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Martedì 06 Marzo 2007 ore 10:00
AULA, Seduta 120
Resoconto stenografico
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AULA, Seduta 120 del 06/03/2007
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- Lettura Verbale
- Missioni
- 1.Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni (vedi allegato).
- Espulsione di quattro cittadini tunisini residenti a Bologna sospettati di essere collegati con settori dell'estremismo islamico - n. 2-00134
- Iniziative per includere l'area comprendente Bari e i comuni della provincia tra le istituende città metropolitane - n. 3-00265
- Gestione della società Quadrilatero Spa - n. 3-00363 e n. 3-00685
- Tempi di realizzazione dello svincolo autostradale di Alì Terme - n. 3-00410
- Iniziative per il completamento della strada statale 16 Adriatica - n. 3-00442
- La seduta, sospesa alle 11,20, è ripresa alle 14
- Missioni (Alla ripresa pomeridiana)
- Calendario dei lavori dell'Assemblea (marzo 2007) e conseguente aggiornamento del programma
- Disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 4 del 2007: Proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali (A.C. 2193-A) (Seguito della discussione)
- Sull'ordine dei lavori
- Ripresa discussione - A.C. 2193-A
- Informativa urgente del Governo (Annunzio)
- Ripresa discussione - A.C. 2193-A
- Saluto del Presidente agli studenti in aula
- Ripresa discussione - A.C. 2193-A
- Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
(2193-A) (FAS)
- Ripresa sul complesso degli emendamenti - A.C. 2193-A
- Vice Presidente MELONI GIORGIA
- Deputato CICU SALVATORE (IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE)
- Deputato GAMBA PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO (ALLEANZA NAZIONALE)
- Deputato BONIVER MARGHERITA (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato MIGLIORI RICCARDO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato GRIMOLDI PAOLO (LEGA NORD E AUTONOMIE)
- Deputato ZANELLA LUANA (VERDI)
- Deputato BENEDETTI VALENTINI DOMENICO (ALLEANZA NAZIONALE)
- Deputato SINISCALCHI SABINA (RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA)
- Deputato FONTANA GREGORIO
- Deputato BOCCHINO ITALO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Ripresa sul complesso degli emendamenti - A.C. 2193-A
- Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
(2193-A) (FAS)
- Comunicazione
- Ripresa discussione del disegno di legge:
- Informativa urgente del Governo sulla sparizione dell'inviato in Afghanistan del quotidiano La Repubblica, Daniele Mastrogiacomo
- Informativa urgente del Governo
- Intervento del viceministro degli affari esteri
- Interventi
- Vice Presidente CASTAGNETTI PIERLUIGI
- Deputato RUTA ROBERTO (L' ULIVO)
- Deputato DELLA VEDOVA BENEDETTO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Vice Presidente CASTAGNETTI PIERLUIGI
- Deputato ZACCHERA MARCO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato MIGLIORE GENNARO (SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA')
- Deputato BOSI FRANCESCO (UNIONE DI CENTRO)
- Deputato ALESSANDRI ANGELO (LEGA NORD PADANIA)
- Deputato EVANGELISTI FABIO (ITALIA DEI VALORI)
- Deputato MELLANO BRUNO (LA ROSA NEL PUGNO)
- Deputato TRANFAGLIA NICOLA (COMUNISTI ITALIANI)
- Deputato BONELLI ANGELO (VERDI)
- Deputato CIOFFI SANDRA (POPOLARI-UDEUR)
- Deputato BARANI LUCIO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato RAO PIETRO (MISTO)
- Informativa urgente del Governo
- Ripresa discussione - A.C. 2193-A
- Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
(2193-A) (FAS)
- Ripresa sul complesso degli emendamenti - A.C. 2193-A
- Vice Presidente CASTAGNETTI PIERLUIGI
- Deputato FUGATTI MAURIZIO (LEGA NORD PADANIA)
- Deputato PICCHI GUGLIELMO (IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE)
- Deputato ASCIERTO FILIPPO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato DELLA VEDOVA BENEDETTO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato ZACCHERA MARCO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato BODEGA LORENZO (LEGA NORD PADANIA)
- Deputato RIVOLTA DARIO (FORZA ITALIA)
- Vice Presidente CASTAGNETTI PIERLUIGI
- Deputato MANCUSO GIANNI (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato BRIGANDI' MATTEO (LEGA NORD PADANIA)
- Deputato BARANI LUCIO (POPOLO DELLA LIBERTA')
- Deputato SALERNO ROBERTO (ALLEANZA NAZIONALE)
- Parere del relatore e del Governo - A.C. 2193-A
- Ripresa sul complesso degli emendamenti - A.C. 2193-A
- Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
(2193-A) (FAS)
- Sull'ordine dei lavori
- Ordine del giorno della seduta di domani
, legge il processo verbale della seduta del 2 marzo 2007.
. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Brugger, Buontempo, Cordoni, D'Alema, Duilio, Fallica, Galati, Letta, Maroni, Musi, Mussi, Oliva, Piscitello, Provera, Realacci, Reina, Scajola, Stucchi e Violante sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna.
. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.
. L'onorevole Garagnani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00134 .
. Signor Presidente, debbo rilevare che questa interpellanza è stata presentata il 20 settembre del 2006. Sono passati cinque mesi e mezzo e pertanto sollecito gli uffici della Camera ed il Governo a valorizzare il ruolo del Parlamento per quel che concerne gli atti di sindacato ispettivo. Non si può attendere un tempo così lungo e sollecitare ripetutamente - io l'ho fatto per ben cinque volte - una risposta da parte del Governo. Detto questo, nella mia interpellanza ho trattato un problema che, per certi aspetti, permane nella sua intatta gravità nella mia città di Bologna. L'oggetto di questa interpellanza riguarda l'espulsione di quattro cittadini tunisini, sospettati di essere collegati con settori dell'estremismo islamico. Nel condividere la tempestività, l'efficienza e l'efficacia delle forze dell'ordine, chiedevo - e chiedo oggi - se la rete delle connivenze sia più estesa di quanto riportato dai giornali. C'è stata una sorta di «congiura del silenzio», comunque un estremo riserbo, che posso anche capire per ragioni di ordine pubblico, ma la cittadinanza di Bologna chiede di essere informata su queste quattro espulsioni e su tutto ciò che sia collegato ad esse. Il problema è importante e significativo, perché tutti sappiamo che, in coincidenza con le elezioni politiche dello scorso anno, era stato progettato nei minimi particolari un attentato contro la basilica di San Petronio: si conoscono i dettagli, i momenti, le date e le persone e si tratta di un fatto acclarato, di cui hanno parlato i giornali. In quel frangente si sono verificati incidenti che riguardavano il centro di permanenza temporanea di via Enrico Mattei, che accoglie gli extracomunitari in attesa di rimpatrio e tali incidenti si sono ripetuti in questi giorni, sempre a Bologna, per via del comportamento di manifestanti, di e di estremisti di sinistra, che hanno violentemente contrastato le forze dell'ordine e hanno tentato in qualche modo di penetrare all'interno del CPT di via Enrico Mattei, già vittima di altre incursioni. Pertanto chiedo se questa espulsione sia collegata in qualche modo al progettato attentato alla basilica di San Petronio, che ospita il quadro di Maometto. Inoltre, vorrei sapere se vi siano ulteriori ragioni di preoccupazione da parte dell'opinione pubblica e se la situazione dell'ordine pubblico nella città di Bologna sia tranquilla sotto il profilo del fenomeno dell'estremismo islamico. Recentemente è stato espulso un che teneva discorsi particolarmente infuocati nelle moschee. Vorrei sapere se queste espulsioni hanno definito una volta per tutte la situazione dell'ordine pubblico a Bologna, dove si stanno registrando - questo è un aspetto nuovo rispetto all'interpellanza, - delle singolari convergenze tra fenomeni di malavita comune, fenomeni di terrorismo e di eversione politica, che vedono protagonisti i e fenomeni collegati all'estremismo islamico presente nella città di Bologna. Queste tre condizioni, di fatto, si sono collegate ed hanno dato luogo in questi mesi a vari episodi di violenza e di contestazione radicale del ruolo delle forze dell'ordine e delle istituzioni. La domanda che rivolgo al Governo è di conoscere le vere ragioni - il significato, i moventi - di queste espulsioni e se, dal punto di vista della sicurezza dei cittadini e della salvaguardia dell'ordine pubblico, la situazione di Bologna, in riferimento all'estremismo islamico, sia sotto controllo. Queste sono le motivazioni che stanno alla base della mia interpellanza. Ringrazio fin d'ora il rappresentante del Governo per la risposta che ad essa fornirà.
. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, rispondo all'onorevole interpellante precisando subito che il Ministero dell'interno rivolge grande attenzione - massima, direi - nei confronti del fenomeno dell'integralismo islamico, attraverso l'espletamento di attività informative ed investigative, realizzate con azioni di e di diretta investigazione rivolte a stranieri, sospettati di contiguità con ambienti vicini all'estremismo islamico. Per quanto riguarda i quattro cittadini tunisini cui fa riferimento l'onorevole interpellante, preciso che gli stessi sono stati espulsi dal territorio italiano con decreto del ministro dell'interno per motivi di sicurezza nazionale, poiché sospettati di attivismo nel contesto dell'estremismo di matrice islamica. I provvedimenti di allontanamento sono stati adottati in relazione alle indagini svolte dalla DIGOS della questura di Bologna e dai ROS dei carabinieri dello stesso capoluogo, nell'ambito di un procedimento relativo a cittadini stranieri che operavano in contesti di integralismo religioso; tali indagini hanno portato a sentenze di condanna emesse dal locale tribunale, confermate anche dalla corte d'appello. La predetta attività investigativa ha evidenziato un particolare attivismo da parte di alcuni dei destinatari dei provvedimenti di espulsione, che mantenevano contatti anche con importanti esponenti del radicalismo islamico all'estero. Per quanto riguarda, più in generale, il fenomeno del «collateralismo» ad ambienti estremisti, sono tuttora in corso indagini, avviate nel 2002, nei confronti di un gruppo di cittadini stranieri operanti nella città di Bologna e collegati ad analoghi gruppi operanti in Lombardia e in Piemonte. Alla luce delle risultanze delle predette attività investigative, sono tuttora sottoposti ad indagine diciotto stranieri, prevalentemente di etnia maghrebina, per i reati di associazione per delinquere, associazione per delinquere con finalità di terrorismo internazionale ed altri reati minori. Tra gli indagati figurano anche i quattro destinatari dei provvedimenti di espulsione citati dall'onorevole interpellante. In merito, poi, alle proteste inscenate da cittadini stranieri all'interno del centro di permanenza temporanea ed assistenza di Bologna, faccio osservare che non sono mai emersi elementi tali da consentire di ricondurre tali disordini a vicende che riguardano le persone espulse per ragioni di sicurezza nazionale. Sul punto il procuratore della Repubblica di Bologna ha infatti comunicato che non risulta alcuna connessione tra l'indagine sopra menzionata, l'espulsione dei cittadini tunisini e disordini al CPT, e che nemmeno risulta che i disordini siano in qualche modo collegati a fenomeni di estremismo islamico, sia per la totale mancanza di riscontri investigativi, sia per l'assoluta diversità delle posizioni soggettive. Inoltre, sulla base dei dati emersi anche in altri procedimenti penali non riguardanti il terrorismo islamico, la stessa autorità giudiziaria ritiene di dover escludere l'esistenza di qualsivoglia forma di connivenza tra settori dell'estremismo islamico e movimenti impegnati nelle contestazioni contro il centro di permanenza temporanea di via Mattei e, in genere, contro l'applicazione delle norme del decreto legislativo n. 286 del 1998, riguardante l'espulsione dei cittadini extracomunitari. La procura di Bologna ha infine aggiunto che, data la sua genericità, anche l'indicazione di un collateralismo presente a Bologna, del tutto priva di riferimenti ad episodi specifici, non trova alcun riscontro nelle attività di indagine curate in collaborazione con le forze di polizia.
. L'onorevole Garagnani ha facoltà di replicare.
. Prendo atto della risposta del Governo, ma non mi posso dichiarare soddisfatto per alcune considerazioni. Come ho detto all'inizio, capisco che ci possano essere ragioni di riservatezza che inducono il Governo ad un momento di cautela e di riflessione, ma - dal momento che di questo argomento si sono occupati ampiamente i giornali, le radio e le televisioni, e che l'allarme della popolazione è significativo - credo che sia opportuno entrare nel merito dei problemi sollevati da questa espulsione e affrontare con chiarezza i rischi e i pericoli relativi. In secondo luogo, l'enunciazione delle modalità con cui si sono svolte queste operazioni di espulsione, da un lato sono chiare e, dall'altro, lasciano qualche spazio ad ambiguità, qualche margine di interpretazione troppo ampio per una situazione che ritengo gravissima. Infatti, differentemente e contrariamente a quanto dice la procura della Repubblica - che non è nuova ad atteggiamenti di palese comprensione dei movimenti della sinistra, ad interferenze vere e proprie in settori che non competono alla procura stessa (non a caso le dichiarazioni di ieri del procuratore della Repubblica si sono prestate ad equivoci) e che tende molto spesso a sconfinare nell'ambito politico, non mantenendosi in quello giudiziario che gli competerebbe -, più di tanto non faccio fede alle dichiarazioni non tanto riportate in questa sede dal Governo, quanto riferite sulla base di contatti con il procuratore della Repubblica di Bologna. Inoltre, queste forme di radicalismo islamico sono molto più diffuse di quanto non si creda e, piaccia o non piaccia, c'è una connivenza anche di grado istituzionale, da parte di forze dell'estrema sinistra presenti a livello degli enti locali, non dico con i quattro espulsi, ma sicuramente con movimenti che sono collegati o contigui all'estremismo islamico. Gli incidenti dell'altro giorno per quanto riguarda il centro di permanenza temporanea di via Enrico Mattei ne sono l'evidente conferma. In una situazione così difficile rappresentata dal tentato attentato alla basilica di San Petronio - e alla costante vigilanza al quale è sottoposto il maggior tempio religioso bolognese, che è l'identificazione e la storia di Bologna per chi conosce la città, per la sua bellezza e per il significato profondo che rappresenta, e che ancora oggi è controllato dalle forze dell'ordine - e dal momento che l'attentato è stato sviscerato in tutti i suoi aspetti, mi sarei aspettato una risposta più precisa dal Governo. Soprattutto per quanto riguarda le indagini relative a diciotto stranieri imputati per associazione per delinquere, di cui i quattro espulsi, avrei desiderato un'ulteriore esplicitazione sulle motivazioni per cui sono state avviate le indagini, se esse siano circoscritte per fatti gravi a questi o se, invece, il movimento che li caratterizza non sia più ampio. Avevo presentato un'interpellanza, che non è stata ammessa, in riferimento anche ad un atteggiamento di disapplicazione costante della legge Bossi-Fini posto in essere da alcuni magistrati ed anche ad una che riguarda proprio il centro di via Enrico Mattei, che registra condizioni di vera e propria destabilizzazione ed eversione, che sottopongo all'attenzione del Governo, e che non possono essere collegati soltanto ad alcuni settori dell'estremismo islamico o genericamente ad alcuni facinorosi. C'è un disegno preciso, a mio modo di vedere, che periodicamente interessa il centro di via Enrico Mattei di Bologna e di esso i sono testimoni, attori e protagonisti significativi. Dall'altro lato, c'è la connivenza di alcuni settori dell'estremismo. Perciò, ritengo che questa affermazione così precisa e categorica del procuratore della Repubblica di Bologna debba essere respinta nettamente - questa è la mia opinione, peraltro basata anche sui fatti - ed inviterei lo stesso magistrato ad essere più cauto di fronte a fatti di tal genere, dato che in ogni momento si scopre qualcosa di nuovo. Soprattutto, inviterei il Governo e il procuratore della Repubblica ad estendere ad ampio raggio le indagini perché, soprattutto nella realtà bolognese, siamo in presenza di un clima di totale accettazione di tutte le attenuanti nei confronti dell'estremismo islamico, il quale rappresenta una sorta di minoranza che non gode di alcun riscontro e di alcun appoggio nella comunità islamica. Lungi da me l'idea di demonizzazione questa comunità, alla quale appartengono tante persone che lavorano onestamente. Tuttavia, rimane il fatto che i punti di frattura e di destabilizzazione presenti a Bologna sono molto più ampi di quelli elencati in questa sede, sui quali la rappresentante del Governo si è soffermata, sulla base anche di un riscontro effettuato presso la procura della Repubblica. Si tratta di un settore che deve essere seguito attentamente perché - come ripeto - ci sono collegamenti tra micro e macrocriminalità, tra estremismo islamico e delinquenza comune e questi settori della sinistra e dei i quali, non a caso, in occasione di alcuni appuntamenti significativi, si ritrovano uniti. Credo, quindi, che occorrerebbe un supplemento di indagini, che occorrerebbe un supplemento di risposta e che occorrerebbe anche chiarire se questi motivi di sicurezza nazionale abbiano impedito al Governo di dire tutti ciò che sa, per intuitive ragioni di ordine pubblico. La risposta, infatti, per come è configurata, dice e non dice. Perciò, io chiedo - lo farò per mezzo di un altro atto di sindacato ispettivo - di esplicitare ulteriormente se queste espulsioni e l'atteggiamento che il Governo ha tenuto, anche in questa sede, debbano essere collegati in qualche modo ai recenti fatti che hanno coinvolto la città di Bologna. Da ultimo, onorevole sottosegretario, mi permetto di sollecitare una ulteriore risposta, anche in forma scritta, riguardo alle garanzie che il Governo intende fornire per assicurare la tranquillità dei cittadini bolognesi, anche con riferimento alla loro sicurezza dinanzi ai movimenti dell'estremismo islamico. Bologna, infatti, è un crocevia, è un fondamentale snodo viario e autostradale. Inoltre, credo che non si possa continuare a vigilare costantemente la stessa basilica di San Petronio in un modo che di fatto impedisce, per certi aspetti, anche l'avvicinamento dei fedeli che intendono assistere regolarmente alle funzioni religiose e che si sentono sospettati di preparare una qualche forma di attentato. A questo riguardo avrei desiderato una risposta più precisa e puntuale e una garanzia, per quanto possibile, in relazione al mantenimento dell'ordine pubblico. Mi rendo conto che si tratta di una situazione ingestibile ovunque e non ne faccio carico a questo o ad altro Governo. Credo, però, che i bolognesi abbiano il diritto di sapere se possano sentirsi relativamente - lo sottolineo, relativamente - tranquilli a casa loro in riferimento a questi fatti. Chiedo anche se il maggiore tempio cristiano della città possa essere tranquillo in modo altrettanto significativo. I segnali di insoddisfazione di una parte dell'opinione pubblica permangono ma permangono, si moltiplicano e sono significative anche le minacce verbali - che possono lasciare il tempo che trovano, se si vuole - da parte di alcuni settori, non dell'estremismo islamico, ma islamici, nei confronti di San Petronio. A questo riguardo, ricordiamo il famoso quadro di Maometto e così via. Credo sia veramente grave che noi italiani dobbiamo difendere una nostra chiesa, edificata nel medioevo dai nostri antenati, e dobbiamo preoccuparci di giustificare la presenza di un quadro di un certo tipo. Le ragioni della mia insoddisfazione nei confronti della risposta alla mia interpellanza le ho enunciate. Mi rendo conto che il Governo ha tentato di presentare un quadro di un certo tipo. Tuttavia, ritengo che manchino alcuni elementi fondamentali per giungere ad una serena valutazione dei fatti e per tranquillizzare l'opinione pubblica.
. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Servodio n. 3-00265 .
, . Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevole Servodio ed interroganti, l'istituzione delle città metropolitane è prevista dall'articolo 114 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. La loro effettiva istituzione costituisce un'opportunità per ridefinire l'organizzazione degli enti territoriali, superando formule organizzative strutturate in maniera gerarchica, lontane dalle effettive esigenze di una società, che è sempre più orientata alla ricerca di sistemi organizzativi in grado di rispondere più celermente e con costi ridotti alle esigenze dei cittadini. La città metropolitana può essere, pertanto, un modello idoneo a dare le risposte migliori ai problemi di organizzazione dei servizi e di pianificazione territoriale, tanto più che la loro istituzione parte dal basso, ossia dalla volontà dei comuni, che scelgono o meno se istituire tale sistema organizzativo. Il ricorso alla legislazione ordinaria per l'istituzione delle città metropolitane si rinviene all'interno dell'articolo 117, secondo comma, lettera della Costituzione, di cui il disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri il 19 gennaio scorso (il cosiddetto codice delle autonomie), che è in attesa di iniziare l'iter parlamentare, costituisce appunto l'attuazione. L'individuazione territoriale delle città metropolitane e l'incardinamento delle funzioni amministrative si rintracciano all'articolo 3 del sopra citato disegno di legge, che peraltro prevede l'inclusione della città di Bari tra le città metropolitane. È utile segnalare che il disegno di legge del Governo per la revisione dell'ordinamento degli enti locali appare coerente con il dettato costituzionale e non lesivo dell'autonomia, che lo stesso riconosce agli enti territoriali. Prima di tale previsione costituzionale, la realtà delle macro organizzazioni preposte alla guida del governo dei territori più ampi si riconosceva nel disposto di cui all'articolo 22 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico degli enti locali), laddove venivano individuate come aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli, facendo rinvio ad una valutazione degli aspetti socio-economici in rapporto al territorio per la classificazione di altri comuni. Bisogna riconoscere, comunque, che la non chiara ripartizione dei poteri tra i diversi livelli amministrativi e, soprattutto, tra il ruolo delle province e degli altri enti locali in relazione all'esercizio delle funzioni fondamentali stabilite dall'articolo 117 della Costituzione ha già determinato una sostanziale stasi nell'individuazione delle funzioni fondamentali delle città metropolitane. Il nuovo codice delle autonomie locali intende rimuovere tale stasi attraverso l'individuazione di un percorso normativo e organizzativo, che favorirà la effettiva nascita delle città metropolitane, la cui azione sarà caratterizzata, nel rapporto con gli altri enti territoriali, attraverso il rispetto del principio di leale collaborazione e sulla base di una ripartizione di compiti, che eviterà duplicazioni e favorirà una razionalizzazione nei costi di gestione. A tale riguardo si segnala che il prossimo 8 marzo la Conferenza unificata, tenendo conto dei pareri, delle considerazione e degli emendamenti si riunirà per deliberare il proprio parere in ordine al citato disegno di legge, che subito dopo sarà trasmesso al Parlamento. Si segnalano al riguardo alcuni punti qualificanti di questo disegno di legge. Vi è previsto ad esempio che l'istituzione delle città metropolitane possa spettare alternativamente: 1) al comune capoluogo; 2) al 30 per 100 degli altri comuni della provincia o delle province interessate; 3) ad una o più province insieme ai comuni diversi dal comune capoluogo. In questi ultimi due casi i comuni e le province che si attivano devono rappresentare almeno il 60 per 100 della popolazione interessata. Sono necessari, comunque, il parere della regione ed un referendum, che deve coinvolgere la popolazione complessivamente interessata. All'istituzione effettiva si dovrà procedere mediante decreti legislativi, previo parere del Consiglio di Stato, della Conferenza unificata e delle commissioni parlamentari competenti. Per le città metropolitane il territorio coinciderà con quello di una o più province; in caso di non coincidenza occorrerà procedere ad una nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali interessate. L'area metropolitana si articolerà al suo interno in comuni e conseguentemente il comune capoluogo si articolerà in municipi. Da ultimo, le città metropolitane saranno dotate di un proprio statuto, al fine di svolgere in forma appropriata le funzioni di gestione del territorio. In conclusione c'è dunque una risposta positiva: è confermata l'inclusione, fra le istituende città metropolitane, dell'area comprendente la città di Bari e dei comuni della relativa provincia. Vorrei inoltre aggiungere, sempre in conclusione, che non posso non evidenziare che l'istituzione delle città metropolitane può essere un fattore propulsivo dello sviluppo in alcune realtà, in un paese, l'Italia, che vuole tornare a crescere, di cui anche il territorio di Bari, per il suo rilevante ruolo storico, culturale ed economico nel corridoio adriatico - ionico, sicuramente fa parte. Grazie.
. Grazie a lei, sottosegretario Colonnella. L'onorevole Servodio ha facoltà di replicare.
. Grazie, Presidente. Sono molto soddisfatta per le risposte ricevute dal Governo questa mattina. Peraltro già da qualche settimana, dalla lettura del disegno di legge presentato dal Governo sul codice delle autonomie abbiamo compreso questa grande operazione di innovazione dei modelli organizzativi degli enti locali al fine, come diceva il sottosegretario, di dare una spinta allo sviluppo del Mezzogiorno, che rappresenta uno dei temi centrali della politica di questo Parlamento e del Governo. Nella nostra interrogazione (il sottosegretario lo ha anche sottolineato) noi abbiamo ribadito come l'area centrale della Puglia (nella quale non solo il capoluogo Bari, ma i comuni della provincia e, aggiungo, anche quelli di altre province che sono vicini a quest'area centrale, quali alcuni comuni della provincia di Taranto, di Brindisi, della nuova BAT, ma anche di Foggia e della stessa Lucania, della stessa Matera) possa svolgere un ruolo rispetto proprio ad un nuovo sviluppo, non solo dell'intera Puglia. Infatti tale area, insieme a quella della città metropolitana di Napoli, potrebbe rappresentare nel Mezzogiorno un nuovo modello non solo di organizzazione e di collaborazione tra gli enti locali, ma anche e soprattutto rispetto allo sviluppo economico e a tutte le strategie commerciali di incontro e di incrocio con le culture e le economie della parte ionica, tirrenica e adriatica del Mediterraneo. Penso che il Governo abbia dato su questo una risposta molto positiva, anche perché, lo ricordava il sottosegretario, questa grande conquista avvenne già nel 1990, con la legge n. 142: Bari era stata inserita in quella legge e anche nel successivo decreto n. 267 perché, pur essendo una città di 320 mila abitanti, ha un'area così vasta, che ha le caratteristiche proprie delle aree metropolitane, cioè di realtà economiche diverse, che si affacciano sul mare e sulle nostre famose Murgie, cioè nelle aree interne. La città metropolitana - ha ragione il sottosegretario - non è una riorganizzazione dal punto di vista amministrativo, bensì un nuovo modello di sviluppo, che guarda ad economie anche diverse. Noi abbiamo realizzato una serie di convegni nella nostra Puglia anche con realtà europee. Sono fallite tutte le aree metropolitane, che avevano come oggetto sviluppi monoculturali. Oggi invece le città o aree metropolitane, perché di questo si tratta, devono guardare allo sviluppo integrato di vari settori. L'area centrale della Puglia ha al suo interno attività economiche come la pesca, il commercio, l'agricoltura, l'industria, la tecnologia; occorre quindi mettere insieme queste realtà economiche, produttive e di vocazione territoriale all'interno di un modello istituzionale, che vede - qui lo sottolineo e mi piace che anche il Governo lo abbia sottolineato - la parità di dignità tra i comuni. Infatti è giusto che la città di Bari si dispieghi in municipi, non può rimanere un Moloch, altrimenti i comuni che sono nell' non accetteranno mai di essere soffocati da una città che prevalga. Peraltro a Bari è già in atto il decentramento; sono state istituite diverse circoscrizioni, che dovremo trasformare in vere e proprie municipalità. Apprezzo inoltre che nel disegno di legge via sia il riconoscimento della partecipazione nella scelta dei territori e soprattutto il fatto di non avere immaginato duplicazioni, perché è giusto che, laddove ci sia la città metropolitana, non ci sia la provincia, perché questa sarebbe una duplicazione. Signor sottosegretario, speriamo certamente di migliorare nel corso dell'iter parlamentare le funzioni di queste città metropolitane, perché oltre ad avere quelle della provincia, esse dovrebbero avere funzioni tali da essere di pari dignità anche rispetto a quelle dell'ente regione, cioè avere anche una capacità non solo di gestione e di programmazione dei servizi, ma anche di decisione quasi di rango legislativo, se non proprio di tale rango.
. La invito a concludere, onorevole Servodio.
. Sostengo questo perché le città metropolitane, diventando un luogo di incontro delle volontà dei territori, devono avere una pari dignità rispetto anche alla stessa regione. Concludo, signor Presidente, confermando la piena soddisfazione e soprattutto ribadendo che noi parlamentari, non appena sarà presentato alle Camere il disegno di legge, ci impegneremo sul versante del miglioramento delle funzioni e della possibilità di approfondire il sistema elettorale previsto dal disegno di legge, che secondo noi forse dovrà essere rivisto, perché ci sembra che escluda la possibilità che tutti i territori siano rappresentati. Ad ogni modo si aprirà al riguardo un grande dibattito in Parlamento. Ringrazio il sottosegretario e tramite lui il ministro per averci offerto questa opportunità di ammodernamento delle nostre istituzioni locali.
. Avverto che le interrogazioni Bocci n. 3-00363 e Maderloni n. 3-00685, che vertono sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente . Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture, Luigi Giuseppe Meduri, ha facoltà di rispondere.
, . La società Quadrilatero Spa è stata costituita dal precedente Governo nel giugno del 2003, con capitale di 2 milioni di euro, sottoscritto per il 51 per cento da ANAS e per il 49 per cento da Sviluppo Italia. Scopo della società è quello della realizzazione del progetto del cosiddetto Quadrilatero Umbria-Marche, inserito tra gli interventi della legge obiettivo. L'intervento riguarda l'esecuzione del completamento delle due trasversali Ancona-Perugia e Civitavecchia-Foligno e del collegamento tra le stesse due trasversali. Il progetto Quadrilatero nasce in sede territoriale, su iniziativa delle fondazioni Cassa di Risparmio di Macerata e Foligno, della Camera di commercio di Macerata e della provincia di Macerata che finanziarono un primo studio pilota relativo alla strada statale 77 per fornire una risposta concreta alle esigenze di sviluppo economico e produttivo delle regioni di riferimento. Successivamente, il progetto «Asse viario Marche-Umbria e Quadrilatero di penetrazione interna» è stato inserito tra gli interventi di preminente interesse nazionale della legge obiettivo e tra i cinque progetti pilota da realizzare mediante ricorso alla formula di cofinanziamento tra settore pubblico e settore privato. Il progetto rappresenta infatti caratteristiche innovative, in quanto prevede non un semplice asse viario, ma un sistema di infrastrutture di diversa categoria (strade statali, strade regionali e strade provinciali), finalizzato a realizzare un sistema di interventi infrastrutturali nonché a promuovere ed attrarre nuovi investimenti tramite lo strumento del Piano di Area Vasta, con cui vengono identificate tutte le condizioni che possono partecipare finanziariamente alla realizzazione dell'intervento. L'iniziativa Quadrilatero, quindi, unisce all'infrastrutturazione viaria la valorizzazione del territorio, utilizzando parte dei ricavati generati dalle infrastrutture sul territorio a favore dell'opera stessa, a beneficio della finanza pubblica. Tale carattere innovativo del modello Quadrilatero, che prevede la sinergia tra progettazione, realizzazione e acquisizione di risorse, ha suggerito la costituzione di un soggetto la Quadrilatero Marche-Umbria Spa, società pubblica di progetto, ai sensi dell'articolo 172 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), che persegue questa unica e specifica missione. La Quadrilatero Marche-Umbria Spa nei 32 mesi dalla sua costituzione, oltre ad aver consentito la cantierizzazione e l'avvio delle opere viarie, ha dato inizio ad una prima fase del Piano di Area Vasta, a seguito dell'approvazione da parte del CIPE (delibera n. 101 del 2006) di una prima di otto aree Fin dalla fase di avvio del progetto si sono manifestati elementi di criticità che trovano origine, da un lato, nella concreta possibilità di acquisire risorse private provenienti dal territorio, che non può prescindere dall'effettivo coinvolgimento di tutti gli enti locali interessati, dall'altro nel limite insito nel modello operativo prescelto in relazione alle funzioni istituzionalmente proprie degli enti territoriali. In particolare, l'aspetto evidenziato riveste notevole importanza, tenuto conto della necessità di restituire alle amministrazioni territoriali il ruolo di attori primari dei processi decisionali che coinvolgono le scelte pianificatorie e gestionali riferite agli ambiti territoriali di propria competenza. Su indicazione dell'organo politico, l'ANAS ha pertanto avviato il procedimento istruttorio per la verifica della situazione societaria di Quadrilatero Spa ai fini della acquisizione da parte della stessa ANAS del pacchetto azionario della società medesima, con l'obiettivo di salvaguardare le priorità infrastrutturali per la regione Marche e di rendere pertanto funzionale lo scopo della società rispetto alle infrastrutture di cui necessita la regione. In data 22 dicembre 2006, ANAS ha pertanto rilevato la quota detenuta da Sviluppo Italia Spa ed ha avviato contatti con gli enti locali che hanno manifestato interesse per un loro rapido ingresso nella compagine azionaria della stessa società. Da ultimo, il consiglio di amministrazione della società Quadrilatero, al fine di agevolare l'ingresso nella compagine sociale degli enti territoriali interessati, ha dato attuazione ad una prima di aumento del capitale sociale per un importo pari ad 8 milioni di euro. Tale aumento è stato sottoscritto per 5 milioni di euro da ANAS Spa, mentre per la restante parte la società Quadrilatero Marche-Umbria Spa ha formulato offerte di sottoscrizione in linea con l'interesse già manifestato alla regione Marche, alla regione Umbria, alla provincia di Macerata e dalla Camera di commercio di Macerata, invitando peraltro le regioni a coinvolgere altri enti locali eventualmente interessati a partecipare all'iniziativa. A seguito di ciò, sono pervenute adesioni da parte della regione Marche, che ha sottoscritto un milione di azioni, e da parte di Sviluppumbria Spa, società interamente partecipata dalla regione Umbria, che ha sottoscritto 700 mila azioni. Per quanto riguarda i costi sostenuti dalla società Quadrilatero per la le progettazioni, si rappresenta che ANAS ha ceduto alla Quadrilatero Marche-Umbria Spa, nell'ambito delle prestazioni accessorie articolo 2345 del codice civile, regolate da apposita convenzione, le progettazioni preliminari e definitive di interventi viari di interesse nazionale per complessivi 120 chilometri, comprendenti anche strade di categoria B (due corsie per senso di marcia), per un totale di 7,1 milioni di euro. L'incidenza costi/opere progettate per la Quadrilatero risulta pari allo 0,78 riferita al valore dell'acquisizione da parte della società di tutti i progetti stradali, alla redazione del progetto PAV, alla costituzione e all'avvio della società, al compimento dell'iter autorizzativo e approvativo presso il CIPE, al completamento del quadro giuridico, all'espletamento delle procedure delle gare per l'affidamento al Contraente generale dei maxi lotti stradali. Gli studi di fattibilità delle opere sono stati finanziati da ANAS e dalle diverse istituzioni ed amministrazioni presenti sul territorio ed interessate al progetto Quadrilatero e precisamente: per l'asse strada statale n. 77 del tratto Pontelatrave-Colfiorito-Foligno da ANAS (compartimenti di Ancona e Perugia); per la Pedemontana delle Marche, già in fase di redazione del progetto preliminare, dalla regione Marche; per le tratte di interesse provinciale (intervallive di Macerata e Tolentino - San Severino, strada statale n. 78 tratto Sforzacosta-Sarnano), dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata. L'ANAS, in attuazione della delibera CIPE n. 93 del 2002, in attesa della costituzione del soggetto attuatore unico (Quadrilatero), ha potuto, una volta verificate le suddette ipotesi di fattibilità, emettere i bandi di gara: per la strada statale n. 77, per le attività di supporto alla progettazione; per la strada statale n. 78 e le intervallive per la progettazione preliminare. Per quanto riguarda i costi degli organi sociali si rappresentano qui di seguito i relativi emolumenti. All'amministratore delegato spettano 8 mila euro annui lordi. Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione: il presidente percepisce 10 mila euro annui lordi, il vicepresidente 6 mila euro annui lordi, i consiglieri 5 mila euro annui lordi ciascuno. Per quanto concerne il collegio sindacale: al presidente spettano 7,5 mila euro annui lordi, ai membri 6 mila euro annui lordi ciascuno, per un importo totale pari a 63.500 euro annui lordi. Si forniscono, infine, alcune precisazioni riguardo alle consulenze attivate dalla società Quadrilatero. Sono stati sostenuti, nel corso degli anni 2003, 2004 e 2005, per la costituzione della società e lo costi per circa 1,8 milioni di euro. Per le consulenze professionali fornite alla società Quadrilatero Marte-Umbria Spa nell'arco degli anni 2001-2003 (data di costituzione della società) i costi sono stati sostenuti dai soci fino al giugno 2003. Gli onorari applicati per le consulenze legali, a carico di Quadrilatero Spa, sono stati calcolati in base ai minimi tariffari e ritenuti congrui dai soci. La questione - si assicurano gli onorevoli interroganti - è costantemente seguita dal Ministero delle infrastrutture e si garantisce l'interesse del Governo per la prosecuzione e il completamento di questa importante infrastruttura essenziale per sviluppo delle regioni interessate. L'opera è stata, infatti, confermata nel documento «infrastrutture prioritarie» redatto a seguito degli incontri tenutisi con tutte le regioni italiane e presentato dal Ministero delle infrastrutture lo scorso 16 novembre ed in costante aggiornamento.
. L'onorevole Bocci ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-00363.
. Presidente, ringrazio il Governo per la risposta che è soddisfacente e onesta perché contiene alcune verità, che del resto erano state già ampiamente diffuse da importanti organi di stampa nazionali, e anche alcuni segnali di cambiamento rispetto al passato. Si voleva in effetti capire l'orientamento del Governo non soltanto rispetto alle cose avvenute in questi anni, non del tutto positive, e che vengono confermate dall'intervento del rappresentante del Governo, ma anche rispetto ad un cambiamento sostanziale nei modi e nelle forme attraverso cui realizzare una delle opere più importanti dell'Italia centrale. Per questo ringrazio il Governo che ribadisce l'essenzialità dell'opera, determinante per lo sviluppo di due regioni dell'Italia centrale, ma soprattutto perché, rispetto al passato, stabilisce che finalmente gli attori locali sono e saranno i protagonisti delle varie opere che verranno realizzate. Da parte del Governo vi è uno sforzo, che emerge in maniera significativa dalla relazione del rappresentante dell'Esecutivo, a rimettere le cose a posto, a ridare ordine, a cercare di fare chiarezza, facendo in modo che in questo paese ognuno faccia il proprio mestiere e abbia le proprie responsabilità. Apprezziamo la decisione di aumentare il capitale sociale, così come ci è stato ricordato, per un importo di 8 milioni di euro, aumento che vedrà per cinque milioni di euro impegnata l'ANAS che entra finalmente da protagonista nella società Quadrilatero dell'Umbria e delle Marche, e notiamo che tale offerta di sottoscrizione viene accettata dalle stesse due regioni. Si tratta di notizie importanti per il futuro delle opere riguardanti tale iniziativa, poiché finalmente si fa chiarezza, quella chiarezza che attraverso l'interrogazione abbiamo cercato di sollecitare, rispetto anche ad alcune consulenze che vengono confermate e che sono costate qualche milione di euro, non soltanto quelle riconosciute negli anni 2003, 2004 e 2005, per cui si parla di consulenze certe per un milione e 800 mila euro, ma anche di quelle professionali fornite negli anni 2001 e 2002, che il Governo sostiene essere state pagate dai soci del società Quadrilatero, ma che sostanzialmente sono state pagate dai cittadini italiani. È ora di dire che in questo paese vi è stato uno sproporzionato e non corretto uso di consulenze esterne, che ha mortificato allo stesso tempo professionalità che erano nella stessa ANAS e nelle grandi pubbliche amministrazioni, che potevano benissimo essere utilizzate, non pagando invece le centinaia e centinaia di milioni di euro che, alla fine, sono stati presi dalle tasche dei cittadini e che non hanno dato un contributo determinante alla leggerezza del percorso seguito e, soprattutto, ai costi complessivi finali dell'opera stessa. Speriamo che quello attuale sia finalmente un Governo che dia legalità, trasparenza e rigore nell'uso delle risorse pubbliche, un Governo che, soprattutto, nelle infrastrutture cerchi di continuare lungo la strada già avviata. Abbiamo sempre detto che negli anni del Governo del centrodestra più che di cantieri si sono viste tante illusioni. Venivano garantite tante opere nel paese: abbiamo constatato che alla fine non solo non vi sono le opere ma nemmeno i finanziamenti per farle. Con l'ultima legge finanziaria si compie uno sforzo notevole per migliorare le infrastrutture del paese e noi diciamo che, a fianco dell'aumento di risorse, occorre anche rigore e serietà nell'affidare gli incarichi, nel realizzare i lavori e nel portarli a compimento. Per questo motivo intendo ringraziare il Governo che ci ha garantito che la società Quadrilatero e le opere dell'Umbria e delle Marche saranno portate a completamento nel rispetto dei tempi e delle indicazioni date dagli enti locali e dalle regioni.
. L'onorevole Maderloni ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-00685.
. Signor sottosegretario, sono soddisfatto perché lei ha tracciato una linea e manifestato una volontà atte a modificare completamente quanto fin qui attuato in relazione alla società Quadrilatero. Credo, però, che sia necessario andare fino in fondo, visto che l'interrogazione da me presentata richiamava atti e momenti precisi della vita della stessa società. Una società diversa dal progetto Quadrilatero, una società che ha fatto campagna elettorale: non a caso a questa interrogazione ho allegato foto di cantieri aperti inviatemi dalla provincia di Macerata, inaugurati alla presenza di sottosegretari come Baldassarri e poi rigorosamente chiusi. Non abbiamo voluto allegare altre iniziative assunte dalla società Quadrilatero sempre in campagna elettorale per dimostrare la validità del proprio progetto; si trattava di convegni a cui, guarda caso, hanno partecipato soltanto i sottosegretari e nessun deputato delle regioni Marche ed Umbria. Convegni, ad esempio, come quello fatto a Jesi, dove avrebbero potuto partecipare deputati come l'onorevole Duca, che si è sempre interessato della questione, e che invece è stato emarginato dalla società Quadrilatero. Abbiamo un brutto ricordo del passato riguardante la ricostruzione e ancora oggi il suo Ministero, caro sottosegretario, malgrado due leggi, sta pagando milioni e milioni di euro al signor Longarini e non vorremmo trovarci fra un po' di tempo, qualora noi non riuscissimo a capire cosa è accaduto, nella stessa situazione. Posso anche essere soddisfatto della volontà del Governo, ma noi delle Marche saremo veramente soddisfatti soltanto se andremo in fondo alla questione. Vede, della vicenda Quadrilatero, oltre a noi, se ne è occupata la stampa regionale e nazionale, tra le altre anche una giornalista poi candidata dall'Italia dei Valori. Questa struttura costosa è stata denunciata dal ministro Visco, che la definì una truffa scandalosa, dal ministro Bersani, che la definì uno scandalo da cancellare con urgenza, e dal ministro Di Pietro, che la definì una scatola che non si sarebbe mai dovuta inventare e che sarebbe necessario cancellare al più presto. Capisco tutti gli sforzi, ma non si può sostenere che le aree rappresentano la mano santa per risolvere tutte le questioni, perché io vorrei sapere chi ha deciso quali debbano essere queste aree e vorrei che il Ministero intervenisse per capire a chi appartengono quelle aree. Una società nata per fare le strade non può pensare di creare una nuova fiera a 40 chilometri da quella già esistente, di costruire l'interporto in concorrenza con quello di Fabriano, distante sempre poche decine di chilometri, o, addirittura, realizzare un centro di bellezza a Macerata, perché ha un'altra natura. Non è possibile che questo accada. Siamo perciò contenti che l'ANAS abbia finalmente preso in mano la situazione; speriamo però che il Ministero faccia luce sulla vicenda.
. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture, Luigi Giuseppe Meduri, ha facoltà di rispondere all'interrogazione D'Alia n. 3-00410 .
, . Signor Presidente, in risposta al quesito posto l'ANAS comunica che i lavori per la progettazione definitiva e l'indagine archeologica per lo svincolo di Alì Terme lungo l'autostrada Messina-Catania sono stati aggiudicati. Si è in attesa del parere di valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nei confronti del quale il Consorzio per le autostrade siciliane ha versato il 22 maggio 2006 lo 0,5 per mille del valore dell'opera da realizzare, così come previsto dalla vigente normativa in materia di VIA. Nel confermare, quindi, l'impegno assunto dall'ANAS per la prosecuzione delle procedure in corso, si intende ricordare l'attività profusa dal Governo e dal Ministero delle infrastrutture per il sud e, in particolare, per la Sicilia, cui sono rivolti tutti i possibili sforzi, anche finanziari, sempre in strettissima collaborazione con tutti gli enti locali.
. L'onorevole D'Alia ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, mi dichiaro parzialmente soddisfatto, nel senso che abbiamo contezza dell'attività di sollecitazione che il Governo compie nei confronti dell'ANAS e che conduce a fare un passo avanti nella procedura per la progettazione e la realizzazione di quest'opera. Vorrei cogliere l'occasione, tuttavia, per sottolineare sia al sottosegretario di Stato Meduri, sia al Governo che, in questo caso, si tratta di un'opera che non riveste un interesse meramente comunale, ma risulta essere strategica, poiché riguarda venti comuni della provincia di Messina, diciannove città della zona ionica e lo stessa comune di Messina. Ciò perché lo svincolo in questione servirebbe non solo un bacino d'utenza di circa 40 mila abitanti, gravitanti nella zona dei 19 comuni vicini ad Alì Terme, ma anche circa il 40 per cento della popolazione della città di Messina, posto che l'opera consentirebbe di alleggerire il traffico dei mezzi, sia pesanti sia leggeri, nello stesso capoluogo di provincia. Ricordo che è un'opera strategica, concepita da tempo; purtroppo, come avviene in numerosi casi, la lentezza nella definizione di tali interventi mette a rischio anche la possibilità di garantire la copertura finanziaria degli stessi. Vorrei segnalare che in questo caso ci troviamo di fronte ad un intervento che dispone di una copertura finanziaria quasi integrale; se non ricordo male, tale copertura sarebbe contemplata nell'ambito dell'accordo di programma quadro stipulato tra lo Stato e la regione siciliana. Quindi, nel dichiararmi parzialmente soddisfatto della risposta del signor sottosegretario, grazie alla sensibilità dimostrata, desidererei che il Governo mantenesse alta l'attenzione su tale vicenda, poiché non sempre l'ANAS - anzi, per la verità quasi mai - ha dimostrato pari sensibilità rispetto agli interventi strategici da realizzare nella regione siciliana, salvo che si trattasse di interventi di considerevoli dimensioni e che comportassero notevoli sforzi finanziari. Ciò non è corretto, poiché ritengo più giusto concentrarsi su opere che magari prevedano un impegno finanziario non considerevole, ma comunque servano a rendere maggiormente integrato il sistema dei trasporti nella regione siciliana, in particolar modo nella provincia di Messina.
. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture, Luigi Giuseppe Meduri, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Acerbo n. 3-00442 .
, . Signor Presidente, in risposta al quesito posto, si ricorda che la variante di collegamento tra Montesilvano e Silvi Marina primo lotto, Montesilvano-Città Sant'Angelo, a seguito degli incontri tenutisi tra il Ministero delle infrastrutture e gli enti locali abruzzesi, è stata inserita nel documento delle infrastrutture prioritarie presentato dal Governo lo scorso 16 novembre 2006 e di recente aggiornato. Nello specifico, la variante della strada statale 16 (circonvallazione di Pescara) attualmente in esercizio termina a sud dell'abitato di Montesilvano, in località Santa Filomena. Con la realizzazione del proseguimento fino all'abitato di Silvi Marina si risolverebbe il problema della viabilità congestionata nell'area metropolitana pescarese. Un primo tratto, già cantierizzato e per lo più completato, termina a ridosso del centro urbano di Montesilvano e si allaccia alla viabilità locale sulla strada statale 16-. Nello specifico, l'ANAS Spa informa che l'avanzamento dei lavori è attualmente pari al 95 per cento e che l'ultimazione è prevista entro il primo semestre dell'anno in corso. La provincia di Pescara si è attivata da tempo per la realizzazione del prolungamento della variante della statale 16 fino a Silvi Marina ed ha predisposto, ai fini dell'inserimento dell'intervento nei programmi di finanziamento ANAS, un progetto preliminare, nel quale è stimata una spesa complessiva di 374 milioni di euro. Le fasi attuative dell'intervento sono articolate per lotti funzionali. Primo lotto: Montesilvano (strada statale 16-is) - Svincolo di Città Sant'Angelo; secondo lotto: svincolo di Città Sant'Angelo - svincolo di Silvi Marina sud; terzo lotto: svincolo di Silvi Marina sud - svincolo di Silvi Marina nord. Il costo del primo lotto è di 78 milioni di euro. La provincia di Pescara ha proposto di realizzare una delle due carreggiate previste in progetto limitando il costo a 40 milioni di euro. Per concorrere al finanziamento dei predetti interventi, il CIPE ha assegnato 15,83 milioni di euro. Nel contratto di programma ANAS 2003-2005 (area di inseribilità) è inoltre prevista una somma di 120 milioni di euro per la costruzione della variante agli abitati di Montesilvano e Città Sant'Angelo, - primo lotto bis. Per quanto riguarda il completamento della statale adriatica, il relativo intervento - assicura l'ANAS - sarà inserito nella bozza di programma che la società sta elaborando in questi giorni.
. L'onorevole Acerbo ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ritengo di poter affermare di essere soddisfatto perché è stato chiarito un punto che aveva creato non poco sconcerto nell'opinione pubblica abruzzese e, soprattutto, tra gli amministratori della provincia di Pescara. Infatti, le prime notizie relative all'elenco di priorità, anche visionando il sito Internet del Ministero, non contenevano la menzione dell'opera in oggetto, della quale ribadisco il carattere essenziale. Si tratta dell'area più densamente popolata dell'Abruzzo, sulla quale ricade un carico di traffico pesante e un inquinamento ormai da troppo tempo insostenibile. Quella che era la strada statale oramai è divenuta parte del tessuto urbano di più comuni, i quali, tra l'altro, costituiscono un'unica grande conurbazione, con decine e decine di migliaia di automobili che ogni giorno attraversano questo territorio. La stessa variante fin qui realizzata al momento si conclude in località Santa Filomena, vale a dire all'interno dell'area urbana, creando ulteriori problemi di congestione. Credo che, se una qualsiasi televisiva si collocasse sul posto a riprendere lo stato dell'arte al momento, porterebbe a conoscenza dell'opinione pubblica come riusciamo a rendere difficile la vita ai nostri concittadini quando, per lentezze burocratiche o per la priorità attribuita ad opere pubbliche a volte inutili, ritardiamo la realizzazione di opere che registrano il più ampio consenso da parte dei cittadini, delle amministrazioni e dei territori. Nel nostro paese sono previste tante opere pubbliche, che sono fortemente contrastate e presentano tantissime criticità, mentre l'opera in oggetto registra un consenso unanime da parte dell'opinione pubblica locale e degli enti locali e rappresenta una delle emergenze della vita quotidiana dei nostri cittadini da risolvere al più presto. Al tempo stesso, devo dire che data l'importanza dell'opera di cui parliamo, che, a mio parere, anche la regione avrebbe dovuto mettere in cima alle priorità presentate al Governo - infatti, il corridoio adriatico presenta una problematica e una criticità tali da condizionare la vita di centinaia di migliaia di nostri cittadini -, le somme di cui ho sentito parlare al momento non sembrano garantire il completamento dell'opera. Quindi, invito il Governo ad un'iniziativa forte, affinché questo risultato si possa ottenere in tempi brevi e certi, proprio perché si tratta di un'opera sulla quale il consenso è totale e il bisogno del territorio è davvero urgente. Pertanto, come parlamentari abruzzesi, ci attendiamo dal Governo un supplemento d'impegno nell'individuare risorse per risolvere una problematica che, ormai, è diventata storica e che nel passato recente è stata anche al centro di grandi mobilitazioni da parte della cittadinanza (in particolare, a causa dei problemi alla sicurezza e degli incidenti derivanti dalla situazione esistente). Giungere ad una positiva, complessiva soluzione della questione descritta, che costituisce un grande problema infrastrutturale dei territori a cavallo tra la provincia di Pescara e Teramo, significherebbe dare un segnale positivo agli abitanti di tutto il territorio. Quindi, mi auguro, nelle prossime settimane, di ricevere qualche ulteriore buona notizia da parte del Governo.
. È così esaurito lo svolgimento dell'interpellanza e delle interrogazioni all'ordine del giorno. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 14 con il seguito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di missioni internazionali.
. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Capezzone, De Castro, De Zulueta, Fabris, Migliore e Villetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna.
. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato predisposto, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del regolamento, il seguente calendario dei lavori per il mese di marzo 2007:
. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali. Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali. Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso il prescritto parere
. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni . Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni . Avverto altresì che è stato presentato un emendamento riferito al titolo del disegno di legge di conversione . Avverto infine che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 96-, comma 7, del regolamento, le seguenti proposte emendative non previamente presentate in Commissione: Rivolta 3.51, 3.52, 3.53, 3.54, 3.55 e 3.56, che introducono nuove modalità di azione del contingente italiano impegnato in Afghanistan e particolari procedure decisionali alle quali lo stesso deve attenersi. Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative presentate l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho già avuto modo di esprimere ieri, nel corso della discussione sulle linee generali, le mie valutazioni sul provvedimento in esame. Avendo riguardo alla finalità, alla dimensione ed al significato della proroga delle missioni internazionali, ritengo che il testo del decreto-legge, ampiamente discusso nelle Commissioni, le quali avevano già apportato alcune modificazioni ed integrazioni, sia abbastanza esaustivo nel suo complesso e rispondente, nei contenuti, proprio alle finalità ed agli intenti, almeno alla luce dello scenario che si configura, oggi, nei territori in cui il nostro paese è intervenuto per salvaguardare la pace, la sicurezza e la stabilità e per assicurare le condizioni per la ricostruzione. Certo, tutto ciò che può venire, in termini migliorativi, soprattutto sotto i profili della ricostruzione e dell'elevazione della condizione delle popolazioni, del sostegno in vista di una futura autosufficienza dei paesi in parola, anche dal punto di vista delle capacità di difesa e di tutela della sicurezza, verrà accolto favorevolmente. È questo il criterio che mi guiderà, oggi, nella valutazione delle proposte emendative che sono state presentate per l'esame in Assemblea. In particolare, il tema più controverso, quello che ha suscitato dibattiti e divisioni nel panorama politico nazionale, è la missione internazionale in Afghanistan. Noi siamo presenti, da cinque anni, in un paese che, da altrettanti anni, vede sul suo territorio una presenza internazionale militare e civile, e rispetto al quale l'esito dell'impegno internazionale assume caratteri di evidente criticità, per quanto riguarda, in particolare, non soltanto la ricostruzione, ma anche la coesione sociale, la sicurezza, gli aspetti militari, la reale affermazione della democrazia e della tutela dei diritti umani. Può ritenersi, dunque, fortemente incompleto il processo di che è stato posto in atto con il supporto della comunità internazionale. Più specificamente, vanno portati a compimento la ricostruzione del sistema giudiziario, a cui pure ha offerto il principale apporto il nostro paese, generosamente e con grande impegno; la realizzazione di condizioni che rendano possibile l'effettivo esercizio dell'autorità da parte del Governo democraticamente espresso dal popolo afgano, del Governo Kharzai, su tutto il territorio. Nel contempo, va risolto il problema della permanenza di un potere indebito ed invasivo dei signori della guerra e dei narcotrafficanti, i quali condizionano fortemente le realtà locali, soprattutto quelle montane e rurali, e limitano l'efficacia delle direttive del Governo nazionale. Vi è stata una inadeguata riconversione delle diffuse colture del papavero per produrre l'oppio, una inadeguata e insufficiente azione di riconversione di queste colture in colture legali che consentissero adeguata fonte di reddito, adeguate risorse ai produttori che sono stati privati con la forza di queste culture, mentre ancora vi sono quelli che indebitamente le producono. Sono stati esperiti, anche con l'aiuto del nostro paese, diversi tentativi nel campo del grano, del frumento, dell'olio d'oliva. Sono state tutte colture, tutti esperimenti insufficienti e inadeguati a sostituire il reddito che derivava da quelle colture illecite, le quali hanno effetti devastanti e pericolosi anche per il resto della comunità internazionale. È stata incompleta la ricostruzione del sistema scolastico, l'azione di educazione e di formazione dei giovani, esercitata in condizioni di grande disagio, con pericoli anche fisici corsi dagli insegnanti a causa del boicottaggio e delle aggressioni dei fondamentalisti o di coloro che non condividono le innovazioni, che pure devono essere introdotte per arrivare ad un compiuto sistema democratico, o anche ad una diffusione di massa della cultura e dell'educazione. Vi sono ancora insufficienze nei sistemi di tutela dei diritti umani e della condizione della donna, ancora soggetta a volte alla pratica dei matrimoni forzati, ancora soggetta a forme di mercimonio e di vero e proprio commercio da parte delle famiglie nelle zone più arretrate. È mancata la realizzazione di un equilibrio, nel tentativo di permeare la società dei diritti umani fondamentali e contemperare questo fenomeno con questa azione, con il rispetto di diffuse tradizioni locali, per cui alcune volte il tentativo di portare lì la nostra cultura dei diritti umani ha determinato nelle popolazioni un senso di frustrazione e di mancato rispetto, quando non addirittura una percezione di disprezzo per le loro consuetudini, i loro principi, le loro antiche tradizioni. Tutto ciò, tutta questa situazione di malcontento e di insoddisfazione rispetto alle attese che erano maturate nei confronti dell'azione e della presenza della comunità internazionale, ha reinserito pesantemente nei giochi politici e militari di quel paese i talebani, che erano stati ricacciati nelle aree più nascoste e più recondite, che si erano rifugiati e sembravano scomparsi nelle aree tribali. Essi sono tornati, tornano a colpire fortemente sul piano terroristico, tornano ad avanzare la pretesa di riconquistare il potere politico perduto. Questo fenomeno mina fortemente la stabilità di quel paese e i risultati che pure tra queste difficoltà abbiamo raggiunto. Quindi, per tutte queste ragioni, ritengo che siano accoglibili quegli emendamenti che vanno nel senso di integrare gli apporti normativi di questo provvedimento sotto il profilo della ricostruzione, della cooperazione, dell'assistenza, dell'educazione, della valorizzazione di risorse locali da impiegare nell'azione di cooperazione, anche per dare lavoro, per dare motivazione, possibilità di autorealizzazione ai giovani. Altrettanto dicasi per gli emendamenti che vanno nel senso di introdurre più forti forme di monitoraggio e di garanzia sul lavoro che viene effettivamente svolto dalla missione internazionale e dalla cooperazione. Si tratta di emendamenti volti ad una maggiore informazione del Parlamento ed emendamenti volti ad una maggiore responsabilizzazione delle rappresentanze diplomatiche locali. Questa ultima fattispecie non riguarda solo l'Afghanistan, ma anche l'Iraq: e in proposito è stato presentato un emendamento, in quanto l'articolo 2 del provvedimento disciplina appunto la presenza italiana che resterà in Iraq per garantire il completamento della ricostruzione e garantire un maggiore sviluppo alla sicurezza. Per quanto riguarda le altre proposte emendative, alcune mi sembrano di carattere provocatorio (mi riferisco, in particolare, all'anticipazione della scadenza della missione; a nostro avviso, l'averla prolungata fino alla fine dell'anno rende più stabile e sicuro il lavoro dei nostri soldati e dei nostri operatori); altre configurano ipotetici nuovi scenari sui quali non è questa la sede per pronunciarci e che richiedono nuove intese, nuove decisioni, che non dipendono soltanto dal Parlamento nazionale, ma passano attraverso accordi, intese e decisioni di carattere internazionale; su tutte queste proposte, personalmente, assumo una posizione di maggiore scetticismo. Ritengo, invece, che si possano accogliere tutte quelle proposte emendative che tendono a migliorare l'efficacia e l'incisività dell'intervento sul piano sociale, educativo e della ricostruzione e dell'affermazione dei diritti umani
. Chiedo di parlare.
. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, le agenzie di stampa alcuni minuti fa hanno battuto la notizia che un giornalista del quotidiano Daniele Mastrogiacomo, è scomparso da alcuni giorni in Afghanistan. È una brutta notizia, che ci preoccupa. Chiediamo, dunque, al Governo di comunicarci le iniziative che sono state adottate al riguardo, affinché si possano ricevere notizie sul giornalista Mastrogiacomo il più rapidamente possibile.
. Onorevole Bonelli, data l'importanza della questione che lei pone, ho ritenuto di derogare al principio che vorrebbe che interventi di questo genere siano svolti a fine seduta. Ovviamente, interesseremo il Governo per sapere se e quando intenda riferire in Assemblea sulla questione che da lei posta.
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Azzolini. Ne ha facoltà.
. Signor presidente, proprio per un caso mi trovo tra le mani la copia del quotidiano di qualche giorno fa nella quale vi è un articolo di Daniele Mastrogiacomo, un giornalista che conosco personalmente, che stimo e del quale apprezzavo la concretezza in questo suo servizio intitolato: «Afghanistan, incubo senza fine: bomba sulla strada degli italiani». Immagino che questo articolo abbia esposto il giornalista ancor più della precedente attività da lui svolta sul territorio. Infatti molte volte i colleghi giornalisti (chi vi parla è un giornalista professionista, quindi spezzo una lancia, se mai ve ne fosse bisogno, in favore di questi colleghi) mettono a repentaglio la propria vita (mi riferisco ovviamente a quelli che sono sul territorio e non a quelli che operano nelle stanze degli alberghi, come qualche volta la letteratura ci ha insegnato e ci ha raccontato). Rivolgo quindi i miei auguri personali a Daniele Mastrogiacomo e mi permetto di associarmi all'invito rivolto al Governo di fornirci informazioni sulla condizione nella quale versa in questo momento il giornalista. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella fase dei ringraziamenti e degli apprezzamenti desidero non escludere i nostri soldati, le rappresentanze diplomatiche e quelle delle Ong, poiché in diversi paesi da anni - come ricordava poc'anzi il collega Forlani per l'esattezza da 5 in Afghanistan - si adoperano con impegno e generosità umana nella ricostruzione civile e democratica di paesi dilaniati da conflitti locali, nell'assenza assoluta di uno stato di diritto e di democrazia. Com'è a tutti noto il coinvolgimento dell'Italia in missioni umanitarie ed internazionali trae legittimità dell'articolo 11 della nostra Carta costituzionale, ancorché dagli impegni assunti in ambito internazionale ed in particolare in sede ONU e NATO, ai quali noi parlamentari di Forza Italia e della Casa delle libertà non intendiamo sottrarci e non ci sottrarremo non soltanto perché coerenti con gli impegni assunti dal precedente Governo Berlusconi, ma anche e soprattutto per il grande senso di responsabilità che sentiamo di fronte al paventarsi di una perdita di credibilità, alla quale andrebbe evidentemente incontro il nostro paese in ambito internazionale. Ciò premesso, ritengo sia necessario ripensare la nostra strategia di partecipazione e di anche e soprattutto alla luce dei recenti atti terroristici, tra i quali alcuni riportati proprio dal servizio di Mastrogiacomo su della medesima recrudescenza di attacchi da parte dei talebani, peraltro già annunciata da molti organi di stampa internazionali, che ha fatto registrare una di attentati suicidi negli ultimi due mesi, fino a coinvolgere lo stesso vicepresidente degli Stati Uniti, Cheney, lo scorso 28 febbraio, il che conferma senza dubbio alcuno l'inizio dell'offensiva talebana. Il nostro impegno in Afghanistan si svolge in un contesto internazionale, sotto l'egida della NATO, nell'ambito della missione civile UNAMA che ha pieno potere di coordinamento delle azioni di ricostruzione e di monitoraggio sulla situazione in Afghanistan ed in particolare si articola lungo le quattro direttrici delineate nella Conferenza di Londra del 31 gennaio scorso, che ha stabilito il cosiddetto un accordo tra comunità internazionale ed Afghanistan, che ha fissato una serie di obiettivi precisi da raggiungere in un arco temporale predefinito. Il tema rilevante scaturito dalla suddetta conferenza ha riguardato la definizione ed il riconoscimento del concetto di attraverso il quale si è voluta sottolineare l'importanza di coinvolgere gli afgani in questo processo di sviluppo economico e di rafforzamento istituzionale e democratico del loro paese. I quattro ambiti di intervento delineati nel sono: sicurezza; stato di diritto e diritti umani; sviluppo e lotta alla droga. Il ruolo dell'Italia nell'ambito della missione in Afghanistan può essere evidentemente decisivo laddove riesca ad affermare la necessità di applicare una modalità di approccio globale, che contempli la ricostruzione fisica, istituzionale e democratica dell'Afghanistan, la dimensione politica e di sviluppo economico, oltre che la sicurezza ed evidentemente l'azione militare. La risposta ai fenomeni dell'insorgenza e del terrorismo talebano deve infatti avvenire sul piano della politica e dello sviluppo piuttosto che su quello militare, così come è sostenuto anche dalle Nazioni Unite, giacché il 70 per cento dei talebani trova in esso uno strumento per vivere e non un'appartenenza ideologica. Lo ricordava giorni fa proprio l'ambasciatore italiano nel rapportarci quanto accadeva in questo periodo in quel paese. Evidentemente basterebbe offrire loro una prospettiva o più semplicemente un'alternativa di vita. Sono abbastanza scettico nei confronti dell'ancorché fantasiosa proposta, che è stata presentata nei giorni scorsi e che prevede la riconversione dell'oppio, tuttavia basterebbe poco per sottrarli ad una scelta dettata da condizioni economiche e sociali di povertà, più che da un'adesione o difesa di posizioni ideologiche. Così le linee di azione dell'intervento italiano allo sviluppo si sono soprattutto concentrate sulle iniziative di sviluppo agricolo e rurale e di emergenza sanitaria o su alcuni importanti progetti infrastrutturali, quali - vale la pena ricordarlo - la strada Kabul-Bamyan, alla cui costruzione abbiamo partecipato con un contributo di 40 milioni di euro. Nell'ambito della partecipazione italiana alla ricostruzione istituzionale vanno inoltre annoverati l'impegno ed il coordinamento del cosiddetto della giustizia assunto durante la citata Conferenza di Londra, con il quale l'Italia ha assunto l'onere di migliorare e potenziare il progetto giustizia con il coordinamento della nostra ambasciata di Kabul. Il nostro intervento si è quindi dispiegato su più direttrici: la riforma della legislazione afgana - attraverso l'elaborazione e la stesura della nuova Costituzione, del codice di procedura penale provvisorio, del codice minorile - e le iniziative per migliorare da una parte la qualità della vita nel sistema penitenziario, dall'altra la ricostruzione e la ristrutturazione delle infrastrutture di giustizia, contribuendo concretamente alla creazione di uffici, tribunali, procure e carceri. A ciò va ad aggiungersi la formazione dei 2 mila operatori di giustizia, tra cui giudici, avvocati, procuratori ed operatori penitenziari. A tale riguardo desidero ricordare il positivo risultato conseguito da due nostre iniziative di formazione, una delle quali portata avanti dalla Guardia di finanza e rivolta alla polizia doganale di Herat, la località dove ci sono 800 dei nostri 2 mila militari, l'altra a Kabul, operata dai Carabinieri nei confronti della polizia. Ciò è particolarmente significativo poiché rientra nel quadro di una strategia politica di controllo, monitoraggio, prevenzione e contrasto alla lotta al narcotraffico, che sempre più alimenta il fenomeno dell'insorgenza e del terrorismo talebano. Ritengo che non sia meno importante la necessità di accelerare i tempi della poiché la partecipazione internazionale - quindi dell'Italia - al processo di ricostruzione e di pace non può e non deve evidentemente essere a tempo indeterminato, ma deve restituire in tempi certi e definiti la piena titolarità del controllo del proprio territorio e della gestione del paese agli afghani (come dire, l'Afghanistan agli afghani). Ciò nonostante, la decisione di mantenere il contingente italiano, finalizzata alla realizzazione di una conferenza internazionale sull'Afghanistan, che coinvolga nel processo di stabilizzazione anche i paesi limitrofi, trae origine dalla consapevolezza dell'inadeguatezza - sottolineo questo termine - e dell'inefficacia dell'esclusiva azione militare nel processo di ricostruzione della pace. Appare sempre più evidente, infatti, quanto sia ormai necessario ed urgente recuperare e restituire il giusto spazio alla dimensione politico-diplomatica, economica, civile ed umanitaria delle missioni internazionali e di ricostruzione della pace e della vita democratica dei paesi. Ieri ho avuto modo di incontrare il Nobel della pace 2003, Shirin Ebadi, perché riceveva dalla Fondazione Mediterranea a Napoli il Premio mediterraneo di pace. Ebbene da tale sede Shirin Ebadi ha lanciato un appello, che vorrei nel breve tempo di cui dispongo trasferire a voi tutti. Il secondo punto di questo appello è una condanna a tutti quelli che ignorano la volontà del popolo iraniano, come di quello afghano, creando anche disattenzione e disaffezione tra paese civile e paese legale, tra il popolo iraniano e il suo Governo. Di ciò è testimonianza il fatto che, come ricordava la Ebadi, alle elezioni di Mohammed Katami hanno votato 22 milioni di iraniani, mentre a quelle di Ahmadinejad hanno votato solo 14 milioni di iraniani. Questa distanza tra il popolo ed il Governo era il senso della sua denuncia e voleva dimostrare che nella situazione di oggi può portare alla guerra civile e ciò non è a favore né del Governo iraniano, né della tranquillità della regione. Allora, ritornando al nostro filone afghano è chiaro che non è pensabile e possibile immaginare che tutto questo possa avvenire in un batter d'ali, però in questo il nostro paese, membro fondatore e qualificato dell'Unione europea, deve insistere perché quest'ultima, pur mantenendo ottime relazioni con gli Stati Uniti, assuma le proprie responsabilità e diventi un interlocutore imprescindibile - sottolineo questo termine - della politica estera occidentale, ritagliandosi un ruolo paritario rispetto agli Stati Uniti nell'ambito di una politica di cooperazione internazionale. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa circostanza mi consente anche di approfittare per dare un ulteriore suggerimento, se non proprio un sollecito, al massimo esponente del Governo in fatto di difesa, il ministro Arturo Parisi: spero i colleghi che lo rappresentano in questo momento al Governo potranno riferirglielo. Con il ministro Parisi, il collega Cirielli, che siede alla mia sinistra, il collega Angioni, che vi sedeva fino allo scorso anno, ho un comune denominatore: siamo stati tutti allievi presso la Scuola militare Nunziatella. Dato che oggi ci troviamo di fronte ad una prospettiva che va di decennio in decennio e che dobbiamo impiegare questi decenni realizzando opere di intelligenza, di diplomazia, di dialogo e di confronto, dovremmo disporre di un istituto di alta formazione per le operazioni e le missioni di . Già ne esistono le premesse ed è questa la ragione del mio riferimento alla Nunziatella. Quale occasione migliore per utilizzare quella struttura, che nel suo statuto costitutivo ha il motto: «Preparo alla vita ed alle armi»? Badate bene, questa scuola prima prepara alla vita, poi alle armi, che sono una conseguenza, una insorgenza, fermo restando che la sua vocazione naturale è quella di preparare alla vita, sia civile, sia militare. Oggi è necessaria una riconversione della vita militare in un'azione di supporto alle popolazioni civili. I nostri militari sono stati apprezzati per il loro qualificato contributo alla causa della ricostruzione e della ricostituzione di un tessuto civile e democratico. Immagino che questa opportunità potrà essere senz'altro una valida prospettiva da offrire non soltanto al nostro esercito, che dopo l'abolizione del servizio di leva è costituito da professionisti, che sono certamente predisposti alle attività militari, ma che possono a mio avviso instaurare una complementarietà sui tema della società civile, ma anche ai giovani tra i 15 e i 18 anni, che si trovano nella fase più pregnante e significativa dal punto di vista culturale e formativo, offrendo contestualmente al nostro paese e all'intera collettività europea ed internazionale un grande strumento di stabilità e di pace. Signor Presidente, onorevoli colleghi, confido che tutto questo, insieme ad altre considerazioni che mi sono permesso di svolgere, possa indurre ad accettare alcuni degli emendamenti che sono stati presentati anche da parte dell'opposizione, in quello spirito che richiamavo poc'anzi. Sono fiducioso e convinto che possano essere valutati e apprezzati adeguatamente .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Briguglio. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, quello odierno potrebbe sembrare un atto rituale. Con il decreto-legge in esame ci troviamo, ancora una volta, ad affrontare il problema della proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali. Eppure, ogni qual volta è all'esame del Parlamento questo argomento denota un punto di crisi del Governo e della maggioranza che lo sostiene e induce riflessioni, anche importanti, sulla tenuta della coalizione di Governo e non soltanto da parte nostra, cioè dal punto di vista della opposizione di centrodestra. Ormai, i temi della politica estera, internazionale e di difesa sono diventati una cartina di tornasole della stessa esistenza in vita del Governo. Nell'affrontare questo problema, alcune riflessioni nascono spontaneamente, anche in relazione ad affermazioni che spesso, in questi giorni, ci hanno veramente sorpreso. Una di esse è quella relativa all'introduzione, nel nuovo lessico politico e parlamentare, di una nozione che nuovissima non è, quella delle maggioranze variabili. Si tratta di una locuzione che, per la verità, richiama un lessico che ci sembrava tramontato, appartenente alla cosiddetta prima Repubblica e afferente ad un certo neocentrismo. Invece, ci troviamo ad affrontarla oggi e, come hanno scritto autorevoli osservatori, è anche all'attenzione dello stesso Capo dello Stato. La nozione di maggioranze variabili, che è stata proposta dal ministro Amato e ripresa dallo stesso Presidente della Camera Fausto Bertinotti, merita qualche considerazione. Qui non stiamo parlando di un provvedimento come gli altri o di iniziative o dibattiti parlamentari che hanno un valore settoriale, ma stiamo parlando della politica estera e di difesa e del ruolo del nostro paese nello scenario internazionale. Dobbiamo rilevare che la nozione di maggioranze variabili non si può certamente applicare a questo tipo di problemi, alla nostra presenza nelle missioni internazionali e, in particolare - questo è quello che detta la nostra agenda politica - alla missione in Afghanistan. Questo Governo, quindi, deve essere sostenuto da una precisa maggioranza, al netto dei senatori a vita e dell'apporto che darà senz'altro anche il centrodestra con il proprio voto nelle aule parlamentari. Va rilevato, tuttavia, che c'è qualche settore dell'opinione pubblica e degli osservatori - cito per tutti il quotidiano e, in particolare, il suo direttore - secondo i quali il centrodestra pecca di eccessivo lealismo nei confronti della politica internazionale e dello stesso interesse nazionale del paese, che abbiamo sempre perseguito, dimostrandolo con il nostro voto coerente, sia quando siamo stati al Governo e maggioranza nel Parlamento, sia quando siamo stati all'opposizione. Non c'è dubbio che su questo decreto-legge - lo vedremo molto meno alla Camera, ma sicuramente molto di più nell'altro ramo del Parlamento - il Governo, anche in rapporto agli impegni assunti con il Presidente della Repubblica, ha il dovere dell'autosufficienza, ossia di avere una maggioranza certa, al netto dell'apporto doveroso dei parlamentari del centrodestra e del voto dei senatori a vita, che non possono essere conteggiati come componenti di una maggioranza politica ben delimitata. Quindi, il provvedimento in esame costituisce per noi l'occasione per sottolineare questo dato di fondo. In secondo luogo, dobbiamo richiamare alcune posizioni coerenti ed altre incoerenti. Personalmente - l'ho detto in altre occasioni - credo che coloro i quali dimostrano coerenza all'interno del centrosinistra e che sono pienamente coerenti con il mandato popolare sono quei parlamentari della sinistra radicale che oggi vengono richiamati pesantemente all'ordine, che vengono messi sotto processo all'interno dei propri partiti e allontanati dalla propria formazione politica di appartenenza o che vengono addirittura strattonati e aggrediti, anche fisicamente. Dal nostro punto di vista, si tratta di posizioni politiche e di persone che meritano il massimo rispetto, non soltanto perché siamo deputati parlamentari senza vincolo di mandato e, quindi, rispondiamo certamente ad una disciplina di partito, ma anche ad una coerenza interna e al cosiddetto «tribunale della coscienza»; ma anche per un fatto importante, al quale credo che il Governo e la maggioranza debbano prestare la necessaria attenzione. Il centrosinistra ha vinto le elezioni politiche per una manciata di voti (24 mila voti), in coerenza con un programma che ha sottoposto all'elettorato, e sicuramente ha vinto con l'apporto determinante dei settori della sinistra più radicale, quelli che interpretano gli umori, le esigenze, i sentimenti e le opinioni politiche dei movimenti, dei e di tutte le aree pacifiste nel nostro paese, che hanno espresso in Parlamento i propri rappresentanti. Nelle elezioni politiche del 2006 l'Unione ha vinto perché è riuscita a rappresentare segmenti di elettorato abbastanza forti rispetto ai quali il programma dell'Unione ha esercitato una sorta di pubblicità ingannevole. In altri termini, questi segmenti pensavano ad una nettissima discontinuità nella politica estera e di difesa del nostro paese, ma sono rimasti delusi e frustrati. Da qui, le posizioni di dissidenza e la divaricazione fra una sinistra radicale parlamentare e una sinistra radicale di piazza, con uno sdoppiamento dei ruoli: le stesse persone, prima, si recano a Vicenza per protestare in piazza e, poi, mantengono posizioni di Governo e, comunque, posizioni istituzionali in questo Parlamento. Noi diciamo che i Turigliatto e i Cannavò hanno pienamente ragione nel sostenere le proprie tesi, perché sono coerenti con il mandato che gli elettori di centrosinistra hanno conferito loro sulle missioni internazionali, nonché sulle questioni dell'Afghanistan, della nostra presenza in Libano, delle basi militari, dei vincoli internazionali che il nostro paese ha liberamente contratto in adesione a coalizioni internazionali con mandato ONU (come nel caso dell'Afghanistan) e in ossequio ad alleanze internazionali, come la NATO, cui apparteniamo. Pertanto, quando in Parlamento emergono queste posizioni, le dobbiamo pienamente rispettare. È il centrosinistra ad essere in contraddizione, perché ha preso i voti di queste fasce di elettorato e, adesso, si trova in Parlamento a subire il dissenso di questi parlamentari. Quando ci si trova dinanzi a questo genere di contraddizioni si cercano delle vie di fuga, una delle quali è sicuramente la preannunciata mozione sull'oppio. Al riguardo, senza fare ironie (non so se facili o difficili), ma occupandoci del merito, anche l'Agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine ha espresso una posizione nettamente contraria. La soluzione di promuovere la vendita dell'oppio e di attuare una riconversione, utilizzando tale sostanza nelle terapie antidolorifiche, si è dimostrata non dico una bufala, ma una soluzione del tutto inconsistente per una serie di ragioni: perché l'oppio a fini terapeutici ha un costo molto più basso rispetto all'oppio illegale, perché in realtà c'è una sovrabbondanza di offerta rispetto all'effettiva domanda e, soprattutto, per un problema che si lega effettivamente a quanto sta succedendo in Afghanistan. In altri termini, vi è una sorta di parallelismo: nelle province in cui vi è una forte presenza talebana, in realtà vi è un incremento della produzione oppiacea; nell'altra metà del paese, nelle province dove si stanno attuando programmi di riconversione con la cooperazione internazionale, vi è una scarsa presenza dei talebani sul territorio. Quindi, la ricerca di soluzioni facili a noi sembra una posizione di tipo ideologico. Infatti, abbiamo visto la sorta di furore ideologico con cui sono attaccate tutte le iniziative sul territorio che vogliono far cooperare le attività militari con quelle civili, come se obbligatoriamente occorresse separare le iniziative per la ricostruzione civile da quelle per la presenza e per la sicurezza militare, e le prime non dipendessero da una cornice di sicurezza che soltanto le seconde possono assicurare. Relativamente al teatro di guerra Afghanistan, dobbiamo affrontare con estremo dolore e con grande rispetto le giuste reazioni emotive dell'opinione pubblica internazionale, compresa quella italiana, ed il fatto che il dibattito politico nel nostro Paese sia puntato sul problema delle vittime civili. In questi giorni vi sono stati due episodi, la cui responsabilità è stata addossata alle forze dell'alleanza internazionale guidata in Afghanistan dagli Stati Uniti, che hanno provocato vittime e fortemente colpito la nostra sensibilità. In conclusione, a questo proposito voglio ricordare che osservatori ed esperti hanno sottolineato come una delle tecniche utilizzate dalla guerriglia e dal terrorismo sia quella di ubicare le postazioni belliche presso case, mercati e negozi, ossia in mezzo alla popolazione civile. In tal modo, quando vi è una reazione ad un attacco terroristico, si provocano inevitabilmente vittime che cinicamente possono servire ad un tristissimo bellico internazionale.
. Onorevole Briguglio, la prego di concludere.
. Su questo punto basta ricordare le dichiarazioni rese dal Presente del Consiglio e dal ministro degli esteri in carica nel 1999. In tali dichiarazioni si ammise che, quando si verifica questo tipo di episodi e sono effettuate queste operazioni (stiamo parlando della guerra del Kosovo, quando i bombardamenti venivano ordinati da un Governo di centrosinistra, il cui Presidente del Consiglio si chiamava Massimo D'Alema), esiste la possibilità di provocare vittime civili, anche se venivano usati toni e contenuti diversi da quelli di oggi. Anche in base a queste riflessioni e a queste considerazioni, non faremo sicuramente mancare in Parlamento il nostro voto favorevole al decreto-legge in esame. Tuttavia, cogliamo anche l'occasione per sottolineare tutte le contraddizioni presenti nel Governo e all'interno della sua maggioranza.
. Avverto che in ordine alla questione relativa alla scomparsa dell'inviato in Afghanistan del quotidiano Daniele Mastrogiacomo, su cui l'onorevole Bonelli aveva chiesto al Governo di informare la Camera, il viceministro Intini ha comunicato alla Presidenza la propria disponibilità a rendere un'informativa urgente al termine della seduta odierna.
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, nella discussione generale di ieri ho già espresso i motivi in base ai quali il gruppo di Rifondazione Comunista esprimerà voto favorevole a questo provvedimento. Nell'insieme dei motivi, c'è una forte presenza degli elementi di criticità che da sempre noi abbiamo manifestato, rappresentato ed anche veicolato all'interno del mondo pacifista e nella società italiana, relativamente ad una vicenda militare di cui riconfermiamo il giudizio di fondo, relativamente agli aspetti di arbitrarietà e di illegittimità rispetto al diritto internazionale che la missione ha nel suo DNA originale. Nello stesso tempo, i motivi che ci spingono invece a votare a favore sono legati all'evoluzione del quadro interpretativo e delle preoccupazioni politiche che L'Unione, la coalizione al Governo che noi sosteniamo, è andata manifestando proprio in relazione a questa missione militare, che coinvolge l'Italia con un significativo numero di militari e un significativo investimento finanziario. Si è aperto un dibattito, si è aperta una discussione seria, che investe la politica e che rappresenta un punto importante del dibattito nell'Unione, ma anche nell'opinione pubblica più in generale. È soprattutto emersa la consapevolezza e la responsabilità di dover cercare una via alternativa al perdurare dell'impegno militare. Credo che la ricerca di soluzioni diverse da quelle militari, per porre fine ad un conflitto che altrimenti rischia di proiettarsi all'infinito, sia importante non soltanto in generale, ma anche in relazione a ciò che sta avvenendo concretamente in questi giorni. Siamo di fronte ad un salto di qualità nell' di violenza e di ricorso agli strumenti della guerra; peraltro una guerra asimmetrica, come ho detto anche ieri, una guerra che, da una parte, vede impiegata la più sofisticata tecnologia militare, da parte della NATO e dei comandi militari statunitensi, direttamente impiegati ancora in una parte importante del paese, e, dall'altra, vede la pratica terribile dei suicidi. Siamo di fronte al rischio di una di un processo di «irachizzazione» della vicenda afghana, come confermano e sottolineano continuamente molti analisti e come ha avuto anche modo di sottolineare, nell'intervista di oggi su il generale Fraticelli, ex Capo di Stato maggiore dell'Esercito, il quale mette appunto in evidenza il fatto che il rischio è ormai diffuso e tocca anche il territorio della provincia di Herat, sotto la tutela delle truppe italiane. Siamo quindi di fronte ad una situazione che richiede una svolta, un cambio di passo decisivo, che parli innanzitutto della volontà della ricerca di un disimpegno serio sul terreno militare. Vediamo invece una moltiplicazione, senza misura, dell'uso del ricorso allo strumento militare. Il ministro D'Alema ieri, di fronte al secondo episodio connesso alla violenta reazione dei comandi statunitensi agli attentati dei ha espresso disagio e perplessità per gli effetti terribili che questa reazione ha avuto nei confronti della popolazione civile. Io mi auguro e chiedo, a nome del mio gruppo, al ministro D'Alema che questo disagio, queste perplessità e queste critiche le rappresenti in maniera ufficiale agli alleati della NATO, con cui siamo impegnati, purtroppo - aggiungo -, nella gestione della missione militare in Afghanistan. Io credo che dobbiamo dire con chiarezza che si tratta di un uso dello strumento militare non soltanto illegittimo ed arbitrario, connesso alla natura della presenza delle truppe occupanti in Afghanistan, ma addirittura sproporzionato, il quale produce morti tra la popolazione civile ed innesca, altresì, un meccanismo nefasto di alimentazione del conflitto. Anche in questo caso, infatti, gli analisti hanno chiaramente sostenuto che, in tal modo, si instaura un meccanismo che induce ad accettare nuovamente, in tutta la vasta zona abitata dalla etnia l'egemonia dei . Siamo di fronte, in altri termini, ad un processo che rischia di rilegittimare la presenza dei in questa regione decisiva per il destino dell'Afghanistan. Di conseguenza, dal momento che i talebani non esitano ad avvalersi anche della collaborazione e dell'aiuto di gruppi appartenenti ad Al Qaeda, grazie all'uso spregiudicato dello strumento militare da parte della NATO e degli Stati Uniti, sussiste il rischio (ora mai attuale) che l'intera regione venga ridotta ad essere un «serbatoio di riserva» anche delle strategie dei gruppi terroristi. Credo che la stessa vicenda del giornalista de Mastrogiacomo - cui va la nostra solidarietà, esprimendo l'augurio che possa tornare presto in libertà (poi sentiremo cosa riferirà il viceministro Intini su tale vicenda) - debba essere inserita in un contesto che, come abbiamo visto in Iraq - e qui ci troviamo di fronte al problema della «irachizzazione» dell'area -, vede coinvolti i giornalisti, proprio per l'impatto che tali ostaggi producono nell'ambito della comunicazione mediatica. Desidero mettere in risalto, proprio di fronte all'inasprimento della situazione e all' del conflitto in Afghanistan, l'importanza dell'impegno assunto dal Governo italiano per organizzare, nei prossimi mesi, una Conferenza internazionale di pace per l'Afghanistan, che mi auguro venga confermato dal voto parlamentare. Auspico anche, ovviamente, che tale obiettivo venga perseguito, dal Governo italiano e dai ministri competenti con un «di più» di impegno, nonché con la volontà di imprimere una accelerazione. Mi auguro, altresì, che si vogliano ricercare in maniera rapida ed incalzante le alleanze e le disponibilità necessarie, presso tutte le sedi internazionali (l'ONU, l'Unione europea e la stessa NATO), affinché si compia effettivamente un passo importante in direzione della realizzazione di tale obiettivo. Vorrei aggiungere che la conferma di tale impegno da parte del Governo, nonché la possibilità che il Parlamento sancisca l'assunzione di questa responsabilità attraverso una deliberazione, costituisce la ragione di fondo per la quale il gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea voterà a favore della conversione in legge del decreto in esame. Si tratta di una scelta politica e non soltanto, come è accaduto a luglio, di operare per una «riduzione del danno». Ricordo, infatti, che, in quell'occasione, lavorammo molto a favore di una «riduzione del danno»: mi riferisco alla questione delle regole di ingaggio e dei . Si tratta di una questione sulla quale, anche in questa occasione, intendo comunque formulare alcune considerazioni. Infatti, nella situazione che ho testè descritto - dominata, come detto, dai comandi statunitensi, i quali non esitano a ricorrere ad un uso spregiudicato e sproporzionato dello strumento militare - non saremmo disponibili, ovviamente, a sopportare che i militari italiani vengano direttamente coinvolti in attività di guerra guerreggiata, come quella cui stiamo assistendo in queste ore. È una guerra, tra l'altro, che - lo ripeto - è assolutamente asimmetrica, tutta a vantaggio delle truppe NATO. Credo che il complesso degli elementi su cui si è lavorato e su cui il Parlamento e il Governo italiano si sono impegnati in questi mesi - resistendo il Parlamento e il Governo stessi alle pressioni della NATO affinché sostanzialmente i vengano o depotenziati o aboliti e vi sia la massima disponibilità da parte dei comandi della NATO ad utilizzare i nostri militari -, tutta la partita sul depotenziamento o la riqualificazione dell'impegno della cooperazione civile e, soprattutto, il tema della Conferenza internazionale per l'Afghanistan costituiscano un pacchetto che qualifica in maniera totalmente diversa la questione afghana. Non siamo più, grazie agli emendamenti, alle correzioni, alle discussioni e agli impegni che sono venuti maturando nel tempo, alla riconferma automatica di un impegno preso non si comprende bene come e perché, con quali tempi e con quali finalità, soltanto in ossequio all'appartenenza all'Alleanza atlantica dell'Italia, alla eterodirezione della NATO da parte del Pentagono e ai dell'amministrazione Bush (ripeto: «amministrazione Bush» e non Stati Uniti). Siamo di fronte non ad una reiterazione pedissequa e automatica del tutto incompatibile con la portata e la natura della vicenda afghana, bensì ad una assunzione di responsabilità forte da parte del Parlamento e del Governo per studiare i modi con i quali uscire da questa vicenda, dal piano militare che sta comportando le tragedie che abbiamo sotto gli occhi, investendo piuttosto bilanci, risorse, uomini e donne in un aiuto effettivo a quel disgraziato paese. È questo il senso degli emendamenti che abbiamo aiutato ad elaborare, questi sono i motivi che ci spingono al voto, con l'augurio che il risultato parlamentare del voto possa confermare e sollecitare fortemente il Governo verso questa direzione .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
. Presidente, mentre proseguiamo l'iter del disegno di legge di conversione del decreto-legge al nostro esame, è opportuno chiarire che l'intera linea di politica estera, portata avanti dal Governo Prodi, rischia seriamente di entrare in crisi nei prossimi mesi ancora sull'Afghanistan. Finora, sia Prodi che D'Alema hanno infatti basato la propria condotta sull'assunto che il territorio afghano sia di fatto diviso in due zone, una relativamente tranquilla e pacifica, dove non si svolgerebbero operazioni di combattimento e dove sono di stanza anche i soldati italiani, e un'altra invece più critica, all'interno della quale i militari statunitensi, britannici, olandesi e canadesi si confrontano ogni giorno con le bande dei talebani e dei loro fiancheggiatori. Anche a Riga, in ambito NATO, e proprio sulla base di questo assioma, l'Italia ha confermato il proprio impegno a Kabul e a Herat, negando al contempo agli alleati atlantici la rimozione dei limiti geografici posti dal nostro Governo all'impegno dei nostri soldati. Tale posizione è valsa a preservare un discreto margine di consenso all'Esecutivo, ma l'equivoco sul quale si regge potrebbe essere presto travolto dagli sviluppi sul campo. In effetti, la guerriglia guidata dai talebani ha iniziato lo scorso 2 febbraio la temuta offensiva di primavera che dovrebbe raggiungere il suo apice tra maggio e luglio. Secondo le indiscrezioni che i capi del movimento estremista NATO hanno fatto trapelare, l'attacco verrebbe condotto questa volta in non meno di sette province afgane, contro le tre che vennero investite nel 2006. Vi parteciperebbero alcune centinaia di aspiranti terroristi suicidi e migliaia di miliziani islamismi, questi ultimi divisi in formazioni di diverse decine di uomini che assumerebbero il controllo di singoli villaggi e li abbandonerebbero prima del ritorno in forze degli alleati atlantici. L'obiettivo politico generale pare duplice. Sul piano interno afgano, i talebani vogliono convincere i loro connazionali che il Governo di Kabul sta perdendo terreno invece di guadagnarne mentre, sul piano internazionale, mirano a provocare defezioni tra gli Stati membri della NATO. Le loro probabilità di successo non sono trascurabili, perché è sempre più chiaro che il movimento talebano si giova di importanti sostegni esterni. Il grave attentato condotto contro la munitissima base aerea di Bargam, alle porte di Kabul, dove soggiornava il Vicepresidente americano, Dick Cheney, è senza dubbio un significativo segnale di allarme, poiché è stato organizzato e portato a termine in un brevissimo arco di tempo in una zona che i militari di Washington presidiavano con grande attenzione. Da più parti si sospetta che una soffiata dell' pakistana, durante lo svolgimento della visita a sorpresa resa dal numero due dell'amministrazione Bush al Presidente Musharraf, avrebbe avvertito la talebana dell'imminente visita. Ancora meno rassicuranti dovrebbero essere per il nostro paese i fatti che si sono svolti nelle ultime tre settimane nel quadrante occidentale dell'Afghanistan, dove le truppe della NATO sono al comando del nostro generale Satta. Baka, un piccolo villaggio del distretto di Farah, è stato occupato ed abbandonato per ben due volte dai talebani, prima che le truppe occidentali contrattaccassero. Sempre il distretto di Farah è stato inoltre interessato nei giorni scorsi da un attentato suicida, che ha fatto non meno di 2 morti e 40 feriti. Mentre più a nord, a metà strada tra Herat e i confini meridionali del quadrante affidato al nostro comando, proprio in concomitanza con la crisi del Governo Prodi, un ordigno telecomandato ha provocato la distruzione di un veicolo spagnolo facente parte di un convoglio di supporto ai nostri soldati e la morte di una soldatessa di 23 anni. È significativo che la difesa iberica e quella italiana abbiano fornito visioni differenti dell'accaduto. Secondo Roma le truppe italiane, che gli spagnoli stanno accompagnando e sostenendo, avrebbero fatto parte di un cosiddetto Cimic, vale a dire di un'unità a composizione mista, militare e civile, con compiti di cooperazione allo sviluppo. Per Madrid, invece, il convoglio colpito avrebbe appoggiato un nucleo delle forze speciali italiane che stavano svolgendo una delicata missione addestrativa. La differenza non è da poco! Verosimilmente, la versione spagnola è più veritiera di quella del nostro paese e, se le cose stanno così, l'immagine complessiva che inizia ad emergere è quella di un impegno militare italiano sempre più orientato verso le zone che rischiano maggiormente di subire gli effetti della probabile offensiva talebana. Gli analisti militari italiani - da Fabio Mini a Gianandrea Gaiani - osservano che il nostro contingente con base ad Herat non è armato come si dovrebbe; ad esempio, mancano i mezzi blindati e una copertura aerea degna di questo nome. Non si sta facendo nulla per rinforzare il dispositivo, mentre molti contingenti di altri paesi stanno mandando in Afghanistan anche i carri armati. I rischi di attacchi letali aumentano di giorno in giorno nell'indifferenza generale. Prodi, D'Alema e Parisi ostentano ottimismo, ma la verità è che il 2007 potrebbe essere veramente l'anno della svolta per l'Afghanistan. Da un lato, i talebani cercano la loro vittoria, dall'altro, la NATO persegue un successo decisivo che somiglia molto da vicino a quello vanamente chiesto da Gorbaciov all'armata rossa nel lontano 1985. Oggi come allora, infatti, i contingenti stranieri inviati in Afghanistan si trovano all'apice della loro forza. L'insuccesso dei sovietici spianò la strada alla vittoria dei ; occorre evitare, dunque, che la storia si ripeta. Per gli uni potrebbe rivelarsi molto importante anche solo produrre la defezione dal conflitto dell'Italia o della Spagna, mentre per l'Alleanza atlantica è imperativo non perdere terreno. Da qui le insidie. L'attacco talebano contro di noi non può essere escluso perché è potenzialmente ad elevatissimo rendimento: porterebbe il conflitto nella nostra area di competenza compromettendo la linea finora sostenuta pubblicamente dal Governo Prodi e forse obbligando il nostro paese a lasciare l'Afghanistan. D'altra parte, anche la NATO ci chiede di fare di più. Siamo nel mezzo e, in guerra, questa non è mai una buona cosa! Nel frattempo, sviluppi potenzialmente interessanti si sono manifestati anche nella regione del golfo persico. Gli Stati Uniti hanno adottato da gennaio una strategia decisamente aggressiva nei confronti delle milizie sciite, sostenute da Teheran, che imperversano nelle regioni centrali e meridionali dell'Iraq. Sono poi accaduti diversi e strani fatti all'interno del territorio della repubblica islamica, nell'ambito del quale i cari al presidente Ahmadinejad, hanno subito almeno tre attentati terroristici nelle zone iraniane popolate dai curdi. Probabilmente in Iran sono entrati agenti americani che starebbero lavorando alla destabilizzazione del regime attraverso la modifica degli equilibri politici interni al sistema, anche se non è chiaro con che tipo di successo. Ahmadinejad, comunque, non è tranquillo: per questo motivo egli sembra più disponibile a trattare almeno riguardo all'Iraq. Una conferenza diplomatica ad alto livello riunirà americani, iracheni, siriani e iraniani; in quella sede Washington valuterà l'atteggiamento che il regime di Teheran intende assumere nei prossimi mesi. Si chiarirà se le pressioni sono state sufficienti od occorrerà, invece, aumentarne ulteriormente la dose. Nel frattempo, Ahmadinejad ha visitato anche Riad, la capitale che ha determinato, più di ogni altra, il recente capovolgimento delle alleanze etnico-confessionali strette dagli Stati Uniti in Iraq. L'opinione pubblica iraniana internazionale teme che il presidente Bush voglia scatenare una guerra contro l'Iran entro il 2008 per arrestarne il programma nucleare. L'ipotesi non è ancora del tutto realistica, ma gli americani si stanno dando da fare perché il maggior numero di persone creda all'eventualità di un attacco. Il fatto stesso che l'opzione militare sia stata per la prima volta gettata sul terreno prova che qualcosa è cambiato nell'approccio di Washington all'intero . Le minacce danno forza, infatti, ai negoziatori: vedremo dove e su quali basi il compromesso verrà raggiunto. Mi voglio poi soffermare su alcuni aspetti della politica estera che sembrerebbero essere scollegati da questo provvedimento, ma che invece, per diversi motivi che analizzeremo in seguito, in qualche modo dovremmo affrontare al più presto. Mi riferisco soprattutto a Putin e al comportamento della Russia sempre più lontana dall'Occidente. In molti settori del sistema politico del nostro paese si tende ad immaginare la Russia come fosse ancora dominata da che guardano agli Stati Uniti e ai paesi dell'Unione europea come modelli cui ispirarsi per modernizzare lo Stato e l'economia. Purtroppo non è più così ed è probabile che il nuovo corso della politica estera russa finisca, prima o poi, per diventare un ulteriore terreno di scontro per il nostro paese, l'Europa e l'America stessa. A Mosca, infatti, prevalgono adesso nuove e vecchie concezioni che considerano la Russia come una potenza strutturalmente antagonista all'Occidente e si auspica la saldatura di un grande blocco bicontinentale di contenimento degli Stati Uniti. La visione che molti hanno - soggetti appartenenti sia al centrosinistra sia al centrodestra - è invece ancora quella che venne veicolata a suo tempo da Berlusconi, il quale trasse profitto dalla convergenza di interessi stabilitasi tra Mosca e Washington nell'ambito della lotta al terrorismo internazionale per giocare, in chiave antitedesca e antifrancese, la carta del rafforzamento dei rapporti bilaterali sia con l'America sia con la federazione Russa. Il culmine di quella politica fu senz'altro rappresentato dal vertice atlantico di Pratica di Mare, che sfociò nel consiglio congiunto NATO-Russia del 28 maggio 2002. Washington combatteva il jihadismo internazionale e Putin era riuscito ad agganciare anche i ceceni al nutrito novero dei nemici dell'Occidente: ora, però, le cose sono cambiate. La strategia dell'abbraccio fra il nostro paese, l'America e la Russia ha definitivamente ceduto il campo ad un nuovo disegno politico, di cui soltanto adesso iniziano a chiarirsi i contorni. Per isolare il suo paese da possibili moti rivoluzionari, Putin ha innanzitutto restaurato la cosiddetta verticale del potere, stroncando preventivamente qualsiasi tentazione autonomista o liberale che poteva sorgere in alcune repubbliche federate più esterne. In questo modo, la Russia è stata impermeabilizzata rispetto ad ogni ipotetico tentativo di destabilizzazione condotto attraverso fondazioni ed organizzazioni non governative appoggiate dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei. Ristabilita l'influenza di Mosca, la federazione russa ha iniziato ad usare l'energia - Gazprom - manipolando i prezzi delle forniture per indurre a più miti consigli i governi della Georgia e dell'Ucraina e, successivamente, stringendo importanti accordi con i principali Stati europei che ora dipendono, in misura significativa, dal metano russo. I risultati colti da Putin, da tale punto di vista, sono stati sensazionali; la rivoluzione arancione è stata rapidamente rovesciata dal momento che oggi, a Kiev, comanda Yanukovich, divenuto Primo ministro; si tratta proprio del candidato filorusso che era stato sconfitto alle ultime presidenziali da Victor Yushchenko. A Tbilisi, invece, il tentativo promosso dal presidente georgiano di recuperare il controllo dell'Ossezia del sud servendosi della NATO è naufragato miseramente. Dunque, la controffensiva di Mosca si è sviluppata anche in Asia centrale, regione nella quale l'influenza americana è diminuita sensibilmente negli ultimi due anni dopo l'espulsione militare statunitense dall'Uzbekistan e nella quale, inoltre, la presenza europea non è mai stata notevole, a dispetto delle ingenti risorse energetiche ricevute. La suddetta controffensiva ha più recentemente raggiunto il Medio Oriente, il Sudamerica e l'Africa dove i russi sono tornati a farsi vedere dopo quasi venti anni di assenza. Soldati della Federazione russa si sono visti in Libano dopo il conflitto della scorsa estate; si trattava di alcune centinaia di ingegneri, ma il senso della novità politica è rilevante se si pensa ai trascorsi di Mosca nella regione. Tecnici russi assistono, inoltre, gli iraniani nel tentativo di sviluppare un programma nucleare nazionale e forse, in futuro, faranno altrettanto con i sauditi. Missili antiaerei di buona qualità sono stati infine venduti tanto agli iraniani quanto ai venezuelani. In sintesi, la diplomazia russa si è riproposta nella collocazione globale antagonista propria di quella sovietica seppure, questa volta, senza copertura ideologica; naturalmente, un ritorno al vecchio ordine bipolare è improbabile, stante l'apparizione sulla scena internazionale dei giganti asiatici. Si ha piuttosto l'impressione che la Russia si stia candidando ad essere uno dei maggiori centri di potenza sui quali verrà costituito l'ordine internazionale. A seconda dei teatri interessati dalla politica di Mosca, l'azione russa sarà prevalentemente antiamericana o anticinese; evidentemente, in Asia centrale la partita che conta è ormai quella con Pechino, seppure non manchino le situazioni nelle quali russi e cinesi cooperano attivamente in vista del comune obiettivo dell'allontanamento degli americani dal cuore dell'Eurasia. In Europa, invece, la competizione è chiaramente con Washington. Ciò detto, ritengo dunque che, al di là del fatto che non si possa in alcun modo abbandonare una politica filoatlantica collocata all'interno della NATO, il nostro Parlamento si debba preparare per tempo a gestire la propria politica estera al fine di garantire gli interessi del nostro paese sotto i profili sia della sicurezza sia della crescita economica.
. Deve concludere...
. Come si può capire, gli scenari sono complessi ed in continua evoluzione. Tuttavia, noi della Lega Nord riteniamo che in politica estera non si possa più sbagliare. È dunque bene riflettere prima di prendere qualsiasi decisione; avremo tempo per farlo nelle sedi opportune, nelle Commissioni affari esteri di Camera e Senato. E lo possiamo fare assieme !
. La Presidenza e l'Assemblea salutano gli alunni ed i docenti del liceo scientifico Allegretti di Vignola, in provincia di Modena, e dell'Istituto comprensivo di Atina, in provincia di Frosinone Ha chiesto di parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che questa occasione sia importante anche per riassumere alquanto il percorso che in questi nove mesi ha caratterizzato l'indirizzo di politica estera del Governo Prodi. Partirò dal concetto di continuità e discontinuità. Il Governo Berlusconi, con grande impegno e credibilità, ma anche con grande determinazione e capacità, ha perseguito una linea di politica estera che ha fatto crescere il nostro paese rafforzando la nostra "riferibilità". Soprattutto, ha ottenuto il riconoscimento della crescita del nostro paese quanto a politica estera e di difesa. Una politica che ha salvaguardato sempre e in ogni caso, dovunque abbia trovato applicazione, non solo il dettato della nostra Costituzione ma anche e soprattutto i principi di cooperazione e quelli umanitari. Principi che hanno concretizzato, nei territori difficili e complessi afflitti dalla guerra, la possibilità di realizzare un'alternativa progettuale. Era necessaria un'alternativa progettuale che guardasse alla crescita delle istituzioni, a processi di avvio della democrazia, a libere elezioni in sistemi che hanno vissuto la dittatura, la violenza ed il terrore. Era necessaria un'inversione di tendenza per ridare la speranza a popoli in cui gli uomini e le donne, condannati, fino ad allora, all'emarginazione, alla povertà ed al degrado culturale, non potevano essere considerati cittadini. Tutto ciò è stato fatto mediante provvedimenti che hanno preceduto l'avvento del Governo Prodi. In particolare, l'uscita graduale dalla missione in Iraq era già stata decisa dal ministro Martino e dal Governo Berlusconi. Ebbene, il Governo Prodi comincia il suo percorso rivendicando di avere impresso alla missione in Iraq un'inversione di tendenza. Ciò ha consentito al ministro degli esteri D'Alema ed a Prodi di affermare reiteratamente che è stata realizzata una discontinuità rispetto alla politica estera del precedente Governo. Colleghi, io vi invito a riflettere su un dato. In questi nove mesi, non avete mai parlato di politica estera, ma sempre di politica interna, dei rapporti all'interno di una maggioranza che è divisa, che non è pronta - così come non lo era al momento delle elezioni - ad assumersi la responsabilità di dare a questo paese una continuità dai punti di vista del senso di responsabilità e della credibilità. Tutto questo è fallito! Il vostro fallimento diventa ancora più grave nel momento in cui il presidente della Camera, Bertinotti, mutuando una locuzione molto di moda in questi giorni, parla della necessità di maggioranze variabili. Comprendiamo la necessità, per il presidente Bertinotti e per il suo partito, di non essere costretti continuamente ad espellere deputati onesti, trasparenti e coerenti rispetto al consenso che hanno ottenuto. Comprendiamo la necessità di dare giustificazione ad un'opposizione interna alla maggioranza, ma non vogliamo assolutamente coprire questo tipo di atteggiamento: noi non siamo disponibili in alcun modo a realizzare maggioranze variabili che tendano a sostenere un Governo che non ha più maggioranza! Per quanto concerne le missioni internazionali, noi siamo sempre stati convinti - e continuiamo ad esserlo - che le missioni di pace guardano all'obiettivo di dare ai popoli la libertà, la speranza che non ne sia decretata in anticipo la «morte» e che la loro crescita non dipenda dalle decisioni di chi si identifica con il male, con il terrore. Non dimentichiamo l'11 settembre! Non dimentichiamo i morti di Nassiriya ! Evitiamo che i nostri valori, la nostra bandiera e la nostra identità vadano dispersi! Allora, colleghi, proviamo a riflettere seriamente sui problemi reali e proviamo a calarci nella realtà odierna dell'Afghanistan. Proprio ieri, vi sono stati altri morti tra i civili. In un teatro d'azione sicuramente difficilissimo, noi avevamo avviato un progetto basato sulla cooperazione civile - è questa l'unica possibilità effettiva - del Ministero degli esteri e sulla necessità di attuare progetti in tale campo (e le necessità, in quel paese, sono tantissime). Come si fa ad accettare che, in questa fase, non vi sia alcuna destinazione di risorse per tali progetti? Come si può sbandierare la discontinuità, quando i nostri militari sono lasciati senza possibilità di tutela e di garanzia? Abbiamo veramente capito quale situazione difficile, complessa, esiste in Afghanistan oggi? Pensiamo ai talebani, ai signori dell'oppio... E qui apro una parentesi: voi volete legittimare un traffico che è sicuramente illecito e illegittimo; voi volete legittimare la possibilità che i soldi che derivano da queste forniture vadano poi a sostenere i terroristi e i talebani! Voi volete sostenere l'80 per cento della produzione mondiale di oppio, che alla fine viene realizzata per un motivo solo: per far sì che, per quel popolo, quella condizione, quella miseria non abbia alternativa; per far sì che la formazione, la scolarizzazione, la possibilità di un'istruzione, la possibilità di aprire gli occhi, vengano minate per sempre, così come lo sono continuamente in quel territorio! Noi non possiamo e non vogliamo sottacere questi aspetti, noi non possiamo e non vogliamo certamente dimenticare che abbiamo un compito, un compito importante, così in Afghanistan come in Libano, così come in tutte le altre parti del mondo. Qui va il nostro apprezzamento a quegli uomini coraggiosi, a quegli uomini impegnati, a quegli uomini che vestono la divisa, a quegli uomini che sicuramente portano avanti progetti civili; a loro va il nostro apprezzamento, per il coraggio, per la responsabilità e per l'impegno che ancora di più oggi devono sostenere, nel momento in cui non sono sostenuti a loro volta da un Governo che dia loro certezze, da un Governo che in maniera unitaria parli lo stesso linguaggio, da un Governo che possa conferire un senso ad una valutazione che riguarda soprattutto l'essere in qualche modo convinti che la nostra battaglia non può avere cedimenti. Il sistema del terrore di Al Qaeda, dei talebani, oggi legato a quello dei trafficanti di oppio, va smantellato, ma come fare? Va smantellato inserendosi nel contesto legislativo di quel paese, inserendosi nel tessuto sociale, culturale ed economico di quel paese e rendendo finalmente concreta la possibilità che due popoli straordinari, come quello di Israele e quello della Palestina, non vengano fagocitati e sostenuti a loro volta - sicuramente in maniera ormai pericolosissima - da altri stati, come l'Iran. Cosa fa il Governo Prodi, che parla tanto di attivazione e di diplomazia, che parla tanto della necessità di cooperazione, nel momento in cui si reca in quei territori e va a braccetto con gli esponenti di Hezbollah? Va a trovare i terroristi ! Va a fomentare situazioni che sicuramente poi, in qualche modo, trovano riscontro nelle piazze, nel momento in cui vengono bruciate le divise, nel momento in cui risuonano inni del tipo «dieci, cento, mille Nassiriya»! Questa è la politica estera che questo paese può avere! Io so che tali parole infastidiscono, perché voi vorreste anche la maggioranza variabile rispetto a questa vergogna. Noi non ve la daremo mai, mentre convintamente, non per dare un sostegno a questo Governo, ma per marcare la differenza rispetto ad esso, cercheremo di realizzare le condizioni per procedere ad approfondimenti e valutazioni nel corso del dibattito. Ecco perché abbiamo chiesto che quell'articolo che avete inserito oggi in questo provvedimento, venga modificato. Ecco perché noi non vogliamo che il rifinanziamento sia disposto per la durata di un anno: perché vogliamo discutere nell'aula, vogliamo discutere nel paese; non vogliamo, anche in questo caso, darvi l'opportunità di fare a meno per un anno della necessità di capire, anche al vostro interno, cosa pensate nell'interesse del paese e di delineare conseguentemente una politica estera per il paese
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gamba. Ne ha facoltà.
. Signora Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea è certamente di grande importanza, anche se per gran parte dei suoi articoli è assolutamente identico rispetto a tutti i provvedimenti precedenti di progressiva e temporanea azione riferita al rifinanziamento delle missioni internazionali militari, che il nostro paese ha intrapreso in tempi diversi. Per alcune di queste missioni ormai si risale addirittura a decine di anni, mentre altri provvedimenti di questo tipo sono stati avviati, in particolare, nella scorsa legislatura. Quello al nostro esame ha come unica vera differenza la validità in termini temporali. Infatti, come sanno bene i colleghi che hanno esaminato questo testo nelle Commissioni riunite esteri e difesa, ci troviamo di fronte ad un decreto-legge, che autorizza la proroga della missione per il solo anno in corso, ossia il 2007. Al di là di questa differenza e del fatto che non è naturalmente più contemplata la parte militare riferita alla missione in Iraq, di cui nell'ultimo provvedimento adottato dal Governo Berlusconi era stata preannunciata una progressiva conclusione, a cui invece si è arrivati in fretta e furia, perché così imponevano le pagine della famoso megaprogramma dell'Unione, ma è evidentemente compreso il prolungamento delle voci riferite alla iniziata missione in Libano, tutto il resto è sostanzialmente identico. Vi sono stati, tuttavia, alcuni di tentativi di inserimento di determinate parti, abortiti nel corso dell'esame da parte delle Commissioni riunite. Si parla di ordini del giorno che sono stati presentati, che sono stati successivamente ritirati e che potrebbero essere riproposti al termine dell'esame dell'articolato. Sono proprio questi gli elementi che contraddistinguono, in maniera estremamente negativa, la cornice in cui si inserisce la discussione di questo ramo del Parlamento su un provvedimento fondamentale, perché riguarda la dignità della nostra patria, il mantenimento degli impegni internazionali assunti da diversi governi in tempi diversi, ma con uno stesso senso di responsabilità e che oggi vengono messi quotidianamente in discussione proprio da quella che dovrebbe essere la maggioranza che sostiene il Governo Prodi. Credo che ormai non sfugga ad alcuno che non vi è condivisione sulle linee di politica estera di questo Governo da parte di quella che dovrebbe essere la sua presunta maggioranza. Ciò è stato palesemente, ampiamente, clamorosamente dimostrato nel corso della discussione sulle linee di politica estera avvenuta al Senato della Repubblica, che si è conclusa, come sappiamo bene, con il voto negativo di alcuni senatori, che invece dovrebbero sostenere questo Governo e questa maggioranza. Al di là della clamorosa bocciatura che era avvenuta precedentemente sulle linee di politica di difesa (guarda caso, sulla di tutto ciò che dovrebbe essere ispiratore di questo provvedimento in esame: la politica estera e la politica di difesa, ancora più enfatizzate, perché sintetizzate in un'unica grande questione riferita alla partecipazione italiana a molte missioni internazionali, militari ed umanitarie!), credo che la situazione nella quale ci troviamo a discutere il provvedimento oggi sia surreale. Siamo di fronte a questa continua riproposizione di balletti da parti di gruppi o di esponenti di gruppi di quella che ormai viene chiamata un po' eufemisticamente la sinistra radicale, che in realtà è sinistra estrema, comunista, perché sostanzialmente e prevalentemente costituita da due gruppi parlamentari, che hanno questo aggettivo nel proprio nome, nella propria definizione politica. Continuiamo ad assistere a questi balletti vergognosi - perché purtroppo di ciò si tratta - riguardo alla gestione reale della politica estera e di quella di difesa. L'iter di questo provvedimento è già caratterizzato proprio da questa situazione surreale. Molti colleghi hanno già ricordato, sia in sede di discussione sulle linee generali, sia in questi primi interventi sul complesso degli emendamenti, che abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a questo gioco delle parti, per cui il Governo, nella persona dei ministri della difesa e degli affari esteri, cerca quotidianamente di inventarsi qualche espediente, qualche palliativo, qualche carota da buttare ai gruppi dell'estrema sinistra affinché questi ne possano far uso come giustificatori del loro atteggiamento, che vorrebbe essere contrario, ma non può esserlo altrimenti il Governo ancora una volta dimostrerebbe la sua totale inaffidabilità in termini di politica estera. Abbiamo assistito a questi espedienti, per certi versi ridicoli e puerili se non fossero per altra ragione tragici, come quello dell'inserimento nel corso dell'esame parlamentare della scandalosa previsione di attività di acquisizione ufficiale di oppiacei e sostanze stupefacenti prodotte nel territorio afgano, che, come è noto a tutti, è gravato da questa situazione pesantissima perché gran parte dell'economia di quel paese devastato è ancora basata sul commercio e sulla coltivazione di queste sostanze. Erano stati presentati e approvati emendamenti che prevedevano un impegno da parte dello Stato italiano all'acquisizione di parte di queste produzioni per dei fantomatici e non meglio precisati utilizzi terapeutici. Al di là di tutte le discussioni più volte riproposte quando si è parlato delle questioni inerenti la lotta agli stupefacenti o la collaborazione alla diffusione degli stupefacenti, come per altri versi è più congeniale ad alcuni gruppi del centrosinistra, è chiaro che non si può neanche ipotizzare che uno Stato facente parte della comunità internazionale, che dovrebbe essere uno dei principali fautori della rinascita dell'Afghanistan nelle sue forme più democratiche e più meritevoli di apprezzamento, possa diventare una specie di ricettatore legalizzato di sostanze, il cui uso non può che essere illecito. Si è poi parlato della previsione di un'altrettanto fantomatica conferenza di pace, sempre sull'Afghanistan, il tema su cui si concentra maggiormente l'attenzione nell'ambito della sedicente maggioranza. Non si capisce bene da chi e come dovrebbe essere organizzata, quali attori dovrebbero parteciparvi. Generalmente le conferenze di pace si promuovono tra gli stati della comunità internazionale, fra parti contrapposte, quando vi sono frazioni o stati che si trovano su fronti contrapposti, per evitare di precipitare in conflitti bellici o per risolvere, interrompere o promuovere il cessate il fuoco. Naturalmente queste conferenze possono essere organizzate avendo le parti in conflitto quantomeno l'intenzione di parteciparvi. Vorremmo capire, perché non mi sembra che sia stato sufficientemente indicato, chi dovrebbe partecipare a questa fantomatica Conferenza per la pace in Afghanistan. Certamente dovrebbero farlo tutti gli stati che fanno parte della vasta alleanza autorizzata dall'ONU per la guerra al terrorismo internazionale, ma saranno invitati anche gli esponenti del terrorismo di Al Qaeda, che sarebbe una controparte in questa sorta di ricerca della pace in un conflitto, piuttosto che i capi dell'organizzazione talebana, altra sorta di controparte in questa non meglio identificata e fantomatica ricerca della pace? Quest'ultima non può sicuramente essere individuata in una Conferenza unilaterale, altrimenti si farebbe un altro tipo di appuntamento internazionale e si creerebbero le premesse - come, invece, sarebbe assolutamente necessario - ad esempio per promuovere delle iniziative più efficaci per il miglioramento e la sostituzione di quelle vaste coltivazioni di oppiacei con altri tipi di produzioni. L'Italia e questo Governo in questo senso hanno giustamente vantato l'importanza di essere attualmente membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Un'iniziativa che potrebbe veramente caratterizzare il nostro paese e la sua azione diplomatica e politica a livello internazionale sarebbe quella di una forte promozione a livello internazionale di nuove iniziative, oltre a quelle che già sono state assunte, in ordine alla sostituzione delle coltivazioni di oppio illegale in Afghanistan con altre produzioni legittime. Ci troviamo viceversa a questa indicazione, che poi trova qualche aspetto quasi comico se, ripeto, non fosse tragico. Infatti, per trovare il modo di far risultare l'indicazione della successiva promozione della Conferenza internazionale di pace sull'Afghanistan si stabilisce uno stanziamento per farla rientrare nel decreto, che altrimenti non avrebbe potuto contemplare questa situazione, atteso che si tratta di un decreto di rifinanziamento e di proroga di missioni esistenti. Allo stesso modo abbiamo trovato altre situazioni molto poco commendevoli, che pare saranno riproposte attraverso ordini del giorno, in quanto successivamente soppresse tramite emendamenti proposti dagli stessi relatori, che in precedenza avevano evidentemente ritenuto di accogliere queste proposte emendative, che, come si è poi verificato, non potevano stare dignitosamente all'interno del provvedimento.
. Tutta questa serie di palliativi e di «zuccherini» lanciati dall'altra parte sono accolti dagli stessi destinatari come gli strumenti attraverso i quali poter sostenere, essendo tutti ben consci della finzione che questo comporta, l'estrema discontinuità che caratterizzerebbe a questo punto la politica estera e di difesa del Governo Prodi rispetto a quelli precedenti. Tutto questo è un vero infingimento perché, al di là delle questioni riferite all'Iraq su cui ci siamo molti divisi, per tutto il resto le missioni rispetto a prima continuano con le stesse modalità e sostanzialmente con le stesse configurazioni in termini anche quantitativi - quindi, di risorse economiche destinate - e poco può cambiare l'inserire qualche citazione in più, qualche decina o centinaia di migliaia di euro in più, riferite all'ambito della cooperazione piuttosto che a quello umanitario, per svolgere un'azione di cosmesi, quasi a voler far sembrare che si tratti di tutt'altra cosa.
. La prego di concludere.
. Tutto ciò è ancora la riproposizione della situazione nei termini drammatici nei quali ci troviamo, in cui il Governo in carica non dispone di una propria maggioranza autonoma in politica estera e si trova nella necessità - che certamente verrà dai banchi del centrodestra perché in questo caso la continuità è evidente nell'azione quotidiana rispetto a quella precedente - di acquisire voti favorevoli a questo provvedimento. Noi vogliamo vedere che cosa accadrà nelle prossime ore non soltanto presso il Senato della Repubblica, ma anche in quest'Assemblea, quando bisognerà votare su alcuni punti. Allora, vedremo quale sarà la tenuta di questa maggioranza, per quanto essa sia ampia, grazie al premio che ha conseguito.
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boniver. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, dopo la caduta del Governo Prodi, avvenuta qualche giorno fa proprio su questioni di politica estera e di difesa, la discussione che ci impegna quest'oggi, relativa alla conversione in legge del decreto-legge di proroga dei finanziamenti per le missioni militari italiane all'estero, assume un carattere del tutto particolare. Infatti, all'interno del provvedimento è stata mimetizzata nel miglior modo possibile - se ne capisce anche il motivo - la disposizione relativa al rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, che si trova su quel territorio sotto l'egida dell'ONU e della NATO. Dico subito che noi ci siamo impegnati a sostenere tale missione. È noto, infatti, che la nostra posizione sarà quella di un voto favorevole al rifinanziamento, innanzitutto perché l'Afghanistan rappresenta una priorità assoluta nell'agenda di qualsiasi paese europeo impegnato con militari e mezzi civili in quel teatro difficilissimo. Credo, tuttavia, che in nessun altro Stato europeo la discussione attorno a questa priorità abbia assunto i toni, anche surreali, che ha assunto, invece, a casa nostra. Noi esprimeremo, quindi, voto favorevole, soprattutto per quel senso di responsabilità che sempre ci ha fatto esprimere a favore quando si è trattato di inviare personale militare italiano all'estero. Tale senso di responsabilità - lo dico con molto rammarico - appartiene soltanto a questa parte dell'Assemblea. Nel passato, abbiamo visto come su questioni analoghe - con riguardo non soltanto all'Iraq ma anche all'Afghanistan - l'opposizione di allora, che oggi costituisce la cosiddetta maggioranza, abbia sempre espresso voto contrario. La nostra discussione, tuttavia, si svolge sotto una triplice incognita. La prima di esse è costituita dalla sorte del nostro connazionale Daniele Mastrogiacomo, del quale si sono perse le tracce da oltre 48 ore. Questa circostanza ci causa una grande ansia perché sappiamo che in genere - speriamo che non sia così - la mancanza di notizie da un paese come l'Afghanistan è un segnale estremamente negativo. La seconda incognita, evidentemente, è costituita dalla discussione all'ordine del giorno del dibattito politico interno. Si tratta non tanto di quanto avverrà in questo ramo del Parlamento, ma di quanto accadrà al Senato in relazione al rifinanziamento delle missioni internazionali. Si potrebbe assistere, infatti, ad una specie di sortilegio - assolutamente negativo, nella nostra ottica - per il quale i nostri «pesanti» voti di responsabilità potrebbero entrare a far parte di quelle maggioranze variabili di cui molti parlano, quasi per esorcizzare un fantasma che non c'è e che non può essere sostituito: mi riferisco al fantasma della autosufficienza della maggioranza, la quale non è autosufficiente sui temi della politica internazionale, della difesa, delle pensioni e su molti altri argomenti importanti. Noi siamo, quindi, sotto questa incognita, cioè che i nostri voti possano essere considerati sostitutivi dei voti di una maggioranza assolutamente labile su argomenti di massima serietà e di massima urgenza. La terza incognita è la sottovalutazione costante della gravità della situazione del teatro afghano. Secondo le valutazioni del centro di studi strategici di Londra, un centro di grande prestigio, l'area di intervento dei talebani è aumentata di quattro volte negli ultimi mesi e, quindi, si può in qualche modo affermare che vi sono intere parti dell'Afghanistan sotto il ricatto costante delle rinnovate fazioni dei talebani, alleate, di volta in volta, con ciò che rimane di Al Quaeda, con i terroristi mandati dal vicino Waziristan e con estremisti di ogni sorta e di ogni colore. Costoro hanno fatto del teatro afghano una sorta di tiro al bersaglio, in alleanza - ben inteso - con i signori della guerra e della droga, per cercare di scoraggiare la presenza dei militari sotto l'egida della NATO. Gli attacchi, sempre secondo queste stime, sono passati da 1.347 del 2005 ai 3.824 dello scorso anno. Gli attacchi dei kamikaze - quest'arma assolutamente micidiale della cosiddetta «guerra asimmetrica» - sarebbero passati dai 18 del 2005 ai 116 del 2006. Gli attacchi contro le Forze armate afghane sono aumentati del 300 per cento, mentre quelli contro le truppe NATO sarebbero aumentati del 270 per cento. Riferisco questi dati soltanto per ricordare alcune delle considerazioni più preoccupanti relative ad un teatro di guerra non dichiarata, ma in continua espansione, che dovrebbe culminare con la cosiddetta offensiva di primavera e che vede quotidianamente sferrare attacchi non soltanto nella base di Bagram, qualche giorno fa, ma anche contro le postazioni degli americani della missione e contro la postazione italiana di Herat - per fortuna, con conseguenze molto lievi - che rappresentano, in realtà, una minaccia molto pesante. Per non parlare delle risposte da parte delle truppe militari, che hanno provocato deprecabilmente numerosi morti civili tra gli afghani, anch'essi vittime soprattutto della tecnica terroristica dei kamikaze. Queste cifre dovrebbero farci riflettere. Infatti, sul teatro afghano, che rappresenta, dal punto di vista dell'estensione territoriale, un paese più grande dell'Iraq, sono presenti 30 mila militari inquadrati sotto il comando della NATO e 12 mila militari americani inquadrati sotto la sigla . La comparazione di questi dati con i 162 mila militari delle forze multinazionali presenti in Iraq rappresenta, in modo drammaticamente chiaro, la sottostima e la sottovalutazione costante della vicenda dell'Afghanistan. Si aggiunga a tutto questo anche la debolezza intrinseca e ovvia del Governo centrale e quella di un'economia afghana che si è sì risollevata dopo trent'anni di guerra guerreggiata e di guerra civile e di devastazione, ma che è sottomessa all'imperio di un'economia che si basa soprattutto sulla produzione e sul traffico di oppio. Mancano, evidentemente, anche delle strategie viabili e credibili. Infatti, le strategie che riguardano i programmi di sradicamento dei campi di oppio sono lunghe e costose, e ancora non hanno trovato un approccio sistemico. Sono strategie che, probabilmente, necessiteranno di un lunghissimo periodo per ottenere quanto meno dei primi timidi risultati. A fronte di questo scenario, francamente molto inquietante e grave, il Governo, al fine di cercare di ottenere la mitica chimera dell'autosufficienza in politica internazionale, ha deciso di «fare ammuina» per quello che riguarda le ali estreme della sua barcollante maggioranza, mentre contemporaneamente fa la faccia feroce nei confronti degli Stati Uniti. Ancora oggi campeggiano su tutti i giornali italiani le parole molto serie e gravi che avrebbe pronunciato il nostro ministro degli affari esteri nei confronti della risposta militare contro gli attacchi sul teatro afgano. Inoltre, da quanto si apprende, il Governo vorrebbe approvare un ordine del giorno assai improbabile sull'acquisto dell'oppio da parte di organismi ufficiali, che potrebbe essere una sorta di panacea, l'uovo di Colombo, per arrivare ad una soluzione accettabile (non si capisce francamente da quale punto di vista). Non sto facendo del moralismo su un Governo che dovrebbe diventare il principale cliente e distributore di materiale illegale; ne faccio semplicemente una questione di opportunità. Mi sembra che l'opportunità, in questa materia, manchi totalmente da ogni punto di vista. Ulteriore questione: il Governo ci apparecchia una non meglio precisata (ancora ad oggi) Conferenza di pace, la attraverso cui spera di ottenere i risicati voti necessari al Senato della Repubblica. Intendiamoci: nessuno di noi può essere contrario ad una Conferenza di pace, ma vorremmo capire meglio di cosa si tratta esattamente, sempre che si tratti di qualcosa di sostanziale. Ci sono state, fino ad oggi, tre Conferenze internazionali che hanno visto sedere intorno ad un tavolo la comunità dei donatori e le agenzie dell'ONU. La prima si è svolta a Tokio nel gennaio 2002, la seconda si è svolta a Berlino nel 2004 e la terza si è svolta a Londra (l'Afghanistan Compact) proprio alla fine di marzo dell'anno scorso, praticamente un anno fa. L'Italia, quando nell'ambito di queste Conferenze è stata rappresentata dal precedente Governo, ha sempre orgogliosamente mantenuto i propri impegni, sia dal punto di vista sostanziale (per quanto riguarda il contributo civile e umanitario di cui quel paese ha ancora un disperato bisogno) sia quando, in altre sedi analoghe, si è trattato di mantenere il nostro impegno militare. La verità è che, contrariamente a quello che sembrerebbe, si è usata la lesina nei confronti dell'Afghanistan. Avremmo dovuto investire molto di più, anche se l'Italia è uno degli Stati che hanno maggiormente contribuito alla rinascita di quel paese. Siamo fra i maggiori paesi donatori, abbiamo assunto la per la ricostituzione di un sistema giudiziario che evidentemente era definitivamente collassato sotto il regime dei talebani, abbiamo compiuto una serie di sforzi molto preminenti, che andrebbero rinnovati, rafforzati e finanziati in modo assai più generoso rispetto a quanto viene proposto con questo provvedimento. Tali sforzi sono necessari, infatti, per mantenere in piedi il fragile edificio della prima apparizione della democrazia in un paese che in realtà non l'ha mai conosciuta, per combattere il narcotraffico e soprattutto la produzione dell'oppio. Tale sostanza trova infatti sbocco sul teatro europeo ed il 90 per cento della produzione in Afghanistan - primo produttore di oppio al mondo - viene poi distribuito sullo scenario europeo.
. Onorevole Boniver, la prego di concludere.
. Inoltre, questi sforzi sono necessari per rilanciare economicamente ed a breve la sopravvivenza di questo paese. Pertanto, chiediamo maggiori rinforzi militari, più aiuti economici e maggiore propensione a prendere sul serio l'Afghanistan e a non farlo diventare una sorta di chimera.
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di Alleanza Nazionale, come altri gruppi dell'opposizione, ritiene opportuno che questo provvedimento, oggi alla nostra attenzione, sia corroborato da un confronto significativo.
. Infatti, in questo decreto legge sono riunificate non solo simbolicamente, ma anche concretamente, tutte le missioni di natura internazionale che il nostro paese sta svolgendo da anni in vari quadranti internazionali. Quindi, si tratta di un'occasione significativa, al di là degli aspetti dialettici tradizionali tra maggioranza ed opposizione, per effettuare una verifica circa i criteri fondamentali della nostra politica estera, sia per ciò che concerne l'affidabilità complessiva di carattere unitario del sistema politico italiano su questi argomenti, sia per quel che riguarda la del collante unitario della maggioranza parlamentare di Governo in proposito. A questo riguardo, dopo gli interventi svolti in sede di discussione generale dal collega Gasparri e poco fa dai colleghi Briguglio e Gamba, il nostro gruppo a ragione ritiene di dover sottolineare l'eterogeneità delle analisi e delle prospettive che rende assolutamente precaria la nostra politica estera, interpretata in maniera così difforme ed oserei dire antagonistica tra le varie forze politiche che compongono la maggioranza. Onorevoli colleghi, ci stiamo sforzando nei nostri interventi di sottolineare la gravità di quanto sta accadendo nel nostro paese, dove il provvedimento di rifinanziamento della nostra missione internazionale, che dunque necessita di un forte mastice unitario per dotare di credibilità e solidarietà chi rappresenta in situazioni difficili ed in armi il nostro paese all'estero, finisce invece per essere elemento di divisione, se non di frantumazione, della maggioranza di Governo, creando una situazione difficile da gestire sotto il profilo della nostra credibilità internazionale. Ieri abbiamo assistito attoniti ad una serie di interventi svolti da esponenti dei partiti della maggioranza che si sono dilettati in interpretazioni totalmente differenziate sul senso e sulla lettera di questo provvedimento. Da parte del presidente Ranieri, relatore per la III Commissione (Esteri), abbiamo registrato una riflessione in cui si sottolineava la necessità - come si legge dal resoconto sommario - di procedere ad una rivisitazione della strategia seguita in Afghanistan, mediante un incremento delle risorse destinate alla ricostruzione economica e civile del paese, anche attraverso un'intensificazione della lotta al narcotraffico. Questa impostazione del collega Ranieri, relatore per la III Commissione, chiarissima nelle prospettive e largamente condivisibile da parte del mio gruppo, veniva così accolta in interventi successivi da parte di alcuni colleghi, segnatamente della collega De Zulueta del gruppo dei Verdi e del collega D'Elia de La Rosa nel Pugno. La collega dei Verdi auspicava che l'Esecutivo accettasse gli ordini del giorno da lei presentati, relativi alla produzione di oppio e al sostegno alla commissione indipendente per la tutela dei diritti umani, recentemente istituita in Afghanistan e legata alla precedente prospettiva. Il collega D'Elia, a nome del gruppo de La Rosa nel Pugno, dopo aver sottolineato l'esigenza che la nostra presenza affermasse comunque i principi della democrazia anche nei paesi nei quali sono ancora presenti regimi assolutisti ed illiberali, quasi interpretando la presenza militare italiana in una logica di impegno di civiltà, preannunciava anch'egli, in totale dispregio rispetto all'impostazione che il relatore aveva introdotto nel suo intervento in aula, l'esigenza in ambito internazionale addirittura di legalizzare le colture di oppio in Afghanistan, per consentire l'uso di tali sostanze nella produzione di medicinali oppiacei, invitando l'Esecutivo a muoversi in tal senso. Ora, salva la legittimazione di tutti i colleghi di ritenere opportuno impegnare, con ordini del giorno, in siffatte politiche il Governo, noi abbiamo plasticamente ed oserei dire clamorosamente registrato su un argomento essenziale, quale quello del senso della nostra presenza militare in Afghanistan, una maggioranza totalmente contrastante e bilingue che, mentre con il relatore sostiene un obiettivo, con significativi gruppi parlamentari della stessa maggioranza sostiene l'esatto opposto. Questo è un elemento preoccupante, colleghi, perché indebolisce la credibilità della nostra politica estera. Inoltre tale elemento fa pensare che la crisi registratasi dieci giorni fa attraverso un voto che in sede di Senato della Repubblica ha messo in minoranza la politica estera del Governo non sia superata, o meglio che sia superata da un punto di vista istituzionale e costituzionale la crisi di Governo ma non sicuramente la crisi del Governo, sotto il profilo della credibilità, della capacità dell'Esecutivo di esprimere in termini unitari una politica estera degna di tal nome e degna di un grande paese che ha rilevanti responsabilità sul quadrante internazionale, come l'Italia. Direi, colleghi, che il dibattito di ieri è stato esemplificativo di una difficoltà interna, per quel che riguarda non solo gruppi minori della maggioranza, ma anche il gruppo de L'Unione nel suo complesso, ossia gli elementi essenziali della maggioranza in tema di politica estera. La collega Bandoli ha chiesto una profonda riflessione sulla missione militare italiana in Afghanistan, una missione che, ancorché svolta sotto l'egida delle Nazione Unite, dopo sei anni non ha prodotto effetti! Colleghi, non ha prodotto effetti! Qui non siamo più di fronte all'esigenza di dotare la nostra politica estera di quelle caratterizzazioni multilaterali che sono state al centro della proposta politica in materia da parte dei partiti de L'Ulivo. Siamo di fronte, al contrario, alla contestazione perfino delle iniziative di natura multilaterale, intraprese sotto l'egida della NATO e delle Nazioni Unite, perché si è in presenza, colleghi - ecco il dato politico di fondo -, di un vizio di origine. Si tratta di un antiamericanismo, ideologico e culturale, che rappresenta, di fatto, la pregiudiziale sulla base della quale, con ottiche ideologiche distorte, questa maggioranza - o larga parte di essa - interpreta la politica estera del nostro paese! Vorrei rilevare che, su questo punto, ciò che è stato affermato dalla collega Bandoli e, a nome del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dalla collega Deiana è estremamente differenziato rispetto a quanto sostenuto dagli altri deputati della maggioranza. Ricordo che l'onorevole Pasqualino Giuditta, intervenendo nel corso della seduta di ieri su questi argomenti, ha riconosciuto, legittimamente e coerentemente, che la partecipazione italiana alle missioni internazionali in atto è pienamente conforme ai principi fissati dall'articolo 11 della Costituzione. Egli, inoltre, ha sottolineato come, attraverso le stesse, vi sia, nei fatti, un ruolo unitario dell'Europa, nel rispetto degli impegni assunti nell'ambito delle Nazioni Unite e dell'Alleanza atlantica. Ebbene, si tratta di un linguaggio completamente difforme rispetto all'interpretazione che settori maggioritari della coalizione di Governo danno, invece, ad un provvedimento che viene letto in termini di discontinuità rispetto alla presunta, originaria impostazione. Tale impostazione, al contrario, era stata intrapresa nel rispetto dei principi contenuti nell'articolo 11 della Costituzione ed in adesione agli impegni assunti dal nostro paese nell'ambito delle Nazioni Unite e dell'Alleanza atlantica. Colleghi, questo il gruppo di Alleanza Nazionale, nell'ambito del presente dibattito, voleva e vuole tuttora dire. Intendiamo sottolineare, infatti, l'esigenza che vi sia chiarezza, da parte del nostro paese, se si vuole essere credibili sul piano internazionale, se si desidera offrire seriamente solidarietà ai nostri militari impegnati all'estero e se si vuole comprendere sul serio, colleghi, che la politica estera non può esser interpretata sulla base di una logica di cortile e «provinciale», oppure in termini di mera dialettica tra le forze politiche. La nostra politica estera, invece, come noi reputiamo da destra, deve essere seriamente imperniata sulla sintesi di principi di interesse nazionale, nonché di valori universalmente riconosciuti, nell'ambito delle alleanze alle quali il nostro paese partecipa liberamente. Ricordo che nel suo intervento svolto in questa Assemblea, la settimana scorsa, nell'ambito della fiducia rinnovata al Governo Prodi, il presidente Fini ha sostenuto che i nostri militari in Afghanistan hanno bisogno di una solidarietà vera, autentica e corale da parte del nostro paese e del nostro popolo. Tale solidarietà deve essere espressa attraverso un reale «sentire comune», da parte di quest'aula, sui temi del e della nostra presenza militare sui quadranti internazionali. Mi dispiace oggi rilevare come il provvedimento in esame, per il modo in cui esso viene interpretato dalla maggioranza, venga strumentalmente utilizzato per demarcare confini di potere all'interno della coalizione di Governo. Si tratta di un'occasione perduta per esprimere, con forza, solidarietà ai nostri militari impegnati sia in Afghanistan, sia negli altri quadranti mondiali. Abbiamo ed avete perso una grande occasione per esprimere un senso di unità nazionale, interpretandola, ancora una volta, come mera e meschina questione di disunità politica a fini di potere! Il nostro voto sarà, signor Presidente e colleghi, ovviamente favorevole all'approvazione del provvedimento in esame perché, in tal modo, sosterremo le ragioni autentiche, vere e storiche della nostra presenza in questi quadranti difficili. Non si tratterà sicuramente di un voto a favore di chi ha interpretato il presente decreto-legge quale piccola questione di «guerricciola» interna alla maggioranza di centrosinistra, e non come una grande questione di unità nazionale !
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Grimoldi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, con la conversione in legge del decreto-legge oggi all'esame andiamo a rifinanziare quelle missioni internazionali a cui il nostro paese partecipa, che hanno la finalità di garantire anche la sicurezza nazionale, la quale - non dobbiamo dimenticarlo - passa inevitabilmente, piaccia o non piaccia, attraverso la sicurezza internazionale. Ebbene, tra le missioni vi sono quelle nei Balcani, in Libano, in Afghanistan, però sono soprattutto queste ultime due, in Libano e in Afghanistan, a sollevare maggiore attenzione da parte dei e maggior fermento da parte della politica. La missione in Libano è stata voluta e finanziata per garantire una forza di interposizione tra israeliani e Libano, a seguito della guerra dell'estate scorsa. Quello che noi del gruppo della Lega Nord non riusciamo a spiegarci, però, è per quale motivo siamo in Libano a svolgere una missione di pace, quindi siamo lì per la pace, ma non procediamo al disarmo di Hezbollah. È un interrogativo al quale sicuramente la maggioranza dovrebbe quanto meno tentare di rispondere: perché in Libano non si procede al disarmo? Perché siamo in Libano e, anzi, i terroristi di Hezbollah si stanno riarmando, alla faccia e nonostante la presenza dei nostri soldati su quel territorio? Non siamo lì - pongo la domanda - evidentemente a sostenere e a tutelare la pace e quindi a impedire il riarmo e la diffusione di altri armamenti da parte dei terroristi. Nonostante questo, le critiche maggiori di questa maggioranza, o almeno di ampie parti della sinistra massimalista che sostiene la maggioranza, vanno viceversa verso la missione in Afghanistan. Ebbene, noi siamo in Afghanistan a sostenere la ricostruzione, i nostri soldati sono lì - e giova ricordarcelo e ricordarlo a tutti quanti - in seguito agli attentati alle torri gemelli, per garantire a questo nuovo paese - «nuovo» dopo la liberazione dai talebani - un futuro dignitoso. Non serve farsi illusioni perché chi dice che la missione in Afghanistan ora è tranquilla e che l'unica missione pericolosa per i nostri soldati era quella in Iraq mente sapendo di mentire. La missione in Afghanistan inevitabilmente da qui ai prossimi mesi (visto che è finito il rigido inverno afgano), come sanno tutti, prenderà una certa piega, vi sarà una aumento degli atti terroristici, e, nei mesi estivi che si stanno avvicinando, un contrattacco da parte dei talebani. Quindi, presto sarà condotta una controffensiva. Ebbene, consapevoli che a questa missione di pace e di vogliamo contribuire e consapevoli della controffensiva che i talebani effettueranno nei prossimi mesi a seguito della fine dell'inverno, dovremmo con buonsenso investire per garantire la sicurezza dei nostri uomini impegnati in quella terra. Dunque, se gli spagnoli decideranno di inviare dei blindati, non sarà per fare la guerra, ma per garantire la sicurezza ai propri uomini su quel territorio. Non capisco, quindi, come questa maggioranza possa voler partecipare a tali missioni, e al tempo stesso impedire ai nostri soldati di munirsi di blindati, o comunque di mezzi per tutelare la loro vita e svolgere al meglio la propria funzione. Poi, altre parti della maggioranza tendono a dipingere l'Afghanistan come un inferno. Sicuramente, non vogliamo dipingerlo noi come una terra promessa, ma anche in questo caso giova ricordare che, prima dell'intervento internazionale in Afghanistan, non si trattava comunque di un paese da mille e una notte. Infatti, vi era un regime talebano, vi era un regime di fondamentalisti islamici, vi era un regime che imponeva alle donne l'uso del . E duole constatare che, tra le tante femministe che siedono in questo Parlamento, non se ne è sentita ancora nessuna ricordare che, se le donne afgane oggi possono andare in giro come vogliono, è stato merito delle missioni internazionali che hanno liberato quel paese Vorrei ricordare che le donne afgane non potevano partecipare alla vita istituzionale. Oggi si parla di pari opportunità, di quote rosa, di tante belle parole che, tuttavia, quando riguardano paesi o situazioni nelle quali non fa comodo citare tali questioni, vengono di colpo dimenticate. Vorrei anche ricordare che in Afghanistan era anche vietata la musica e la televisione. Quindi, certamente oggi non si tratta ancora di un paese sereno e tranquillo, ma prima dell'intervento internazionale la situazione era sicuramente peggiore, soprattutto sotto il profilo dei diritti umani e civili e delle libertà. Ebbene, fa specie che alcuni settori di questa maggioranza, che si richiamano inevitabilmente all'illuminismo e che quindi vogliono uno Stato laico, dimentichino che l'esatta negazione di ciò in cui credono è proprio l'Afghanistan dei talebani, dove il fondamentalismo religioso era l'essenza della vita quotidiana. E duole constatare che nessuno ha parlato di ciò! Oggi, al contrario, si parla di tavoli per la pace, magari invitando gli stessi terroristi o talebani che quest'estate organizzeranno gli attentati ai nostri soldati, che per colpa vostra non dispongono dei blindati, rischiando ancor di più la vita. Inoltre, si parla di comprare l'oppio. Innanzitutto, occorre ricordare che l'oppio viene gestito proprio dai signori della guerra. Pertanto, se il nostro paese comprerà l'oppio dai signori della guerra, va da sé che questi soldi saranno destinati proprio a finanziare la guerra; quindi, l'esatto contrario di ciò che il ministro D'Alema cerca di ottenere, vale a dire il consenso e il sostegno concreto alle popolazioni. Tra l'altro, con l'acquisto di oppio dai signori della guerra, si dà un brutto esempio ai nostri giovani e, ancor peggio, si regala un devastante futuro ai giovani afgani. Infatti, un Governo che compra droga per cercare unità sulle missioni internazionali dovrebbe imporre una seria riflessione per i nostri giovani. Inoltre, comprando l'oppio, si condannano i giovani afgani a continuare a lavorare e a dipendere da tale sostanza; ciò vuol dire non consentire loro di anelare ad una vita diversa, al di fuori della coltivazione dell'oppio, che tra l'altro costituiva una fonte di sostentamento del paese soprattutto durante il regime talebano. Inoltre, dove si è cercato di trasformare la coltivazione dell'oppio in coltivazioni diversificate si sono ottenuti ottimi risultati. Se oggi la produzione mondiale di oppio vede l'Afghanistan parteciparvi per una quota corrispondente all'86 per cento è proprio perché non si è cercato di cambiare la destinazione di questi territori, anzi atteggiamenti troppo lassisti - o, peggio, l'intenzione di acquistare, propria di questo Governo -, evidentemente, non vanno nella direzione di impiegare i territori in modo diverso. Non è possibile poi che alcune missioni internazionali trovino il consenso di tutta la maggioranza, mentre altre registrino l'assoluta contrarietà di una parte della stessa. Tutte le missioni internazionali che vedono la presenza dei nostri soldati, hanno la finalità di garantire la pace in quei territori e ricostruire e finanziare le scuole, gli ospedali e così via. In alcune di queste missioni - ad esempio, in Afghanistan - si cerca sinceramente il disarmo, mentre in altre si assiste al riarmo degli Hezbollah, ma non si interviene: in ogni caso, non si individuano delle sostanziali differenze. Forse, se ne può ricercare una, la colonna portante delle divisioni di questa maggioranza; infatti, nelle missioni internazionali che vedono la presenza degli americani si registra una pregiudiziale che non tiene contro di nessun elemento accessorio. Quindi, per le situazioni che vedono la presenza degli americani si assiste all'assoluta contrarietà della sinistra massimalista; invece, nelle situazioni in cui non vi è presenza di americani la partecipazione può essere ammessa, più o meno allegramente, poiché si riescono a trovare motivazioni politiche. Non è in questo modo che si può cercare di investire per la sicurezza internazionale e nazionale; non può essere la presenza o meno di forze americane a rappresentare il discrimine rispetto alla decisione di partecipare o meno ad una missione internazionale. Vi sono dei trattati internazionali ai quali dobbiamo tenere fede e degli impegni internazionali da garantire, quindi non si può, per un vezzo, per un'antipatia, ritenere di non dover intervenire in contesti che vedono la presenza degli americani. Evidentemente, una parte della sinistra resta incollata ad una pregiudiziale che non vuole scrollarsi di dosso. La cosa più grave è che le elezioni sono state vinte grazie a 24 mila voti espressi da molti elettori - sicuramente antiamericani e facenti parte delle componenti che noi conosciamo bene - appartenenti all'estrema sinistra e contrari alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Essi, piaccia o no, meritano comunque rispetto da parte nostra, ma ci duole constatare che oggi sono stati traditi da questa maggioranza, che ha vinto le elezioni grazie soprattutto ai loro determinanti voti. Noi non condividiamo le loro opinioni, ma le rispettiamo, mentre questa sinistra se ne frega permettendo il rifinanziamento delle missioni e cercando attraverso l'oppio di trovare la quadratura del cerchio; in ogni caso, oppio o meno, crediamo che questa maggioranza non riuscirà a risolvere i propri problemi .
. Constato l'assenza degli onorevoli Dell'Elce, Siniscalchi e Fallica, che avevano chiesto di parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, nel corso del dibattito alcuni deputati hanno ricordato come il programma dell'Unione prevedesse un esame e un voto separato di ogni missione internazionale. Forse, sarebbe stato meglio seguire tale indicazione per approfondire maggiormente nel dettaglio l'analisi dei differenti interventi e per consentire - analogamente a quanto si fece nel corso della passata legislatura, quando la missione in Iraq venne scorporata dall'esame delle altre -, la possibilità di differenziare la propria valutazione della singola missione senza così dover respingere o approvare l'intero 'pacchetto'. Non capisco, francamente, perché non si sia adottato tale metodo. Il dibattito sul decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali si è concentrato molto, né poteva essere altrimenti, sulla situazione sempre più incandescente e dolorosa dell'Afghanistan. Le stragi di innocenti e le rivolte popolari di questi giorni irrompono anche nelle nostre aule; esse richiedono o impongono una nuova assunzione di responsabilità. Mi pare che, a giudicare dalle sue dichiarazioni, il ministro degli affari esteri condivida tale opinione; anche gli interventi delle colleghe e dei colleghi - in particolare, ma non solo, di coloro con i quali ho condiviso l'impegno pacifista in questi anni - hanno messo in evidenza la crescente insostenibilità della guerra afgana, il pericolo dell'irachizzazione del conflitto, il radicarsi del fondamentalismo e dello spirito antioccidentale, l'approfondirsi e allargarsi del consenso popolare dei specie al sud vissuti come baluardo contro gli invasori. Attendiamo le comunicazioni del Governo in relazione al rapimento del giornalista de Daniele Mastrogiacomo. Non mi dilungo su questa drammatica realtà; sono stati svolti interventi articolati, ottimamente documentati, da parte delle colleghe De Zulueta, Deiana, Bandoli, dal collega Paolo Cacciari e da altri. Ritengo che il primo passo da compiere oggi sia assumere veramente, al di là delle tendenze all'autoreferenzialità e dell'uso strumentale e circoscritto alle dinamiche di palazzo, il punto di vista del popolo afgano. Un paese martoriato, l'Afghanistan, distrutto da conflitti civili, guerre guerreggiate dalle superpotenze che, dal 1979 ad oggi, hanno causato oltre un milione e mezzo di vittime (due terzi delle quali civili) e milioni di profughi. Tali guerre hanno inoltre disseminato sul terreno, secondo dati ufficiali, 640 mila mine e milioni di ordigni ancora inesplosi. Consiglio a tutti di leggere l'articolo, pubblicato sull'edizione del 28 febbraio del di un'esponente di RAWA, un'associazione di donne contro il fondamentalismo con cui anche noi, parlamentari unite nel gruppo di contatto con le donne afgane, fin dall'inizio della guerra ci siamo confrontate, a Roma ma anche in Pakistan, e poi in Afghanistan. Abbiamo potuto toccare con mano la realtà drammatica dei campi profughi, i terribili esiti delle guerre e delle distruzioni, ma anche il lavoro prezioso di tante donne e uomini che da decenni lottano per la libertà e la democrazia del loro paese nell'isolamento e nella solitudine. Il disastro umanitario, la convivenza tra Governo e signori della guerra e dell'oppio - di cui l'Afghanistan è il maggiore produttore e che rappresenta la principale risorsa economica del paese -, l' militare fanno impallidire i risultati ottenuti attraverso la cooperazione e l'aiuto alla ricostruzione, e riducono a poca cosa anche la pur importante nascita di istituzioni e organizzazioni pubbliche preposte ad avviare processi di democratizzazione. Il centrosinistra ha ritirato le truppe dall'Iraq, inaugurando un nuovo corso sia nell'azione politica sia nelle relazioni internazionali, come ha sottolineato il ministro D'Alema nella sua relazione al Senato, nel tentativo di tenere fede ai principi espressi dall'articolo 11 della nostra Costituzione: al ripudio della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali e, nel contempo, alle limitazioni di sovranità, in condizioni di parità con gli altri Stati, per un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le nazioni. I capisaldi della nostra politica estera sono, quindi, il rifiuto della guerra, il consolidamento delle alleanze e delle organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Europa, per tentare di ripensare un ordine mondiale duramente compromesso, squilibrato ed attualmente scosso dal terrorismo e dalla guerra globale al terrorismo, unilaterale, preventiva, teorizzata dai teocon statunitensi ben prima dell'attacco alle Torri gemelli ed al Pentagono del settembre 2001 e messa in pratica dell'amministrazione Bush prima in Afghanistan e poi in Iraq (e, in futuro - Dio non voglia! -, in Iran). È del tutto evidente che non può non esserci polemica, differenziazione di vedute tra chi, pur considerando il quadro dato delle alleanze, dei patti, dei rapporti di forza e dei reali pesi dei differenti Stati, si muove sul piano del multilateralismo e nella prospettiva di consolidamento e riforma degli organismi internazionali e chi, come l'amministrazione Bush, ha sconvolto questo piano, contraddetto questa prospettiva con decisioni unilaterali e fallimentari imprese belliche ed ha espresso volontà egemonica - Vicenza - e continui tentativi di asservimento delle organizzazioni internazionali. L'Afghanistan è, al di là di ambiguità e mistificazioni, il drammatico teatro di questa contraddizione. Quella in Afghanistan è una missione di cui, ormai, ben si conoscono origine, catena di comando e veri obiettivi. Certo, è importante avere inserito nel decreto-legge la proposta della Conferenza di pace, prevedendo la partecipazione dei paesi della regione, delle organizzazioni internazionali e dei paesi a vario titolo coinvolti. È importante, altresì, che il Parlamento si doti di strumenti per il monitoraggio e per un efficace controllo delle missioni, nessuna esclusa. Penso alla necessità, invocata più volte non soltanto da me, di un dibattito serio ed aggiornato sulla situazione nei Balcani e sul Kosovo, area tutt'altro che pacificata (questione sulla quale non intendo soffermarmi, ma che andrebbe opportunamente presa in considerazione). Molto importante è anche la proposta, presente in un ordine del giorno, della riconversione ad uso sanitario della produzione dell'oppio, al fine di sottrarre i contadini al narcotraffico ed alla morsa dell'intreccio tra narcotrafficanti e signori della guerra. Tuttavia, sappiamo tutti che in Afghanistan si scatenerà, in primavera, un'ondata bellica - la cui portata e le cui conseguenze sono ancora difficilmente valutabili - che rischia di coinvolgere direttamente le nostre truppe, preparate per una missione di pace e non di guerra (come bene illustra il generale Mini su di oggi). L'ambiguità rischia perciò di avere, anche da questo punto di vista, conseguenze drammatiche per il nostro contingente e per il Governo medesimo. Anche per questo ribadisco, come già illustrato dalla collega De Zulueta, la necessità di definire subito una prima che sia troppo tardi e che la tragedia annunciata si consumi completamente; una che non deve significare disimpegno dal dramma afghano, come è già avvenuto nel passato, bensì l'inizio di una nuova strategia di pace .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, se vi fosse stato ancora qualche dubbio sulla fondatezza della nostra tesi alla base delle nostre contestazioni sulla presunta maggioranza di Governo e sulla legittimità di condurre la politica estera internazionale nel modo in cui sta facendo, penso che l'aver ascoltato or ora le parole della gentile collega dei Verdi - a nome, quindi, di una parte non remota, secondaria o marginale della presunta maggioranza di Governo - abbia fugato ogni residuo dubbio. Si tratta di una componente della maggioranza che tiene un linguaggio sui temi di cui ci stiamo occupando assolutamente incompatibile e totalmente diverso da quello di altri rappresentanti della maggioranza persino numericamente più pesanti. Questa componente presenta altre valenze e caratteristiche relativamente alle operazioni e alle proiezioni italiane in paesi esteri, nonché alla politica della pace, a difesa di chi turba le sorti della pace stessa e alimenta il terrorismo. È una strategia assolutamente incompatibile con i toni, il respiro e i sapori di alcuni degli interventi che abbiamo ascoltato oggi da parte di una quota della sinistra e che per l'appunto riecheggiava abbastanza lucidamente nelle parole - che mi sono permesso adesso di sottolineare - della collega Zanella che mi ha appena preceduto. Ora, senza soffermarsi sui singoli snodi del provvedimento o anche sulle inadeguatezze del testo (che già diversi colleghi hanno sottolineato) aventi carattere tecnico, giuridico e operativo, anche per quanto concerne la destinazione delle risorse e la proporzione dei vari capitoli di spesa, ovvero, ancora, senza voler entrare più di tanto nel particolare (il che significherebbe quasi una ipercritica volta a sindacare scelte, più che politiche, di carattere tecnico), penso che abbiamo il diritto di insistere e di ripetere le nostre idee - se ciò fosse necessario - e non tanto o soltanto perché si tratta di scelte della maggioranza governativa, quanto perché l'opinione pubblica italiana possa ascoltarci - ce lo auguriamo - e formarsi una opinione rispetto a questo delicatissimo tema. Dobbiamo ripetere non solo che siamo in presenza di una assenza di politica estera, ma che se c'è un argomento sul quale non è lecito avere un retropensiero, confusioni di impostazione, appannamento di valori e disorganizzazione nella determinazione politica e nell'assegnazione di obiettivi, questo è quello della politica internazionale. Si invoca spesso come un discrimine di scelte di comportamento e di impostazione il dettato del mitico articolo 11 della Costituzione, che sancisce il fatto che il nostro paese ripudia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti e quindi si schiera, a livello di principio, per il bene sommo della pace, quasi che questa potesse essere un'enunciazione tale da dividerci e da poter dare luogo ad opinione contrapposte. Questa è una tesi che assolutamente non esiste, non sussiste e non può esistere. Certamente, questo non è un metro di valutazione sufficiente, anche se è di per sé necessario come premessa. Abbiamo detto, anche nei giorni scorsi, intervenendo in più di un dibattito, che i nostri militari, i nostri concittadini in divisa, sono in vari quadranti del mondo, insieme a paesi alleati che «cospirano» per la pace, ossia si battono insieme per un comune bene informatore delle proprie azioni, proprio per il servizio al bene sommo della pace, ma che lo fanno in armi; e come tutti coloro che nelle armi hanno, in sé e per sé, in mancanza d'altro, in mancanza dell'efficacia di altri mezzi, la risorsa estrema per imporre a coloro che turbano la convivenza e la civiltà una forma di disciplina che da soli non riescono ad imporsi o a scegliere, i nostri concittadini in divisa lo fanno portando le armi. E se sono rigorosamente necessarie le regole cosiddette di ingaggio, ossia in presenza di quali condizioni, di quali emergenze, di quali situazioni oggettive, soggettive, ambientali l'uso delle armi può essere giuridicamente corretto, politicamente accettabile, moralmente inevitabile, se queste regole devono essere rigorose, è pur vero che, una volta stabilite e fatte osservare, di fronte ad emergenze straordinarie e alla minaccia e alla compromissione di beni fondamentali, come la convivenza civile dei popoli interi, il ricorso alle armi è, alla fine, l'inevitabile criterio dal quale non ci si può sottrarre nel momento in cui a truppe, a forze armate si è ricorsi come estremo strumento di intervento. Quindi, non dobbiamo prendere in giro né noi stessi, come legislatori responsabili, né i governanti, né soprattutto i cittadini, il popolo italiano, che ci ascolta, e meno che meno coloro che, portando le armi e una divisa italiana, si trovano esposti ai rischi e a tutti i problemi connessi alla circostanza di trovarsi in prima linea sui terreni di operazione. È una cosa assolutamente irresponsabile quella di inviare contingenti di pace, ma armati, a svolgere rischiose missioni in rischiose terre anche lontane e far sentire l'eco di un dibattito incerto, strumentale, diviso, inquinato da retropensieri. Onorevoli colleghi, arrivo a dirvi che meglio sarebbe se, con una sostanziale maggioranza, si fosse contrari, in termini di principio, ad un certo tipo di intervento; senza nessuna ipocrisia sarebbe meglio dire di no che non piuttosto, per convenzioni e convenienza, aggiustamenti politici e precari equilibri, dire di sì, far finta di essere solidali con il consorzio internazionale dei popoli che vogliono difendere la pace e bloccare e prevenire il terrorismo, inviare i nostri concittadini in armi e far mancare poi il sostegno politico, morale e giuridico a queste persone che noi mandiamo a difendere noi stessi, le nostre famiglie, il nostro futuro, i nostri beni, la nostra serenità. È forse superfluo sottolineare questo elemento? Non direi, e penso che dai banchi della maggioranza, che ha la responsabilità di sostenere il Governo, il quale, a sua volta, ha la responsabilità di sostenere i nostri militari all'estero, non sia assolutamente superfluo sottolineare ancora una volta ed esprimere con la chiarezza dell'uomo qualunque, dell'uomo della strada, del cittadino comune, alla luce del buon senso prima ancora delle discriminanti politiche, questi concetti fondamentali. Così come non è argomento di strumentalizzazione politica, ma è sostanza, dire che, su argomenti come questi, l'autosufficienza del Governo o si afferma e si concretizza realmente, oppure bisogna prendere atto che non c'è, traendone allora altre importanti conseguenze. Questa teoria delle maggioranze variabili a seconda dell'argomento è assolutamente inaccettabile, e anche nelle parole, che mi sono permesso prima di sottolineare, di alcuni esponenti della maggioranza già è significativo che si recrimini relativamente al fatto che, dentro uno stesso provvedimento, si parli di vari fronti dove sono impegnate le nostre Forze armate, i nostri contingenti in armi di pace. Si recrimina sul fatto che, con uno stesso provvedimento, si intervenga per conflitti, per situazioni post-conflittuali, per opere di ricostruzione in versanti diversi. È anche significativa questa volontà di distinguere situazione da situazione, non perché effettivamente le situazioni non siano diverse ontologicamente, per la loro natura, per le loro condizioni ambientali, ma perché sarebbe assolutamente indispensabile, per leggere la volontà politica di un Governo, del paese che lo esprime, del paese che è rappresentano da tale Governo, un'unica, individuabile, ben precisa volontà politica che ispira questo tipo di missioni e questo tipo di interventi. Intendo dire che, certamente, in talune zone dell'Africa vi sono situazioni non esattamente assimilabili, è chiaro, al contesto afghano o, men che meno, che tutto ciò sia assimilabile alla situazione del Kosovo. Sarebbe da irresponsabili e rudimentale concepire come identiche certe condizioni ambientali, ma i criteri delle scelte politiche debbono essere gli stessi. Se si parte da una visione di pregiudiziale antiamericanismo, che vizia le decisioni da prendere, se si parte da atteggiamenti che non voglio dire di connivenza, ma certo di minore allarme nei confronti del fenomeno terroristico, se si parte da un pacifismo generico che, come sempre accade, è tutt'altro che l'amore per la pace - perché i due sentimenti non sono affatto la stessa cosa e portano a conseguenze profondamente diverse -, se si parte da questi presupposti, è evidente che si arriva a conseguenze aberranti e, comunque, a conseguenze confliggenti e contraddittorie a seconda del tipo di intervento. Proprio in merito a ciò si manifesta la contraddizione della cultura di governo della sinistra, ammesso che vi sia, della sinistra-centro, che ha le responsabilità di Governo in questo frangente. Non a caso, pur avendo preso atto che già al Senato della Repubblica si è aperta, non per nulla, una crisi di Governo proprio su questo argomento, perché sono esplose le contraddizioni di un'incoercibile differenza di punti di vista fondamentali, abbiamo ascoltato già riecheggiare in quest'aula, nelle dichiarazioni di esponenti della maggioranza, venti di differenziazione forte. Se è vero che alla Camera, grazie al premio di maggioranza della tanto deprecata (poi vedremo se lo sarà anche nei fatti), legge elettorale, vi sono, tuttavia, numeri che consentono di giocare al dissenso, che consentono di essere dissenzienti senza provocare dissesti nell'equilibrio numerico del Governo, pur se è vero tutto ciò, è pur vero che non si tratta di una questione intesa in senso strettamente numerico: è una questione politica in senso sostanziale. Quando da una linea di comportamento del Governo, ammesso che sia rintracciabile, si differenziano tre, quattro, cinque componenti della sua maggioranza governativa, o presunta o mitica maggioranza governativa, siamo in presenza davvero di una maggioranza, di una politica estera, di un senso di responsabilità condiviso nelle scelte che attengono alla vita dei nostri soldati, alle regole del loro ingaggio nei confronti del nemico, di colui, cioè, che rappresenta il pericolo reale, armato - non immaginario, non meramente politico, non meramente ideologico, non meramente predicatorio - rispetto alle sorti della pace e della integrità delle nazioni? Quindi, non vi è dubbio che quando noi, da destra, esprimiamo voti, pareri e diamo anche sostegno ad operazioni (magari in un passaggio dando anche il sostegno ad un provvedimento non nostro), lo facciamo alla luce di una antica e moderna, di una continua coerenza, ispirata ai valori dell'interesse internazionale del nostro paese e della nostra nazione e dei valori della pace, che debbono essere difesi con ogni mezzo e con ogni determinazione, non con le manifestazioni di piazza o con messe in scena più o meno folcloristiche. Ecco, noi, da destra, rivendichiamo questa coerenza. Sicché quando esprimiamo, come verosimilmente esprimeremo, un voto favorevole, senza dividere il capello in quattro, in otto o in dodici sui singoli passaggi del provvedimento, come pure tecnicamente sarebbe possibile, quando esprimiamo voto favorevole, non lo facciamo per dare il voto favorevole ad un Governo che non lo merita, nella maniera più assoluta. Noi non concediamo nemmeno un'oncia di fiducia a chi ha dimostrato di aver devastato quel poco di fiducia che, in un modo o nell'altro, elettoralmente era riuscito ad immagazzinare o a portare a casa! No, nella maniera più assoluta! Per tutti i paradossi propri della politica e di questa strana e indecifrabile cosa che è diventata la politica italiana, starei per dire che esprimiamo un voto favorevole al provvedimento perché lo diamo contrario al Governo. Infatti, il Governo da solo, la presunta maggioranza da sola, non sarebbe tale su argomenti di questo genere e, dividendosi, non darebbe soltanto un pessimo spettacolo di sé stesso - il che sarebbe ancor nulla e non aggiungerebbe granché perché pioverebbe sul bagnato -, ma comprometterebbe interessi vitali della nostra nazione nel contesto internazionale, metterebbe a rischio l'efficacia della nostra azione, la nostra credibilità internazionale, il contributo che l'Italia, come grande nazione nel consesso internazionale, dà alle sorti della pace e della prevenzione contro la violenza e il terrorismo internazionale. Ecco perché, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, con assoluta coerenza vogliamo ribadire che non vi è il minimo aiuto, su una strada sbagliata, nei confronti del Governo; vi è, invece, il massimo dell'aiuto da parte nostra rispetto a provvedimenti che comportano la serenità, la determinazione, la legittimazione dell'azione di pace delle nostre Forze armate, a cui anche con il voto, oltre che con il sentimento e gli interessi reali del paese, diamo come sempre il nostro appoggio, il nostro sostegno e la nostra ribadita gratitudine.
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, mi scuso per non essere stata presente prima, ma eravamo con una delegazione di donne dal Presidente Bertinotti. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, la discussione sulle linee generali e l'odierno dibattito sul complesso degli emendamenti, tuttora in corso, non hanno minimamente risolto i problemi che erano alla base della crisi di Governo, che ha segnato non poco l'agenda politica del nostro paese. Inoltre, la situazione politica e militare in Afghanistan sta subendo delle evoluzioni, peraltro assolutamente prevedibili, che devono essere seguite con la massima attenzione e consapevolezza del nostro ruolo. Pertanto, il dibattito sul ruolo dell'Italia in politica estera è ancora una volta protagonista anche in questa fase. Forza Italia esprimerà - lo ha già anticipato più volte il Presidente Berlusconi - un voto favorevole sul rifinanziamento delle missioni in Afghanistan, in Libano e nei Balcani. Lo abbiamo affermato sempre: quando è in gioco il ruolo internazionale del nostro paese, quando si tratta di discutere del sostegno politico ai nostri soldati, quando si tratta di dare ai militari il segnale di una classe politica compatta, idealmente e sostanzialmente vicina a loro, l'opposizione non solo è presente, ma sarà sempre parte attiva. Come nella precedente occasione, il nostro «sì» al rifinanziamento delle missioni italiane all'estero, quindi, ci sarà. Cercheremo, comunque, come abbiamo fatto con numerosi emendamenti, di far valere il nostro punto di vista anche con gli ordini del giorno, ma il nostro «sì» avrà molteplici significati. Con il nostro voto, infatti, intendiamo, in primo luogo, garantire il pieno sostegno ai nostri soldati che si trovano impegnati nei teatri internazionali nella costruzione della pace, proprio in quegli scenari nei quali si sta sviluppando la guerra alimentata dai terroristi fondamentalisti. Inoltre, con il nostro voto favorevole vogliamo che sia chiaro a tutti, in Italia e nel mondo - e soprattutto ai nostri alleati internazionali e a quanti guardano con crescente allarme alle incertezze della nostra politica internazionale -, che la coalizione di centrodestra non consentirà che vengano compromesse le alleanze e gli impegni internazionali che competono all'Italia. Deve essere chiaro, insomma, che è grazie a noi dell'opposizione che oggi ed in futuro - quando, spero presto, la parentesi di questo Governo sarà conclusa - i nostri alleati possono e potranno contare su un'Italia che non si arrende e che è decisa ad assumersi pienamente le proprie responsabilità, con lealtà, senza furbizie e con tutte le conseguenze che ne derivano. Si rassegnino gli esponenti della sinistra radicale ed anche quanti nella sinistra moderata e riformista si affannano ad esercitarsi su come affermare una discontinuità che non ci può essere. Non c'è futuro, infatti, né agibilità politica per la discontinuità alla quale essi pensano, quella di sempre, per certa sinistra che è sempre la stessa, antioccidentale e antiamericana. Quella discontinuità ci collocherebbe in una terra di nessuno, lontana anche dall'Europa, al cui interno stanno maturando - pensiamo alla Germania di Angela Merkel - orientamenti decisamente in sintonia con la tradizione che vuole le coste dell'Atlantico più vicine. Tali orientamenti sembrano riflettersi anche sull'evoluzione in corso in Francia, alla vigilia delle elezioni presidenziali. Per ora, per quanto riguarda il nostro paese, non ci rassicura constatare che coloro che, nella maggioranza, sembrano consapevoli di quanto anacronistica sia questa impostazione, che sopravvive alla bocciatura della storia, sono costretti a tortuosi e quotidiani giri di parole per non dispiacere i cosiddetti antagonisti. Non ci rassicura, soprattutto, il fatto che anche il nostro ministro degli esteri D'Alema sia costretto troppe volte ad alzare la voce contro gli Stati Uniti e contro quanti ne condividono le scelte e le responsabilità, solo - così almeno sembra - per celare i dissidi della coalizione di Governo e tentare di placarne le ali estreme, dispiacendo gli uni e gli altri. Del resto, ciò è stato dimostrato, nelle scorse settimane, dalla lettera di sei ambasciatori che ci hanno richiamato al dovere di coerenza e di rigore, con una iniziativa che non ha precedenti e che ha segnalato, in maniera chiara, l'apprensione con la quale dalle cancellerie dei paesi alleati e amici si guarda al degradante spettacolo che la coalizione di Governo offre. Non basta affermare che una certa sinistra c'è e c'è sempre stata. Il problema è che, oggi, questa sinistra è rappresentata nel Governo, il problema è che il Governo, nelle sue scelte quotidiane, è condizionato e ricattato. Questa è la dimostrazione che l'Esecutivo è ostaggio, ormai, di questa sinistra estrema. Non basta affermare che, comunque, il rifinanziamento delle missioni, compresa quella in Afghanistan, sarà approvato da una larghissima maggioranza anche al Senato, senza aggiungere, in termini espliciti, che ciò sarà possibile grazie ai voti dell'opposizione. Si dovrebbe anche ammettere, in questo caso, che la maggioranza non c'è e non c'è mai stata sulla politica estera. Dunque, per la politica estera non c'è un Governo che abbia credibilità e forza e, soprattutto, una linea sostenibile ed autosufficiente. Nel tentativo di rincorrere la sinistra radicale, il Governo Prodi, in otto mesi, ha cercato e ha creato moltissime situazioni di crisi a livello politico e diplomatico, causando la caduta della credibilità del paese. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'Italia è ritornata ad essere un po' una «Italietta». Altro che recupero di un ruolo nel mondo! Quel ruolo che il Governo Berlusconi, come si è ripetuto da sinistra in modo ossessivo, avrebbe fatto perdere al nostro paese. Certamente, e vero il contrario. Tutti gli analisti più seri, ormai, denunciano la irrilevanza ma anche il potenziale dannoso della politica del Governo Prodi. È di qualche giorno fa l'impietosa corrispondenza da New York del giornalista Maurizio Molinari, della un quotidiano che, certo, non ha mai mostrato ostilità nei confronti dell'attuale maggioranza. «Torna l'Italietta esclusa dal gran gioco dell'ONU» era il titolo di quel servizio che ricordava le ragioni per le quali siamo esclusi dal gruppo che sta definendo la nuova risoluzione che mira a bloccare il programma nucleare iraniano. Non possiamo stupirci, quindi, se si guarda con sempre maggiore diffidenza a Roma, anche per quanto concerne l'Afghanistan. Ci è persino toccato di subire le rampogne, purtroppo pienamente giustificate, del ministro degli esteri inglese, che giustamente ha lamentato, nell'aula del Parlamento di Londra, la mancanza di solidarietà di alcuni paesi europei, tra cui l'Italia, che non consentono agli elicotteri stanziati in Afghanistan neppure operazioni di soccorso medico in favore degli alleati impegnati in prima linea nella guerra contro i talebani. Ed è proprio per chiarire meglio l'impiego di questi mezzi che Forza Italia ha presentato uno specifico ordine del giorno. Signor Presidente, si tratta, purtroppo, di una guerra e non solo di una missione che comporta l'impegno della ricostruzione e della creazione delle strutture che consentiranno alla democrazia afghana di funzionare. Noi siamo coinvolti in Afghanistan in questa guerra, seppure nelle retrovie, perché l'ONU lo ha voluto, eppure il Governo parla di una conferenza di pace. Chi dovrebbe partecipare e sedersi al tavolo di questa conferenza? Forse i talebani? Forse Bin Laden? Non a caso il Presidente Karzai ha reagito con eloquente freddezza a questa proposta, come del resto tutti i nostri partner e i paesi che dovrebbero essere coinvolti. La realtà è che i talebani stanno preparando l'offensiva di primavera e tutti gli alleati ormai hanno capito che è sempre più difficile sottrarsi ad un impegno maggiore sul campo. L'offensiva delle truppe, che è iniziata proprio oggi, costituisce il primo segnale di questo cambiamento di clima. Anche per i soldati italiani si prepara una fase molto dura, che richiederà il massimo del supporto da parte di tutti noi e la solidarietà di tutto il paese. Tutti lo hanno capito, anche coloro che chiedono una e si preparano a dettare questa condizione. Per quel che ci riguarda, si tratta di una condizione del tutto inaccettabile. Non è tollerabile che si possa pensare ad una iniziativa unilaterale dell'Italia. Dall'Afghanistan non potremo scappare, ed è impossibile fissare oggi delle scadenze per il futuro in modo unilaterale. Tutto ciò sarà deciso con l'ONU e con i nostri alleati, i quali debbono sapere che siamo pronti a fare la nostra parte. Non vogliamo assumerci la responsabilità di compromettere tutto quello che è stato fatto finora e di rendere così inutile anche il sangue che è stato versato per consentire a quel popolo di conquistare le condizioni del vivere civile e per allontanare dal mondo la minaccia dei talebani. Sono di questi giorni anche le notizie di nuovi attentati in Afghanistan in vista dell'offensiva talebana di primavera. Si stanno preparando il clima e le condizioni per alzare il livello di tensione. La reazione dei soldati americani agli attentati di cui sono stati bersaglio, ancora una volta, ha comportato il sacrificio di vittime civili tra la popolazione sul quale è giusto ed importante fare piena luce, come ha chiesto il Presidente Karzai, anche per cercare di ricostruire l'esatta dinamica dei fatti. La responsabilità, però, ricade non su chi ha reagito all'attacco, bensì su chi ha provocato questa guerra. Come in Iraq, essa ricade sugli artefici di una strategia del terrore che mira ad annientare il fondamento del nostro vivere civile e della nostra concezione del mondo. Lascia davvero annichiliti il fatto che qualcuno, come l'onorevole Rizzo, si sia spinto ad un paragone così azzardato, mettendo sullo stesso piano americani e nazisti. Con questa scellerata ed ennesima dichiarazione, ancora una volta abbiamo la conferma - se ce ne fosse mai stato bisogno - di quanto siano radicati l'antiamericanismo e la deriva antiamericana, dalla quale il paese rischia di essere travolto se non riusciremo a porvi un argine. Tale argine è rappresentato proprio dal nostro rigore e dalla volontà di guardare, sempre e comunque, alla salvaguardia della collocazione internazionale dell'Italia e delle sue alleanze, anche in Afghanistan e nello scenario dei conflitti che sembrano destinati ad inasprirsi. Se fosse possibile raggiungere questo obiettivo in altro modo, credo che tutti - l'ONU in prima fila, ma anche gli americani e quanti sono impegnati nella missione in prima linea - sarebbero felici di poterlo fare. Tuttavia, questa prospettiva, purtroppo, non si intravede ancora e non sarà certo realizzabile con la riproposizione dei temi di una sterile retorica pseudopacifista, che mira, in realtà, ad interdire quanti si battono per disarmare chi attenta agli equilibri della pace nel mondo. Sono costoro i veri nemici della pace e non ci stancheremo mai di denunciarne le responsabilità. Con questo provvedimento finanzieremo nuovamente - tra l'altro - le delicate missioni nei Balcani e anche la missione in Libano. Nella Terra dei cedri i nostri soldati stanno vivendo un'esperienza molto delicata e molto pericolosa. Le regole d'ingaggio non consentono di disarmare Hezbollah, che sta ricostruendo le sue linee a poche centinaia di metri dalle postazioni UNIFIL. Queste regole non consentono neppure di controllare il traffico di armi, che è sempre molto intenso. La missione, delicata e pericolosa, rischia anche di essere molto meno utile di quanto si potesse prevedere fin dall'inizio. Se l'attività di Hezbollah dovesse continuare, l'esito della missione potrebbe essere persino contraddittoria, come le finalità che le erano state assegnate. Ci si dovrà chiedere prima o poi se Israele, con la presenza della missione UNIFIL, sia più o meno sicura rispetto a prima, quando - per lo meno - poteva difendersi nel caso in cui la sua sicurezza fosse stata messa in discussione da Hezbollah. Un altro punto (forse l'aspetto che veramente desta maggiore preoccupazione nella politica del Governo) è quello dell'equidistanza tra Israele e i suoi nemici. Anche per queste ragioni, prima il Governo Prodi lascerà Palazzo Chigi, meglio sarà.
. La prego di concludere.
. Tuttavia - e mi avvio alla conclusione - nell'attesa, varrà forse la pena di riflettere a fondo sulla situazione che si è venuta a determinare in Libano e di chiedersi se non sia il caso di approfondire una revisione delle regole di ingaggio, in sede di Nazioni Unite, con quanti condividono con noi la responsabilità di questa missione !
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bocchino. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, con l'arrivo in Assemblea alla Camera - e, successivamente, al Senato - del decreto-legge sul rifinanziamento della missione militare italiana in Afghanistan viene al pettine uno dei nodi principali della politica del centrosinistra italiano. Noi ci troviamo ad affrontare tale questione in un momento molto particolare. La cosiddetta primavera afghana, che era stata ipotizzata già qualche settimana fa, sembra essere in anticipo, così come la nostra primavera climatica. In un momento molto delicato per la vita dell'Afghanistan e per la storia della nostra missione in quel paese, ci troviamo a dover affrontare la situazione con una maggioranza che non è coesa né compatta e che non riesce ad avere una linea politica comune. Allora, la prima richiesta che dall'opposizione rivolgiamo alla maggioranza - fermo restando che il nostro orientamento favorevole nei confronti di questa missione fa parte del nostro DNA in politica estera - è quella di fare chiarezza, ossia di dirci con grande serietà se esista una maggioranza di Governo in Parlamento (ci riferiamo sia all'Assemblea della Camera sia a quella del Senato) disposta a sostenere senza condizioni (a volte addirittura ridicole) il decreto-legge che rifinanzia la nostra missione in Afghanistan. Questo passaggio è molto importante, perché la missione in Afghanistan, a differenza di altre di cui l'Italia fa parte, è sempre stata condotta sotto l'egida dell'ONU e non ha mai visto uno scontro a livello di organismi internazionali. Vi è, pertanto, una motivazione labile da parte di chi contrasta questo sforzo; sforzo che l'Italia, a nostro giudizio, deve continuare a compiere con chiarezza e senza tentennamenti. Voi spesso tirate fuori un antimilitarismo che è sostanzialmente incompatibile con le esigenze del Governo. Esiste una sinistra riformista che ha una cultura di Governo (il relatore per la Commissione affari esteri, il collega Ranieri, sicuramente interpreta questa sinistra matura). Tuttavia, esiste anche una sinistra che si definisce antagonista, o genericamente pacifista, e che crea problemi seri all'immagine ed al ruolo dell'Italia a livello internazionale. Ebbene, quella sinistra responsabile è la stessa che per la questione del Kosovo fece intervenire i nostri militari ancor prima che in quest'aula il Parlamento desse il via libera a quella missione. Infatti, il pragmatismo delle azioni di Governo chiede di rispondere con chiarezza ed immediatezza alle chiamate della comunità internazionale. Il ministro degli esteri, lo stesso D'Alema che velocemente mandò gli aerei in Kosovo, si è detto molto turbato per quanto sta accadendo in Afghanistan. Naturalmente siamo tutti turbati per il ritorno ad una situazione molto più complicata rispetto a quella dei mesi scorsi. Siamo tutti turbati, tuttavia il titolare della Farnesina, ancor prima di manifestare i suoi turbamenti, deve dire con chiarezza cosa vuol fare la sua maggioranza in merito, cioè se essa vuole proseguire compatta o se all'interno dei propri gruppi parlamentari si annida una parte contraddistinta da un antiamericanismo che vuole rendere irresponsabile la nostra nazione a livello internazionale. Il nostro atteggiamento responsabile, di forze consapevoli della necessità di votare a favore del rifinanziamento della missione, non vi esonera dalla responsabilità di avere una maggioranza tutta vostra su tali questioni. I nostri voti sono responsabili, ma dovete dimostrare politicamente e numericamente di essere in grado di rappresentare un'Italia degna di essere nazione nell'ambito delle missioni internazionali. Quindi, non dovete considerare il nostro atteggiamento responsabile come un'uscita di emergenza da una situazione difficile al vostro interno. Oggi la politica estera è questa, piaccia o non piaccia. Dobbiamo assumerci le responsabilità e spesso esse sono difficili, perché comportano l'invio di soldati in situazioni di guerra dove vi sono vittime e quindi si provocano turbamenti. Tuttavia, vi è l'interesse superiore della pace e di evitare che in alcune aree del mondo prolifichino regimi antidemocratici che non rispettano i più elementari diritti dell'uomo. Quindi, se dobbiamo garantire la pace, dobbiamo renderci conto che essa va perseguita nell'ambito degli accordi che negli anni e nei decenni abbiamo stipulato come paese. Per noi la politica estera significa multilateralismo, atlantismo ed europeismo. Per alcuni di voi è solo multilateralismo, ma addirittura, mentre magnificate questo multilateralismo, siete pronti a rinnegarlo se nell'ambito di esso vi sono anche gli Stati Uniti d'America. Con l'antiamericanismo di alcune frange della sinistra riuscite spesso a rinnegare anche quel multilateralismo con cui vi riempite la bocca. Non esiste un multilateralismo senza l'apporto di un alleato come gli Stati Uniti d'America. Si tratta di un tentativo inutile, dannoso anche per le organizzazioni internazionali. Cari colleghi del centrosinistra, alcuni di voi sono dubbiosi rispetto a queste missioni. Qualcuno addirittura è arrivato a mettere in discussione il provvedimento iniziale con cui la maggioranza di centrodestra aderì alla richiesta delle organizzazioni internazionali di inviare soldati in Afghanistan. Ebbene, dicevo, alcuni di voi mettono in dubbio l'aderenza di questo provvedimento all'articolo 11 della Costituzione. Innanzitutto vi ricordiamo che sul provvedimento originario c'è la firma di colui che era al momento il garante della Costituzione, di Carlo Azeglio Ciampi, che oggi, da senatore a vita, tiene in piedi con il suo voto al Senato la vostra maggioranza di Governo. Questo dimostra che non si è trattato di una scelta politica, ma di una scelta ragionata, conforme alla Costituzione e che tutte le nostre missioni militari all'estero sono missioni di pace e sono aderenti all'articolo 11 della Costituzione. Stiamo parlando di un tema molto importante, perché accusare il centrodestra di avere violato la Costituzione è solo un tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità nell'ambito di questa situazione. Il collega La Russa, presidente del nostro gruppo, proprio nei giorni scorsi ha ribadito al Presidente della Repubblica, Napolitano, la questione dell'aderenza costante dei nostri interventi di pace all'articolo 11 della Costituzione, e su questa aderenza non siamo disponibili a discutere. C'è poi qualcuno che, per andare alla ricerca di una motivazione per votare a favore del provvedimento, tira fuori la favola dell'acquisto dell'oppio dai contadini afghani. Credo che tutto si possa fare, tranne che mettersi a fare i istituzionali, per lavare la coscienza di qualcuno che sa che se non vota questo provvedimento fa cadere il suo Governo e se invece lo vota fa torto ai propri elettori e alla propria coscienza. È un problema vostro, che non potete risolvere chiedendo al paese di mettersi a fare lo spacciatore istituzionale di oppio ! Questo non lo possiamo consentire! Il nostro dovere è una altro: noi dovremmo dire ai nostri soldati di distruggere le piantagioni di oppio ! Il nostro compito dovrebbe essere quello di distruggere le piantagioni di oppio e non invece quello di andarlo a comprare per poi venderlo sul mercato istituzionale. Allora dovete assumervi la responsabilità. Casualmente siete giunti al Governo del paese, però rendetevi conto che, anche se giunti casualmente, ormai dovete assumervi questa responsabilità. Non potete assolutamente proseguire con queste proposte e con questa politica estera. Il vostro atteggiamento sta danneggiando non poco il paese. Lo danneggia anche perché indebolisce il lavoro dei nostri soldati in questi teatri, che sono luoghi in cui occorre ristabilire la pace, ma sono anche purtroppo teatri di guerriglia. I nostri soldati in queste missioni sono considerati soldati di primo ordine, sia per la loro capacità di intervento militare sia per quella sensibilità umana che contraddistingue le nostre forze armate. Noi siamo da sempre vicini alle nostre Forze armate, allo sforzo che esse fanno in queste difficili situazioni per tenere alto il nome dell'Italia e per contribuire fattivamente al lavoro che stanno svolgendo le organizzazioni internazionali. L'indeterminatezza della vostra politica estera su tali questioni ci danneggia. Provate ad immaginare questi contingenti che sono lì, appesi alle dichiarazioni del Turigliatto di turno, che deve decidere con il suo voto se possiamo proseguire il nostro lavoro o se dobbiamo ritirare i nostri soldati! Ebbene noi oggi dichiariamo il nostro voto favorevole, un voto favorevole ragionato, un voto favorevole politico, un voto favorevole approfondito - non a caso abbiamo voluto presentare una serie di proposte emendative, per cercare di modificare il provvedimento in esame e con l'intenzione di contribuire positivamente anche con questa lunga discussione, che serve proprio a farvi comprendere quanto sia importante per noi la scelta di sostenere il decreto di rifinanziamento -, ma nessuno si faccia illusioni su questo nostro voto. Nessuno pensi che sia la prima tappa di quelle «maggioranze variabili», a cui qualcuno aspira! Il nostro non è un voto che può risolvervi i problemi, perché voi, su questi temi, dovete avere una maggioranza autonoma. Infatti, in politica estera, specialmente quando si tratta di missioni internazionali, una maggioranza ha il dovere di essere autosufficiente, al di là di quello che sarà il voto dell'opposizione, alla luce di posizioni più o meno responsabili! Questo è l'appello che rivolgiamo alla maggioranza, convinti che non sia al momento autonoma ed autosufficiente. Siamo convinti, altresì, che il tentativo di spingere qualche esponente della sinistra massimalista a «turarsi il naso» ed a votare a favore del provvedimento, in cambio dell'acquisto di un po' di oppio dai contadini afghani, non riuscirà! Noi vogliamo che il paese sia unito a tutela della nostra politica estera, rivendicando non solo il nostro multilateralismo, ma anche il nostro atlantismo ed il nostro europeismo. Desideriamo, insomma, che il paese sia unito nel rifinanziare questa missione, per far in modo che i soldati italiani impegnati all'estero sentano vicini tutto il Parlamento e l'intero paese! Vi sono, però, alcuni limiti da parte vostra, ed adesso spetta a voi l'onere della prova! Abbiamo già dimostrato il nostro senso di responsabilità, voi dimostrate adesso di avere una maggioranza: altrimenti, il giorno dopo, vi sarà un problema non numerico, ma politico, per cui non si potrà precludere la strada delle dimissioni del vostro Governo !
. Onorevoli colleghi, il Governo ha fatto presente alla Presidenza di avere elementi di informazione in ordine alla sparizione dell'inviato del quotidiano in Afghanistan. Quindi, dopo il prossimo oratore, intorno alle 17,45 sospenderemo gli interventi sul complesso delle proposte emendative per consentire lo svolgimento dell'informativa urgente richiesta, all'inizio della ripresa pomeridiana della seduta, dall'onorevole Bonelli. Gli interventi sul complesso degli emendamenti proseguiranno al termine dell'informativa urgente. Ha chiesto di parlare l'onorevole Casini. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor viceministro e cari colleghi, il decreto-legge sulle missioni di pace è un provvedimento che troverà, come ha già detto anche l'onorevole Bocchino, una larga unità nel Parlamento.
. Si tratta di un'unità a difesa di due concetti fondamentali. Il primo è il multilateralismo. Nessuno in Italia, né nel centrosinistra e neanche nel centrodestra, ha mai rifiutato il principio cardine della nostra politica estera, cioè il multilateralismo. In questi mesi, abbiamo avuto polemiche su tanti punti, ma io respingo al mittente l'idea che, nella vita della nostra nazione, siano trascorsi cinque anni nei quali il tema del multilateralismo non sia stato al centro delle preoccupazioni della politica e della maggioranza del Parlamento. Dunque, un voto per il multilateralismo ed un voto per i nostri militari, che devono contare sulla solidarietà di tutto il paese. Dall'Afghanistan ai Balcani, dall'Iraq al Darfur, gli italiani, nel mondo, si battono per quei principi di pace, di libertà e di aiuto ai più deboli che sono i valori ispiratori della nostra Carta costituzionale. Signor Presidente, mi consenta anche di esprimere, in apertura di questo breve intervento, tutta la solidarietà del mio gruppo e mia personale nei confronti della famiglia, dei giornalisti de e, soprattutto, dei congiunti di Daniele Mastrogiacomo. Questo grande professionista, inviato di guerra, in questo momento di difficoltà deve poter sapere di avere dietro di sé la solidarietà di tutto il paese e dell'intero Parlamento ! Onorevole Intini, di qui a qualche minuto lei riferirà sulle informazioni che il Governo ha acquisito. Voglio dirle con chiarezza dai banchi dell'opposizione che, così com'è accaduto in passato per altri italiani ostaggi in zone di guerra, per quanto mi riguarda, e per quanto ci riguarda come gruppo parlamentare, il Governo ha carta bianca per fare qualsiasi sforzo, nei modi e nelle forme che riterrete opportune, per assicurare ai suoi familiari che si riconduca in libertà questo giornalista così valido, questo professionista molto stimato in tutta la comunità internazionale. Vorrei dire nel dibattito generale sul complesso degli emendamenti che il nostro gruppo, l'onorevole Forlani, insieme ad altri colleghi, ha presentato emendamenti che si sono tradotti nel testo. Penso alla necessità di privilegiare professionalità locali nella cooperazione, penso ai fondi di ricostruzione da indirizzare soprattutto ad attività didattiche e formative. Anche questi sono principi ispiratori di un nostro modo di fare cooperazione che, giustamente, sono stati inseriti con l'accordo di tutti nel decreto-legge all'esame, che anche l'onorevole Bosi ha seguito in prima persona. Vorrei, però, con molta nettezza, in modo chiaro, senza ambiguità, esprimermi contro l'ordine del giorno D'Elia che è stato approvato o che comunque sarà approvato dalla maggioranza di questo Parlamento. L'idea di un piano di riconversione delle colture illecite di oppio in colture di oppio legale, al fine di una loro autorizzazione per la terapia del dolore è una cosa completamente sbagliata, che contrasta con i nostri orientamenti in termini di tossicodipendenza: il gruppo parlamentare dell'UDC, infatti, è fra quelli convinti che i disegni di legge, oggi legge, Fini-Giovanardi siano stati un modo intelligente per rispondere all'emergenza nazionale. Devo dire però che questa idea bislacca mi sembra più confezionata per finalità nazionali ad uso domestico che non con una chiara assunzione di serietà e di responsabilità internazionale. Vorrei leggere quello che questa mattina penso molti colleghi abbiano letto su . L'ex direttore dell'Agenzia antidroga dell'ONU, direttore dell'ufficio ONU per gli stupefacenti e il crimine, Pino Arlacchi - alla domanda: giudica irrealistica questa soluzione? - risponde testualmente: «La giudico irrealista per due motivi: il primo è che la domanda di farmaci antidolorifici nel mondo è già ampiamente soddisfatta» - mentre chi ha presentato l'ordine del giorno cui accennavo è partito dal presupposto errato che vi fosse tale domanda nel mondo - «il secondo» - dice Arlacchi, che certo non è della nostra parte politica - «è che il mercato illegale paga sempre di più rispetto a quello legale; i contadini afgani continuerebbero a vendere il prodotto ai contrabbandieri. Il sistema potrebbe in realtà raggiungere un obiettivo chiaro: l'aumento del prezzo dell'opera sul mercato internazionale». Vorrei anche aggiungere alcune riflessioni di carattere più propriamente politico. Il decreto-legge al nostro esame attraversa una certa fibrillazione nella politica nazionale. Ho apprezzato il presidente Ranieri, l'onorevole Pinotti, presidente della Commissione difesa, che hanno cercato di ricondurre la discussione ai termini della questione, e lo hanno fatto dal punto di vista delle loro posizioni politiche, ma con grande correttezza istituzionale. Tuttavia, devo dire che dobbiamo esprimere con chiarezza anche le opinioni in ordine ad alcune proposte che, in vista del dibattito al Senato, si stanno incrociando in queste ore. È di questa mattina un'idea spericolata del ministro Amato, che forse qualcuno potrebbe definire come una vera e propria barzelletta: il ministro Amato ha proposto delle maggioranze variabili. Se il bipolarismo, al quale tanto sono affezionati molti colleghi - senza nemmeno accettare i rilievi critici che noi abbiamo avanzato a questo tipo di bipolarismo che si è prodotto -, produce barzellette, come quella della maggioranza variabile, ritengo che non ci si possa lamentare se la gente è sempre più distante dalla politica. Deve essere chiara una cosa. Il 21 febbraio il nostro ministro degli esteri a proposito dell'Afghanistan disse: «o la maggioranza ha i numeri, o va a casa». Ieri l'onorevole Fassino ha affermato che non ci sarà alcuna crisi se il testo avrà il via libera da un'ampia maggioranza parlamentare. Allora, onorevoli colleghi, occorre richiamare il Parlamento alla serietà di comportamenti. Se questa idea spericolata, questa barzelletta delle maggioranze variabili che umilia il Parlamento - che non potrebbe essere accettata nemmeno in un giovane paese in cui si fanno esperimenti con i principi cardine della democrazia -, dovesse emergere, e se magari nel giro di due mesi le posizioni degli onorevoli D'Alema e Fassino dovessero diventare così distanti tra loro, quale elemento di novità sarebbe emerso nella politica italiana? Cosa emerge oggi in questo Parlamento che induce l'onorevole Fassino a spiegare che, se vi è un'ampia maggioranza, il problema dei numeri è superato? E cosa rende così distante nel tempo la presa di posizione del ministro degli esteri, che sollecitava la maggioranza ad avere i numeri o ad andare a casa? È fin troppo chiaro che, a nostro avviso, o la maggioranza ha i numeri o va a casa. In questa crisi, l'unico elemento di novità vero che si è registrato è stato il rigore istituzionale del Presidente della Repubblica, al quale tutti dobbiamo rivolgere un ringraziamento, perché si è comportato in termini di serietà. Infatti, davanti ad una politica che ha smarrito la serietà, il Capo dello Stato ha certificato la necessità di 158 voti di senatori eletti al Senato e lo ha fatto proprio per evitare che una crisi, che si è aperta su balletti indecenti, potesse avere una conclusione ridicola. Cosa legittima oggi questo cambio di rotta da parte dell'onorevole Fassino? Forse le convenienze, ma non certo le convinzioni delle persone serie. Allora, i militari italiani devono sapere di poter contare non solo su un voto ampio del Parlamento - perché questo lo avranno -, ma su un'autosufficienza della maggioranza che ha avallato la scelta di tenerli in un teatro di guerra di questo tipo mentre ha fatto ritirare le nostre truppe dall'Iraq. Ebbene, onorevoli colleghi, durante la crisi, proprio per evitare le barzellette come quelle della maggioranza variabile, il mio partito ha proposto un Governo di responsabilità nazionale, un Governo di larghe intese. Qualcuno ha respinto questa proposta al mittente, con sberleffi, crogiolandosi nell'idea dell'autosufficienza della maggioranza parlamentare. Allora, chi è causa del suo mal pianga se stesso: chi durante la crisi ha respinto al mittente l'idea di un Governo di larghe intese oggi si deve assumere la responsabilità di portare ad un'autosufficienza parlamentare la maggioranza non solo alla Camera, ma anche al Senato della Repubblica . La nostra proposta è stata respinta ieri, e noi riteniamo che oggi la stessa serietà di chi ci sta di fronte, vale a dire della maggioranza, richieda che vi sia un'autosufficienza parlamentare sul tema dell'Afghanistan. Noi non mutiamo il nostro atteggiamento per questo: non lo muterà l'opposizione perché c'è un senso di responsabilità che viene prima delle contingenze politiche. Comunque, per favore, certi alchimisti, pronti a cambiare tesi da un giorno all'altro a seconda delle convenienze, abbiano lo scrupolo di occuparsi dei loro impegni istituzionali (per quanto riguarda il ministro dell'interno Amato sono già gravosi) e non introducano nel dibattito politico elementi di confusione, incomprensibili per la gente, per gli italiani
. Il seguito del dibattito è rinviato al prosieguo della seduta.
. Avrà ora luogo un'informativa urgente del Governo sulla sparizione dell'inviato in Afghanistan del quotidiano Daniele Mastrogiacomo. Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
. Ha facoltà di parlare il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini.
, . Il ministero ha preparato un unico testo scritto, allo scopo di informare sia la Camera sia il Senato: questo per un'esigenza di precisione e di prudenza. Ieri, nella tarda serata, la redazione de ha comunicato all'unità di crisi di non essere riuscita a mettersi in contatto, da diverse ore, con il proprio corrispondente Daniele Mastrogiacomo. La testata ha specificato che il giornalista si era trasferito da Kabul a Kandahar per motivi di servizio. Appena ricevuta la segnalazione, sono partite immediatamente le ricerche, in stretta collaborazione con l'ambasciata d'Italia a Kabul e i servizi di informazione. Nelle prime ore della mattina di oggi ha precisato che i contatti con Mastrogiacomo risultano interrotti dalle 9 di domenica sera. Notizie provenienti da più fonti, comprese fonti alleate, indicherebbero che due cittadini di nazionalità afghana (potrebbero essere l'autista e l'interprete del giornalista italiano) e un occidentale di cittadinanza non specificata sarebbero stati trattenuti da un gruppo di talebani. Notizie stampa avevano riportato, in un primo momento, che anche un cittadino britannico potrebbe essere nelle mani dei talebani, ma il al momento, non conferma. In questo momento la Farnesina, in stretto contatto con le altre istituzioni interessate, sta attivando tutti i canali per accertare l'accaduto e rintracciare Mastrogiacomo. I familiari sono stati informati sia dalla redazione de sia dall'unità di crisi. La questione è seguita direttamente e in tempo reale dal Vicepresidente e ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema. Di più non possiamo dire; la questione, d'altronde, richiede di fare piuttosto che di dire. Posso solo aggiungere che l'unità di crisi è impegnata ventiquattro ore su ventiquattro - come sempre, in simili circostanze -, allo scopo di raggiungere con urgenza i risultati che tutti auspichiamo. Infine, vorrei sottolineare che ho apprezzato lo spirito e la sostanza delle parole appena pronunciate su questo caso dall'onorevole Casini.
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ruta. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor viceministro, colleghi, intervengo a nome de L'Ulivo solo per esprimere la grande preoccupazione per l'inviato de Daniele Mastrogiacomo. Egli è presente da tanti anni nei teatri di guerra, ed è un professionista serio e stimato che immaginiamo possa quanto prima essere ricontattato. Apprezziamo la tempestività con cui il Governo ha ritenuto opportuno e necessario riferire all'Assemblea: siamo convinti che vi sarà la massima attenzione. Siamo certi che il lavoro svolto soprattutto dagli inviati di guerra è utile non solo per dare informazioni, ma anche per avvicinare l'opinione pubblica a fatti che accadono e che non sempre vengono riportati correttamente. Sono proprio gli inviati di guerra a diffondere la conoscenza delle vicende così come realmente accadute, e non come spesso vengono raccontate. Condividiamo, ovviamente, il turbamento espresso dal ministro degli affari esteri per quanto sta avvenendo in Afghanistan; ci accingiamo ad esprimere un voto importante, pienamente consapevoli della responsabilità che ci stiamo assumendo. Ma oggi preme manifestare la nostra vicinanza a tutta la redazione de e sostenere l'impegno che il Governo vorrà mettere in campo, fino in fondo, per assicurare Daniele Mastrogiacomo all'Italia, alla sua famiglia, al lavoro che ottimamente ha svolto negli anni
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, dovremo rispondere, in questa Assemblea, ad uno dei tanti paradossi kafkiani che caratterizzano la politica italiana. Il Governo è stato messo in crisi di recente perché il Senato ha respinto la sua impostazione in materia di politica estera ed internazionale; ebbene, Prodi si è dimesso, è poi tornato in Parlamento ottenendo la fiducia alle Camere, anche al Senato, ma già oggi sappiamo che, su questo decreto sull'Afghanistan, egli non può contare sulla maggioranza. Prodi, quindi, è caduto sulla politica estera ma la discussione di queste ore sul decreto in esame dimostra che egli non ha la fiducia sulla politica estera. In ragione di tutto ciò, non si comprende perché si sia dimesso e perché e come abbia ottenuto nuovamente la fiducia da parte della maggioranza. Nell'affrontare l'esame del decreto di rifinanziamento delle missioni all'estero, si ripropone con forza la questione afghana. Abbiamo sentito le comunicazioni drammatiche del viceministro Intini a proposito della vicenda del rapimento del giornalista de in modo non rituale, anche a nome di tutti i colleghi del gruppo, desidero manifestare solidarietà e vicinanza al giornalista, nonché apprensione per quanto in queste ore può accadere. Desidero altresì assicurare il sostegno all'attività del Governo affinché, come accaduto in altre circostanze analoghe, e auspicabilmente nel modo più rapido e indolore possibile, si possa porre rimedio alla situazione venutasi a creare. Queste circostanze, purtroppo, sono le avvisaglie di una controffensiva terroristica; si tratta di drammatiche testimonianze che confermano come la controffensiva terroristica sia già in atto. È in questa situazione, colleghi, che ci apprestiamo a votare sul decreto di rifinanziamento della missione. Ho ascoltato con grande disagio le parole di un di un partito importante e decisivo nella coalizione di maggioranza, tanto ostentatamente leale a Prodi quanto dichiaratamente ostile al quadro delle alleanze euroatlantiche cui il nostro paese è vincolato. Il dei Comunisti italiani, onorevole Rizzo, ha dichiarato che gli americani hanno compiuto una rappresaglia contro la popolazione civile come i nazisti. Il richiamo al nazismo contro Israele e gli USA appartiene al vocabolario teppistico della diffamazione politica; non è in sé originale, ma è inaudito che un richiamo del genere, una siffatta equiparazione, una tale diffamazione venga da una voce che si leva alta, forte, orgogliosa e riconosciuta dalle fila di questa maggioranza. Dalle file della maggioranza si levano anche altre voci, anche più autorevoli e apparentemente più moderate, contraddistinte da un afflato pacifista a geometria variabile e da uno strabismo etico-morale gigantesco. Il grosso delle organizzazioni della sinistra antagonista e del cosiddetto movimento della pace in questi mesi - e questo è un problema vostro, viceministro Intini, un problema politico che pesa come un macigno anche sull'approvazione del decreto-legge - ha colto ogni occasione per criticare ed attaccare le politiche di difesa israeliane e quelle di stabilizzazione americane, non trovando mai il modo di riflettere sull'efficacia ...
. Hai sbagliato l'intervento!
. Colleghi, per cortesia, lasciate che l'onorevole Della Vedova concluda il suo intervento. Concluda, onorevole Della Vedova.
. ... delle politiche alternative, ritenendo che la priorità non sia quella, come nel caso che abbiamo di fronte in queste ore, di contrastare l'insorgenza terroristica, non sia quella di combattere, di affrontare coloro i quali tentano la via della destabilizzazione anche nei nostri paesi, attraverso ...
. Smettila!
. ... atti ignominiosi...
. Grazie...
. ... come quello del rapimento del giornalista de e di altri giornalisti.
. La prego di concludere.
. Sto per concludere, signor Presidente. La forza che il Parlamento può mettere a disposizione del Governo in questo momento, al fine di affrontare nel modo più efficace possibile la questione del rapimento del giornalista, è lo sforzo di unità, al di là delle polemiche contro coloro che partecipano con l'Italia...
. Grazie...
. ... all'intervento in Afghanistan.
. Grazie. Inviterei i colleghi ad attenersi al tema dell'informativa urgente, perché gli interventi sul complesso degli emendamenti presentati al decreto-legge saranno ripresi al termine dell'informativa medesima. Ha chiesto di parlare, a nome del gruppo di Alleanza Nazionale, l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, condivido il suo appello: parleremo più avanti della situazione in Afghanistan. In questo momento, dobbiamo ringraziare il Governo per la celerità della risposta, per essere venuto in aula subito, anche se, ovviamente, non ci ha potuto fornire molti particolari. Questo è il momento di esprimere, senza «se» e senza «ma», una solidarietà piena al quotidiano e, soprattutto, ai familiari del giornalista. Questo non è il momento - più tardi interverrò sui problemi dell'Afghanistan - di sollevare polemiche o di fare sottigliezze politiche. Piuttosto, vorrei sottolineare la crudeltà - è quasi il caso di dirlo - del messaggio diffuso alle 16,55 da TIM: «Afghanistan. Talebani confermano rapimento inviato Repubblica, anche se parlano di un britannico. Iraq. Attentati a Hillah: 90 morti». Signor Presidente, cinque anni fa, per un attentato simile, oltre che, ovviamente, per il sequestro di un collega de (dico «collega» perché sono anch'io giornalista iscritto all'albo), avremmo sospeso la seduta sconvolti. Novanta morti sono la realtà dell'Iraq di oggi ! Non è per fare polemica, signor Presidente, ma va sottolineato come sia difficile comprendere quale sia il confine tra terrorismo e vendetta, violenza politica, ricatto, sequestro (non sappiamo ancora quello che è successo a Mastrogiacomo). Sicuramente, questo ci deve imporre la massima serietà, al di là di ogni opinione politica, e la massima unità, evitando quindi, da parte dell'opposizione, di strumentalizzare gli eventi, ma anche - mi si consenta -, da parte della maggioranza, di esprimersi con i termini che ho sentito in alcuni interventi. Evidentemente, non ci si vuole rendere conto che in quelle parti del mondo, purtroppo, è in corso una guerra nella quale, in qualche maniera, saremo sempre più coinvolti. Questa è la realtà di oggi. Ad ogni modo, oggi, vogliamo esprimere soltanto solidarietà - ferma, piena e convinta - al collega, augurandogli che possa fare ritorno a casa presto e che possa continuare il suo lavoro di inviato speciale de . Grazie, signor Presidente .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Migliore. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, anch'io vorrei attenermi all'argomento. Ho apprezzato le affermazioni del collega di Alleanza Nazionale, il quale ha sottolineato, giustamente, la necessità, innanzitutto, di un'attenzione e di una solidarietà nei confronti della famiglia di Daniele Mastrogiacomo e della redazione de . Ringraziando il Governo per essere venuto a dimostrarci rapidamente qual è lo stato delle informazioni di cui siamo in possesso, colgo l'occasione per dire che, qualora si verificasse la sciagurata ipotesi di un rapimento non temporaneo che non trovasse immediata soluzione, noi saremmo dell'idea che si procedesse come è avvenuto - e come abbiamo avuto occasione di apprezzare - anche nel corso degli anni precedenti, nel caso di altri rapimenti alcuni dei quali si sono conclusi tragicamente. Ricordo quello di Enzo Baldoni, in particolare, ma anche altri nei quali invece sono state riportate tra noi persone che erano state tradotte in una prigionia incivile. Noi chiediamo al Governo due impegni: innanzitutto di proseguire sempre con la stessa attenzione ad una trattativa per la salvaguardia e la salvezza di una vita umana, quella di un giornalista che fa un lavoro difficile come tanti altri giornalisti e giornaliste (e voglio ricordare qui la tragica morte di Maria Grazia Cutuli proprio in Afghanistan, nell'esercizio della sua professione proprio nella fase iniziale della guerra afghana). Il secondo impegno che chiediamo è di coinvolgere pienamente anche l'opposizione, così com'è stato fatto dal Governo precedente nei nostri confronti, perché riteniamo che gli elementi di salvaguardia prioritaria della vita umana debbano essere mantenuti. Visto che nel corso del dibattito ci saranno poi le dichiarazione di voto, ora mi limito solo a dire che comunque siamo preoccupati - a maggior ragione anche per eventi di questo tipo - con riferimento alla soluzione che si profila essere, per parte NATO, soprattutto militare. Pensiamo che invece questa condizione di difficoltà estrema nella quale ci veniamo a trovare e nella quale anche i nostri concittadini civili e militari si potrebbero - e si sono venuti - trovare debba essere risolta con un'iniziativa politica di altro segno e di altra natura, cioè più incisiva. Quindi, nell'associarmi alla richiesta e all'auspicio che il rapimento di Daniele Mastrogiacomo veda una celere e felice soluzione, suggerisco di approfittare di questa pausa di riflessione per valutare meno polemicamente, ma più profondamente tra gli schieramenti, rispetto a quella che, anche qui, è stata definita una guerra, quale debba essere la strategia di fuoriuscita dalla guerra medesima .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bosi. Ne ha facoltà.
. La ringrazio, signor Presidente. Desidero anche ringraziare il vice ministro onorevole Intini per le informazioni che ha potuto darci, che sono fatalmente frammentarie e incomplete, in relazione alla sorte del giornalista de Daniele Mastrogiacomo. A nome del gruppo dell'UDC, desidero associarmi alla trepidazione che in questo momento coinvolge noi ed il nostro paese per un connazionale così prestigioso ed illustre, che si trova nelle mani dei sequestratori e nello stesso tempo auspicare che l'esito di questa vicenda - che non è certo la prima, com'è già stato ricordato - possa essere felice. Ritengo tuttavia che dobbiamo anche prendere atto e avere fiducia nel sistema di e sicurezza del nostro paese. Questo va detto perché molte volte, laddove altri non sono arrivati, i nostri uomini, i nostri servizi e i nostri apparati sono riusciti a risolvere situazioni considerate disperate. Speriamo, ci auguriamo, confidiamo che sia così anche questa volta. Infine, riprendendo ciò che ha detto poco fa il presidente Casini, quando è intervenuto sulle missioni internazionali, vogliamo che il Governo o chi lo rappresenta possa agire liberamente nel ricercare tutte le condizioni possibili per addivenire ad un esito felice di questo sequestro. Purtroppo in queste situazioni non sempre nel nostro paese si è data questa carta bianca, questa fiducia. Noi lo vogliamo fare, perché riteniamo che in casi come questi sia assolutamente prioritario non solo far sentire l'unità del nostro paese intorno a vicende umane che ci coinvolgono, ma anche dare al Governo, a coloro i quali hanno responsabilità, la possibilità di gestire queste complesse e difficili vicende utilizzando tutti gli strumenti possibili, perché sia salvata una vita umana e positivamente risolto un caso drammatico.
. Ha chiesto parlare l'onorevole Alessandri. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Intini per aver celermente reso in aula una comunicazione, se pur parziale, anche se mi rendo conto che non poteva essere diversamente. Ci auguriamo naturalmente che l'inviato de Daniele Mastrogiacomo, sia in buone condizioni e che non si tratti realmente di un sequestro, visto che ancora non è possibile sapere quale sarà lo sviluppo reale, anche se la mancanza di comunicazioni da domenica sera ad oggi fa purtroppo pensare al peggio. Se ciò fa pensare al peggio, visto che abbiamo avuto altre esperienze ed altri segnali di questo tipo, bisogna ricordare che magari è giusto pensare male e che non è un caso che ciò avvenga a pochi giorni dal voto su un provvedimento sul rifinanziamento delle missioni internazionali, in questi giorni all'esame della Camera e poi del Senato. Gli episodi precedenti ci insegnano, in particolare quello avvenuto in Spagna, che i paesi attraversati da certi fondamentalismi, minati da guerre tribali, da gestioni ingestibili, spesso seguono con attenzione ciò che avviene a casa nostra e pensano di poter influire sulle nostre scelte politiche anche attraverso questo genere di episodi, da un lato violenti, dall'altro caratterizzati da rapimenti, usati come arma di ricatto, di pressione e di influenza politica nei confronti dei Governi occidentali. Questo sarebbe forse uno degli scenari peggiori in prospettiva; infatti, se prendessimo per buone le parole del che ha anticipato, attraverso l'Afghanistan e l'altra parte di Cina collegata dell'etnia pachistana, i l'offensiva forte e cruenta della primavera che sta per arrivare, potrebbe trattarsi semplicemente dell'inizio di questa strategia di terrore, fatta non di una grande guerra offensiva, ma di piccoli colpi ed episodi, che possono mettere in crisi Governi e Stati come il nostro. In questa logica, il corrispondente de potrebbe essere schiacciato in una morsa tremenda. È per questo che la nostra solidarietà è piena, ma soprattutto questo Parlamento deve lanciare un appello: solidarietà all'inviato de ai civili, ai cooperatori, soprattutto ai militari presenti in quell'area, oggi in condizione di estrema durezza, visto quello che ci aspetta, soprattutto in mancanza di mezzi adeguati. Credo che un appello che venga espresso dal Parlamento sia indispensabile Non ci possono più essere tentennamenti nella politica estera: proprio perché ci stiamo accingendo a questo voto, non possiamo pensare che là non ci sia un teatro di guerra! C'è un teatro di guerra, ma è ingestibile E i talebani stanno prendendo il sopravvento, stanno rialzando la testa. C'è soprattutto sfiducia nei confronti delle forze internazionali, in una missione che, non neghiamolo, non è più ONU, ma è NATO, che comporta una serie di problemi, con una guerra che forse non sarà solo al sud dell'Afghanistan, ma si potrebbe proiettare anche ad ovest, nel territorio in cui abbiamo un contingente di nostri ragazzi. Intorno ad esso sono i cooperatori, gli operatori civili, come il corrispondente de . Prima di accingersi a votare, il che forse avverrà domani, il Parlamento deve prendere coscienza che missioni di questo genere non comportano semplicemente la ricostruzione, l'aiuto umanitario e civile, ma anche un rischio enorme per coloro i quali vanno ad operare in quei territori, con grande sacrificio e con grande coraggio. Se siamo consapevoli di ciò, il voto di domani non dovrà essere più contraddistinto da «se», da «ma» da «forse», da «però», ma dovrà essere deciso, unanime e forte, perché il messaggio che occorre dare a coloro i quali stanno operando in quelle zone è che vi è un paese unito, che li sorregge e che li sta mandando nella piena consapevolezza che alle loro spalle vi è qualcosa: se così non fosse, partendo da questo rapimento faremmo in modo, che tutto ciò che accadrebbe nei prossimi mesi sarebbe purtroppo lasciato al caso e ce ne dovremmo assumere la piena responsabilità .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, voglio anzitutto esprimere il senso della vicinanza - mia personale e del gruppo che rappresento, l'Italia dei Valori - ai familiari ed ai colleghi di Daniele Mastrogiacomo, vicinanza che vorremmo estendere anche agli altri sequestrati, all'autista, all'interprete, all'«occidentale» - così viene definito - che accompagnava Daniele in questo viaggio da Kabul a Kandahar. Parlo di sequestro, perché tale pare che sia, almeno stando ai dispacci di agenzia, che riferiscono di una rivendicazione giunta da parte di un capo talebano. In un frangente come questo mi spiace aver ascoltato il senso di una polemica speciosa. Mi auguro, sarà senz'altro così, che l'onorevole Della Vedova possa non aver colto il passaggio ad altro punto all'ordine del giorno e comprendo, insieme all'apprezzamento per le parole del rappresentante del Governo, anche il senso di un riserbo, che non credo dipenda soltanto da carenza di notizie. Probabilmente dietro tale riserbo vi è anche un doveroso silenzio rispetto all'attività di che senz'altro è stata messa subito in campo. Voglio anche dire che personalmente, quando ho letto la notizia, ho avuto un sussulto. Il mio pensiero è andato subito a Maria Grazia Cutuli, la giornalista del che il 19 novembre 2001 fu sequestrata ed uccisa assieme ad un giornalista australiano, ad uno spagnolo e ad un accompagnatore afghano sempre sulla strada verso Kabul. Spero ovviamente che l'esito di questa vicenda sia di tutt'altro tenore e confido nell'azione e nelle capacità del nostro Governo. Approfitto dell'occasione - non paia fuori tema e fuori luogo - per rivolgere un pensiero anche ad altri due nostri concittadini, Lucio Moro e Luciano Passarin, sequestrati in Nigeria da molti mesi. Ho molto apprezzato l'intervento dell'onorevole Casini, che ha chiesto al Governo di fare tutto quanto è possibile per riportare a casa Daniele Mastrogiacomo. Voglio aggiungere al suo appello il mio. Sono fiducioso nell'azione del Governo e spero che l'esito possa essere quello che nel 2005 ha riguardato Clementina Cantoni, che era stata sequestrata per ventiquattro giorni in Afghanistan e, ancora, quello dell'opera meritoria che ha portato alla liberazione, nel 2006, dopo ventitre giorni, di Gabriele Torsello. Queste vicende stanno a significare che negli ultimi tempi la nostra presenza in Afghanistan è stata probabilmente avvertita in misura ed in maniera diversa rispetto ad altre. Ciò richiama a noi tutti la necessità di riconsiderare il senso stesso della missione in Afghanistan. Siamo in tale paese per un'operazione di ma parlare di quando si legge che domenica vi sono stati sedici morti, che lunedì ve ne sono stati nove, che vi sono i bombardamenti dei cacciabombardieri americani a nord di Kabul, tutto questo sicuramente rende problematica l'azione a sostegno delle popolazioni civili dell'Afghanistan e, nel caso specifico, più difficile il ritorno a casa di Daniele Mastrogiacomo, ma noi speriamo con fiducia nell'azione del Governo .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mellano. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, colleghi, anch'io, a nome del gruppo La Rosa nel Pugno, dei socialisti e dei radicali che lo compongono, voglio ringraziare il Governo nella sua interezza e, in particolare, il viceministro Ugo Intini, che è intervenuto in modo così urgente e tempestivo in una situazione che è delicata anche per chi ha funzioni di Governo e, quindi, con difficoltà a rispondere alle tante domande che sorgono naturali di fronte alle notizie e ai lanci di agenzia. Siamo in una fase di indeterminatezza o, comunque, di notizie scarne e incerte: quindi, siamo anche noi in trepida attesa di maggiori informazioni e di una chiarificazione del contesto e degli eventi che sono accaduti. Ci accomuniamo a tutti gli altri colleghi che sono intervenuti per un messaggio di solidarietà alla famiglia e ai colleghi de ma vogliamo anche lanciare un messaggio di solidarietà, di sostegno e di incoraggiamento ai tanti giornalisti che svolgono e nobilitano la professione in zone a rischio, in zone difficili, dove l'informazione diventa in alcuni casi parte della battaglia che si combatte e dell'evento che si va a documentare. Tanti sono i nomi che ci rincorrono quando pensiamo alla difficoltà e alla pericolosità del ruolo del giornalista in aree di crisi. Non vogliamo citarli qui perché ci auguriamo davvero che il caso del giornalista de si risolva facilmente e velocemente, e speriamo che l' e i servizi di sicurezza, assieme alla presenza italiana e degli alleati in Afghanistan, possano aiutare a risolvere velocemente la situazione. Accanto ai ringraziamenti volevo commentare, apprezzandolo, l'intervento del collega Zacchera, che, di fronte alle notizie che arrivano, diceva che in altri contesti forse avremmo chiesto di sospendere la seduta per ragionare ed approfondire. No, credo che, visto il contesto in cui arriva questa notizia, abbiamo il dovere morale di accelerare e di chiudere una vicenda che ci vede, forse non casualmente, discutere del rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Come Rosa nel Pugno vorremmo che la tragica notizia della scomparsa e della mancanza di notizie di un giornalista de ci spinga ad essere precisi e puntuali. Vorremmo che non si usasse questa o altre notizie, che dalla primavera afgana - che pare sia già cominciata da quelle parti - saranno sicuramente sempre difficili e tragiche, e questa è una previsione facile da fare. Sappiamo che è una stagione difficile quella che si apre in Afghanistan per la presenza internazionale di pacificazione in quella zona, ma dobbiamo essere chiari e forti nel dire che la nostra presenza è motivata e giustificata, che è una presenza che ha contribuito a dipanare la matassa di un intrigo secolare, decennale, che ha visto - lo voglio ricordare - meno di dieci anni fa persino una rappresentante del Governo europeo, come era allora Emma Bonino, fermata e arrestata dal regime dei talebani. Siamo ora in una situazione molto diversa, anche grazie all'intervento italiano, all'intervento alleato e dell'ONU. È una situazione comunque difficile, delicata, pericolosa, ma proprio per questo dobbiamo essere attenti a misurare le parole, i gesti e gli atti. Saremo chiamati, di qui a poche ore, ad un voto importante e noi della Rosa nel Pugno lo faremo anche pensando al giornalista de di cui in queste ore non abbiamo notizia
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tranfaglia. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, anche noi intendiamo rivolgere un ringraziamento al Governo e, in particolare, all'onorevole Intini per le notizie che ci ha fornito. Quello del rapimento e della morte dei giornalisti sta diventando, purtroppo, un dato con il quale si ha a che fare in tutto il mondo e, di fatto, essi costituiscono un attacco a una delle libertà fondamentali previste dalla nostra Costituzione come da quelle della maggior parte dei paesi del mondo. Si tratta di un attacco alla libertà di stampa che si è tradotto, nei teatri di guerra e anche al di fuori di essi, in 300 morti negli ultimi quattro anni e in quasi 200 morti per quanto riguarda la sola guerra in Iraq. L'Afghanistan si aggiunge a questi teatri di guerra e in tale paese si registra un altro fatto grave. Tra l'altro, i corrispondenti di guerra rappresentano spesso una sorta di stampa specializzata e sono coloro che corrono i maggiori pericoli. Frequentemente sono rapiti, a volte muoiono, come nel caso dell'inviata del Maria Grazia Cutuli, o, comunque, spariscono proprio nel momento in cui stanno compiendo imprese difficili. Sappiamo che l'inviato de Mastrogiacomo, si è recato nel sud dell'Afghanistan per intervistare uno dei capi dei talebani. Il sequestro di un giornalista, giunto in quell'area con intenti pacifici per dare all'Italia e al mondo notizie realistiche e obiettive su quanto sta accadendo, costituisce un nuovo episodio che deve essere registrato e che indica, di fatto, un'altra delle difficoltà che incontrano, in particolare, governi come quello dei talebani, che sono espressione di movimenti assai criticabili sul piano del riconoscimento delle libertà. Sono convinto, non da oggi, che l'Afghanistan stia diventando un teatro pericoloso quanto quello dell'Iraq e sono convinto anche del fatto che la prossima offensiva dei talebani farà registrare episodi come quelli ai quali siamo stati abituati, purtroppo, dalla guerra in Iraq. Mi riferisco agli attentati che avvengono ogni giorno e che determinano la morte di centinaia, e poi migliaia, di persone. In una situazione di questo genere, credo che il Governo italiano debba fare di tutto per cercare di riportare a noi il giornalista de . Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli del fatto che, in guerre come quelle che si stanno combattendo, le missioni militari italiane sono esposte a pericoli e possibilmente ad altre vittime. Questo non significa avere un atteggiamento negativo e, pertanto, esprimerò voto favorevole, come farà la maggioranza tutta e anche parte dell'opposizione. Però, nel frattempo, dovremmo approfondire sempre di più i vari aspetti di queste missioni e dovremmo evitare a noi italiani il ruolo di coloro che vanno in pace e si trovano a dover combattere o ad essere abbattuti. Questo è un problema che credo il nostro Parlamento, al di fuori delle polemiche immediate, dovrà porsi nel prossimo futuro .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bonelli. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, innanzitutto intendo ringraziare, a nome dei Verdi, il signor viceministro per la tempestività con la quale ha accolto l'invito a fornire questa informativa urgente. Il mio intervento sarà molto breve e, probabilmente, anche inusuale. Non è questo il momento di effettuare analisi e valutazioni politiche riguardo alle questioni legate al conflitto in atto in Afghanistan. Siamo profondamente turbati da questo probabile sequestro - come alcune agenzie di stampa indicano - di Daniele Mastrogiacomo, perché in queste ultime ore, sono accaduti fatti molto gravi, che giustamente hanno determinato la reazione del Governo italiano. Mi riferisco alle vittime civili. Voglio, però, soffermarmi sulla vicenda, che è diventata drammatica, della scomparsa del giornalista de Daniele Mastrogiacomo. I Verdi sostengono e sosterranno l'azione del Governo, che è tesa a riportare a casa sano e salvo Daniele Mastrogiacomo, ma vogliamo ricordare a lei, signor viceministro, e al Governo intero, con molta serenità, ma anche con molta puntualità, che è necessaria una trattativa ed è bene che non ci siano condizionamenti da parte di coloro i quali, in questi anni, hanno sempre detto di non volere trattative. Si faccia, invece, qualunque trattativa utile per portare a casa Daniele Mastrogiacomo - questo è un punto estremamente importante - senza subire alcun tipo di condizionamento. La seconda questione che voglio sottoporle è quella relativa al metodo. Non siamo qui ovviamente a dare suggerimenti, ma vogliamo esprimere un nostro contributo. Già qualcun altro lo ha detto: è necessario che si spieghi, attraverso i canali di informazione locali (che in passato sono stati utili per portare alla liberazione di Torsello), ossia attraverso un meccanismo capillare, che questo giornalista in particolare, come tanti altri, si trova in quei luoghi per raccontare e spiegare principalmente gli orrori della guerra e che l'informazione svolge una funzione importante. Bisogna fare in modo che questa spiegazione avvenga attraverso i canali di informazione locali nella realtà afgana. Sono queste le due questioni che poniamo con forza. Ovviamente, da parte del gruppo dei Verdi vi è il sostegno all'azione del Governo affinché rapidamente si possa giungere ad una soluzione, per fare in modo che Daniele Mastrogiacomo possa tornare a casa .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, ringrazio il signor viceministro per la tempestiva informativa che ha reso al Parlamento, per il quale è il momento di esprimere il sostegno di tutti gruppi politici affinché al più presto il giornalista Mastrogiacomo torni in mezzo a noi. Vorrei sottolineare che l'augurio dei Popolari-Udeur e il nostro sostegno è rivolto ad un capace giornalista, come tutti quelli che, purtroppo, anche altre volte sono stati vittime nei teatri di guerra e che danno la possibilità, anche a noi politici, di capire cosa succede in quei luoghi. Il nostro sostegno va anche al Governo affinché possa continuare nella sua azione; e rivolgendo anche un augurio innanzitutto alla famiglia di Daniele Mastrogiacomo, ma anche a ci auguriamo (e ne siamo sicuri) che la stessa possa andare a buon fine. La strada da seguire è quella della maggiore compattezza possibile, per far sì che in questi teatri di guerra la violenza sia bandita, in ossequio all'articolo 11 della Costituzione e alle dichiarazioni dell'ONU. Credo che non sia il momento delle polemiche e voglio lasciare le altre riflessioni alle dichiarazioni di voto previste per domani sul disegno di legge concernente la partecipazione italiana alle missioni internazionali. È il momento di essere tutti quanti uniti, in maniera trasversale ai partiti, per essere vicini ad un Governo che deve cercare di fare il più possibile, anche eventualmente trattando, affinché ancora una volta un giornalista non sia colpito. Quindi, noi Popolari-Udeur chiediamo che vi sia il massimo impegno del Governo e che ci sia compattezza da parte di tutte le forze politiche, perché questo non è il momento della divisione, ma della compattezza. La ringraziamo molto, signor viceministro, per tutto ciò che farà il Governo, e siamo sicuri che questo Parlamento farà la sua parte in tal senso
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor viceministro Intini, la ringrazio per la sua presenza in quest'aula, ma non per quello che ci ha comunicato: ne avremmo fatto volentieri a meno, avremmo voluto che ciò non fosse successo. Ovviamente, come gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista, siamo vicini ai familiari di Daniele Mastrogiacomo. Sappiamo quello che stanno provando in questo momento; ci auguriamo che tutto si risolva in tempi brevissimi e che il giornalista sia riportato a casa. Però, siamo preoccupati: anche nel corso di questo dibattito, in cui abbiamo avuto a disposizione cinque minuti di tempo per intervenire, abbiamo ascoltato tanti corvi, tanti uccelli del malaugurio, come se si aspettassero che dovesse succedere qualcosa. Noi siamo tra quelli che si contraddistinguono per avere un determinato DNA, un certo cromosoma: già nel 1978, al tempo del sequestro Moro, eravamo per «trattare, trattare, trattare e sempre trattare». Se fosse necessario, metteremmo a disposizione anche la nostra indennità di carica, pur di salvare la vita a un nostro concittadino, chiunque esso sia. Al momento, si tratta di un giornalista, ma potrebbe essere un contadino o un operaio. Qualsiasi cittadino italiano merita la nostra attenzione. Certo siamo preoccupati, perché sappiamo che non c'è un Governo all'altezza della situazione e non vorremmo che fossero stati proprio i due inconvenienti accaduti in Senato - che hanno visto questo Governo in minoranza - a dare forza ai talebani, a indurre associazioni internazionali organizzate a non vedere di buon occhio l'Italia, cercando di condizionare le nostre decisioni, così che il dibattito odierno in quest'aula sarebbe premonitore. Siamo preoccupati perché al Governo non vi sono i profili di un tempo: non ci sono i Craxi, i Moro, gli Andreotti, i Cossiga, i De Michelis, i Berlusconi. Siamo preoccupati per questo, perché con le sedute spiritiche non si risolve nulla. Questo Governo, ormai, vive alla giornata e vive di esoterismi momentanei: è questo che ci preoccupa e ci fa dire che l'unità di crisi deve quanto mai vegliare e sorvegliare su queste situazioni, rispetto a tutti gli italiani che si trovano in quei luoghi. I datori di lavoro e le redazioni (in questo momento mi riferisco, in particolare, a quella de cui va tutta la nostra solidarietà, ma anche a tutte le altre) devono dire ai loro giornalisti di stare attenti, perché non sono lì per fare una passeggiata o per scoprire . Si trovano in un'area dove è in corso una missione di pace, ma esistono turbolenze che possono portare a degli incidenti. Siamo di fronte a gruppi organizzati che stanno commettendo grossi reati contro la loro popolazione, e non vi può essere un Governo che dice che gli americani sono come i nazisti! È questo che ci dobbiamo mettere in testa ! Abbiamo bisogno di un altro profilo di politici e di Governi. Abbiamo bisogno di questo. Se siamo deboli sotto tale aspetto, diventa inutile citare sempre l'articolo 11 della Costituzione. Se gli Stati Uniti avessero avuto un simile articolo e nel 1940 non fossero intervenuti, noi saremmo ancora sotto i nazisti e i fascisti! È stato un bene che loro siano intervenuti a riportare la normalità. Alcuni colleghi hanno parlato di vittime civili. Ma certamente gli americani non volevano uccidere ragazzi, minorenni e civili: perseguivano dei terroristi internazionali che tanto male e tanto danno hanno fatto alla comunità internazionale. Per questi motivi, invitiamo il viceministro Intini a fare tutto il possibile per riportare il giornalista in questione e tutti gli altri giornalisti ai propri cari e ai propri familiari. È questo quello che più conta, perché sulle polemiche potremo ritornare.
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor viceministro, esprimo, a nome del Movimento per l'Autonomia, grande preoccupazione per la sparizione di Daniele Mastrogiacomo. Siamo vicini alla sua famiglia e ci stringiamo ai suoi familiari in questi momenti di grande apprensione. Speriamo che nelle prossime ore sia fatta chiarezza e si possano avere notizie più precise sulle circostanze che hanno determinato la sparizione del giornalista del quotidiano . Siamo certi che la Farnesina sta facendo quanto in suo potere per arrivare presto ad una positiva soluzione della vicenda. Daniele Mastrogiacomo è un nostro connazionale; lui e i suoi familiari devono sapere che hanno tutta la nazione vicina e che tutti noi parlamentari non siamo indifferenti a questo grave episodio. Dovere del Governo è quello di intervenire in aiuto di Daniele Mastrogiacomo e di tutti gli altri italiani all'estero che si trovano in condizioni di pericolo. Per questo non possiamo non menzionare in questa circostanza i nostri due connazionali, Francesco Arena e Cosma Russo, che dal 7 dicembre 2006 in Nigeria sono prigionieri del MEND. È di oggi la notizia che il Movimento per la liberazione del Niger non ha alcuna intenzione di procedere alla liberazione dei nostri connazionali, almeno fino a quando non avrà ottenuto risposte alle sue richieste che - va ricordato - sono di natura esclusivamente politica. Siamo coscienti che assolutamente diversi sono i contesti in cui queste due vicende si sono verificate, ma siamo altrettanto certi e profondamente convinti che eguale è il valore della vita dei nostri connazionali. Per questo riteniamo doverosa un'informativa del Governo anche su questa non meno allarmante vicenda.
. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
. Chiedo di parlare.
. Onorevole Della Vedova, l'articolo 43 del regolamento impedisce di intervenire due volte sullo stesso argomento. Pertanto, non posso darle nuovamente la parola.
. Riprendiamo gli interventi sul complesso degli emendamenti. Constato l'assenza dell'onorevole Khalil Alì, detto Alì Raschid: si intende che abbia rinunciato ad intervenire. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci accingiamo a votare questo decreto-legge di rifinanziamento delle missioni, relativo anche a quella in Afghanistan, dopo che nelle scorse settimane il Governo è entrato in piena crisi in materia di politica estera. Si arriva all'esame di questo decreto dopo che il Governo è stato costretto a presentare le dimissioni innanzi al Presidente della Repubblica, a causa della mancanza al Senato di una maggioranza sulla politica estera. Il Governo si è dimesso e poi ha ricevuto il reincarico da parte del Presidente della Repubblica, ottenendo, come sappiamo, la fiducia al Senato ancora per pochi voti. Tuttavia, gli spigoli e le problematiche interne alla maggioranza restano e soltanto pochi giorni dopo ci troviamo ad affrontare uno degli aspetti più critici per questa maggioranza, come appunto la politica estera ed in questo caso il rifinanziamento delle missioni, tra cui quella portata avanti in Afghanistan. In quel paese sono presenti i nostri soldati e le nostre truppe, impegnate in missione. Sappiamo oggi da quanto sta accadendo in queste ore, da quanto è accaduto nei giorni scorsi e da quanto è presumibile accada nelle prossime settimane che certamente non si tratta più di una missione di pace; purtroppo possiamo dire che ci troviamo in una situazione di guerra. Ci troviamo in tale situazione con una maggioranza di Governo che ha applaudito, quando a governare era il centrodestra, Zapatero, che decise di ritirare la propria partecipazione militare dagli scenari internazionali di guerra. Era la maggioranza che sventolava le bandiere della pace e che diceva che c'è solo una pace «senza se e senza ma». Era una maggioranza che chiamava le truppe italiane e americane truppe di occupazione, nei territori dove invece i nostri soldati andavano per mantenere la pace e per cercare di sistemare le situazioni di difficoltà esistenti. Era una maggioranza che diceva che la guerra non ci doveva essere, sempre, «senza se e senza ma». Era una maggioranza che quindi mai nessuno pensava avrebbe fatto le scelte che pare si accinga a fare in questi giorni. Quindi riscontriamo una contraddizione forte, chiara, palese in questa votazione, visto che, da quanto sappiamo, anche la parte della sinistra più radicale pare voler votare questo rifinanziamento, sul quale noi peraltro siamo ovviamente d'accordo. Quindi, al di là della sceneggiata che c'è stata al Senato, da parte di alcuni senatori, i quali dicevano che mai avrebbero votato il rifinanziamento della missione in Afghanistan e che mai avrebbero votato questa politica estera, la paura del voto - la paura di questa maggioranza, che non ci sarebbe più, qualora si dovesse tornare al voto - è più forte degli ideali, con i quali si andava a sventolare la bandiera della pace nei mesi scorsi e negli anni scorsi, nelle piazze italiane e nelle manifestazioni a favore della pace che venivano fatte. Questa crediamo sia la sintesi politica che si può cogliere, al di là del fatto che anche il nostro gruppo appoggerà il rifinanziamento di questa missione. La votazione di questo provvedimento viene accettata con alcuni «contentini». Si parla di una conferenza di pace, da organizzare non si sa bene ancora dove e da portare all'attenzione degli organismi internazionali, una conferenza di pace dove si discuterà di tutto e di più relativamente a ciò che riguarda la pace, ma che ancora oggi non è chiara. È messa lì come contentino per chi con difficoltà sarà costretto a votare questo decreto. Una conferenza di pace che ad oggi si stima costerà all'Italia circa 500 mila euro. Ma questo è solo il prezzo previsto per l'Italia; poi non si sa quanto verrà a costare agli altri paesi che vorranno prendere parte a questa conferenza di pace, ammesso che vogliano parteciparvi. Non vorremmo che magari, nel momento in cui questa iniziativa non giungesse in porto, i 500 mila euro, accantonati nei capitoli della politica estera, venissero poi utilizzati per rifinanziare ancora un'operazione di guerra, come quella che si sta prefigurando in Afghanistan. Sarebbe quasi uno scherzo del destino per chi ha chiesto questa conferenza di pace, rispetto alla quale oggi non vi è alcuna certezza, al di là del fumo che si vuole vendere con questa proposta. Inoltre abbiamo sentito formulare l'ipotesi dell'utilizzo dell'oppio che viene prodotto in Afghanistan per fini farmaceutici; un utilizzo che è stato proposto, ed anche in parte condiviso, da diversi gruppi della maggioranza, ma poi abbiamo visto essere stato smentito nei fatti. Tuttavia chi mastica un po' di questa materia ci ha spiegato che una proposta di questo genere non sarebbe nemmeno praticabile, in quanto ai fini terapeutici oggi l'oppio costa circa 20-30 dollari al chilo, mentre nel mercato illegale si viene a pagare circa 130 dollari al chilo. Quindi, chi mette illegalmente sul mercato questo oppio è portato a farlo in vista di un vantaggio economico. Cercare di convincerlo a comportarsi diversamente, è un tentativo che chiaramente da un punto di vista economico non sta in piedi. Bisogna, invece, praticare politiche finalizzate alla riconversione delle produzioni; azioni in tal senso sono state già intraprese ed hanno conseguito risultati parzialmente positivi. È questa la politica che deve essere perseguita, anziché pensare di commercializzare, magari «istituzionalmente», l'oppio a fini farmaceutici, come è stato proposto da alcuni componenti della maggioranza. Onorevoli colleghi, purtroppo possiamo tranquillamente affermare che oggi, in Afghanistan, esiste una situazione che si sta drammaticamente aggravando. L'inverno è finito ed in primavera, come affermano gli analisti che si intendono di questi scenari, saremo sicuramente di fronte non ad una missione di pace, ma ad una prospettiva di vera e propria crisi; del resto, chi è già intervenuto ha parlato di una vera e propria guerra. Quindi, ci troviamo a rifinanziare non più una missione di pace, ma un impegno che incontrerà chiaramente momenti di difficoltà e (anche se speriamo di no) di criticità particolare. Osserviamo che oggi le nostre truppe paiono non essere in grado non dico di attaccare (perché non chiediamo ciò), ma addirittura di difendersi da eventuali situazioni di crisi. Attualmente, infatti, i nostri militari, per come il Governo intende questa missione, non sono capaci di difendersi da attacchi che, anche nelle zone da essi occupate, potrebbero eventualmente subire. Ciò perché la situazione, come è stato affermato, si sta «irachizzando»: in altri termini, la realtà in Afghanistan si sta aggravando a tal punto da prefigurare scenari che ricordano quanto avvenuto in Iraq. Pertanto, risulta difficile la ricerca di quella famosa «terza via» che il centrosinistra vorrebbe individuare. Vorrei segnalare che «la prima via» è rappresentata dalla partecipazione delle nostre truppe alla guerra, mentre la seconda è costituita dal ritiro. La «terza via» che il centrosinistra vorrebbe seguire non si capisce chiaramente quale sia e, in uno scenario di questo tipo, probabilmente nemmeno c'è! Dunque, una «terza via», ipotetica o ideale, non esiste: o si decide di partecipare ad una missione che non è più di pace, ma è di guerra, oppure si sceglie la strada del ritiro. Purtroppo, di fronte ad una situazione che si sta lentamente, ma inesorabilmente aggravando, «terze vie», come intende prefiggersi il Governo in carica, non ce ne sono! Concludo il mio intervento rilevando come questa missione, appoggiata inizialmente, nella scorsa legislatura, dalla Casa delle libertà, abbia comunque conseguito alcuni risultati. Possiamo infatti affermare che, oggi, l'Afghanistan è un paese più libero di prima. È altresì possibile riconoscere che determinati diritti civili ed umani, anche se non nel modo in cui siamo abituati a conoscerli, cominciano ad essere comunque rispettati. La figura della donna, inoltre, non patisce più le condizioni precedenti, ed oggi gode di maggiori diritti. Abbiamo constatato, infine, che anche la tecnologia e l'informazione si stanno espandendo. Certo, si tratta di risultati minimi rispetto a quelli cui siamo abituati, ma sono comunque conquiste tangibili e chiaramente visibili. Formuliamo, quindi, l'auspicio che le modalità della partecipazione dei nostri soldati - che, purtroppo, si trovano in uno scenario di guerra - siano chiare e precise. Non vorremmo, infatti, che venissero lasciati in una condizione di ambiguità, perché ciò potrebbe anche condurli allo sbaraglio .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, vorrei aprire il mio intervento esprimendo solidarietà alla famiglia del giornalista rapito in Afghanistan ed auspicando, altresì, il suo pronto rilascio da parte dei sedicenti talebani che ne hanno rivendicato il rapimento. La discussione sulle linee generali che si è svolta ieri in quest'aula e i titoli dei giornali di questa mattina hanno dimostrato, ancora una volta, la mancanza di una linea di politica estera comune da parte di questa maggioranza, la quale solo pochi giorni fa aveva dato la fiducia al Governo. Sicuramente, si tratta di una fiducia a tempo. Probabilmente, chi ha votato la fiducia sapeva che, dopo qualche giorno, non sarebbe stato nella condizione di poter votare il provvedimento all'esame ed ecco allora spuntare su tutti i giornali la panacea di ogni male: dopo la fiducia a tempo anche le maggioranze variabili. Indubbiamente, è una innovazione politica che ha un solo significato, quello di ribadire che il centrosinistra non ha la maggioranza in politica estera e di digerire il fatto che per poter andare avanti è necessario avere i voti del centrodestra. Questo per noi è sicuramente inaccettabile, anche se tuttavia, da forza responsabile come siamo, non faremo mancare il nostro appoggio, sia ai militari impegnati nei vari scenari internazionali sia con riferimento agli impegni internazionali che l'Italia ha sottoscritto. Gli alleati, atlantici e non, devono sapere che l'Italia è affidabile, che possono contarci, e che tale affidabilità deriva non dalla sua maggioranza di governo, ma dal centrodestra, che aiuta a sostenere la politica estera del paese. La credibilità di un intero paese è stata minata da questa maggioranza; ne è stata umiliata in più di una occasione, non con un solo voto, bensì con due voti parlamentari, che hanno portato addirittura alla crisi di governo; poi, come se niente fosse siamo andati avanti! Noi voteremo questo provvedimento, come già ricordato, per senso di responsabilità; tuttavia dobbiamo ribadire che, nel caso in cui, al netto dei voti favorevoli della nostra parte politica, l'Unione non avesse la maggioranza, dovrebbe prenderne atto e, come ha detto D'Alema in tempi non sospetti, dovrebbe anche andare a casa (e noi lo auspichiamo). Come forza responsabile abbiamo compiuto un'attività emendativa (con particolare riferimento ad un emendamento) per riuscire a migliorare il testo del provvedimento in esame, che sotto alcuni punti di vista ci lascia quantomeno perplessi. A tale proposito, in questa fase politica e in uno scenario internazionale instabile, noi riteniamo necessario riportare il finanziamento delle missioni da annuale a semestrale, perché non possiamo asservire a basse logiche di politica interna il ruolo svolto dall'Italia negli scenari internazionali. Il Parlamento deve avere la possibilità di continuare a vigilare sulle azioni che noi svolgiamo all'estero e deve essere messo in grado, attraverso il rifinanziamento semestrale, anche di prendere le decisioni più opportune e maggiormente idonee all'eventuale mutamento degli scenari internazionali. Ricordiamo che tale era la posizione che voi avete tenuto durante tutta la scorsa legislatura, nel corso della quale noi siamo sempre stati accusati di voler scippare al Parlamento il controllo sulle missioni internazionali. A questo punto, noi riteniamo di venire incontro alle vostre richieste, per cui abbiamo presentato l'emendamento cui ho fatto cenno per poter mantenere a livello semestrale il finanziamento delle missioni. Quanto all'altra novità, contenuta in questo provvedimento, dei milioni stanziati per la cooperazione, se, da un lato, troviamo positivo il fatto che vengano destinate risorse al sostegno della popolazione civile e alla ricostruzione delle infrastrutture e del tessuto sociale in Afghanistan, dall'altra ci lascia molto perplessi la mancanza di meccanismi di controllo che possano garantire l'effettiva efficacia della spesa che viene effettuata in base ai fondi messi a disposizione. Anche dalle audizioni informali svolte in Commissione non è emerso un vero e proprio meccanismo di controllo, dunque non siamo certi di come i soldi verranno spesi. Pertanto, abbiamo paura che i così tanti fondi destinati a vari interventi possano correre il rischio di finanziare le coltivazioni di oppio, magari i signori della guerra, che altro non fanno che aumentare l'instabilità e la precarietà del Governo afgano. L'altro punto che, tramite emendamenti qualificati, abbiamo cercato di mitigare è quello riguardante il rischio che i fondi della cooperazione non vadano ad effettivo appannaggio del popolo afgano, ma vengano spesi per contratti di consulenza, che spesso possono finire a sedicenti organizzazioni non governative, che sovente sono autoreferenziali e che non fanno il bene del popolo afgano. Quanto alla questione dell'oppio, anche autorevoli esponenti della sinistra, come ad esempio Pino Arlacchi - che, nel 1994, fu eletto nelle fila degli allora progressisti -, hanno affermato che si tratta di una via non praticabile, sia perché non vi è domanda, sia perché non è una vera e propria forma che consente di sostenere la conversione delle colture da parte dei contadini afgani. Pertanto riteniamo si tratti di una proposta al limite dell'irresponsabile, se non addirittura senza senso. Quanto alla Conferenza di pace, occorre chiarire che saremmo favorevoli ad una Conferenza di pace in grado di risolvere nei fatti i problemi dell'Afghanistan. Tuttavia, riteniamo che l'attuale quadro politico e la posizione assunta dai vari attori che dovrebbero prendere parte a tale Conferenza evidenzino che ciò sarà possibile solo dopo la soluzione della situazione irachena. Se non si scioglie il nodo dell'Iraq, paesi come l'Iran difficilmente parteciperanno, assumendo una posizione costruttiva e fattiva, alla Conferenza di pace sull'Afghanistan. Conseguentemente, riteniamo che lo stanziamento di 500 mila euro destinato alla Conferenza sull'Afghanistan debba essere speso con molta più efficacia per l'Iraq ed abbiamo presentato emendamenti in tal senso. A questo punto, rimane il tema di fondo relativo alla situazione di queste missioni all'estero. Mi rivolgo ai compagni della sinistra: dovete chiarirvi le idee, dovete smetterla di mentire a voi stessi, dovete rendervi conto che esiste un'opinione pubblica alla quale non potete mentire! I recenti episodi accaduti in Afghanistan - le 16 vittime dell'altro ieri, i 9 morti civili di ieri nonché i continui attacchi suicidi - dimostrano che ci troviamo in un teatro di combattimento. Anche se la zona dove sono schierati i militari italiani e la cooperazione civile italiana in questo momento non è interessata da eventi bellici, essi possono facilmente verificarsi. Allora, dobbiamo essere pronti e consapevoli che i nostri militari potrebbero essere chiamati a difendersi e che non lo potranno fare con le bandiere della pace, ma dovranno farlo con le armi. Credo sia compito di una maggioranza di Governo rendersi conto che questa evenienza può, effettivamente, verificarsi. La politica estera di questo Governo è venuta meno prima riguardo alla base di Vicenza, poi con la bocciatura al Senato delle linee dell'Esecutivo presentate dall'onorevole D'Alema. Ci chiediamo quale sarà la prossima occasione in cui verrà meno la maggioranza: forse essa riguarderà questo provvedimento sull'Afghanistan o, forse, lo stanziamento per gli F35 che verranno assemblati nella base di Cameri. Questa, quindi, non sembra la svolta pacifista che la sinistra radicale ha chiesto al Governo: finanziare attraverso 800 milioni di dollari un programma militare teso alla realizzazione del F35 non ci sembra una politica di pace. Concludo affermando che, probabilmente, il cambio di titolo di questo provvedimento e i milioni a pioggia per la cooperazione civile potranno placare la coscienza di qualche appartenente alla sinistra radicale permettendogli di esprimere un voto favorevole. Questo, però, non farà diminuire i rischi a cui sono sottoposti i militari in tutti i teatri in cui operano .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ascierto. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, ci troviamo dinnanzi alla conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali, quindi è d'obbligo ricordare gli uomini e le donne, in divisa o meno, che in ogni parte del mondo, rappresentando l'Italia, esprimono il valore della solidarietà che, grazie alla loro azione, si estrinseca in profonda umanità. Vi sono circa 8 mila 500 militari impegnati in più di venti missioni, nell'ambito delle quali le Forze armate hanno potuto manifestare tutta la loro grande professionalità. Vorrei ricordarle queste missioni: Kosovo, Scopje, Bosnia, Sarajevo, Afghanistan, India, Libano, Baghdad, Gaza, Medio Oriente, Ebron, Cipro, Egitto, Sudan, Malta, Mediterraneo, Congo e Sahara occidentale. Ebbene, dovunque i nostri militari si sono fatti apprezzare per la grande carica di umanità e la vicinanza alle popolazioni. Le popolazioni non hanno mai ritenuto ostili i nostri militari; talvolta mi rammarico e rimango esterrefatto quando osservo che, invece, in Italia vi è una certa avversità nei loro confronti. Le attività dei nostri militari hanno portato miglioramenti soprattutto in regioni caratterizzate da forti conflitti etnici, ad esempio ad est, vicino all'Adriatico; grazie all'azione dei nostri militari sono state divise le fazioni tra loro contrapposte, è stata bloccata la pulizia etnica. Inoltre, abbiamo visto operare i nostri militari anche in altre parti del mondo, in Somalia, in Africa; un ruolo fondamentale lo hanno avuto in Medio Oriente e in teatri di guerra quali l'Iraq e l'Afghanistan. Veniamo, però, al nodo della questione, senza nasconderci dietro la retorica: assicurare la pace tra i popoli non è possibile solo sventolando bandierine e dichiarandosi pacifisti. Bisogna invece assumersi la responsabilità di azioni concrete, nei confronti dei popoli e anche verso il proprio paese. Pace significa non solo stabilizzazione di un paese sui versanti della democrazia e dei rapporti internazionali; pace significa anche lotta al terrorismo. Proprio da un attacco terroristico sferrato contro l'Occidente è infatti nata l'azione che ha portato alla guerra sia in Afghanistan - dove, invero, la lotta si è concentrata soprattutto contro il terrorismo - sia in Iraq. Dopo l'11 settembre 2001, una risoluzione dell'ONU ha riconosciuto il diritto alla legittima difesa degli Stati Uniti; Stati Uniti e altri paesi dell'Occidente vedevano infatti minacciata la propria libertà e la propria sicurezza. Avute le prove del coinvolgimento terroristico di Al Qaeda - che aveva le proprie basi proprio in Afghanistan -, è iniziata, quindi, l'operazione con l'obiettivo di colpire le cellule dell'organizzazione terroristica di Al Qaeda. Le operazioni, poi protrattesi per due mesi, hanno ottenuto ottimi risultati; il Governo talebano, che finanziava e difendeva Al Qaeda, ha subito non solo perdite cospicue ma anche una sostanziale sconfitta. Poi, dall'ONU si è passati alla NATO e alla missione ISAF; la partecipazione dell'Italia con un contingente iniziale di 500 uomini - divenuto oggi molto più numeroso - ha avuto funzioni importanti, dapprima nell'impedire infiltrazioni di talebani e di terroristi in una zona al confine tra Afghanistan e Pakistan, quindi, attraverso una costante e importante attività svolta sul territorio. Quest'ultima ha rappresentato non solo un'operazione di difesa ma anche un'operazione altissima di solidarietà. È bene ricordare, oggi, quanto gli italiani hanno compiuto partecipando alla realizzazione di progetti importanti. Penso al progetto «Una scuola per ogni distretto»: sono in fase di costruzione nuove scuole, specie laddove è concentrato, oggi, il contingente italiano (ma anche altrove). Le scuole consentono l'istruzione, quindi il rinnovamento culturale di nuove generazioni che sicuramente potranno, in posti diversi dalle madrasse, acquisire una cultura moderna anziché quella arcaica in cui si coltivano l'odio e l'integralismo più spietato. Che dire, poi, di altri progetti importanti, quali quello sulla sicurezza, con il supporto alle forze di polizia afgane, gli equipaggiamenti, l'addestramento, l'attività congiunta sul territorio e la ricostruzione di infrastrutture? Ma mi riferisco anche ad altri progetti, come ad esempio «L'acqua è vita», realizzato attraverso la costruzione di nuovi pozzi per dissetare la popolazione. Sfogliando i documenti del Ministero della difesa, è possibile prendere visione dei tanti interventi promossi nel settore sanitario (ambulatori, ospedali pediatrici e tante altre strutture sanitarie): questa è l'opera di grande importanza svolta dai nostri uomini e dalle nostre donne in divisa! Come facciamo, allora, di fronte ad un'azione così importante, a concepire la necessità di ridurre i contingenti che operano in quei luoghi? Casomai - è vero -, si può pensare ad una forma di cooperazione, ad una maggiore partecipazione di civili; tuttavia, dove c'è rischio, i civili potrebbero trovarsi nell'impossibilità di realizzare i progetti, ove non fosse previsto l'affiancamento di una struttura militare che li difenda e che collabori con loro. Certo, in Afghanistan, come avevamo previsto in una nostra mozione, è necessario combattere le coltivazioni di oppio - che sono il vero, grande problema - e riconvertire l'agricoltura. Vanno fatti sforzi in tutto il paese, perché il 90 per cento dell'oppio immesso sui mercati mondiali proviene proprio dall'Afghanistan. Poiché la popolazione afgana, che sotto il profilo culturale ed economico è a livelli minimi, vive di queste coltivazioni, bisogna riconvertire l'agricoltura. Non si può invece affermare che, prima della riconversione, o durante essa, bisogna acquistare l'oppio: nemmeno per finalità benefiche possiamo acquistare l'oppio per distribuirlo a chi ne ha bisogno! Non possiamo fare gli spacciatori di Stato attraverso le istituzioni! È assolutamente sbagliato: non si combattono in questo modo gli spacciatori, i costruttori di morte! Dovete sapere che in Afghanistan vengono prodotte 6 mila 100 tonnellate di oppio e che con 10 chilogrammi di oppio si produce un chilo di eroina. Pensate ai tanti ragazzi che muoiono nelle nostre strade con le siringhe ancora nelle vene, vittime degli spacciatori di morte anche nostrani, i quali distribuiscono il male ai nostri giovani! I militari serviranno a distruggere le piantagioni. Un esperimento del genere è stato già avviato in Albania e ha dato frutti importanti, eccezionali: grazie alla collaborazione delle nostre forze dell'ordine con la polizia albanese è quasi scomparso il traffico delle droghe prodotte in Albania. Allora, anche questo è un percorso che dobbiamo seguire. Per quanto riguarda le altre missioni, vorrei soffermarmi, in particolare, su quella in Iraq. In Iraq c'è una parte dei nostri sentimenti più profondi: il valore della patria e l'attaccamento alle istituzioni. Avevamo sempre detto che la nostra azione in Iraq era fatta di solidarietà e che i nostri militari erano pacificatori: essi hanno dato la vita per la democrazia di un popolo! I nostri militari hanno dato la vita per costruire un percorso solidale: aiutando gli anziani ed i bambini; costruendo ospedali; recuperando il patrimonio artistico ed architettonico dei luoghi in cui sono stati impiegati. Quando la mano assassina del fanatismo e del terrorismo ha colpito, in Iraq, i carabinieri e gli altri militari, noi abbiamo riflettuto e ci siamo uniti intorno a quel sentimento, a quel valore di patria, condividendo il percorso di pacificazione. Voi avete voluto cercare la discontinuità, chiamando talvolta questi ragazzi in modo improprio, quindi non pacificatori. Tra i banchi di questo Parlamento siedono alcuni rappresentanti che hanno partecipato a manifestazioni nelle quali, invece del sentimento di vicinanza ai nostri uomini impegnati nell'azione di solidarietà, vi è stato un grido insensato e oltraggioso: non possiamo dimenticare i «dieci, cento, mille Nassiriya» urlati nelle piazze e nelle strade da uomini che non hanno nessun senso, né della giustizia né della lotta al terrorismo né della civiltà. Pertanto, noi oggi rivendichiamo quel ruolo di pacificazione di quanti sono stati impegnati in Iraq. Prendiamo atto che all'interno di questo decreto-legge sono stanziati 30 milioni di euro destinati a continuare l'attività iniziata in Iraq. Era la stessa attività che svolgevano le nostre Forze armate e i nostri carabinieri. Infatti, l'articolo 2, comma 2, lettera del decreto-legge in esame destina tali somme «al sostegno dello sviluppo socio-sanitario in favore delle fasce più deboli della popolazione». Che cosa facevano i nostri militari se non proprio questo? La lettera dello stesso articolo aggiunge: «al sostegno istituzionale e tecnico». Ma chiedo ancora, che cosa facevano i nostri militari impegnati nella formazione delle forze dell'ordine, della polizia locale e dei militari iracheni? E ancora, la lettera destina le somme: «al sostegno dello sviluppo socio-economico». Ebbene, mi auguro che, attraverso questa contribuzione, ci sia la possibilità di aiutare ancora la popolazione irachena che ha avviato un suo percorso di democrazia che deve ancora completarsi.
. La prego di concludere.
. Questo è l'auspicio e noi voteremo convinti a favore della conversione in legge di questo decreto-legge. Convincetevi anche voi che questa è la strada necessaria per un paese come l'Italia .
. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
. Grazie, signor Presidente. Mi consenta in apertura di puntualizzare che precedentemente, per un mio errore di comprensione sulla fase dei nostri lavori, ho svolto in buona misura un intervento - e mi scuso anche con il sottosegretario Intini - che non era riferito esattamente alle comunicazioni del sottosegretario relativamente alla vicenda del rapimento di Daniele Mastrogiacomo. Va da sé che la posizione mia e del mio gruppo su tale questione è di vicinanza e di sostegno ai familiari e ai cari del giornalista, di attento sostegno alle iniziative che il Governo vorrà prendere al proposito. Passando alla questione specifica, nella giornata di ieri, il presidente della Commissione esteri Ranieri ha auspicato per questo decreto un'intesa Questo, tuttavia, presidente Ranieri, comporterebbe che, proprio al fine - come si diceva - di preservare il buon nome dell'Italia sulla scena internazionale, entrambe le coalizioni si schierassero compattamente su una posizione comune. Non è un'intesa quella in cui l'opposizione supplisce alle defezioni della maggioranza; non è propriamente neppure se l'intesa è la mera convergenza dei voti fra quanti, come i partiti della Casa delle libertà, sono da sempre lealmente a sostegno della missione ONU e quanti invece, fin dal 2001, hanno avversato la presenza multinazionale in Afghanistan, ma ora votano a favore dell'impegno militare italiano per ragioni opportunistiche (per non far cadere il Governo), continuando magari a definire naziste le truppe americane, accanto alle quali i militari italiani operano e combattono e - credo - combatteranno. C'è troppa ipocrisia, pochissima chiarezza d'impostazione, nessuna responsabilità politica nella posizione della maggioranza. Non si può sostenere una presenza militare con la riserva mentale politica di dover impedire qualunque impegno e impiego propriamente militare delle nostre truppe. Eppure, queste cose manifestamente contraddittorie vengono sostenute all'interno della medesima maggioranza. Infine, signor Presidente, vorrei svolgere qualche breve e personalissima considerazione sulla questione, tanto richiamata in questa discussione, della coltivazione dell'oppio in Afghanistan e delle possibili iniziative. Vorrei invitare ad una riflessione e ad una discussione non influenzata da considerazioni e convinzioni che nulla hanno a che fare con il tema specifico posto, ossia quello dell'inserimento di una parte almeno della produzione attuale di oppio afghano nel mercato legale della produzione mondiale a fini terapeutici, in particolare per le terapie del dolore. In tale contesto, non c'entrano alcunché il proibizionismo e l'antiproibizionismo. Le domande cui si deve cercare di dare una risposta sono le seguenti: quale strategia si ritiene più efficace per arginare il crescente fenomeno della produzione di oppio illegale e il traffico illegale su cui i signori della guerra lucrano profitti enormi? Dobbiamo proseguire la strategia, già ampiamente sperimentata senza grande successo, della eradicazione e della riconversione delle colture? Su questo, vi sono stati tentativi promossi anche dalle agenzie dell'ONU, dal vicesegretario generale dell'ONU, Arlacchi, quando era alla guida dell'UNODC. Questi tentativi, anche attraverso accordi più o meno diretti con i talebani, hanno prodotto risultati scarsissimi, anzi opposti a quelli che ci si aspettava. Oppure, possiamo scegliere la strategia di ritirare la produzione di oppio, naturalmente ai prezzi di mercato, dai contadini afghani che oggi vengono pagati dai signori della guerra, che con quei soldi armano progetti politici antitetici a quello che vede impegnate le nostre truppe; possiamo scegliere la strategia di ritirare quell'oppio e poi convertirlo nella produzione di morfina e di altri preparati medici. Sappiamo che la domanda di farmaci derivanti dall'oppio è in forte crescita. Prendiamo il caso dell'Italia: dal 2004 al 2005 siamo passati da 7 a 22 milioni di dosi prevalentemente di morfina. Sappiamo che è stata approvata una legge sulla terapia del dolore che ha avuto anche questo esito e che in molti paesi la domanda non cresce semplicemente per i costi proibitivi di acquisto. Ad oggi, le stime (e sono stime per difetto) sono di 5 mila tonnellate annue e i dati sono dell' (INCB) sulla produzione di oppio per fini medicali; tanto per aver un ordine di grandezza, la produzione di oppio in Afghanistan stimata è di 6.100 tonnellate. Mi chiedo (e credo che il tema posto dai colleghi sia questo e non un altro, che non c'entri la legge Fini-Giovanardi né l'antiproibizionismo) se a questa crescente domanda di farmaci oppiacei si debba far fronte con un aumento della produzione legale in Tasmania o in Turchia o in Francia, come succede, e perché invece si voglia escludere da questo mercato legale i produttori afghani, condannandoli senza possibilità alcuna di alternativa al mercato illegale. Comprendo molte delle obiezioni che sono sollevate a questa possibilità, a questo tipo di scelta. È chiaro che devono essere sperimentazioni, interventi o scelte attuate a partire dalle aree che, in qualche modo, sono controllate legalmente dal Governo e dalla coalizione. È evidente che il costo dell'oppio illegale è più alto. Si tratta, dunque, di ritirare le produzioni ad un prezzo che, per chi ha dimestichezza con la politica agricola comunitaria, sarebbe di sostegno e non ad un prezzo di mercato; ma dopo decenni e decenni di PAC, gli europei sono molto attrezzati tecnicamente ad affrontare questo problema. È altrettanto chiaro che i signori della guerra non assisterebbero inerti al prosciugamento delle loro fonti di finanziamento e che esiste la possibilità che si aumenti semplicemente la produzione, destinando altre aree alla produzione illegale. Credo però, conoscendo la situazione ed avendo consapevolezza anche delle possibili obiezioni, che sarebbe un errore rifiutare pregiudizialmente l'approfondimento di questa strategia in nome di quella che nel mondo, da decenni, è nota complessivamente sotto il nome di «guerra alla droga»; questo, a mio avviso, non è il tema in discussione, e non lo deve neppure diventare, posto dall'iniziativa o dall'intervento volto, ripeto, ad inserire nel circuito del mercato legale della produzione di oppio a fini medicali anche i produttori afghani. Ciò anche perché la realtà è quella che conosciamo oggi, ossia l'aumento della produzione e del traffico illegale, a tutto vantaggio - ciò sta succedendo - di coloro che hanno un interesse opposto al nostro. Il nostro interesse è la stabilizzazione civile e democratica dell'Afghanistan. L'interesse dei signori della guerra, dei talebani, che campano e si finanziano grazie al narcotraffico ed alla produzione illegale di oppio, è proprio la destabilizzazione. Trovo sagge, in conclusione, su questo tema, le parole usate oggi, nel corso di un'intervista radiofonica, dall'ex ministro Carlo Giovanardi, che sicuramente non è imputabile di fare parte di qualsivoglia fronte antiproibizionista. Giovanardi diceva: se è un metodo legale e pulito per dare un colpo al narcotraffico, si può valutare. Direi: si deve valutare, ma, in fondo, questo è un dettaglio .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, come sempre, nel gioco delle parti si tende a ripetere la propria posizione o quella del proprio gruppo politico. Questa sera, anche considerando l'ora e restando in tempi ristretti, vorrei, invece, cercare di svolgere un'analisi non dico diversa, ma forse con un «taglio» diverso della situazione. Dico questo perché ritengo che la situazione in Afghanistan sia estremamente seria; lo abbiamo constatato anche precedentemente, nella discussione sulle comunicazioni del Governo. Dico subito che questo provvedimento prevede una quantità di missioni sulle quali, bene o male, siamo tutti d'accordo. Perché, sostanzialmente? Perché, di solito, è ben chiara la di tali missioni. Come Commissione esteri, ci siamo recati in Libano il mese scorso ed è chiaro ciò che stanno facendo i nostri soldati; in Afghanistan, purtroppo, non è chiaro. Ciò, a mio avviso, deve essere ammesso. Non stiamo in quest'aula a parlare delle diverse posizioni che vi sono all'interno della maggioranza e dell'opposizione, ma soprattutto all'interno della maggioranza. Non è questo il fulcro del problema. Di fatto, la nostra posizione in Afghanistan sta diventando sempre più difficile e sono estremamente preoccupato per ciò che sta avvenendo. Infatti, rispetto all'inizio della missione, quando si pensava forse in un'iniziativa dai tempi brevi, ci si sta sempre di più trincerando in una situazione da cui non si riesce ad uscire, perché non è più chiaro cosa si debba fare. Penso che si debba prendere atto di ciò e, senza infingimenti, cercare di capire quali siano le priorità. Debbo dare pubblicamente un atto di merito ai presidenti delle Commissioni di Camera e Senato - vedo presenti in quest'aula i colleghi Pinotti e Ranieri - perché questa volta, a differenza delle precedenti proroghe delle diverse missioni italiane, abbiamo avuto la possibilità di tenere una serie di audizioni, alcune delle quali estremamente interessanti, soprattutto per renderci conto di quanto la situazione sia più complessa di come, schematicamente o con un po' di ipocrisia, possa essere interpretata. In questa situazione il punto fondamentale è che non possiamo uscirne subito - è evidente -, ma dobbiamo trovare un modo per poterne uscire. Preannunzio, in proposito, la mia intenzione di sottoscrivere l'emendamento Rivolta 1.50, che mira a ridurre i termini di questo provvedimento. Temo, infatti, che nel mese di agosto la situazione in Afghanistan sarà molto diversa e, purtroppo, peggiorata rispetto alla situazione attuale. Dunque, ciò che mi preoccupa, a questo punto, è che soltanto a livello internazionale se ne può venire fuori. Nessuno può essere contrario ad una conferenza di pace che, in qualche modo, stabilizzi la situazione o indichi soluzioni, ci si augura attraverso il più alto consesso e consenso da parte di tutti. Il problema è che noi, in questo momento, abbiamo sul terreno alcune migliaia di uomini che sono in evidente stato di difficoltà, anzitutto perché non hanno chiara la loro ; in secondo luogo perché sono coperti dall'ipocrisia un po' di tutti in quest'aula, a cominciare dal alcune vene, da alcune parti della maggioranza; in terzo luogo, perché penso che i soldati che sono stati chiamati ad affrontare una missione di pace, ed è missione di pace da parte dei soldati italiani, si trovino coinvolti in un, non dico percorso, ma in una situazione di guerra, con possibilità di difesa insufficienti. Quando in audizione ho chiesto all'ammiraglio Di Paola se i nostri soldati fossero sufficientemente protetti, la risposta sibillina in politichese è stata: per le condizioni normali, sì, abbastanza. In una situazione che sta rapidamente evolvendo questa frase non può essere sufficiente e chiedo al Governo di essere attento su questo punto. Non possiamo lesinare a uomini che stanno rischiando la vita ogni possibile copertura. È molto ipocrita dire che non si mandano forze armate sufficienti, oppure che non si manda la copertura aerea, oppure sostenere che a tal fine ci si avvarrà soltanto degli aerei di trasporto che non possono combattere o dei che sono senza equipaggio e, quindi, non comportano rischi. Usciamo da queste ambiguità, perché non per nostra volontà ci troviamo in una situazione veramente difficile. Non possiamo stare a metà del guado: o ci stiamo, e ci stiamo seriamente e con le coperture adeguate, oppure, al limite, veniamo via subito, cosa che, ovviamente, non si può fare. Allora, per il tempo in cui ci stiamo, facciamolo nella completezza degli effettivi e delle coperture, perché, Dio non voglia, se tra qualche giorno qualche nostro soldato saltasse in aria su qualche mina, allora ci chiederemmo se i mezzi di trasporto siano coperti e sufficiente adeguati nel caso in cui, per esempio, passino sopra una mina per una strada afghana, come è successo purtroppo in Iraq. Come Parlamento, indipendentemente dalla posizione di ciascuno, dobbiamo assumere queste posizioni, che possono anche non piacere a una parte della sinistra, ma che vanno prese perché, altrimenti, mettiamo a rischio anche delle vite umane. Soprattutto, dobbiamo lavorare dal punto vista politico per venire fuori dall'Afghanistan perché non possiamo o stare lì. Quando il ministro della difesa dice che ci stiamo almeno fino al 2011, che ragionamenti sono? Se andiamo ad analizzare la storia dell'Afghanistan, vediamo che la situazione non si risolve probabilmente neanche in vent'anni. Secondo me, ci si è messi con estrema leggerezza in una situazione, ma, ripeto, adesso ci siamo dentro ed è positivo che ci siamo andati. Infatti, non potevamo non andarci perché l'Italia ha anche dei costi da pagare a livello internazionale; però prima di tutto occorre pensare alla copertura e alla difesa dei nostri uomini. Inoltre, sussiste un'altra ipocrisia, quella della cooperazione. Sono assolutamente d'accordo che si faccia della cooperazione in Afghanistan come in tutto il mondo - anzi, sollecito il Governo a stanziare più fondi per tale scopo -, ma, con l'episodio di oggi e i commenti che abbiamo fatto due ore fa quando parlavamo del rapimento di Daniele Mastrogiacomo, pensate che un talebano riesca a distinguere un cooperante da un soldato? Quando devono prendere qualcuno, prendono il primo che capita. Certo, se ha un mitra in mano probabilmente cercheranno anche di sparargli e, in caso contrario, magari aspetteranno - speriamo - a fare un'esecuzione e, comunque, ad uccidere. Comunque, fare della cooperazione senza sicurezza è impossibile: non c'è sicurezza senza cooperazione, ma non c'è cooperazione senza sicurezza. Certi pacifisti hanno detto che volevano andare senza la copertura delle Forze armate, ma dopo accade quanto si è verificato per la signora Sgrena con tutti i fatti conseguenti, o quanto è successo oggi, anche se si tratta di un giornalista che sta lì a fare il suo dovere. Concludendo, in Afghanistan dobbiamo prima di tutto avere una solidarietà che sia trasversale a tutti i gruppi politici e, quindi, evidentemente un impegno da parte di tutti. In secondo luogo, penso che sia sconveniente giocare la carta della demagogia. In terzo luogo, la maggioranza deve dimostrare anche di essere - come ho detto, su questo non parlo - autosufficiente, indipendentemente dai voti che, poi, arriveranno dal centrodestra, perché, davanti alla «pelle» dei nostri soldati che sono schierati in posizione difficile, non si possono avere delle ambiguità. Secondo me, è troppo facile giocare la carta dei pacifisti ad oltranza. Nessuno di noi è guerrafondaio perché la guerra è la più brutta cosa che possa esserci al mondo, con le sofferenze collaterali, ma, come dicevo nel precedente intervento, ricordiamoci che in altre parti del mondo, come in Iraq, sono all'ordine del giorno decine di morti per attentati: ahimé, questo sta succedendo anche in Afghanistan. Penso che ci sia veramente bisogno di senso di responsabilità e serietà da parte di tutti
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, anch'io voglio evidenziare come per la prima volta si siano creati seri dubbi sulla credibilità e sull'affidabilità dell'Italia nel contesto internazionale. La politica estera ed in materia di difesa del Governo in carica non ha avuto ultimamente la fiducia del Parlamento al Senato. Il rifinanziamento delle missioni internazionali e, pertanto, il ruolo dell'Italia in politica estera è, ancora una volta, protagonista di questa fase. La questione afgana ha assunto contorni e dimensioni politici, anche alla luce delle posizioni che via via sono state assunte dalle forze interne alla maggioranza. Fa specie che su un tema fondamentale di politica estera, sul quale l'onorevole D'Alema non ha esitato a porre una sorta di affermando, con un appello senza «se» e senza «ma», che si sarebbe dovuto esprimere un voto favorevole oppure andare a casa, l'Italia non possa avere una posizione nitida, credibile, coerente, capace di aggregare la maggior parte dei partiti e dei parlamentari. Ricordiamo che in questa Assemblea è già accaduto di votare mozioni, risoluzioni e ordini del giorno in materia di politica estera. Mentre il centrodestra ha sempre espresso la sua linea ispirata al rigore ed al rispetto di scelte «occidentali», che vengono da lontano e appartengono alla nostra storia, nel centrosinistra sono affiorate divergenze insanabili salvo trovare, magari, un rimedio attraverso una virgola o un aggettivo. Ci apprestiamo ad approvare il rifinanziamento delle missioni e non c'è tempo per ulteriori distinguo. Mi chiedo se e come il Governo possa continuare, liquidando i dissensi interni e invocando il diritto del voto di coscienza. Posso capire che la sensibilità individuale entri in gioco quando sono in campo valori etici, civili e, persino, religiosi. Tuttavia, è intollerabile che differenze e ostilità emergano su questioni ormai acclarate, radicate nel tempo nelle loro dinamiche e nelle loro ragioni di fondo. Non si può stare nel Governo e in piazza, non si può stare con i nostri soldati e manifestare, in modo spesso indegno, contro le vittime impegnate, in nome della pace, in zone di conflitto e di guerra. Molto onestamente, non capisco nemmeno come mai la maggioranza non provi e non manifesti il proprio disagio davanti ai dissidenti, a coloro che siedono nel Parlamento della Repubblica senza rendersi conto del fatto che il profilo istituzionale e la credibilità di un paese si misurano, soprattutto, in base alle strategie ed alle politiche internazionali, laddove gli interessi di parte dovrebbero, non solo sfumare, ma esaurirsi nel segno di una politica estera comune, condivisa e, soprattutto, sostenuta. Non sono lontani i tempi nei quali il centrodestra ha appoggiato operazioni come quella nei Balcani, quando Presidente del Consiglio dei ministri era l'onorevole D'Alema. Anche su quel voto si è costruito un orizzonte di rapporti internazionali credibili che, ogni giorno, sono duramente e quotidianamente messi alla prova da quei voti in libertà che della libertà sembrano proprio non occuparsi, specie con riguardo alla libertà di quei popoli che, con la loro presenza, i nostri soldati - ai quali va tutto il nostro apprezzamento - concorrono a difendere dai dispotismi e dalle dittature. La missione in Afghanistan merita di essere costantemente monitorata. Sul campo, come sappiamo, la situazione può cambiare repentinamente e le regole di ingaggio potrebbero essere declinate da circostanze e da evoluzioni improvvise. Queste missioni sono molto costose in termini finanziari - siamo d'accordo sul fatto che la pace costa - ed in termini di rischio per i nostri soldati, ai quali, come ripeto, dev'essere dato il nostro totale sostegno, la riconoscenza e l'apprezzamento perché non si sentano mai soli, né mercenari. Sicuramente il voto della Lega Nord Padania non è e non sarà strumentale a nessun disegno, né piegato a ragioni di parte o di convivenza. Esiste una linea della Lega Nord, che viene da lontano, nonostante la nostra storia sia recente e, forse, è anche la freschezza delle nostre idee, non logorate da decenni di mediazione, a renderci liberi di esprimere fino in fondo le nostre convinzioni. In conclusione, signor Presidente, sappiamo chi sono i nostri avversari e chi sono nel mondo i nostri nemici .
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, pensavo che sarei intervenuto sul complesso degli emendamenti facendo riferimento, in modo particolare, agli emendamenti da me presentati. Purtroppo, ho scoperto che quegli emendamenti sono stati giudicati inammissibili. Non voglio entrare nel merito della decisione che ha portato gli uffici a dichiararli inammissibili, anche se confesso che, se dal punto di vista formale, tale decisione potrebbe essere ineccepibile, dal punto di vista del contenuto qualcuno ci ha guadagnato e qualcuno ci ha perso. Il contenuto di tali emendamenti, infatti, sicuramente dava fastidio a qualcuno che sta nella maggioranza. Senza volerlo, gli uffici hanno fatto un favore a questa maggioranza...
. Onorevole Rivolta, mi preme l'obbligo di precisare che la Presidenza ha dichiarato l'inammissibilità degli emendamenti, non gli uffici della Camera.
. Allora, mi riferisco agli uffici della Presidenza, così uniamo i due aspetti.
. No, onorevole Rivolta, è più preciso fare riferimento solo alla Presidenza.
. Benissimo. Allora, la Presidenza, senza saperlo e senza volerlo, mi ha impedito di fare una buona azione. Infatti, avrei voluto fare una buona azione, perché - lo dico anche ai colleghi - io non condividevo il contenuto degli emendamenti che ho presentato, ma li ho presentati come un atto di generosità politica, per dare voce a coloro che hanno sostenuto in diversi luoghi ciò che ho inserito in questi emendamenti e che hanno difeso e si sono battuti per questi contenuti. Nessuno di loro, però, ha avuto il coraggio di presentarli in quest'aula. Eppure, ci ripetiamo vicendevolmente che la politica deve essere fatta in Parlamento ed avanziamo delle critiche quando le decisioni importanti vengono assunte al di fuori di esso. Avrei voluto che questi timidi colleghi, non avendo avuto il coraggio di presentare degli emendamenti in prima persona o non avendo avuto l'autorizzazione a farlo, potessero avere voce (andrò ad illustrare ciò che essi hanno sempre sostenuto) attraverso le mie righe e con la mia firma, che li avrebbe resi non responsabili. In questi emendamenti, che sono stati bocciati (6 su 7), e, in particolare, nell'emendamento 3.51, si stabiliva che il comando e il controllo operativo delle unità militari italiane rimanessero ad esse e non fossero dipendenti dai comandi della NATO. Si è sempre detto, infatti, da parte di certe persone di questo Parlamento, che non si vuole che le nostre truppe siano agli ordini degli «odiati» americani e, quindi, volevo offrire loro il destro affinché si potessero esprimere, per capire se, secondo l'accordo che ha portato in quei luoghi le nostre truppe - e la durata della loro permanenza conferma quell'accordo - i nostri militari agiscono sotto comando unificato della NATO, oppure se, invece, come alcuni colleghi hanno preteso più volte, l'esercito italiano in Afghanistan sia indipendente dal comando NATO. Purtroppo, tale emendamento non potrà essere votato. Credevo che questo argomento stesse a cuore dei colleghi che, purtroppo, con sorpresa, ora sono totalmente assenti: non vi è nessuno di Rifondazione comunista, nessuno dei Comunisti italiani e nessuno dei Verdi, ma è presente solo il capogruppo del gruppo Misto . Quindi, forse, non è così o forse la timidezza persiste. Comunque, voglio informare questi colleghi, tramite il resoconto della seduta, che nel Comitato dei nove il Governo si è espresso e ha dichiarato di essere contrario a questo emendamento. Il Governo ha ribadito - lo si deve sapere e io ne sono personalmente contento - che il comando al quale i nostri militari devono rispondere è il comando NATO, non solo quello italiano. Il mio emendamento 3.52, poi, stabiliva che non avremmo potuto trasmettere le informazioni in nostro possesso (parlo, naturalmente, dei nostri militari e dei nostri servizi di informazione agli alleati o al comando superiore. A mio avviso, è logico che queste informazioni si trasmettano, quando ci si trovi in quei teatri; però, ancora una volta, ho voluto dare voce a chi sostiene queste posizioni al di fuori di questa Assemblea, ma non ha il coraggio di dirlo in questa sede. Il Governo, anche in questo caso, giustamente - e lo ringrazio - ha espresso un parere contrario. Nel mio emendamento 3.53 si dice che, in caso di richiesta di aiuto da parte di altro contingente alleato che si trova attaccato o in difficoltà, il comando italiano non possa decidere di intervenire, anche se riceve l'ordine dal comando superiore. Secondo questo emendamento, il comando italiano deve chiedere l'autorizzazione all'intervento al Capo di Stato maggiore della difesa, il quale deve informare il ministro della difesa e il ministro degli affari esteri, i quali a loro volta devono informare il Parlamento. Solo dopo questa trafila decisionale democratica e legittima, le nostre truppe potrebbero esser autorizzare a intervenire in soccorso dell'alleato in difficoltà, naturalmente se, nel frattempo, l'alleato in difficoltà è ancora in vita. Anche in questo caso, la risposta del Governo è stata contraria e lo ringrazio per questo: il Governo riconferma - e io ne sono contento - che le nostre truppe, se ricevono una richiesta di aiuto, su ordine del comando unificato superiore della NATO, devono intervenire. Non hanno bisogno di sentire il Parlamento, il ministro della difesa, il ministro degli affari esteri, il capo di Stato maggiore in Italia. Vi è, poi, il mio emendamento 3.54 che afferma ciò che tanti hanno detto e continuano tuttora a ripetere, ossia che la presenza delle nostre truppe in Afghanistan ha solo uno scopo umanitario. Non siamo lì per altro scopo che quello umanitario: dobbiamo contribuire alla costruzione di istituzioni, di edifici; ma non siamo lì per scopi diversi da quelli umanitari. Dopo aver ascoltato tante voci dei colleghi di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi, fuori dal Parlamento, mi sono stupito quando, anche su questo argomento, il Governo ha dato una risposta contraria. In altri termini, il Governo ha detto in Commissione (purtroppo, non si è consentito che lo dicesse anche in Assemblea) che noi siamo presenti in quei luoghi non solo per scopi umanitari, ma anche per scopi puramente e necessariamente militari. Un altro degli emendamenti che sono stati dichiarati inammissibili stabilisce che, se per qualunque motivo le truppe italiane dovessero ripiegare, esse sono tenute a distruggere tutte le installazioni e le infrastrutture militari suscettibili di utilizzazione militare o di polizia da parte di chiunque, cioè anche dei nostri alleati. Anche qui la risposta del Governo è stata negativa e io concordo con esso. I colleghi di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi - oggi assenti - sappiano che, qualora dovessimo ritirarci (come molti di loro vogliono), le nostre installazioni non potranno essere riportate in Italia. Le installazioni e i nostri armamenti non si spostano: infatti, costerebbe molto di più riportarli indietro piuttosto che lasciarli . E sarebbero regalati o venduti, e potrebbero esser usati a scopo bellico; potrebbero esser usati dai nostri alleati per sparare, per difendersi oppure per allocare le loro truppe. Non ci trovo niente di male: lo trovo del tutto regolare. Tuttavia, lo ripeto, la mia buona azione consisteva nel dar voce a chi - oggi assente - ha sostenuto queste cose in altri momenti, altrove e con forza. Questa voce, evidentemente, non è stata ascoltata dal Governo. Infatti, quest'ultimo ha affermato che non distruggeremo le nostre installazioni e le nostre infrastrutture. Quindi, i nostri colleghi di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi sappiano che, se dovessimo ritirarci, le nostre installazioni quasi sicuramente saranno usate dagli alleati o dalle truppe afgane a scopo bellico, com'è naturale che sia. Sono costretto invece a ritirare per mia colpa l'unico emendamento dichiarato ammissibile, ovvero l'1.50 a mia firma, in quanto non ho voluto fare una buona azione, anche se involontariamente avrei voluto farla. Infatti, l'emendamento in oggetto è stato riferito (ma non è colpa degli uffici) all'articolo 1, mentre doveva essere riferito all'articolo 3. In Commissione mi è stato correttamente detto che è troppo tardi per poter provvedere ad una modifica. Tuttavia, anche in questo caso si tratta di un argomento importante. Infatti, la proposta emendativa che sono costretto a ritirare, in quanto riferita in maniera scorretta, chiedeva che la missione in Libano avesse termine non al 31 dicembre 2007, come previsto dal decreto-legge, bensì al 31 agosto 2007. In questa data, infatti, termina il mandato dell'Unifil ricevuto dall'ONU. Noi ci siamo sempre compiaciuti di poter dire di essere in Libano su richiesta dell'ONU e di aver accettato quella missione perché siamo multilaterali. Quindi, è solo l'ONU che può dirci se andare o meno. La contestazione sulla nostra presenza in Iraq era proprio dovuta principalmente a questo motivo, ovvero che non si trattava di un mandato ONU, dimenticando che anche all'inizio neppure la missione in Kosovo avveniva a seguito di un mandato ONU. Tuttavia, qualcuno presente oggi nella maggioranza odierna vi partecipò, bombardando addirittura anche i civili. Quindi, se il mandato ONU è il motivo che ci tiene in Libano, esso scade, come la risoluzione 1701, il 31 agosto 2007. Personalmente, trovo una logica in quanto scritto nel decreto-legge, ma forse non è così per i deputati dei Comunisti Italiani, di Rifondazione Comunista e dei Verdi che decidono di votare un provvedimento eccedente lo stesso mandato ONU, addirittura di sei mesi. Signor Presidente, mi accingo a concludere e chiedo scusa se ho sottratto troppo tempo all'Assemblea su emendamenti dichiarati inammissibili. Ripeto che si trattava di un atto di buona volontà e di una buona azione. Essi sono stati dichiarati inammissibili; tuttavia mi auguro che dal resoconto stenografico, se qualcuno avrà il piacere e la volontà di leggerlo, i colleghi (o compagni, almeno così si chiamano tra di loro) di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani e dei Verdi si rendano conto che il Governo giustamente ha dato parere negativo su tutto ciò che vanno sostenendo in giro per le piazze d'Italia .
. Può capitare qualche volta che un collega sia soddisfatto della reiezione degli emendamenti da lui presentati. Pertanto, onorevole Rivolta, mi compiaccio che a lei sia capitato di esprimere tale soddisfazione. Non sarebbe neppure il caso di dare conto delle ragioni in base alle quali la Presidenza li aveva giudicati inammissibili, in quanto riguardanti materie non iscritte nel testo del decreto-legge. Per i criteri da noi applicati, le proposte emendative non potevano essere dichiarate ammissibili. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, l'inasprimento della situazione in Afghanistan ha coinciso con l'inizio della discussione sulla proroga della missione italiana in quel paese. Si tratta di una delle prove più difficili per una maggioranza che al Senato non è tale e che faticosamente si è ritrovata attorno a Prodi dopo la recente crisi di Governo. Dai gruppi dei Verdi e di Rifondazione Comunista arrivano i distinguo e le specifiche. Si è giunti poi al paradosso che almeno tre gruppi di maggioranza propongono di utilizzare l'oppio afghano per soddisfare la domanda di farmaci per la terapia del dolore. Notoriamente l'Afghanistan è il produttore del 69 per cento dell'oppio e quindi è stata proposta questa idea molto fantasiosa. Sorvolo sull'evidente illegalità di tale idea, ed infatti in quel paese l'impegno del Governo è totale per distruggere le piantagioni, che abbondano soprattutto nella parte meridionale del paese. Tuttavia, è evidente il tentativo di trovare nuove argomentazioni per giustificare il voto favorevole dei parlamentari della sinistra radicale, che in politica estera non condividono il programma dell'Ulivo. Il testo del decreto-legge prevede interventi di gruppo e cooperazione, tre fumose conferenze internazionali, nonché fondi per militari e forze di polizia. Si tratta davvero di un modesto contrappeso, un vero e proprio piatto di lenticchie, per chiedere il voto a colleghi che sono pronti a mettere in discussione sessant'anni di politica estera filoamericana ed atlantica. Lo scopo cinico è soltanto quello di chiudere ogni trattativa a Montecitorio per evitare il rischio di una seconda, approfondita lettura al Senato. Il responsabile esteri del Partito della Rifondazione Comunista ha affermato recentemente che sul versante del conflitto mediorientale l'Italia di Berlusconi e di Fini aveva completamente abbandonato la tradizionale politica filo-araba e mediterranea dell'Italia, per schierarsi «senza se e senza ma» a fianco di Sharon e del Governo israeliano, in nome della comune santa guerra al terrorismo, e che i neoconservatori aspirano a creare un nuovo ordine mondiale che cancella il diritto internazionale e che fonda il primato statunitense sulla bruta forza militare, alimentando così una corsa al riarmo globale, sotto gli occhi di tutti. Egli afferma, sostanzialmente, che il problema dell'unilateralismo americano esiste, ma bisogna ragionare sul fatto che è falso affermare che ci sono troppi Stati Uniti; è vero semmai che c'è troppa poca Europa. E su questo potremmo anche concordare. Permane un forte antiamericanismo non solo tra i movimenti, ma addirittura tra i parlamentari. Il responsabile del dipartimento esteri di Rifondazione usa parole molto dure nel parlare degli Stati Uniti: è ora che la sinistra esca dagli schemi culturali e della politica internazionale del secolo scorso; i blocchi non ci sono più, il Muro è caduto, oggi tutto è più veloce; il mondo e le dinamiche socioeconomiche sono molto più fluide. Dopo la strage di civili di domenica a Jalalabad, il ministro D'Alema ha affermato che ci vuole una riflessione molto seria: non uccidere i civili sarebbe un modo per fare andare meglio le cose. Ma quale pensiero illuminante ha avuto questo ministro! Nel tentativo di stabilizzare una maggioranza traballante, insufficiente nei numeri e nell'operato, il ministro degli esteri ha rilasciato dichiarazioni sull'Afghanistan non troppo concilianti verso gli Stati Uniti d'America. E mentre la situazione in Afghanistan peggiora, giorno dopo giorno, la Spagna corre ai ripari e invia rinforzi al proprio contingente, nonostante Zapatero avesse annunciato che la Spagna non avrebbe aumentato il suo impegno: si assume, come scusa, la necessità di rafforzare la sicurezza delle truppe spagnole in Afghanistan. I servizi di di quel paese avevano lanciato l'allarme circa i rischi di un'intensificazione dell'attività talebana nelle quattro province occidentali, considerate più deboli a causa dell'esiguità delle forze alleate. In pratica, mentre si combatte di più noi ci disarmiamo. dicevano i latini. Il mondo non è basato sul modello della pace perpetua di Kant. La sinistra nostrana se lo deve mettere bene in testa. A differenza del contingente inglese ed americano, i mezzi di cui dispongono gli italiani in Afghanistan sono leggeri e inadeguati. Non dispongono di artiglieria, né di veicoli da combattimento. Il vizio italico, accentuato dal Governo di sinistra, di inviare contingenti leggeri, sperando di evitare il combattimento, si perpetua. In questo modo si mortifica l'orgoglio militare delle nostre truppe e si espone il nostro contingente al sacrificio di vite innocenti, sull'altare delle missioni di pace, nel cui ambito i nostri militari storicamente si sono dimostrati veri operatori di pace, contribuendo alla ricostruzione di infrastrutture e curando tante e tante persone malate nell'ambito delle strutture sanitarie che si sono dispiegate in quei territori. Dalla disamina del provvedimento in questione e dell'annessa relazione tecnica, si può affermare con serenità che il decreto-legge non interessa solamente il rifinanziamento delle missioni militari italiane nei teatri in cui siamo chiamati ad operare, quali Afghanistan e Libano, ma anche l'avvio della cooperazione, sotto l'egida del Dicastero degli esteri, e quindi civile, in Iraq. Da qui il rilievo: non sarebbe stato più opportuno dividere le esigenze, in modo da far sapere con concretezza quanto costano i militari in missione di pace e quanto invece costano i civili? In futuro potremo avere, a mio giudizio, sgradite sorprese, soprattutto per l'avvento delle cooperative. Al riguardo, faccio un paio di esempi: 3,8 milioni di euro per al fine di assicurare la sicurezza dei civili italiani in Iraq. Non entro nel comportamento tenuto da molti parlamentari in occasione del sacrificio del nostro connazionale Quattrocchi, ma mi chiedo: quando questi saranno costretti a sparare, chi si assumerà la responsabilità? A quale sistema giudiziario saranno ricondotti? Chi paga l'orchestra sceglie la musica e quindi la responsabilità sarà di questo Governo e di questa maggioranza! Quindi, soldati o civili, i terroristi iracheni non faranno sconti, come non li hanno fatti al Governo Berlusconi, responsabile delle azioni di allora. Ma che dire dei 75 mila euro, previsti per installare - udite, udite - semafori a Nassiriya? In quella Nassiriya a noi così cara, per il ricordo dei nostri caduti. Il ministro D'Alema vuole farci credere che i problemi iracheni si risolvono con tre lucette, verde, gialla e rossa, installate agli angoli di Nassiriya? No: l'Iraq ha certamente bisogno di misure molto più concrete, e non di un Governo, come quello italiano attuale, troppo attento alle cooperative, le quali non necessariamente fanno buona cooperazione! Pertanto, nel riconfermare la fiducia nell'operato e nello spirito delle Forze armate italiane, ed augurandoci maggiore chiarezza futura sul ruolo del Ministero degli affari esteri rispetto a provvedimenti del Ministero della difesa, rimane solo da evidenziare la modesta figura internazionale che il nostro paese rimedia, nello scenario mondiale, a causa di un Governo inadeguato, che compromette l'immagine di serietà che si erano ritagliati il Governo Berlusconi e l'allora ministro degli esteri Gianfranco Fini .
. Constato l'assenza dell'onorevole Menia, che aveva chiesto di parlare: s'intende che vi abbia rinunziato. Ha chiesto di parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, preannuncio che il mio intervento sarà brevissimo. Ho la fortuna di appartenere ad uno schieramento di minoranza, e tale fortuna mi permette di distaccarmi dalle posizioni politiche della minoranza stessa - in quanto essa non ha il dovere di mantenere alcunché - e di dire, in piena ed assoluta libertà, alcune cose che mi passano per la mente. I pensieri che mi passano per la mente, in piena ed assoluta libertà, sono: «pace senza se e senza ma», «portiamo a casa le nostre truppe» e «facciamo sì che i nostri soldati non debbano partecipare ad una guerra»! Noi, ovviamente, siamo in sintonia con coloro che pensano in questo modo. Non possiamo pensare, infatti, che vi siano forze politiche che vogliono che i nostri soldati vadano a fare la guerra; non possiamo nemmeno immaginare che, ad aprile, si aprirà un fronte dove scorrerà del sangue e che noi saremo complici del versamento di tale sangue. Quindi, a casa i nostri soldati e, soprattutto, una politica estera che sia più europea e meno americana! La democrazia è qualcosa che non si esporta! Non riesco a pensare che si faccia una «guerra preventiva» all'Iraq ipotizzando che vi siano delle armi che successivamente non vengono trovate e nel frattempo, non sapendo cosa fare, si impicchi il Capo di quello Stato! Per carità: se fossi da solo in una stanza con lui, lo ucciderei personalmente, pur rendendomi conto di essere un assassino! Tuttavia, nell'ambito di una situazione globale ed internazionale, non si può pensare che uno Stato aggredisca un altro ritenendo che vi siano delle armi pericolose e poi, una volta scoperto che non ci sono, dal momento che siamo lì ne ammazziamo il Capo! Questo è un discorso che vale dappertutto. Pensiamo un attimo a Cuba: siamo diventati pazzi? Siamo forse diventati lacché degli americani? Essi, infatti, in una situazione dove ormai è pacificamente dimostrato che si è al di fuori di quella crisi che io non ricordo neanche, perché ero troppo piccolo (essa risale quindi a moltissimi anni fa), continuano ancora a mantenere un embargo nei confronti del popolo cubano con 183 voti contro 2! Ma credono di essere diventati i padroni del mondo? Concludo, signor Presidente. Noi dobbiamo rivisitare la nostra politica estera, per renderla più europea e meno americana. Gli americani non sono i padroni del mondo: devono capirlo e devono comprendere di stare in una comunità internazionale civile! I nostri soldati devono tornare a casa e non devono partecipare a nessuna guerra, perché la pace deve vincere !
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, anche il gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista vuole offrire il proprio contributo al dibattito sulla conversione in legge di questo importante decreto, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali. La discussione, ovviamente, si è incentrata soprattutto sull'Afghanistan. Vorrei rappresentare, tuttavia, che noi siamo tra coloro che ritengono che l'Afghanistan rappresenti solo una parte, così come lo era l'Iraq, delle missioni umanitarie ed internazionali svolte dal nostro paese, poiché stiamo parlando anche del Kosovo, della Bosnia, del Sudan e del Libano. Si trovano in queste aree, infatti, le operazioni nel mondo che ci accingiamo a finanziare. Noi non facciamo come coloro che vogliono porre l'accento sull'autosufficienza o meno di questa maggioranza, oppure discutere di possibili maggioranze variabili. Noi siamo qui ad assumerci come socialisti riformisti - e, uso l'articolo determinativo, noi siamo «i socialisti», «la sinistra», non siamo «una sinistra», come è venuto fuori nel dibattito massimalista che non ha assolutamente nulla di sinistra, anzi solamente a nominarlo fa venire veramente i brividi ...! - noi siamo qui per pensare alla nostra politica estera, che è la politica dell'Italia e degli italiani. Bisogna venire in Parlamento sapendo che non possiamo pensare che il giorno dopo a livello internazionale verrà a mancare la nostra credibilità, la credibilità di una nazione di cui i nostri padri fondatori costituenti, i padri della prima Repubblica - quelli che ad essa hanno dato molto, contribuendo al suo progresso e al suo sviluppo, facendola diventare la quinta potenza economica - non debbono vergognarsi considerando come siamo ridotti adesso: siamo ridotti a dover subire ricatti di questo o quel deputato o senatore. Il bipolarismo è finito. Questo è un Governo che ha sicuramente bisogno del sostegno: come nella scuola esiste l'insegnante di sostegno, così vi è bisogno di sostegno per questo Governo, che avrà vita breve. Stiamo aspettando di staccare la spina prima o poi, perché non può continuare ad andare avanti così! Abbiamo approvato con il voto di fiducia la legge finanziaria, ma in quella legge, - vivaddio! - i vari Turigliatto, Rossi e Cannavò non si sono accorti che erano previsti i soldi per il rifinanziamento di queste missioni? Eppure, hanno dato il loro «sì», e adesso come vengono fuori? Ma sono degli irresponsabili, sono di fronte al paese! E non possono essere un giorno da una parte e un altro giorno dall'altra, come meri protagonisti di rissosità e di indeterminazione. Per tal motivo ritengo che questo Parlamento, a prescindere da qualche scheggia impazzita, come tutte le nazioni civili del mondo debba avere una politica estera vera, il punto di riferimento di quanti (militari e civili) sono laggiù a rischiare la loro vita, meritando questo rispetto. È questo il profilo alto che non è in questo Parlamento e soprattutto in questo Governo. Signor viceministro, sa perfettamente quanto io la rispetti e quanta stima abbia nei suoi confronti; comprendo il suo imbarazzo. Veniamo ai dettagli, perché è su di essi che dobbiamo lavorare. Stiamo intervenendo sul complesso degli emendamenti, in cui si parla di infrastrutture, di sostegno istituzionale e tecnico, di sviluppo socio-economico ai paesi in cui sono in corso le missioni umanitarie, di scuole, di mezzi di comunicazione, di attività didattico-formative. Abbiamo i soldati in Kosovo, dove tra qualche mese, come lei sa, signor viceministro Ugo Intini, chissà cosa potrà succedere: è una polveriera! E questo Parlamento se ne dovrà rioccupare. Come è possibile leggere che per le missioni umanitarie, ad esempio in Kosovo, si stanzierà un solo milione di euro! A tale proposito, voglio darvi un metro di paragone: è quanto ha preso la Hunziker per presentare il festival di San Remo, ma come è possibile? E ancora, su questioni come quelle dei 30 milioni di euro per la realizzazione di interventi di cooperazione in Afghanistan: sono grosso modo la metà di una consulenza di Consorte! Su questo vi invito a riflettere; il Parlamento attraverso gli emendamenti che abbiamo presentato deve cercare di uscire fuori da questa melma e da queste difficoltà, dando veramente respiro e punti di riferimento di politica estera, soprattutto per quelle «missioni umanitarie internazionali» che sono il «sale» della nostra Costituzione e sono quello che abbiamo sempre fatto. Siamo famosi nel mondo proprio per questa nostra capacità. Guardate bene che il dibattito si è svolto sull'Afghanistan, mentre, se osservate i numeri, 417 milioni di euro sono previsti per il Libano e solo 310 per l'Afghanistan. Noi siamo orgogliosi che i nostri soldati siano laggiù in Libano a farsi rispettare e a portare in alto la bandiera con il nostro tricolore. Allo stesso modo siamo orgogliosi di averli in Afghanistan, sapendo perfettamente quanto sia difficile. Abbiamo parlato prima di un nostro giornalista che non sappiamo dove sia, ci auguriamo che presto possa tornare a casa. Il momento è difficile e il paese deve essere unito su questi temi, senza sprofondare in dibattiti su maggioranze variabili che ci fanno diventare veramente piccoli, come del resto siamo. Infatti, i veri statisti non ci sono più, li abbiano cacciati via per far venire al governo della Repubblica nani e ballerini ignoranti, che non sanno neanche cosa sia la sintassi. Concludo, sottolineando che il Parlamento deve svolgere un compito importante, convertendo al più presto questo provvedimento. Infatti, il decreto-legge è datato 31 gennaio e la missione copre il periodo dal 1o gennaio al 31 dicembre; perché vi è stato questo mese di ritardo? È semplice, perché il Governo doveva svolgere un'opera di convincimento interno; dunque, l'Esecutivo ha perso del tempo importante per convincere due o tre parlamentari che non dovevano essere in questo Parlamento perché non rappresentano sicuramente il volere della nazione. Questo ritardo obbliga il Senato ad approvare il testo in esame entro il 1o aprile; speriamo che per i nostri soldati non sia un pesce d'aprile, perché non se lo meriterebbero!
. Ha chiesto di parlare l'onorevole Salerno. Ne ha facoltà.
. Ci tengo ad intervenire su un tema così delicato di politica estera che, in questo momento di congiuntura internazionale, vede non solo confrontasi questioni diplomatiche e di tipo economico, ma anche il verificarsi di tensioni gravissime che hanno esposto la comunità internazionale a notevoli rischi. Stiamo assistendo ad un confronto tra l'Occidente democratico - quello dell'Europa e dell'America -, che non è solo l'Occidente di matrice confessionale, ma quello che va da Vladivostok agli Stati Uniti d'America, e il mondo dell'integralismo e del fondamentalismo. È un mondo verso il quale dobbiamo avere mille cautele perché basta indossare una maglietta per scatenare una violenza inaudita e reazioni non controllate. Bisogna guardare con grande attenzione a questo mondo che non accetta il dialogo. Qualche settimana fa, addirittura, un paese ha avuto il coraggio culturale, storico ed umano di indire una conferenza per dimostrare che l'Olocausto è un'invenzione. Possiamo ammettere che la comunità internazionale assista alle dichiarazioni del presidente eletto della repubblica islamica iraniana senza dire nulla, al di là delle frasi di maniera, delle classiche proteste formali? Tutta la comunità internazionale dovrebbe indignarsi in maniera autentica ed omogenea. Invece, qua e là, abbiamo sentito solamente qualche giudizio contrario. La nostra politica estera deve tener conto di questo scenario, di questi momenti di tensione ai quali debbono prestare attenzione non solo il Governo e la maggioranza, ma tutti gli italiani. Noi siamo disorientati dalla politica estera di questo Governo, di questa maggioranza divisa su tutto e priva di una posizione chiara. Siamo gravemente preoccupati perché assistiamo ad un antiamericanismo diffuso, inconsistente, violento, intransigente, fondamentalista; il fondamentalismo, infatti, non riguarda solo la religione, ma anche la politica e la cultura. All'interno di questa maggioranza - forse anche all'interno di questo Governo - vi sono i no America, i no Coca-Cola, i no TAV e i . Siamo disorientati e preoccupati poiché il nostro ministro degli esteri si permette di recarsi in Libano, a Beirut, e di prendere sotto braccio un deputato di Hamas senza tener conto che questo appartiene ad un movimento che nega l'esistenza dello Stato di Israele e che propugna il terrorismo come strumento di lotta politica e non politica.
, . Hezbollah!
. Abbiamo un ministro che non assume una chiara posizione sul quartetto e non riusciamo a capire perché egli non parta dall'assunto che lo Stato di Israele esiste: debbono riconoscerlo anche i paesi arabi, musulmani, i paesi come l'Iran. Non è ammissibile che vi sia ancora qualche paese che siede all'ONU e che afferma di non volere, di non accettare lo Stato di Israele poiché non esiste. Non possiamo assistere alla formazione del nuovo governo libanese, mentre Hamas rappresenta una parte forte, parte integrante di questo processo di negazione. Possiamo ancora accettare nel 2007 che vi sia la negazione dello Stato di Israele? Io dico di no, ma non sento una parola da parte del ministro degli esteri che, però, si indigna quando riceve lettere provenienti da qualche diplomatico. È giusto che i diplomatici, gli ambasciatori, svolgano attività diplomatica e scrivano lettere di nei confronti del ministro degli esteri italiano, affinché tenga la posizione degli alleati sul tema delle missioni? Cosa vuol dire equidistanza, equivicinanza, multilateralismo? Di contro, non viene mai manifestata una chiara posizione. Dove possiamo andare in questo modo? Abbiamo spedito come un «pacco» altri 2.500 uomini in Libano, senza regole chiare e senza un mandato chiaro; li abbiamo considerati quasi dei vigili del traffico, tant'è che vedrete se non inizieranno di nuovo gli scontri in Libano. Infatti, con questo modo di procedere abbiamo, di fatto, reso quasi non produttiva, non operativa una missione di pace estremamente importante. Il disarmo degli Hezbollah oggi non esiste; si sono riarmati più di prima e basterà una scintilla a determinare di nuovo morti, distruzione e una reazione sicuramente legittima dello Stato di Israele per la tutela del proprio territorio. Mi sembra doveroso, Presidente, osservare che la maggioranza ed il Governo mancano di prendere una posizione chiara proprio su quello scacchiere; continuiamo a negare che, a qualche migliaio di chilometri da noi, in Medio oriente, si sta consumando la vera battaglia dell'occidente. Il grande sogno arabo di unire tutto il mondo arabo oggi più che mai è diventato il sogno di Ahmadinejad: saldare, non più politicamente, ma religiosamente, tutto il mondo arabo. In qualche maniera, tutto quel mondo sta diventando, infatti, una sorta di magma islamico, integralista e fondamentalista; questo è l'obiettivo dell'Iran e dei suoi alleati: come non comprenderlo? E come non prendere posizione sulle dichiarazioni di un Presidente di una nazione araba come Ahmadinejad il quale dichiara di voler usare la bomba atomica per distruggere Israele? Spesso sento che in termini molto superficiali si evocano storie, movimenti, nazionalismi e quant'altro; ebbene, vorrei dire, in questa sede, che Ahmadinejad è un po' come Hitler. Alla fine degli anni Trenta, la comunità internazionale, noi, l'Europa, il mondo hanno alquanto sottovalutato Hitler pensando che poi alla fine sarebbe stato solo, per così dire, uno un po' matterello, che non avrebbe fatto seguire i fatti alle proprie dichiarazioni. Ma, alla fine, così non è stato. Ebbene, noi oggi stiamo sottovalutando questo signore della guerra e dell'odio e forse, un giorno, ci troveremo di fronte all'inevitabile anche con Ahmadinejad. Noi, ora come allora alla fine degli anni Trenta, stiamo ancora predicando una diplomazia dell'equidistanza, dell'equivicinanza, del multilaterialismo: ma cosa mai significheranno tali espressioni quando il presidente Ahmadinejad sta facendo lavorare le centrifughe per arricchire l'uranio e finalmente giungere a confezionare la sua bomba mentre noi non stiamo facendo nulla? Non solo non stiamo intervenendo - infatti, certamente non potremmo condurre un'azione militare - ma non si scorge neppure una politica estera che difenda l'occidente. Pensare che l'attacco ad Israele sia rivolto solo contro Israele è miopia - e anzi cecità - intollerabile ed inaccettabile; in realtà, il colpo viene dato a tutto l'occidente! Oggi, tutto l'occidente è rappresentato da Israele; oggi, Israele rappresenta l'occidente di fronte a tutto l'Islam e a tutto il fondamentalismo arabo. Come non capire che difendere oggi Israele equivale a difendere l'occidente? Dinanzi a tutto ciò, il nostro ministro degli affari esteri, di fatto, latita; di fatto, non c'è, e noi continuiamo, per così dire, a distruggere quel poco di linea politica e di ruolo internazionale, nonché di prestigio, che abbiamo conservato. Manchiamo anche di assumerci doverose responsabilità in quanto mandare uomini in teatri di guerra estremamente difficili, prima ancora che essere un'operazione politica, è un'operazione di responsabilità: oggi combattere il terrorismo in Medio oriente vuol dire evitare che il terrorismo giunga alle porte di casa nostra, alle porte dell'Europa e alle porte della nazione. Allora, concludo, signor Presidente, augurandomi che presto questo Governo cada in quanto otto mesi sono stati un po' il campanello; non il campanello d'allarme, ma quello giusto che noi volevamo sentire: una maggioranza inconsistente, disunita, senza programma, senza rotta, senza timoniere. È una barca che va alla deriva e, urtando ogni tanto uno scoglio, si arena: adesso l'abbiamo nuovamente tirata fuori dalle secche e rimessa in mare aperto; fino al prossimo scoglio, perché non vi è timoniere, non una rotta, non una carta di navigazione. Spero che presto suoni il secondo campanello, che, stavolta, non vi sia una seconda chiamata e si vada a casa. Occorre una forma di politica che non sia umiliante - non soltanto in politica estera - per tutta la nazione, per le categorie, per chi ci guarda, per chi ci ascolta: ministri e sottosegretari partecipano a cortei nei quali si urla «dieci, cento, mille Nassiriya!», si brucia la bandiera americana e si lanciano le Molotov! Il pacifismo dei e dei è, in realtà, una violenza incredibile, come abbiamo visto a Genova, a Napoli e, da ultimo, in Val di Susa: i che non sarebbero violenti, distruggono tutto dovunque passino! Speriamo che si volti presto pagina e si diano all'Italia il Governo e la politica che essa merita!
. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere delle Commissioni.
, . Signor Presidente, il parere delle Commissioni sull'emendamento Rivolta 1.50 è contrario, ma credo che l'onorevole Rivolta l'abbia ritirato.
. Confermo che l'emendamento è stato ritirato.
, . Le Commissioni invitano al ritiro degli emendamenti Bricolo 1.21 e Paoletti Tangheroni 1.53; esprimono parere contrario sull'emendamento Bricolo 1.56 e parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 1.51; invitano al ritiro dell'emendamento Paoletti Tangheroni 1.54; esprimono parere contrario sull'emendamento Paoletti Tangheroni 1.52 e parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 1.55; invitano al ritiro dell'emendamento Paoletti Tangheroni 2.53 ed esprimono parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 2.51, purché riformulato nel modo seguente: la parola «disposizioni» è sostituita dalla seguente: «attività» e, tra le parole «interessati» e «valutazione», la parola «alla» è sostituita dalla seguente: «nella». Le Commissioni invitano al ritiro dell'emendamento Bricolo 2.54; esprimono parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 2.50 e parere contrario sull'emendamento Paoletti Tangheroni 2.52. Ricordando che gli emendamenti Rivolta da 3.51 a 3.56 sono stati dichiarati inammissibili, le Commissioni esprimono parere contrario sugli emendamenti Cicu 3.50 e Cossiga 3.57; invitano al ritiro degli emendamenti Cossiga 3.58 e Cicu 3.59; esprimono parere favorevole sugli emendamenti Cossiga 3.60 e Rugghia 4.50 e, infine, esprimono parere contrario sugli emendamenti Bricolo 5.50 e Cossiga Tit.1.
. Il Governo?
, . Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
. Sta bene. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
. Chiedo di parlare.
. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, mi rivolgo a lei per rappresentarle una situazione che si è palesata nei giorni scorsi ma che sta subendo un'accelerazione proprio in queste ore. Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003, è in Italia per una serie di interventi e per ricevere un premio da parte della Fondazione Mediterraneo. In queste ore, a Teheran, sono state arrestate - o almeno fermate - alcune donne che protestavano proprio con riferimento ad un processo che vede imputate altre donne che a loro volta avevano manifestato per l'affermazione dei diritti civili. Attualmente, queste donne praticano uno sciopero della fame, ma quello che più ci preoccupa è che il Governo iraniano ha diffidato le donne a partecipare ad altre manifestazioni e soprattutto, in concomitanza con l'8 marzo, ha fatto sapere che se vi saranno altre donne che decideranno di manifestare, esse saranno poste in stato di arresto. Chiedo pertanto alla Presidenza della Camera di volere intervenire nei modi e nelle forme che riterrà opportune, naturalmente con l'urgenza e la tempestività del caso. Allo stesso modo, chiedo al Governo - e approfitto della presenza del viceministro Intini - ogni possibile intervento nelle prossime ore, sia presso l'ambasciata sia nelle altre forme e nei modi che autorevolmente il nostro paese voglia rappresentare, per far sì che queste donne che manifestavano per la loro libertà e per i loro diritti non si trovino arrestate e fermate ovvero completamente private della libertà. Infatti, ancora altre donne sarebbero private del diritto di scendere in piazza a manifestare, proprio in concomitanza con una giornata che noi tutti, qui e nel mondo, consideriamo come una data molto importante per ricordare il diritto e la voglia delle donne di riprendersi la loro libertà.
. La ringrazio e le assicuro che riferirò al Presidente della Camera. In ogni caso, come ha potuto constatare, il rappresentante del Governo ha avuto la possibilità di ascoltare direttamente questa sua richiesta.
. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.