Colleghi !
LUIGI DI MAIO. Se è possibile parlare, altrimenti questa è censura !
PRESIDENTE. Onorevole Di Maio, stavo appunto richiamando i colleghi.
LUIGI DI MAIO. Io non ho neanche iniziato a parlare.
PRESIDENTE. E infatti. Colleghi, è lecito pensarla diversamente, ma in Aula tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero. Prego, onorevole Di Maio.
LUIGI DI MAIO. Dicevo, Presidente Gentiloni, che siamo agli ultimi mesi prima della caduta del vostro impero. Lei è l'ultimo Presidente ...
PRESIDENTE. Colleghi ! Insomma, colleghi ! Onorevole Albanella ! Prego, onorevole Di Maio.
LUIGI DI MAIO. Lei è l'ultimo Presidente del Consiglio dei ministri dell'era dei partiti e, come al tramonto di ogni era, l'ultimo in carica gestisce il suo mandato assistendo inerme alle conseguenze drammatiche delle politiche di chi l'ha preceduto, mentre i cortigiani arraffano tutto quello che possono e scappano . Il suo Governo è il più debole, il più silenzioso: è l'ultimo. Assiste al declino del nostro Paese in panne, bloccato dai veti incrociati della sua maggioranza frammentata. Avete provocato danni al nostro Paese pari a quelli di una guerra mondiale, ma non potrà essere lei a risolverli, Presidente; significherebbe smentire il suo stesso partito, Presidente Gentiloni, i suoi stessi voti dati in Parlamento, le sue stesse decisioni, i vostri stessi compromessi; significherebbe ammettere la vostra incapacità e la vostra malafede.
Lei non è neanche il capo di questo Governo, altrimenti, dopo che è scoppiato lo scandalo Consip, avrebbe fatto dimettere il Ministro Lotti, viste le accuse pesantissime a suo carico ma non ha la libertà per farlo evidentemente, come evidentemente non ha la libertà di rimuovere nessuno dei protagonisti di questa vicenda che restano tutti al loro posto, come l'ad di Consip Marroni.
Lei è l'ultimo di una stirpe di Presidenti del Consiglio mai passati per le elezioni che hanno sempre ricevuto il sostegno incondizionato del Partito Democratico e di una serie di parlamentari che hanno contribuito al mercato delle vacche più grande della storia della Repubblica. Guardi la sua maggioranza: eravate tre gruppi, quando siete entrati qui alla Camera; oggi ne siete nove, tra gruppi e componenti varie. Con i vostri continui cambi di casacca per assicurarvi la maggioranza, avete fatto diventare il gruppo Misto il terzo partito di quest'Aula. Qui dentro si sono votate le leggi più sanguinarie...
PRESIDENTE. Onorevole Di Maio, mi scusi. Lei ha titolo a dire il suo pensiero, però questo non è un dibattito sulla fiducia; questo è un dibattito sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio sul Consiglio europeo .
LUIGI DI MAIO. No, Presidente ! Presidente, ma come si permette ? Questa è la discussione sulle linee generali ! Questa è la discussione sulle linee generali !
PRESIDENTE. Perfetto ! È la discussione sulle linee generali sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio. La richiamavo a tornare all'Europa.
LUIGI DI MAIO. Io sto argomentando...
LUIGI DI MAIO. ...su un Governo che viene a chiedere ad essere impegnato per andare in Consiglio europeo.
PRESIDENTE. Perfetto ! Arrivi a quel punto.
LUIGI DI MAIO. Ma lei non decide la scaletta del mio intervento, Presidente !
PRESIDENTE. No, non mi permetterei mai.
LUIGI DI MAIO. Lei non decide la scaletta del mio intervento !
PRESIDENTE. Onorevole Di Maio, va bene; continui, prosegua con il suo intervento.
LUIGI DI MAIO. In quest'Aula c'erano dieci gruppi all'inizio della legislatura e tra gruppi e componenti oggi ce ne sono quasi venti. La maggior parte delle sigle presenti neanche esistevano sulla scheda elettorale delle ultime elezioni politiche. Siamo la legislatura col più alto numero di cambi di casacca della storia e anche questo è merito vostro. Le ricette che lei viene a proporre qui, Presidente Gentiloni, non hanno ricevuto nessun consenso degli italiani e, quindi, per noi neanche esistono. Siete ormai un'aristocrazia sul viale del tramonto che, per evitare di far votare i cittadini italiani, ha fabbricato Governi in provetta, mettendoci a capo tutti i profili di premier possibili e immaginabili. Nel 2012 il PD ha sostenuto il professor Monti e la sua squadra di bocconiani, passati alla storia per la più infame riforma delle pensioni della storia del nostro Paese – anche questa ce la chiedeva l'Europa –, meglio conosciuta come «riforma Fornero»; a un milione di italiani è stato impedito di andare in pensione e un milione di giovani italiani sono stati espulsi contemporaneamente dal mondo del lavoro. L'avevate fatta per ridurre il debito pubblico; come sta il debito pubblico oggi ? È a livelli record ! Quindi, quella riforma è inutile .
Dopo le elezioni politiche del 2013, dove il MoVimento 5 Stelle si è classificato prima forza politica italiana, avete rieletto, per la seconda volta, lo stesso Presidente della Repubblica che ci ha regalato a capo del Governo il giovane democristiano Letta. Passerà alla storia per aver trasferito in una sola notte 7 miliardi e mezzo di euro alle banche, mentre voi della maggioranza cantavate intonavate in quest'Aula; roba da far accapponare la pelle ! Letta lo avete usato, sempre in nome delle clausole europee, per aumentare l'IVA al 23 per cento e poi lo avete silurato con uno «stai sereno», insediando a Palazzo Chigi il Presidente del Consiglio dei ministri che ha detto più bugie di tutti agli italiani: diceva di voler aiutare la scuola e ha massacrato gli insegnanti con la «Buona scuola»; diceva di voler aiutare i lavoratori e ha abolito l'articolo 18, liberalizzato i ed eliminando per sempre il contratto a tempo indeterminato; voleva aiutare i poveri e l'ultimo suo atto è stato tentare di finanziare il con 97 milioni di euro, ma gli italiani lo hanno mandato a casa con il referendum .
Poi è arrivato lei, Presidente Gentiloni, e il suo primo atto politico è stato un decreto per trasferire miliardi di euro alle banche. Dopo quattro anni, in cui ci avete detto che non c'erano soldi per il reddito di cittadinanza, per le forze dell'ordine, per le imprese italiane, per il Fondo per le disabilità, ha cacciato fuori dal cilindro 20 miliardi: complimenti ! Oggi viene qui a chiederci di impegnarla sui punti fondamentali per l'Italia da portare in discussione nel Consiglio dell'Unione europea. Ma quando mai voi del PD siete andati in Europa a difendere gli interessi degli italiani ? Io non ne ricordo un solo caso !
Negli ultimi cinque anni avete inserito in Costituzione il modificando l'articolo 81 e mettendo una camicia di forza all'Italia. Avete dato l'ok a trattati vergognosi che stanno o stavano per distruggere il nostro come il TTIP, il CETA, il UE-Cina, il trattato per le arance marocchine e per l'ingresso senza dazi dell'olio tunisino, oltre alle inutili sanzioni alla Russia.
Avete importato nel nostro ordinamento direttive oscene, come la Bolkestein e il e nel 2013 avete rinnovato il regolamento di Dublino, un trattato che ci costringe a tenere sul suolo italiano tutti gli immigrati che approdano in Italia, senza possibilità di redistribuirli in altri Paesi europei, creando una pentola a pressione che prima o poi esploderà, anche grazie a quelle cooperative che fanno sugli immigrati e che in alcuni casi vi hanno finanziato la campagna elettorale . Tutta roba da abolire, per noi. Siete sempre andati in Europa a fare solo e a curarvi gli affari vostri. Presidente, lo ha capito che la foto che si è fatto a Versailles con la Merkel, con Hollande, sull'Europa a due velocità, è solo un volantino per la campagna elettorale di Angela Merkel e le sue elezioni che si terranno ad ottobre ? Ha capito che in questo momento la Merkel lancia l'Europa a due velocità, come Renzi lanciava gli slogan in campagna referendaria, solo perché ha le elezioni ad ottobre ?
E noi siamo lì, sempre al seguito, senza nessuna credibilità ai tavoli europei. Ormai tutti vi conoscono, vi hanno imparato a conoscere in tutti questi anni in cui avete detto sì alle peggiori porcherie, e vi considerano ormai alla stregua di faccendieri del potente di turno e nient'altro. Non siete un Governo credibile che possa sedere a quei tavoli. Che fine ha fatto la legge elettorale ? L'avevate promessa, sbandierata in tempi record, e poi, tutto a un tratto, è scomparsa, insabbiata, fuori dai dall'oggi al domani, perché non volete più andare a votare. Per fortuna la Costituzione italiana è ancora integra, abbiamo fermato il vostro assalto a dicembre, mettendola al riparo dalla riforma Renzi-Boschi-Verdini, e, grazie a quella Costituzione, all'elezione diretta di Camera e Senato, i cittadini presto potranno tornare a votare e mandare i propri portavoce in Parlamento.
Dopo la caduta del vostro impero, arriverà un nuovo rinascimento di questo Paese e quest'Aula sarà composta finalmente da una maggioranza di cittadini liberi, che non avrà bisogno di piazzare i propri compari a capo della Consip per favorire gli imprenditori amici negli appalti pubblici ; che non avrà bisogno di rimborsi elettorali per dopare la propria forza politica, non avrà bisogno di finanziare le banche, perché le banche avevano finanziato le vostre fondazioni . Ricordatevi dei nostri volti, ricordatevi di questo gruppo parlamentare che avete ingiuriato, deriso e calunniato per anni, che avete dovuto costringere nell'angolo con le vostre ghigliottine, con le vostre forzature regolamentari, i vostri insabbiamenti di leggi importanti, come quella sul reddito di cittadinanza, come una seria legge anticorruzione. Ricordatevi di questo gruppo, che vi ha fermato quando volevate mandare Violante alla Corte costituzionale o quando volevate punire i comuni italiani che combattevano le o quando volevate nominare De Luca commissario della sanità in Campania o violentare la Costituzione con la modifica dell'articolo 138 .
Io vi chiedo di ricordarvi di questo gruppo, perché dalla prossima legislatura, in quest'Aula, sarà tre volte più grande, e potremo finalmente fare quello che voi per quattro anni non avete mai fatto per il popolo italiano. Presidente Gentiloni, se vuole lasciare il ricordo di un briciolo di giustizia in questi quattro anni di ingiustizie, dica almeno ai suoi di votare la nostra proposta per abolire le pensioni privilegiate dei parlamentari, e poi chiuda la porta, spenga la luce e ci faccia andare al voto
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, confesso il mio imbarazzo, perché credevo di partecipare a un dibattito parlamentare, e invece questa è una riunione di o di e quindi mi trovo in un grande disagio. Ricordo anche agli immemori che comunque questo Parlamento è stato eletto, ci sono state delle elezioni nel 2013, si faranno delle altre elezioni; quindi, questo Parlamento è nella sua piena legittimità poiché è stato espresso dal popolo: noi, voi, il PD e tutti quanti. Quindi, la delegittimazione del Parlamento è assolutamente da rinviare al mittente, perché mette in discussione la sua stessa legittimità, che deriva da quelle elezioni del 2013.
Detto questo, esco da e entro in Parlamento per fare delle brevi osservazioni sulla sua relazione. Lei ha evocato dei precedenti storici che stanno alle nostre spalle; io ne vorrei evocare un altro, perché, quando sento parlare come di straordinarie novità di fenomeni quali il protezionismo, il nazionalismo – adesso si chiama sovranismo –, il razzismo e così via, non è che si tratta di straordinarie novità. Tragicamente, nella storia dell'Europa le abbiamo conosciute prima della prima guerra mondiale, negli anni Trenta e nella seconda guerra mondiale. Queste cose, questa eccitazione sul nazionalismo, sul protezionismo, portano prima a guerre commerciali, con il rischio di guerre mondiali. È una cosa che già conosciamo, nessuno si inventa delle straordinarie novità .
Detto questo, va anche detta un'altra cosa, perché altrimenti non saremmo obiettivi, e cioè che l'Europa, questa Europa, che è stata costruita nel modo che lei ha detto, oggi si trova di fronte ad un'occasione positiva o negativa straordinaria. Tutti i paradigmi che hanno caratterizzato il quadro internazionale fino a qualche anno fa sono saltati, e, come ci è stato ricordato, oggi l'Europa deve confrontarsi con gli Stati Uniti, da una parte, con la Russia, con la Cina. E, quindi, o l'Europa riesce a superare i vincoli, i dati negativi che hanno indubbiamente caratterizzato questi anni, oppure va incontro ad una disgregazione, alla fine della quale, però, non è che ci sono degli Stati europei così forti e trionfanti. Forse solo la Germania, lo dico a quelli che ogni giorno dicono che siamo servi della Germania, ma, nel caso che si seguisse la loro impostazione, solo la Germania starebbe con gli altri. Gli altri Stati sarebbero, compresa la Francia, anche noi, degli staterelli rispetto a delle dimensioni molto rilevanti.
Quindi, dobbiamo ragionare con grande attenzione sulle cose che si vogliono smantellare, perché distruggere è facile, ricostruire è molto difficile. E non c’è dubbio che rispetto all'Europa ci sono dei nodi che vanno superati. Bisogna misurarsi con una revisione del fisco e di quel dato che ci ha strangolato nel corso di tutti questi anni, che è il dobbiamo fare i conti con il e dobbiamo anche ricostruire una solidarietà per quello che riguarda l'immigrazione, e, nello stesso tempo, far fare dei passi in avanti a una politica estera comune e, specialmente, a una politica della difesa comune, perché o l'Europa si dota di una politica della difesa comune oppure rischia di essere in una grande situazione di difficoltà rispetto al mondo che la circonda.
E questo mondo che la circonda presenta, da un lato, un'incognita, che è quella rappresentata da Trump e dagli Stati Uniti d'America, da un altro lato una realtà con la quale non siamo strettamente a contatto, mi riferisco alla Cina, che esprime, però, per un verso, paradossalmente, una grande intenzione di misurarsi con la globalizzazione, e in questo prende in un certo senso di infilata gli Stati Uniti che parlano di protezionismo, e però questa globalizzazione sulla quale la Cina si muove come un pesce nell'acqua è una globalizzazione paradossale, fatta da uno Stato ultra comunista e da un'economia ultra capitalista, che, però, non rispetta le regole del mercato.
Terza questione: la Russia. La Russia, cari colleghi, non rappresenta più un problema per quello che riguarda le sanzioni. La Russia esprime, avendo come un grande giocatore di scacchi, una dimensione neo-imperiale, che investe l'Europa da vari punti di vista.
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.
FABRIZIO CICCHITTO. La investe a Nord, la investe nel Mediterraneo, e la investe specialmente sul terreno della disintegrazione dell'Europa, giocando una carta spregiudicata con la Le Pen, con il MoVimento 5 Stelle e con gli amici della Lega. Io non so se l'incontro tra Salvini e Lavrov riprende – come dire ? – gli incontri che il Partito Comunista aveva con Breěžnev e con Andropov, oppure se ci riporta ai tempi del Patto Ribbentrop-Molotov; comunque è tutto da vedere, ma rispetto a questo ci dobbiamo fare i conti, sapendo con chi abbiamo a che fare, cioè con un geniale giocatore di scacchi che però l'Europa la vuol fare a pezzettini .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Brunetta. Ne ha facoltà.
RENATO BRUNETTA. Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, l'ho ascoltata con grande attenzione, e ho apprezzato il suo cambio di tono: apprezzo, ho apprezzato che il mio Presidente del Consiglio non mescoli più velleitarismo a improntitudine come il suo predecessore.
Vede, signor Presidente del Consiglio, abbiamo davanti un semestre, semestre abbondante, che sarà drammatico: non tanto e non solo. Non vedo la drammaticità nel 25 marzo, vale a dire il Vertice di Roma, quanto vedo la drammaticità in quel ciclo elettorale e ciclo politico che si aprirà in questo marzo e che arriverà fino a fine settembre. Ciclo elettorale e ciclo politico in grado di cambiare, non so ancora come, di cambiare l'Europa. Voteranno gli olandesi, voteranno i francesi, voteranno i tedeschi, e comunque vada l'Europa dopo questo ciclo elettorale e ciclo politico sarà diversa. Saranno diversi l'assetto, gli equilibri...
Se il professor Cicchitto, se il professor Cicchitto... Per favore, professor Cicchitto...
PRESIDENTE. Onorevole Cicchitto... Non la sente... Deve abbassare la voce, onorevole Cicchitto.
FABRIZIO CICCHITTO. Chiedo scusa.
RENATO BRUNETTA. Ciclo elettorale e ciclo politico, dicevo: si voterà in Olanda, si voterà in Francia, si voterà in Germania. La situazione è aperta in Olanda, in Francia e in Germania, e l'Europa dopo la fine di settembre non sarà più la stessa. Per questo ho compreso il suo lessico; però, signor Presidente del Consiglio, mi consenta di non considerarlo adeguato. Lei ha detto che il prossimo vertice di domani, dopodomani, sarà un vertice di transizione: per troppe volte abbiamo sentito questo termine, questo sostantivo, «transizione». Bene, non è il sostantivo che serve per questi momenti drammatici: per quello che succederà in Olanda, in Francia, in Germania non è la parola «transizione» la parola giusta, non basta la transizione. Lei ha parlato di svolta, di rilancio, ha fatto riferimento al 1957, il bilancio da allora: son d'accordo con lei, la mia, la nostra generazione ha creduto in quell'Europa. Vede, quando lei parlava della CED mi è venuto in mente un ricordo degli anni Cinquanta, una vecchia scritta davanti alla mia scuola elementare, in rosso: «No alla CED»; una vecchia scritta, relitto di antichi contrasti. A sessant'anni stiamo ancora parlando di costruire un'Europa di difesa, di sicurezza, come un pilastro portante.
Bene, se io guardo i suoi quattro pilastri, quelli che lei ha citato e che saranno alla base della Dichiarazione di Roma, vedo Europa più coesa, sicurezza e difesa. Non c’è, non esiste ! Da quel «no» alla CED in italica lingua, con il voto dell'Assemblea Nazionale francese del 1954 abbiamo perso 60 anni.
Lei ha parlato delle politiche sociali: gran parte della reazione populista che sta attanagliando la nostra Europa, è perché non abbiamo fatto sufficienti politiche sociali a compensare la globalizzazione e i ceti colpiti. I ceti più deboli, ma non solo: anche le borghesie si sono rivoltate. E non basta chiamare tutto questo populismo, non è sufficiente.
Crescita e investimenti. Vede, signor Presidente del Consiglio, noi veniamo da un decennio di tassi bassi d'interesse, un decennio in cui sarebbe stato fondamentale rifare dal punto di vista degli investimenti pubblici l'Europa: non ne siamo stati capaci. E con gli investimenti pubblici, keynesianamente parlando, costruire domanda effettiva, e con la domanda effettiva posti di lavoro, e con i posti di lavoro reddito, e con il reddito competitività e consenso: non ne siamo stati capaci nonostante i tassi di interesse fossero a zero.
Libera circolazione delle merci e degli uomini: con tutto quello che sta succedendo, con gli egoismi che abbiamo visto, a Nord, a Sud, a Est, a Ovest, devo dire più a Nord e a Est che a Sud, questo pilastro che senso ha ?
Lei ha parlato, venendo da lontano, dei grandi successi: io sono d'accordo con lei, straordinari successi di pace, di libertà, di coesione; ma se l'orizzonte si riduce a otto anni dall'inizio della crisi, io vedo otto anni di fallimenti, otto anni di sangue, sudore e lacrime, otto anni di Europa a trazione tedesca, otto anni di compiti a casa, otto anni di miopia, che hanno prodotto reazioni: reazioni dure, negative, dolorose.
Bene: quale mandato darle, signor Presidente del Consiglio, per domani e dopodomani, ma per il 25 ? Mi scusi, ma l'Europa a più velocità, la cooperazione rafforzata, si rende conto che sono concetti, riflessioni ridicoli ad oggi, dopo tutto quello che è successo ? Perché io le dicevo che abbiamo davanti un semestre drammatico, ma veniamo da un semestre drammatico: Brexit, elezione di Trump negli Stati Uniti. È un anno drammatico, a cui rispondiamo come ? Con la cooperazione rafforzata ? Cooperazione rafforzata, al di là del realismo con cui lei l'ha descritta, può anche significare egoismo, opportunismo, che non è certamente un buon viatico per il futuro.
Vede, a un certo punto lei ha detto: da una parte e dall'altra, da un lato e dall'altro rispettare le regole ma cambiare le politiche. E anche qui mi è venuta in mente una seconda immagine, di un grande economista, John Maynard Keynes, che diceva, rispetto ai suoi contemporanei, politici, accademici, li chiamava «le persone con una mano sola», perché spesso nei discorsi accademici e politici si diceva «one hand, another hand», per spiegare l'impotenza o l'ambiguità; e lui diceva: io amo le persone con una mano sola.
Cosa vogliamo fare, signor Presidente del Consiglio ? Cosa vogliamo proporre il 25 ? Mi consenta, e mi consenta anche la Presidente di usare i due minuti in più che ha preso il mio collega Cicchitto: una sola ricetta, che è quella della crescita. E per fare crescita ci vogliono investimenti, e per fare investimenti ci vuole creazione di liquidità, perché solo con la creazione di liquidità investita nell'economia reale la politica monetaria di Draghi può trasmettersi dalla dimensione monetaria all'economia reale; e solo con la crescita noi rispondiamo al populismo, all'angoscia, al dolore, alla disoccupazione, rispondiamo al «no» all'Europa, al rifiuto d'Europa, che, con i concetti di transizione o di cooperazione rafforzata, verrà travolta.
Lo dico a lei ma lo dico a me stesso, lo dico alla mia parte politica.
Non bastano più i paradigmi di ieri, servono altri paradigmi, signor Presidente del Consiglio, e se noi non daremo una risposta di crescita, di investimenti, in una sorta di nei prossimi mesi e nei prossimi anni, noi verremo travolti, verremo travolti dai nostri stessi errori, dalla nostra stessa miopia, dal nostro egoismo.
Pertanto la prego, non domani e dopodomani, non transizione, non cooperazione rafforzata: con questi concetti noi non creiamo il futuro né per la nostra Europa, né per la nostra Italia, grazie signor Presidente .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Laforgia. Ne ha facoltà.
FRANCESCO LAFORGIA. Sì grazie signora Presidente e grazie signor Presidente del Consiglio, io penso che il prossimo Consiglio europeo, così come le celebrazioni del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, non debbono avere soltanto un carattere simbolico e quindi soltanto celebrativo.
Io credo si debba dare assoluta priorità alle politiche per l'occupazione, la crescita, la competitività, la sicurezza, i temi che sono stati toccati anche in questa discussione e dobbiamo farlo non per rilanciare semplicemente il ruolo dell'Europa, ma per immaginare una nuova Europa, che rimetta al centro il primato della persona e io penso che questa debba essere un'operazione politica e culturale che l'Europa, i Paesi dell'Europa devono fare.
Lo dico perché siamo entrati in una terra sconosciuta, sono stati citati i grandi eventi che stanno cambiando il mondo, il volto del mondo e del sistema delle relazioni internazionali.
C’è un signore, dall'altra parte dell'oceano, che sta guidando quella che continuiamo a considerare una delle più grandi democrazie al mondo e però quella democrazia ha affidato i propri destini a una guida che il mondo sta guardando con il fiato sospeso e c’è una vicenda che il Presidente del Consiglio citava, che è quella della Brexit, che ha scosso l'Europa, dove un Paese tassello del progetto europeo ha deciso di uscire da quel perimetro e l'ha fatto, guardate, anche puntando a una tesi che è molto in voga anche da queste parti e cioè l'alleanza dei sistemici contro gli antisistemici.
Ecco, quell'alleanza non è riuscita a contenere al proprio interno una domanda e un disagio che si è espresso nell'opzione che a noi è sembrata persino surreale, quasi irrazionale, cioè quella della Brexit, cioè di uscire dall'Unione europea, muri che si innalzano in Europa e richiesti a gran voce dai popoli.
Allora, se non capiamo che tutto questo sta accadendo in ragione di un processo di ribellione di un pezzo di quello che chiamavamo un tempo ceto medio, che si è drammaticamente impoverito in questi anni, se non capiamo che quel processo di ribellione si sta dirigendo verso l’ delle grandi democrazie, allora non capiamo, e noi dovremmo rendercene conto, innanzitutto noi, il pericolo che corrono quelle democrazie e quindi il pericolo che corre anche il progetto europeo.
Lo dico perché ci sono dei numeri inquietanti che girano e non sono forniti dalle ONG: c’è un rapporto McKinsey che parla del fatto che 550 milioni di persone dei primi 25 Paesi al mondo hanno oggi un reddito di gran lunga inferiore rispetto a quello che avevano nel 2008, l'anno in cui è iniziata la crisi economica.
Il nostro Paese – lo dico non per una contronarrazione rispetto a quella un po’ patinata che abbiamo ascoltato in questi anni – è ahimè il fanalino di coda in questa classifica: il 97 per cento dei nostri concittadini oggi ha un reddito inferiore rispetto a quello che aveva all'inizio della crisi economica e allora io penso si debba partire da lì per capire quali sono gli interventi da mettere in campo.
Venti milioni di disoccupati in Europa, che stanno nei Paesi membri e di questi 20 milioni 15 sono quelli che afferiscono ai Paesi della moneta unica.
Allora io penso – lo dico al Presidente del Consiglio, che mi pare che stia dando un contributo importante in questa direzione – che si debba chiudere la stagione nella quale i leader battono semplicemente i pugni sui tavoli europei per una spendibilità immediata ed elettorale nei Paesi di provenienza e si inauguri una stagione nella quale quei leader si sforzino un po’ di più di trovare paradigmi nuovi per uscire dalla crisi economica, da quella sociale e per immaginare per davvero un percorso di integrazione europea.
Penso ad esempio a tutto il grande tema della spirale tra politiche di austerità, disoccupazione e debito pubblico e da questo punto di vista io penso che alcuni riferimenti e alcuni richiami che ho ascoltato anche nelle comunicazioni siano richiami importanti.
Io penso che sia arrivato il momento di mettere mano alla questione del in relazione ai parametri e ai vincoli legati alla riduzione del debito, del rapporto deficit-PIL, l'introduzione di una regola che rechi finalmente la distinzione netta, nel patto di stabilità, tra la spesa corrente e la spesa per investimenti.
Si affronti la questione sociale e lo si faccia non con un approccio assistenzialista e anche un po’ compassionevole, come quello cui abbiamo assistito in questi anni, ma per arrivare a uno strumento universale da mettere a punto anche in sede europea di protezione sociale, di sostegno al reddito, di riaccompagnamento, nei casi più difficili, verso percorsi di formazione, di riprofessionalizzazione, di riavvio al mercato del lavoro.
Si apra una grande stagione di investimenti pubblici, investimenti pubblici, perché il piano Juncker ha mostrato la corda e perché forse va invertito un meccanismo: sono i grandi investimenti pubblici che possono rimobilitare e rivitalizzare gli investimenti privati, attraverso una politica industriale intelligente – e qui non dobbiamo avere più paura di dire le cose come stanno – politica industriale intelligente che veicoli gli investimenti verso i settori strategici, puntando sulla formazione, sui saperi, sulla ricerca, sull'innovazione, sulla qualità.
Ci sono tanti temi da affrontare, ma uno lo voglio toccare in particolare: abbiamo bisogno, signor Presidente del Consiglio, di fare in modo che anche il sistema dell'impresa e vorrei dire il sistema del capitalismo, non solo di questo Paese ma europeo, venga reinvestito di una nuova etica della responsabilità: ci sono troppe imprese che sono destinatarie di interventi pubblici, di aiuti pubblici e che poi prendono quei soldi e scappano, lasciando migliaia di lavoratori a spasso.
C’è un tema gigantesco che riguarda le delocalizzazioni, c’è un tema che riguarda la responsabilità e come tu scambi la responsabilità delle imprese con ciò che le imprese devono recepire dai territori su cui operano e in particolare il capitale sociale.
Se questo scambio virtuoso viene a mancare, allora viene a mancare un elemento di solidità e di solidarietà che deve essere il cuore del meccanismo e il funzionamento del sistema economico e sociale anche dell'Europa.
Chiudo dicendo che noi sosterremo l'impegno del Governo in sede europea, ma la condizione deve essere chiara: uscire dalla fase della bulimia legislativa e delle riforme a freddo ed entrare in una stagione dove al racconto patinato si sostituisca un'attenzione vera alla carne viva delle questioni materiali dei cittadini del nostro Paese.
Se andremo in quella direzione, il nostro sostegno e il nostro contributo non mancheranno e anzi sarà cruciale .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.
MASSIMILIANO FEDRIGA. Presidente Gentiloni, lei ha iniziato il suo intervento con un racconto etico sull'Europa, un racconto a cui nessuno crede più e basta guardare i dati drammatici che vivono i cittadini del nostro Paese.
Io le ricordo – come molte persone se va nelle nostre città e sulle nostre strade le ricorderanno più volte – il dramma della disoccupazione: noi abbiamo quasi il 40 per cento di disoccupazione giovanile, quasi il 12 per cento di disoccupazione generale, più di 3 milioni di persone che cercano il lavoro.
Abbiamo più di 4 milioni di persone in condizione di povertà assoluta, quasi 8 milioni di persone in condizioni di povertà relativa e la risposta e le risposte non possono essere quelle che oggi lei ci ha dato.
Le risposte non possono essere le stesse che ci diceva il suo predecessore Renzi tre anni fa e ci ha ripetuto regolarmente ogni volta che è intervenuto in quest'Aula.
Ogni volta ci veniva a dire: bisogna rispettare le regole cambiando l'Europa dall'interno. E oggi ci troviamo qua, tre anni dopo, a sentirci dire le stesse cose dal nuovo Presidente del Consiglio.
La soluzione non può essere quella da lei prospettata, di cedere ancora sovranità all'Europa, perché è quello che abbiamo fatto fino ad oggi. È come se un malato con la febbre alta prendesse l'aspirina: il quadro clinico peggiora e il medico gli dà come soluzione di prendere ancora aspirina ! Non ci vuole «mago Merlino» per capirlo che bisogna cambiare strada, Presidente del Consiglio. Non serve «mago Merlino», basta avere buonsenso e capire che le politiche portate avanti fino ad oggi sono state quelle che hanno contribuito a quei dati drammatici, che le ho citato prima.
E la priorità non può essere quella di tutelare, a prescindere, l'istituzione europea. La priorità deve essere quella di garantire i diritti ai cittadini, quei diritti che oggi quella stessa Europa, di cui lei ha tratto questo profilo etico e quasi fideistico, ha dimenticato. A lei sembra normale che un'Europa sanzioni un Paese, perché non rispetta il patto deficit-PIL, e non lo sanzioni, quando supera un determinato tetto di disoccupazione ? A me no ! A me sembra un'Europa totalmente lontana dalle esigenze reali e della vita quotidiana dei cittadini.
Noi abbiamo proposto in modo molto umile. Non pensiamo di avere le soluzioni definitive, soluzioni assolute. Non pensiamo che quanto diciamo sia la verità a prescindere, però, in modo umile, ci mettiamo a disposizione e ci mettiamo anche in discussione. Però possiamo mettere in discussione un'Europa, nella quale ci sono delle imprese, che prendono contributi pubblici dal nostro Paese e, con quei contributi, delocalizzano e portano via lavoro da questo Paese ?
Possiamo metterlo in discussione ? Possiamo mettere in discussione che è inaccettabile che oggi, se una persona investe nel nostro Paese, paga il 68,3 per cento di pressione fiscale complessiva e, se va in Slovenia – non in Cina o India –, paga il 34 per cento, se va in Austria, paga il 50 ? Possiamo dire che le risorse dei contribuenti di questo Paese devono essere utilizzate per abbassare la pressione fiscale e il costo del lavoro ? Possiamo dirlo ? Io credo di sì, senza il rischio che qualcuno dall'Europa ci venga a sanzionare, perché non abbiamo rispettato qualche folle patto, pensato da qualche burocrate di Bruxelles.
Presidente, se permette, faccio una piccola citazione dell'intervento del collega Cicchitto, che mi parla del dramma del quando l'onorevole Cicchitto quel l'ha votato in quest'Aula . Quando l'onorevole Cicchitto mi parla dei drammi e dei problemi dell'emigrazione, gli ricordo che il suo Ministro, che fino a pochi mesi fa ricopriva il dicastero dell'interno, ovvero quello che ha responsabilità sulla materia, si chiamava Alfano. E sappiamo quanto ha fatto per le politiche sull'immigrazione quello stesso Ministro !
E allora, oggi, possiamo dire con chiarezza che non possiamo accettare un'Europa che utilizzata le forze militari, non per difendere i propri confini, ma per portare – queste sono tutte le navi dei diversi Paesi europei – immigrati clandestini su territorio nazionale e far pagare il costo, oltre che economico, sociale ai cittadini del nostro Paese ? Possiamo dire che c’è un'Europa – e devo dire anche un'Italia, visto gli ultimi governi che si sono succeduti – che ha pensato maggiormente a garantire i diritti – le risorse, più che i diritti – a qualche grossa o grandissima cooperativa o magari a qualche gruppo di potere che gestisce il CARA di Mineo, invece di fare accordi con i Paesi di origine per i rimpatri ? Non a caso è stato svuotato il fondo rimpatri per dirottarlo invece sul fondo accoglienza: ma che caso !
Possiamo dire che serve un'Europa e un Paese ? Io dico anche che si possono fare accordi bilaterali, come Italia e come Governo italiano, con quei Paesi dove c’è il transito di immigrazione. Possiamo dire che si possono bloccare all'origine ? Non è impossibile ! C’è stato venduto – e chiudo, Presidente, – che le proposte della Lega fino a ieri erano proposte inattuabili, folli, razziste, xenofobe.
Oggi, ovviamente non attuano niente, ma troviamo, che dicono le stesse identiche cose, i ministri di questo Governo, dove per tre anni ci hanno accusato di qualsiasi nefandezza ! Il Ministro Pinotti ha proposto di fare il blocco navale. E io ricordo i colleghi e quest'Aula che ci accusavano di ogni cosa, dicendo che è una cosa impossibile ! Il Ministro Minniti è andato in Libia, in modo insufficiente, perché anzi abbiamo visto il numero di sbarchi che aumenta, ma è andato a cercare di siglare gli accordi. Quando lo dicevamo, ci ridevano dietro e votavano contro le nostre mozioni.
Quindi, concludo dicendo soltanto che non vi siete accorti che il vento sta cambiando, e non solo in Europa: negli Stati Uniti; l'abbiamo visto con la Brexit; sta cambiando in Francia; in Austria, e stiamo vedendo in Germania perfino. Voi non bloccherete, per garantire l’ la voce della gente libera, che sta combattendo, non per garantire un proprio privilegio, ma per garantirsi semplicemente un proprio futuro
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pisicchio, per due minuti. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Grazie Presidente. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, gli appuntamenti istituzionali in sede europea hanno perso da qualche tempo quella certa aria di burocratica ritualità, per assumere carattere di occasioni importanti per il futuro dell'Unione.
Il concorso di alcuni fattori concomitanti, come l'uscita della Gran Bretagna, l'irrompere di crisi economiche e sociali – che non attraversano solo il versante mediterraneo –, le imponenti migrazioni, la minaccia del terrorismo e quella dei populismi, simmetrica e altrettanto pericolosa, sono tutti fattori che hanno concorso a rendere decisiva ogni occasione che metta in causa il futuro dell'Europa.
L'Europa, Presidente, non è un'acquisizione che non potrà più essere revocata in dubbio. Anzi, mai, come in questa stagione difficile, il destino dell'Unione è stato così in discussione. L'utopia dei nostri padri, De Gasperi, Schuman, Adenauer, l'idea dei federatori di Ventotene, sembrano oggi lontane, sferzate dal soprassalto dei nazionalismi e dalle paure che segnano questa difficile stagione.
Occorre allora rilanciare. Ho condiviso, Presidente Gentiloni, le posizioni da lei espresse, in occasione del recente vertice a quattro, e confermate in quest'Aula. Non si può più pensare ad un'Europa ad un'unica velocità. Se vogliamo ancora che questa istituzione sovranazionale continui ad esistere, occorrerà costruire la possibilità di un doppio passo, nel largo ventaglio delle nazioni che la compongono.
I Paesi fondatori assumano l'iniziativa e disegnino i contorni della nuova stagione, partendo dalla questione sociale – che non è solo un problema italiano –, ma anche da un progetto comune di difesa e di sicurezza e da una politica migratoria condivisa.
Il Consiglio europeo precede di poche settimane l'appuntamento anniversario di Roma. Facciamo che non sia solo una celebrazione che adempie al galateo della memoria
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Dellai. Ne ha facoltà.
LORENZO DELLAI. Grazie signora Presidente. Signor Presidente del Consiglio, il gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico apprezza e condivide la sua relazione, che ci è parsa realistica e insieme ispirata ad un europeismo sincero, non reticente, non annacquato da tiepidezze.
Il punto principale per noi è proprio questo, se si ha, oppure no, la piena consapevolezza che l'Europa è opzione storica irrinunciabile per il nostro Paese. Tutto il resto viene dopo. Questa chiarezza è necessaria, di fronte al gelido vento di egoismo nazionalista, foriero di scenari foschi e pericolosi, come la storia insegna, e che non si contrasta lisciando il pelo a chi lo alimenta, ma proponendo con coraggio un'opposta visione, culturale e politica, anche a costo di apparire contro la moda del momento.
Vale anche per l'opzione europeista ciò che oggi sul ha scritto Panebianco, a proposito dell'egemonia culturale, che si sta diffondendo, ahimè, contro la democrazia rappresentativa. Nonostante gli errori dell'ultimo periodo, noi non possiamo non ricordare ai nostri cittadini che, negli ultimi sessant'anni, l'opzione europeista ha garantito a tutti i Paesi europei un periodo di pace, di sviluppo e di diritti sociali, che mai nella loro storia essi avevano conosciuto. E non era affatto scontato.
Ora serve una ripartenza, che il passaggio simbolico di Roma il prossimo 25 marzo può in parte iniziare ad indicare, proprio attorno alle prospettive che lei ha appena richiamato. Serve anche certamente una nuova fase sul piano istituzionale. Lei ha ricordato la prospettiva di un'Europa che dopo Brexit, per evitare altre divisioni, punti all'idea delle diverse, non già due, velocità. Sappiamo che ciò è già previsto nei Trattati e in parte è già una realtà; è una scelta realistica e opportuna che incoraggiamo poiché l'alternativa sarebbe un deleterio immobilismo, ma dobbiamo anche dire che per l'Italia questo rappresenta assieme un'opportunità ed una grande sfida. A quale velocità di integrazione europea l'Italia è disposta a viaggiare ? L'Europa a diverse velocità non è infatti una congettura che assolva i Paesi dai loro doveri verso se stessi e verso gli altri. Lei ha fatto dunque bene a ricordare che il nostro Paese rimane impegnato sulla strada delle riforme e benissimo ha fatto a lanciare la prospettiva di un'agenda che il Governo, con il sostegno del Parlamento, si sente impegnato a seguire fino alla scadenza naturale di questa legislatura.
Signor Presidente del Consiglio, accade talvolta che un Governo, nato con il crisma della transitorietà, finisca con l'assumere un ruolo molto più rilevante verso il Paese. A lei e al suo Governo toccano questo ruolo e dunque questa responsabilità. La comunità rischia di frammentarsi in un disagio diffuso e profondo, i partiti vivono una crisi non di poco conto, tutti piantano bandiere e bandierine per marcare un territorio, ciascuno sentendosi un tassello fondamentale del mosaico. Peccato che la trama di questo mosaico sia ancora del tutto fumosa e che quasi nessuno si occupi di immaginarla, di discuterla con la comunità e di definirla. Per recuperare questo oggettivo smarrimento molto dipende dalla determinazione del suo impegno, dal lavoro del suo Governo e dalla leale coerenza della maggioranza che lo dovrà sostenere fino alla fine della legislatura. Presentandosi alle Camere per la fiducia, lei ha lealmente e giustamente rivendicato continuità politica rispetto al Governo Renzi, ma ha anche aggiunto di voler inaugurare una discontinuità nel modo del rapporto con la comunità. Ecco, c’è bisogno oggi di un'attitudine che definirei degasperiana, orientata allo spirito ricostruttivo, all'inclusione, al compromesso nobile che non è affatto mancanza di visione e di determinazione. C’è bisogno di un riformismo che il popolo percepisca non come minaccioso, ma come un sentiero magari certo anche stretto e in salita e tuttavia credibilmente e misurabilmente mirato a garantire alle generazioni future le stesse opportunità che le grandi culture politiche democratiche hanno garantito in questi sessant'anni ai ceti medi e popolari di tutta Europa. Personalmente, sono convinto che, solo sulla base del successo di questa agenda e di questa sfida coraggiosa, potrà anche essere costruita una coalizione democratica, popolare europeista e riformatrice, capace di sconfiggere nel 2018 le pericolose suggestioni sovraniste e populiste, delle quali peraltro anche oggi poco fa abbiamo avuto un'allucinante e inquietante idea nell'intervento dell'onorevole Di Maio, volto governativo – si fa per dire – del Movimento. C’è di che temere per il futuro del Paese. Immaginatevi se questa impostazione, questa violenza verbale, questo disprezzo per la democrazia rappresentativa e questa arroganza fossero state la cifra della politica negli anni della costruzione europea. Il collega Di Maio ha parlato della imminente fine dell'impero: bene, i 5 Stelle non sono affatto i barbari, che nella storia hanno portato innovazione nell'impero che conquistavano. Essi sono piuttosto i figli della crisi intima dell'impero. Lo vogliono ereditare, lo vogliono conquistare, non certamente innovare, perché tra l'altro non ne sono capaci. Sono la febbre in un corpo malato, non certamente la medicina. Dunque, noi credo, signora Presidente e signor Presidente del Consiglio, dobbiamo assumere tutti quanti l'impegno a sconfiggere questa deriva, non già sulla base di una chiamata a raccolta dell’, ma sulla base, in forza di un appello credibile e convincente alle forze vive e positive del Paese, a partire dal lavoro del Governo attuale e di quelli che l'hanno preceduto
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marcon. Ne ha facoltà.
GIULIO MARCON. Grazie, signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, Ministri, colleghe e colleghi, siamo insoddisfatti della sua comunicazione sul prossimo Consiglio europeo. La posizione dell'Italia e del suo Governo sui temi oggetto del prossimo Consiglio europeo è in continuità con le scelte sbagliate fatte in questi anni. Mi consenta di far riferimento alla riunione di Versailles di lunedì scorso, ma anche delle valutazioni che lei ha fatto in questa sede e questo a proposito di un tema, quello dell'Europa a due velocità, sul quale più volte in questi giorni abbiamo sentito opinioni anche diverse. È una prospettiva che noi vogliamo rigettare. L'Europa a due velocità già esiste: è l'Europa della Merkel e dei suoi alleati e poi c’è l'Europa di Tsipras e di chi soffre le politiche della Merkel; c’è l'Europa di chi impone l'austerità e c’è l'Europa di chi l'austerità la deve subire; c’è l'Europa dei mercati finanziari, delle politiche neoliberiste, della svalutazione del lavoro e c’è l'Europa della povertà sempre più estesa, della mancanza di occupazione e di un sempre più residuale. L'unione monetaria non sta funzionando e così non può funzionare. La crescita non c’è, il lavoro manca, proprio anche perché la costruzione europea di questi anni ha mantenuto e acuito gli squilibri regionali, sociali ed economici tra due Europe, quella dei salvati e quella dei sommersi. E noi invece crediamo che bisogna intervenire per ridurre questi squilibri. Invece, voi li approfondite in questo modo, li cristallizzate, prefigurando l'Europa a due velocità. Vede, signor Presidente del Consiglio, non è che ci si può consolare dicendo: «Noi entreremo nell'Europa di serie A». Noi dobbiamo evitare che si creino l'Europa di serie B e l'Europa di serie A e dobbiamo costruire invece la prospettiva di un'Europa fondata su politiche nuove. Si dice che dobbiamo avere delle regole, ma queste regole non possono essere quelle che abbiamo conosciuto in questi anni. Mi permetta di dire che non possono essere nemmeno quelle regole che sono state violate – proprio oggi ne abbiamo avuto la prova – rispetto a una vicenda molto importante, quella della nominata di Marroni alla Consip. Abbiamo avuto proprio dal Ministro dell'economia, Padoan, conferma che le procedure che il MEF aveva stabilito per le nomine alla Consip per le altre società non sono state rispettate e questo non va bene. Voi parlerete nel Consiglio europeo di crescita, di occupazione, di accordi commerciali e parlerete ancora di TTIP, accordo che nessuno vuole, se non le multinazionali. Parlerete del futuro del Piano Juncker, piano fallimentare, che non sta facendo ripartire la crescita. Ma il problema è a monte: l'impostazione delle politiche economiche europee, dell'austerità flessibile, della costruzione dell'unione monetaria, così concepita, ad essere fallimentare. Serve una modifica radicale e strutturale di queste politiche e per questo noi diciamo «sì» a politiche fiscali, economiche e sociali comuni, «no» al TTIP, «no» all'inserimento del nei trattati e a una politica di svalutazione competitiva fondata sulla precarizzazione del mercato del lavoro e la riduzione della spesa pubblica. D'altronde è quello che voi avete fatto in Italia in questi anni, buttando tanti soldi in politiche inefficaci: 20 miliardi per sgravi fiscali alle imprese per posti di lavoro effimeri e a scadenza e 10 miliardi per gli 80 euro – tra l'altro lo ha detto il vostro Ministro Calenda – che magari potevano essere spesi per cose più utili. Avete trasformato il mercato del lavoro in un mercato dei lavoratori, avete tagliato la spesa pubblica tagliando i servizi ai cittadini e agli enti locali e ora tagliate altri 300 milioni alle politiche sociali, discuterete nel Consiglio europeo di migranti e di politiche migratorie; ma perché non sostenete con più forza l'estensione dei corridoi umanitari della Comunità di Sant'Egidio, invece di varare l'incostituzionale «decreto Minniti», che toglie diritti, ovvero il grado di appello, ai richiedenti asilo, provvedimento degno più della Ungheria di Orbàn che della patria di Cesare Beccaria. E a proposito di standard europei, mi consenta di dirle che io spero che venerdì voi prendiate la decisione di convocare e di indire il referendum; non è possibile aspettare ancora. Non potete nemmeno, con un decreto farlocco, togliere il diritto a tanti cittadini che hanno firmato quel referendum di esprimersi su quello che quei referendum chiedono. E noi vi chiediamo di rispondere a questa esigenza e a questa domanda di convocare subito il referendum della CGIL. Chiudo sul serio, chiedendo a lei di dare una svolta, a partire dal prossimo Consiglio europeo, una radicale sterzata in Europa.
Le ricette delle politiche europee e la costruzione dell'unione monetaria non sono più sostenibili, non danno lavoro e fanno crescere i populismi. Bisogna cambiare il paradigma che può essere un paradigma diverso e non può essere quello delle due Europe o dell'Europa carolingia e dei suoi sudditi. Serve un'Europa del lavoro, un'Europa dei diritti, un'Europa della giustizia, un'unica Europa ma dalla parte dei cittadini .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, Presidente. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il Presidente del Consiglio ha giustamente concluso il suo intervento dicendo che è qui per chiedere un sostegno al Parlamento perché un Governo forte rende più forte l'Italia, ed è questa la ragione di questi interventi previsti dalla legge per creare una coesione prima dei Consigli europei. Però, bisogna rassegnarsi ad un fatto: che ad alcuni partiti non interessa questo; l'interesse è soltanto di venire qui e fare qualche piccolo comizio sulla politica nazionale e non parlare di Europa. Abbiamo sentito i toni, prima apocalittici e poi semplicemente da del vicepresidente Di Maio, alcuni tratti direttamente da dei pezzi de di questi giorni; abbiamo sentito il presidente Fedriga dire che si dovrebbe introdurre la procedura di infrazione per disoccupazione, che è una proposta innovativa ma mi sembra abbastanza difficile da attuare, e contemporaneamente abbassare le tasse e contemporaneamente non aumentare il debito pubblico. Ora, credo che questi interventi e queste discussioni dimostrino che con una parte del Parlamento il Presidente del Consiglio continuerà a relazionarsi ma senza avere nessuna di essere ascoltato, perché questi interventi non c'entravano niente con l'oggetto del dibattito di oggi.
Credo anche che ci si debba dotare di un sano realismo quando si dice che si deve evitare l'Europa a due velocità, perché in questo momento bisogna andare tutti insieme e, quindi, lo dobbiamo impedire. Noi abbiamo le elezioni francesi e a breve avremo le elezioni tedesche; dunque, siamo in un momento di transizione. Dobbiamo continuare le riforme perché ci dobbiamo preparare all'eventualità, che tutti noi speriamo non si verifichi, che queste elezioni vadano male, soprattutto quelle francesi, e nel frattempo dobbiamo continuare con sano realismo, perché questo manca quasi sempre in queste discussioni, ad affrontare i temi con una visione di lungo periodo che è quella che ha dimostrato il Presidente del Consiglio dicendo: «Dobbiamo rafforzare l'Europa, dobbiamo cercare di andare avanti sul piano della difesa, della sicurezza» nonché su tutti gli aspetti che il Presidente del Consiglio ha ricordato con la consapevolezza che quando si è nell'Unione europea si parla con gli altri e che quindi non si impongono le decisioni, non si è da soli e si deve lavorare con quello che si riesce a ottenere senza andarsene, perché poi quando uno se ne va inizia a pagarne le conseguenze. Ogni tanto si leggono cose divertenti: qualcuno dovrebbe andare a vedere quello che sta succedendo in Inghilterra all'inflazione e avere qualche prospettiva sul futuro. Ecco, il sano realismo !
In questo senso sul discorso dell'Europa a due velocità sono totalmente d'accordo sul fatto che non ci si debba preoccupare, che non si debba avere paura. Non si deve avere paura, ma si deve essere consapevoli che l'Europa a due velocità può voler dire diverse cose e giustamente il Presidente del Consiglio ha detto: «Noi dobbiamo essere nel primo gruppo, dobbiamo essere abbastanza veloci per stare nel primo gruppo». Credo che sia importante ricordare che c’è chi in Francia e in Germania ha ipotizzato, a suo tempo, una cooperazione rafforzata sul piano finanziario che andava in una direzione un pochino esclusiva – diciamo così – e limitata a quei due Paesi. Mi riferisco all'intervento che fecero i due Presidenti delle banche centrali, francese e tedesco, entrando un po’ a gamba tesa sulla politica europea e dicendo che bisogna fare il Ministro delle finanze europeo e tutte queste cose, facendole da soli. Non è sfuggito a chi seguiva la politica europea che quel segnale poteva essere un'iniziativa di politica aperta, così come poteva diventare l'idea che ci siano due velocità anche nel coordinamento delle politiche fiscali. Credo che l'Italia debba essere molto attenta sotto questo aspetto, nell'assicurarsi che non si parli di euro a due velocità ma si parli di Europa a due velocità e che i temi sui quali queste due velocità vadano ad attuarsi siano quelli di cui si è parlato e che, se per caso si decidesse di avviarsi verso una politica fiscale integrata nell'Eurozona, ci si assicuri che l'Italia faccia parte della prima velocità, perché quello è un rischio che non ci possiamo permettere.
Io credo che i fatti di oltreoceano aiuteranno e stanno aiutando in questi giorni anche la Germania a capire che non può fare da sola e, quindi, ho fiducia che, se non si verificheranno – ripeto – fatti traumatici in Francia, soprattutto, e in Germania nelle prossime elezioni, si possa poi, a partire dalla fine di questo anno e all'inizio del 2018, progredire verso una nuova Europa.
Si può dire: «L'Europa non mi piace, usciamo, aboliamo la Bolkestein, le due velocità non possono esistere». Queste sono chiacchiere da perché sono chiacchiere da oppure si possono affrontare con serietà e realismo i temi europei e noi, come gruppo dei Civici e Innovatori, sicuramente continueremo a sostenere il Governo in questo percorso di realismo .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese. Ne ha facoltà per due minuti.
ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente. Presidente del Consiglio, colleghi, abbiamo ascoltato le parole del Presidente del Consiglio oggi qui in Aula, come abbiamo ascoltato altrettanto attentamente le parole del Presidente Hollande, della Cancelliera Merkel, del Presidente Rajoy e del Presidente Gentiloni l'altro giorno a Versailles. È auspicabile che il prossimo Consiglio europeo, anche in vista delle cerimonie per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, si possa svolgere con un approccio diverso rispetto a tutti i Consigli europei di questi ultimi anni, ma ci pare ormai che ad ogni vigilia di incontri europei ci si ritrovi a dire stancamente le stesse cose, a formulare degli auspici rituali a cui non seguono mai decisioni incisive che possano veramente invertire quel sentimento di euroscetticismo che si sta diffondendo a macchia d'olio nel continente. Possiamo pure convenire con lei, signor Presidente, che nella prossima dichiarazione di Roma debba trovare posto un forte richiamo al futuro dell'Unione europea, ma indicare semplicemente i titoli «sicurezza e difesa», «protezione sociale e libera circolazione delle persone» e «politica migratoria comune» rischia di rimanere uno rischia di essere un ulteriore scoglio su cui possa andare ad infrangersi l'Unione.
Ma come si declinano questi punti ? Tirando dritto a 27, con diverse velocità di integrazione, con geometrie variabili da far scattare con l'uscita della Gran Bretagna ? E in quanto tempo si realizzano ? Cinque, dieci o venti anni ? Ma voi pensate veramente che ci resti tutto questo tempo ? Molti sono gli interrogativi su questa rinascita possibile da voi auspicata e per ora rimangono senza risposta e lo rimarranno almeno fino alle elezioni tedesche del prossimo autunno. Se questa è la tempistica, allora sarebbe più utile e più comprensibile dai cittadini europei ridare identità e credibilità all'Europa anche sulla scena internazionale, passando per una rinegoziazione complessiva dei trattati, perché bisogna tornare ai valori fondanti dell'Europa, a un'Europa solidale e dell'integrazione vera. Le belle parole sulle diverse velocità e sui grandi obiettivi comuni possono rincuorare ancora parte di chi le sente, ma certo non fanno i conti con una realtà in cui – diciamocelo – anni di miopismo post 1989 e la riunificazione tedesca ci hanno portato. Non sarà neanche sfuggito, signora Presidente, che, contestualmente al riproporsi di concetti quali Europa sociale e solidale, non appena l'inflazione dell'Eurozona ha toccato nel mese di febbraio il 2 per cento, per la prima volta dal gennaio 2013, subito si è riaperta la discussione sull'opportunità di ridurre lo stimolo monetario da parte della BCE.
Presidente, dopo il voto inglese noi avevamo auspicato che venisse colta l'occasione per la nuova rinegoziazione dei trattati: e quale migliore occasione per fare un vero tagliando all'Unione europea se non l'anniversario dei Trattati di Roma ? Una revisione che, riconoscendo le diversità dei singoli Stati membri...
PRESIDENTE. Deve concludere.
ROCCO PALESE. ...e non imponendo una rigida uniformità, riuscisse, rispettando democrazia ed elettori, non dico a far rientusiasmare i cittadini europei al sogno dei grandi padri dell'europeismo, ma quanto meno a farli rendere partecipi di una casa comune vista come accogliente e non come quella da cui, appena possibile, si cerchi di scappare.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Palese, anche per la rapidità con cui ha letto il suo intervento.
È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Presidente, credo che ci sia stato un errore di trascrizione sulla nostra richiesta di intervento. Il nostro gruppo interviene adesso e non in dichiarazione di voto. Quindi, ero iscritto a parlare e poi ho visto che ha dato la parola all'onorevole Palese, che rappresenta un gruppo di minore consistenza. Quindi, le chiedo di farmi intervenire, cortesemente.
PRESIDENTE. Se c’è un errore non è certamente della Presidenza. La Presidenza ha avuto un elenco di gruppi che si sono iscritti a parlare. Comunque, verifichiamo. Adesso io do la parola all'onorevole Rampelli che ha... scusi, do la parola all'onorevole Locatelli, per la verità, perché l'avevo saltata e poi all'onorevole Rampelli. Verifichiamo, perché invece ho iscritto il suo gruppo in dichiarazioni di voto. Adesso verifichiamo.
È iscritta a parlare l'onorevole Locatelli. Ne ha facoltà per due minuti.
PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente del Consiglio, dopo la Brexit e le novità che arrivano dalla Casa Bianca, il tema di una difesa comune è tornato di attualità, e ne siamo soddisfatti. Ci ha appena comunicato l'Alta rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in un'audizione oggi, qui, alla Camera, che in questi ultimi sei mesi sono stati fatti più passi avanti che negli ultimi sessant'anni. Benissimo ! A questi passi si accompagni una più acuta sensibilità per quanto avviene nell'area del Mediterraneo, ed in particolare del Medioriente, ma anche nei Balcani, di recente al centro di una visita dell'Alta rappresentante dell'Unione. C’è poi il tema della gestione dei flussi migratori: su questo l'Europa è profondamente divisa, perché c’è una minoranza, di cui misureremo la consistenza nelle elezioni che si terranno a breve in Francia, in Olanda e in Germania, che coltiva odi e paure, rendendo difficile attuare politiche comuni improntate al rispetto dei diritti umani e della solidarietà, e non solo improntate alla sicurezza.
Su questo fronte, con la Grecia, siamo fortemente esposti, e non potremmo sottovalutarlo neppure volendo, per banali ragioni geografiche, mentre ci sono Governi europei che, per quanto attiene, ad esempio, i ricollocamenti, non rispettano neppure minimamente gli impegni assunti. Recentemente, il Presidente della Commissione Juncker e il commissario Avramopoulos hanno sollecitato aiuti per l'Italia e Grecia, una cooperazione continua con Egitto, Tunisia e Algeria, mentre noi la stiamo implementando con la Libia. Ma c’è un dato che merita la più grande attenzione e pure preoccupazione: si prevede di dover rimpatriare complessivamente un milione di immigrati.
Di fronte a questi numeri, serve qualcosa di più che ventilare l'apertura di procedure di infrazione contro i Governi inadempienti per i ricollocamenti. È arrivato il tempo delle decisioni che possano contribuire a salvare il progetto europeo, come quella di un'Europa a più velocità, se questa ci spinge ad una maggiore e, ci auguriamo, una migliore integrazione. Del resto, che cosa sono Schengen o la moneta unica se non integrazione tra alcuni Paesi e non tra tutti i Paesi membri ? E, poi, una gestione concretamente unitaria dei flussi migratori. L'Italia, terzo Paese della UE, può e deve giocare il ruolo che le spetta, anche perché ne va del nostro futuro .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Presidente, colleghi deputati, Presidente del Consiglio, ancora una volta ci troviamo qui, come da tradizione, per discutere. Lo facciamo in maniera libera e penso che questa sia la caratteristica più importante delle nostre riflessioni, ma possiamo dire, per citare Leo Longanesi, almeno questa è la suggestione che volevo condividere, che non è, appunto, la libertà che manca. L'impressione è che manchino gli uomini liberi, perché, in modo particolare dal 2008 a oggi – ma anche prima del 2008 non è che le cose andassero esattamente bene – la sensazione che l'Europa stia, di fatto, implodendo è diffusa, ed è diffusa a trecentosessanta gradi. I primi, ovviamente, a percepirlo sono i cittadini europei, le famiglie europee, le popolazioni europee, le imprese europee; un po’ in ritardo, questa notizia giunge sui banchi di chi i popoli europei è chiamato a rappresentare o ad amministrare.
Alla vigilia della Dichiarazione di Roma penso che noi si debba imprimere, e lei possa farlo, Presidente Gentiloni, una velocità nuova a questo dibattito. Non si può, cioè, trasformare – lo diceva anche qualche collega, e mi sento di condividere questa affermazione – quello che abbiamo di fronte a noi come una sorta di celebrazione acritica. O si fa questo balzo in avanti o saranno i popoli a scegliere la cancellazione dell'Europa. Bisogna iniziare dai trattati. Penso che lei sappia perfettamente che il è una sorta – così si è dimostrato – di cappio messo intorno al collo dell'Europa, così come il . Parliamo di trattati, parliamo di regolamenti, parliamo del regolamento di Dublino, parliamo della Bolkestein.
Abbiamo avuto qui, in rapida successione, nei giorni scorsi, i commercianti ambulanti piuttosto che i tassisti; abbiamo avuto pochi giorni fa i pescatori, abbiamo avuto gli agricoltori. Le imprese soffrono, il lavoro diminuisce. Diminuisce, insieme al lavoro, la ricchezza e aumentano i poveri. Il ceto medio scivola verso la soglia di povertà. Ci sono, soltanto in Italia, una decina di milioni di persone in forte difficoltà, sono molte di più in tutta Europa, e l'Europa questa domanda deve porsela, perché la scelta di assecondare la globalizzazione e, con essa, la finanziarizzazione dell'economia rischia di diventare il punto di non ritorno, ancor di più se accompagnato dalla digitalizzazione, dai processi di atomizzazione nella catena produttiva, per quel poco che stiamo producendo, per quel poco, ancor meno, che saremo destinati a produrre in Europa.
Sono questi i temi salienti. Certo, c’è anche l'emergenza immigrazione, flussi che non sono stati governati dall'Europa, è vero, lei ha ragione, ma men che meno sono stati governati dall'Italia, che qualcosa, forse, in più rispetto alla demagogia figlia dell'ideologia avremmo potuto fare e avreste potuto fare. Stiamo assecondando, probabilmente perché privi di voglia di protagonismo, di soggettività, dei processi che sono più grandi di noi. Noi dobbiamo dire forte e chiaro che la globalizzazione va governata, non esiste un modello progressivo di riferimento inarrestabile, da subire in maniera supina. Non può esistere, perché, per gli appassionati del liberismo, il liberismo è, innanzitutto, individuazione di regole di ingaggio comuni e condivise. Quali sono le regole che vengono condivise dal Terzo Mondo, anzi, dai Paesi emergenti, dalla Cina, dall'India ? Quali sono queste regole ?
Oggi noi ci troviamo nella condizione di vedere le nostre imprese trasmigrare all'estero, ci vediamo nella condizione di vedere il nostro lavoro depauperarsi in maniera apparentemente inarrestabile. Di fronte a questi temi, noi dobbiamo assumerci la responsabilità del confronto con gli altri europei, e certamente non attraverso un profilo basso, mantenuto rispetto anche alla assurda proposta dell'Europa – e concludo, Presidente – a due velocità. Se l'Unione europea, nelle sue evoluzioni, ha un senso, questo senso è quello di tentare di tenere il pezzo rispetto ai grandi giganti dell'economia che ci stanno a destra e a sinistra. E, dunque, la frammentazione dell'Europa e l'Europa a due velocità non può essere una soluzione; non lo è per noi e non lo è per l'Europa. Quindi, la conclusione di questo intervento è quella che, Presidente Gentiloni, al tavolo del Consiglio europeo dobbiamo arrivare con maggiore energia di quanta non siamo stati capaci di mettere in campo in questi anni. Questo è il nostro auspicio .
PRESIDENTE. Ora, abbiamo chiarito che c’è stato un equivoco, non per colpa della Presidenza, ma diamo la parola all'onorevole Francesco Saverio Romano, che ha cinque minuti. Prego, onorevole.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Grazie, signora Presidente, grazie doppiamente. Signor Presidente del Consiglio, questo Consiglio europeo cade fra due eventi che sono simbolicamente significativi per l'Italia e per l'Europa, ma, soprattutto, per l'Italia, perché il 17 gennaio scorso il Parlamento europeo ha votato un Presidente italiano, Antonio Tajani. È la prima volta, dall'introduzione del suffragio universale per le elezioni europee, che un rappresentante del nostro Paese ricopre un incarico così importante. A me sembrava opportuno rivolgere i nostri auguri di buon lavoro al Presidente Tajani.
E il 25 marzo prossimo si celebreranno i sessant'anni della firma del Trattato di Roma. Lei lo ha ricordato: nel 1957, a circa due chilometri da qui, i rappresentanti di Italia, Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo costituirono la Comunità europea, ponendo così le basi per la futura Unione europea. Allora c'era molto di italiano: molto per il ruolo fondamentalmente svolto da nostri illustri connazionali, e molto anche per il luogo in cui si riunirono i Capi di Stato e di Governo. Ma c’è un po’ di Italia anche oggi, e l'ho ricordato con l'elezione dell'onorevole Tajani. Ma non è abbastanza, non è bastevole: noi non cediamo alle facili sirene di chi vede nell'Unione europea la causa di tutti i mali, e riteniamo invece che la cosa politicamente più rilevante di questi ultimi sessant'anni sia stata proprio il processo di Unione europea, che ha garantito tanti anni di pace e anche di benessere per i popoli d'Europa.
Allo stesso tempo riteniamo che non ci si possa emendare dal peccato originale di una crisi che sta vivendo l'Unione europea attraverso una sorta di «Italexit». Certo, non ci iscriviamo nemmeno nel gruppo di chi, attraverso un europeismo ortodosso e irragionevole, accetta supinamente le decisioni assunte a Bruxelles. Noi abbiamo creduto invece, e crediamo fortemente, nella scelta europeista, nella bontà della scelta europeista; ma siamo convinti che la voce dell'Italia debba farsi sentire ancora più alta, più nitida.
Mi riferisco, signor Presidente, in particolare alle due questioni fondamentali che sono in agenda: l'emergenza profughi e la questione economica. Sono due questioni che si legano tra di loro. Sono due questioni che si legano per una semplice ragione: perché questi temi apparentemente distinti sono interrelati. 3 miliardi e 300 milioni di euro per la gestione dell'emergenza profughi solo per il 2016 al netto dei contributi UE, tra produzione di soccorso, sanità, stipendi del personale, centri accoglienza e Viminale. Non è una cifra buttata là, ma è stata messa nera su bianco pochi mesi fa dal Ministro Padoan in una lettera indirizzata ai commissari dell'Unione europea. La stima per il 2017 sale a 3 miliardi e 800 milioni, e può anche arrivare a 4 miliardi e 200 milioni. È utile ricordare che le spese per l'emergenza migranti nel 2014 sono raddoppiate rispetto al periodo 2011-2013, e nel 2015 sono triplicate. È una realtà ineludibile; e però, allo stesso tempo, noi non possiamo invocare respingimenti con metodi più o meno ortodossi, e altrettanto irresponsabile è auspicare un accoglimento generalizzato in una sorta di «tana libera tutti».
Noi abbiamo la necessità di porre con forza la questione. Non le chiediamo di fare come fece Nikita Krusciov nel 1960 alle Nazioni Unite: lei ha certamente garbo, non le difetta, e le manca il per alzare la voce con una ciabatta sulla scrivania; ma allo stesso tempo noi le chiediamo, perché le siamo di sostegno in quest'occasione, di pretendere con forza un impegno straordinario sul versante dell'accoglienza, del quale non si può fare carico solo il nostro Paese. Noi viviamo nel cosiddetto che non è solo e questo deve essere il mare dell'accoglienza, della solidarietà, che può intestarsi e deve intestarsi l'intera Unione europea e non soltanto il nostro Paese; facendo in modo – e concludo...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. ...che con le risorse disponibili finalmente si ponga un tema centrale nell'agenda dell'Unione europea, e cioè la lotta alla povertà.
Ho sentito già in quest'Aula da diversi colleghi accennare al tema: sarà fondamentale nei prossimi anni fare in modo che i popoli europei superino questa grave crisi che attanaglia soprattutto i ceti medio-bassi. L'impoverimento e la povertà sono i nostri prossimi nemici, che insieme ai populismi potrebbero portarci al disastro di questa splendida realtà che è l'Unione europea .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Tidei. Ne ha facoltà.
MARIETTA TIDEI. Presidente, io prima di iniziare il mio intervento sul prossimo Consiglio europeo, vorrei manifestare il mio imbarazzo per le parole espresse dal Vicepresidente della Camera Di Maio. E lo dico soprattutto perché quelle parole, che nulla c'entrano con il Consiglio europeo, con l'agenda del Consiglio europeo, sono state espresse in un momento cruciale per il progetto europeo, e sono state espresse da un uomo delle istituzioni, il Vicepresidente della Camera. Vorrei dire per suo tramite, Presidente, all'onorevole Di Maio che nel PD nessuno si fa dare lezioni sulla credibilità politica, soprattutto in Europa, da un movimento che in Europa è passato con grande disinvoltura – almeno, ha tentato di passare – dall'UKIP di Farage all'ALDE, ma siccome lì non li hanno voluti... E tra l'altro andavano lì solo per una questione di rimborsi e di fondi, perché questo dobbiamo dirlo ! Sono stati costretti a tornare con la coda tra le gambe da Farage. Quindi, io direi che prima di parlare di credibilità politica, probabilmente bisognerebbe guardarsi in casa !
Ci tengo però a dire quello che penso sul prossimo Consiglio europeo, perché il Presidente Gentiloni prima diceva che si tratterà di un Consiglio di transizione. Si tratta comunque di un consiglio molto importante, perché è l'ultimo prima delle celebrazioni del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, e comunque presenta un'agenda ambiziosa quanto necessaria: sicurezza, politiche migratorie, politica estera, sono alcuni dei punti all'ordine del giorno. Rappresentano questioni che chiamano l'Europa ad una rinnovata sfida con se stessa e nel rapporto con gli altri internazionali, quelli tradizionali e quelli che negli ultimi anni hanno rivendicato un ruolo sempre più forte nei diversi scenari regionali.
Sul fronte dell'immigrazione è necessario dare seguito agli impegni assunti a Malta, ma anche rilanciare con vigore la necessità di modificare il regolamento di Dublino, figlio a mio avviso di un altro tempo e di un'altra storia. È un impegno ineludibile, di fronte al quale tutti i Paesi membri dell'Unione europea devono fare la loro parte: per tanto, troppo tempo infatti l'egoismo di alcuni Paesi ha provocato squilibri e problemi sul fronte dell'accoglienza dei migranti, che resta una missione innanzitutto umanitaria che l'Europa non può eludere. Muri e fili spinati non hanno rappresentato la soluzione ad un tema che invece richiede il rispetto degli impegni assunti in sede comunitaria, a iniziare da quelli sui ricollocamenti. E voglio ricordare la decisione del Consiglio europeo del settembre 2015, che prevedeva il ricollocamento di 160 mila migranti presenti allora in Italia e in Grecia, e che ad oggi risulta ampiamente disattesa, visto che sono state ricollocate poco più di 11 mila persone. Ho citato questo punto, Presidente, perché credo che anche su questi temi si misuri la credibilità dell'Europa: come possiamo pretendere che i cittadini europei credano ancora nel progetto europeo, se non siamo in grado di far rispettare le decisioni che le stesse istituzioni europee hanno assunto ?
Dove sta andando l'Europa ? Cinque gli scenari previsti dal Libro bianco della Commissione per una riflessione sullo stato dell'Unione Brexit entro il 2025: è importante, a mio avviso, tenere conto di questo documento, soprattutto nella parte in cui si esplicita un forte richiamo all'Europa di Rossi e di Spinelli, i padri fondatori della nostra Europa, e ad un patriottismo europeo fondato sulla solidarietà, sull'integrazione, sulla coesione.
Altro punto qualificante dell'agenda del prossimo Consiglio è la politica di allargamento dell'Unione europea ai Paesi dei Balcani occidentali: se ne parla poco, anche in quest'Aula, e anche oggi se ne è parlato poco. È evidente che il complesso dossier turco e lo stallo che ne è derivato alla fine del 2016 destano serie preoccupazioni per il futuro dell'integrazione europea dei Paesi balcanici, facendola scivolare in fondo all'agenda delle priorità europee, monopolizzata in questo momento dei negoziati sulla Brexit, dalla gestione di altri complessi dossier, dal Medioriente alla Turchia ai rapporti con l'America Trump. Credo però che per ragioni di coerenza e credibilità nella gestione delle relazioni esterne dell'Unione europea, occorra assicurare prospettiva al perc