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Giovedì 14 Gennaio 2010 ore 09:30
Seduta di assemblea numero 266 della XVI legislatura
Resoconto stenografico
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Seduta di assemblea numero 266 della XVI legislatura del 14/01/2010
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Interpellanze urgenti (Svolgimento)
- Intendimenti del Governo in merito all'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori - n. 2-00524
- Iniziative per la valutazione dell'archivio Vasari e per rafforzare l'attuale vincolo pertinenziale - n. 2-00552
- Intendimenti del Governo in ordine alla nomina del dottor Davide Giacalone a presidente dell'Ente DigitPA - n. 2-00576
- Iniziative per la proroga dei magistrati onorari e intendimenti del Governo circa la riforma della magistratura onoraria - n. 2-00564
- Politiche del Governo in materia di integrazione scolastica degli alunni con cittadinanza non italiana - n. 2-00575
- Crisi industriale della società Selfin Spa - n. 2-00567
- Orientamenti del Governo circa l'individuazione di siti idonei alla realizzazione di centrali nucleari - n. 2-00568
- Iniziative nei confronti di Ferrovie dello Stato per garantire alle città di Ferrara e Rovigo un adeguato servizio di alta velocità sulla tratta Venezia-Roma - n. 2-00572
- Modalità di attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Lazio - n. 2-00563
- Saluto del Presidente agli studenti in aula
- Ripresa svolgimento di interpellanze urgenti
- Ordine del giorno della prossima seduta
, legge il processo verbale della seduta di ieri.
. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati D'Amico, Renato Farina, Galati e Mantini sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna.
. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
. L'onorevole Ceccacci Rubino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00524, concernente intendimenti del Governo in merito all'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori. .
. Signor Presidente, questa interpellanza, come lei ha già ricordato, ha per oggetto il futuro dell'IMAIE, l'istituto mutualistico artisti interpreti esecutori, che con un precedente provvedimento il prefetto di Roma ha estinto definitivamente per motivata e constatata incapacità di raggiungere gli obiettivi statutari finalizzati alla tutela di questi artisti. Contro tale provvedimento è in corso un giudizio di legittimità al TAR del Lazio, ma non è mia intenzione in questa sede entrare nel merito della situazione di estinzione. Vorrei capire, invece, dal Governo che futuro intende dare all'IMAIE, alle sue risorse umane, al suo patrimonio formativo di esperienza, in virtù anche dell'urgenza di garantire la prosecuzione delle attività legislativamente previste dalle normative vigenti in materia di diritto d'autore e di uso dei fonogrammi che tutelano la difesa dei poteri e degli interessi collettivi delle categorie degli artisti e delle attività di riscossione e distribuzione del diritto all'equo compenso che l'estinzione dell'IMAIE non estingue, mentre di fatto ne impedisce la continua e puntuale soddisfazione. A conforto dei lavoratori dell'IMAIE, degli oltre 60 mila artisti, interpreti ed esecutori, sono sicuramente intervenuti, interessandosi alla questione, sia il Ministro Bondi, sia lei, sottosegretario Giro, attuando immediatamente un tavolo tecnico per ridefinire la nuova IMAIE. Quello che gli interpellanti, però, chiedono al Governo è se non ritenga auspicabile che la nuova IMAIE venga trasformata da ente privato in ente pubblico economico a base associativa e se, quindi, non ritenga opportuno assumere iniziative in tale direzione, che è quella che corrisponde a ciò che le categorie degli artisti chiedono ai fini di una maggiore e migliore tutela dei loro diritti, nonché di garanzia per la reale stabilità della struttura, consentendo così un concreto riconoscimento alle categorie artistiche tutelate, e se, in termini più generali, non ritenga opportuno valutare l'ipotesi di trasferire competenze, personale e risorse, dall'IMAIE alla SIAE che è un ente che appare maggiormente in grado di attuare le norme sull'equo compenso, di cui alla legge n. 633 del 1941, sul diritto d'autore, e alla legge n. 93 del 1992, sull'uso dei fonogrammi.
. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Francesco Maria Giro, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, voglio innanzitutto premettere che l'IMAIE, come ha peraltro ricordato l'onorevole Ceccacci Rubino, è stato dichiarato estinto con decreto del prefetto di Roma del 30 aprile 2009 con conseguente comunicazione agli amministratori dell'ente ed al presidente del tribunale di Roma, per la nomina dei commissari liquidatori, ai sensi dell'articolo 11 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Successivamente, il prefetto di Roma con decreto del 28 maggio 2009 ha confermato la dichiarazione di estinzione dell'IMAIE, dopo aver rilevato come la persistente cattiva gestione dell'ente ha posto nel nulla il dettato normativo di riferimento, non attuato proprio nella sua parte più qualificante, e ritenendo l'estinzione dell'istituto come l'unica strada praticabile, proprio al fine di garantire il perseguimento degli scopi previsti dalla legge e la tutela dei diritti degli artisti, interpreti ed esecutori. Voglio peraltro evidenziare che i suddetti provvedimenti sono stati ritenuti legittimi dal Consiglio di Stato che, con ordinanza n. 3530 del 14 luglio 2009 ha confermato la validità del processo di estinzione dell'ente. Nel contempo, con provvedimento del 28 maggio 2009, il presidente del tribunale di Roma ha nominato l'avvocato Galoppi, già presidente del collegio dei revisori dell'IMAIE, il professore Laghi e l'avvocato Tepedino commissari liquidatori dell'IMAIE, con poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria, ivi compresa la riscossione e la distribuzione agli aventi diritto dei compensi maturati e non riscossi nel corso dell'attività liquidatoria. Ciò premesso, faccio presente che in seguito all'avvio del procedimento di estinzione dell'IMAIE, è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un tavolo di lavoro tecnico, con i rappresentanti del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero del lavoro, per individuare, anche previa audizione delle categorie interessate, concrete azioni normative, amministrative ed organizzative da intraprendere, per delineare, nel più breve tempo possibile, un nuovo assetto regolatorio delle realtà considerate dalla legge n. 93 del 1992, al fine di rendere possibile la ripartizione tra gli aventi diritto delle somme dovute. Voglio a tal proposito assicurare che sarà nostra cura - mia e del Ministro - in ogni caso, nell'ambito delle funzioni attribuite al Ministero, assumere tutte le iniziate necessarie affinché, qualunque sia la soluzione organizzativa o normativa, che verrà prospettata, la decisione conclusiva effettui un doveroso bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, al fine di attuare concretamente il diritto degli artisti, interpreti ed esecutori alla riscossione di quanto loro dovuto.
. L'onorevole Barbieri, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ritengo che il sottosegretario Giro ci abbia consentito di avere una panoramica della situazione così come la vede il Governo. Noi tuttavia, signor sottosegretario, ci permetteremmo di insistere su un'indicazione che è contenuta nell'interpellanza urgente che abbiamo avanzato e sottoposto alla sua attenzione. A noi pare che non esista un solo motivo logico per non trasferire alla SIAE tutte le funzioni che l'IMAIE svolgeva e che - attenzione - rischia di continuare a svolgere nel momento in cui già si parla di «IMAIE 2». Riteniamo invece che sarebbe più opportuno trasferire tutte queste funzioni alla SIAE. Sottosegretario, risparmio di menzionarle, perché lei ovviamente le conosce tutte per intero, ma oggi una parte rilevantissima delle questioni che l'IMAIE dovrebbe gestire sono di fatto in capo alla SIAE. Ricordo che i diritti connessi gestiti dall'IMAIE originano dal diritto d'autore che è interamente gestito dalla SIAE. Lo sfruttamento delle opere dell'ingegno ovvero l'atto di riutilizzazione dell'opera genera automaticamente sia i diritti d'autore sia quelli connessi degli artisti interpreti esecutori. Per tale motivo la SIAE già gestisce i dati relativi a tali riutilizzazioni o sfruttamenti. Ciò significa che qualsiasi ente che gestisca il diritto connesso deve acquisire questi dati dalla SIAE. Quindi è inutile pensare di fare un passaggio che non serve e complica soltanto la vita. Seconda questione: i diritti di copia privata audio e video gestiti dall'IMAIE, che, come lei sa, sottosegretario, corrispondo a gran parte dell'incasso, sono raccolti e distribuiti in via primaria dalla SIAE che già dal dettato di legge attuale potrebbe, indipendentemente dall'IMAIE, ripartirli in favore degli artisti, interpreti ed esecutori. La SIAE già gestisce i diritti connessi per la categoria dei rumoristi dichiarati dal Consiglio di Stato artisti interpreti esecutori aventi diritto alla percezione dei diritti connessi. Da ultimo i produttori discografici italiani hanno delegato la SIAE ad incassare i diritti connessi del settore dei pubblici esercizi di loro spettanza (di cui come lei sa, signor sottosegretario, ai sensi di legge, il 50 per cento è di competenza degli artisti, interpreti o esecutori). Per queste considerazioni noi - non soltanto noi firmatari dell'interpellanza urgente in esame, ma anche come gruppo del Popolo della Libertà - ci permettiamo di sollecitare - e mi pare che la risposta del Governo da questo punto di vista delinei una strada che si possa percorrere d'intesa, rispetto alle indicazioni che noi abbiamo dato - e di insistere affinché il Governo faccia quello che è in suo potere perché di fatto tutti i compiti dell'IMAIE vengano messi in capo alla SIAE.
. L'onorevole Mattesini ha facoltà di illustrare l'interpellanza Veltroni n. 2-00552, riguardante iniziative per la valutazione dell'archivio Vasari e per rafforzare l'attuale vincolo pertinenziale di cui è cofirmataria.
. Signor Presidente, intervengo brevemente perché da quando, a novembre, è stata presentata l'interpellanza urgente vi sono state novità importanti, tra cui l'incontro del Ministro Bondi con le istituzioni locali, nelle figure del sindaco onorevole Fanfani e del presidente della provincia Vasai, incontro nel quale risulta che il Ministro abbia espresso un'assicurazione di impegno circa due punti fondamentali quali il rinforzo del vincolo pertinenziale nonché il ragionamento sulle risorse per quanto riguarda il cinquecentenario della nascita di Vasari, che cade appunto nel 2011. Sarò brevissima, però mi preme sottolineare alcune cose, perché il valore dell'archivio Vasari è enorme. Ricordo che è rappresentato da 31 filze, ognuna con un piccolo scrigno di lettere e dentro vi sono documenti importantissimi che vanno dai conti di casa Vasari a documenti legali e a ricordi di famiglia. Inoltre, vi sono lettere inviate a Vasari da Cosimo I scritte tra il 1542 ed il 1547, lettere inviate da «diversi huomini a messer Giorgio Vasari» tra il 1546 e il 1572, tra cui tra l'altro il traduttore dell'Eneide di Virgilio e di Aristotele, Annibal Caro, ed il carteggio tra Michelangelo ed il Vasari dal 1550 al 1557. Ho citato solo alcune parti di questo patrimonio, che è straordinario. Il punto è questo: dall'incontro con il Ministro quello che è emerso è che comunque risulta effettivamente valido l'acquisto dell'archivio da parte della Ross Engineering, società russa che tra l'altro opera in settori profondamente diversi dall'ambito culturale, per una cifra pari a 150 milioni di euro. È bene sottolinearlo perché questo è un punto sul quale noi abbiamo chiesto e chiediamo di capire cosa succeda. Infatti, l'archivio è stato valutato più volte per una cifra massima di 2 milioni di euro, quindi questa sproporzione così grande ha aperto e apre profondi interrogativi circa a che cosa facciano riferimento sostanzialmente le risorse ad esso destinate. Vorremmo capire, perché sappiamo che anche su questo il Ministero si è interessato e si sta interessando. Quello che a noi interessa capire è cosa sia stato effettivamente fatto nel frattempo, dopo il colloquio con il Ministro, per rendere ancora più vincolante il vincolo pertinenziale. Ci riferiamo alla richiesta specifica di vincolare la permanenza dell'archivio all'interno di casa Vasari, senza neanche poter concedere l'uso all'estero della mostra stessa. Infatti, in tutta la comunità aretina, ma anche in quella nazionale e non solo (su questo tema vi è stato un grande interesse a livello mediatico e del mondo intellettuale e non solo), la preoccupazione è motivata dal fatto che il valore con il quale si è acquistato il bene (150 milioni di euro) fa venire qualche dubbio. Invero si tratta di un acquirente che non è neanche mai venuto ad Arezzo a vedere l'archivio e quindi non lo conosce neanche (è un acquirente straniero, russo) e occorrono rassicurazioni sul fatto che nel momento in cui questo bene potrebbe essere - anche per una mostra e quindi per una sua valorizzazione - portato all'estero, possa poi di fatto rientrare ad Arezzo. Vorremmo capire su questo che passaggi vi sono stati e anche se e come possiamo attivare insieme, anche con le amministrazioni locali nonché regionali, un fondo importante con il quale fare due cose. In primo luogo, mettere in sicurezza Casa Vasari, perché, comunque, esiste un tema relativo alla sicurezza di quell'ambiente, che è l'ambiente naturale per accogliere e mantenere i beni, anche con riferimento alla loro esposizione in occasione del cinquecentenario. In secondo luogo, stabilire le risorse, per far sì che il cinquecentenario sia davvero un momento nel quale tutta l'attenzione internazionale e nazionale sarà dedicata a quest'uomo di straordinaria importanza per tutto il Rinascimento italiano. Vorremmo capire se è possibile iniziare già a parlare di ciò - perché il 2011 è sufficientemente vicino - in modo da avere un calendario delle iniziative all'altezza della fama di Vasari e dell'importanza di quest'uomo del Rinascimento.
. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Francesco Maria Giro, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, in riferimento alle considerazioni formulate dagli onorevoli interpellanti, precisiamo quanto segue. Effettivamente, una prima denuncia del trasferimento della proprietà a titolo oneroso dell'archivio Vasari venne presentata, a firma del signor Giovanni Festari, alla soprintendenza archivistica per la Toscana il 9 luglio 2009. Dall'esame di tale denuncia, effettuato dalla soprintendente archivistica, risultò che la stessa era incompleta sia perché non era stata sottoscritta anche dalla parte pretesa acquirente (la società Ross Engineering Srl), sia perché in essa non era espressamente precisato che alla parte acquirente fosse noto il particolare giuridico dell'archivio, quale bene culturale gravato anche da vincolo pertinenziale con Casa Vasari di Arezzo. Conseguentemente, la soprintendente, con lettera del 29 luglio 2009, ha dichiarato tale denuncia come non avvenuta, ai sensi del codice; in questo modo, si è conseguito il duplice effetto positivo di annullare l'efficacia della denuncia, anche ai fini del decorso del termine ordinario della prelazione, e di obbligare le parti contraenti, ove interessate, ad integrare gli atti incompleti e, quindi, a sottostare al termine di prelazione più lungo, fissato dal codice, per tali casi, in centottanta giorni decorrenti dalla nuova denuncia. Si precisa, infatti, che mentre per le denunce di vendita complete vige il termine di sessanta giorni per l'esercizio della prelazione, tale termine è elevato, invece, a centottanta giorni nel caso in cui la denuncia sia - come in questo caso - incompleta. È, peraltro, da aggiungere che, anche in considerazione dell'elevatissimo valore economico attribuito alla transazione, di essa è stata data notizia alla procura della Repubblica di Roma con lettera del 6 agosto 2009. Debbo, a riguardo, precisare - anche per chiarire alcuni equivoci che sono insorti - che di tale prima denuncia incompleta di vendita (quella del 9 luglio 2009) nessuna comunicazione formale fu data agli enti territoriali in quanto, come detto, la stessa era improduttiva di effetti. In data 23 settembre 2009, il signor Festari ha fatto, poi, pervenire alla soprintendenza archivistica per la Toscana, una congerie di atti, dai quali si evince che egli ha provveduto sia ad integrare la denuncia del luglio 2009, sia a presentare un'ulteriore denuncia di alienazione (questa volta avvenuta il 9 settembre ultimo scorso), redatta in conformità ai rilievi a suo tempo mossi dalla soprintendenza. All'evidenza, tali atti risultano essere stati messi a punto, fra l'altro, allo scopo di far decorrere il termine ordinario di sessanta giorni dato dal codice all'amministrazione per l'esercizio del diritto di prelazione (cioè, per accorciare di nuovo i termini). Viceversa, l'amministrazione, ha ricordato nuovamente al Festari che non era in alcun modo possibile tentare di eludere l'applicazione del termine sanzionatorio di centottanta giorni per la prelazione, mediante una pretesa rimessione in termini a seguito di una nuova denuncia, questa volta completa; la soprintendenza ha, poi, contestualmente dato comunicazione a tutti gli enti territoriali interessati, questa volta sì, come d'obbligo, ai sensi del codice, dell'intervenuta integrazione della denuncia di vendita, e quindi della sua - questa volta - idoneità a far decorrere, finalmente, i termini di legge, ancorché maggiorati a centottanta giorni, per l'esercizio della prelazione. Ovviamente, anche di tale ulteriore seconda denuncia di vendita e degli atti ad essa legati la sovrintendente archivistica per la Toscana ha provveduto a dare formale comunicazione, per gli accertamenti del caso, alla procura della Repubblica di Roma Con riguardo alle considerazioni formulate dagli onorevoli interpellanti, concernenti il peculiare regime di tutela cui è sottoposto l'archivio Vasari, appare opportuno in questa sede rimarcare quanto segue. Le cosiddette carte Vasari oggi presenti in Arezzo costituiscono la parte residua del più ampio archivio della famiglia Vasari, archivio che fu in un primo tempo adoperato da Bonsignore Spinelli, esecutore testamentario dell'ultimo discendente dei Vasari, Francesco Maria, morto il 3 marzo 1687, per dare compiuta attuazione alle ultime volontà di costui. Una volta esaurito l'incarico, tali raccolte documentali - o, più propriamente, quello che di esse restava dopo alcune vendite che ne interessarono una parte - vennero inglobate nell'archivio di casa Spinelli, poi Rasponi Spinelli, ove vennero individuate e catalogate da Giovanni Poggi, sovrintendente alle Gallerie a Firenze, nell'anno 1908, tranne tre unità documentarie, probabilmente sfuggite agli accertamenti del Poggi, che oggi si trovano a New Haven, perché acquisite nel 1988 dalla Beinecke Library dell'università di Yale. Le raccolte documentarie individuate da Poggi furono dichiarate di notevole interesse storico già con provvedimento del Ministero della pubblica istruzione notificato in data 23 ottobre 1917. Successivamente, di detta documentazione, così come descritta in redatto da Alessandro Del Vita nel 1938, è stato confermato il notevole interesse storico con decreti del sovrintendente archivistico della Toscana del 16 novembre 1990, del 23 marzo 1991 e del 19 gennaio 1996. Inoltre, con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali emesso l'8 marzo 1994, e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari di Arezzo in data 18 ottobre 1994, in considerazione del fatto - leggo testualmente - «che le citate carte Vasari sono state destinate fin dall'origine, in modo durevole, al servizio e decoro di casa Vasari, entrando con la stessa in un rapporto di complementarietà che è risultato oggettivamente valutabile (...) come risulta dalla relazione storico-archivistica (...)» è stato disposto, continua la citazione, «che le carte Vasari, come descritte nell'inventario e regesto di Alessandro Del Vita (...) sono vincolate alla casa Vasari con vincolo pertinenziale (...)». Voglio ancora una volta precisare che la legittimità di tale destinazione pertinenziale, che vincola, lo ribadisco, in modo indissolubile le carte Vasari alla casa Vasari, è stata accertata dal TAR della Toscana, sezione III, con sentenza n. 387 del 21 novembre 1998. Con tale sentenza è stato respinto il ricorso presentato da Festari Giovanni, erede del patrimonio Rasponi Spinelli, avverso il vincolo imposto nel 1994. Sottolineo, inoltre, che tale sentenza è divenuta irrevocabile perché passata in giudicato. Mi pare, pertanto, evidente che sussista un peculiare giuridico del carteggio vasariano, in forza del quale la fruizione di detto carteggio, sia nella sua valenza museale, sia storico-documentaria, può essere effettuata esclusivamente negli ambienti di casa Vasari e sotto la vigilanza degli organi ministeriali preposti alla tutela. Per quello che attiene, poi, al quesito in ordine alle iniziative che l'amministrazione intenderebbe assumere al fine di addivenire ad una puntuale e circostanziata valutazione del reale valore dell'archivio vasariano, tenendo conto delle ipotesi assolutamente discordanti emerse nelle ultime settimane, quale elemento propedeutico ai fini della possibilità di esercitare il diritto di prelazione, deve sottolinearsi che la facoltà di acquistare un bene vincolato oggetto di alienazione regolarmente denunciata è esercitabile al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione, ai sensi dell'articolo 60, comma 1, del codice. Ovviamente, qualora dalle indagini in corso da parte delle autorità inquirenti dovessero emergere eventuali irregolarità penalmente rilevanti nelle trattative o nell'atto di alienazione dell'archivio Vasari, l'atto di vendita potrebbe anche essere posto nel nulla, ma finora nessuna informazione è pervenuta in proposito all'amministrazione. In merito al quesito formulato dagli onorevoli interpellanti se l'amministrazione non ritenga necessario rafforzare l'attuale vincolo pertinenziale, rendendo obbligatoria la permanenza dell'archivio Vasari nella casa Vasari di Arezzo e prevedendo la valorizzazione della sua sede naturale, anche al fine di fugare ogni ragionevole dubbio sul fatto che una volta portato all'estero, anche per un'importante mostra, l'archivio non possa rientrare ad Arezzo, si ribadisce che la sua ineludibile collocazione entro casa Vasari, in forza del vincolo pertinenziale imposto nel 1994 - che ho appena ricordato - è oramai consolidata ed è sufficientemente presidiata dagli attuali istituti di tutela, né necessita di nuovi provvedimenti, ma solo di una sua corretta gestione, che sarà cura dei competenti uffici ministeriali assicurare. In ordine, infine, alle iniziative programmate per le celebrazioni del 2011, relative al cinquecentesimo anniversario della nascita di Giorgio Vasari, si comunica che la competente direzione generale è in attesa della proposta istitutiva di un apposito comitato celebrativo e del programma di eventi che tale organismo vorrà elaborare, per destinarvi le risorse necessarie. In ogni caso, è nostra intenzione sollecitare un programma di celebrazioni, di alto profilo scientifico e culturale, per onorare al meglio l'illustre figura di Giorgio Vasari.
. L'onorevole Mattesini ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Giro per la risposta assolutamente chiara, precisa e documentata. Rimangono ancora, per quanto mi riguarda, alcuni elementi di preoccupazione, perché l'interpretazione che il sottosegretario ha dato, relativa alla nota della sufficienza del vincolo pertinenziale, da una parte ci rassicura ma, dall'altra parte, non fornisce la completa certezza che non vi possano essere altre soluzioni e, comunque, appartiene ad una interpretazione, seppure importante, del vincolo pertinenziale. Ho presente la conferenza stampa, per quello che naturalmente conta, del rappresentante della società Ross Engineering acquirente, appunto, dell'archivio. In questa conferenza stampa il rappresentante ha precisato, in modo molto forte e ripetutamente, che, pur essendo a conoscenza del vincolo pertinenziale, si attiveranno per far sì che vi possano essere tutte le iniziative e le procedure - procedure, insisto - finalizzate alla valorizzazione del compendio, in modo che lo stesso possa essere fruito ed apprezzato, come patrimonio artistico, storico e culturale, anche attraverso la sua esposizione nei più importanti musei del mondo. Dunque, la nostra preoccupazione rimane e sebbene quel vincolo pertinenziale abbia quella valenza che il sottosegretario ricordava, stabilita anche con sentenza passata in giudicato, rimaniamo dell'idea che forse sarebbe necessaria una norma che possa ulteriormente precisare anche questa interpretazione, non per rassicurare solo la comunità aretina, ma per far sì che rimanga in Italia questa parte dell'archivio che, come dichiarato anche dal sottosegretario, è comunque residuale rispetto a tutto il resto dell'archivio Vasari e, tuttavia, costituisce una parte di un valore importante perché è una delle poche cose che rimangono nel nostro Paese. Infatti - e visto anche il resoconto che ci ha ricordato il sottosegretario Giro - sebbene vi sia la presenza in alcuni luoghi pubblici come le università, la maggior parte degli oggetti è all'estero. Dunque, rivolgo la richiesta di valutare ancora la possibilità di un ulteriore rafforzamento di attenzione sulla vicenda che magari possa essere anche semplicemente rassicurante per tutta la comunità, ma che penso possa essere anche in questa fase - da qui fino alla scadenza di centottanta giorni per il diritto di prelazione - un ulteriore elemento che possa permetterci anche di fare chiarezza. Infatti - e lo ripeto - sullo sfondo rimangono gli interrogativi su queste risorse la cui quantità è veramente incomprensibile, perché da un valore massimo di 2 milioni di euro, acquistato da una società e da persone che non hanno mai neanche visitato l'archivio e che, quindi, non ne conoscono né le condizioni né altro, si è arrivati a una moltiplicazione da 2 milioni a 150 milioni di euro. Pertanto, qualche dubbio rimane e penso che possa essere utile anche un ulteriore rafforzamento in grado di dire, in modo molto chiaro, che le carte Vasari rimarranno comunque ad Arezzo, in casa Vasari, e che non possono, in nessun caso, essere portate all'estero. Inoltre, ritengo che possa essere un elemento capace di aiutare anche a fare chiarezza su quella cifra. Non voglio dire di tornare indietro rispetto al contratto, che ormai è effettivo, ma insomma che si aiuti la comunità aretina, e non solo, su una vicenda che davvero mantiene ancora dei margini di grande preoccupazione e di incertezza rispetto alla sua regolarità.
. L'onorevole Borghesi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Di Pietro n. 2-00576 concernente intendimenti del Governo in ordine alla nomina del dottor Davide Giacalone a presidente dell'Ente DigitPA di cui è cofirmatario.
. Signor Presidente, il Consiglio dei Ministri il 17 dicembre 2009 ha avviato la procedura della nomina del dottor Davide Giacalone a presidente dell'ente DigitPA CNIPA, un ente di grande rilevanza che è destinato ad occuparsi dello sviluppo delle procedure informatiche nel nostro Paese. Ma chi è il dottor Davide Giacalone? Il dottor Giacalone dal 1987 al 1991 è stato consigliere dell'allora Ministro delle poste e telecomunicazioni Mammì, il quale nel 1993 ammise davanti ai giudici di aver utilizzato contributi personali per la sua campagna elettorale prelevandoli dalle cifre che finivano, attraverso le tangenti, nelle casse del Partito Repubblicano. Disse esplicitamente che ad occuparsi di queste operazioni era il suo allora consigliere Giacalone, che pensava a tutto e quest'ultimo, in effetti, arrestato e finito in galera, ammise di gestire i soldi che gli venivano dati da tale Parrella anche per il Ministro. Giuseppe Parrella era un ex dirigente dell'Azienda di Stato dei servizi telefonici e, come l'inchiesta ha accertato e chiarito, le aziende versavano a Parrella le tangenti in cambio di favori e promesse. Si trattava, quindi, di soldi provenienti da grandi imprese di fornitura che vendevano i loro prodotti, dalla carta igienica ai computer, contributi delle TV che speravano di ottenere privilegi nell'assegnazione del piano delle frequenze che doveva essere fatto e tra queste inevitabilmente Mediaset, che forse allora si chiamava Fininvest, tant'è che nei guai ci finirono pure Gianni Letta e Adriano Galliani. Giacalone fu quindi arrestato per corruzione, con l'accusa di aver smistato tangenti per il Partito Repubblicano e nel 2008, ciononostante, il Ministro qui presente - che di solito sulle consulenze esterne di tutti gli altri è severissimo - non ha esitato comunque ad assegnargli un incarico quale consigliere, così come ebbe a fare per l'ex Ministro del quale egli stesso era stato consulente. Ci chiediamo se il Governo, di fronte ad un personaggio con queste caratteristiche, non intenda revocare la procedura per la sua nomina a presidente dell'ente DigitPA.
. Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, Davide Giacalone è stato oggetto nel 1993 di due inchieste penali subendo anche provvedimenti cautelari. Non ha mai riconosciuto od ammesso alcuno dei reati a lui contestati. Con riferimento al primo filone di indagini - tangenti al Ministero delle poste - nessuna delle accuse inizialmente mosse per i reati di corruzione e concussione si è poi concretizzata nella richiesta di rinvio a giudizio. Per quel che riguarda il secondo filone di indagini - tangenti a frequenze TV -, il dottor Giacalone è stato assolto perché il fatto non sussiste già al termine dell'udienza preliminare, sentenza poi confermata e divenuta definitiva. Per queste vicende giudiziarie ha due volte chiesto ed ottenuto dallo Stato il risarcimento ai sensi della legge n. 89 del 2001, la cosiddetta legge Pinto. Appare quindi singolare che gli interpellanti citino una pagina di del 1993 dimenticando di verificare che nessuna delle accuse di corruzione e concussione nei confronti di Giacalone sia stata mai neanche portata avanti dalla magistratura inquirente e che pertanto favori od altri illeciti non lo hanno mai riguardato. Ed è ancora più singolare che ancora si parli di vantaggi per questa o quella emittente televisiva quando l'inchiesta penale ha accertato l'assoluta regolarità del lavoro svolto da Giacalone il quale, per tali accuse, è stato assolto nel merito perché il fatto non sussiste. Quanto ai reati prescritti nel 2001, si precisa che non si tratta di quelli contestati nel 1993, e sopra richiamati, dato che Giacalone non è più stato accusato né di essere stato corrotto, né di aver concusso. La prescrizione cui fanno riferimento gli interpellanti riguarda, invece, un'ipotesi minore relativa alla concorrenza nel reato, successivamente formulata dalla procura, che in tal modo peraltro sconfessava l'intero impianto accusatorio iniziale. Avverso la prescrizione Giacalone fece ricorso, ma la Cassazione saggiamente volle chiudere, senza ulteriori perdite di tempo, un procedimento già lungo nel corso del quale le accuse, mosse anche del sostituto procuratore Antonio Di Pietro, erano tutte cadute. In riferimento alla sentenza della Corte dei conti, Giacalone è stato assolto in primo grado. La successiva sentenza sfavorevole è stata pronunciata sulla base di presupposti che la stessa Corte ha poi dovuto riconoscere essere del tutto errati. La sentenza è stata, infatti, revocata per errore di fatto: dunque, una assoluzione piena all'esito del processo. Anche per questo Giacalone ha ottenuto un risarcimento per aver subito un'ingiustizia ai sensi della legge n. 89 del 2001. Tutto ciò premesso, Giacalone risulta completamente incensurato e, pertanto, il Governo intende confermare la nomina del dottor Davide Giacalone quale presidente dell'ente DigitPA in quanto allo stesso sono ampiamente riconosciuti i requisiti di professionalità, competenza e indiscussa moralità richiesti per lo svolgimento del prestigioso incarico.
. L'onorevole Borghesi ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ciò che ha ricordato il Ministro dimostra che non siamo certo in presenza di un personaggio con un ad onore e specchiato. Si tratta di un personaggio che ha avuto vicende rilevanti nelle tangentopoli italiane e che, come ha ricordato il Ministro stesso, in un caso è stato prosciolto, non per non aver commesso il fatto, ma per prescrizione. La verità è che siamo in presenza di un Governo che in sé contiene elementi che possono dar luogo spesso e in continuazione a delle discussioni sulla vera moralità del Governo stesso e dei suoi componenti. Ci si può persino aspettare che prima o poi un qualche Consiglio dei Ministri, invece che a Napoli o in Calabria, si possa tenere a San Vittore o a Rebibbia. Infatti, ciò è evidente con un Presidente del Consiglio che da quando è entrato in politica ha passato il tempo a scappare dai giudici che gli chiedevano conto non di ciò che ha fatto da politico, ma di ciò che aveva fatto prima da imprenditore e dai quali si è salvato quasi sempre grazie alle prescrizioni. Anzi, per essere sicuro di farcela, le prescrizioni le ha ridotte con una di quelle leggi che oggi non chiamiamo più ma . Si tratta di leggi che continuano ad essere nell'agenda politica di questo Governo anziché andare a guardare e a risolvere i problemi del Paese. Quindi, voglio ricordare che in questo Governo c'è un Ministro, che si chiama Fitto, rinviato a giudizio per associazione a delinquere, peculato, concussione, corruzione, falso, abuso d'ufficio e illecito finanziamento dei partiti. Vi è un altro rinvio a giudizio sempre per lo stesso Ministro per concorso in turbativa d'asta e interesse privato. Un altro ancora per abuso d'ufficio insieme ad un altro Ministro, che risponde al nome di Alfano, in relazione ad un'ispezione alla procura di Bari che stava indagando appunto sul Ministro Fitto. C'è poi la schiera dei sottosegretari, a partire da Cosentino, del quale si è parlato molto in quest'Aula per essere stato indicato da una serie di pentiti come referente politico del dei casalesi. C'è un altro sottosegretario, che si chiama Scotti, rinviato a giudizio per peculato e abuso d'ufficio per lo scandalo SISDE. Anche lui è sfuggito alla condanna grazie alla prescrizione e una sentenza della Corte dei conti lo ha condannato a risarcire allo Stato quasi 3 milioni di euro per essere colpevole, insieme all'ex direttore del SISDE Voci, di aver fatto acquistare un palazzo a Roma con fondi riservati del SISDE a un prezzo maggiorato di 10 miliardi per creare fondi neri. Non parliamo poi di un Governo che oggi immagina di riabilitare un ex Presidente del Consiglio, che risponde al nome di Craxi. Lui la cassa degli italiani se l'è semplicemente presa e portata all'estero. È condannato con una sentenza passata in giudicato, quindi possiamo affermare che è un uomo che ha commesso reati e, quindi, è un delinquente morto all'estero in latitanza. Siamo in presenza, signor Presidente, in realtà, di un Governo di predatori in libertà provvisoria che si stanno appropriando di quel poco di polpa che è rimasta in un Paese in gravi difficoltà. A questi signori non importa nulla dei problemi del Paese poiché interessano solo gli affari privati del Presidente del Consiglio e dei suoi amici. Lei, signor Ministro, si è definito la ballerina del Governo. Sarà anche la ballerina del Governo, ma, se è così, Berlusconi è la Vanna Marchi del Governo. Voi vendete fumo...
. Scusi, onorevole Borghesi, posso invitarla a tenere un linguaggio più attinente alla dignità dell'Aula ed ad attenersi al tema dell'interpellanza?
. Signor Presidente, stiamo parlando della nomina fatta da un Governo e io sto illustrando chi è questo Governo. Concludo, dicendo che voi vendete fumo e l'arrosto lo portate via per mangiarlo con pochi accoliti, meglio se condannati o indagati.
. L'onorevole Bernardini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00564, concernente iniziative per la proroga dei magistrati onorari e intendimenti del Governo circa la riforma della magistratura onoraria .
. Signor Presidente, mi rivolgo al sottosegretario Casellati presente per rispondere a questa interpellanza. Dobbiamo dire che nella situazione di totale sfascio in cui versa il nostro sistema giudiziario i magistrati onorari, cioè i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari, sono indispensabili e insostituibili. Qualunque operatore di giustizia sa che questo è un dato incontrovertibile: senza queste figure non solo i nostri uffici giudiziari chiuderebbero immediatamente, ma raddoppierebbe all'istante sia il numero annuale delle prescrizioni - che già non sono poche - sia il numero già di per sé elevatissimo delle condanne inferte all'Italia dalla Corte europea di Strasburgo per la lentezza dei nostri processi. Dalle statistiche più recenti, per capirci, risulta che i giudici ordinari di tribunale, i GOT, rappresentano una bella fetta della giustizia civile e si occupano, tanto per dire, del 100 per cento dei procedimenti di esecuzione immobiliare, mentre i vice procuratori onorari hanno in carico il 99,9 per cento delle udienze davanti ai giudici di pace, compreso quindi il fondamentale reato - sono ironica naturalmente - di immigrazione clandestina, e il 98 per cento di quelle celebrate innanzi al giudice monocratico. Stiamo parlando di reati, ad esempio, quali spaccio, rapina semplice, reati fiscali, lesioni e reati a mezzo stampa. È dunque innegabile che la magistratura onoraria non abbia più un ruolo complementare ed occasionale nell'amministrazione della giustizia. Si tratta di una magistratura al limite della costituzionalità, priva di una sia pur minima rappresentanza istituzionale che si muove in posizione ancillare rispetto a quella professionale ma con responsabilità e mole di lavoro non di rado ad essa comparabile. Qui si allude, beninteso, anche all'altra grossa fetta di magistratura onoraria costituita dai giudici di pace, la cui funzione e struttura dovrebbe trovare un nuovo assetto pure nella preannunciata riforma organica. Attualmente, sussistono diverse categorie di giudici onorari, con altrettanti diversi criteri di selezione, con diverse retribuzioni e diverse durate dei rapporti di lavoro, ma tutti improntati ad una precarietà non giustificata dalla qualità del servizio che svolgono; servizio che sempre più viene fornito con alto tasso di professionalità dai magistrati onorari. Ebbene, in questi ultimi anni, a fronte di questo preziosissimo lavoro svolto dai magistrati onorari, ci si è affannati a rifare e poi a rabberciare le norme sull'ordinamento giudiziario, senza alcun occhio di riguardo per la magistratura onoraria, la quale è sempre rimasta al palo. Di fatto, le continue proroghe hanno sempre confermato la tendenziale permanenza a vita della carica, in palese spregio all'originaria impostazione normativa di base. In realtà, le proroghe delle funzioni giudiziarie affidate ai GOT e ai VPO avrebbero dovuto essere funzionali al complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, a norma dell'articolo 106, comma 2, della Costituzione, cosa che nel passato non è mai avvenuta. Anzi, tramite il continuo meccanismo dei rinvii, una classe politica irresponsabile ha continuato ad affidare l'amministrazione della giustizia più minuta, ma anche più quotidiana e senza la risonanza dei a queste «Cenerentole», persone che si sobbarcano un lavoro improbo in mezzo a mille difficoltà e disservizi, peraltro in larghissima misura pendolari, viste le incompatibilità territoriali della maggioranza di loro, gli avvocati, e con compensi che, almeno se considerati da soli, non sarebbe esagerato definire da fame. Sono trattati, insomma, a livello di oscuro precariato cottimista, ove si consideri la forbice delle loro meschine indennità rispetto alla retribuzione elargita ai magistrati professionali. I GOT e i VPO, dunque, sottopagati e privi di tutela previdenziale, sono sempre stati trattati nel corso degli anni come un esercito di precari della giustizia, veri e propri lavoratori a cottimo tramite i quali la magistratura togata si è andata via via spogliando delle incombenze di minor soddisfazione, giungendo persino, talvolta, a delegare ad essi, in deroga alla normativa vigente, tutto il carico di lavoro del giudice monocratico. Al riguardo, pertanto, non possono non condividersi le istanze di carattere economico e previdenziale avanzate nel corso degli anni dalla magistratura onoraria. Bisogna, dunque, prima di tutto, rendere assolutamente equo il trattamento economico dei magistrati onorari di tribunale rispetto ai giudici di pace, anche perché crediamo che non possa assolutamente ignorarsi l'ingiustificata disparità di trattamento fra le due funzioni. L'unica soluzione possibile è aumentare il numero dei magistrati, anzi raddoppiarlo, perché di questo si tratta, se si contano i VPO e i GOT attualmente in servizio. La verità è che la magistratura onoraria andrebbe riformata, riconoscendo a queste persone, che da anni amministrano la giustizia per conto dello Stato, innanzitutto dignità e diritti anche economici. Sarebbe ora di aprire un dibattito sui problemi concreti del sistema giudiziario, magari dando voce anche a chi, come i magistrati onorari, ogni giorno va in aula con la toga per rispondere alla domanda di giustizia dei cittadini e lo fa senza la minima tutela giuslavoristica da parte di un sistema ipocrita a cui basta definire onorario un magistrato per trattarlo peggio di un Co.Co.Co e senza, peraltro, rinunciare ad usarlo come un lavoratore subordinato. Occorre una soluzione a regime che preveda nuove modalità di accesso e di retribuzione e che tenga conto anche della previdenza, così come giustamente rivendicato, fra gli altri, anche dalla Federazione dei magistrati onorari di tribunale, in particolare dal suo consigliere nazionale, la dottoressa Paola Bellone, in un'intervista apparsa sul settimanale dello scorso 17 dicembre. Signor sottosegretario, da più parti si dice che la magistratura onoraria, se opportunamente inquadrata, potrebbe essere il volano di un nuovo andamento dell'amministrazione della giustizia, avvicinando quest'ultima ai cittadini e assicurando la celerità del servizio in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Una cosa è certa - qui parlo a nome della delegazione radicale all'interno del gruppo del Partito Democratico - : preferiremmo che si tentasse di sopperire alle disfunzioni del nostro sistema giudiziario e del vuoto degli organici, non tanto attraverso il ricorso all'ausilio dei GOT e dei VPO, ma semmai attraverso l'immediato rientro nei ranghi dell'ordine giudiziario dei cosiddetti magistrati fuori ruolo. In Italia ci sono circa duecentocinquanta magistrati che in questo momento non esercitano il mestiere per cui sono pagati; duecento di questi sono stati destinati da una politica dissennata a svolgere funzioni non giudiziarie nei gabinetti dei Ministeri, all'estero e in altre istituzioni. Se è vero, come è vero, che l'organico dei magistrati effettivamente in servizio è carente sotto ogni punto di vista, si cominci a limitare o a cancellare il numero dei cosiddetti distaccati, visto e considerato che dati e ricerche recenti dimostrano che il fenomeno ha un'importanza quantitativa e qualitativa non secondaria. Solo ponendo freno nell'immediato a questa macroscopica sottrazione di risorse alla funzione giudiziaria, il problema dell'insufficienza degli organici potrà trovare una soluzione coerente con i nostri principi costituzionali, anche per quanto riguarda la separazione dei poteri.
. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, in risposta all'interpellanza dell'onorevole Bernardini, si precisa che l'articolo 245 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (come modificato dall'articolo 1 del decreto-legge 30 maggio 2008, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 127) stabilisce che le disposizioni dell'ordinamento giudiziario che consentono l'utilizzo di giudici onorari di tribunale e di viceprocuratori onorari si applicano fino a quando non sarà attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, e comunque non oltre il 31 dicembre 2009. La necessità di procedere alle revisioni delle vigenti disposizioni di ordinamento giudiziario che regolano l'impiego dei magistrati onorari costituisce sicuramente l'occasione per una più ampia rimeditazione del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria che coinvolga anche la figura del giudice di pace. Al riguardo, posso rassicurare gli interpellanti che, su impulso del Ministro della giustizia, è stato predisposto uno schema di disegno di legge per la revisione organica della disciplina della magistratura onoraria, che si muove lungo tre direttrici fondamentali: la predisposizione di uno statuto unico della magistratura onoraria, applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale ed ai viceprocuratori onorari; la rideterminazione del ruolo e delle funzioni dei giudici onorari di tribunale; la riorganizzazione dell'ufficio del giudice di pace, attraverso un intervento analogo a quello che, nel 1989, ha portato alla trasformazione delle preture mandamentali in sezioni distaccate delle neocostituite preture circondariali. Il Ministro della giustizia ha già iniziato ad illustrare i contenuti del disegno di legge in questione nella riunione del Consiglio dei ministri del 17 dicembre ultimo scorso; l'esame del disegno di legge proseguirà in una delle prossime riunioni del Consiglio. Nelle more, al fine di evitare, comunque, gli effetti pregiudizievoli paventati dall'interrogante, è stato presentato il decreto-legge del 29 dicembre 2009, n. 193, che all'articolo 1 dispone appunto la proroga, fino all'approvazione della riforma organica della magistratura onoraria e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2010, dei giudici onorari di tribunale e dei viceprocuratori onorari in servizio, per i quali non sia possibile procedere a conferma ai sensi dell'articolo 42-, primo comma, dell'ordinamento giudiziario.
. L'onorevole Bernardini ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, signor sottosegretario, credo che al momento non posso dichiararmi soddisfatta della sua risposta, poi vedremo cosa accadrà con questo disegno di legge che è, comunque, circolato. Ricordo che il gruppo del Partito Democratico, proprio su nostra sollecitazione, ha presentato questa interpellanza il 10 dicembre dello scorso anno. Sicuramente la risposta soddisfa per quel che riguarda la parte dovuta e scontata, ovvero la proroga. Tuttavia, le misure da lei richiamate non mi sembra che appaghino le esigenze della giustizia, né le rivendicazioni, alcune delle quali ritengo siano sacrosante, da tempo sostenute dalla categoria della magistratura onoraria. La misura della proroga di un anno delle funzioni di tutti i magistrati onorari, introdotta dal decreto-legge, il cui disegno di legge di conversione è in esame presso la Commissione giustizia, è una cosa già vista. Il Governo, presieduto dall'attuale Presidente del Consiglio, era già intervenuto tre volte, modificando il termine originario di cinque anni previsto dalla cosiddetta legge Carotti, che introduceva nell'ordinamento giudiziario la figura dei VPO e dei GOT, in attesa della riforma organica della categoria: con legge 26 febbraio 2004, n. 45, portandolo a sette anni; con legge 23 febbraio 2006, n. 51, portandolo a nove anni; con legge del 24 luglio 2008, n. 127, spostandolo al 31 dicembre 2009, non oltre tale termine. Dal 1998 ad oggi, dunque, tutti i Governi che si sono succeduti, nessuno escluso, hanno con continuità, progressivamente, differito il termine di cessazione delle funzioni di GOT e VPO, trasformando in tal modo in magistratura stabile una magistratura destinata, nelle originarie intenzioni del legislatore, a decadere dalle sue funzioni entro cinque anni dall'istituzione del giudice unico di primo grado, una volta dunque esaurito il suo ruolo di passaggio da un sistema all'altro. Così operando, la politica e, ancor prima, il Consiglio superiore della magistratura, pronto ad avallare ogni richiesta di nuovi magistrati onorari proveniente dai consigli giudiziari, hanno man mano consentito l'ingresso nelle file di questa magistratura onoraria di un numero sempre crescente di giovani laureati, oggi superiore per unità ai magistrati togati. D'altronde, è anche vero che questa ennesima proroga fosse quanto mai indispensabile, anche perché, senza di essa, l'intero apparato della magistratura onoraria, come abbiamo affermato, illustrando l'interpellanza, sarebbe venuto a perdere la base e, dunque, la propria legittimazione (e non si sarebbe trattato di una quisquilia per l'amministrazione della nostra giustizia, già così fortemente dissestata). Si pensi all'improvviso caos che verrebbe determinato dalla mancanza di magistrati per incombenze da tempo prefissate, caos che, per la verità, non si prospetterebbe poi tanto nuovo nell'andazzo anche recente delle disfunzioni quotidiane, ma assumerebbe proporzioni insostenibili, in considerazione della molteplicità e generalità dei gangli nei quali la magistratura onoraria si trova inserita. Tale proroga, dunque, è necessaria, signor sottosegretario, sempre che sia l'ultima e, quindi, funzionale al complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, a norma, come lei ha ricordato, dell'articolo 106, comma 2, della Costituzione. Su questo aspetto dobbiamo dare atto al Governo di avere annunciato la presentazione - lei ce lo ha confermato - di un disegno di legge di riforma della magistratura onoraria, ma questo disegno di legge, da quello che è dato apprendere, rischia di essere una replica della disciplina già contenuta nella cosiddetta legge Carotti, salvo - unica novità - la previsione di norme ancora più afflittive nei confronti di operatori già privi di ogni garanzia giuslavoristica. Si tratta di una riforma solo a parole, che non risponde allo stato dei fatti, ossia ad un effettivo riordino dei GOT e dei VPO, senza il quale la giustizia italiana potrebbe dichiarare bancarotta, tant'è vero che ha già suscitato aspre critiche perfino da parte dell'organismo unitario dell'avvocatura. Il disegno di legge, ad esempio, continua a prevedere un mandato a termine (quattro anni prorogabile una sola volta), ma esclude come titolo preferenziale per la nomina di magistrato onorario il titolo di avvocato, garanzia dell'avvenuto superamento di un esame di Stato e prevede un'incompatibilità assoluta con qualsiasi attività lavorativa dipendente, pubblica e privata e con l'esercizio della professione di avvocato a livello distrettuale. La previsione di questi vincoli risponderebbe, sì, all'esigenza di razionalizzazione del sistema, ma di per sé è incompatibile con il permanere di un mandato a termine, con l'attuale trattamento economico e con l'esclusione di tutte le garanzie giuslavoristiche. Di conseguenza, si avrà la nascita di una nuova categoria di magistrati, reclutati indirettamente per censo, e il pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione della giustizia, stante la dispersione di professionalità del magistrato dopo otto anni di servizio. Evidentemente, nel redigere questo disegno di legge, il Governo si deve essere accorto della sua incoerenza. Ciò accade laddove si dichiara, ad esempio, che lo Stato offre ai magistrati onorari la possibilità di svolgere una preziosa esperienza professionale, così attribuendo al periodo di esercizio delle funzioni giurisdizionali onorarie il significato di periodo formativo, vale a dire che non è vero il contrario, cioè che sono i magistrati onorari ad offrire allo Stato un lavoro prezioso. Signor sottosegretario, è ipocrita ed irresponsabile prevedere un periodo di formazione di otto anni, tanti ne prevede il disegno di legge, privi di qualsiasi sbocco professionale né nell'avvocatura, vista la rigida incompatibilità con la professione, né nella magistratura di carriera. Un sistema razionale dovrebbe prevedere, come necessariamente propedeutico, l'esercizio delle attuali funzioni onorarie in vista dell'ingresso nella magistratura di carriera, alla quale si accede invece attraverso un concorso puramente teorico e di massa, privo di qualsiasi esperienza lavorativa e di vita. Eppure, nel presentare questa proroga, signor sottosegretario, il Ministro della giustizia ha riconosciuto - cito letteralmente - l'ammirevole impegno e l'abnegazione con cui i magistrati onorari di tribunale contribuiscono in modo determinante al funzionamento della giustizia in Italia. Noi diciamo: ne tragga anche le conseguenze.
. L'onorevole De Torre ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00575, concernente politiche del Governo in materia di integrazione scolastica degli alunni con cittadinanza non italiana .
. Signor Presidente, l'accoglienza degli alunni immigrati nelle scuole di un Paese è sempre stato e sarà sempre una questione delicata e complessa. Lo dice l'esperienza di tanti Paesi europei che hanno avuto immigrazioni in tempi e in quantità ben superiori alla nostra, che anche oggi hanno un'immigrazione di adulti e di bambini nelle scuole molto superiore a quella dell'Italia, come la Germania, la Francia e l'Inghilterra in modo particolare. La circolare che questo Ministero ha emanato, che ho letto con cura, è stata un'opera di grande equilibrio tra le indicazioni dei vari gruppi politici, cosa che so non era assolutamente facile. Peraltro, devo dire con onestà che risponde bene e anche in continuità con quello che c'è stato nel passato, quindi voglio chiarire che questa interpellanza non è assolutamente né un attacco al Ministro né una critica alle azioni. Questa è la prima azione da quando questo Ministro siede sulla sua poltrona, la prima indicazione. Quindi, non è una critica, ma vuole esprimere una grande preoccupazione che ha il gruppo del Partito Democratico. Posso riassumere le preoccupazioni in questo modo. Innanzitutto, proprio perché l'accoglienza è qualcosa di complesso, non può risolversi solamente nell'inserimento nelle classi e nell'impartimento della lingua del Paese accogliente, ma deve essere inserita in linee guida forti, che abbiano dietro l'apporto solido di un sapere esperto ed esperienziale e l'apporto di ciò che in tutte le istituzioni scolastiche autonome e in tutti gli enti locali si è costruito in questo Paese. Ora questo manca ancora o meglio non è che manchi del tutto, perché sia il Ministro Moratti, nella primavera del 2004, sia il successivo Governo Prodi hanno emanato dei documenti importanti, decreti ministeriali che sono ancora documenti di riferimento per tutte le scuole. Però, non sappiamo se il Ministro Gelmini ha accolto queste indicazioni del Ministro Moratti e del Ministro Fioroni, non sappiamo in quali linee guida si colloca questa circolare del Ministro, in quanto è l'unica azione finora concreta che è stata emanata e non lascia intravederne altre. L'altra preoccupazione è per la ricchezza di tutte le esperienze che ci sono nel Paese, ed alcune sono di grande eccellenza, non dovute solamente ai docenti e alla dirigenza delle istituzioni autonome, ma spesso dovute ai comuni, alle province e alle regioni, e anche ai genitori. Nell'ultima presentazione della ricerca del CNEL sul settore dell'immigrazione, un papà raccontava che, quando a Torino, nel quartiere del centro, ad altissima immigrazione, con presenza altissima di alunni dentro quelle scuole, doveva iscrivere il figlio, si è interrogato con la moglie se inserire lì o meno il figlio, e hanno scelto di farlo, scoprendo, perché l'avevano visitata, una scuola con molte competenze e capacità. Bene, in questi anni, mentre il loro figlio è stato lì dalla prima alla quinta elementare, la situazione si è completamente capovolta, perché, mentre prima i genitori italiani portavano i figli altrove, adesso, via via, perché queste famiglie di origine autoctona si sono anche messe in rete, la situazione si è invertita, come sicuramente attesta anche l'esperienza dell'istituto comprensivo dell'Esquilino a Roma. Si tratta di esperienze e ricchezze talvolta confluite in accordi di programma con dietro competenze molto elevate. Ne cito due, ad esempio: quello della provincia di Parma, un accordo di programma che vede le istituzioni, il privato-sociale e l'università, la facoltà di lingue, con un sapere molto elevato per la presenza di un docente che lì opera, e il comune di Firenze. Quest'ultimo ha quattro centri per la scuola dell'obbligo: i genitori immigrati, quando devono ricongiungere un figlio, vanno in questi centri e concordano il momento in cui il figlio sarà ricongiunto nelle scuole dell'obbligo del comune di Firenze. Questa esperienza, che insegna l'italiano - non lo sto a raccontare - all'inizio e anche per due anni l'italiano per studiare, ha risolto una cosa che il Ministero non avrebbe mai risolto e non riuscirà mai a risolvere dagli uffici del palazzo del Ministero. Ha risolto il fatto che il ricongiungimento avvenga nel momento opportuno. L'altra preoccupazione è che non abbiamo visto proseguire qualcosa che era iniziato, e cioè un lavoro in Conferenza unificata, perché, come si sa, l'accoglienza e gli effetti positivi della presenza di alunni immigrati non si possono esaurire con il lavoro né delle sedi regionali del Ministero né delle istituzioni autonome. Occorre che vi siano gli enti locali e vi è poi anche tutto il tempo fuori, l'extrascuola, e i genitori, le famiglie, il lavoro, le politiche abitative, tutto quello che il Ministero da solo non può risolvere. Vorremmo, quindi, sapere se il Ministro intende arrivare a un accordo e a qualcosa in Conferenza unificata. Attendiamo la risposta che oggi ci darà il Ministro rispetto alle risorse vere, risorse di competenza, risorse di un comitato scientifico, risorse di come si fa ad insegnare la lingua, perché, anche qui, non si parte da zero. Il Ministro Moratti ha formato ben 700 docenti per insegnare l'italiano come seconda lingua, che non è come insegnare l'italiano o l'inglese o il tedesco ai bambini italiani; poi, questa cosa è proseguita, quindi saranno oltre un migliaio. Esiste una piattaforma per l'aggiornamento di tutti questi docenti e per proseguire la formazione degli insegnanti. Ora, voglio sperare che questo grande lavoro dei Ministri Moratti e Fioroni venga raccolto e che non siano altri insegnanti, perché così si aggiusta il quadro orario, ad insegnare, dando un'ulteriore frustrazione a persone che si sono specializzate fuori dell'orario di servizio. Tutto questo patrimonio sarà raccolto, verranno date risorse scientifiche di accompagnamento, verranno specializzate le persone che nelle sedi del Ministero si occupano di questo, verrà insegnato loro il lavoro o verranno accompagnati nel lavoro di rete? Soprattutto, verranno date risorse economiche? Attenzione, se uno studia bene tutti i il lavoro nei vari Paesi europei, che è ben più specializzato del nostro a questo punto, viene accompagnato da ingenti risorse che i Paesi europei mettono a disposizione. Attendiamo, quindi, con fiducia la risposta del sottosegretario, al quale so che mi accomuna una grande passione civile per il tema, però vorremmo avere fatti a questo punto. La scuola italiana anche per gli alunni immigrati ha scelto una sua via specifica che non esiste negli altri Paesi europei (in questo momento l'esperienza più avanzata è quella dell'Inghilterra, che pur manca di solide linee guida). La via italiana all'accoglienza degli alunni immigrati, al loro successo, al loro futuro, nasce da un'esperienza precedente: quella della scelta della scuola inclusiva compiuta da un grande Ministro dell'istruzione, Franca Falcucci, quando ispirando la legge n. 517 del 1977 accolse tutti gli alunni con disabilità in classe e disse in quel momento: la scuola cambierà; la scuola italiana è cambiata nel metodo, nella capacità di lavoro di di esperienza profonda per i ragazzi accanto a questi ragazzi con disabilità. Questa stessa esperienza ha fatto scattare qualcosa all'inizio, ma ora il Ministero deve saperla raccogliere e farne una riforma organica. I punti che hanno accompagnato questa riforma sono stati che la scuola è aperta a tutti, che tutti vanno a scuola insieme, che tutto è centrato sulla persona, ovvero sull'alunno e sulle loro famiglie e che la scelta è interculturale. Attenzione: non assimilazione come in parte ha scelto la Francia e non multiculturalismo come in parte ha scelto l'Inghilterra (abbiamo visto nel primo caso come i ragazzi delle non si sono assimilati perché non hanno visto un futuro davanti, e nell'esperienza dell'Inghilterra che i ragazzi che hanno compiuto gli attentati nella metro di Londra erano nati in Inghilterra, ma frequentavano scuole della loro etnia e non parlavano inglese). Noi non abbiamo scelto né l'assimilazione, né il multiculturalismo, abbiamo scelto l'intercultura, ciascuno con la propria identità forte nelle sue tradizioni, nelle suo coscienze, nella sua fede, nei suoi legami familiari, nella sua esperienza locale, ma nello stesso tempo aperto a conoscere la cultura degli altri, a poterla fare propria, a costruire insieme con gli altri una cultura che ingloba quella e l'altra; una cultura di un Paese che ormai è senz'altro multiculturale che unisce e fa vivere insieme. Se noi sapremo costruire tutto ciò dentro la scuola - non sto qui a citare tutti quelli che hanno citato questo aspetto - allora, come è successo con la Falcucci, cambierà anche la mentalità del Paese. Così come è cambiata la mentalità verso le persone con disabilità, oggi, se la scuola funziona bene, cambierà la mentalità verso le persone diverse con cui possiamo costruire dei legami forti. Questa è di certo la maggiore sicurezza per un Paese. Non solo, vi è un altro aspetto importante. La presenza di questi alunni immigrati ci farà cambiare il modo di insegnare, non solo le tabelle orarie, gli ordinamenti, e tutti questi aspetti importanti che il Ministro sta realizzando, cambierà il rapporto tra docente e discente. Oggi viviamo in un mondo globale sicuramente multiculturale, multivisivo, multi tutte le parole che abbiamo, ma proprio questo ci deve rendere forti con una capacità di leggere tutti questi segnali, con una capacità di intercultura profonda. Quindi, a nostro avviso, la cosa più importante a cui il Ministero deve mettere mano è l'intercultura dei saperi. Era cominciata un'esperienza in cui ciascuna disciplina era considerata per il suo aspetto interculturale (non della geografia, ma della matematica che è molto interculturale), vorremmo sapere se anche questa esperienza continuerà o meno. Grazie, attendiamo una risposta.
. Il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, l'elevata concentrazione nelle scuole e nelle classi di alunni con cultura, condizioni, situazioni di scolarizzazione e di apprendimento fortemente differenziate, soprattutto a causa delle barriere linguistiche, costituisce una delle più rilevanti cause di criticità da cui conseguono insuccessi scolastici, abbandoni, ritardi nei percorsi di studio per gli stranieri che arrivano nel nostro Paese. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno generalizzato e complesso con aspetti di criticità e di non facile gestione e soluzione. Per garantire un progetto educativo adeguato per tutti e favorire l'integrazione degli alunni stranieri nelle nostre scuole, con circolare n. 2, in data 8 gennaio 2010, sono state fornite indicazioni e raccomandazioni sull'accoglienza e sull'assegnazione degli alunni stranieri alle classi. Nella circolare è previsto che il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non superi di norma il 30 per cento del totale degli iscritti; un limite che viene introdotto dall'anno scolastico 2010-2011 in modo graduale e con alcune deroghe a partire dal primo anno delle classi prime della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado. D'altra parte già nel decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, all'articolo 45, è previsto che si deve evitare «comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri». Affinché l'inclusione degli alunni stranieri con cittadinanza non italiana si traduca in una positiva crescita loro e dell'intera comunità scolastica nella quale sono inseriti, sono state fornite specifiche misure organizzative, a sistematica integrazione di quelle già sperimentate con successo singolarmente da uffici scolastici territoriali, da comuni e da istituzioni scolastiche o reti territoriali. Ciò premesso in linea generale, in merito alla richiesta degli onorevoli interpellanti su come si intenda sostenere finanziariamente le scuole e gli insegnanti per i corsi di lingua e cultura italiana, si precisa che la citata circolare n. 2 del 2010 prevede esplicitamente che a tal fine dovranno essere destinati fondi ottenuti tramite la legge n. 440 del 1997, recante l'istituzione del fondo per l'arricchimento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi, sia attraverso una opportuna finalizzazione delle disponibilità previste per le aree a forte processo migratorio. La circolare, inoltre, più volte richiama i concetti relativi alla indispensabile e tempestiva concertazione tra le diverse istanze con enti locali, uffici scolastici regionali e territoriali, istituzioni scolastiche e organizzazioni pubbliche e private. Allo stesso tempo viene sottolineato il ruolo centrale che in tale concertazione sono chiamate a svolgere scuole polo «dedicate» e, in genere, le reti di scuole. Per quanto riguarda la formazione in servizio degli insegnanti sui temi dell'integrazione, vorrei ricordare che è allo studio una iniziativa di formazione per docenti e dirigenti di scuole multiculturali, da porsi in continuità con i precedenti appuntamenti dell'azione «Dirigere le scuole in contesti multiculturali» (Rimini, maggio 2007; Torino, novembre 2007; Milano, aprile 2008; Abano Terme, maggio 2008). È stato già organizzato, in collaborazione con l'ufficio scolastico regionale del Veneto, un seminario nazionale di formazione per 150 dirigenti di scuole con forti presenze di alunni stranieri e nei prossimi mesi è previsto un nuovo seminario nazionale di formazione, in collaborazione con l'ufficio scolastico regionale del Lazio. Relativamente alla richiesta su come sostenere in concreto le scuole nelle iniziative previste dalla circolare sia in orario curriculare, sia in corsi pomeridiani realizzati grazie all'ampliamento dell'offerta formativa, sia nei periodi in cui non si svolge la normale attività scolastica, si rileva che gli onorevoli interpellanti, mentre citano testualmente un passaggio della circolare, omettono di menzionare le altre opportunità richiamate dalla circolare stessa quali: la possibilità di utilizzare la quota di flessibilità del 20 per cento per corsi di lingua italiana di diverso livello (che prevedono una progressiva alfabetizzazione per gli allievi stranieri privi delle necessarie conoscenze di base e il recupero, mantenimento e potenziamento per tutti gli altri, stranieri e non); la partecipazione a progetti mirati all'insegnamento della lingua italiana come seconda lingua, utilizzando eventualmente risorse professionali interne o di rete offerti e/o organizzati dal territorio. Ricordo che sono già frequenti nelle scuole italiane buone pratiche che attuano i progetti e le iniziative suddette, specialmente nelle zone del Paese in cui i problemi connessi al fenomeno migratorio si presentano in termini più immediatamente cogenti. In merito a quanto richiesto dagli onorevoli interpellanti nell'ultimo punto dell'interpellanza in discussione, faccio presente preliminarmente che la circolare in oggetto ricorda più volte le finalità e le opportunità del nuovo insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione», in fase di avvio durante quest'anno scolastico anche attraverso una serie molto ampia e diffusa di articolati progetti sperimentali che mirano fra l'altro a fornire a tutti gli studenti le conoscenze e le competenze per apprezzare e condividere le regole fondamentali della convivenza e comprendere a fondo i principi dell'integrazione delle culture, della legalità e della democrazia. Vale la pena citare, per concludere, le principali iniziative in atto per l'integrazione degli alunni stranieri ed in particolare: il piano nazionale per l'insegnamento dell'italiano agli studenti stranieri di recente immigrazione; il programma «Scuole aperte» per l'anno 2009, del quale una parte è stata riservata a progetti di insegnamento dell'italiano a studenti di recente immigrazione; il finanziamento complessivo per il piano L2: 6 milioni di euro, ripartiti tra gli uffici scolastici regionali in ragione della popolazione scolastica con cittadinanza non italiana, con circa 1000 progetti presentati da scuole o reti di scuole, finanziati a livello nazionale, con finanziamenti aggiuntivi di enti locali (ricordo che per valutare gli esiti complessivi e valorizzare le migliori pratiche è stata convocata una conferenza di servizio dei referenti regionali del piano L2 per il 16 febbraio 2010); il nuovo protocollo d'intesa con l'associazione Opera nomadi (aprile 2009) finalizzato all'accoglienza e all'integrazione di allievi appartenenti alle popolazioni rom e sinti, sia di cittadinanza italiana sia di altre cittadinanze (anche in questo caso ricordo che, nei prossimi mesi, è in programma un seminario di formazione per insegnanti e dirigenti di scuole con alunni rom); il progetto nazionale «Tutte le lingue dello sport», realizzato in collaborazione con il Dipartimento per l'immigrazione del Ministero dell'Interno, finalizzato a valorizzare lo sport come linguaggio, come strumento facilitatore di apprendimenti linguistici e condivisione di regole (un progetto che prevede un finanziamento di 500 mila euro da parte del Viminale, attraverso fondi europei e che coinvolge scuole primarie e secondarie di Roma, Milano, Parma, Genova, Firenze, Ancona, Palermo); il progetto nazionale «Atlante on-line» (intercultura e geografia), di durata triennale, promosso dall'Osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri e coordinato dall'ufficio scolastico regionale del Piemonte, finanziato con 200 mila euro e finalizzato a riconsiderare la geografia alla luce delle nuove dimensioni del nostro tempo: l'intercultura e la multimedialità.
. L'onorevole Coscia, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, a me spiace dover esprimere la nostra insoddisfazione, non perché non condividiamo alcune delle cose che ha detto il sottosegretario, ma perché abbiamo ancora una volta assistito ad una sottolineatura di interventi in parte già avviati dal precedente Governo, come ad esempio l'unica misura concreta richiamata dal sottosegretario, che riguarda le risorse, cioè un investimento di 6 milioni di euro. Con riferimento a tale misura, in realtà - vorremmo capire meglio questo aspetto - vi è una strana coincidenza: il progetto di investire 6 milioni di euro, infatti, era stato attivato dal precedente Governo Prodi. Vorremmo capire se vi sono investimenti ulteriori e, soprattutto, se è vero quanto ha dichiarato il Ministro Gelmini, e cioè che vi sarebbero 20 milioni di euro, di cui non si parla nella risposta del sottosegretario, che sarebbero investiti da questo Governo per portare avanti il citato programma. Signor sottosegretario, abbiamo anche notato - lo diceva la collega De Torre nell'introdurre l'interpellanza in oggetto - che esiste una differenza sostanziale tra ciò che la circolare prevede nel suo complesso, con un'impostazione, in gran parte, anche condivisibile, e la comunicazione che il Governo ha fatto, attraverso un comunicato che, semplicemente, afferma che il problema si risolve prevedendo il tetto del 30 per cento. Ciò fa emergere la contraddizione di questa maggioranza, in cui la Lega ha sostenuto, ed ha continuato a sostenere, una linea secondo cui gli stranieri vengono ancora considerati tali. Pertanto, la questione è la seguente: introdurre misure più restrittive possibile, anche quando si affronta un tema delicato che riguarda l'inclusione dei bambini, oppure perseguire - come affermava la collega De Torre - la linea dell'inclusione, dando un segnale forte? Nel comunicato stampa si parlava del tetto del 30 per cento. Questa è la comunicazione che è stata data, attivando una discussione di e di contro, di sapore ideologico, che niente, invece, ha a che vedere con i problemi veri che le scuole stanno affrontando. Lo stesso fenomeno che riguarda il superamento della citata quota del 30 per cento viene ricondotto ad un numero di scuole di poche centinaia, per le quali andrebbe realizzato un progetto specifico di accompagnamento. Allo stesso modo, è accaduto che, ahimè, spesso, alcune scuole - che ha citato la collega De Torre - hanno fatto da sole, insieme agli enti locali. Penso all'esperienza romana dell'Esquilino, dove la presenza numericamente rilevante di migranti ha creato, ovviamente, un impatto inizialmente difficile, al punto che le famiglie autoctone - come affermava la collega - non iscrivevano più i loro bambini alle scuole del luogo. In seguito, un lavoro importante di inclusione, di integrazione e di partecipazione delle famiglie a questi progetti ha fatto sì che le scuole, che inizialmente avevano avuto un impatto difficile, sono diventate dei punti di eccellenza in tutta Italia. Quindi, la situazione che tanto si enfatizza è molto circoscritta. Se si vuole sinceramente perseguire la linea dell'inclusione e dell'intercultura, tali situazioni sono assolutamente riconducibili ad una possibilità di governo del problema nella giusta direzione. Il nostro rammarico si riferisce alle risposte che abbiamo avuto: mancano questa filosofia e questa convinzione di fondo, ma, soprattutto, manca l'idea di voler governare questo processo e di voler investire risorse. Oltre alla citata circolare, la prima circolare che è stata indirizzata alle scuole è stata quella relativa alle indicazioni per formare i bilanci ed il programma annuale. Il senso anche di tale circolare è stato di dire: arrangiatevi, in un quadro in cui si riducono le risorse destinate alle scuole. Si tratta di circa 200 milioni di euro in meno (anzi, molto di più) rispetto all'anno scorso per il funzionamento delle scuole. Signor sottosegretario, tutti gli aspetti che lei ha sottolineato nella risposta - cioè, che bisogna mettere in campo le risorse che le scuole già hanno, che è necessario costruire una rete, eccetera - si inquadrano, invece, in una situazione in cui non vi sono soldi e sono stati fatti tagli a quel personale che aiutava esattamente ad andare in questa direzione. Penso, in modo particolare, al taglio delle cosiddette compresenze, ossia a quelle ore in più che consentivano alle scuole - soprattutto quelle dove vi sono problematiche e difficoltà - di utilizzare quegli insegnanti e quelle ore in più, proprio per portare avanti questi programmi. Pertanto, quella circolare è datata: fa riferimento alla possibilità di utilizzare e riorientare risorse delle scuole che, ahimé, non vi sono più e che, anzi, non solo non vi sono, ma vengono tagliate, mettendo in discussione anche la possibilità di portare avanti l'attività didattica ordinaria. Occorre, dunque, un'inversione di rotta, almeno per quanto riguarda queste situazioni bene individuate: sono, infatti, dati che lo stesso Ministero conosce perfettamente per il lavoro fatto dai precedenti Governi, a partire dal Ministro Moratti, dal Ministro Fioroni e dal lavoro che il Ministero sta continuando a fare; sono dati che si conoscono e, al di là della questione complessiva riguardante i tagli, bisogna almeno lavorare per sostenere ed accompagnare questi progetti, i quali devono andare nella direzione dell'inclusione e dell'integrazione, e non fare demagogia su un tema così importante e delicato .
. L'onorevole Graziano ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00567 concernente la crisi industriale della società Selfin Spa .
. Signor Presidente, la Selfin Spa è una società fondata nel 1989 dall'Ibm Italia, la quale opera nel settore della progettazione e realizzazione di sistemi informativi e applicativi per il mercato pubblico e privato, con sede a Caserta e filiali a Cagliari, Roma e Palermo. Quest'azienda per quasi vent'anni ha realizzato utili significativi, rappresentando un punto di riferimento di eccellenza per il sistema industriale, in particolare per quello campano. La caratteristica principale di questa società è il fatto di aver beneficiato, sin dalla sua nascita, di professionalità altamente qualificate, che le hanno garantito nel corso degli anni clienti del settore pubblico e di quello privato di assoluta rilevanza, tra i quali, tanto per fare qualche esempio, l'ENEL, il gruppo FIAT, la Telecom, la Presidenza della Repubblica, l'Istituto superiore della sanità, ministeri e banche. Nella sua attività, la Selfin si è costantemente contraddistinta per essere riuscita a soddisfare la sua clientela con prodotti in linea o addirittura superiori agli standard di mercato, sviluppando importanti e innovative soluzioni tecnologiche. Ora, purtroppo, la storia e l'immagine di questa azienda si consegnano ad essere, io direi, un caso lavoro: un esempio di gestione imprenditoriale drammaticamente negativa. Selfin non è figlia della crisi, ma è figlia di una gestione privata, priva di un piano industriale, e irresponsabile. I primi problemi sorgono nel 2004, quando Selfin è oggetto da parte di Ibm di una prima fusione con un'altra azienda di proprietà di quest'ultima, denominata Industria per il . La decisione, secondo la dirigenza dell'epoca, è motivata dalla volontà di creare un polo di eccellenza nel Mezzogiorno, di proprietà Ibm. A seguito di tale scelta, vengono trasferiti centinaia di dipendenti Selfin della sede di Roma alla società gemellata, denominata Sistemi informativi, avente lo stesso consiglio di amministrazione e lo stesso amministratore delegato di Selfin Spa, dopo la fusione con Industria per il . Nello stesso anno, Ibm Italia procede ad impiegare circa 13 mila dipendenti, di cui una buona parte in aziende dalla stessa controllate. La quota di forza lavoro impiegata al Sud, di conseguenza, raggiunge una percentuale irrisoria, nonostante i continui e ingenti finanziamenti per progetti di vario titolo e natura. Naturalmente, vorrei ricordare, questa prima incomprensibile scelta di fusione è fortemente contestata anche a livello sindacale. Di lì a breve, Ibm chiede e ottiene la dichiarazione di esuberi e la conseguente applicazione della cassa integrazione per le due società di sua esclusiva proprietà - Sistemi informativi (con oltre 2 mila dipendenti al centro-Nord) e Selfin Spa (con 400 dipendenti al Sud) - nonostante i loro bilanci. Nell'illustrazione dei dati di di Ibm Italia, tradizionalmente riferiti ogni trimestre, Selfin Spa e Sistemi informativi risultano tra le aree di minore perdita del gruppo Ibm. Alla fine del 2004, Ibm, dopo aver usufruito dei fondi per il Mezzogiorno, decide la cessione di Selfin Spa di Caserta, che rappresenta il 50 per cento della forza lavoro di Ibm nel meridione, a Met Fin Sas. La richiesta della direzione generale della di aumentare gli utili di Ibm Italia è alla base di un'ulteriore, incomprensibile e ingiustificata decisione di soddisfare le direttive della multinazionale, dismettendo soltanto la parte del Mezzogiorno di Ibm Italia per ragioni di equilibrio interno alle linee manageriali della società, e non anche di Sistemi informativi che ad oggi risulta ancora di proprietà di Ibm Italia. Si tratta, quindi, di una penalizzazione solo - guarda caso - per i lavoratori del Meridione, nonostante i fondi ottenuti proprio per l'occupazione al Sud. All'indomani della vendita le organizzazioni sindacali e la regione Campania fanno presente all'allora Ministero delle attività produttive i rischi per i livelli occupazionali e i destini industriali di un'azienda di eccellenza nel settore delle tecnologie avanzate in relazione ai problemi finanziari del gruppo Met Fin Sas. Di fatto, a pochi mesi dall'acquisizione da parte di quest'ultima, si porgono in essere gravissimi comportamenti da parte della società, come il mancato pagamento di stipendi e contributi fino alla dichiarazione di insolvenza, nel luglio 2005, da parte del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con richiesta di accesso alle procedure di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999, cosiddetto Prodi-. Con l'avvio della procedura di amministrazione straordinaria si giunge ad esperire due gare per l'assegnazione di Selfin Spa ad una nuova proprietà da parte dell'organismo commissariale. Nel 2006, nei mesi di crisi più acuta dopo la vendita di Selfin Spa a Met Fin Sas, a favore di Selfin Spa è siglato dai commissari un contratto di sostegno con Ibm del valore di circa 30 milioni di euro, di durata triennale, per garantire la completa occupazione in Selfin Spa. Oggi, la nuova proprietà dichiara che il suo mancato rispetto sia alla base della richiesta di cassa integrazione guadagni ordinaria. Intanto, la procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere procede all'arresto per bancarotta fraudolenta del titolare di Met Fin Sas, presidente del consiglio di amministrazione di Selfin Spa, e di due consiglieri di amministrazione di quest'ultima. Nel 2007, a seguito del secondo bando di gara, Selfin Spa, con circa 130 dipendenti, viene acquistata dal gruppo Comdata Spa. Il contratto di sostegno passa da 30 a 50 milioni di euro per una durata che passa da tre a cinque anni, a supporto dell'attività di rilancio di Selfin Spa. A tal proposito mi pare importante ricordare che, pur non sussistendo evidenti difficoltà, tale contratto ha impegnato un numero esiguo di risorse senza però andare a regime, nonostante avrebbe potuto rappresentare l'opportunità per Selfin Spa di rientrare su clienti storici di primaria importanza. A partire dall'acquisto di Selfin Spa da parte del gruppo Comdata, la situazione si è normalizzata almeno fino al mese di aprile 2008, quando l'azienda ha dichiarato le prime difficoltà economiche. Nonostante le difficoltà e la crisi, il gruppo Comdata ha proseguito sulla via dell'espansione industriale sia nell'ambito del sia nell'ambito dell', mediante varie acquisizioni. Al termine del periodo di vigilanza previsto dal decreto legislativo n. 270 del 1999 (cosiddetto Prodi-, nel mese di febbraio 2009, l'azienda decide unilateralmente di interrompere qualunque trattativa sindacale e richiede per l'intero anno l'applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria a rotazione a zero ore sul 35 per cento della forza lavoro complessiva di Selfin Spa, per un ammontare di migliaia di ore e con un costo a carico della collettività di più di un milione di euro. Ma le sorprese, purtroppo, non finiscono. Presso il Ministero dello sviluppo economico, infatti, viene richiesto alla proprietà di fornire un convincente piano industriale, per una definitiva prospettiva di Selfin Spa nell'ambito di Comdata. Alla fine del 2009 l'assemblea dei soci di Selfin Spa invece delibera, a sorpresa e senza concordare alcun passaggio con le rappresentanze sindacali, la messa in liquidazione volontaria dell'azienda, nominando quale amministratore unico e liquidatore il dottor Generoso Galluccio, con successiva mancata erogazione delle spettanze del mese di ottobre e la richiesta di procedura della cassa integrazione straordinaria per liquidazione per tutti i 170 dipendenti. La situazione di crisi è gravissima e al momento causa di grande tensione sociale, vista la messa in cassa integrazione straordinaria unilaterale di 85 dipendenti della sede di Caserta e di solo 2 unità della sede di Roma a partire dall'11 gennaio 2010 e senza alcun accordo sindacale stipulato presso il Ministero del lavoro. Evidenti e gravi appaiono le responsabilità di IBM prima e di Comdata poi a danno del Mezzogiorno, dei lavoratori della Selfin Spa, delle loro famiglie e di una corretta logica di sviluppo industriale, nonostante le ingenti risorse pubbliche ottenute da IBM in questi anni e il numero impressionante di acquisizioni societarie operate da Comdata negli ultimi tre anni, operazioni che hanno visto la stessa duplicare il fatturato e raggiungere 6 mila dipendenti. È certamente altrettanto evidente che negli anni la convocazione di continui tavoli presso il Ministero competente senza ulteriori interventi non ha impedito il verificarsi di questo drammatico epilogo e oggi oltre che in Selfin Spa vi è la paventata e concreta possibilità che siano messi irrimediabilmente a rischio migliaia di posti di lavoro in società riconducibili al gruppo Comdata Spa, con ripercussioni sulle loro famiglie e su di un'industria di eccellenza. Alla luce di quanto esposto, intendo chiedere al Governo quali azioni ritenga intraprendere con urgenza - perché il tema è veramente molto sentito - nei riguardi di Comdata Spa, per garantire l'immediato ritorno alla gestione ordinaria rispettando gli impegni assunti, ivi compreso il pagamento delle spettanze a tutti i lavoratori, fino alla identificazione di una nuova soluzione industriale in grado di tutelare tutti i dipendenti. In secondo luogo, intendo chiedere quali azioni urgenti ritenga di intraprendere nei confronti di IBM affinché la società ponga in essere, nel più breve tempo possibile, ogni azione utile, ivi compreso il riassorbimento delle maestranze, garantendo il reinsediamento nel Mezzogiorno di un'industria di eccellenza intorno alla quale far ripartire una sana logica di sviluppo industriale. In terzo luogo, intendo chiedere quali misure e interventi ritenga di assumere per scongiurare la chiusura di Selfin Spa in liquidazione volontaria per garantire un futuro, per ora quanto mai incerto direi, per la sopravvivenza dell'azienda e per il destino dei lavoratori e delle loro famiglie. Inoltre, chiedo se il Governo ritenga convocare immediatamente tutte le parti interessate, al fine di definire il piano di uscita da questa difficile situazione di crisi. Queste richieste evidenziano - e sono state da me convintamente rappresentate - lo sconcerto, l'angoscia e la rabbia dei lavoratori in cassa integrazione che si aspettano ben altre determinazioni da parte della proprietà, sia sotto il profilo dei progetti industriali, sia sotto il profilo organizzativo.
. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Stefano Saglia, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, l'onorevole Graziano ha già raccontato con completezza quale sia la storia di questa vicenda e non la ripeterò. Per sommi cenni, ricordo che la Selfin è una società per azioni fondata da IBM e poi ceduta in proprietà alla Melfin e, in seguito, alla Met Sviluppo. Nel 2005 è stata ammessa ad usufruire dei benefici previsti dal decreto sull'amministrazione straordinaria delle aziende in crisi - il cosiddetto «Prodi » - e in seguito, nel 2007, Selfin Spa è stata acquisita dal gruppo di Torino Comdata Spa. Il periodo di monitoraggio dei commissari straordinari sugli adempimenti gravanti sull'acquirente, ai sensi del decreto citato, e relativi al mantenimento per un biennio delle attività imprenditoriali e dell'occupazione ha avuto termine lo scorso febbraio. Fino a tale data i commissari hanno dichiarato di aver riscontrato il corretto adempimento delle obbligazioni assunte da Comdata. In tempi successivi un insieme di fattori, tra i quali sicuramente la crisi, la recessione e soprattutto la risoluzione della commessa per 50 milioni di euro in cinque anni con IBM, hanno indotto l'azionista unico Comdata alla nomina di un liquidatore, anche per la crisi finanziaria che la proprietà aveva dichiarato. Il gruppo torinese ha quindi espresso la volontà di dismettere l'ex stabilimento dell'IBM di Caserta. Il Ministero dello sviluppo economico ha attivato, fin dal luglio scorso, un tavolo di confronto con le parti coinvolte dalla vertenza. L'ultima di queste riunioni si è tenuta il 14 dicembre scorso e la proprietà della Selfin non si è presentata al Ministero. Il Ministero ha rilevato quindi il comportamento di Comdata, richiamandola alle sue responsabilità, che non possono dirsi concluse con la messa in liquidazione della Selfin. Le organizzazioni sindacali hanno lamentato il mancato pagamento degli stipendi del mese di ottobre, di cui è stato elargito solo il 25 per cento e hanno dichiarato di aver chiesto al liquidatore della Selfin di posticipare l'incontro previsto al Ministero del lavoro per discutere del ricorso alla cassa integrazione fino al necessario chiarimento sul pagamento degli stipendi arretrati. A conclusione dell'incontro il Ministero dello sviluppo economico si è impegnato a verificare la disponibilità di Comdata a corrispondere al liquidatore le finanze necessarie a garantire il pagamento degli stipendi e la ripresa dell'attività, in un'ottica di cessione dell'intero perimetro aziendale. Attualmente risultano saldate quasi interamente le spettanze di ottobre. Il Ministro dello sviluppo economico, quindi, continuerà a seguire con particolare attenzione l'evolversi di questa crisi. Nella specifica problematica, quindi, tenterà di favorire ove possibile sia una rimodulazione dell'accordo tra Comdata e IBM, sia l'intervento di nuovi imprenditori interessati all'importante patrimonio di competenze professionali presenti nello stabilimento Selfin. Il confronto con le parti sta proseguendo e si svolgerà presso il Ministero del lavoro proprio oggi alle 15 un nuovo incontro per discutere delle questioni relative alle ricadute occupazionali, nonché del ricorso alla CIGS per crisi aziendale. Sarà quindi cura del Ministero tenere informato l'interrogante dell'evolversi della situazione ed anche della giornata di oggi.
. L'onorevole Graziano ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario, tuttavia devo registrare ancora una difficoltà da questo punto di vista. Vediamo cosa accade in questo tavolo di oggi pomeriggio, però guardate che qui il tema diventa veramente della politica industriale che vogliamo attivare in questo Paese in qualche modo, perché questo è un settore di eccellenza. Non stiamo parlando di condizioni per le quali c'è una crisi dovuta a condizioni di vecchia industrializzazione e di mancato sviluppo o innovazione. È l'esatto inverso e allora questo è il tema. Quindi, penso che non si possa non rilevare quello che è stato il comportamento che definirei deprecabile della società, in virtù del fatto che il gruppo Comdata ha acquisito la Selfin forte di un contratto quinquennale con IBM di 50 milioni di euro. Questo è il tema fondamentale: infatti, c'è il lavoro, c'è un progetto di eccellenza e non si capisce come sia possibile immaginare che non ci sia una risposta adeguata a questo tema. I 50 milioni di euro sono stati proprio a garanzia del rilancio produttivo della Selfin - perché questo è il tema - che ad oggi non c'è stato ed, anzi, ha portato crisi, cassa integrazione e posti di lavoro a forte rischio. L'acquisizione della Selfin non ha avuto salde ragioni industriali e per questo ora sono di nuovo i lavoratori a patirne le conseguenze e direi anche un territorio nel suo complesso perché questo veniva considerato un gioiello. La storia delle società ovviamente evidenzia episodi e comportamenti che, in poco tempo, hanno portato alla distruzione di questo gioiello, come ho detto, che occupava, non più di un decennio fa, oltre 500 addetti. I programmi di Comdata erano allettanti perché funzionali, innovativi, perché rispondevano alle esigenze della clientela ed altrettanto erano allettanti le promesse che purtroppo, devo dire, sono rimaste solo tali, di scommettere sul sito di Caserta per formare un centro di eccellenza nel campo dell' e un punto di riferimento strategico per tutti gli operatori del settore, ma dal punto di vista nazionale e internazionale. Quello di oggi è un epilogo, a mio avviso, abbastanza drammatico e difficilmente prevedibile all'inizio, visto che quando Comdata rilevava l'azienda, si era assicurata commesse per 10 milioni di euro l'anno per cinque anni da parte della casa madre. Per l'ennesima volta in un settore di alta specializzazione, il Mezzogiorno, già criticamente compromesso, rischia - a causa della scellerata azione della proprietà di IBM prima e Comdata poi - di perdere un significativo presidio industriale. Quello di Comdata, che decide la liquidazione della società unilateralmente, senza concordare alcun passaggio con le rappresentanze sindacali, a mio avviso, è un comportamento da condannare ed è per questo che chiedo in modo chiaro al Governo di nuovo di dirlo anche al tavolo di oggi pomeriggio, illustre sottosegretario. Infatti, è privo di moralità, non riesce a contrastare il pensiero di chi dice che - una volta finite la agitazioni statali - poi si abbandona il campo. Alla luce di questo, voglio esprimere il mio rammarico per le scelte finora compiute sulla vicenda, non solo da parte della proprietà ma - lo dico - anche da parte del Governo, perché c'è bisogno di attenzione rispetto ai lavoratori, alle famiglie, al territorio, alla Selfin, azienda per la quale si dovrebbe far decollare un piano industriale capace di garantire continuità e rilancio per il sito di Caserta. Le preoccupazioni, che a questo punto è giusto e doveroso sottolineare, riguardano due esigenze fondamentali: garantire l'integrità dell'azienda e tutelare i livelli occupazionali. Sono due priorità che debbono essere parallelamente garantite. Su entrambe le istanze, io chiedo al Governo di essere parte attiva ancora di più. Penso che su questo ci sia bisogno anche di essere forti e decisi. Va bene il tavolo tecnico, ma io penso che bisogna assumersi la responsabilità politica di non aver contribuito alla ricerca di una soluzione industriale reale e praticabile, in grado di superare la procedura di liquidazione di un'azienda che non ha riportato perdite e che ha ancora contratti di fornitura da parte di importanti multinazionali di informatica, senza spezzettamenti. Del resto le sollecitazioni rivolte in tal senso al Ministero dello sviluppo economico negli ultimi giorni sono state tante, a conferma di un ampio interessamento sociale e sindacale alla vicenda. Mi riferisco al cardinale di Torino, Monsignor Poletto, al vescovo di Caserta, Monsignor Farina, al segretario generale della CGIL, Epifani, alla segretaria generale confederale Camusso, al segretario provinciale della CGIL, Colamonici e potrei citarne tanti altri. Qui è in gioco un modello di programmazione economica sul territorio, affidata in ultima istanza a mere operazioni contabili. Qui è in gioco il destino di 170 famiglie, la tenuta del tessuto industriale, il modello di sviluppo, una strategia che punti a restituire identità e qualità a competenze e professionalità espressione del territorio. Dico al sottosegretario - e, quindi, di conseguenza al Ministro - che Selfin non è figlio della crisi. Lo dico con molta chiarezza e chiedo per questo che ci sia un modulo di gestione che non sia privo di un piano industriale, ma di una gestione industriale aziendale che fino ad oggi si è resa irresponsabile e su questo chiedo al Governo di non restare a guardare.
. L'onorevole Viola ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00568, concernente orientamenti del Governo circa l'individuazione di siti idonei alla realizzazione di centrali nucleari .
. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, di questo argomento si fa un gran parlare e l'interpellanza nasce proprio dal fatto che ciò avviene fuori dalle sedi deputate. Abbiamo appreso nel mese di dicembre (questa interpellanza risale appunto al 15 dicembre) dalla stampa che si stavano cominciando ad individuare una serie di siti, o quantomeno a definire le loro caratteristiche, per l'installazione delle centrali nucleari. Così come il Ministro Scajola ha ripetutamente annunciato, il Governo vuole realizzare ciò sulla base di un progetto, peraltro - questo sì - dichiarato ripetutamente nei programmi e dall'inizio dell'attività di questo Governo. Orbene noi sappiamo che nel fare questa proposta il Governo ha messo alcuni paletti già molto importanti. Questi paletti di fatto si stanno concretizzando con alcuni - non vorrei usare un'espressione eccessiva - al percorso democratico di costruzione di questa scelta. Essa è sì una scelta amministrativa che riguarda una risposta almeno parziale ai problemi energetici del nostro Paese, ma deve tener conto del dibattito che c'è stato nel passato in Italia: non possiamo fare a meno di citare la vicenda referendaria che aveva escluso l'uso del nucleare nel nostro Paese. Per il dibattito che ha coinvolto in maniera molto larga i cittadini ci pare si debba far sì che l'azione del Governo sia attenta ad evitare che si innalzino barricate che molto spesso scelte così importanti, se non condivise, facilmente generano. Solo dalla stampa abbiamo appreso che ci sono siti possibili in molte parti d'Italia: da Borgo Sabatino, a Trino Vercellese, a Caorso, sedi peraltro storicamente note, a cui si aggiungerebbero aree di nuova scelta. Penso ad esempio a quanto si è scritto ampiamente sulla stampa nazionale, sul ad esempio, con la scelta di individuare un sito nel Veneto, nella zona del delta del Po, in particolare nell'area di Chioggia, stando alle voci. Dico questo perché evidentemente non c'è stata da questo punto di vista alcuna smentita formale. L'amministratore delegato dell'ENEL ha detto che sa quali sono i siti, ma non li dirà. È evidente che ci stiamo avvicinando ad una fase elettorale delicata, però da questo punto di vista è altrettanto evidente che noi dobbiamo cercare di avere la maggiore trasparenza possibile. Ecco il motivo di questa interpellanza, sottoscritta da molti parlamentari di tutt'Italia del Partito Democratico, al di là di altre valutazioni. Ieri è stata svolta un'interrogazione a risposta immediata durante il alla quale ha risposto il Ministro Vito, che ha detto alcune cose sullo stesso argomento ma, al di là delle dichiarate volontà del Governo, è bene che su questo tema ci sia la maggiore trasparenza possibile. Lo dico anche rispetto all'azione stessa del Governo, proprio perché su questo tema ci possa essere poi una condivisione di tutti i soggetti interessati. Per questi motivi attendo di sapere quali sono ad oggi - è passato un mese dalla presentazione di questa interpellanza - le reali intenzioni del Governo su questo tema, soprattutto sull'individuazione dei siti.
. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Stefano Saglia, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, anzitutto ringrazio gli interpellanti perché ci consentono ulteriormente, nella solennità dell'Aula di questa Camera, di ripetere alcune considerazioni che peraltro sono già state rese pubbliche. Personalmente affermo anche in questa sede che non vi è alcuna mappa dei siti all'interno dei quali saranno realizzate le centrali elettronucleari, perché il punto non è questo. La ripresa dello sfruttamento dell'energia nucleare nel nostro Paese è un programma articolato, complesso, che parte dalla costruzione di un'architettura normativa. L'architettura normativa è frutto della legge n. 99 del 2009, per la cui approvazione è trascorso più di un anno all'interno delle Aule parlamentari: il testo così come era stato immaginato da una norma di delega è stato modificato in maniera significativa anche dal dibattito parlamentare. Da questa delega discendono alcuni provvedimenti, tra i quali il più significativo è il decreto legislativo proposto al Consiglio dei Ministri e approvato il 22 dicembre. Tale decreto è ora all'attenzione delle Commissioni parlamentari di Camera e Senato e della Conferenza unificata Stato-regioni. Vorrei dire che in ordine a tale aspetto vi è una novità importante nel decreto legislativo, perché, oltre a tutti i provvedimenti di carattere amministrativo e legislativo, si affronta anche un argomento che, nel corso del dibattito parlamentare sulla legge n. 99 del 2009, era stato denunciato in particolar modo come un fatto negativo da parte dell'opposizione, quello relativo appunto al rapporto con i territori e con le regioni. Con il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri si stabilisce chiaramente che l'intesa con la regione interessata da un impianto nucleare è condizione necessaria per la realizzazione di tutto il processo autorizzativo. Questo, a mio modesto parere, dovrebbe anche indurre alcune regioni che hanno ritenuto di fare ricorso alla Corte costituzionale a riflettere sugli elementi che le hanno spinte a ricorrere. Vorrei poi entrare nello specifico dello schema del decreto legislativo per anticipare anche quello che sarà il dibattito all'interno delle Commissioni. Questo schema di decreto legislativo disciplina la definizione dei criteri per la localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi. Definisce anche le procedure autorizzative, i requisiti degli operatori e le misure compensative per la popolazione, le imprese operanti nel territorio circostante il sito e gli enti locali interessati. Ciò per dire che stiamo costruendo, lo ripeto, l'architettura normativa e autorizzativa per la realizzazione degli impianti. Perché dico che non c'è una mappa dei siti? Perché non ci sarà neanche tra un anno la mappa dei siti. Il percorso autorizzativo, infatti, è affidato all'istanza di una domanda che deve essere formulata dall'operatore, in base alle regole che sono stabilite da questo schema di decreto legislativo e dai provvedimenti successivi. Pertanto, dai criteri e dalle caratteristiche che emergono da questo decreto legislativo si può predisporre una mappa dell'Italia, individuando le macroaree che sono idonee, secondo il Governo, ad ospitare una centrale, ma non certo a localizzare un singolo sito o un singolo comune perché, lo ripeto, ne verremo a conoscenza nel momento in cui un operatore dichiarerà la disponibilità a realizzare un impianto e chiederà al Governo di certificare questo sito secondo le regole. Si aggiunge, quindi, che il Governo, con questo provvedimento, ha fissato i criteri per la localizzazione dei siti che ospiteranno gli impianti, ha posto le basi legislative per una maggiore garanzia della sicurezza degli stessi, per la tutela della salute della popolazione e la protezione dell'ambiente, e dunque, come dicevo, non quello di stilare un elenco. In questa interpellanza si fa dunque riferimento ad un elenco che a noi appare inappropriato. Infatti, il percorso sarà il seguente: l'Agenzia per la sicurezza nucleare, che è stata istituita dalla legge n. 99 del 2009, definisce soltanto i parametri relativi alle caratteristiche ambientali e tecniche cui devono rispondere le aree del territorio nazionale per essere idonee ad ospitare un sito nucleare, sulla base dei contributi e dei dati tecnico-scientifici predisposti da enti pubblici di ricerca, e dunque anche dalle università. Tali parametri saranno successivamente approvati dal Governo, unitamente al documento programmatico sulla strategia nucleare, sulla base di una procedura di consultazione pubblica ed istituzionale che coinvolgerà tutti gli enti ed i soggetti interessati, nonché della valutazione ambientale strategica, agli esiti delle quali i parametri suddetti dovranno essere adeguati. Solo dopo il completamento di tale procedura potrà avvenire, secondo lo schema del decreto, l'individuazione dei siti, peraltro ad iniziativa, come dicevo, e sulla base di specifica richiesta da parte dell'operatore. Spetterà poi, quindi, all'Agenzia l'esame della rispondenza dei siti proposti ai criteri ed ai parametri individuati e la conseguente certificazione degli stessi, che sarà successivamente sottoposta dal Governo all'intesa con la regione interessata e con la conferenza unificata, ai fini dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio delle centrali, nel rispetto del principio di una leale collaborazione tra i vari livelli territoriali di governo.
, . Nel decreto vi è anche la costituzione di un Comitato per la trasparenza e la consultazione, all'interno del quale vi saranno tutte le autorità locali di varia importanza che avranno modo di monitorare tutto il percorso. Siamo perfettamente consapevoli che questa è una scelta impegnativa che si può giudicare positivamente o negativamente, come è giusto che sia in una normale dialettica democratica. Tuttavia, certamente la precondizione per la realizzazione di questo piano è la trasparenza, la comunicazione e l'assoluta garanzia di sicurezza del percorso messo in atto. Quindi, al di là di quelli che possono essere alcuni atteggiamenti strumentali, siamo convinti che anche all'interno delle Commissioni parlamentari si potrà svolgere, sulla base di queste considerazioni oggettive, un dibattito proficuo, non tanto e non solo per ribadire le posizioni legittime di contrarietà o meno di questo progetto, ma anche per rendere il percorso il più sicuro e il più trasparente possibile per i cittadini e per lo sviluppo del nostro Paese.
. L'onorevole Viola ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario, ma restano tutte le perplessità nonostante il tentativo di rassicurazione sulle varie questioni di trasparenza. Innanzitutto, perché, dopo un mese dalla sua emanazione o approvazione in Consiglio dei ministri, ancora non c'è dato di conoscere gli estremi del decreto legislativo proposto. Il provvedimento ci viene annunciato, siamo andati alla sua ricerca ma non lo abbiamo trovato; soprattutto si dice che di fatto non sono stati individuati dei siti, ma sono stati individuati dei criteri, quindi individuate in qualche misura delle aree. In ordine a questi criteri, il sottosegretario ci dice che la problematica dovrebbe essere all'attenzione delle Commissioni, ma faccio parte della Commissione ambiente in cui ancora la discussione di ciò non è stata annunciata. Questo è un indice di una distonia nell'azione del Governo. Anche se il sottosegretario non potrà più rispondermi, presumo che la questione sia stata attribuita magari alla Commissione attività produttive, ma stiamo parlando dei criteri per l'installazione di siti che sono prevalentemente di tipo ambientale. Il fatto inoltre che le Commissioni ambiente di questo ramo del Parlamento o del Senato non vengano coinvolte in questo processo è indice di un difetto nell'istruttoria di questo progetto. In ogni caso, non è che dal vecchio programma nucleare italiano le condizioni ambientali siano cambiate, in quanto sostanzialmente i criteri sono legati alla presenza di corsi d'acqua, alla non sismicità del territorio, alla presenza di parchi e quant'altro. Insomma, c'è già una mappa in tal senso e ci sono già delle aree individuate a cui noi torneremo quando si comincerà a lavorare concretamente su questo tema. L'effetto di questi annunci ha prodotto, peraltro, sui territori una serie di che stanno creando un fortissimo disagio tra la popolazione. Vengo dal Veneto e ho citato la questione veneta perché lì c'è l'unico presidente della regione che non ha fatto nessun ricorso e che ha detto che la sua regione andava bene. Tuttavia, quando la notizia è apparsa sulla stampa, ha fatto una clamorosa marcia indietro. Prima il presidente diceva che tutte le aree della sua regione possibili e individuabili ai fini dell'intervento erano disponibili, poi ha fatto marcia indietro. Lo stesso rappresentante del Governo in Veneto, ovvero il Ministro Zaia ora candidato alla regione, dice: No, mai in Veneto, ma poi viene approvata la legge n. 99 del 2009, citata prima dal sottosegretario, nella quale è prevista la nomina dei commissari che bypassano l'eventuale opposizione degli enti locali. La disposizione non è stata citata, quindi non sono in grado di capire, ma di fatto è una dei capisaldi della legge n. 99. Ora si dice che si consulteranno le regioni, si predisporrà un tavolo regionale, ma di fatto di fronte a quell'opposizione resta l'arma del commissario. Sottolineo tutte queste cose perché in una dialettica tra Governo e Parlamento penso che sia giusto evidenziare queste cose che lasciano in una coltre di nebbia fitta il progetto in quanto tale. Certo, resta l'obiettivo finale, ma abbiamo fortissime riserve sull'avvio di questa procedura rispetto ai tempi e agli strumenti attuali, ossia i reattori di terza generazione. Resta tutta la nostra perplessità: come ha affermato prima il sottosegretario, la vicenda si attiverà nel momento in cui l'operatore, di fatto, individuerà e avvierà le procedure per l'installazione delle nuove centrali. L'operatore in Italia si chiama Enel ed il presidente Conti ha detto alla stampa, con grande tranquillità, di avere già individuato i siti. C'è anche un problema di connessione tra la volontà del Governo, affermata in Aula, di tentare di rendere il processo il più trasparente possibile ed il fatto che questo processo non è reso trasparente da quello che dovrebbe essere l'operatore naturale del percorso. Da questo punto di vista non posso dirmi soddisfatto della risposta e, soprattutto, invito il Governo a provvedere immediatamente e con urgenza, nelle sedi competenti, rispetto al percorso dell'individuazione dei siti, che costituisce la madre di tutte le battaglie su questo tema. La vicenda elettorale che ci apprestiamo a vivere condiziona i processi, ma le condizioni ambientali per individuare ed installare i siti ci saranno il 20 marzo come il 25 aprile, non cambieranno. Bisogna, quindi, avere il coraggio e disporsi al confronto con i cittadini, senza far finta che si possa rimandare il processo. Da questo punto di vista, saremo vigili e segnaleremo i percorsi scorretti che sono stati individuati e ci auguriamo di prendere visione quanto prima dello schema di decreto legislativo approvato da più di un mese dal Governo, per poter capire quali siano le reali condizioni che si devono prefigurare per l'individuazione dei siti.
. L'onorevole Bellotti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00572, concernente iniziative nei confronti di Ferrovie dello Stato per garantire alle città di Ferrara e Rovigo un adeguato servizio di alta velocità sulla tratta Venezia-Roma .
. Signor Presidente, il diritto alla mobilità è un presupposto fondamentale per lo sviluppo di qualsiasi territorio e per garantire ai cittadini la possibilità di una libera circolazione sull'intero territorio nazionale. Secondo il nuovo orario dei servizi di trasporto ferroviario, in vigore dal 14 dicembre 2009, con particolare riferimento al sistema dell'alta velocità Venezia-Roma, le città di Rovigo e Ferrara e, in parte, anche la provincia di Padova risultano pesantemente penalizzate dai nuovi orari che in larga parte considerano le due città come punto di passaggio e non come stazione di fermata per il servizio passeggeri. La natura delle Ferrovie dello Stato, come soggetto esercente un servizio pubblico, imporrebbe a questa azienda, di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze - e, quindi, finanziata dallo sforzo di tutti i cittadini - di non basare le proprie scelte su ragioni esclusivamente economiche, ma anche sulla necessità di consentire collegamenti frequenti, specie nelle zone del Paese che risultano maggiormente isolate. Rovigo e Ferrara, infatti, non dispongono di collegamenti aeroportuali sufficienti e accessibili e ai loro cittadini, in alternativa al treno, resterebbe soltanto il mezzo privato. Non si può che valutare negativamente, quindi, un ridimensionamento del servizio che vede per di più un rialzo consistente delle tariffe. Basti pensare che nel corso degli ultimi anni le corse di andata verso Roma, sia da Rovigo sia da Ferrara, erano sei, mentre, nel giro di pochi anni, si sono ridotte a quattro, per poi essere solamente due. Oltre alla riduzione delle corse, vi è stato un aumento del costo del servizio, perché fino a poco tempo fa un biglietto di seconda classe costava 53 euro, mentre oggi costa 61 euro: in prima classe vi è stato un aumento di cinque euro, contro gli otto della seconda classe. Quindi, la decisione mostra peraltro una chiara intenzione da parte di Trenitalia di disattendere platealmente quanto comunicato al Parlamento nel novembre 2007, quando l'allora Viceministro dei trasporti, Cesare De Piccoli, dichiarava, in risposta ad un'interpellanza sottoscritta da molti deputati del Veneto e dell'Emilia Romagna: «l'assicurazione che il Ministero dei trasporti comunque ritiene di fornire riguarda la disponibilità ad attivarsi con i soggetti delle realtà di Rovigo e Ferrara per promuovere un confronto finalizzato ad una cooperazione e ad un coordinamento più stretti per la soluzione delle problematiche evidenziate nell'interpellanza, ivi compresa la possibile modifica delle proposte originarie, a condizione che si possa dimostrare un'adeguata domanda da parte dell'utenza, e il reperimento di ulteriori risorse pubbliche che si rendessero necessarie, ovviamente nell'ambito delle specifiche competenze istituzionali». Inoltre, la decisione di un forte ed ulteriore ridimensionamento delle fermate a Ferrara e Rovigo, invece, non è stata concordata con alcun ente territoriale, né con la rappresentanza di questi territori. Quindi, chiediamo al Governo se intenda intervenire nei confronti delle Ferrovie dello Stato per ripristinare le fermate nelle stazioni di Ferrara e Rovigo per i convogli ad alta velocità della tratta Venezia-Roma in un numero almeno doppio a quelle attualmente previste dall'orario delle Ferrovie dello Stato in vigore al 14 dicembre 2009. Inoltre, sempre per quanto riguarda la mobilità, approfitto per rappresentare anche in quest'Aula una situazione per certi aspetti imbarazzante, in quanto l'argomento mobilità e ferrovie è stato toccato da 292 interrogazioni di rappresentanti della Camera e da ben 139 al Senato. Quindi, purtroppo ripetiamo sempre le stesse cose. Credo che ci sia anche la necessità di richiamare le Ferrovie dello Stato alla responsabilità nei confronti di chi comunque rappresenta i cittadini. Vorrei segnalare, inoltre, i gravi disagi che hanno avuto i cittadini nell'ultimo periodo, nel mese di dicembre, con il freddo e qualche nevicata. Non oso pensare come la transiberiana negli anni sia potuta arrivare fino ad oggi. Quindi, credo che da una parte vi siano sicuramente gli investimenti, che sono importanti per il potenziamento delle strutture, ma quando il cittadino si trova magari nella stazione ferroviaria ad attendere un treno ad alta velocità, ma anche un treno normale, che in molti casi è pure sporco e ha problemi tecnici, che se poi andiamo a vedere sono minimali rispetto alla portata complessiva degli investimenti delle Ferrovie dello Stato, c'è da fare qualche riflessione approfondita.
. Il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, in relazione all'atto parlamentare sopra citato, riguardante i collegamenti ferroviari Eurostar tra Rovigo e Ferrara e Roma, nel riferire quanto comunicato da Ferrovie dello Stato, si specifica che il servizio in questione viene operato dalla società ferroviaria in regime di mercato e, quindi, fuori dal contratto di servizio vigente con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Trenitalia opera, quindi, tali servizi in autonomia commerciale senza contributi diretti da parte dello Stato. Tanto premesso, si rappresenta che, con l'orario del 13 dicembre 2009, è stata attuata una riorganizzazione complessiva del sistema Eurostar Roma-Venezia, anche per utilizzare pienamente le notevoli opportunità offerte dai recenti interventi infrastrutturali quali il raddoppio della linea Verona-Bologna e il completamento della tratta Firenze-Bologna. I suddetti Eurostar sono diventati Frecciargento, cioè treni veloci che devono assicurare un collegamento rapido tra le stazioni che servono i bacini di traffico di maggiori dimensioni, sulle quali confluiscono, in un sistema a rete, i flussi dai centri intermedi, considerandosi, altresì, che i servizi Frecciargento sono effettuati da Trenitalia in regime di mercato e devono pertanto garantire un rapporto equilibrato tra costi e ricavi, in quanto non ricevono alcuna contribuzione pubblica. Conseguentemente, è stato anche ridefinito il numero delle fermate previste, tenendo conto, soprattutto, dei volumi di passeggeri espressi da ciascuna di esse e rilevati attraverso il sistema informatico di prenotazione di Trenitalia. Dai dati di frequentazione registrati nel 2009, in particolare, per ognuno degli Eurostar precedentemente programmati risultavano mediamente in arrivo/partenza da/per Roma circa 11 passeggeri al giorno su Rovigo e circa 18 passeggeri al giorno su Ferrara. Si tratta, pertanto, di un livello di frequentazione ridotto, che non consentiva il mantenimento della precedente dimensione di offerta. La copertura dei bacini di Rovigo e Ferrara è stata, comunque, assicurata da una partenza mattutina e da una pomeridiana per ciascuna direzione (4 treni), che coprono il tragitto con Roma rispettivamente in 2 ore e 58 minuti e in 2 ore e 46 minuti, con una riduzione notevole dei tempi di percorrenza rispetto al precedente orario. A questi treni si aggiungono 4 collegamenti Intercity diretti e numerose altre opportunità di viaggio con cambio a Bologna, i cui tempi di percorrenza sono in alcuni casi inferiori a quelli dei precedenti Eurostar diretti, previsti sino allo scorso 13 dicembre.
. L'onorevole Bellotti ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, come facente parte di questa coalizione di Governo, ovviamente non posso che dichiararmi soddisfatto, con alcune correzioni, che esprimo, approfittando della presenza del sottosegretario. Credo che sia importante da parte del parlamentare fare delle osservazioni e riportare le necessità del territorio - anche le interpellanze hanno questo significato - però credo, altresì, che sia necessario, di fronte alla presentazione di questi problemi territoriali, che non ci si limiti a ricevere le note informative delle Ferrovie dello Stato, perché, ovviamente, esse difendono se stesse. Non c'è dubbio che il dirà di stare facendo, nelle condizioni date, le cose migliori che può fare in base alle risorse, ma augurerei che vi fosse anche un intervento un po' più «agonistico» da parte del Governo nei confronti delle Ferrovie dello Stato. Infatti, i problemi ci sono, non solo sulla tratta di Rovigo e Ferrara. Parlavo prima di 292 atti parlamentari che riguardano le Ferrovie dello Stato: non è poca cosa, vuol dire che c'è un problema di fondo e c'è anche una mancanza di relazione e di confronto con quei territori. Le questioni si possono risolvere parlandone, con il confronto, ma se non c'è il confronto, se non c'è la buona volontà, magari, di sentire le rappresentanze territoriali parlare di quelle che possono essere le opportunità, ma anche i tanti limiti che, purtroppo, mancando gli Eurostar, questi territori dovranno subire, non è utile. Faccio un esempio: siamo le province più deboli, per certi aspetti, del Veneto, la provincia di Rovigo, e quelle di Ferrara per quanto riguarda l'Emilia Romagna, ma siamo delle province che comunque hanno delle apicalità importanti e che oggi vivono un momento particolarmente forte e positivo. Penso solo alle grandi infrastrutture nel settore dell'energia, al terminal gasiero della provincia di Rovigo, probabilmente alla stessa riconversione in tempi brevi della centrale di Polesine Camerini; penso anche a Ferrara, con il flusso turistico associato, magari, al Parco del Delta della provincia di Rovigo. Ci sono delle realtà assolutamente importanti e gli operatori turistici di entrambe queste parti delle regioni fanno riferimento soprattutto ai trasporti. Oggi, Roma è molto più lontana per questi territori che non hanno minimamente la possibilità di confrontarsi. Nel giro di tre anni, le sei corse di andata previste per Roma sono state ridotte a due, dopo che era stato affermato che sarebbero state riviste in positivo (invece, da sei siamo passati a quattro e poi a due). Credo che il prossimo intervento sarà quello di dire poiché le Ferrovie dello Stato devono ragionare da azienda privata, poiché le province di Rovigo e di Ferrara sono piccole ed economicamente inconvenienti, togliamo gli Eurostar. Ritengo che non sia una risposta accettabile da parte di questo Governo, perché esiste una democrazia di rappresentanza dei territori che anche le Ferrovie devono rispettare. Facendo parte di questo Governo, la mia risposta non può che essere di stimolo e di sostegno al Governo affinché faccia in modo di poter correggere questa situazione e di poter avere degli incontri con le rappresentanze locali e con il delle Ferrovie, per cercare di trovare una soluzione equa.
. L'onorevole Causi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Veltroni n. 2-00563, concernente modalità di attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Lazio di cui è cofirmatario.
. Signor Presidente, questa interpellanza nasce dall'allarme lanciato alcune settimane fa dagli amministratori regionali del Lazio che sono in attesa, perlomeno erano in attesa allorché questa interpellanza fu depositata a metà del mese di dicembre, di almeno quasi 4 miliardi di euro di trasferimenti dello Stato, nell'ambito del rientro dai disavanzi sanitari di quella regione. Gli amministratori regionali del Lazio hanno lanciato un allarme perché, in assenza di questi trasferimenti, l'intero sistema della finanza regionale di quella regione, non soltanto quella sanitaria, rischia di andare in gravissima difficoltà. Questa è una vicenda molto lunga che l'interpellanza contribuisce a ricostruire. È una vicenda che comincia, e che ha il suo apice, nella prima metà di questo decennio (quindi, tra il 2000 e il 2005), quando si accumularono in modo consistente, e tra l'altro del tutto poco trasparente, degli ingenti disavanzi sanitari venuti alla luce soltanto tra il 2005-2006: il disavanzo del 2003 fu di 735 milioni di euro; quello del 2004 di 2.048 milioni di euro; quello del 2005 di 1.881 milioni di euro. Non fu soltanto sbagliato in quella stagione (legislatura del 2000-2005), in cui ricordiamo governava la regione il centrodestra, non aver tenuto sotto controllo i conti di competenza del settore sanitario, fu anche sbagliato dare delle risposte meramente finanziarie al divario tra competenza e cassa nel settore sanitario. Si trattò di risposte basate su operazioni di degli ospedali, su operazioni di anticipazione bancaria, di dilazione dei pagamenti, di fattorizzazione, di cessione di crediti futuri. Il combinato disposto della crescita reale dei disavanzi (ovvero della spesa non sotto controllo) e di risposte soltanto finanziarie date in quei cinque anni portò al fatto che lo del debito emerso accertato fu di circa 10 miliardi di euro. Fu varato allora, in data 28 febbraio 2007, un piano di rientro la cui copertura fu garantita, non soltanto da trasferimenti statali, ma anche da un rilevante sforzo fiscale e finanziario della stessa regione. Dal 2006 in poi, quindi, da quando il piano di rientro è in funzione, abbiamo quattro elementi positivi di cui dobbiamo dare atto e che dobbiamo ricordare. Anzitutto è stato coperto tutto il vecchio debito, quello transatto e quello non transatto, grazie ad un prestito dello Stato e grazie a fondi aggiuntivi erogati dallo Stato. In secondo luogo, è stato posto uno stop alla formazione del nuovo debito: dal 2006 in poi e quindi 2006, 2007, 2008 e 2009, la regione ha totalmente e integralmente coperto i disavanzi - ripeto - non soltanto con contributi statali, ma facendo rilevante ricorso allo sforzo fiscale locale della comunità amministrata tramite i tributi propri e le addizionali. Le famiglie e le imprese del Lazio, la comunità locale, dal 2006 in poi pagano quasi un miliardo di euro di tasca loro per contribuire alla copertura integrale del finanziamento della sanità. In terzo luogo, è stato ridotto il deficit, portato da 2,2 miliardi di euro nel 2006 a 1,35 nel 2009, così come certificato dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal subcommissario apposito e, quindi, vi è stata una riduzione, una contrazione di circa 850 milioni di euro del deficit corrente in quattro anni. Infine, così come certificato dalle relazioni svolte dal subcommissario e anche dai verbali dei tavoli di verifica MEF-regione, sono stati raggiunti rilevanti obiettivi di risanamento. È stato rispettato il blocco del al 90 per cento; sono state avviate e in alcuni casi concluse le procedure di gara per la centralizzazione degli acquisti; la spesa farmaceutica convenzionata a carico del sistema sanitario regionale è diminuita tra il 2008 e il 2009 del 6 per cento. Si è proceduto alla revisione dei contratti e delle tariffe per la fornitura dei servizi da parte degli enti accreditati con percentuali di avanzamento molto elevato e ciò nonostante numerosi fornitori abbiano avviato su questo tema rilevanti contenziosi in sede amministrativa. Il tema che solleviamo con la presente interpellanza urgente è relativo alla condizionalità dei trasferimenti dallo Stato alle regioni dentro il sistema del piano di rientro. Caro Viceministro Vegas, lei avrà letto la nostra interpellanza urgente ed è chiaro che noi aderiamo in pieno alla filosofia del piano di rientro. Non a caso abbiamo anche introiettato quel tipo di filosofia del piano del rientro, con il voto favorevole anche dei gruppi dell'opposizione, nella legge n. 42 del 2009, ad esempio nei procedimenti per il piano di conseguimento degli obiettivi di convergenza e nella nuova legge di contabilità e finanza pubblica. È chiaro dunque che se c'è un ente locale e regionale che devia e chiede quindi il supporto di una autorità sopradeterminata, lo Stato, per un piano di rientro, questo ente locale regionale si deve sottomettere a qualche elemento di condizionalità: è il vincolo esterno che serve a fare le politiche di risanamento e di efficienza. Riteniamo inoltre, Viceministro, che nel caso specifico del deficit del piano di rientro della regione Lazio questa condizionalità vada esercitata da parte del Governo nazionale con molto giudizio e con molta responsabilità. Infatti, per quanto riguarda in particolare il trasferimento dei fondi derivanti dallo sforzo fiscale della comunità amministrata e, quindi, dei fondi derivanti dall'addizionale IRPEF che sono soldi pagati dalle famiglie e dalle imprese del Lazio per le quali lo Stato fa da esattore e semplicemente deve attribuirli alla regione, non si tratta di trasferimenti di competenza dello Stato: sono soldi di competenza della regione e pagati dalla comunità amministrata. Per quanto riguarda queste cifre noi riteniamo che la condizionalità del piano di rientro debba essere esercitata con grande responsabilità. All'inizio di dicembre esisteva uno scarto di più di due miliardi di euro, 2,2 miliardi di euro, pagati tramite addizionali da cittadini ed imprese del Lazio e che lo Stato sta tenendo per sé, senza darli alla regione. Noi riteniamo che, aldilà dei possibili quesiti che si potrebbero porre a livello quasi costituzionale, su questo c'è un punto politico. Abbiamo cioè una comunità regionale, quella del Lazio, che anche in forza del fatto di esprimere la seconda più ampia base fiscale nazionale (infatti la prima base fiscale è quella della Lombardia ma la seconda è quella del Lazio) anche in forza di questo si è caricata fra il 2006 e il 2010 nell'ambito del piano di rientro di un rilevante sforzo fiscale. Questi soldi devono essere dati velocemente e in tempi rapidissimi alla regione, affinché questa comunità amministrata, dopo che ha sopportato i costi del risanamento, non debba sopportare ulteriori costi per i mancati trasferimenti delle somme da parte dello Stato. Certo credo anche che nell'ambito del piano di rientro della sanità del Lazio occorra pure evitare di penalizzare un'amministrazione che ha risanato, perché l'amministrazione di centrosinistra attualmente uscente dalla guida della regione Lazio ha risparmiato 850 milioni, ha ridotto il deficit sanitario di 850 milioni di euro. Lungi da noi pensare, o meglio vogliamo non pensare che nelle vicende degli ultimi mesi occorra ricorrere ad un'interpretazione politica, quasi che, essendo l'attuale Governo di una maggioranza diversa da quella dell'amministrazione regionale uscente, l'attuale Governo volesse in qualche modo punire o penalizzare l'amministrazione regionale uscente. Non vogliamo dare questa interpretazione e diciamo anzi al contrario che l'amministrazione regionale uscente non va penalizzata per lo sforzo che ha fatto. Voglio anche ricordare che le difficoltà di cassa della regione Lazio, che derivano dai mancati trasferimenti da parte dello Stato, si scaricano in modo molto pesante sul sistema delle imprese della regione, aggravando la crisi già in atto, e sul sistema degli enti locali. Infatti i primi a soffrire sono gli enti che a loro volta devono ricevere i soldi dalla regione. Già il sistema degli enti locali del Lazio ha sofferto molto: voglio ricordare il caso del più grande comune del Lazio, il comune di Roma, che è andato in difficoltà finanziaria tra il 2007 e il 2008 proprio e soprattutto in ragione dei mancati trasferimenti da parte della regione Lazio per tutti gli anni 2006, 2007 e per gran parte del 2008. Vi è un tema - e qui concludo, signor Presidente e signor viceministro - anche relativo al futuro della comunità amministrata di Roma e del Lazio. Con i firmatari dell'interpellanza urgente in esame riteniamo - ma credo che questo possa essere un desiderio a cui tutti quanti i gruppi politici di questo Parlamento possano aderire - che gli amministratori del Lazio debbano e abbiano diritto ad avere garantito un futuro più sereno di quello che hanno avuto in questi anni. Chiunque dovrà governare il Lazio nei prossimi anni dovrà poterlo fare riducendo l'assillo finanziario che a partire dal 2006 questa regione ha avuto per effetto dei gravi danni compiuti dall'amministrazione che ha governato la regione fra il 2000 e il 2005, l'amministrazione di centrodestra, che governando la regione fino al 2005 ha fatto andare fuori equilibrio i conti della sanità. Non voglio concludere con un aspetto politico, ma certo ritengo - lo dico e lo ribadisco - che l'attuale amministrazione regionale uscente del Lazio ha compiuto sul fronte del risanamento della finanza sanitaria uno sforzo storico ed è giusto dargliene atto. Ma il punto che solleviamo con l'interpellanza urgente in esame è un punto se volete più politico, non istituzionale: i cittadini e le imprese del Lazio pagano ogni anno circa un miliardo di euro di addizionale IRPEF sulla loro base fiscale per risanare i conti sanitari. Noi riteniamo che questi soggetti (cittadini e imprese del Lazio), che stanno pagando per l'incapacità dell'amministrazione 2000-2005, ma comunque in un quadro in cui oggi il sistema è avviato seriamente verso il risanamento, non possano essere chiamati a pagare due volte. Infatti se poi questi soldi pagati dai cittadini e dalle imprese del Lazio restano nelle casse centrali e non vanno nelle casse della regione, la regione non paga i fornitori, non paga i comuni e si deve ulteriormente indebitare per anticipazioni e per pagare più interessi e quindi paradossalmente una comunità locale, come quella del Lazio, chiamata ad esercitare un sforzo fiscale rilevante per il risanamento sanitario, potrebbe essere costretta a pagare due volte. Sollevo questo tema e come ripeto è chiaro che ha una rilevanza politica importante in una stagione pre-elettorale, ma è anche un tema che ha attinenza con le riforme istituzionali che abbiamo avviato in questa legislatura, soprattutto sul fronte del federalismo fiscale, perché la condizionalità dei trasferimenti statali all'interno delle procedure condivise di rientro, ovvero dei piani per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica condivisi, deve stare molto attenta a calibrare la forza delle punizioni che lo Stato può comminare alle amministrazioni delle regioni, a seconda che queste punizioni si esercitino su fondi di competenza statale trasferiti ovvero invece su fondi che derivano dallo sforzo fiscale locale delle comunità amministrate, tramite tributi propri e addizionali. Questo aspetto relativo alla condizionalità dei piani di rientro è più generale ed emerge nel Lazio, più che in altre regioni, perché - come, sicuramente, il Viceministro sa - nelle altre regioni, che sono più deboli dal punto di vista della base fiscale, il grosso dei piani di rientro è pagato dallo Stato, ma nel Lazio ciò non avviene. Nel Lazio, lo Stato ha dato un contributo importante, ma un contributo altrettanto, e forse, più importante, è stato dato dalle addizionali IRPEF pagate dai cittadini e dalle imprese. Questi fondi vanno trasferiti, in modo molto veloce, dallo Stato alla regione.
. Saluto gli studenti del Liceo Ginnasio statale Gabriele D'Annunzio, di Pescara, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune . È evidente, che siamo nella fase finale dello svolgimento delle interpellanze urgenti, in cui sono presenti il firmatario o il cofirmatario dell'interpellanza che illustrano, ed il rappresentante del Governo, che è chiamato a rispondere all'interpellanza urgente. Successivamente, il deputato firmatario o cofirmatario avrà la possibilità di dichiararsi soddisfatto o meno della risposta che il Governo ha dato all'interpellanza urgente. Il Viceministro dell'economia e delle finanze, Giuseppe Vegas, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, come è noto, l'erogazione delle spettanze residue a titolo di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, pari a circa 1.730 milioni di euro, è subordinata, ai sensi dell'ordinamento vigente, alla verifica positiva degli adempimenti previsti dal piano di rientro. Ove la regione non adempia agli obblighi del piano, come è avvenuto per la regione Lazio, sono sospese le erogazioni delle quote di maggior finanziamento del Servizio sanitario nazionale (quote premiali del finanziamento ordinario, fondo transitorio di accompagnamento ai piani di rientro e concorso statale al ripiano dei disavanzi sanitari). L'articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 154 del 2008, ha previsto la possibilità, con deliberazione del Consiglio dei ministri, di erogare in tutto o in parte le quote di finanziamento condizionate alla verifica positiva degli adempimenti in favore delle regioni sottoposte piani di rientro e soggette a commissariamento per l'attuazione degli stessi. Tale possibilità è subordinata al verificarsi di due condizioni date dalla situazione di emergenza finanziaria nella regione e dall'adozione, da parte del commissario per l'attuazione del piano, di provvedimenti significativi in termini di effettiva e strutturale correzione degli andamenti della spesa sanitaria. Ai sensi del citato decreto-legge, le deliberazioni del Consiglio dei ministri che hanno autorizzato pagamenti in favore di regioni sottoposte ai piani e commissariate, hanno fissato l'entità del pagamento in proporzione alla manovra correttiva effettivamente realizzata, rispetto alla manovra complessiva da realizzare. La regione Lazio si è, peraltro, avvalsa di questa possibilità e, a seguito dei risultati delle riunioni di verifica del 26 novembre 2008 e del lo aprile 2009, il Consiglio dei ministri, in data 28 novembre 2008 e 22 maggio 2009, ha disposto in favore della regione stessa l'erogazione, rispettivamente, di 1.300 milioni di euro ed 828 milioni di euro. In particolare, la delibera del 22 maggio 2009 prevedeva anche la possibilità per la regione di accedere all'erogazione di un ulteriore importo di 337 milioni di euro, subordinatamente alla verifica positiva da parte dei tavoli tecnici dei provvedimenti commissariali di modifica ed integrazione degli atti che presentavano criticità. Nella riunione di verifica tecnica tenutasi il 4 agosto dell'anno scorso, relativamente alla possibilità di erogazione della predetta quota residua di 337 milioni di euro, i tavoli tecnici hanno valutato che non sussistevano i presupposti per procedere al pagamento in favore della regione, ferma restando la sospensione dell'erogazione dei restanti 1.400 milioni di euro circa, in funzione della mancata completa realizzazione della manovra strutturale di contenimento dei costi prevista dal piano di rientro. Solo per inciso, faccio presente che i tavoli tecnici non sono tavoli governativi, ma sono tavoli a cui partecipano anche le regioni. Quindi, sotto questo profilo, qualunque retropensiero che vi sia un approccio politico è inesistente: è prevista la presenza del complesso delle regioni e, quindi, si assiste ad una pluralità politica che toglie ogni dubbio sul fatto che non si proceda in modo esclusivamente tecnico. Successivamente, il 10 novembre e il 10 dicembre 2009, si sono tenute le riunioni dei tavoli tecnici, nel corso delle quali non sono emerse novità rispetto alla situazione riscontrata il 4 agosto. Con riferimento alle manovre fiscali regionali su IRAP e addizionale regionale all'IRPEF, faccio presente che, per quanto riguarda l'anno d'imposta 2007, a fronte dell'indicata somma da parte della regione di 373 milioni di euro, il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato sta procedendo, come per tutte le regioni interessate, al pagamento del saldo della manovra, pari a circa 357 milioni di euro, sulla base del dato consuntivato dal competente dipartimento delle finanze a novembre 2009; per l'anno d'imposta 2008, la somma indicata dalla regione in 936 milioni di euro è da rideterminarsi in circa 870 milioni di euro, sulla base del dato stimato dal dipartimento delle finanze. Rispetto a tale ultimo importo, il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato sta erogando alla regione tutte le quote affluite in tesoreria nel 2009 - parte dell'IRAP e l'intero gettito dell'addizionale regionale all'IRPEF - per un importo pari a circa 465 milioni di euro. Ciò in attuazione delle disposizioni recate dall'articolo 77- del decreto-legge n. 112 del 2008, che prevedono, a decorrere dall'anno 2009, il trasferimento alle regioni, nel mese successivo alla riscossione, di tutte le somme affluite sui conti di tesoreria a titolo di IRAP e di addizionale regionale all'IRPEF. La Ragioneria generale dello Stato, inoltre, sta procedendo ad anticipare a tutte le regioni una quota del 60 per cento dell'acconto IRAP (affluito in tesoreria nell'anno 2008). Tale quota per la regione Lazio risulta pari a circa 243 milioni di euro. La Ragioneria generale dello Stato, infine, provvederà ad erogare a tutte le regioni nel corso dell'anno 2010, in conseguenza della consuntivazione dei gettiti relativi all'anno d'imposta 2008, la restante quota dell'acconto IRAP, che per la regione Lazio è ad oggi stimabile in circa 162 milioni di euro. Per l'anno d'imposta 2009, si fa presente che la somma indicata dalla regione in 911 milioni di euro è da rideterminarsi in circa 870 milioni di euro sulla base del dato stimato dal dipartimento delle finanze. In ogni caso, tale ultimo importo affluisce solo in parte in tesoreria nell'anno 2009 (acconto IRAP, nel mese di dicembre), per un valore stimabile in circa 395 milioni di euro. È, peraltro, da segnalare che il gettito del mese di dicembre 2009 verrà trasferito alla regione nel successivo mese di gennaio, previa regolazione, ai sensi del citato articolo 77- del decreto-legge n. 112 del 2008, delle anticipazioni erogate alla regione nel corso del 2009. La restante quota, circa 475 milioni di euro, affluirà in tesoreria nel corso dell'anno 2010 e, pertanto, allo stato risulta impropria la richiesta di erogazione da parte della regione. Con riferimento all'intero importo dei gettiti fiscali, pari a circa 2.220 milioni di euro, secondo quanto riportato nella nota della regione, da rideterminarsi in circa 2.100 milioni di euro sulla base delle più recenti stime del dipartimento delle finanze, una quota pari a circa 1.460 milioni di euro è già stata erogata o verrà erogata entro il mese di gennaio (di cui circa 1.065 milioni di euro entro dicembre 2009). La restante parte, pari a circa 640 milioni di euro, sarà messa a disposizione della regione nel corso dell'anno 2010, trattandosi per lo più di somme che debbono essere per l'appunto riscosse in tale anno. Si segnala, infine, che tutte le risorse in argomento sono finalizzate al settore sanitario; qualora, invece, le stesse dovessero essere utilizzate dalla regione sul piano della cassa per altre finalità, si aggraverebbero ulteriormente le tensioni finanziarie nel settore. Infine, per quanto attiene le quote di manovra fiscale regionale - saldo dell'anno d'imposta 2007 e acconto dell'anno d'imposta 2008 - indicate nella misura complessiva di circa 600 milioni di euro, sono state regolarmente erogate nella seconda metà del mese di dicembre 2009. Sulla questione, il Ministero della salute ha aggiunto che, alla regione Lazio, essendo stati regolarmente erogati tutti gli importi dovuti in base alla legislazione vigente, alla prassi seguita con tutte le altre regioni in condizioni similari ed alle pattuizioni contenute nell'accordo sottoscritto per l'approvazione dei piani di rientro, al fine di evitare che i disavanzi accumulati nel settore sanitario incidano in maniera negativa sulla vita economico-sociale della realtà laziale, sarebbe necessario sanare gli squilibri strutturali del sistema sanitario regionale, mentre, a fine anno 2009, tale riassetto strutturale può dirsi conseguito parzialmente, in quanto il principale elemento distorsivo, connesso alla rete di offerta ospedaliera, risulta tuttora presente e privo di un'adeguata programmazione correttiva. Per quanto riguarda l'esposizione debitoria nei confronti dei fornitori, il Governo, nel patto per la salute valevole per gli anni 2010-2012, ha previsto uno specifico impegno diretto ad assicurare il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti accertati in attuazione dei piani, prevedendo la sospensione, per un periodo di dodici mesi, delle azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere delle regioni impegnate nei piani di rientro.
. L'onorevole Causi ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, mi permetta di ringraziare il Viceministro per questa risposta molto dettagliata. Sono soddisfatto del dettaglio informativo e credo anche di qualche informazione che il Viceministro ha potuto dare oggi in linea diretta, che sarà utile agli amministratori per il loro quotidiano. Non sono, invece, del tutto soddisfatto, direi che sono poco soddisfatto di alcuni punti che emergono. In primo luogo, signor Viceministro, c'è un problema di realismo dei piani di rientro. Il piano di rientro della regione Lazio, si dice, è solo parzialmente realizzato, tuttavia, aver risparmiato 850 milioni di euro in quattro anni non è una cosa da poco. Sappiamo anche - e lo sanno i tavoli tecnici - quanti e quali problemi politici sul territorio, quanti e quali contenziosi amministrativi con i fornitori gli amministratori del Lazio abbiano dovuto affrontare e siano ancora affrontando per effetto di questa riduzione del . Ritengo che anche per il futuro gli obiettivi del piano di rientro debbano essere commisurati al realismo. Sono da recuperare ancora circa 1 miliardo 300 milioni di euro, questo è il prezzo del risanamento. Tale obiettivo di risparmio va «spalmato» nel corso degli anni in modo realistico e sostenibile per gli amministratori che poi devono confrontarsi con le domande del territorio e con i sistemi della fornitura. Soprattutto, però, il Viceministro nella sua risposta dà ragione al punto fondamentale che abbiamo sollevato, cioè la velocità con cui lo Stato deve trasferire alle regioni le risorse che sono di loro spettanza in quanto derivanti dallo sforzo fiscale locale delle comunità amministrate, tributi propri e addizionali. Ogni ritardo in questa direzione non è giustificato e, soprattutto, signor Viceministro, mi consenta, non si può, nel caso di queste risorse, discutere se esse vadano alla sanità o ad altri settori. Nel caso del Lazio, sappiamo che tutti gli altri settori di spesa hanno molto sofferto il risanamento sanitario, perché non soltanto lo sforzo fiscale locale, ma anche altre risorse ordinarie del bilancio regionale sono state in modo consistente indirizzate alla sanità e quindi tolte ai trasporti, ai comuni, allo sviluppo economico e alle infrastrutture. Le addizionali e l'IRAP sono risorse proprie della regione e, quindi, dato che poi i problemi di cassa della regione sono indistinti - e dunque se le risorse giungono alla sanità o a un altro settore la cassa non ne risente comunque, se le risorse non ci sono - la condizionalità dei trasferimenti di cassa sulle risorse proprie, derivanti dallo sforzo fiscale locale, non può essere connessa, a mio modo di vedere, con il raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro sanitario, perché la cassa della regione deve fornire risorse non solo per la sanità ma anche, per esempio, per il comparto dei comuni. A tal riguardo, ricordo che tutti gli enti locali del Lazio, a partire dal comune di Roma, soffrono ormai da anni per gli enormi ritardi nei pagamenti dei contributi regionali. Pertanto, nel ringraziare il Viceministro per il dettaglio informativo e anche per alcune novità informative relative all'afflusso finanziario che nel corso del 2010 la regione Lazio potrà avere nonché per la risposta fornita, ritengo di essere poco soddisfatto perché penso che i piani di rientro per gli enti locali delle regioni in difficoltà vadano fatti con realismo e non devono punire gli amministratori che si caricano, come ha fatto l'amministrazione regionale del Lazio, degli obiettivi di risanamento. Tali piani devono, invece, incentivare le amministrazioni e aiutarle a raggiungere obiettivi di risanamento realistici ed equilibrati e, soprattutto, a liberare gli amministratori regionali del Lazio dall'assillo finanziario che distoglie inevitabilmente l'attenzione amministrativa da tanti altri settori - che non siano solo la sanità - che hanno un ruolo molto importante, come il ruolo delle politiche locali regionali sullo sviluppo economico e sullo sviluppo della questione sociale della comunità amministrata.
. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.