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Lunedì 15 Dicembre 2008 ore 19:00
Seduta di assemblea numero 104 della XVI legislatura
Resoconto stenografico
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Seduta di assemblea numero 104 della XVI legislatura del 15/12/2008
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 180 del 2008: Diritto allo studio, valorizzazione del merito e qualità del sistema universitario e della ricerca - (A.C. 1966) (Discussione)
- S. 1197 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca (Approvato dal Senato). (1966)
- Saluto del Presidente
- Ripresa discussione - A.C. 1966
- S. 1197 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca (Approvato dal Senato). (1966)
- Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma
- Ordine del giorno della seduta di domani
, legge il processo verbale della seduta del 10 dicembre 2008.
. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brancher, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Guzzanti, Lupi, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Micciché, Palumbo, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas, Vernetti, Vitali e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna.
. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca.
. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente. Il relatore, onorevole Caldoro, ha facoltà di svolgere la relazione.
, Signor Presidente, onorevoli colleghi, iniziamo la discussione sulle linee generali di un provvedimento che riguarda la valorizzazione della qualità e del merito del sistema universitario e, in particolare, il diritto allo studio. Si è deciso di intervenire con lo strumento della decretazione d'urgenza, in particolare, solo su alcuni aspetti che richiedevano misure immediate o perché esse erano da lungo tempo attese o perché era necessario intervenire, per motivi anche tecnici. Il provvedimento si è arricchito grazie al confronto nel corso dell'iter al Senato: in particolare, è stato svolto un lavoro importante in Commissione, che ha visto il concorso di tutti i gruppi parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione. È evidente che il testo non contiene una riforma organica del sistema universitario: non per altro insieme al decreto-legge in esame è stato anche varato dal Governo un provvedimento sulle linee guida, che affronteranno i temi della della valutazione e del reclutamento a regime. Elenco molto sinteticamente le questioni più urgenti, rinviando per il resto al testo integrale del mio intervento, che chiederò di pubblicare in calce al resoconto stenografico. L'articolo 1 reca disposizioni sul reclutamento, l'articolo 1- disposizioni sulla chiamata diretta, l'articolo 2 disposizioni sulla qualità del sistema universitario, l'articolo 3 disposizioni per il diritto allo studio, l'articolo 3- l'anagrafe nazionale, l'articolo 3- disposizioni sulla valutazione dell'attività di ricerca, l'articolo 3- disposizioni sulla pubblicità dell'attività di ricerca, l'articolo 3- gli interventi sugli ordinamenti didattici delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale (AFAM). In particolare, farò riferimento soltanto a qualche norma. I commi 1 e 2 dell'articolo 1 pongono il divieto di indire procedure concorsuali per le università che hanno superato il 90 per cento del Fondo per il finanziamento ordinario con riferimento alle spese per il personale. Nel corso dell'iter al Senato sono state previste alcune deroghe che riguardano vecchi dispositivi di legge che sono stati prorogati, in particolare per non conteggiare sostanzialmente nel 90 per cento gli aumenti stipendiali (gli scatti stipendiali biennali) e una parte delle spese che riguardano il personale impegnato nell'assistenza sanitaria. Il comma 3 dell'articolo 1 aumenta i limiti posti dal decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, recante la manovra economica, previsti per quanto riguarda il (dal 20 per cento si passa al 50 per cento), stabilendo, anche in questo caso, previsioni e griglie sulle assunzioni che richiamano una quota non inferiore al 60 per cento per quanto riguarda il reclutamento dei ricercatori e una quota non superiore al 10 per cento per quanto riguarda i professori di prima fascia, ossia i professori ordinari. Il restante 30 per cento riguarda evidentemente i professori di seconda fascia. Per quanto riguarda i ricercatori, vale per quelli che verranno chiamati a tempo indeterminato ed a tempo determinato, in particolare per i contrattisti previsti dalla legge n. 230 del 2005. Il parametro diviene la spesa e non più le unità cessate. Da questo punto di vista, vi è un recupero importante di risorse nel sistema, circa 25 milioni di euro per quanto riguarda il 2009, 71 milioni per il 2010, 118 milioni per il 2011e 140 milioni per il 2012. Nel comma 4 si modificano le procedure per quanto riguarda il reclutamento, con un sistema sostanzialmente misto tra elezione e sorteggio per sessione, con un numero pari al triplo dei componenti da nominare. Se esaminiamo anche le tabelle allegate, verifichiamo che questa è una soluzione temporanea e provvisoria, che vale solamente e sostanzialmente per due sole sessioni, la prima e la seconda sessione 2008 per circa 4.000 idonei e 2.500-3.000 posti di ricercatore. È evidente la necessità di intervenire, tenendo conto anche della differenza tra la prima e la seconda sessione. In particolare, nella prima sessione era prevista la chiamata di posti con due idonei, con copertura di circa il 95 per cento delle chiamate, a fronte del solo 5 per cento per la seconda sessione. Il Senato è intervenuto prevedendo una commissione nazionale che sovrintenda a questo sistema misto di elezioni e sorteggio. Il comma 7 prevede la valutazione comparativa, per quanto riguarda il reclutamento dei ricercatori, basata sui titoli e sulle pubblicazioni. Quindi, viene eliminata di fatto la previsione dell'esame orale e si procede solamente alla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni. Il nuovo sistema vale per tutti quei concorsi per i quali non sono ancora state avviate le procedure (per l'avvio delle procedure già avviate si fa riferimento alla nomina delle commissioni). Il comma 8-, inserito dal Senato, prevede un nuovo termine di scadenza per la presentazione delle domande, lasciando alle università la possibilità di fissarlo. Il comma 9 modifica la legge n. 133 del 2008, prevedendo l'esclusione degli enti di ricerca dalla riduzione del 10 per cento del personale non dirigenziale. L'articolo 1- prevede ulteriori modifiche alla legge n. 230 del 2005 per quanto riguarda le chiamate dirette. Sostanzialmente si riprende il testo della legge n. 230 del 2005, togliendo alcuni limiti, in particolare quello del 10 per cento dei posti complessivamente previsti. Vi è l'estensione ai ricercatori e non figurano in maniera esplicita le previsioni di bilancio di copertura dei posti da parte dell'ateneo. L'articolo 2 prevede misure per la valutazione del sistema universitario. Si prevede di accantonare una quota del 7 per cento del FFO, da assegnare agli atenei sulla base di tre indicatori: la qualità dell'offerta formativa, la qualità della ricerca e l'efficienza delle sedi didattiche, anche se quest'ultimo punto non è previsto in sede di prima applicazione. L'orientamento di prevedere la spesa per la qualità, in termini di utilizzo da parte degli atenei di un fondo per quanto riguarda le diffuso ormai da tempo, era già stato previsto negli anni scorsi. In questo caso, si prevede il 7 per cento e si ritiene di poterlo mettere a regime nei prossimi anni. L'articolo 3 credo sia quello più significativo, perché riguarda alcuni interventi importanti per il diritto allo studio. In particolare, si prevede un incremento importante di fondi per le residenze universitarie: 109 milioni di euro, che di fatto raddoppiano le previsioni di bilancio previste. Vi è un aumento, anche in questo caso consistente, del fondo integrativo sulle borse di studio e sui prestiti per gli studenti capaci e meritevoli e privi di mezzi, con un incremento di circa 100 milioni di euro, a contare anche sulle riduzioni della legge n. 133 del 2008 Questo è l'intervento più importante e consistente sul fondo specifico delle borse di studio che avviene almeno da un decennio. Gli articoli 3-, 3-, 3- e 3- sono stati inseriti dal Senato e riguardano l'anagrafe nazionale dei professori e dei ricercatori, con l'elenco delle pubblicazioni scientifiche. È un tentativo di mettere a regime quello che, in parte, in maniera frammentata, alcuni atenei già fanno: si tratta di un modo di rendere pubblica e di classificare in modo omogeneo la capacità scientifica dei professori e dei ricercatori attraverso un albo e un elenco di pubblicazioni scientifiche. Le modalità di attuazione sono demandate a un successivo decreto ministeriale. L'articolo 3- prevede gli incrementi stipendiali condizionati alla qualità e al merito, in base alla valutazione da parte degli atenei su pubblicazioni ed altro. Si incide sulla parte costituita dagli scatti stipendiali previsti dal contratto nazionale (quindi, il 2,5 per cento). L'articolo 3- prevede la pubblicità delle attività della ricerca, che devono essere pubblicate dall'ateneo. Una scelta diversa avrebbe effetti sulla distribuzione delle risorse finanziarie a valere sul Fondo di finanziamento ordinario. L'articolo 3-, infine, prevede decreti ministeriali per quanto riguarda gli obiettivi formativi, i settori artistico-disciplinari e gli insegnamenti da attivare per l'alta formazione artistica e musicale. Gli articoli 4 e 5 riguardano, rispettivamente, la copertura finanziaria e l'entrata in vigore del provvedimento. Per concludere, signor Presidente, il dibattito è stato svolto in Commissione, e oggi continua in Aula, con la necessità di approfondimenti su questo tema, anche in termini di confronto politico. In Commissione vi è stato il ritiro degli emendamenti presentati, per venire, poi, in Aula, eventualmente a riproporli. Da una parte dei componenti della Commissione, sostanzialmente dalla maggioranza, è emersa la volontà di aprire questo confronto, ma di privilegiare le questioni legate alla necessità ed urgenza di questo testo, e, quindi, di non correre i rischi di una sua mancata conversione. Ricordo, inoltre, che il testo trasmesso alla Camera è già stato oggetto di un importante contributo di lavoro da parte del Senato (come ho ricordato, da parte di tutti i gruppi parlamentari, sia di maggioranza sia di opposizione). È evidente che il provvedimento in esame, che è parziale, proprio perché interviene su alcune questioni urgenti, andrà di pari passo con il lavoro che la Commissione avvierà, in particolare sulle linee guida presentate dal Ministro. Signor Presidente, chiedo, infine, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.
. Onorevole Caldoro, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
, . Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il provvedimento che oggi è all'attenzione di quest'Aula ha, a parer mio, molti pregi, che tra poco andrò a illustrare, ma, sostanzialmente, il maggiore è proprio quello di aver dato, finalmente, un segnale di discontinuità nel mondo universitario. La difesa dello è stata fatta in questi ultimi mesi sia dall'opposizione sia dalle forze sindacali sia dagli studenti. Per quanto riguarda l'università, essa è ancora più grottesca, in quanto il sistema universitario è caratterizzato da un deficit profondo: siamo retrocessi nella centocinquantesima posizione nella classifica OCSE ed è risaputo che molti nostri atenei hanno bilanci in rosso ormai da anni. Le università italiane risultano le meno attraenti per gli studenti stranieri e, inoltre, rimane alto il tasso di abbandono; infatti, solo il 45 per cento degli iscritti al primo anno arriva alla laurea, contro una media OCSE del 69 per cento in Europa. La linea innovativa per uscire da questo stato di immobilismo è senz'altro quella degli incentivi, per cui saranno gli stessi atenei ad attivarsi per fare buona ricerca e buona didattica. Deve instaurarsi un meccanismo punitivo, che propone di levare risorse a chi non raggiunge standard elevati. Peraltro le università virtuose (ad esempio l'Università di Padova) giustamente già chiedono che la ricerca venga presa maggiormente in considerazione, visto che un ateneo senza ricerca non può essere considerato una vera università. Col decreto-legge in esame si affrontano nodi immediati, alzando una barriera contro i conti più in disordine, mentre con le linee guida, che saranno contenute in una successiva proposta, si provvederà a dare all'università gli strumenti per ridurre i costi strutturali. Il vero problema nasce dal fatto che per troppi anni all'autonomia non si è abbinata la responsabilità, e da ciò è derivato un sistema fatto di strutture male organizzate, di docenti poco motivati, di corsi di laurea senza sbocchi nel mondo del lavoro, di scarsa attività di ricerca. Nel futuro solo un sistema che prevede incentivi e potrà dare esiti positivi: un modello in cui il Governo avrà il compito di individuare le scelte strategiche, e nel contempo le università avranno piena autonomia didattica, scientifica e amministrativa. Gli incentivi saranno essenziali, e connessi a un sistema valutativo da applicare alla distribuzione di risorse all'università; la sarà essenziale per permettere all'università di realizzare in tempi ragionevoli una risposta virtuosa agli incentivi, e per far affermare la cultura della qualità. In considerazione delle polemiche che ha scatenato, non posso in questa sede non fare un accenno alla trasformazione in fondazioni prevista dal cosiddetto decreto Tremonti, che ha suscitato un dibattito che si è andato a imperniare in un'inutile contrapposizione tra pubblico e privato, mentre queste trasformazioni in fondazioni permetterebbero all'università di dotarsi di un sistema di combinando l'efficienza gestionale al primato didattico. Questa ipotesi non sarà semplice da attuare, anche perché pochi saranno gli atenei in grado di attirare risorse esterne, ma vale la pena di provare a sganciare le università che ne sono in grado da logiche burocratiche e centraliste che ne limitano la capacità di competizione virtuosa. Le università non possono essere tutte uguali: l'università è varia, con le sue eccellenze in campi specifici, ed è giusto che le differenze si evidenzino e che stimolino un processo competitivo finalizzato al miglioramento. Il decreto-legge in esame, seppur limitato a pochi articoli, già contiene i presupposti per cominciare ad attuare una vera riforma: lo si evince dall'articolo 1, che statuisce il divieto, menzionato al comma 1, di bandire procedure concorsuali o di assumere altro personale per quelle università che hanno superato il 90 per cento di spesa, e dal comma 2, in cui si prevede l'esclusione delle medesime università dalla ripartizione dei fondi relativi agli anni 2008 e 2009 per l'attuazione del piano straordinario di assunzione di ricercatori. Sempre in linea con la volontà di rinnovamento è poi il comma 3, che prevede l'innalzamento del dal 20 al 50 per cento, agevolando così il ricambio generazionale, ovvero più docenti vanno in pensione, più cresce la disponibilità di spesa per sostenere l'ingresso dei nuovi ricercatori. Sempre l'articolo 1 dispone una novità sostanziale nella formazione delle commissioni giudicatrici, prevedendo il sorteggio di quattro professori commissari ed iniziando a modificare una metodologia macchinosa e poco funzionale, che fino ad ora ha rappresentato una delle maggiori criticità di tutto il sistema. Nella direzione della riqualificazione del sistema universitario va anche l'articolo 1-, introdotto dal Senato, che consente alle università di chiamare direttamente gli studiosi impegnati all'estero da almeno tre anni in attività di ricerca o di insegnamento universitario. In questo modo, si agevola il tanto auspicato rientro dei cervelli dall'estero. Sempre per affermare l'avvio di un modello basato sulla qualità, all'articolo 2 si configurano misure atte a incidere sulla qualità del sistema universitario, prevedendo che una quota non inferiore al 7 per cento del FFO e del Fondo straordinario sia ripartita in base ai parametri qualitativi. Un'attenzione particolare, come sottolineato anche dal relatore, merita poi l'articolo 3, recante le disposizioni per il diritto allo studio dei capaci e dei meritevoli, norma cardine, a mio avviso, del decreto-legge, che sancisce il principio fondamentale che è quello di premiare i più meritevoli che non hanno sufficienti mezzi per continuare gli studi. E sempre connesso a ciò, vi è lo stanziamento di risorse per la realizzazione di alloggi e residenze universitarie, per la quale sono stati stanziati 65 milioni di euro. In questo modo si favorisce la mobilità degli studenti: in Italia solo il 2 per cento degli studenti alloggia in residenze universitarie, mentre in Germania, per esempio, la percentuale sale al 10 per cento. Nessun Governo, fino ad ora, è riuscito a investire su questa voce di bilancio: l'articolo 3 è quindi importantissimo e di grande portata sociale. La tutela degli studenti bisognosi e meritevoli è fondamentale per stimolare le eccellenze, e dovrà agevolare, a mio avviso, anche chi intende conseguire una seconda laurea. Mi auguro che, nel corso del dibattito parlamentare, magari anche con la presentazione di qualche ordine del giorno, si possa chiedere al Governo che chi intende conseguire una seconda laurea ottenga delle agevolazioni per quanto riguarda il pagamento delle tasse universitarie (sempre per stimolare le eccellenze). Meritano un commetto positivo anche altri articoli, come l'articolo 3-, il 3- e il 3-, che soltanto da una lettura approssimativa possono sembrare articoli con una tonalità tecnica. Sono, invece, articoli che entrano nel merito della questione: l'articolo 3- garantisce una maggiore comunicazione tra le università e la costituzione dell'Anagrafe nazionale nominativa dei professori ordinari e associati e dei ricercatori, contenente l'elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte; l'articolo 3- incentiva le pubblicazioni scientifiche; l'articolo 3- andando incontro alla finalità di una maggiore trasparenza, dispone che, annualmente, il rettore presenti al consiglio di amministrazione, e al senato accademico, una relazione con i risultati delle attività di ricerca, di formazione e di trasferimento tecnologico, nonché i finanziamenti pubblici e privati. Dall'esame di questo decreto-legge non si comprende come mai vi sia stata una protesta così incentrata in alcuni centri universitari. Non si capisce perché, dal momento che il Governo aveva presentato un provvedimento a sfondo così sociale che rappresentava una prima inversione di rotta rispetto alla logica delle baronie, e dell'immobilismo, nella quale le università, da anni, sono rimaste intrappolate. Questo ci fa pensare che, ancora una volta, purtroppo, molti studenti abbiano accompagnato i professori a manifestare, sostanzialmente, contro loro stessi, differenziandosi da quella contestazione del Sessantotto che, nonostante tutto, vedeva, invece, in alcuni casi, la volontà della generazione studentesca di contrapporsi ad alcuni professori. Soltanto, quindi, con un'analisi approfondita di questo decreto-legge si può capire come finalmente vi sia una volontà innovativa nel campo dell'università. Questo provvedimento, pertanto, se sarà approvato anche da questa Camera - come auspico e credo - contribuirà ad avviare un cammino verso la vera riforma universitaria, quella strutturale, che si realizzerà con un disegno di legge, confutando anche le critiche che sono state fatte per quanto riguarda l'adozione dello strumento del decreto-legge. Il decreto legge è stato varato su limitati punti per motivi di necessità ed urgenza, che bene il relatore ha illustrato, ma la riforma universitaria, per la prima volta, verrà realizzata dal Parlamento con un disegno di legge. Sarà un cammino difficile, su un terreno dove nessun altro Governo di questa Repubblica è mai riuscito, ma sarà un cammino indispensabile per il futuro dell'Italia
. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzarella. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, questo decreto-legge, e le modifiche recepite al Senato, sono state con enfasi presentate come il primo passo significativo del Governo a tutela di un patrimonio collettivo del Paese: l'università e, più in generale, il sistema della ricerca e dell'alta formazione. Un patrimonio, cui le linee guida per l'università presentate dal Ministro Gelmini vorrebbero offrire un rilancio, una prospettive di sviluppo, una ineludibile messa in efficienza. Onestà intellettuale allora, prima ancora che politica, vuole che ci si interroghi se davvero le misure proposte con questo decreto-legge siano coerenti con gli intenti annunciati, anticipando, almeno in linea di tendenza, qualche tratto, alcuni tasselli, del futuro quadro organico che il Governo vuole proporre all'esame del Parlamento per affrontare il rilancio delle università italiane. Un'analisi spassionata del decreto-legge, senza alcun pregiudizio, porta a rilevare che non vi è coerenza alcuna tra gli interventi d'urgenza presentati all'esame del Parlamento, di cui si chiede la conversione in legge, e un piano di indirizzo quale che sia, discutibile perché degno di discussione, che possa far intravedere una visione organica dei problemi dell'università e della ricerca e delle soluzioni che vi possano far fronte. Di un'impostazione di questo tipo, che pure sarebbe stata necessaria, oltre che auspicabile, non vi è traccia nel decreto-legge. Né in verità poteva essere altrimenti: perché in coerenza con quanto affermato dallo stesso Ministro nella prima audizione in Commissione cultura, qualsiasi intervento sarebbe dovuto partire dalla consapevolezza che il sistema è fortemente sottofinanziato. In valori assoluti l'incidenza sul PIL ormai si attesta a circa la metà della media europea, tralasciando nel confronto ovviamente Paesi più consapevoli, a cominciare dalla Francia che ha al Governo una destra che in un momento di difficoltà - come si fa in tutte le ristrutturazioni aziendali lungimiranti se si vuole, per usare un lessico ed una concettualità cari a questo Governo - investe nell'università dieci miliardi di euro, mettendo in competizione tra loro gli atenei per individuare dieci poli di sviluppo del sistema. Con sofferta abilità il relatore, in Commissione, l'onorevole Caldoro (ha provato a farlo anche qui) ha provato a segnalare gli incrementi di spesa che il decreto, nella formulazione che esce dal Senato, prevede per il Fondo di finanziamento ordinario. Ma, a prescindere dal fatto che questi parzialissimi appostamenti finanziari sono più un tentativo di rispondere all'onda sociale imponente di protesta che si è sollevata che una convinta inversione di tendenza, è un fatto che essi reintegrano nel quinquennio 2009-2013 appena 354 milioni di euro rispetto ad un taglio previsto in finanziaria di mille e 641 milioni. Mancano all'appello ancora un miliardo e 300 milioni di euro che avrebbero mantenuto nel quinquennio almeno costante il valore assoluto della spesa, già depresso di per sé ed incongruo per una qualsiasi linea, per una qualsiasi politica di rilancio e razionalizzazione del sistema. Peraltro, anche lo sbandierato appostamento del 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario sulla premialità agli atenei virtuosi per prestazioni di ricerca didattiche e gestionali è un mero specchietto per le allodole, se lo stesso relatore è costretto per onestà intellettuale a notare che lo squilibrio finanziario delle università, consolidatosi negli anni, vanifica di fatto ogni intervento premiale a ragione del peso inerziale della struttura della spesa storica. In soldini, la misura per essere vera avrebbe avuto bisogno di soldi freschi e non come è, peraltro distolti da altri impegni di spesa del Fondo di finanziamento ordinario, segnatamente la copertura degli incrementi stipendiali e contrattuali. Analogo giudizio va dato su un altro aggiustamento contabile del decreto, sul diritto allo studio, in effetti finanziato spot, oltre che sottomisura per il solo 2009. Poi si vedrà. In genere, il corso di studi medio di uno studente cominciato nel 2009 dura dai tre ai cinque anni. Ma tant'è. Ci si mette una pezza per un anno, poi si vedrà. Passo ora ad affrontare un altro capitolo fondamentale per il rilancio dell'università, oltre a quello previo degli investimenti generali di sistema, su cui ho svolto qualche notazione: la selezione del personale che vi è impiegato (volgarmente i concorsi). A dire la verità avrei avuto la tentazione di non parlarne affatto, limitandomi ad un: «fate quel che volete» per non finire nella consueta disonesta trappola mediatica: «i professori, e magari voi professori siete interessati solo ai concorsi». Però il tema è ineludibile, e lo sa anche il Governo che sullo sbaragliamento per decreto di «concorsopoli» si è giocato tutte le sue carte per imbellettare agli occhi dell'opinione pubblica gli imponenti tagli di spesa apportati al settore (un po' come con il grembiulino e il voto in condotta con la scuola). «Concorsopoli» sarebbe sbaragliata dal sorteggio, questa è la tesi che il Governo ha propalato all'opinione pubblica. Davvero? L'interconferenza dei presidi - fino a qualche mese fa ne facevo parte - audita dal Senato ha proposto alcuni documenti all'attenzione della Commissione di quel ramo del Parlamento. Ne consiglio la lettura perché è istruttiva. In fondo i professori oltre a fare e combinare concorsi qualche volta studiano, e almeno quando studiano andrebbero presi sul serio. Uno di questi documenti è una tabella comparativa dei sistemi concorsuali in vigore in tutti i Paesi europei. Vi si apprende che solo l'Italia si appresta a ricorrere al sorteggio: singolare modo di tenere il passo con sistemi conclamati come più evoluti del nostro. Ma d'altro canto, senza neanche ricorrere ad analisi comparative faticose, i nostri legislatori ministeriali avrebbero potuto svolgere una riflessione statistico-matematica: il sorteggio è neutro negli effetti che si attendono dalla sua applicazione di scombinare gli accordi perversi e ricombinare pratiche virtuose. Ammesso che metà dei concorsi in essere siano combinati male, e metà bene, il sorteggio, che è cieco statisticamente, interverrà in modo equo a scombinare le buone e le cattive commissioni: effetto somma zero. È questo un modo di moralizzare i concorsi, come si vuol sostenere? Chiaramente è affermazione risibile. Sarebbe stato molto più sensato e prudente sul piano normativo, visto che peraltro la conseguente riapertura dei termini concorsuali è affidata, nel testo, ad un «possono» (i rettori riaprire i termini dei bandi) foriero di una discrezionalità esposta ad ogni contenzioso, che si prevedesse l'accorpamento dei bandi per settore in unico collegio nazionale, prevedendo che i vincitori chiamati al termine del triennio di conferma fossero sottoposti alla valutazione della costituenda agenzia di valutazione nazionale con penalizzazione sul FFO degli atenei che avessero selezionato personale non in grado di reggere standard adeguati di produzione scientifica. In fondo qualcosa di simile ha chiesto recentemente anche un editoriale di Galli della Loggia su un quotidiano in genere molto ascoltato dal Ministero, Il . Si trattava, cioè, di realizzare un intervento di urgenza, se si voleva, coerente con una prospettiva credibile di riforma a lungo termine. In verità, il tenore dell'intervento proposto dal Governo sembra più frutto di un'inconsapevolezza di chi legifera su meccanismi che non conosce ovvero di un artato contributo ad un ulteriore blocco delle procedure concorsuali. Per dare attuazione alla normativa «transitoria» prevista (elezione, sorteggio, reintegro delle liste sottodimensionate con ricorso a settori affini, ridefinizione dei settori da parte del CUN) accadrà che, se va bene, nessun vincitore sarà proponibile all'università prima del 2010. E questo dopo che i concorsi previsti arrivano a valle di un blocco concorsuale di fatto già di tre anni. Preso atto di questo, allora, si poteva evitare di perdere tempo e prevedere di andare al sorteggio puro e semplice, a maggior contento di novelli censori, che dimenticano che il concetto stesso di pubblicazione su cui si costruisce ogni valutazione in ambito scientifico richiama il concetto che la cooptazione tra pari in saperi esperti non può che avvenire su dati noti e su personalità scientifiche già fattesi notare dalle comunità di riferimento, e non emergono da buste anonime, affidate a giudici che si trovano a passare lì per caso per valutare. Ma tant'è, la demagogia ormai avanza per decreto. Forse si potevano evitare interventi di demagogia d'urgenza, se il Governo anziché affidarsi in una sorta di aristotelismo medievale, all'autorità verbale di editoriali su quotidiani di riferimento, si fosse affidato all'autorità dei fatti, di un'analisi empirica delle cose. E da questo punto di vista, anziché rispondere d'urgenza ad un editoriale di un collega, pur illustre e magari animato da buone intenzioni - mi riferisco a Giavazzi - che sarebbe stato utile forse audire in Commissione, vista l'audizione ricevuta dal Ministro, il Governo avrebbe forse potuto farsi certo che i barbari alle porte che sarebbero stati assunti d'urgenza bloccando per sempre il sistema, come da Giavazzi sostenuto a mezzo stampa, non erano altro che duemila ricercatori, punta di un di precari in attesa, a vario titolo presenti nel mondo dell'università e della ricerca, stimato in oltre 120 mila unità e questo dopo un blocco di tre anni; oltre all'evidenza statistica che un ricercatore entra nei ruoli, dipende dai settori, tra i trentacinque e i quarant'anni. Stiamo parlando di una frazione che non raggiunge il 2 per cento delle aspettative statisticamente legittime di potere entrare nei ruoli dopo un decennio in media di precariato universitario. Per quanto riguarda poi i 3.781 professori che con l'idoneità di seconda e prima fascia avrebbero invaso l'università ed occluso ogni varco ai giovani di cui sopra, si riesce a passare sopra per amor di polemica al fatto che si tratta, per il 95 per cento dei casi, di scorrimenti di carriera interna di personale già strutturato nella fascia inferiore, che in termini di costo aggiuntivo rappresenta una frazione sostanzialmente marginale del presunto assalto al della docenza. E, a parte questo, in effetti tutto ciò nient'altro avrebbe realizzato - dopo una paralisi triennale, che di fatto con l'aggiornamento dei bandi e delle procedure diventerà quinquennale - che uno scorrimento interno di posizioni per un migliaio di unità annue, su un organico strutturato di circa sessantamila; un tasso di promozioni statisticamente compatibile con ogni cerbera virtù che si voglia chiedere a una qualsiasi amministrazione. Nessun posto questi «promuovendi» potenziali avrebbero liberato se non abbattuti sulle cattedre! Nelle polemiche che hanno preparato il decreto-legge, un'altra enfatica e impropria valutazione, addossandola esclusivamente alle cattive pratiche del sistema, che pure vi sono state, è stata fatta, per passare alle strutture didattiche, sul numero dei corsi inutili creati negli ultimi anni: ne avevamo 2.200, secondo alcune stime, prima dell'introduzione del sistema «tre più due», ed oggi saremmo ad un fattore di più del doppio. A parte il fatto che con gli indirizzi di Mussi già gli atenei sono stati obbligati ad una forte ripulitura del sistema, nessuno vuole notare che se il legislatore lo decide - lo ha fatto la Moratti - con un tratto di penna che tendenzialmente un corso quadriennale si ricompone sulla linea «tre più due», di la tendenza è il raddoppio secco dei corsi. Può partire un sistema serio sul tema dalla solita notizia eccezionale dei trentuno corsi con un solo iscritto? Mentre poco si parla nel decreto-legge della proliferazione di sedi inutili e di università leggere e telematiche favorite dalla legislazione lasca sul tema imposta dalla stessa Moratti. Né, quanto alla moralizzazione di comportamenti censurabili sul piano del decoro e della dignità delle procedure concorsuali, il decreto-legge prevede alcunché: un divieto ad esempio di ingresso nei ruoli per parenti ed affini di titolari di cattedra nella stessa facoltà e per quanto riguarda i rettori nello stesso ateneo (questo sì avrebbe scombinato qualche previsione concorsuale!); o la possibilità di commissariare gli atenei o le strutture, facoltà o dipartimenti a «trazione familiare». Ci si limita a proporre una blanda relazione tra aumenti stipendiali e produzione scientifica, legata però a meri criteri quantitativi ed estrinseci per definire tale produzione (saranno stabiliti dal Ministero), senza prevedere alcuna reale valutazione della qualità intrinseca della produzione scientifica. È facile prevedere che l'unico incremento sarà quello della produzione cartacea a prescindere, aggiornando all'italiana l'americano che non pochi difetti ha messo in mostra nei sistemi universitari dove si è affermato: una profluvie di inutili . Un'ultima notazione. La previsione normativa per il cosiddetto rientro dei cervelli e le chiamate per chiara fama. Talmente pasticciata è la norma, indeterminata nel percorso di accertamento dell'equipollenza delle posizioni accademiche estere, nelle fonti di finanziamento delle procedure, che, per una parte, sono sottratte a vincoli di dell'ateneo che attiva i procedimenti di chiamata, per l'altra restano senza indicazione di riserva di spesa sul FFO o, ciò che sarebbe stato di certo meglio, di un qualsiasi incremento aggiuntivo a questo fine previsto per il FFO, sì da peggiorare in questo modo la normativa vigente a ciò dedicata che in Commissione esteri il decreto è stato bocciato, ed in Commissione cultura, dopo una valutazione complessiva sull'insieme delle norme proposte per la conversione in legge, la stessa maggioranza ha espresso l'opportunità di una terza lettura del decreto, ipotesi che la presidenza della Commissione non ha ritenuto di accogliere, a motivo che il decreto, così com'è arrivato dal Senato, era da considerarsi «blindato», esibendo ancora una volta il reale interesse al dialogo del Governo nell'iter parlamentare, oltre che una sostanziale mancanza di rispetto per il lavoro della Commissione della Camera dei deputati, a priori assunto come vano e al di là di ogni valutazione di merito. Questa è la situazione in cui ci muoviamo, viziata di preconcetti, false informazioni e cattiva volontà di capire e di intervenire sul serio, che non sia un abbandono a se stesso del sistema pubblico della formazione superiore e della ricerca. C'è voluto un intervento di Papa Benedetto XVI per ascoltare parole laiche a difesa del carattere pubblico dell'università, innanzitutto inteso - questo carattere pubblico - come natura che deve mantenere, prima ancora che come regime giuridico: ciò significa che l'università non può essere asservita ad interessi economici e politici, pur nella necessaria relazione con l'ambiente socio-economico in cui ci si muove. Ma ormai ci vuole l'aura sacrale, per la sua fonte, di un intervento di questo livello, per riportare in auge oggi una semplice verità, su cui si costruisce ogni progresso, spirituale e materiale: ossia che la conoscenza e l'amore per essa è di per sé un valore, che genera un'infinita filiera di valori umani, sociali ed economici. Forse è tempo di fermarsi un attimo a riflettere e ricominciare tutto daccapo, evitando un'opera di delegittimazione, anche con questo decreto, di un comparto decisivo per il futuro del Paese; un'opera di delegittimazione, che renderà sempre più difficili misure vere di messa in efficienza del sistema, di valorizzazione delle tante cose buone che in esso vi sono e di pulizia delle tante cose - e ve ne sono - che non funzionano. Mi sembrano motivi sufficienti e di merito, non ideologici o per partito preso, per il dissenso del Partito Democratico nei confronti del decreto-legge in esame, a cui non si riconosce né il carattere dell'urgenza, né una qualche traccia di incisività riformatrice del sistema universitario .
. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente e onorevoli colleghi, il confronto sul provvedimento in esame, che si è avuto nelle scorse settimane al Senato, a mio avviso ha rappresentato un significativo esempio di dialogo tra maggioranza ed opposizione, un serio tentativo di cambiamento, una buona notizia per studenti e docenti che considerano la formazione accademica e la ricerca scientifica una missione determinante per il futuro del nostro Paese. Siamo tutti consapevoli del fatto che i giovani e le loro famiglie osservano il nostro lavoro, lo giudicano, lo apprezzano o lo criticano. A loro dobbiamo rispondere e, di fronte a loro, siamo responsabili del nostro impegno, della nostra reale volontà di riformare il sistema universitario, in cui qualità e mediocrità, produttività ed inefficienza, merito e demerito convivono, disponendo delle stesse risorse, spesso, a danno dei migliori. Il rispetto che merita il grande patrimonio di aspettative nei nostri confronti ci deve spingere a fare del nostro meglio e ad apprezzare, in attesa di una riforma complessiva dell'università italiana, le importanti novità introdotte dal decreto-legge in esame per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca. Si tratta di decisioni forti, necessarie e non più rinviabili, che mirano a contenere gli sprechi e le disfunzioni ampiamente diffuse nel sistema della formazione universitaria. Scelte di buonsenso, che coniugano l'autonomia universitaria al concetto di responsabilità e al riconoscimento del merito e che sottopongono gli investimenti in formazione e ricerca ad un sistema di valutazione dei risultati di atenei e docenti. Sin dall'inizio di questo mio primo mandato da parlamentare, ho sempre sostenuto che gli argomenti in gioco, quando si parla di scuola e di università, siano troppo delicati per essere lasciati alla classica e, spesso - permettetemelo - sterile contrapposizione destra-sinistra, maggioranza-opposizione. Non vi è cosa peggiore della politica del rifiuto, quando si ritiene che l'azione di Governo, pur con i necessari ed ulteriori aggiustamenti di rotta, stia, comunque, andando nella direzione giusta. Sono realmente convinta che, se riusciremo a mettere da parte le prese di posizione ideologiche potremo incidere davvero sul processo riformatore del nostro Paese. La spinta riformatrice è necessaria per ridare centralità al ruolo dei giovani e per superare i vizi di una società ancora troppo ingessata, gerontocratica e refrattaria a riconoscere il merito. Ho molto apprezzato, nel corso del dibattito al Senato, l'atteggiamento di chi, senza abbandonarsi allo spirito partigiano, ha cercato di confrontarsi con il testo del Governo. Credo sia oggettivamente difficile non apprezzare le iniziative del decreto-legge in questione, che vogliono segnare una svolta all'insegna del rigore, per dare giustizia alle migliaia di validissimi studiosi, che insegnano e fanno ricerca nostri atenei e per liberare le energie di tanti giovani talenti. Con il decreto-legge in discussione, il merito diventa finalmente, per la prima volta, l'unico vero criterio di ripartizione di una quota importante di fondi statali. Il Governo vuole mettere la parola «fine» alle risorse distribuite a pioggia ed in maniera indistinta a tutti gli atenei: sarà il merito il criterio per la ripartizione di una quota significativa dei fondi statali. Già dal 2009, una quota non inferiore al 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario e del Fondo straordinario istituito con la legge finanziaria per il 2008, sarà ripartito tra le università più virtuose. Il principio non è nuovo, ma negli ultimi anni le risorse utilizzate a favore delle università che producevano risultati migliori sono state meno dello 0,5 per cento. Col provvedimento in esame, per la prima volta, circa 500 milioni di euro saranno distribuiti in base alla qualità: si tratta di una quota destinata a salire, nei prossimi anni, fino al 30 per cento, invertendo un che, fino ad oggi, ha privilegiato esclusivamente la spesa storica. Con il decreto-legge in questione, si premierà, invece, la qualità dell'offerta formativa, della ricerca scientifica e delle sedi didattiche. In conclusione, ritengo che abbiamo dinanzi anni importanti per il futuro del Paese. Dopo queste prime misure urgenti, non bisogna perdere tempo per lavorare a più grandi riforme strutturali: le linee guida del Ministro Gelmini offrono spunti discussione ed un quadro di insieme entro cui collocare i prossimi passi. Come giustamente il Ministro segnala, i cardini di una riforma dell'università dovranno essere: innovativi meccanismi di ed una sempre maggiore centralità della valutazione. Atenei più responsabilizzati e soggetti a valutazioni stringenti non avranno bisogno di molte regole, perché saranno consapevoli che scelte sbagliate avranno conseguenze negative, immediate e tangibili. Onorevoli colleghi, oggi abbiamo l'occasione di riformare un sistema che è rimasto, sotto molti profili, indietro negli anni, ingessato da logiche corporative e di potere, un sistema troppo spesso incapace di produrre ricerca di qualità e di fare buona didattica. Non abbiamo, dunque, alibi di fronte a questa concreta opportunità di cambiamento che i giovani ci chiedono. Dobbiamo provare a demolire la cortina protettiva che un sistema malato ha eretto negli anni per difendersi. I tempi sono maturi per riformare il sistema universitario del nostro Paese, con il confronto, con il dialogo, insieme, maggioranza e opposizione. Sono certa che i giovani si aspettano da noi proprio questa rivoluzione culturale, che ci potrà condurre a vincere, finalmente, la battaglia del merito, a scuola come all'università . Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
. Onorevole Giammanco, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione, non la relazione introduttiva - e me ne scuso -, ma gli interventi dei colleghi. Rispetto ad essi mi sento di poter condividere le considerazioni svolte dal rappresentante del Partito Democratico, francamente un po' meno quelle appena svolte dall'onorevole Giammanco, soprattutto su un punto: lei, onorevole, ha cercato di esaltare, o quanto meno di sottolineare, il confronto positivo tra maggioranza e opposizione. Eppure, se c'è un provvedimento per il quale davvero non ha avuto spazio il confronto, è proprio questo che, ancora una volta, abbiamo visto soltanto transitare nella Commissione di merito competente e, da oggi, in Assemblea, senza alcuna possibilità di interazione e di confronto tra i gruppi parlamentari. Sappiamo benissimo, infatti, che in caso di modifica, anche minimale, del testo pervenuto dal Senato, non ci sarebbero poi i tempi per un ulteriore passaggio presso il Senato stesso. Pertanto il Governo deve fare a meno, forzatamente, immagino anche con grande dispiacere, del contributo dei gruppi appartenenti all'opposizione. Da ciò si deduce che, ancora una volta, la democrazia parlamentare risulta mortificata perché gli emendamenti in Commissione - è bene ricordarlo - non sono stati nemmeno discussi; non dico: votati, ma nemmeno discussi. Di cosa stiamo parlando, dunque? Mi rivolgo al Presidente della Camera, affinché possa rappresentare la situazione al Governo: nei prossimi giorni saremo chiamati a convertire in legge ben quattro decreti-legge: sui rifiuti in Campania, sui lavori pubblici, sull'agricoltura e, appunto, sull'università e la ricerca. Su quest'ultimo sono previsti circa 130 voti. Basterebbe un atteggiamento meno che responsabile da parte dell'opposizione per far «saltare» il calendario stabilito e, di conseguenza, anche i provvedimenti in discussione. Non è, tuttavia, né nel nostro interesse né nelle nostre intenzioni. Lo abbiamo detto: sui temi della scuola soprattutto avremmo voluto, e ancora lo chiediamo, un confronto serio e approfondito perché ci troviamo di fronte ad una materia che, come poche altre, necessiterebbe del confronto e della collaborazione di tutti. Invece, ancora una volta, siamo agli . Il Governo - c'è da riconoscerglielo - è riuscito con abilità mediatica a far passare, con uno ad effetto, l'idea che questo potesse essere l'ennesimo decreto innovativo. In realtà si tratta di un provvedimento tampone o poco più, perché non produce effetti significativi sul sistema universitario italiano. Lo ripeto: siamo agli . C'è stato - lo ha ricordato il collega del Partito Democratico - lo sul grembiulino, quello sul maestro unico e quello sul voto in condotta, salvo poi fare i conti con il Paese reale. La crisi strutturale delle nostre università avrebbe invece reso urgente - rende urgente - una riforma con carattere di organicità e completezza, una riforma basata soprattutto sul presupposto che l'università rappresenta davvero una risorsa importante da potenziare e valorizzare. Quando parlo di università faccio riferimento, lo do per scontato, sia all'insegnamento sia, soprattutto, al lavoro di ricerca. Il decreto-legge che è invece oggi alla nostra attenzione, oltre che esautorare il Parlamento, negandogli la possibilità di fornire giusti contributi, rinvia strumentalmente la risoluzione di tutti i veri problemi degli atenei e propone soluzioni, alcune insufficienti altre addirittura inadeguate. Gli slogan di cui parlavo prima, e di cui abbiamo sentito il con i giorni che passavano rispetto a questo decreto-legge, vertevano e vertono sulle commissioni per i concorsi, sul sulla stretta sui baroni, sulla trasparenza di bilanci e assunzioni, sul rientro dei cervelli e sulle maggiori risorse per gli atenei virtuosi e per gli studenti meritevoli. Invece, lo sappiamo, ci sarebbe da ribattere su ognuno di questi slogan e molto ci sarebbe da dire, ma farò soltanto pochi esempi per l'economia dei nostri lavori. È vero, ad esempio, che sono state introdotte norme che modificano la prassi concorsuale riguardo alle commissioni esaminatrici. Infatti oggi le commissioni che dovranno reclutare docenti sono composte da un professore ordinario nominato dalla facoltà e da quattro professori sorteggiati sulla base di una lista di dodici docenti eletti, a loro volta, da una lista di professori ordinari del settore scientifico disciplinare oggetto del bando. In sostanza, rispetto alla disciplina attuale, le commissioni locali elette su base nazionale, quelle previste dalla legge n. 210 di dieci anni fa, sono sostituite da commissioni sorteggiate da una lista eletta su base nazionale per un numero triplo dei membri richiesti. Noi invece avevamo presentato degli emendamenti sull'argomento e del resto lo stesso Ministro Gelmini ha ammesso l'esistenza di limiti, il che rivela la sua finalità che è quella di dare un segnale netto di discontinuità rispetto ad una prassi ormai insostenibile. Allora perché non si è fatto sì che, invece, si introducesse il sorteggio puro dei commissari d'esame? Perché non si è fatto un passo (noi abbiamo presentato emendamenti in questo senso) per la valutazione su base nazionale ad opera di una commissione unica per ciascun settore scientifico? Perché ad esempio (e anche su tale punto abbiamo presentato emendamenti) non abbiamo previsto la preclusione a partecipare al concorso per coloro che abbiano un grado di parentela fino al quarto compreso con professori ordinari associati appartenenti al medesimo raggruppamento disciplinare? Se si vogliono combattere le clientele, le famiglie e i baroni questa sarebbe stata la strada da percorrere invece, in realtà, il Governo non ha avuto il coraggio di operare un vero cambiamento ed ha perso l'ennesima buona occasione per fare riacquistare credibilità all'università italiana. La vera svolta sarebbe stata, appunto, la scelta di un sistema di sorteggio puro dei commissari all'interno di una lista di professori ordinari iscritti. L'elezione dei commissari ormai ha dato ampia prova di essere il peggior sistema possibile perché induce quasi fisiologicamente, sarei tentato di dire - anche se qualcuno mi potrebbe correggere e dire: patologicamente - a comportamenti poco trasparenti basati sulla logica dello scambio che oscurano completamente il merito scientifico dei candidati con conseguente perdita di attendibilità e credibilità dell'intera università italiana. Inoltre le modalità per lo svolgimento dei concorsi avrebbero potuto essere congegnate diversamente; ad esempio, lo ripeto, attraverso lo svolgimento delle procedure a livello nazionale, dando rilievo all'attività di un organismo di valutazione unico nazionale, terzo, sarei tentato di dire. Molto ci sarebbe, poi, da osservare sulla disposizione che disciplina il : le università potranno procedere ora, per ogni anno, ad assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al personale a tempo determinato cessato dal servizio nell'anno precedente. Si eleva, in questo modo, dal 20 al 50 per cento il limite del previsto dall'originaria formulazione dell'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008, emanato all'inizio di questa legislatura. In conseguenza di questa modifica che adesso introducete con decreto-legge (e non è il primo decreto-legge con il quale intervenite su un altro decreto emanato sole poche settimane prima) prevedete che il Fondo di finanziamento ordinario delle università sia integrato di 24 milioni di euro per il 2009, di 71 milioni di euro per il 2010, di 118 milioni di euro per il 2011 e poi di 141 milioni di euro dal 2012 in avanti. In questo modo modificate in senso opposto le previsioni che avevate fatto a giugno-luglio in relazione al limite posto dal che invece aveva stabilito che il Fondo fosse ridotto di 63 milioni di euro per il 2009, di 190 milioni di per il 2010 e via dicendo, fino a «tagliare» 455 milioni di euro dal 2013. Che dire? Si tratta di un piccolissimo passo indietro rispetto a quanto previsto dal decreto-legge n. 112 del 2008. Mi piacerebbe - ma francamente nutro taluni dubbi sulla realizzabilità di questo mio desiderio - che ciò potesse rappresentare un piccolo segno di resipiscenza, forse conseguente anche alla forte protesta sociale, al movimento degli studenti, all'Onda, alle manifestazioni che i sindacati e il personale della scuola hanno messo in campo, ma quello che mi preme sottolineare è che i tagli pervasivi imposti dalla vostra manovra finanziaria restano sostanzialmente tali. Il sistema universitario italiano continua dunque ad essere sottofinanziato rispetto alle esigenze e, soprattutto, al livello e agli standard degli altri nostri Paesi che con noi formano l'Unione europea. In sostanza, il decreto-legge non innova nulla, anzi i tagli di spesa considerevoli già previsti non sono stati ridotti in termini significativi e anche l'attribuzione in termini premiali delle risorse del Fondo di finanziamento ordinario delle università non è rilevante, in quanto investe una quota di risorse molto esigue. Verrebbe da pensare che il Ministro Gelmini ci abbia preso gusto a camminare a marcia indietro, un po' come i gamberi. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia delle modifiche al piano per le scuole elementari, una per tutte è rappresentata da quella per la quale il maestro unico diventa alla fine facoltativo, dal momento che sarà introdotto solo su richiesta delle famiglie. Altra novità rilevante è che la riforma delle scuole superiori slitta di un anno. Il maestro unico alle elementari - norma simbolo di un'energica protesta - diventa, quindi, un autentico legato alla richiesta delle famiglie, ma probabilmente, con il potere mediatico sotto il controllo del Governo, resterà nell'immaginario collettivo l'idea che questa riforma sia «passata» integralmente. Ripeto che mi piacerebbe immaginare che questi passi indietro fossero elementi di saggia resipiscenza e che ci fosse, dietro a tutto ciò, anche la consapevolezza che a nulla serve il muro contro muro e che con il dialogo si possono, invece, ottenere risultati significativi e condivisi. Tuttavia, francamente ho dei dubbi. Non voglio preannunciare il voto di Italia dei Valori sul decreto-legge in esame, dal momento che altri lo faranno, ma posso immaginare orientativamente un voto che non sarà favorevole per le motivazioni brevi che ho cercato di esporre. Tuttavia, per chiudere questo mio breve intervento, almeno mi sia lasciata la possibilità di esprimere l'auspicio che la veloce conversione di questo decreto-legge sia davvero l'ultimo atto simbolo dell'arroganza di questo Governo.
. Salutiamo gli studenti e i lavoratori della parrocchia San Matteo di Asiago, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune accompagnati dal vicesindaco di Asiago e dal parroco. Li saluto a nome della Camera dei deputati . Ricordo che state assistendo ad una discussione sulle linee generali, nella quale intervengono in realtà soltanto un numero limitato di parlamentari dei diversi gruppi (quelli più esperti nella questione discussa). Gli altri parlamentari non sono al bar a prendere il caffè, ma stanno lavorando ad altri aspetti dell'attività parlamentare. Vi ringrazio per la visita. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, il decreto legge n. 180 del 2008 recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca ha incontrato difficoltà durante l'esame presso la III Commissione affari esteri e comunitari. Infatti, giunge in Assemblea senza il parere di detta Commissione. In particolare, l'opposizione non ha condiviso il punto che tenta di arginare la cosiddetta fuga dei cervelli, favorendo il rientro e il reclutamento degli stessi con regole facilitate rispetto a chi resta in Italia. Il tema è sicuramente caldo, e diamo atto al Ministro Gelmini di aver avuto attenzione per questo aspetto delicato e dibattuto da diversi anni. Le obiezioni formulate in Commissione affari esteri al decreto-legge evidenziano che la questione non può essere risolta meramente con le semplificazioni di procedure che a livello nazionale sono molto più stringenti. Inoltre, certe semplificazioni potrebbero condurre a scorciatoie che il Governo non ha probabilmente preventivato e non soddisfarebbero certamente l'obiettivo che si vuole raggiungere. Qual è questo obiettivo? Contrastare la fuga di intelletti italiani, una condizione assolutamente prioritaria per le sfide future che l'Italia deve affrontare e per le prospettive di sviluppo del nostro sistema Paese. La storia recente e la cronaca quotidiana ci mostrano che molti paesi europei ed extraeuropei si avvalgono del talento intellettuale di italiani, più o meno giovani, senza avere investito risorse sulla loro formazione, ma utilizzandone competenze e capacità acquisite nel nostro sistema formativo. Oggi assistiamo impotenti ad una situazione che vede l'università italiana investire migliaia di euro per ogni studente in formazione pre e post laurea senza che tutto ciò dia frutti nel mondo accademico o nel mondo dell'industria privata. Non se ne vedono gli esiti positivi nell'ambiente accademico per i noti problemi a far valere la meritocrazia, e le disposizioni contenute nel provvedimento del Governo non risolveranno questo nodo; non se ne vedono i frutti neanche per il mondo privato, i cui interessi spesso non coincidono con quelli accademici, contrariamente a quanto avviene nelle nazioni europee più avanti di noi. Il momento negativo dell'economia italiana, accentuato dalla crisi finanziaria globale, impone certamente scelte drastiche, ma noi crediamo che la riduzione del credito d'imposta, prevista nel cosiddetto decreto anticrisi, dilaterà ancora di più la cesura tra questi due mondi, che dovrebbero cercare maggiori convergenze e sinergie. Spesso ciò avviene anche per mancanza di coordinamento tra questi due mondi; le persone che lo Stato italiano ha formato cercano sbocchi all'estero; evidentemente c'è un ruolo che svolge il mercato nel fare incontrare domanda e offerta, ma i problemi che stiamo affrontando hanno anche origini problematiche che si sono pervicacemente radicate nel nostro sistema. La preparazione di base fornita dalle nostre università non è affatto mediocre, se è vero che molti nostri laureati e studiosi trovano collocazione stabile nel sistema accademico. Io sono un parlamentare eletto all'estero e conosco molto bene le realtà di Basilea, di Zurigo, di Monaco di Baviera, dell'Istituto italiano dei brevetti, del Max Planck Institute e di altri. Ho tratto sempre convincimento che i nostri giovani, i nostri talenti che vanno all'estero, sicuramente riescono a sfondare molte porte, nonostante anche le difficoltà ambientali. Questo spiega la collocazione stabile nel sistema accademico e nella ricerca pubblica e privata di svariati Stati europei ed oltreoceano. In passato sono stati esperiti molti tentativi per far rientrare gli studiosi italiani dall'estero, i provvedimenti emanati hanno mostrato diverse lacune, prima fra tutte il fatto di non poter offrire al rientrante un posto di lavoro equiparabile qualitativamente ed economicamente a quello lasciato all'estero. Come si possono superare, signor Presidente, questi limiti e come si può davvero centrare l'obiettivo perseguito dalla legge di cui ho già parlato? Io credo che occorra cominciare con interventi strutturali: secondo la nostra opinione, si dovrebbe cominciare a prevedere che i corsi post laurea, come quelli di dottorato, debbano essere svolti per almeno il 50 per cento della loro durata all'estero. In questo modo si potrebbe creare un livellamento qualitativo verso l'alto di tutti i dottorati; oggi ci sono dottorati che hanno avuto pochissimi contatti con l'estero e altri che invece vi hanno maturato una lunga esperienza. Questa disparità è dovuta anche al fatto che l'aumento della borsa per gli studenti che vanno all'estero è modesto e del tutto insufficiente per poter pensare che un dottorando possa vivere all'estero, specialmente in alcuni Paesi. Quindi, alcuni nostri giovani talenti non vivono un'esperienza all'estero semplicemente perché non dispongono di risorse finanziarie sufficienti. Inoltre, bisogna spingere tutte le università a costituire scuole di dottorato in collaborazione con almeno un'università straniera e prevedere, quindi, scambi continui di informazioni e di persone. Occorre individuare quali siano i campi in cui l'Italia è deficitaria e spingere nella formazione delle persone in quei campi. Premiare il mondo privato che vuole colmare tali deficit, così come si ipotizza nel decreto-legge, servendosi delle persone formate all'estero è giusto e sicuramente sostenibile; ben vengano, quindi, strumenti come le agevolazioni fiscali per le industrie che intendono operare seriamente in tal senso, senza, tuttavia, che la proposta si trasformi un fiscale e ponendo attenzione a mantenere il giusto equilibrio nei confronti di coloro che da anni sopportano la fatica dell'attesa in Italia. Lo studioso che va all'estero deve rientrare e trovare un ambiente culturalmente simile a quello che ha lasciato. Oggi uno dei problemi è certamente rappresentato dalla carenza di mezzi e di strutture, ma anche da una mentalità poco internazionale, con un sistema ingessato in formalismi e gerarchie. In una mia recente proposta di legge suggerisco di inserire una quota obbligatoria di internazionalità - sottolineo obbligatoria, signor rappresentante Governo - anche nel reclutamento dei docenti; lo Stato non deve svolgere soltanto il ruolo di regolatore, ma deve anche investire: investire, signor Presidente, non spendere. Infatti, bisogna razionalizzare le risorse, non spendere in cose inutili, ma è sicuramente doveroso aumentare il numero di ricercatori, prevedere contributi più sostanziosi per i dottorandi che vanno all'estero, nonché, in collaborazione con le nostre rappresentanze all'estero, sostegno e agevolazioni sapendo che non sono spese, ma investimenti nel presente e nel futuro. Mi rendo conto, tuttavia, come peraltro ha fatto notare in Commissione il sottosegretario Stefania Craxi, che è autorevole rappresentante di questo Governo, che la decapitazione del bilancio del Ministero degli affari esteri mal si presta alla realizzazione degli obiettivi preconizzati per il rientro dei nostri cervelli e, quindi, soprattutto per il ruolo che dovrebbe svolgere la Farnesina. In questi giorni si è svolta a Roma la prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo; tra questi, vi sono parecchie eccellenze italiane provenienti da 36 Paesi che ospitano nostre comunità. È vero che qualche giornale l'ha buttata sul ridicolo, evidentemente prendendo in giro se stesso, perché si tratta di giovani che hanno maturato esperienze di grande spessore. Sicuramente non tutti, ma molti di essi oggi occupano posti centrali molto importanti per il nostro Paese perché costituiscono quella rete che tutti dovremmo alimentare. Credo che con questi giovani, che coltivano ancora forte nel cuore il legame con la madrepatria, e che tra l'altro sono stati in quest'Aula, dovremmo saper attuare, onorevoli colleghi, adeguate politiche sia per arginare la fuga dei cosiddetti cervelli, sia per dare un'opportunità ai tanti ricercatori italiani all'estero di poter esercitare la loro attività nel Paese di origine. Gli investimenti sono realizzati per avere un ritorno maggiore di quello che si è dato; si può prevedere, come succede per ogni investimento, che per alcuni anni ci siano più uscite che entrate ma, alla fine, se le cose vengono fatte perbene - ce lo insegnano gli altri Paesi - il guadagno è certo, non solo per l'università, per l'economia, soprattutto quella del sapere e dei beni immateriali, ma anche, e forse è più importante, per tutta la società italiana .
. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, gestire una crisi come quella posta dalla degli atenei, attualmente vincolata da una normativa superata e che va conseguentemente rivista in funzione di un coerente rinnovato modello istituzionale, è sempre difficile. Le strumentalizzazioni ideologiche sono ingiustificate, a fronte delle complesse situazioni che il Ministro si è trovato a dover risolvere. Il decreto-legge che ci accingiamo a esaminare non ha sicuramente la pretesa di sostituirsi agli organi della componente accademica che, autonomamente, devono e possono procedere ad un assetto delle complesse funzioni decisionali, assumendosi tutta la responsabilità nella programmazione e nell'allocazione delle risorse, in modo tale da cancellare l'accusa di autoreferenzialità ad essi rivolta. Sono tante le critiche infondate che vengono rivolte da quella parte del mondo accademico strumentalmente ideologizzata, con la quale la Lega Nord - parte della maggioranza di Governo - vuole avere un confronto, per giungere ad una vera riforma che, superando le operazioni strumentali e di dubbio conio - cui prima accennavamo -, pervenga ad una riaffermazione del fine di alta formazione e di cultura critica e costruttiva, che dia maggiore rilievo alla ricerca, premi il merito ed apra ai talenti dei capaci e dei meritevoli. Il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha previsto una riduzione annuale, fino al 2013, del Fondo per il finanziamento ordinario di 467 milioni di euro e un taglio del 46 per cento sulle spese di funzionamento e una riduzione del per l'università nel periodo 2009-2013. In termini finanziari, si tratta di 64 milioni di euro nel 2009, di 190 milioni di euro nel 2010, di 316 milioni di euro nel 2011, di 417 milioni di euro nel 2012 e così via: un taglio complessivo di quasi quattro miliardi di euro in cinque anni. La trasformazione delle università pubbliche in fondazioni di diritto privato, forse, è una soluzione, secondo noi. Tutto ciò ha determinato negli atenei un profondo allarme e una grande frustrazione. Anche la sinistra deve avere piena consapevolezza - ma sicuramente ce l'ha - della fase molto difficile e quanto mai incerta che l'economia internazionale e quella nazionale stanno attraversando. Un'attenta riconsiderazione e, per quanto possibile, un ridimensionamento delle spese universitarie, senza alcun dubbio, sono comportamenti ai quali gli atenei devono sentirsi tutti tenuti. È lodevole che il Ministro abbia voluto tenere conto dei sacrifici ai quali le università statali e non statali avrebbero dovuto sottoporsi, con conseguenze inevitabili e di portata dirompente per il Paese, rivedendo, nel decreto-legge in esame, la misura e le modalità di applicazione del blocco sul che sicuramente avrebbe avuto effetti particolarmente pesanti. Riteniamo importante la previsione contenuta nel decreto-legge in discussione circa la riassegnazione dei relativi fondi secondo criteri e parametri ben definiti e vincolanti, in vista di obiettivi di riqualificazione e di controllo della spesa e dei livelli qualitativi della formazione e della ricerca universitaria, valorizzando, conseguentemente, le posizioni dei giovani più meritevoli e favorendone le attività, in un contesto che dovrà, comunque, prevedere l'attivazione di un adeguato sistema di valutazione e di verifica dei risultati raggiunti e un aggiornato modello di nonché rinnovati meccanismi di reclutamento e di sviluppo delle carriere. È altrettanto importante che il Ministro abbia parimenti riconsiderato con urgenza i criteri e il modello stesso di attribuzione delle risorse, facendo immediatamente confluire nel FFO (Fondo di finanziamento ordinario) tutte le varie assegnazione finalizzate che oggi caratterizzano i trasferimenti statali e introducendo nella ripartizione tra gli atenei maggiori elementi di premialità e fattori di riequilibrio, a fronte di indicatori pienamente attendibili e significativi, sia con riguardo alle azioni realizzate e ai risultati ottenuti, sia in relazione alle condizioni di contesto e alle specificità e ai comportamenti dei soggetti interessati. L'articolo 3 del presente decreto-legge prevede, per l'anno 2009, lo stanziamento di 65 milioni di euro per la realizzazione di alloggi e residenze per gli studenti universitari, al fine di favorire la mobilità studentesca in ambito nazionale e con lo scopo di recuperare il divario che, purtroppo, separa l'Italia dagli altri Paesi europei, quanto a residenze universitarie. Il decreto-legge in esame apre anche ad una più ponderata valutazione delle criticità emerse, a cominciare dalla revisione del sistema di reclutamento della docenza, secondo linee che garantiscono, ad un tempo, rigore e trasparenza della valutazione scientifica e semplicità e linearità delle procedure, distinguendo, per queste ultime, tra promozione e reclutamento vero e proprio. La Lega Nord sa bene che l'università italiana soffre oggi per un eccesso di presenza pubblica e, in particolare, di una soffocante regolamentazione pubblica, nonché per un diffuso nepotismo nella selezione del personale. Per correggere questi gravissimi inconvenienti, occorre, secondo noi, introdurre elementi privatistici nella proprietà e nella gestione delle sedi universitarie, accrescerne il grado di autonomia, introdurre elementi di trasparenza e di maggiore efficienza nel reclutamento dei docenti. Noi riteniamo che, finché le università sono finanziate dallo Stato e solo in minima parte dagli studenti, non ci sia nessuno stimolo a migliorare l'efficienza della loro attività e il livello qualitativo dei titoli che rilasciano. Invece, se gli studenti devono pagare più tasse, possono pretendere migliori servizi e le università entrano in concorrenza tra loro per attirare studenti. La critica che potrebbe rivolgersi a tale criterio di azione si fonderebbe sull'argomento dell'iniquità sociale, che però è superabile. Infatti, oggi i figli dei veri poveri non possono comunque andare all'università, perché non in grado di rinunciare ai redditi che perderebbero se studiassero invece di lavorare. Se alle spese dell'università provvede soprattutto lo Stato, si determina un trasferimento di risorse dalle famiglie povere, che non possono mandare i figli all'università, ma che almeno pagano un po' di imposte, in particolare quelle indirette, pagando quindi anche i costi dell'università alle famiglie certamente meno povere, che mandano i figli a studiare. Il risparmio di risorse finanziarie pubbliche, che si otterrebbe riducendo i contributi dello Stato alle università, potrebbe essere inoltre utilizzato per assegnare borse di studio agli studenti poveri meritevoli. Oggi, questo tipo di spese è ridotto al minimo. Questa strategia permetterebbe poi di aumentare il peso delle università private a scapito di quelle pubbliche. Le migliori università del mondo sono notoriamente le grandi università private americane e anche in Italia, ad esempio, la sede di gran lunga più qualificata in campo economico è l'università commerciale Bocconi di Milano, mentre molte università pubbliche italiane sono di livello modesto, pur riconoscendo la presenza anche di università pubbliche invece validissime. È bensì vero che in Italia vi sono anche università private di bassa qualità, che servono essenzialmente ai figli dei ricchi per ottenere il titolo di studio senza studiare molto o, anzi, senza studiare. Anche a questo inconveniente, però, si può porre rimedio con una seconda linea d'azione utile sotto molti riguardi. Sosteniamo, infatti, da tempo la necessità di eliminare o almeno ridimensionare il valore legale dei titoli di studio. Il valore legale delle lauree favorisce l'esistenza di sedi universitarie scadenti, che distribuiscono i titoli ai quali non corrisponde una buona preparazione, ma che consentono l'accesso a determinate carriere, ad esempio, attraverso il requisito della laurea, necessario per accedere ai migliori concorsi pubblici, che poi mediocri laureati possono in teoria, ma purtroppo anche in pratica, superare. Se invece i concorsi pubblici fossero più severi e selettivi, che non sembra un obiettivo impossibile, e l'ammissione a queste prove più selettive fosse più libera di oggi, cesserebbe l'interesse a conseguire titoli di studio puramente cartacei, eliminando così dei privilegi certamente inutili e dannosi. Prevarrebbe, invece, l'interesse a frequentare i migliori corsi universitari, che garantissero una buona preparazione e non solo il titolo accademico. In tal modo, le università entrerebbero in concorrenza tra loro e le migliori sedi potrebbero anche esigere dai loro iscritti rette più elevate, creando così un circolo virtuoso. Le migliori sedi sarebbero più care, ma garantirebbero migliori prospettive di lavoro. Collegata con queste due prime linee di azione sarebbe una terza strategia, volta a rendere più efficienti e trasparenti le procedure di selezione del personale. È importante arrivare ad una radicale riforma delle procedure di reclutamento dei docenti. Il valore dei professori ordinari di prima fascia, i cosiddetti baroni, molti dei quali sono autentiche glorie nazionali e luminari della scienza, è messo in dubbio dal fatto che, fino ad oggi, la carriera accademica è stata inquinata da gravi fatti di nepotismo. Di ciò sono responsabili, almeno in parte, procedure di selezione basate soprattutto sull'esame dei cosiddetti titoli scientifici, pubblicazioni la cui paternità è sovente dubbia, la cui proclamata originalità è spesso inesistente e concessa con troppa larghezza da commissioni compiacenti, composte da professori di ruolo della materia. Si determina, quindi, un meccanismo di cooptazione, che può anche avere degli aspetti positivi, ma che di fatto genera spesso carriere riservate a figli, parenti e amici di professori in carica. Altra importante questione è l'accentuazione dell'autonomia delle sedi universitarie; è del tutto ovvio che uno schema di delle università quale quello vigente impone la realizzazione di un'autentica autonomia delle sedi stesse, che oggi, invece, dipendono da organismi esterni (Ministero dell'università, Consiglio universitario nazionale, Conferenza dei rettori), che ne controllano atti anche minimi di gestione. Poiché, al solito, nel nostro Paese si dice una cosa e se ne fa un'altra, l'autonomia universitaria è un feticcio omaggiato a parole e smentito dai fatti, tanto che docenti stranieri, cui viene detto che le nostre università sarebbero autonome, se imparano anche a conoscerle bene dall'interno, ridono di fronte alla pretesa di autonomia di cui sentono parlare. Di esempi se ne potrebbero fare tanti, ma se, ad esempio, un'università volesse istituire una nuova materia di insegnamento, lo dovrebbe poter fare subito e senza tante storie, senza dover acquisire pareri esterni o senza dover adeguarsi a criteri dettati dall'alto. Se un'università volesse avvalersi dell'opera di un docente, dovrebbe poterlo fare senza curarsi di rispettare una serie di regole e di poteri ad essa esterni. Ancora una volta, il buon esito di tali criteri di condotta autonoma sarebbe garantito, ovviamente nei limiti di ciò che è umanamente realizzabile, dal quadro di libertà, di privatizzazione e di efficienza che abbiamo illustrato precedentemente .
. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'università e la ricerca sono una ricchezza fondamentale per l'Italia e tutti siamo concordi nell'affermare che l'università deve tornare ad essere strumento di crescita davvero efficace e di promozione sociale e personale in un Paese avanzato; per questo, deve rinnovarsi e rendersi trasparente nella condotta e nei risultati. Nell'ambito del sistema di formazione universitario e della ricerca, credo siano due le sfide su cui saremo chiamati ad agire: innanzitutto, nell'ambito della formazione universitaria, la sfida è quella di pensare ad un sistema di istruzione che possa davvero accrescere e sostenere il sistema Italia. Nell'ambito della ricerca scientifica, la sfida è pensare come Stato, università e imprese possano interagire in modo sinergico, per aumentare il trasferimento scientifico e tecnologico e per sostenere la produttività del sistema italiano. Si rende necessario pensare ad un ammodernamento della nostra università, che ne aumenti la qualità formativa, la competitività e l'internazionalità; per far questo, bisogna pensare ad una politica che si strutturi su scelte di breve, medio e lungo termine. Una riforma è una scelta strategica di medio e lungo termine, ma, come ci ha ricordato il sottosegretario Pizza in Commissione, il decreto-legge n. 180 del 2008 non è né intende essere una riforma, dunque una politica di medio e lungo termine, ma, come reca il titolo, si tratta di disposizioni urgenti, dunque di una politica di breve periodo. Urgenza in che termini? Innanzitutto, le risorse vanno erogate in relazione all'efficacia e all'efficienza di funzionamento delle università: in una parola, qualità. La qualità porta a verificare l'efficacia e l'efficienza, in quanto bisogna tener conto dei risultati dei processi formativi e delle attività di ricerca scientifica. In secondo luogo, urgenza in attesa del riordino delle procedure di reclutamento dei docenti. Bisogna stabilire le regole per le procedure concorsuali (comprese quelle già attivate) di cui all'articolo 1, del quale i miei colleghi hanno parlato a lungo in precedenza. Si tratta di regole che, in questo momento, sono transitorie e che servono in questa fase, appunto, di urgenza. Il terzo principio, il principio guida, è la trasparenza, su cui tutti siamo d'accordo. Dunque, l'intervento in un settore così strategico va e deve essere pensato lasciando da parte le scelte di parte, dietro cui stanno, non c'è dubbio, problematiche reali e preoccupazioni, che, però, avranno modo di essere analizzate e sviscerate nella fase successiva, quella di strutturazione delle politiche a medio e lungo termine, ossia delle politiche di riforma. L'invito è quello di cogliere dunque, come le modifiche del Senato ci indicano, la possibilità di aprire un dibattito ed un confronto, che verterà sulla vera azione di riforma per l'università, ossia le politiche a medio e lungo termine, a cui tutti - tutti, lo ripeto - siamo chiamati a dare il nostro contributo, e su cui il Paese e gli studenti ci giudicheranno nel complesso, non in una visione parziale. E allora sì, quando imposteremo questa politica di riforma, dovremo porci un obiettivo di lungo termine, a cui arrivare passo dopo passo, come espresso nelle linee guida presentate dal Ministro Gelmini il 6 novembre nel Consiglio dei ministri, linee guida che saremo chiamati a tradurre in proposte concrete. Queste linee guida ci danno alcune indicazioni di direzione. Innanzitutto, il miglioramento del sistema in termini di qualità dell'offerta formativa e della ricerca: dovremo definire cosa intendiamo per qualità. In secondo luogo, la gestione responsabile e la sostenibilità economica. In terzo luogo, autonomia e responsabilità come scelta, a mio giudizio, etica. L'obiettivo del miglioramento del sistema passa non nella distribuzione a pioggia delle risorse, ma in primo luogo attraverso il concetto di e merito. L'obiettivo primario è far sì che l'università e la ricerca diano davvero un contributo efficace allo sviluppo del Paese, e diventino davvero una sua risorsa. In che modo? La via indicata è quella di porre al centro dell'università lo studente; e porre al centro lo studente significa anche offerta formativa, ma anche diritto allo studio, di cui all'articolo 3: per la prima volta si copriranno tutte le borse di studio degli allievi aventi diritto, gli studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi. Le residenze universitarie, la qualità, il reclutamento dei docenti e l'anagrafe nazionale degli ordinari, degli associati e dei ricercatori, contenente per ciascuno l'elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte: questi elementi sostanziano il decreto-legge sull'università. In conclusione, gli interventi posti in atto dal Governo in materia di università mirano a creare una formazione di qualità, migliorando le possibilità di accesso ed opportunità, così da rendere i giovani protagonisti attivi dell'emergente economia della conoscenza, e così da rafforzare la solidarietà sociale, ma anche la responsabilità e la trasparenza, l' di tutte le parti chiamate ad operare nell'università .
. Constato l'assenza dell'onorevole Drago, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunciato. È iscritto a parlare l'onorevole Vassallo. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, devo innanzitutto rilevare come ancora una volta in occasione dell'esame di questo decreto-legge ci troviamo a discutere di un argomento così importante per lo sviluppo del nostro Paese sotto l'urgenza e in reazione a eventi contingenti, mentre, come cercherò di dire, l'università italiana ha bisogno di riforme profonde. Non è vero che esistono i sostenitori delle riforme e i difensori dello e che questi siano distribuiti in maniera disomogenea nei diversi schieramenti in cui si articola l'Aula: esiste, ed è riconosciuta da molte parti, la necessità di una riforma profonda del sistema universitario, forse anche, però, senza eccedere nelle rappresentazioni esageratamente, esasperatamente negative che vengono fornite dell'università in quest'ultimo periodo. E invece siamo di fronte, ancora una volta, ad un provvedimento che risponde ad eventi contingenti, e si muove sull'onda dell'urgenza. Innanzitutto vorrei dire che non è utile (e non credo faccia bene al dibattito che avviene in quest'Aula, nel Paese, e alla possibilità di svolgere realmente, nei prossimi anni, un'azione riformatrice) questo atteggiamento di dipingere il Partito Democratico, e l'opposizione in generale, come una forza politica a difesa dello rispetto alla quale vi sarebbero invece una maggioranza e un Governo che provano ad introdurre incisive riforme nel sistema universitario. Cercherò di dimostrarlo, perché credo che questo provvedimento presenti alcune ambiguità e contraddizioni, e che, soprattutto, non sia conseguente con il principio che è stato spesso evocato nel presentarlo, ovvero che si vorrebbe iniziare ad introdurre dei principi meritocratici che qualificherebbero la selezione del personale docente, e dovrebbero spingere gli atenei, i dipartimenti, le strutture universitarie, ad agire secondo maggiori standard di qualità nella ricerca, comparabili a quelli di altri Paesi con cui normalmente ci confrontiamo. Prima di tutto, però, vorrei dire che il dibattito intorno al sistema universitario presenta un primo difetto: questo dibattito, in sede parlamentare e legislativa, è iniziato non avendo in mente, e presentando al Paese e a quest'Aula, un progetto di riforma, ma rispondendo ad un'esigenza di contenimento della spesa. Il primo momento, nel corso di questa legislatura, nel quale abbiamo cominciato a discutere di università e di sistema universitario è stato, di fatto, con la presentazione del decreto-legge n. 112 del 2008, allorché l'intervento più significativo è stato quello di ridurre gli stanziamenti per il Fondo di finanziamento ordinario delle università, imponendo un blocco al ricambio del personale docente e di ricerca. Dopodiché, sull'onda delle pressioni del movimento degli studenti, è arrivato questo primo provvedimento che, in qualche modo, fa dei passi indietro rispetto al decreto-legge n. 112 per quanto riguarda l'assegnazione di risorse all'università, e comincia anche timidamente - come cercherò di sottolineare - ad introdurre elementi di innovazione nell'organizzazione del sistema universitario che dovrebbero promuovere la qualità della ricerca, una migliore selezione del corpo docente, un progressivo adeguamento dell'università italiana agli standard internazionali. Rimane, tuttavia, il peso fortissimo dei tagli che sono stati imposti dal decreto-legge n. 112, che stanno lì come un macigno, e che rischiano di mettere completamente in crisi il sistema universitario nel volgere di qualche anno. Siccome il Governo ha avuto come primo problema quello di ridurre gli stanziamenti, o meglio, ha cominciato a discutere di università da tale questione, si è anche sviluppato nel Paese un dibattito che tende a fornire una rappresentazione deformata dell'università. Si sono sviluppate campagne che gettano un discredito generalizzato sul sistema universitario nel suo complesso, che sembrano realizzate apposta per dimostrare che le risorse ad esso assegnate vengono quasi sistematicamente sperperate, tanto da giustificare l'idea che sia meglio ridurre le risorse a disposizione del sistema universitario, e che questa sia una specie di utile premessa per una sua riforma. Su questo punto noi continueremo a discutere e ad essere in disaccordo. Questo sarà il nodo che alla fine rischierà di bloccare anche i segnali positivi presenti nelle iniziative del Governo di questi giorni e alcune misure, molto ragionevoli, contenute nelle linee guida proposte dal Ministro Gelmini. Infatti è del tutto evidente che sarà molto difficile introdurre quei meccanismi di allocazione meritocratica delle risorse tra gli atenei e i dipartimenti in una fase nella quale il complesso delle risorse a disposizione del sistema universitario viene drasticamente ridotto. Quindi, è bene che questo sia chiaro. Oggi noi discutiamo e facciamo un gioco delle parti, per cui il Governo e la maggioranza affermano che tutto sommato vi è stata una reintegrazione di risorse, anzi qualcuno dice che vi sono nuove risorse messe a disposizione dell'università. Noi sappiamo benissimo che con questo decreto vi sono stati timidi passi indietro per quanto riguarda l'FFO, e sono state previste un po' di risorse aggiuntive per quanto riguarda il diritto allo studio e l'edilizia universitaria, ma rimane appunto un macigno, con il quale il sistema universitario si dovrà confrontare, che rischia di rendere impraticabili anche quelle, in linea di massima, positive innovazioni che oggi in qualche misura vengono introdotte e che sono, per così dire, promesse nelle linee guida presentate qualche tempo fa dal Ministro Gelmini. È bene mettere a verbale, innanzitutto, che si tratta, appunto, di timidi passi indietro rispetto ai tagli operati dal decreto-legge n. 112, al contrario di quanto qualche collega della maggioranza ha riferito nel corso di questa discussione. Qualcuno ha detto che il decreto porta ad un ampliamento del dal 20 al 50 per cento: è chiaro che questa è una di quelle operazioni che sono un puro passo indietro rispetto ad un taglio ben più incisivo che era stato introdotto con il decreto-legge n. 112, che aveva - quello sì - ridotto al 20 per cento la possibilità del e di conseguenza aveva ridotto gli stanziamenti per il Fondo di finanziamento ordinario. Quindi, vi è un segno «più», che viene venduto nel dibattito pubblico come tale, ma che semplicemente rappresenta una parziale reintegrazione di risorse tagliate tra luglio e agosto. In qualche modo, questo stesso gioco di far scomparire e ricomparire risorse per poter dire di aver messo soldi nella ricerca e nella formazione capita anche per quanto riguarda il diritto allo studio, le borse di studio e l'edilizia residenziale universitaria. Con il decreto Tremonti di luglio il fondo per le borse di studio aveva subito una riduzione di 40,1 milioni di euro. Nello stesso tempo, quello per il sostegno alla mobilità dei giovani aveva subito una riduzione di 9,7 milioni. Ora il primo fondo viene reintegrato con 135 milioni di euro, e dunque in realtà l'investimento aggiuntivo - come chiunque può intendere - è di 85 milioni. Il fondo per alloggi e residenze per studenti universitari, che la finanziaria riduce di 12,5 milioni, viene reintegrato dal decreto Gelmini con 65 milioni, dunque in questo caso le risorse aggiuntive sono in realtà 52,5 milioni. Tutte queste sono scelte molto condivisibili, c'è solo da chiedersi come mai queste stesse scelte non sono state fatte quando furono richieste dall'opposizione in sede di esame del decreto-legge n. 112, e poi perché stranamente non sono state fatte in sede di esame della legge finanziaria, ma invece sono state inserite in un decreto a parte. È del tutto evidente la ragione propagandistica di questo modo di operare del Governo, che taglia un giorno prima e rimette risorse il giorno dopo, potendo in questo modo dire - con l'aiuto di una stampa un po' distratta - che, appunto, sono state previste nuove risorse a disposizione dell'università, dei giovani e della ricerca. Ciò detto, poiché ritengo che l'università sia un'istituzione troppo importante e si tratti di un problema troppo serio perché ci si possa barricare dietro il tradizionale gioco delle parti, della maggioranza che tende a porre enfasi sulla bontà dei provvedimenti presentati in aula dal Governo e dell'opposizione che tende sistematicamente a denigrarli, non voglio assolutamente negare un elemento positivo. È del tutto evidente - ne sono consapevoli le persone che da tempo lavorano in questo settore - che vi è un elemento positivo nell'aumento di quei fondi e, in generale, vi è una necessità e, quindi, è positivo che vi sia nel medio periodo un riequilibrio nel rapporto tra le risorse che vengono investite per il diritto allo studio e le risorse che il sistema universitario utilizza per remunerare il personale, soprattutto per i docenti. È chiaro che non può essere un'operazione che si fa per sottrazione. Allo stesso modo, è condivisibile l'idea che si debba dare un segnale agli atenei che si sono già caricati di una spesa per stipendi superiore al consentito e che hanno superato il vincolo del novanta per cento. In questo caso, forse anche esagerando per ragioni ancora una volta propagandistiche, la soluzione proposta dal Governo è un po' troppo rigida: facciamo rispettare sul serio il vincolo del novanta per cento, al limite anche facendo pesare su quel novanta per cento gli aumenti stipendiali e rimettendo in discussione una soluzione un po' ipocrita che si è andata consolidando nel corso degli anni, in base alla quale questo novanta per cento viene calcolato soltanto sullo stipendio base e non sugli incrementi maturati nel corso degli anni. Tuttavia, stabilire che tutte le università che hanno superato questo vincolo stupido - come è stato detto per norme simili in ambito europeo - non possano più assumere forse è una disposizione po' rigida. Il criterio che preesisteva poteva essere difeso, eventualmente applicandolo in maniera rigorosa: gli istituti che superano il novanta per cento non possono reintegrare il loro organico in misura completa e possono farlo soltanto in misura parziale, in modo che nel corso del tempo rientrino in quel vincolo. Ribadisco che nel decreto-legge sono contenuti anche elementi positivi che segnano un indirizzo condiviso in una comunità di persone che da tempo si interrogano sulla necessità di riformare l'università italiana e di renderla più meritocratica, più simile ai sistemi universitari di altri Paesi che molti di noi hanno frequentato per ragioni professionali. Tuttavia, il decreto-legge prende avvio proprio da un aspetto sbagliato: pone un'enfasi eccessiva sulle procedure concorsuali laddove tutti coloro che si sono interrogati seriamente su questo problema sanno e possono dimostrare che non è certo il metodo di svolgimento dei concorsi che può fare la differenza. Del resto, nella stessa logica esposta dalle linee guida Gelmini, questo dovrebbe essere evidente. I sistemi universitari e la selezione del personale in ambito universitario è quasi sempre per definizione basata sulla cooptazione, vale a dire sulla selezione da parte dei pari. Non c'è alcuna altra platea che possa selezionare gli accademici ed i ricercatori se non coloro che svolgono attività di ricerca in misura più o meno avanzata in quel settore. Quindi, la selezione per cooptazione, anche se il termine è brutto, è la norma ovunque. I sistemi più virtuosi sono quelli che offrono incentivi adeguati a coloro che selezionano il personale di ricerca. I sistemi più virtuosi sono quelli nei quali coloro che selezionano sanno che, se selezionano persone promettenti e produttive, questo avvantaggerà l'istituzione nella quale lavorano, la sua reputazione e la sua capacità di attrarre risorse. I sistemi nei quali tu puoi selezionare chi vuoi perché tanto non fa alcuna differenza per il prestigio del tuo dipartimento e per le risorse che puoi ottenere e usare per la ricerca sono quelli che funzionano peggio. Ma non è l'incattivirsi sulle procedure di selezione, sui concorsi, che ci fa fare passi avanti. Devo dire che lo sforzo fantasioso di usare il sistema di sorteggio, peraltro applicato a concorsi temo che avrà soltanto l'effetto di aumentare in misura spaventosa il contenzioso. Infatti, quando si risolve un problema, se ne creano altri cinque. Si risolve il problema di coloro che fino adesso non si erano presentati ai concorsi, riaprendo i termini di presentazione delle domande, e se ne riaprono altri, da parte di coloro che le avevano già presentate prima. Quindi, da questo punto di vista, possiamo solo augurarci e augurare al Ministero e agli atenei buona fortuna per questa tornata elettorale, perché, avendo messo le mani in questa complicata materia - partendo peraltro dal punto sbagliato, per quanto riguarda la direttrice generale della riforma - temo che ci ritroveremo senza aver migliorato la qualità del personale accademico selezionato, ma avendo complicato enormemente la vita agli atenei. È invece molto importante ed è opportuno che una parte progressivamente crescente di risorse venga allocata agli atenei o alle strutture di ricerca, come in effetti viene previsto dal decreto-legge in esame, sulla base di una valutazione della produzione scientifica. Vi è solo da dire, a questo riguardo, che i criteri ancora non sono noti ed è naturalmente in questi dettagli che si vedrà se la cosa funziona. Quindi, molto bene che il decreto-legge in esame preveda l'allocazione del 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario, basata su una valutazione della qualità e quantità della ricerca. Vedremo ancora con maggiori punti interrogativi come farà il Ministero a valutare la qualità della didattica, ma questo è un territorio che va comunque esplorato e quindi prima o poi bisognava iniziare. Vedremo. Semmai, vi è da dire che ancora una volta il decreto-legge in esame non è coerente con la logica meritocratica che espone, perché, se è vero che bisogna allocare le risorse del Fondo di finanziamento su basi meritocratiche, deve essere anche vero, perché è un complemento necessario, che dentro gli atenei e dentro le strutture di ricerca, coloro che operano siano anche valutati a loro volta e apprezzati, per così dire, anche dal punto di vista della remunerazione, per la quantità e la qualità dell'apporto che danno alle strutture. Del resto, sarebbe del tutto logico pensare che, se un dipartimento prende molti soldi per il fatto che vi sono ricercatori operosi, è giusto che questi ricercatori siano a loro volta incentivati. Ebbene, il decreto prevede un meccanismo da questo punto di vista assolutamente burocratico, inefficace, forse inutile, come è stato detto, perché, quando avremo capito come si fa ad identificare cos'è una pubblicazione scientifica, forse ci accorgeremo che la definizione è talmente labile, che ci può entrare qualsiasi cosa e che quindi basterà consegnare una cosa stampata da un editore di comodo. Anche su questo punto vedremo, ma in ogni caso il principio è troppo semplicistico. Con gli emendamenti che proporremo diremo come si può fare: si dovrebbe semplicemente assumere che - come accade in altri sistemi universitari che funzionano bene, quelli basati su questo tipo di incentivi - i singoli atenei e le singole strutture di ricerca possano modulare anche le forme contrattuali, ed avere un qualche margine di autonomia nel premiare i ricercatori più operosi. Come vedete è un po' difficile - ribadisco questo concetto - ricondurre la discussione ai sostenitori dell'innovazione contro i difensori dello : vi sono aspetti su cui maggioranza ed opposizione non sono d'accordo, come la valutazione di quante risorse siano oggi necessarie per sostenere l'università e la ricerca; vi è forse anche un'intenzione genericamente comune sulla necessità di introdurre meccanismi meritocratici competitivi, che rimotivino le università a coltivare l'eccellenza e su questo noi presenteremo emendamenti, nonostante l'indisponibilità sostanziale a discutere, per migliorare il testo anche da questo punto di vista, per renderlo più congruente con le finalità che in teoria vengono enunciate. Speriamo in questo modo di cominciare ad aprire una discussione seria e vera su questi argomenti, nonostante l'indisponibilità che, purtroppo, temo dovremo registrare da parte della maggioranza e del Governo a fare la loro parte, in questo possibile dialogo per il miglioramento del sistema universitario .
. È iscritta a parlare l'onorevole Ghizzoni. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, sottosegretario Pizza, onorevole relatore, colleghi, per la seconda volta in quest'Aula discutiamo su provvedimenti di politica universitaria e - voglio sottolinearlo - per la seconda volta il vettore normativo è quello della decretazione d'urgenza. Si tratta dell'ennesimo decreto-legge (personalmente ne ho perso il conto): non mi preoccupa tanto e solo il dato statistico, quanto piuttosto lo stato di salute della nostra democrazia. Dall'avvio della legislatura, infatti, l'attività del Parlamento è stata quasi totalmente dedicata alla conversione in legge di decreti-legge, poiché è convinzione palesata dell'Esecutivo che la discussione parlamentare sia poco più di un intralcio al proprio mandato. Appare chiaro a tutti, allora, il significato che il Governo Berlusconi attribuisce alle prerogative del Parlamento e al potere legislativo: discutere e confrontarsi nel merito delle questioni con l'opposizione e all'interno della stessa maggioranza sono, per questo Esecutivo, orpelli. Lo dico, naturalmente, con profondo rammarico. Durante la conversione in legge del cosiddetto decreto Gelmini, il Presidente della Camera, onorevole Fini, aveva pronunciato parole importanti, che convinsero l'Esecutivo - lo ricorderete, colleghi - a non porre la questione di fiducia sulla legge finanziaria. Ci auguriamo che la resipiscenza del Governo non si sia esaurita in quell'occasione. Signor Presidente, avevamo avuto la speranza, dopo la presentazione delle linee guida sull'università presentate dal Ministro Gelmini, preceduta dal decalogo programmatico del Partito Democratico, cresciuto sull'idea di un approccio organico e strategico alla crisi universitaria, che un segnale in questo senso, al fine di ridare dignità a questa istituzione e sostanza alla democrazia, potesse avvenire proprio sulla politica universitaria. Non vi è dubbio, infatti, che il sistema nazionale universitario richieda cambiamenti, anche profondi, che possono avere, però, il respiro necessario solo con il concorso di proposte e soluzioni provenienti da tutte le forze parlamentari, anche per evitare il fallimento delle solite norme tampone, prive del respiro di un disegno di legge. Invece, ci troviamo a discutere, ancora una volta, di un decreto-legge, che è chiuso al contributo parlamentare. Tutto questo accade mentre la signora Ministro continua a rilasciare dichiarazioni sulla necessità di dialogo e di confronto. Signor Presidente, il dialogo, però, si costruisce sui contenuti e sulle azioni concrete, atte a creare le condizioni che permettano di confrontarsi nel merito delle questioni, e non si compone sulle intenzioni annunciate sempre e solo mezzo stampa, perché la signora Ministro è spesso assente dalle sedi parlamentari, come lo è anche stasera. Davanti alla sordità del Governo, ci siamo appellati alla dignità dei deputati di maggioranza, componenti della VII Commissione, per non trovarci di fronte all'ennesimo testo blindato e per espungere l'eventualità che le nostre modifiche migliorative fossero tutte rigettate. Ciò anche a fronte di un malcelato disagio - signor Presidente, uso un eufemismo - di molti colleghi della maggioranza: qualcuno, per la verità, non ha usato mezzi termini e, con sincerità, ha affermato che il testo è scritto «con i piedi» (cito a memoria, ma credo correttamente); la senatrice Poli Bortone, inoltre, «ha espresso imbarazzo per la redazione del testo, frutto, a suo giudizio, di modalità eccessivamente burocratiche di stesura, che non facilitano la comprensione delle norme». Nonostante tutto ciò, l'ordine di scuderia di non emendare il testo è stato rispettato (almeno in Commissione, vedremo durante la discussione in Aula), e non perché il testo sia perfetto nella sua redazione attuale, anzi è vero il contrario. Oltre alle perplessità espresse dalla maggioranza (ne ho citati alcuni casi), potrei citare - non ne ho il tempo, ma invito i colleghi a prenderne visione - sia i rilievi del Servizio studi, sia quelli del Comitato per la legislazione. Come dicevo, il testo resta intoccabile, perché i molti decreti-legge che attendono la conversione in legge, la scadenza ormai vicina del decreto-legge in parola e la prossima sospensione dei lavori per la pausa natalizia impediscono, di fatto, di calendarizzare una terza lettura del Senato. Hanno capito bene i cittadini che ci stanno ascoltando o che leggeranno i resoconti della seduta: la Camera sta per approvare in via definitiva un testo imperfetto e modesto nei contenuti, come cercherò di dimostrare - lo hanno già fatto i colleghi che mi hanno preceduta - per il solo motivo che Natale è alle porte e il Governo non ha neanche saputo dare un'adeguata cadenza ai molti decreti, creando un vero e proprio ingorgo nei lavori parlamentari, che prevedono anche l'approvazione della legge finanziaria. Per di più voglio ricordare a questa Assemblea i tempi assai compressi - ne converranno i colleghi - e assolutamente inadeguati per l'esame in Commissione del decreto-legge in oggetto. In considerazione di quanto espresso in premessa, è chiaro che il nostro lavoro e il nostro impegno assumono sempre più il connotato di un voto rituale. Come dicevo all'inizio, lo stato di salute della nostra democrazia deve preoccupare tutti noi. Relativamente all'altro ramo del Parlamento, il Senato, che ha già esaminato in prima lettura il decreto-legge in oggetto, voglio ricordare (colgo l'occasione soprattutto per chiarirlo) che purtroppo, dico purtroppo, nessun accordo tra maggioranza e opposizione è avvenuto in quel ramo del Parlamento sul testo in parola. Ciò a meno che non si confonda lo spirito di condivisione con l'approvazione di alcuni sparuti emendamenti dell'opposizione, prevalentemente di contenuto formale. Spiace molto che ad accreditare la tesi del presunto accordo si sia prestata la Presidente della Commissione, al fine però, va detto, di convincere i componenti della sua stessa maggioranza sulla necessità di una blindatura del testo giunto dal Senato. Cito questo episodio con rammarico e con rincrescimento, soprattutto nei confronti della smania di fare da soli, esplicitata dall'Esecutivo e dalla maggioranza, su una questione che è strategica e che avrebbe meritato tutta l'attenzione possibile anche per le nostre proposte migliorative. Infatti, un Governo responsabile e realmente intenzionato a dare futuro e migliorare un settore fondamentale quale è il sistema universitario, non dà sfoggio di autoreferenzialità, non si chiude a riccio nella convinzione di possedere tutte le soluzioni miracolose a problemi annosi ma si pone nella condizione di ascolto e confronto con tutte le componenti dell'università, le parti sociali e con le forze politiche dell'opposizione: questo non è accaduto. Entro nel merito del provvedimento non prima di avere allertato i colleghi riguardo alla strumentale quanto superficiale campagna giornalistica di denigrazione dell'università; lo ha fatto anche il collega Valditara al Senato. Nessuno nega le degenerazioni, ma non possono essere prese a pretesto per diffamare l'intero sistema, le cui indiscutibili eccellenze troppo spesso vengono dimenticate. Siamo di fronte ad uno stereotipo che non rappresenta l'intero sistema universitario italiano. Eppure, gli stereotipi fanno presa sull'opinione pubblica e la diffusione di un senso comune che oggi associa all'università solo termini come fannulloni, clientelismo, nepotismo, spreco e dissesto finanziario aiuta a sostenere, presso quella stessa opinione pubblica, gli interventi di tagli pesantissimi inferti con il decreto-legge n. 93 del 2008, cosiddetto «taglia-ICI» e con la legge n. 133 del 2008. Ancora mi chiedo: a fronte di un attacco alla credibilità dell'università e alla sua funzionalità, a seguito dei tagli che ho appena richiamato, come si inquadra l'autorizzazione concessa al Senato per avviare una Commissione di indagine relativa ai bilanci e agli sprechi dell'università? Si tratta di un'indagine che sembra prestare una sorta di «destro tecnico» ai tagli inferti dalla legge n. 133 del 2008 e dal decreto-legge n. 93 del 2008 che, al netto del decreto-legge in discussione, esercita un taglio di ben un miliardo e 287 milioni del Fondo di finanziamento ordinario, come ha ricordato il collega Mazzarella. Si tratta di un fondo che nessuno si dà la pena di dire che è stato negli anni definanziato, a fronte di spese fisse e obbligatorie come quelle di personale, in costante aumento. A questo punto mi faccia ricordare, signor Presidente, anche che la spesa annua per studenti universitari in Italia è pari a 8.026 dollari, al di sotto della media dei paesi OCSE che è di 11 mila e 521 dollari. Per coloro che contestano il dato, dal momento che il nostro Paese non distingue tra studenti a tempo pieno e quelli a tempo parziale, dico di leggere attentamente le indicazioni dell'OCSE che sostengono quanto segue: l'effetto di studenti a tempo pieno e parziale si compensa dal momento che contarli complessivamente conduce ad una sottostima delle spese annuali e una sovrastima della durata degli studi. Anche se noi prendessimo questo dato - cioè quello della spesa per la durata complessiva degli studi, definita «spesa cumulativa» - avremmo un risultato pari a 41 mila e 285 dollari per studente italiano, che è ancora al di sotto della media OCSE, che è di 47 mila e 159 dollari. Siamo superati da ben dodici Paesi e tra questi Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna. Rammarica, poi, che a diffondere dati non rispondenti alla realtà e che hanno l'aggravante di screditare il sistema universitario siano istituzioni deputate alla valutazione del sistema stesso. Mi riferisco ai dati, «rimbalzati» sulle pagine dei giornali e sui telegiornali, circa i numerosi corsi con zero matricole. Una banale verifica tramite la banca dati del MIUR avrebbe dimostrato che tali corsi, almeno la stragrande maggioranza di essi, sono disattivati da anni e pertanto ovviamente privi di studenti. Una cosa certo più utile nella quale, invece, impegnarci - e dovrebbe farlo il Governo - potrebbe essere unificare finalmente le attuali tre banche dati (e cioè quelle del CNVSU, del CINECA e del MIUR che, paradossalmente, contengono dati discordanti fra loro) in un'unica banca dati da utilizzare come strumento utile a conoscere lo stato del sistema universitario, magari cercando di esimersi dall'impiegare dati solo per polemica politica o giornalistica. Vengo al merito solo di alcune questioni contenute nel provvedimento che al Senato si è arricchito, lo osservava anche il relatore, collega Caldoro, di diverse materie diventando un piccolo provvedimento sull'università, nello stile di questo Governo. Il decreto n. 180 del 2008 è all'altezza delle aspettative? Io non credo. Il senatore Valditara, al Senato, ha affermato che i mali dell'università discendono dall'assenza di una visione culturale, di un quadro strategico ossia dal fatto che, da una generazione almeno, le riforme sono state effettuate troppo spesso sotto la spinta dell'emergenza. Stupisce, però, di fronte a una tale lucidità di analisi, l'attribuzione da parte del senatore a questo decreto-legge, a questo piccolo provvedimento di un respiro riformatore in grado di risanare e rilanciare il sistema universitario attraverso i principi di responsabilità, trasparenza e merito, addirittura in grado - sono sempre parole del senatore Valditara - di fargli raggiungere due grandi finalità: la promozione sociale degli studenti attraverso una formazione adeguata e l'innovazione del sistema produttivo. Peccato che nel decreto in parola non si parli della formazione degli studenti e che male si accordino, con l'evocato trasferimento tecnologico, i limiti al credito di imposta per investimenti in ricerca inseriti nel cosiddetto «decreto anticrisi», ora all'esame della Commissione bilancio. Vede, signor Presidente, non nego che il provvedimento governativo abbia qualche norma condivisibile almeno negli obiettivi, ma è altrettanto certo che non risolverà veramente alcun problema del sistema universitario italiano, anzi rischia di complicarlo perché propone l'ennesimo intervento tampone mentre gli insopportabili tagli finanziari del 2010 incombono già all'orizzonte. E non sono solo numeri nel bilancio, come ha sostenuto la signora Ministra, si tratta di un preciso indirizzo politico al momento confermato che disattende l'impegno assunto dall'Italia, nell'ambito degli obiettivi di Lisbona, di stanziare entro il 2011 il 3 per cento del PIL per la ricerca e che appare ancora più grave e inadeguato in una situazione di forte difficoltà del sistema produttivo economico e finanziario, situazione che richiederebbe, invece, interventi coraggiosi in direzione della valorizzazione della ricerca e dell'alta formazione, come sta avvenendo in altri Paesi. Sono parole del CUN che ho preso in prestito e che credo dovrebbero trovare ascolto nell'Esecutivo. Dal testo del decreto-legge emerge la mancanza di una riflessione accurata e si intravede la necessità politica di approvare un provvedimento urgente indipendentemente dal contenuto normativo. Mi faccia fare un esempio, signor Presidente: l'incremento del fondo per le borse di studio per le residenze universitarie. Che bisogno c'è di inserire questa norma in un decreto-legge se contemporaneamente è ancora aperta la sessione di bilancio? Me lo dovrete spiegare alla fine di questa discussione! Pertanto sarebbe stato più facile, conveniente e corretto mettere le risorse aggiuntive (in parte compensative dei tagli attuati dalla stessa manovra finanziaria, quindi, un più 50 per le residenze ed un più 95 per le borse di studio) nei capitoli appositi della tabella 7, che è stata all'attenzione anche della nostra Commissione. Mi rendo conto che secondo questa strada i giornali non avrebbero dato, però, la stessa analoga risonanza al provvedimento e so quanto questo Esecutivo sia attento alla comunicazione al punto da torcere, però, la prassi parlamentare. Ad ogni modo sarebbe, forse, utile anche per i cittadini che ci stanno ascoltando, sapere perché i nostri emendamenti, che sono stati bocciati quando abbiamo discusso la manovra finanziaria e che avevano lo stesso tenore, siano stati respinti proprio mentre il Ministro si apprestava a varare un provvedimento analogo. O i vostri tempi di reazione sono così lenti - e ce ne rammarichiamo, soprattutto per le sorti del Paese - oppure vi è un pregiudizio e un'ostilità per tutto ciò che viene proposto dal Partito Democratico, e allora analogamente me ne dispiaccio, soprattutto per le conseguenze a danno del Paese. Apprezziamo comunque il ripristino di questi fondi - come dicevo - dopo il taglio operato dal disegno di legge finanziaria peraltro ancora in discussione al Senato (attenzione!) quindi si tratta addirittura di retromarcia preventiva. Resta però il problema che l'incremento di tali fondi è solo per un anno (poi tornerò sul punto quando illustreremo gli emendamenti) ed è molto discutibile la copertura finanziaria attraverso il FAS, cioè il Fondo per le aree sottoutilizzate, che sottrae risorse soprattutto alle regioni meridionali e, soprattutto, dequalifica (e al riguardo chiedo attenzione) tecnicamente il bilancio trasformando poste per spese infrastrutturali in poste per spese correnti, limitando moltissimo anche le capacità del Paese di accedere ai cofinanziamenti comunitari. Infatti, ogni spesa infrastrutturale, che diventa corrente, deve essere moltiplicata per tre e, quindi, fa perdere il doppio come «tiraggio» comunitario (scusate il tecnicismo). Il comma dell'articolo 1 relativo al blocco del rappresenta una clamorosa e positiva marcia indietro, rispetto alla norma del decreto-legge n. 112 del 2008, che prevedeva un pesantissimo e sostanziale blocco delle assunzioni pari all'80 per cento del sia in termini finanziari che di persone. Quella di luglio è una decisione ingiusta e dannosa, che avrebbe comportato un salasso enorme di personale docente e, soprattutto, la chiusura - lo dicemmo allora - quasi completa dell'università ai ricercatori precari. Ora si torna indietro, anche se ovviamente non completamente, e il Governo del fare sembra sempre più il Governo del disfare, del gambero. Le assunzioni possono avvenire entro la metà del finanziamento reso disponibile dalle cessazioni. Si poteva però fare di più, anche se la retromarcia è evidente, cioè si poteva - dato il contesto attuale - escludere completamente le università dal blocco del lasciando che scattassero solo i meccanismi di controllo finanziario già esistenti, cioè quelli che dovrebbero scattare quando l'ateneo supera il 90 per cento del Fondo di finanziamento ordinario per le spese per il personale. È positivo che si escludano dal computo delle assunzioni quelle relative al reclutamento straordinario dei ricercatori: le cosiddette quote Mussi, cioè quelle cofinanziate dagli atenei, che avevamo previsto per il triennio 2007-2009 con la prima legge finanziaria del Governo Prodi. Sarò forse pedante, signor Presidente, mi perdoni, ma non posso tacere il fatto che un emendamento di analogo tenore era stato presentato dal Partito Democratico in sede di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008 e, rispetto alla bocciatura sonora raccolta allora dall'emendamento, ora il Governo è sceso a più miti consigli e ce ne compiacciamo. Del resto non si può pensare di realizzare un opportuno reclutamento straordinario di giovani e, contemporaneamente, di bloccare le assunzioni nella morsa delle limitazione del . Inoltre, valutiamo molto negativamente che la quota destinata al reclutamento dei ricercatori (cioè il 60 per cento del 50 per cento) sia disponibile anche per l'assunzione a tempo determinato dei cosiddetti contrattisti introdotti dalla cosiddetta legge Moratti. Si tratta di un ennesimo colpo di mano contro la stabilizzazione dei giovani ricercatori. Non svolgo ulteriormente questo punto perché mi riservo di farlo in sede di illustrazione degli emendamenti, ma ritengo necessario che questo problema abbia onore di tribuna nella nostra discussione. Vengo al tema delle università con spese eccessive, cioè con le spese per il personale superiori al 90 per cento del Fondo di finanziamento ordinario: le cosiddette università non virtuose. Per queste si varano norme draconiane: blocco immediato e totale di tutte le assunzioni e di tutti i bandi di concorso ad esclusione dell'assegnazione di posti di ricercatore del reclutamento straordinario di cui ho parlato prima. Non vi è dubbio che alcune università abbiano lasciato correre senza eccessivo controllo le spese per il personale, ma è anche vero che per alcune era impossibile evitarlo, perché gli stipendi aumentano per legge e contratti nazionali mentre il Fondo di finanziamento ordinario rimane costante o addirittura diminuisce. Del resto, voglio anche segnalare l'uso strumentale e mediatico che si è fatto - se ne è parlato anche qui questa sera - del superamento di questa soglia per le spese per il personale, quasi che fosse sempre e comunque un segno di cattiva amministrazione o, peggio ancora, di bassa qualità scientifica e didattica. Non vi è in realtà alcun legame tra la qualità di un'università e la quota di spesa per il personale, anzi è evidente che un'università di grande tradizione e qualità tenda ad avere un personale docente di età media più alta e quindi a pagare di più in termini totali ogni aumento percentuale degli stipendi voluto dallo Stato. È comunque necessario, certo, dare un segno per il controllo dei bilanci delle università. Mi chiedo però perché non abbiano funzionato le sanzioni già esistenti che discendono dalla legge finanziaria del 1998 e che consistono nella limitazione del 65 per cento del . Il Ministero ha mai controllato effettivamente il rispetto di questa norma? Forse se lo avesse fatto, almeno negli ultimi dieci anni, non sarebbe stato necessario ricorrere a norme draconiane come quelle in questione, che fatalmente lasciano spazio a dubbi e ingiustizie. Ad esempio, come si fa con le università che hanno i bilanci in rosso? È un fatto ben più grave rispetto a quelle che hanno un eccesso di spese per il personale ma hanno il bilancio in pareggio o in attivo o quelle che superano il tetto del 20 per cento per le tasse universitarie. Lo stesso senatore Valditara ha ammesso che il blocco dei concorsi per le università che abbiano sforato la soglia del 90 per cento è una misura che solo apparentemente esaudisce un desiderio di virtù; pertanto ha auspicato - lo cito - altri parametri che consentano un'effettiva valorizzazione delle eccellenze. Purtroppo gli auspici sono rimasti tali, e meno male che durante la conversione al Senato si sono sbloccate le assunzioni dei vincitori di concorsi banditi legittimamente e già svolti regolarmente nel 2008. In verità, per completare l'opera occorrerebbe ora sbloccare anche le assunzioni del personale tecnico-amministrativo che si trova nella stessa situazione e che non si capisce perché debba sopportare tale onere. Frettolosa e iniqua appare poi anche la norma sull'esclusione della ripartizione dei posti di ricercatore, le cosiddette quote-Mussi, delle università che superano il 90 per cento. Gli incolpevoli ricercatori precari, la cui qualità scientifica e didattica nulla ha a che vedere con il superamento del limite suddetto, pagano le conseguenze di un'amministrazione non oculata. Insomma, pur condividendo che occorresse un segnale netto alle università, quello individuato appare davvero brutale e dannoso per il futuro delle stesse università. Da ultimo, non si può non ricordare che la retromarcia governativa dà certo qualche ossigeno ai bilanci falcidiati delle università, ma rimane assolutamente intoccato il vero taglio mortale, quello inferto dal decreto-legge n. 93 del 2008, il cosiddetto decreto ICI, a partire dal 2010. Non possiamo non dire per l'ennesima volta, nella speranza di essere ascoltati, che quella diminuzione di 474 milioni di euro del Fondo di finanziamento ordinario, pari al 6 per cento del totale, in realtà incide per ben il 46 per cento sulle spese di funzionamento degli atenei, vista l'incomprimibilità degli oneri stipendiali. Un taglio di questa portata è solo la cronaca di una morte annunciata di tutti gli atenei, anche di quelli che adesso vengono considerati virtuosi. Il presidente della CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane), il professore Decleva, ha affermato a proposito del decreto-legge n. 180 del 2008: "è un primo provvedimento di apertura che però, se non sostenuto da altre iniziativa che modifichino i tagli dei trasferimenti nel 2010, sarà irrilevante". Ascolterete almeno il professor Decleva? Da segnalare anche l'ennesimo parametro numerico sulle nuove assunzioni: almeno il 60 per cento dei fondi disponibili da destinare a nuovi posti di ricercatore e non più del 10 per cento a promozioni. Si tratta dell'ennesima percentuale che va rispettata - ma io mi chiedo poi chi la controllerà in effetti - che ingessa e soprattutto (questo è dirimente) deresponsabilizza le università e che complica all'inverosimile ogni reale politica di bilancio. Dobbiamo davvero cambiare rotta, smettere di intervenire ma prevedere politiche . Mi soffermo brevemente sulle norme per i concorsi. Non vi è alcun dubbio che il sistema concorsuale universitario sia nell'occhio del ciclone, forse anche ben oltre le effettive disfunzioni. Nell'opinione pubblica nepotismo, localismo, lobbismo la fanno da padrone. In realtà non è affatto vero sempre e dappertutto; vi sono decine e decine di commissioni giudicatrici che hanno lavorato molto onestamente svolgendo un compito, quello di valutare i di candidati a posti universitari, che è di per sé complesso e sempre largamente opinabile. Infatti non esistono, se non nelle semplificazioni comunicative, metodi infallibili, oggettivi e automatici per individuare il migliore dei candidati. Tuttavia, occorre riconoscere che in non pochi casi, invece, le commissioni hanno lavorato in modo assai discutibile, al coperto di norme poco efficaci, con ciò assestando un colpo micidiale alla credibilità dell'intero sistema universitario. È quindi necessario, certo, intervenire sulla materia, ma bisogna farlo in modo organico e nell'ottica di determinare un sistema di università - lo voglio dire con fermezza - autonome e responsabili. Il presente decreto-legge in esame non raggiunge, però, l'obiettivo. Mi soffermo, inoltre, sulla formazione delle commissioni che da valutative divengono aleatorie, cioè sono parzialmente sorteggiate, per così dire. Il sorteggio è certamente un metodo meno facilmente collusivo dell'elezione, ma non è il sorteggio il metodo migliore, come non lo è il metodo elettivo: sia l'elezione sia, soprattutto, il sorteggio sono il contrario della responsabilità dell'ateneo che assumerà in ruolo il ricercatore o il docente. Qui sta il punto: o si aumenta la responsabilità, e dunque la possibilità successiva di premiare o sanzionare, oppure nessun metodo potrà mai cambiare sostanzialmente il sistema. Inoltre, era proprio assennato rinviare di mesi e mesi i concorsi già banditi? Cosa si farà di fronte all'inevitabile contenzioso sia di chi ha presentato già domanda, sia di chi non l'ha presentata? Qualcuno si ricorderà, al Ministero, che i bandi sono emanati dai rettori e non dai Ministri, con il più che probabile atteggiamento diverso che legittimamente prenderanno i diversi atenei? Insomma, è un vero guazzabuglio di cui non si sentiva alcuna urgenza, che non dà alcuna soluzione risolutiva al problema vero dei concorsi, un tampone che peggiora la ferita, un rinvio di responsabilità parlamentare. Proponiamo alla maggioranza e al Governo di incontrarci e di discutere da subito, ma evitiamo di peggiorare l'attuale congerie assurda di norme che soffocano l'università. È assolutamente condivisibile, invece, l'idea di vincolare la ripartizione di una quota del Fondo di finanziamento ordinario a valutazioni di qualità dei risultati; del resto, era una norma già contenuta nella legge finanziaria per il 2008, al comma 428, nel cosiddetto patto per l'università Mussi-Padoa Schioppa. Tuttavia, è bene sapere che una quota del 7 per cento assegnata davvero in modo premiale, quindi a poche università, mette a rischio i bilanci di tutte le altre in modo talmente pesante da far sospettare che poi ci sarà, in pratica, la necessità di assegnazioni meno premiali. Ben vengano comunque queste analisi di qualità con i tempi che saranno necessari, senza una fretta che può essere controproducente ancora una volta, ma non possiamo non rimarcare che sono molto generici i riferimenti ai termini di paragone. Se è abbastanza chiaro cos'è la qualità della ricerca scientifica, sulla quale c'è l'ottimo lavoro del CIVR (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) a testimoniarlo, cosa è esattamente la qualità dell'offerta formativa? Come si valutano i risultati dei processi formativi? Dopo quanti anni, in quali termini, cosa è la qualità delle sedi didattiche? Si capisce che se si vuole intervenire giustamente sul decentramento selvaggio - vi ricordo, però, che con riferimento a tale aspetto è già prevista per legge la cosiddetta «moratoria Mussi» che sarebbe bene che il Governo riconsiderasse - allora si imporrebbe un maggiore indirizzo del Parlamento su un'attività governativa così delicata. Tanto più che lo stesso Ministro Gelmini ha bloccato l'Agenzia nazionale di valutazione (l'ANVUR) l'unico ente che per indipendenza e professionalità potrebbe essere davvero titolato a svolgere questo delicato lavoro di individuazione dei criteri premiali, come capita in molti altri Paesi europei che già hanno la loro agenzia nazionale. Tanto per fare un confronto a noi vicino, la francese AERES (), che è l'agenzia nazionale per la valutazione della ricerca e dell'insegnamento superiore francese, che è stata avviata dopo l'Italia e che ha anche imitato la legge italiana del 2006, ora è perfettamente operativa. Concludo con un'ultima annotazione sulla nuova norma che lega una parte degli aumenti stipendiali dei docenti universitari alla loro produttività scientifica, secondo un'idea, anche se articolata un po' diversamente, proposta dall'onorevole Bachelet in occasione della conversione del decreto-legge n. 112 del 2008, che però ha avuto lo stesso esito degli altri emendamenti, cioè fu sonoramente bocciata da questa maggioranza. Noi chiediamo che si discuta in questa sede per migliorare il lato tecnico della norma così da renderla funzionante e davvero efficace, come ha illustrato il collega Mazzarella...
. La prego di concludere.
. Mi avvio a concludere, signor Presidente, le chiedo proprio un minuto...poiché è indubbio che si tratta di un aspetto che il Partito Democratico giudica cruciale, tanto da averlo inserito nel proprio decalogo. Chiediamo di premiare anche in termini stipendiali i docenti universitari, che devono dimostrare di essere bravi insegnanti e bravi ricercatori: questa è la cifra del sistema terziario in Europa. Vi è una strettissima relazione tra ricerca e insegnamento. La qualità didattica si fonda su quella scientifica del docente. A fronte del discredito lanciato contro il sistema dell'università, voglio affermare chiaramente che il Partito democratico si schiera al fianco di quelle migliaia di docenti universitari che svolgono quotidianamente il loro lavoro con passione, serietà e impegno, nonostante le difficilissime condizioni logistiche e finanziarie: essi sono coloro ai quali - ce lo dimentichiamo troppo spesso, anche in questa sede - si deve l'alto livello della ricerca e della formazione delle università italiane; sono gli stessi docenti che reclamano da tempo una valutazione trasparente dei risultati del loro lavoro scientifico e didattico e che non sopportano più, giustamente, di essere frettolosamente e ingiustamente equiparati ai fannulloni.
. La prego di concludere.
. Concludo, signor Presidente. Se c'è un fannullone, forse è il Governo, che non sa e non vuole impegnarsi in un vero piano di rilancio dell'università italiana, che avrebbe bisogno, invece, di visione strategica e di risorse che la supportino. Purtroppo, di entrambe, non vi è alcuna traccia nel provvedimento in esame .
. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Caldoro.
, Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
, . Signor Presidente, intervengo per affermare innanzitutto che il Governo non intende assolutamente colpevolizzare il sistema universitario italiano, che vive un momento di difficoltà ma che - bisogna ricordarlo - è nobile e antico: dagli studi all'università, ha contribuito a creare i valori di riferimento nella nostra civiltà occidentale. Svolgo un'altra osservazione anche sulla decretazione d'urgenza, materia sulla quale chi è senza peccato può scagliare la prima pietra e in merito alla quale, ovviamente, bisogna trovare un punto di equilibrio tra l'esigenza del Governo e la necessità di un dibattito con le forze politiche e sociali, che è il sale stesso della democrazia. Durante la discussione sulle linee generali, che è stata pacata e approfondita, ho ascoltato tutti gli interventi svolti dalla maggioranza, ma anche dall'opposizione, in particolare quelli dell'onorevole Mazzarella e dell'onorevole Ghizzoni. Vorrei sottolineare come il provvedimento che stiamo esaminando ai fini della sua conversione in legge non va interpretato come intervento di sistema, volto ad introdurre una riforma organica del reclutamento dei docenti e dei ricercatori universitari, né a definire in maniera esaustiva il meccanismo dell'attribuzione delle risorse in relazione a parametri di qualità. Esso, invece, costituisce un primo importante - a nostro parere, improcrastinabile - intervento nel settore universitario, che intende affrontare le problematiche più urgenti, nell'ottica del miglioramento della qualità dell'intero sistema che è vitale per il sistema Italia. Entrando nel merito delle questioni sollevate durante la discussione sulle linee generali, sono state espresse perplessità in ordine ai criteri utilizzati per ritenere un'università come virtuosa, con particolare riferimento al fatto che il carattere virtuoso degli atenei non possa fondarsi esclusivamente sul rispetto del limite del 90 per cento per le spese di personale, prescindendo da una valutazione di merito dell'ateneo stesso. Concordo con questa analisi, ma vorrei chiarire che il provvedimento in esame intende introdurre il divieto, per le università che abbiano superato il predetto limite, di procedere ad ulteriori assunzioni di personale e di attingere alle risorse straordinarie destinate all'assunzione dei ricercatori, proprio con l'obiettivo di non aggravare la situazione economica degli atenei stessi, incentivandoli in tale maniera a ristabilire l'equilibrio economico-finanziario e, quindi, di introdurre una distinzione doverosa tra gli atenei che hanno rispettato i limiti posti dalla legge e quelli che non li hanno rispettati. La precedente normativa, infatti, consentiva alle università nelle quali la spesa per il personale di ruolo avesse ecceduto il predetto limite, di effettuare comunque ulteriori assunzioni, sebbene entro determinati limiti di spesa. L'assenza di una sanzione - questo lo vorrei sottolineare - proprio per il mancato rispetto del limite del 90 per cento ha di fatto, se non incentivato, perlomeno non ostacolato questo fenomeno. Un ulteriore fattore di aumento della spesa per le assunzioni va inoltre ricercato nella riforma degli ordinamenti didattici, che ha introdotto un'articolazione su due livelli dei corsi di laurea e lasciato maggiore autonomia agli atenei proprio nell'attivazione dei corsi di studio, con la conseguenza, che ben conosciamo, di una frammentazione delle discipline e di nuove esigenze di copertura degli insegnamenti. Premessa la necessità di introdurre correttivi alla tendenza descritta, occorre chiarire che l'intervento in questione non comporta un giudizio di merito complessivo sull'attività dell'ateneo e non preclude, quindi, allo stesso ateneo l'accesso a risorse che verranno attribuite secondo parametri di qualità e di efficienza. Cioè, non vogliamo ottenere solo risparmi di spesa, anche se in questo momento sono importanti, a dispetto delle finalità di valorizzazione del merito. È vero il contrario. I posti di ricercatore verranno distribuiti come previsto, ma solo per le università che possono concretamente garantire di anno in anno che saranno in grado di sostenerne a regime il costo. Occorre introdurre specifici parametri per la valutazione della qualità del sistema universitario nel suo complesso e dei singoli atenei. Anche sui parametri, quali il 90 per cento degli assegni fissi, è urgente una riflessione complessiva e non ho dubbi sul fatto che si debba procedere ad una diversa parametrazione, basata su una visione complessiva delle finanze di ciascun ateneo. Ma è altrettanto necessario far sì che le regole in vigore siano rispettate e, come dicevo, che le università maggiormente esposte sul piano delle spese di personale siano concretamente chiamate a rispettarle. In merito ad un altro problema, che sento in maniera particolare, relativo al rischio che alcune università possano essere private di discipline importanti, in caso di trasferimento dei docenti o di pensionamento, vorrei ricordare che la normativa vigente prevede una programmazione del fabbisogno su base triennale e lascia piena autonomia agli atenei di operare le proprie scelte sulla copertura degli insegnamenti, ovviamente nel rispetto dei requisiti minimi definiti a livello centrale. È necessario garantire un'offerta formativa completa in una visione di sistema e sulle difficoltà di coniugare il rispetto del limite del 90 per cento con la necessità di salvaguardare esigenze anche minori, ma importanti. Ritengo che la soluzione possa essere individuata in una gestione oculata delle risorse umane e strumentali da parte degli atenei e in un'attenta programmazione. In prospettiva, ritengo utile tenere presente, anche a livello di programmazione generale del sistema, la tutela di materie specialistiche, importanti ma con pochi studenti, per le quali potrebbe, a mio parere, essere utile una specifica normativa di tutela. Per quanto riguarda le disposizioni relative alle possibilità di assunzione di personale per quelle università che abbiano rispettato il limite del 90 per cento, registro con soddisfazione il consenso manifestato sull'innalzamento al 50 per cento del tetto di spesa che era previsto. Passando alle disposizioni in materia di reclutamento dei professori universitari ordinari ed associati, che stabiliscono una nuova composizione delle commissioni di valutazione comparativa, vorrei sottolineare, in primo luogo, che lo spirito dell'intervento è quello di coniugare l'esigenza di coinvolgere la comunità scientifica nella formazione delle commissioni, attraverso l'elezione di una lista il più possibile ampia di possibili commissari, con l'esigenza di assicurare una maggiore trasparenza e correttezza delle procedure, attraverso il meccanismo del sorteggio nell'ambito della lista degli eletti. In tale ottica, il meccanismo di reclutamento delineato, con particolare riferimento al sorteggio, non può essere in alcun modo interpretato come mancanza di coraggio nella scelta dei candidati migliori; d'altra parte, occorre tenere presente che l'attuale meccanismo elettorale non ha prodotto risultati positivi sotto il profilo della trasparenza e della correttezza della procedura concorsuale. Per quanto riguarda le misure che intendono introdurre una stringente correlazione tra l'attribuzione delle risorse e la qualità dei risultati conseguiti dai singoli atenei, con l'obiettivo di elevare la qualità del sistema universitario, ritengo un passaggio importante l'avere stabilito che almeno una parte del Fondo di finanziamento ordinario delle università, il cui sistema di ripartizione, come voi sapete, è essenzialmente basato sullo storico, nonché del Fondo straordinario, istituito per sollevare gli atenei dalle spese derivanti dagli incrementi stipendiali e per ulteriori scopi di efficienza ed efficacia, debba essere attribuita secondo parametri che tengano conto della qualità dell'offerta formativa e dei risultati dei processi formativi, della qualità della ricerca scientifica e della qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche. Un'ulteriore articolazione e specificazione dei predetti parametri potrà essere definita in sede di attuazione dell'intervento. In quella sede, si potrà tenere conto, ad esempio, del rapporto tra le risorse destinate alle infrastrutture della ricerca e quelle destinate al personale. Vorrei ricordare che è proprio in sede di attuazione dell'intervento che il Governo chiede la collaborazione fattiva di tutte le forze, sia politiche sia sociali. Per quanto riguarda l'entità della quota di finanziamenti da destinare al merito, con particolare riferimento all'eccessiva discrezionalità, nel decreto-legge che stiamo esaminando si è preferito indicare una soglia minima del 7 per cento, anziché un valore percentuale tassativo, per assicurare la concreta applicazione della disposizione, considerando che entrambi i fondi sui quali la predetta percentuale va calcolata contengono risorse destinate a spese fisse obbligatorie, dalle quali non si può derogare, e che l'entità complessiva delle risorse varia ogni anno, in quanto determinata annualmente con legge finanziaria. Sono state anche espresse delle perplessità sulla possibilità di riuscire a valutare la qualità della ricerca scientifica e non posso che condividere che si tratti di una materia assai delicata; tuttavia, ritengo che questa consapevolezza non debba indurre ad una rinuncia, bensì alla ricerca di strumenti il più possibile adeguati per una valutazione oggettiva dei risultati di ricerca secondo parametri riconosciuti a livello internazionale, anche salvaguardando la ricerca pura, che non necessariamente produce risultati immediatamente applicabili. In particolare, per quanto ha sostenuto l'onorevole Ghizzoni, voglio assicurarle che il decreto-legge intende introdurre un primo intervento che consenta da subito di ripartire almeno parte delle risorse secondo criteri di merito, nelle more della piena operatività dell'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario: in questo concordo con l'onorevole Ghizzoni. Passando infine alle disposizioni per il diritto allo studio universitario, il Governo, pur nella situazione economica che tutti conosciamo, ha provveduto ad un grandissimo sforzo per integrare le risorse destinate alla realizzazione anche delle residenze. Concludo quindi il mio intervento che segue la discussione sulle linee generali, sottolineando che in Commissione e in Aula il Parlamento ha questa grande disponibilità per trovare nei piani di attuazione un discorso il più ampiamente condiviso dalle forze politiche e dalle forze sociali .
. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, l'organizzazione dei lavori dell'Assemblea fino alla sospensione per la pausa natalizia sarà la seguente:
. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.