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Lunedì 18 Gennaio 2010 ore 15:30
Seduta di assemblea numero 267 della XVI legislatura
Resoconto stenografico
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Seduta di assemblea numero 267 della XVI legislatura del 18/01/2010
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Gruppi parlamentari (Modifica nella composizione)
- Disegni di legge di ratifica:
- S. 1774 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Panama sulla promozione e protezione degli investimenti, fatto a Venezia il 6 febbraio 2009 (Approvato dal Senato).(3014)
- Introduzione
- Discussione sulle linee generali - A.C. 3014
- Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3014
- S. 1779 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla partecipazione della Repubblica di Bulgaria e della Romania allo Spazio economico europeo con allegati, dichiarazioni e atto finale, fatto a Bruxelles il 25 luglio 2007 (Approvato dal Senato).(3015)
- Introduzione
- Discussione sulle linee generali - A.C. 3015
- Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3015
- S. 1774 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Panama sulla promozione e protezione degli investimenti, fatto a Venezia il 6 febbraio 2009 (Approvato dal Senato).(3014)
- Sull'ordine dei lavori
- Disegno di legge di ratifica: Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (A.C. 2326-A) (Discussione)
- Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (2326-A)
- Introduzione
- Discussione sulle linee generali - A.C. 2326-A
- Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2326-A
- Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (2326-A)
- 3.Discussione della mozione Cota ed altri n. 1-00295 concernente iniziative relative ai criteri previsti dall'accordo "Basilea 2", volte a favorire il finanziamento delle piccole e medie imprese (vedi allegato).
- Mozione Cota ed altri n. 1-00295: Iniziative relative ai criteri previsti dall'Accordo «Basilea 2», volte a favorire il finanziamento delle piccole e medie imprese (Discussione)
- Ordine del giorno della seduta di domani
, legge il processo verbale della seduta del 12 gennaio 2010.
. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Barbieri, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Farinone, Fassino, Fitto, Formichella, Franceschini, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Osvaldo Napoli, Leoluca Orlando, Picchi, Pini, Prestigiacomo, Razzi, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vernetti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna. Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell' al resoconto della seduta odierna.
. Comunico che, con lettere pervenute in data 14 gennaio 2010, gli onorevoli Enzo Carra e Renzo Lusetti, già iscritti al gruppo parlamentare Partito Democratico, hanno chiesto di aderire al gruppo parlamentare Unione di Centro. La presidenza di tale gruppo, con lettere in pari data, ha comunicato di aver accolto le richieste.
. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 3014 e 3015. Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea
. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Panama sulla promozione e protezione degli investimenti, fatto a Venezia il 6 febbraio 2009.
. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente. Il vicepresidente della Commissione Affari esteri, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, onorevole Stefani.
, . Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, con l'accordo in esame l'Italia e il Governo della Repubblica di Panama intendono creare un quadro di maggiore certezza giuridica nei settori in cui sono stati effettuati o sono ipotizzabili in futuro investimenti italiani nel territorio della Repubblica di Panama. A tale proposito, ricordo che la recente Conferenza nazionale Italia-America latina alla quale ha partecipato il presidente della Commissione Affari esteri, onorevole Stefano Stefani, il 3 dicembre scorso ha dedicato un'ampia sessione all'importante e storico progetto di ampliamento del canale interoceanico al quale il nostro Paese contribuirà attraverso la partecipazione di una grande impresa operante nel settore delle infrastrutture. All'inaugurazione della Conferenza svoltasi a Milano è intervenuto il Presidente panamense Riccardo Martinelli (di chiare origini italiane) il quale ha sottolineato l'eccellente stato delle relazioni politiche, economiche e commerciali tra l'Italia ed il suo Paese, un risultato che premia anche l'intenso lavoro svolto dalla nostra ambasciata a Panama. Per quanto concerne il contenuto dell'accordo, composto di 12 articoli, esso provvede in primo luogo a fornire le opportune definizioni di quei termini quali investimento, investitore, guadagni, territorio, diritto di accesso, accordo di investimento e trattamento non discriminatorio, necessari ad individuare in modo certo l'ambito di applicazione dell'accordo. Al fine di incoraggiare gli investimenti esteri, ciascuna delle parti si impegna anzitutto ad assicurare sul proprio territorio agli investitori dell'altra parte un trattamento giusto ed equo, assicurando altresì piena e totale protezione agli investimenti da essi operati. Le parti garantiscono, inoltre, agli investimenti dell'altra parte contraente un trattamento non meno favorevole di quello riservato ai propri cittadini o agli investitori di Paesi terzi. Fanno però eccezione i benefici concessi da una delle parti ad investitori (come ad esempio gli accordi in materia di scambi transfrontalieri), nonché i vantaggi riconosciuti da una delle parti agli investitori esteri per effetto della partecipazione ad unioni economiche, zone di libero scambio o accordi economici multilaterali. La protezione degli investimenti è assicurata, inoltre, dalla clausola che stabilisce che gli investimenti effettuati da soggetti appartenenti ad uno degli Stati contraenti non potranno costituire oggetto di nazionalizzazioni, espropriazioni, requisizioni o altre misure con analogo effetto, se non per fini pubblici o per motivi di interesse nazionale in conformità alle disposizioni di legge e dietro corresponsione di un adeguato risarcimento. Ognuna delle due parti contraenti si impegna a garantire il diritto per l'investitore dell'altra parte a trasferire all'estero, dopo aver assolto agli obblighi fiscali senza ritardo indebito e in valuta convertibile al tasso di cambio al momento più favorevole, tutti i capitali investiti e guadagnati. Vengono fissate, inoltre, procedure arbitrali affidate ad organi imparziali per la composizione delle controversie che dovessero insorgere tra gli investitori e le parti contraenti in materia di investimenti o fra le parti in relazione a questioni di interpretazione o applicazione dell'accordo. La durata dell'accordo è prevista in dieci anni dopo i quali sarà indefinita, salvo denuncia di una delle due parti che avrà effetto sei mesi dopo la sua notifica. Il disegno di legge in esame, già approvato dal Senato il 1o dicembre scorso, come veniva detto dalla Presidenza, consta di tre articoli. I primi due recano rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione dell'accordo, mentre l'articolo 3 reca la data di entrata in vigore della legge fissata per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. L'esecuzione dell'accordo in questione non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Proprio in un momento in cui a livello mondiale, anche a partire dal G20 e dalle direttive dell'OCSE, si cerca di stabilire regole più vincolanti sul piano finanziario mondiale, noi della Commissione Affari esteri crediamo che questo accordo sia veramente opportuno e intervenga in un momento assolutamente importante, come è emerso anche dal dibattito sullo scudo fiscale.
. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
, . Signor Presidente, intervengo molto brevemente per sottolineare che per l'Italia, alla luce delle rilevanti presenze delle nostre aziende, come l'ENEL, e degli importanti interessi commerciali, questo accordo consentirà un quadro di certezza giuridica e contribuirà, più in generale, a favorire un clima di sviluppo degli investimenti incentivando iniziative di collaborazione economica e vivacizzando il flusso di investimenti. Vorrei, inoltre, segnalare che la recente assegnazione ad un consorzio di cui fa parte Impregilo Spa per gli ingenti lavori per l'ampliamento del canale interoceanico, le numerose prospettive di ulteriori investimenti in futuro, anche alla luce dei grandi appalti come quello della nuova metropolitana della capitale (che il Governo panamense intende bandire a breve), sottolineano l'estrema importanza di una rapida entrata in vigore dell'accordo, che tuteli, quindi, adeguatamente l'interesse del nostro Paese.
. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la ratifica in oggetto, come si è detto, si riferisce ad un accordo tra il nostro Paese e il governo della Repubblica di Panama ed è volto a promuovere gli investimenti nei due Paesi, soprattutto tramite la protezione degli stessi attraverso strumenti giuridici riconosciuti e promossi anche da organizzazioni internazionali. Si tratta certamente di un'area geografica dove si può osservare finalmente un costante processo di stabilizzazione politica ed economica che incoraggerà e faciliterà senza dubbio l'adozione di accordi, come quello di cui stiamo discutendo, proficui per le tante nostre imprese in cerca di nuovi mercati. Sottolineo la ricerca di nuovi mercati perché credo che l'impegno del nostro Governo nel momento in cui si va a ratificare con questa celerità debba essere finalizzato anche e soprattutto a creare una rete di piccole e medie imprese che possano finalmente concretamente accedere a questi nuovi mercati senza fare in modo che si creino degli specchietti per le allodole. Poi le nostre piccole e medie imprese, di cui tanto parliamo e ci vantiamo, non riescono mai a spuntare la benché minima possibilità di vincere un bando di gara. Quindi, l'impegno che deve essere messo in campo da questo Governo è finalmente di creare una filiera di grandi, piccole e medie imprese che possa finalmente in diversa misura vedersi aggiudicati degli appalti perché l'Italia è fatta da piccole, piccolissime e medie imprese che hanno bisogno come il pane di risorse per poter andare avanti. Concordo con la disamina dell'accordo che è stata già fatta in maniera egregia dal vicepresidente Narducci e non aggiungo altro. Vorrei fare alcune sottolineature perché credo che siano utili anche per capire qual è la cifra culturale e politica di questo Governo che ha celermente presentato questo accordo, nel giro di un anno. Io sono contento quando ciò avviene, ma se lo si fa sempre come metodo di lavoro. Sono altresì soddisfatto se si creano i presupposti affinché le nostre piccole e medie imprese conquistino nuovi mercati in tempo utile e soprattutto breve; ma come non ricordare che questo è anche un Governo (e un Parlamento) che è capace di metterci 22 anni per ratificare degli accordi e dei trattati che sono altresì importanti e fondamentali, non solo sotto il profilo culturale ma anche e soprattutto sotto il profilo sociale ed economico. Ricordo peraltro che la firma di questo accordo è stata fatta a Venezia lo scorso anno e in meno di un anno siamo già all'approvazione. Stessa cosa vale anche per il trattato con la Libia, dove ci sono ancora tanti buchi neri e tanti interrogativi ancora aperti; vorrei che il Governo ne fosse consapevole in modo da poterne discutere in Aula quanto prima. Tutti noi sappiamo bene che invece ci sono delle situazioni ancora da chiarire in maniera importante. Credo che si può anche pensare male, e si può anche far peccato, ma crediamo che questa grande urgenza avvantaggi le imprese - io me lo auguro, come dicevo prima - ma anche gli interessi urgenti di qualcuno a Panama. Di questi interessi potranno giovarsi anche altri, lo auspico per tante piccole e medie imprese, ma soprattutto mi auguro che vi siano opportunità anche per la qualità della vita e dei servizi della popolazione panamense, e non solo di pochi eletti. D'altra parte, lo ricordo, il sottosegretario Mantica nella replica in Commissione è stato chiaro quando ha affermato che le relazioni bilaterali tra Panama e Italia stanno entrando in una fase particolare, in vista del significativo coinvolgimento della Impregilo Spa nel consorzio incaricato dei lavori per la riapertura del canale interoceanico - come diceva anche il sottosegretario Craxi - nonché degli interessi che anche Enel ha in quell'area. Concludo dicendo che il gruppo dell'Italia dei Valori voterà a favore di questo provvedimento, ma segnalo un aspetto che fa il paio con i ritardi di questo Governo: in Italia ormai da qualche tempo, parlo di qualche anno, molti imprenditori, associati o da soli, mi riferisco a piccoli imprenditori anche individualmente presenti, sono già a Panama e stanno facendo accordi e interessi propri e il Governo in questa storia non c'entra nulla. Allora vorrei capire, tutti quegli imprenditori che, da soli o insieme, partono ogni settimana, quasi come se fosse un viaggio della speranza per Panama, quale tutela hanno avuto in questi mesi e in questi anni dal nostro Governo? Mi chiedo anche cosa significherà effettivamente per loro poter utilizzare quella che è considerata una svolta di cui si parla da qualche anno per l'economia mondiale, perché tutti dicono che l'economia passerà attraverso il canale interoceanico di Panama. Vorrei che il Governo anche su queste questioni desse dei chiarimenti e prendesse degli impegni solenni e sacrosanti, perché se la grande partita è quella dell'economia - e noi siamo tra quelli che sono in grado di mettere in campo progetti di assoluta qualità - vorrei che vi fosse la tutela non solo per la protezione degli investimenti di qualcuno, in modo che l'intera filiera micro e macro economica italiana ne possa beneficiare, affinché finalmente questo accordo possa avere gambe e concretezza.
. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, quello che è al nostro vaglio è un accordo che mira a rafforzare e a incoraggiare la cooperazione economica tra l'Italia e Panama, al fine di garantire e offrire una maggiore sicurezza giuridica e anche operativa per chi intende investire, sia da parte italiana sia da parte panamense, in maniera reciproca. Si tratta di un testo con clausole standard, che indubbiamente sono mirate a fare in modo che soprattutto i nostri imprenditori e anche le nostre piccole e medie aziende possano essere meglio garantiti. Se questo provvedimento è arrivato in tempi rapidi ormai ad una conclusione positiva, credo che questo debba essere apprezzato positivamente, anche per fare in modo che tutta l'intraprendenza e la capacità dei nostri imprenditori possano trovare una garanzia. Ma è bene ricordare anche l'importante clausola del cosiddetto trattamento nazionale, in base al quale una parte contraente garantisce agli investimenti protezione legale e si impegna a concedere un trattamento non meno favorevole rispetto a quello concesso agli investimenti dei propri investitori nazionali. Allo stesso modo, anche l'applicazione della clausola della nazione più favorita determina la possibilità di usufruire reciprocamente di trattamenti più favorevoli nel caso in cui dovessero verificarsi condizioni migliorative in base a modifiche legislative nazionali o derivanti da obblighi internazionali. Le disposizioni relative a reciproche e a trattamenti non meno favorevoli non sono però considerate reciprocamente obbligatorie quando derivano da Accordi internazionali volti ad evitare la doppia imposizione o a facilitare la circolazione transfrontaliera di persone o cose. Credo che la questione della doppia imposizione possa essere oggetto di approfondimento per futuri eventuali accordi, poiché si tratta di un tema delicato che può produrre un più giusto equilibrio e incentivare così i reciproci investimenti. Sottolineo questo aspetto perché, come ha ricordato in maniera precisa il relatore, il collega Franco Narducci, questo tipo di accordi ha l'obiettivo di garantire le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, per poter fare in modo che si possano effettuare investimenti nelle migliori condizioni possibili di garanzia. Queste opportunità hanno, come è stato del resto già sottolineato, un particolare significato per quanto ci riguarda nei confronti di Panama. Sono, infatti, eccellenti le relazioni politiche tra i nostri due Paesi. Come è stato ricordato, il presidente panamense, che oltretutto è di origine italiana, Riccardo Martinelli, è stato ospite apprezzato in occasione del recente convegno sull'America latina che si è svolto nei primi giorni di dicembre a Milano. Credo che il nostro Paese debba rivolgere a tutta l'America latina una particolare attenzione non soltanto per la grande presenza di persone di origine italiana in quel continente, ma perché l'America latina è anche un'area di particolare sviluppo, nella quale noi possiamo impegnarci con le nostre tecnologie e con la nostra capacità imprenditoriale. Inoltre, Panama si appresta ad effettuare un ampliamento, un raddoppio del canale, con un incremento notevole dei traffici commerciali marittimi tra i due oceani e la partecipazione, come il Governo puntualmente ha sottolineato, della società Impregilo, come pure di altre aziende, al consorzio per l'ampliamento esprime significativamente l'importanza tecnica ed economica della presenza italiana in quel Paese. Quindi, direi che è estremamente interessante e importante, proprio alla luce di queste considerazioni, di questi sviluppi e della capacità di promuovere ulteriormente i rapporti tra Italia e Panama, che il provvedimento sia giunto rapidamente al nostro vaglio. Se ci sono provvedimenti che hanno aspettato tanti anni, credo che il Governo in questo momento stia veramente lavorando bene affinché tutti i Trattati e gli Accordi che giacciono da troppo tempo possano appunto raggiungere le aule parlamentari per la ratifica. Alla luce di queste considerazioni, questo accordo si inserisce positivamente per creare le migliori condizioni possibili al fine di incrementare la reciproca fattibilità di investimenti. Da qui deriva la positiva valutazione sul provvedimento e da parte mia il preannuncio di un voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà.
. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, l'Accordo con la Repubblica di Panama per la promozione e la protezione degli investimenti ha senza dubbio il sostegno del Partito Democratico; siamo, quindi, favorevoli alla ratifica che ora è all'esame della Camera. Il relatore, gli altri colleghi e il rappresentante del Governo ne hanno illustrato contenuto e aspetti tecnici. Sugli aspetti tecnici non mi soffermerò; osservo anch'io, comunque, che la procedura di ratifica, nel caso di questo Accordo, è andata avanti in modo assai spedito: è stato ricordato che l'intesa fu firmata meno di un anno fa, a Venezia, il 6 febbraio del 2009, e il testo ha già avuto l'approvazione del Senato. Basta che ci fermiamo un attimo a pensare a quante intese, anche importanti, restano in attesa per anni e anni e ci rendiamo conto che abbiamo a che fare con qualcosa di particolare, con un caso in cui contano la volontà e l'interesse reciproco, che, in questo caso - è evidente - è sia italiano sia panamense, a darsi un quadro giuridico di riferimenti certi, per consentire impegni di investimenti importanti, che, peraltro - anche questo è stato ricordato - sono già in programma, come noto a tutti, non fosse altro che per il coinvolgimento di un'importante società italiana nei lavori che riguardano il potenziamento e l'allargamento del canale di Panama. Tra l'altro è recente, all'inizio dello scorso dicembre, lo svolgimento a Milano della Conferenza Italia-America Latina. È stata la quarta edizione, nella quale il Presidente della Repubblica di Panama, Ricardo Martinelli, è stato ospite di riguardo e durante la quale i legami culturali, economici e politici dell'Italia con l'area dei Caraibi e con tutto il continente sudamericano sono stati al centro dell'attenzione e oggetto di bilanci e di propositi di intensificazione ed approfondimento. Panama nel contesto latinoamericano non è ovviamente un Paese grande: non è il Brasile, l'Argentina o il Messico, ma è certamente un Paese centrale e di strategica importanza per il semplice fatto che è il punto di contatto tra i due oceani ed è la via di comunicazione privilegiata tra le due parti dell'America e tra Oriente ed Occidente. È a questa centralità geografica che Panama deve anche la sua specificità e i tratti della sua storia, fatta di attenzioni speciali, non sempre benvenute e benevole, anche degli Stati Uniti, e di convulsioni per l'indipendenza, prima dalla Spagna e poi dalla Colombia, e poi, di fatto, se non formalmente, dagli stessi Stati Uniti, che hanno prima voluto, costruito e controllato il canale, oggetto, poi, di conflitti per decenni, culminati in scontri anche violenti negli anni Sessanta, in un Paese governato spesso da dittature militari negli anni Settanta e Ottanta, da ultimo quella di Manuel Noriega, rovesciato da un'invasione militare statunitense nel 1989. Panama sta intanto vivendo una fase nuova, che potremmo far datare dal 31 dicembre 1999, quando il canale è tornato ad essere pienamente nella sovranità di Panama, anche se gli Stati Uniti si sono riservati un diritto di intervento in difesa della loro sicurezza nazionale. Panama, con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti su un territorio che è circa un quinto di quello italiano, è nella regione un Paese relativamente ricco, se si guarda al PIL e alla media del PIL ma anche gravato da fortissime disuguaglianze, perché la ricchezza non è certamente distribuita in modo ideale ed è in gran parte frutto di un'economia di servizi, che non genera abbondanza di posti lavoro. Tuttavia Panama, a parte, ovviamente, le incertezze generate dalla crisi globale, che si è tradotta in una significativa contrazione dei commerci mondiali, che non può non aver colpito un Paese che proprio dalla prosperità dell'economia del mondo trae buona parte del proprio reddito, sta attraversando una fase di grande progettualità e di grande crescita: progetti di infrastrutturazione e di modernizzazione, di cui il principale è proprio l'ammodernamento e il potenziamento del canale, progetto che è stato approvato in un referendum popolare il 22 ottobre 2006. Ingenti lavori, dunque, sono in programma, per un valore previsto di 5,25 miliardi di dollari; lavori in cui sarà impegnata, come è stato più volte ricordato nella discussione sulle linee generali del provvedimento in esame, anche una grande società italiana, per la precisione Impregilo. La decelerazione dell'economia nello scorso anno e i problemi per le finanze pubbliche che essa comporta potrebbero anche portare ad un rallentamento nel ritmo di realizzazione delle grandi opere in corso; tuttavia, si attende una ripresa significativa del ciclo economico, sia per quest'anno che per il prossimo. È, quindi, un dato di fatto che vi siano spazi importanti per gli investimenti italiani a Panama, mentre l'interscambio tra i nostri due Paesi ha valori di un qualche rilievo, e dà un saldo positivo per l'Italia: nel 2008 si sono registrati 220 milioni di euro di a fronte di circa 150 milioni di euro di importazioni. Ricordo sommariamente che la prima voce di esportazione è data da gioielli ed articoli di oreficeria, seguita da navi e natanti, mentre la prima voce di importazioni è anch'essa data da navi e natanti, poi frutta, carbon fossile, cuoio e pelli. Si tratta di elementi solo indicativi, ma che servono per affermare che i rapporti commerciali bilaterali sono buoni, e che l'attenzione dei Governi italiani al miglioramento ed all'intensificazione di questi rapporti è stata costante, e si è svolta in continuità, indipendentemente dal colore dei Governi e dalle varietà di maggioranze che li hanno sostenuti. La constatazione di una presenza significativa e crescente di imprese italiane a Panama la troviamo nel recente passato (nella scorsa legislatura ricordo Enel, Generali, Costa Container, Luxottica), così anche come la constatazione che gli investimenti italiani in quel Paese potrebbero essere maggiori, e che vi sia spazio e vi siano settori in cui ci si può ulteriormente attivare: costruzioni, telecomunicazioni, servizi finanziari, industria estrattiva, turismo e commercio; così come forte si è manifestato già in passato l'interesse italiano per le grandi opere progettate a Panama: troviamo traccia di tale attenzione negli impegni del 2006 e del 2007 dell'allora Presidente del Consiglio e dell'allora Ministro del commercio estero, troviamo traccia poi di tale attenzione negli incontri avuti lo scorso dicembre dal Presidente del Consiglio in carica con il Presidente panamense, e nell'allargamento in quell'occasione di contatti diretti anche ad altre grandi imprese italiane. Certamente anche noi ci auguriamo che le piccole e medie imprese possano partecipare di queste nuove opportunità. Mi avvio a concludere. Se a trattenere finora operatori economici italiani da un impegno diretto a Panama vi fossero state incertezze circa le garanzie per gli investimenti effettuati e per i rischi insiti e per le possibilità, o magari le difficoltà, di rientro dei ricavi e dei guadagni, con l'Accordo che ci accingiamo a ratificare tali incertezze dovrebbero essere dissipate, e quindi nuove opportunità ed ulteriori e crescenti prospettive di collaborazione e di scambio potranno aprirsi, e sono certo che si apriranno.
. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
. Prendo atto che il vicepresidente della III Commissione e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla partecipazione della Repubblica di Bulgaria e della Romania allo Spazio economico europeo con allegati, dichiarazione e atto finale, fatto a Bruxelles il 25 luglio 2007.
. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente. Il relatore, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione.
, . Signor Presidente, sono passati 16 anni dall'entrata in vigore dell'Accordo sullo Spazio economico europeo, e dal 1994 ad oggi possiamo sicuramente affermare che il bilancio relativo alla sua applicazione è positivo. Alla luce di quanto è avvenuto sul piano economico dobbiamo rilevare che le organizzazioni sovrastatali sono fondamentali per affrontare i momenti di crisi in maniera sinergica ed attuare una più efficace dei processi. Inoltre, i flussi migratori sono legati sempre più alle congiunture economiche e alle esigenze di manodopera espresse dal mercato del lavoro. Prima di passare all'illustrazione del disegno di legge di ratifica, ritengo opportuno ricordare che l'Accordo istitutivo dello Spazio economico europeo, firmato il 3 maggio 1992 dagli allora dodici Stati membri della Comunità europea e dai sei Stati membri dell'EFTA, si applica attualmente agli Stati membri dell'Unione europea e ad Islanda, Liechtenstein e Norvegia. Entrato in vigore nel gennaio 1994, l'Accordo dà vita ad una zona europea nella quale è assicurata la libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali. La stipula dell'Accordo all'esame dell'Aula si è resa necessaria a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania all'Unione europea che è divenuta pienamente operante dal 1o gennaio 2007 e che implica che questi due nuovi Stati membri dell'Unione europea richiedano di divenire anche parte dello Spazio economico europeo, adeguandosi a quanto già avviene nel resto dell'Unione europea anche con la creazione di regole comuni e di un regime di concorrenza condiviso tra le imprese dei Paesi appartenenti allo Spazio economico europeo, avendo particolare cura di istituire un apparato istituzionale e giurisdizionale conseguente. È fondamentale per il funzionamento del SEE che venga recepita la normativa comunitaria per la realizzazione del mercato interno, assieme alla garanzia di un'elevata armonizzazione nei settori della politica sociale, dell'ambiente, del diritto societario e della protezione del consumatore, condizioni che mi sembrano soddisfatte dagli impegni presi. L'Accordo prevede, inoltre, talune politiche di accompagnamento del mercato unico come ad esempio la politica della concorrenza, la politica sociale, la tutela dei consumatori, la protezione dell'ambiente, l'istruzione, la ricerca e lo sviluppo, politiche che soprattutto per quanto attiene all'apertura dei mercati del lavoro hanno visto un'impostazione differenziata tra gli Stati membri relativamente alla gradualità controllata dell'apertura stessa, alle misure di accompagnamento e all'adeguatezza dei termini transitori. Tuttavia, a differenza del mercato unico della Comunità europea, l'Accordo SEE esclude in linea di massima i prodotti agricoli, i prodotti della pesca, le imposte indirette e non contempla una politica economica esterna comune (tariffa esterna comune, misure e via dicendo). Di conseguenza, lo Spazio economico europeo non rappresenta un mercato del tutto libero da frontiere né una vera unione doganale. Nell'Accordo, che rientra nella categoria dei cosiddetti «accordi misti» per i suoi contenuti, all'articolo 1 si prevede che la Bulgaria e la Romania divengano parti dell'Accordo del 1992 sulla creazione dello Spazio economico europeo e in particolare dell'Accordo SEE come modificato dalle decisioni del Comitato misto adottate prima del 1o ottobre 2004, secondo le condizioni stabilite nell'Accordo del 2007 in esame e nei relativi allegati che ne costituiscono parte integrante. L'articolo 2 riporta le modifiche che l'adesione della Bulgaria e della Romania comporta all'Accordo SEE. Si tratta quasi esclusivamente di adattamenti formali implicanti per lo più la menzione della Bulgaria e della Romania in diverse sezioni del testo principale e nei protocolli dell'Accordo SEE medesimo. Si deve, tuttavia, evidenziare che una di tali modifiche riveste un'importanza sostanziale poiché concerne alcune conseguenze finanziarie dell'estensione del SEE ai nuovi Stati membri. L'articolo 3 opera il recepimento dell'Accordo SEE e delle modifiche agli atti delle istituzioni comunitarie derivanti dagli strumenti di adesione di Bulgaria e Romania all'Unione europea, mentre l'articolo 4 inserisce nell'Accordo SEE le disposizioni contenute nell'atto di adesione. L'articolo 6, infine, disciplina la ratifica e l'approvazione dell'Accordo in esame secondo le procedure interne di ciascuna delle Parti contraenti e la sua entrata in vigore. Signor Presidente, concludo ricordando che il disegno di legge di ratifica al nostro esame, già approvato dall'altro ramo del Parlamento il 1o dicembre del 2009, consta di soli tre articoli recanti, il primo, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo sulla partecipazione della Bulgaria e della Romania, il secondo, l'ordine di esecuzione, il terzo, l'entrata in vigore della legge fissata per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella .
. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, colleghi, come è stato ricordato l'Accordo sullo Spazio economico europeo - che vige dal 1994 - rappresenta uno strumento importante che ci consente di poter guardare in avanti con più serenità e con più prospettiva all'interno di regole certe e soprattutto condivise. L'obiettivo dell'Accordo sulla partecipazione delle Repubbliche di Bulgaria e Romania allo Spazio economico è quello di creare regole comuni e condizioni di concorrenza paritarie tra le imprese dei Paesi contraenti, nonché di istituire un apparato istituzionale e giurisdizionale in grado di garantire il corretto funzionamento e l'omogenea applicazione delle regole comuni. Gli Stati contraenti, come si è detto, hanno assunto l'impegno di recepire la normativa comunitaria per la realizzazione del libero mercato. L'Accordo garantisce un elevato grado di armonizzazione nei settori della politica sociale, dell'ambiente, del diritto societario e della protezione del consumatore; esso prevede, inoltre, alcune politiche di accompagnamento, ma la finalità è quella di allargare di fatto - sostanzialmente e concretamente, per qualità e quantità - la collaborazione economica con i Paesi non membri dell'Unione europea, rendendoli parte del mercato unico che costituisce la forza dell'Europa nel mondo e lasciando tuttavia esclusi alcuni settori particolarmente sensibili e forse ancora sottostanti a logiche nazionali, come l'agricoltura e la pesca. Lo Spazio economico europeo prevede, come ricordavo, una più stretta collaborazione tra le Parti nei settori della ricerca e dello sviluppo tecnologico, dell'ambiente e delle politiche sociali, dell'istruzione, della statistica, del turismo, del diritto societario e della protezione dei consumatori. Ogni Paese europeo che aderisce all'Unione europea può chiedere di divenire parte contraente anche dell'Accordo per lo Spazio economico europeo (occorrerà, quindi, un Accordo tra i richiedenti e i Paesi dello Spazio economico europeo). Con l'adesione all'Unione europea il 1o gennaio 2007, anche la Bulgaria e la Romania hanno chiesto di fatto di entrare a far parte di questo Spazio, ed è proprio di questo Accordo che discutiamo con il presente disegno di legge di ratifica. Con l'accesso di Romania e Bulgaria lo Spazio economico europeo comprende ora 30 Stati membri con un mercato interno di 500 milioni di consumatori. L'estensione ai nuovi membri dell'Unione europea delle disposizioni previste dall'Accordo alla nostra attenzione sulla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali promuoverà un ulteriore accrescimento del volume degli scambi con ripercussioni favorevoli per gli operatori economici europei, in particolare quelli italiani che - come è noto - sono particolarmente attivi in Bulgaria ma anche, e soprattutto, in Romania. La Romania e la Bulgaria fanno parte dell'Europa fin dal 2007 ed è quindi fondamentale che le stesse diventino parte integrante anche dello Spazio economico europeo, poiché solo con una completa partecipazione a tutte le politiche e le cooperazioni di marchio comunitario si può avere una reale europeizzazione dei Paesi nuovi membri, anche se rimane la spiacevole sensazione - e questo dobbiamo dircelo a voce alta - di una Europa a due velocità in cui alcuni Stati registrano forme di cooperazione più strette di altri, di una sorta di fallimento di quel sogno di federazione degli Stati europei che uno dei fondatori dell'Unione europea, proprio l'italiano Altiero Spinelli, auspicò sin dall'inizio. Posso comunque anticipare il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori, fortemente europeista come lo fu Altiero Spinelli, su questo disegno di legge di ratifica dell'Accordo sulla partecipazione delle Repubbliche di Bulgaria e Romania allo Spazio economico europeo. Mi auguro che queste occasioni possano anche essere utili a rinsaldare non solo, e non tanto, il segno europeista di Altiero Spinelli, ma anche a farci sentire più europei e non semplicemente nella ratifica di prassi e di norme di vuota formalità, ma anche sotto il profilo della qualità dei contenuti e della progettualità. Tale processo ci deve vedere protagonisti all'interno di un'Europa ancora tutta da costruire che, sotto il segno di Altiero Spinelli, vedrà primeggiare la bandiera di un'Europa sociale, economica e soprattutto culturale.
. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, il relatore, il vicepresidente Narducci, nella sua relazione ha illustrato bene la genesi dell'Accordo sullo Spazio economico europeo, dalla firma tra l'Unione europea e gli Stati dell'EFTA avvenuta nel maggio 1992, alla sua entrata in vigore nel gennaio 1994. Nel 1992 l'Unione europea era costituita da dodici membri, l'EFTA da sei; nel prosieguo del tempo l'Unione è giunta ad essere costituita da ventisette membri, mentre l'EFTA consta oggi di quattro membri. Altresì, il relatore ha evidenziato che l'Accordo sullo Spazio economico europeo si pone l'obiettivo di definire comuni modalità per la creazione di condizioni di concorrenza paritarie per le iniziative imprenditoriali; per conseguire organicamente questo obiettivo in questo Accordo si definiscono pure le modalità istituzionali. Quindi, lo Spazio economico europeo, a cui in base a questo Accordo partecipano anche la Bulgaria e la Romania (che dopo il loro ingresso nell'Unione europea avevano fatto la richiesta di farne parte), costituisce una zona nella quale si assicura la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali, con esclusione, in linea di massima, dei prodotti agricoli, della pesca e delle imposte indirette. Inoltre, gli Accordi per lo Spazio economico europeo non prevedono una politica economica esterna. Questo fa sì che quest'area non rappresenti un mercato senza frontiere e neppure una vera e propria unione doganale. Resta però il fatto che, con l'entrata in vigore di questo Accordo, e con la richiesta di Bulgaria e Romania, sia pure con queste limitazioni, vi è un ampliamento territoriale dello Spazio economico europeo. I vantaggi sono particolarmente evidenti per i tre Paesi dell'EFTA, in modo particolare per la Norvegia, da cui è derivato, come previsto dall'Accordo, un contributo finanziario aggiuntivo per il periodo che va dal 2007 fino alla metà 2009 di 21,5 e 50,5 milioni di euro rispettivamente per Bulgaria e Romania. Vi è un ulteriore aspetto, secondo me, da sottolineare: questo Accordo impegna gli Stati sottoscrittori a mettere in atto la normativa comunitaria per quanto attiene l'attuazione del mercato interno. Questo, secondo me, è un fatto importante nella prospettiva di un ulteriore miglioramento di quest'area del mondo per quanto riguarda gli aspetti economici o sociali. Inoltre, l'applicazione dell'Accordo ha l'obiettivo di sviluppare una coerente armonizzazione delle regole sul diritto societario, sulla politica ambientale e sulla politica sociale. Sono tutti elementi che consentono di sviluppare un'area, quella cui apparteniamo anche noi, con possibili benefici a carattere economico e sociale e, quindi, ponendo delle premesse migliorative per lo sviluppo. Sono passi avanti verso un ulteriore ampliamento dell'integrazione di questa parte del mondo così importante e strategica. L'Islanda, da parte sua, pare ormai che si appresti ad inoltrare una richiesta di adesione all'Unione europea. Quindi anche in previsione di questo fatto e in considerazione della positività generale e dei benefici politici, economici e sociali derivanti dall'attuazione di questo Accordo esprimo, a nome del gruppo del Popolo della Libertà, una valutazione positiva, e ne preannuncio già sin d'ora il voto favorevole .
. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, l'Accordo che ci apprestiamo a ratificare è del tutto condivisibile e non vi sono rilievi da fare. Il relatore ne ha illustrato il contenuto e le finalità. Si tratta dell'estensione necessaria e - direi - quasi scontata alla Romania ed alla Bulgaria del cosiddetto Spazio economico europeo, che altro non è che l'Accordo tra i Paesi aderenti all'Unione europea e i Paesi dell'Associazione europea di libero scambio (più nota come EFTA), meno la Svizzera; ciò che resta dunque dell'EFTA include Norvegia, Islanda e Lichtenstein, che aderiscono all'Accordo, più la Svizzera, che resta membro dell'organizzazione e che all'Accordo non aderisce. È stato rammentato che lo Spazio economico nacque il 1o gennaio 1994 (entrò in vigore in quella data) e che lo scopo dell'intesa che vi diede vita fu quello di consentire ai Paesi dell'Est di partecipare al mercato interno della Comunità europea senza essere membri dell'Unione, per la verità escludendo alcuni settori rilevanti come l'agricoltura e la pesca. La Svizzera - lo ricordo - respinse per un pugno di voti, in un referendum combattutissimo, nel dicembre 1992, la ratifica dell'Accordo. Doveva essere una specie di test di avvicinamento all'Unione e non andò a buon fine, salvo poi il fatto che lo stesso Paese si trovò a dovere rincorrere i benefici dell'accesso al mercato europeo per i suoi prodotti ed alle regole dello stesso con accordi bilaterali stipulati con l'Unione che, sottoposti a referendum, i cittadini della Confederazione elvetica si guardarono bene dal respingere (quindi avendo ben presenti i vantaggi che da questa associazione derivavano). Lo Spazio economico europeo si basa su quattro libertà (la libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali) e in sostanza i membri non appartenenti all'Unione hanno accettato di armonizzare la loro legislazione con quella dell'Unione in campi rilevanti, non soltanto strettamente mercantili, quali la politica sociale, la protezione dei consumatori, l'ambiente, la regolamentazione delle imprese, le rilevazioni statistiche, ed anche altri campi. Questo Accordo è governato da un organismo congiunto di cui fanno parte gli organi esecutivi dell'Unione europea e dell'EFTA meno la Svizzera, quindi la Commissione europea e il Consiglio dell'EFTA. La ratifica dell'Accordo che estende anche a Bulgaria e a Romania le disposizioni dello Spazio economico europeo è un atto necessario, di comune interesse delle Parti contraenti, in quanto perfeziona le reciproche possibilità di accesso ai mercati bulgaro e rumeno dei Paesi dell'EFTA aderenti allo Spazio, sia quelle verso di essi da parte degli ultimi due Paesi entrati nell'Unione, quindi Bulgaria e Romania, che sono nell'Unione europea a partire dal 1o gennaio 2007. Nel caso dell'estensione dello Spazio economico europeo a Bulgaria e Romania è stato anche ricordato - lo rammento - che i tre Paesi EFTA si sono impegnati a versare somme non del tutto irrilevanti per lo sviluppo regionale di quei Paesi, in una logica che tiene conto della filosofia delle politiche strutturali dell'Unione europea e del fatto che verosimilmente saranno soprattutto Islanda e Norvegia, e anche il Lichtenstein - per quanto sia piccolo questo Paese - ad avvantaggiarsi dell'accesso ai nuovi mercati. La ratifica di questo Accordo può essere l'occasione di una breve riflessione sul successo dell'Unione europea in una prospettiva storica. Mentre riconosciamo e ci rammarichiamo della incompiutezza politica dell'Unione europea e della sua integrazione non possiamo al contempo non vedere come nel corso dei decenni la Comunità europea si sia affermata, sia risultata vincente, e la sua filosofia sia stata feconda con le sue istituzioni e con la sua progressiva integrazione fino, di fatto, ad assorbire a poco a poco la stessa EFTA (European Free Trade Association). Quest'ultima è stata fondata nel 1960 su impulso britannico e con una filosofia meramente liberoscambista, che ha mostrato i propri limiti, ha mostrato di essere sterile rispetto a quella dell'Unione, in alternativa infatti ed in competizione con l'allora Mercato comune europeo. Nel gruppo fondatore - lo ricordo - con la Gran Bretagna e la Svizzera vi erano i Paesi scandinavi (allora Norvegia, Svezia e Danimarca), poi l'Austria ed il Portogallo; si aggiunsero successivamente l'Islanda nel 1970, la Finlandia nel 1986 ed il Lichtenstein nel 1991. Ma il sostanziale insuccesso dell'EFTA rispetto alla Comunità europea era già chiaro all'inizio degli anni Settanta: per l'adesione alla Comunità se ne andarono il Regno Unito e la Danimarca, poi il Portogallo dopo la dittatura di Salazar e Caetano, e quindi, dopo il crollo del muro, arrivarono nell'Unione europea anche i Paesi neutrali (Svezia, Austria e Finlandia), mentre la Norvegia prima entrò, poi lasciò la Comunità e la Svizzera tentò e bloccò più volte i tentativi di avvicinamento e di integrazione dell'Unione. Così, mentre permangono le incertezze e le diffidenze della Norvegia e della Svizzera, l'Unione europea si trova ora a rispondere ad una probabile richiesta di adesione dell'Islanda, che ha scoperto tutta la propria fragilità nel corso della crisi bancaria e finanziaria dello scorso anno. Trattiamo quindi lo Spazio economico europeo come una forma parziale e modulata di allargamento dell'estensione dei benefici del mercato interno unico e delle sue istituzioni a Paesi che, per varie ragioni, non aderiscono pienamente all'Unione, ma che da essa sono attirati ed in essa sono in gran parte integrati. Lo Spazio economico europeo allude in qualche modo ad una prospettiva di possibile piena integrazione per questi Paesi. La ratifica dell'Accordo oggi in discussione è dunque un atto necessario, evita un'ingiustificata asimmetria, includendo Bulgaria e Romania in questa architettura a tutti gli effetti e con tutti gli aggiustamenti del caso e le specificità bilaterali che sono previste.
. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
. Chiedo di parlare.
. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, sarò rapidissimo: poco dopo l'inizio dei nostri lavori qui in Aula le agenzie hanno dato notizia che un secondo italiano - in particolare, Guido Galli, che era un funzionario dell'ONU - è deceduto, è risultato tra le vittime di quell'immane tragedia che ha colpito Haiti nei giorni scorsi e rispetto alla quale tutto il Paese è coinvolto, non solo per i servizi drammatici che arrivano dalla televisione, ma anche per la natura stessa del nostro Paese e degli italiani rispetto a fenomeni di questo tipo. Credo che da questo punto di vista sia importante anche dare atto al Governo della disponibilità e dell'impegno che sono stati offerti subito e da subito per concorrere a cercare di intervenire come possibile rispetto a questa tragedia, che è lontano da qui ma così vicino, considerato anche quanto sta accadendo e sta colpendo Haiti. A questo proposito, signor Presidente, formulo una richiesta che credo possa essere condivisa: mi auguro che, nei tempi e nei modi nei quali il Governo riterrà opportuni, ci vengano fornite informazioni, ovviamente non soltanto su quegli italiani di cui ancora non abbiamo notizie, ma anche su qual è l'impegno, anche in termini di prospettiva di azione, che il Governo intenderà mettere in campo. Va ricordato anche qui quale sia l'esito dell'intervento che nel 2004 riguardò il nostro Paese negli aiuti, quando vi fu lo in Thailandia ed in Indonesia e quanto il ruolo del nostro Paese ed anche quello degli italiani fu sicuramente valorizzato, per il lavoro e per il contributo che fu dato. Credo che sarebbe utile, ovviamente nei tempi e nei modi in cui il Governo riterrà di poterlo fare, una comunicazione in Aula per sapere non solo, al di là dell'intervento immediato, quello di maggiore urgenza che vi è stato, quale sia la strategia che il nostro Governo intende adottare per proseguire nell'aiuto a questo Paese, ma anche rispetto a quello che purtroppo per l'ennesima volta ancora viene messo in evidenza e non soltanto in casa nostra, cioè il ruolo un po' debole della Comunità europea, - anche per rendere più incisivi un'organizzazione e degli aiuti in particolare della Comunità europea -, il ruolo che potrà avere il nostro Paese. Credo, più in generale, che, venendo incontro all'aspettativa, lo ripeto, del sistema Paese, probabilmente, in questo momento, tutti siamo interessati a sapere come evolverà l'intervento dell'Italia in aiuto alle popolazioni che, in questo momento, vivono dei momenti drammatici, che ricordano molto - ovviamente, non si possono fare similitudini - quanto, solo qualche mese fa, il nostro Paese ha dovuto vivere in quel d'Abruzzo.
. Onorevole Giachetti, la ringrazio per il suo intervento. L'iter per dar seguito alla sua richiesta sarà immediatamente attivato.
. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per lo svolgimento della discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Avverto, altresì, che le Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri) si intendono autorizzate a riferire oralmente. La relatrice per la Commissione giustizia, onorevole Angela Napoli, ha facoltà di svolgere la relazione.
, . Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il tema che oggi viene portato in quest'Assemblea ci vede tutti impegnati senza alcuna distinzione politica ed ideologica: la lotta alla pedofilia. In effetti, il lavoro svolto in Commissione giustizia prima, quando dal 18 giugno del 2008 la Commissione stessa ha avviato come priorità della legislatura l'esame delle proposte assegnatele in materia di pedofilia, e nelle Commissioni riunite giustizia e affari esteri dal 16 giugno 2009, quando è iniziato l'esame della Convenzione di Lanzarote (primo strumento internazionale con il quale si prevede che gli abusi sessuali contro i bambini debbano essere considerati reati), è stato sempre caratterizzato da uno spirito collaborativo tra i gruppi, che ha fatto cadere ogni distinzione tra maggioranza ed opposizione. Considerato il tema, non sarebbe stato concepibile altro atteggiamento. Prima di affrontare il contenuto del disegno di legge in esame, debbo fare alcune precisazioni sull'iter in Commissione che ha portato al testo arrivato in Assemblea. In realtà, l'esame del disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote da parte delle Commissioni riunite si è innestato in un iter già avviato, da circa un anno, da parte della Commissione giustizia su provvedimenti in tema di pedofilia. Quando il Governo ha presentato alle Camere il predetto disegno di legge, la Commissione giustizia era già arrivata alla formulazione di un testo unificato, nel quale erano state inserite tutte quelle disposizioni di natura penale e processuale che erano apparse a tutti i gruppi come estremamente importanti per contrastare la pedofilia, non solo con strumenti di repressione del fatto avvenuto, ma, anzi, specialmente, anche attraverso misure preventive. Obiettivo della Commissione giustizia, individuato anche grazie all'apporto di coloro che direttamente sul campo operano contro la pedofilia - tra i quali, ricordo il dottor Domenico Vulpiani, direttore del Servizio polizia postale e delle comunicazioni - è stato di anticipare la soglia della punibilità, intercettando tutti quei comportamenti che si verificano in momenti che precedono l'abuso. Il nostro obiettivo era, ed è, quello di porre degli ostacoli nel momento antecedente alla violenza. La proposta di testo unificato da me presentata il 19 maggio 2009 si ispirava a questo obiettivo, che era emerso, in tutta evidenza, come l'obiettivo comune di tutti i gruppi politici. I punti salienti erano, quindi, l'introduzione dei reati di pedofilia culturale, di adescamento di minore, di omessa denuncia di reato in danno di minore e di distrazione di documenti redatti dal minore. In occasione dell'adozione del testo, il Governo ha chiesto di attendere la presentazione imminente del disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote. Considerata l'importanza della Convenzione in ambito internazionale, si è accolta tale richiesta, ma non si è buttato all'aria il lavoro svolto. Nel disegno di legge sono stati inseriti tutti i punti della proposta di testo unificato del 19 maggio 2009 che erano stati frutto del lavoro della Commissione giustizia. Un forte sostegno è stato dato a questa operazione dalla presidente della Commissione parlamentare bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza, la collega Alessandra Mussolini, che ha partecipato attivamente ai lavori delle Commissioni riunite. Nel corso dell'esame degli emendamenti alcuni punti della proposta di testo unificato sono venuti meno, come quello relativo ai reati di omessa denuncia di reato in danno di minore e di distrazione di documenti redatti dal minore. Secondo alcune tesi, si tratterebbe o di inutili ripetizioni di divieti già sanciti o di divieti eccessivamente generici. Questi punti saranno sicuramente riaffrontati in Assemblea. L'esigenza di affrontare il tema della lotta alla pedofilia è dettata dalla constatazione che, purtroppo, la diffusione dei reati di pedofilia in Italia, come nelle altre parti del mondo, risulta sempre in continuo aumento. In Italia è vigente dal 1998 la legge n. 269, considerata una vera e propria legge-quadro in materia di pedofilia che, congiuntamente con le leggi n. 66 del 1996 e n. 38 del 2006, rappresenta una buona base normativa, ma che, alla luce di questo dilagante fenomeno, necessita di ulteriori interventi al fine di garantire una migliore difesa e tutela dei minori, specialmente in un'ottica di prevenzione. La Convenzione di Lanzarote, alla cui ratifica il disegno di legge in esame è diretto, è il primo strumento internazionale con il quale si prevede che gli abusi sessuali contro i bambini debbano essere considerati reato. Oltre alle fattispecie di reato più diffuse in questo campo (abuso sessuale, prostituzione infantile, pedopornografia e partecipazione coatta di bambini a spettacoli pornografici) la Convenzione disciplina anche i casi di cioè di adescamento attraverso Internet, e di turismo sessuale. La Convenzione delinea misure preventive che comprendono lo il reclutamento e l'addestramento di personale che possa lavorare con i bambini al fine di renderli consapevoli dei rischi che possono correre e insegnare loro a proteggersi. Stabilisce, inoltre, programmi di supporto alle vittime, incoraggia la denuncia di presunti abusi e di episodi di sfruttamento e prevede l'istituzione di centri di aiuto via telefono o via Internet. Il capo I reca la ratifica e l'ordine di esecuzione della Convenzione e individua nel Ministero dell'interno l'autorità nazionale responsabile in relazione alla registrazione e conservazione dei dati nazionali sui condannati per reati sessuali (articolo 3), prevedendo esplicitamente, a tal fine, il rispetto del Trattato di Prüm. Il capo II contiene una serie di disposizioni di adeguamento interno di natura penale, processuale e sostanziale. Come si è detto, si è introdotto il reato di pedofilia culturale, ciò sulla base della considerazione che la rete è utilizzata non solo per la divulgazione di materiale pedopornografico, ma anche per la diffusione di una vera e propria apologia del reato di pedofilia. Occorre pertanto intervenire in termini di prevenzione e repressione non solo con strumenti di lotta di tipo telematico ma anche con nuove fattispecie di reato che aiutino a combattere più efficacemente i reati prodromici e connessi alla pedofilia. Infatti, la fattispecie dell'apologia della pedofilia non è espressamente prevista nella nostra legislazione vigente. Per tale motivo la proposta di legge Lussana introduce un nuovo articolo dopo l'articolo 414 del codice penale e, più esattamente, nella parte dedicata ai delitti contro l'ordine pubblico (Titolo V del libro secondo). Oggetto della tutela penale, individuabile nella nuova fattispecie, è dunque non solo il sentimento collettivo di sicurezza ma l'ordine pubblico, inteso come insieme dei valori fondamentali della collettività, turbati dalle condotte che si vogliono punire con l'introduzione di questo articolo 414-. Questa nuova fattispecie penale viene introdotta per garantire una maggiore tutela dell'universo minorile. La nuova figura di reato è stata costruita sulla base della struttura dei reati di istigazione ed apologia, già previsti dal codice penale, al fine di evitare qualsiasi problema circa la costituzionalità della norma sotto il profilo dell'offensività. Pertanto, chiunque con qualsiasi mezzo, anche telematico, e con qualsiasi forma di espressione pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti di pedofilia, è punito con la reclusione da tre a cinque anni. Alla stessa pena soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di tali delitti. Nel testo si prevede, inoltre, il raddoppio dei termini di prescrizione in caso di violenza sessuale in danno di minore di anni 14, l'aumento delle pene nel caso di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati indicati commessi nei confronti di minori e, quale ulteriore aggravante dell'omicidio, la circostanza che il fatto sia compiuto in occasione della commissione dei reati di atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni, in cambio di denaro o di altra utilità o di pornografia minorile. In tema di prostituzione minorile vengono individuate ulteriori condotte riconducibili all'induzione, agevolazione e sfruttamento della prostituzione. Si interviene sulla fattispecie relativa al compimento di atti sessuali con un minorenne in cambio di denaro o altra utilità economica anche attraverso la ridefinizione della nozione di utilità e si modifica la disciplina delle aggravanti. Oltre ad intervenire per inasprire l'applicazione delle circostanze si è intervenuti in tema di attenuanti con una finalità meramente preventiva, stabilendo che la pena è diminuita da un terzo fino alla metà nei confronti del concorrente del reato di pedofilia che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuti concretamente l'autorità di polizia giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura dei concorrenti. Un punto sicuramente qualificante dell'intero provvedimento è l'introduzione del nuovo delitto di adescamento dei minori - articolo 609- - punito con la reclusione da uno a tre anni. È stato modificato il testo originario riprendendo la formulazione a cui era pervenuta la Commissione giustizia, la quale è stata inserita nella proposta di testo unificato del 19 maggio 2009. Questa formulazione è apparsa come quella meglio rispondente all'esigenza di colpire già ai primi contatti finalizzati agli atti di pedofilia. Pertanto, viene punita la condotta di chi, allo scopo di commettere i reati di pedofilia, adesca un minore di anni 16. Per evitare una disapplicazione sostanziale della norma, a causa della sua genericità, si è ritenuto di descrivere dettagliatamente la condotta di adescamento. Questa consiste in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete Internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. Non credo che sia necessario in questa sede ricordare come Internet sia utilizzato come chiave di accesso nel mondo minorile da parte di coloro che abbiano intenzione di abusare di quel mondo. Così come per la violenza sessuale, anche per la pedofilia si è prevista la possibilità di accedere al gratuito patrocinio indipendentemente dai limiti di reddito. Purtroppo non raramente la pedofilia avviene in ambito familiare, ed è posta in essere proprio da chi ha la disponibilità concreta e reale del reddito. Con questa norma si tutelano tutti coloro, come ad esempio la moglie del carnefice e madre della vittima, che solo formalmente ha un reddito che non consentirebbe di accedere al gratuito patrocinio. L'articolo 5 reca modifiche al codice di procedura penale, alcune delle quali in funzione di coordinamento della disciplina processuale con le modifiche apportate al codice penale. Tra le più importanti si segnalano quelle relative all'inserimento del delitto di associazione per delinquere con scopo di pedofilia nell'elenco di delitti per i quali le funzioni di pubblico ministero devono essere esercitate dall'ufficio presso il tribunale del capoluogo del distretto. Con la novella all'articolo 282- si interviene in materia di allontanamento dalla casa familiare attraverso l'ampliamento del catalogo dei delitti che possono comportare l'applicazione di tale misura a prescindere dai limiti edittali di pena. Si esclude poi l'applicazione del patteggiamento al caso di prostituzione minorile. La disposizione interviene anche in materia di incidente probatorio novellando gli articoli 392, comma 1- e 398, comma 5- tenendo conto di quanto previsto dal decreto-legge n. 11 del 2009. Si è modificata la legge n. 1423 del 1956 sulle misure di prevenzione personali, prevedendo che il giudice possa pre scrivere il divieto di avvicinamento a luoghi determinati abitualmente frequentati da minori. L'articolo 7, attraverso una novella all'articolo 4- dell'ordinamento penitenziario, così come modificato dalla legge sulla sicurezza del luglio 2009, subordina la concessione di benefici penitenziari ai condannati per delitti di prostituzione minorile e pedopornografia, nonché di violenza sessuale, ad un accertamento del percorso rieducativo da parte di una commissione. Infine, viene integrato il catalogo dei reati da cui deriva l'applicabilità della confisca penale obbligatoria nell'ambito delle misure di prevenzione antimafia. La medesima disposizione prevede ulteriori ipotesi di confisca obbligatoria anche per equivalente in caso di condanna o patteggiamento della pena per alcuni delitti in danno dei minori.
. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
, Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, con il provvedimento in discussione, come è noto, ci apprestiamo a ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, nonché le norme di adeguamento dell'ordinamento interno, fatta a Lanzarote nel 2007. Già dal titolo del disegno di legge in esame si deduce l'enorme rilevanza di questo provvedimento, soprattutto se si tiene conto che la Convenzione di Lanzarote, come è stato detto dal relatore, è il primo strumento internazionale con il quale si prevede che gli abusi sessuali contro i minori siano considerati reati. Sembra incredibile, ma è così. Dunque, finalmente, anche nel nostro Paese e non solo, la tutela dei minori sembra avere intrapreso un percorso di prevenzione e di repressione di reati che interpellano la coscienza non solo del legislatore, ma di tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro Paese, dal momento che sono proprio i giovani e i bambini a rappresentare il nostro futuro. Con questo non voglio affermare che in Italia non ci siano leggi a tutela dei minori, ma voglio sottolineare che, grazie a questa Convenzione, si mettono in essere disposizioni di adeguamento interno che incideranno sul diritto e sul codice di procedura penale e che sono quanto mai opportune ed urgenti. In particolare, le maggiori novità introdotte riguardano il raddoppio del termine di prescrizione per il reato di violenza sessuale commessa su un minore di anni 14; la previsione del reato di associazione diretta a commettere reati sessuali contemplati dalla Convenzione; l'integrazione del reato di atti sessuali commessi su un minorenne con la punizione dei soggetti che abusino della loro autorità o influenza sul minore, anche quando questi abbia superato i 16 anni di età; l'integrazione del reato di prostituzione minorile, per cui è punito con la reclusione da 6 a 12 anni e con la multa da 15 mila a 150 mila euro chiunque recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni 18, favorisce, sfrutta o gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di età inferiore agli anni 18, ovvero altrimenti ne trae profitto. Inoltre, prevede l'adeguamento alla Convenzione dell'articolo 600-; l'introduzione del reato di adescamento di minori a scopo sessuale, per cui chiunque, allo scopo di abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni 16 o un incapace ovvero di indurlo alla prostituzione o a esibizioni pornografiche o alla produzione di cui all'articolo 600-, intrattiene con lui, anche attraverso l'utilizzazione della rete Internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, una relazione tale da condurre ad un incontro; tale soggetto è, quindi, punito con la reclusione da uno a tre anni. Infine, si prevede la confisca dei patrimoni delle associazioni criminali che si dedicano ai reati in esame e la subordinazione della concessione dei benefici penitenziari, quando possibili, alla positiva partecipazione ad un programma di riabilitazione. Inoltre, gli articoli del codice penale modificati (600 e 609 nelle varie articolazioni) riguardano in particolare la riduzione o mantenimento in schiavitù, la prostituzione minorile, la pornografia, la detenzione di materiale pornografico, le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, la confisca dei beni, gli atti sessuali con minorenni, la violenza sessuale di gruppo, e così via. Direi che si tratta di un elenco completo e purtroppo agghiacciante dei reati previsti a tutela dei minori e di una giusta e sacrosanta pesante aggravante delle pene previste dal codice penale. Vorrei sottolineare, in particolare, che, oltre alle fattispecie di reato pur tristemente note, finalmente viene disciplinato il reato di che è l'adescamento via Internet. Si tratta di azioni sconosciute fino a poco tempo fa, ma che sempre più ora stanno diventando un vero pericolo per i bambini e per gli adolescenti, che, attraverso la rete, inconsapevolmente possono fare incontri drammatici e pericolosi. Questa circostanza è aggravata dal fatto che i viziosi che adescano i bambini sono sempre più numerosi e «attrezzati» e che purtroppo sempre più spesso i giovani navigano in Internet da soli senza un adulto che li accompagni e con una abilità e una dimestichezza con i nuovi spesso sconosciute agli stessi genitori e insegnanti. In Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza e durante la giornata internazionale per l'infanzia celebrata a Napoli lo scorso 20 novembre ci siamo occupati della questione e le relazioni che ci hanno fatto gli esperti del settore, anche auditi in Commissione, hanno veramente allarmato tutti i membri della Commissione. È necessario e urgente agire sempre più in profondità e con azioni mirate in questo campo ed è per questa ragione che vediamo con favore l'approvazione di questo disegno di legge che certamente aiuterà gli operatori del settore, a partire dai giudici che lo dovranno applicare. L'aggravamento delle pene previsto dal codice è un primo ed indispensabile passo, ma certo non basta. Infatti, la Convenzione correttamente delinea misure preventive che vanno dallo al reclutamento e all'addestramento del personale che possa lavorare con i bambini al fine di renderli consapevoli dei rischi che possono correre e di insegnare loro a proteggersi. Infine, la Convenzione stabilisce programmi di supporto alle vittime, incoraggia la denuncia di presunti abusi e di episodi di sfruttamento e prevede l'istituzione di centri di aiuto via telefono o via Internet. Tutto bene, dunque, ma mi sia consentito, durante questa discussione sulle linee generali, sottolineare un aspetto che a mio avviso va scritto in rosso e che questa legge non prevede e verso il quale ho delle notevoli riserve. Quello che dirò riguarda un'omissione, a mio avviso, della Convenzione, ragione per cui sarà opportuno provvedere in altre sedi e con strumenti idonei, per non lasciare dei vuoti nella tutela dei minori che possono dimostrarsi altrettanto dannosi. L'articolo 5 della Convenzione interviene in materia di allontanamento dalla casa familiare attraverso l'ampliamento del catalogo dei delitti che possono comportare la misura dell'allontanamento dalla casa familiare, a prescindere dai limiti edittali della pena. Nulla in contrario, ovviamente, quando si tratta di tutelare e difendere i minori anche all'interno delle mura familiari; ma lascia molto perplessi che sul fronte della famiglia nulla sia detto o anche solo accennato, per quanto riguarda il ruolo positivo che la famiglia può e deve svolgere accanto al minore, anche per quanto riguarda le misure che potrebbero essere messe in campo per sostenere la famiglia nel suo compito educativo e di prevenzione. Oggetto della Convenzione, in ultima analisi, è quello di garantire i diritti dell'infanzia sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, diritti che sono spesso dichiarati ma non sempre garantiti; diritti che a volte, purtroppo troppo spesso, sono dichiarati contro la famiglia di origine, quei diritti dei minori che esprimono il livello di civiltà di ogni Paese. Mi riferisco in particolare alla presenza o meno della famiglia e alle conseguenza che questo riveste anche nel campo della difesa dei minori dai pericoli a cui possono andare incontro. Quando si è chiamati a riflettere su un tema così delicato e complesso quale quello dell'infanzia non si può prescindere dall'inserire i minori nel contesto familiare in cui essi nascono, crescono e si formano. Oggi invece troppo spesso si tende a isolarli dalla relazione familiare, non considerando adeguatamente i legami e i rapporti che in una famiglia si instaurano, nel male ma molto spesso nel bene. Famiglia e infanzia sono strettamente legate - ed è incredibile che una Convenzione internazionale ignori questi aspetti - anche quando la famiglia è assente per incapacità o immaturità educativa. Sotto questo aspetto l'infanzia va davvero capita e sostenuta all'interno del nucleo familiare. John Bowlby, in un magistrale testo del 1951 che ha dato l'avvio alle sue ricerche sulle cure materne e sull'igiene mentale del fanciullo, affermava: «se una società si interessa ai propri bambini deve prendersi cura dei loro genitori». Di tutto questo nella Convenzione non si fa neanche un minimo cenno. Quindi, ritengo che non sia opportuno riflettere sul rapporto che i minori hanno con la società senza richiamare il rapporto dei minori con la loro famiglia. Sostenere i minori significa sostenere la loro famiglia e reinserire i minori in un contesto sociale significa reinserirli nella loro famiglia dopo che questa è stata aiutata. Purtroppo, la tendenza culturale e politica più diffusa è quella di concentrarsi esclusivamente sui problemi dell'infanzia e dei minori, evitando di preoccuparsi delle tematiche relative alla famiglia che hanno invece immediate ripercussioni sull'universo infantile. Risulta strano o perlomeno discutibile che, tra le misure preventive della Convenzione in oggetto, vi sia la formazione di personale che abbia a che fare con i bambini, per renderli consapevoli dei rischi che corrono, mentre non una parola sulla preparazione e l'accompagnamento delle famiglie, che ancora una volta sono abbandonate a se stesse. Stabilire percorsi, progetti e programmi a livello scolastico o a livello di consultori familiari per preparare i genitori ai possibili rischi che corrono i propri figli mi sembra giusto e doveroso. Ritengo che le istituzioni italiane non possano e non debbano fermarsi ad approvare tale Convenzione, ma si debbano adoperare per colmare i vuoti che questa Convenzione lascia ancora in essere. Vorrei, pertanto, richiamare il dovere di tutti noi di intervenire a livello culturale e normativo e porre le basi per una sostenibilità che preveda la famiglia come risorsa principale a favore dei minori a tutti i livelli, nazionale e internazionale. I documenti guida sotto questo aspetto, che non dovrebbero mai essere dimenticati, sono la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo di New York del 10 dicembre 1948, articolo 16, in cui si dice che la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha il diritto di essere protetta dalla società e dallo Stato, e la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, che nel preambolo afferma: la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei bambini, dovrebbe ricevere l'assistenza e la protezione necessaria per assumere pienamente le sue responsabilità all'interno della comunità. Suona strano - insisto - che una Convenzione redatta due anni fa, a distanza di anni da questi due documenti fondamentali, abbia dimenticato questi aspetti che desidero sottolineare. Non più tardi di questa mattina, il Presidente della Camera ad un incontro nella Sala della lupa ha invocato un'alleanza educativa tra tutti i soggetti che si occupano dei minori e della loro educazione. Dunque, in questa alleanza invocata non può essere trascurata la famiglia, che della crescita armoniosa dei propri figli è la prima responsabile. Detto questo, mentre ci accingiamo ad approvare questo provvedimento, che ha indubbi risvolti positivi, esprimo l'auspicio che, anche a partire dalla Convenzione di Lanzarote, si possa instaurare un patto sociale forte e coraggioso, anche a livello internazionale, affinché la questione infanzia diventi un impegno ed una sfida di tutti i Paesi per garantire un futuro migliore alle nuove generazioni insieme alle loro famiglie.
. È iscritto a parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la Convenzione di Lanzarote l'Unione europea intende dotarsi di uno specifico strumento giuridico avente lo scopo di tutelare i minori da tutte le forme di abusi sessuali. In premessa, occorre sottolineare il valore fondamentale della Convenzione sottoposta alla ratifica del Parlamento italiano. Il testo elaborato dal Consiglio d'Europa ha il duplice obiettivo di porre in essere una disciplina organica delle fattispecie di reato volte a proteggere i minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale e, contestualmente, propone una corposa articolazione di impegni comunitari e nazionali, aventi lo scopo di mettere in campo una solida politica di prevenzione di tali reati, estremamente gravi e dolorosi per le vittime. Il testo della Convenzione di Lanzarote è suddiviso in tredici capitoli. Il primo di questi definisce l'oggetto della Convenzione, ovvero la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, così descritti negli articoli successivi, fornendo importanti definizioni. In particolare, specifica che per bambino vada intesa ogni persona al di sotto dei diciotto anni di età. I successivi capitoli sviluppano un diffuso sistema di prevenzione, fondato su azioni poste in capo ai singoli Stati, per impedire sul nascere la commissione di possibili reati sessuali a danno di minori. Tale parte è importante tanto quanto quella relativa all'individuazione delle nuove ipotesi di reato, all'integrazione di nuove disposizioni processuali e all'adozione di più stringenti pene e modalità di esecuzione della pena stessa. Come è stato sottolineato da molti componenti della Commissione, la prevenzione si fonda in primo luogo sull'informazione da impartire alle famiglie - si parlava prima dell'importanza di coinvolgere le famiglie - e agli operatori educativi, capaci di creare quello che possiamo chiamare un sistema immunitario, che consenta a tali soggetti di proteggere il minore stesso. La prevenzione, così come viene definita dalla Convenzione, si rivolge in primo luogo al personale che lavora a contatto con il mondo dell'infanzia, siano essi operatori scolastici, forze dell'ordine, realtà sportive e ricreative. Questa formazione, che potremmo definire di primo livello, dovrà essere utilizzata dagli operatori nei processi educativi coinvolgenti gli stessi minori. In secondo luogo, l'opera di sensibilizzazione dei rischi delle modalità con cui possono presentarsi le diverse forme di abuso sessuale verso i minori dovrà essere specifico oggetto di campagne di rete anche verso le famiglie e il pubblico più in generale, tenendo conto anche delle nuove forme di comunicazione; in particolare, vi è una trattazione specifica che viene rivolta a Internet. La Convenzione dedica particolare attenzione alla comunità che si sviluppa attraverso Internet e, sulla scorta dei numerosi episodi di cronaca che hanno messo in evidenza come proprio Internet costituisca la potenziale rete di adescamento dei bambini, nel testo si predispongono specifiche disposizioni per ridurre il rischio che i minori possano essere vittime di criminali che si aggirano proprio sulla rete. Sotto il profilo della prevenzione, la Convenzione propone diverse azioni: l'istituzione di organismi nazionali e locali per la promozione e la protezione dei diritti del bambino; la definizione di programmi e strutture per sostenere i bambini vittime di abusi sessuali; l'adozione di misure che permettano la segnalazione di persone e realtà sospette, mediante l'attivazione di apposite linee telefoniche o Internet con operatori capaci di dare assistenza a chi chiama; infine, la predisposizione di programmi di intervento per persone processate o condannate per reati a carattere sessuale a danno di minori, al fine specifico di prevenire possibili recidive. Signor Presidente e signor rappresentante del Governo, questo è importante: alcune esperienze di Paesi a noi vicini potranno essere al riguardo molto interessanti per capire come seguire nell'iter processuale, e anche dopo, le persone che si sono rese colpevoli di tali delitti. Accanto a questo diffuso sistema di prevenzione, il testo sottoposto al nostro esame prevede un intervento legislativo altrettanto articolato sotto il profilo penalistico e processuale, capace di reprimere con immediatezza e particolare intensità gli autori di abusi sessuali contro i minori. Come sappiamo, il nostro ordinamento già contempla in seno al codice penale una specifica normativa avente la finalità di punire gli autori di reati sessuali contro i minori: prima la legge sulla violenza sessuale n. 66 del 1996, precedentemente citata, e successivamente le leggi n. 269 del 3 agosto 1998 e n. 38 del 6 febbraio 2006 hanno consentito di individuare all'interno del codice penale un complesso di fattispecie di reato contro tutte le forme di abuso che vedono i minori quali vittime. Vi sono poi nel codice penale gli articoli 600- e 600-. Quest'ultimo punisce anche chi, mediante qualunque mezzo, anche per via telematica, distribuisca, divulghi, diffonda o pubblicizzi materiale pornografico con minorenni, punendo la cessione di detto materiale anche a titolo gratuito. Vi è poi l'articolo 600-, che è interessante perché rubricato come «pornografia virtuale»; e nell'era informatica tale puntualizzazione è particolarmente importante, perché si tratta di uno dei principali modi di adescamento. Infine, l'articolo 600-, che punisce gli organizzatori del cosiddetto turismo sessuale. Vi sono ulteriori norme a tutela dei minori, che sono contenute nelle disposizioni che vanno dall'articolo 609- a 609-: in particolare, l'articolo 609- disciplina il reato di atti sessuali con minore; l'articolo 609- prevede il delitto di corruzione di minore. Quindi, sotto il profilo processuale, facendo una breve ricognizione delle norme contenute nel codice di procedura penale, sappiamo che l'articolo 33- per i reati previsti dagli articoli da 600- a 600- per i reati di violenza sessuale e atti sessuali con minori, prevede la competenza del tribunale in composizione collegiale. È previsto l'arresto obbligatorio in flagranza in caso di reati di prostituzione minorile, pornografia minorile anche virtuale e turismo sessuale. Infine, ulteriori modifiche sono intervenute in relazione all'incidente probatorio, con lo specifico compito di proteggere la figura del minore in dibattimento. Negli ultimi anni si è andata rafforzando una politica di repressione contro la pedopornografia a mezzo Internet, e proprio su tale specificità interviene anche la Convenzione di Lanzarote con la previsione del reato di adescamento di minori per scopi sessuali tramite Internet (il cosiddetto . Con tale nuova fattispecie di reato si vuole punire la condotta intenzionale di un adulto che, attraverso Internet, proponga ad un minore di incontrarlo con l'intento di commettere uno dei reati suindicati, necessitando ai fini dell'integrazione materiale del reato la concreta esecuzione di atti materiali aventi tale scopo. Si è discusso molto - la relatrice se lo ricorderà - sull'introduzione possibile di un reato di pedopornografia culturale, anche con tutta la difficoltà di inquadrare, nella materialità e nell'adeguatezza, la fattispecie nella sua commissione. La configurazione però di tale particolare forma di adescamento risponde ad una comprovata necessità, maturata a fronte del moltiplicarsi di episodi di violenza a danno dei minori realizzatisi a causa dell'uso di Internet: se, da un lato, la rete certamente rappresenta una grande occasione di sviluppo delle relazioni, dall'altro, non si può escludere che proprio Internet diventi un moltiplicatore di occasioni pericolose per i minori a fronte delle malevole intenzioni di criminali che proprio nei pensano di trovare uno schermo a difesa dei propri intenti criminali. Più in generale, la Convenzione di Lanzarote ha l'indubbio merito di proporre agli Stati dell'Unione una trattazione organica ed omogenea della materia, consentendo in tal modo di definire una sorta di legislazione sovranazionale a tutela dell'integrità sessuale dei minori, ponendo le basi per una tutela rafforzata dei bambini; questo fra l'altro è uno di quei casi a commissione trasversale, ed anche transnazionale, legato al turismo sessuale in entrata ed in uscita. Al contempo, la produzione di tale atto legislativo possiede anche una forte valenza di contrasto alle azioni poste in essere da realtà organizzate internazionali, che proprio sulla pedopornografia fanno affari. Il nostro gruppo (e vado verso la conclusione, signor Presidente) ha espresso in Commissione un giudizio estremamente positivo, auspicando che l'adozione della Convenzione consenta di definire una disciplina nazionale organica, tenendo anche conto delle diverse iniziative legislative all'esame sia della Camera che del Senato, con lo scopo di evitare che su una materia così delicata e importante si creino inutili sovrapposizioni o lacune che non consentano la puntuale e dura repressione degli autori di reati tanto infami e disumani. Infine, il nostro auspicio è che il Governo possa varare al più presto l'istituzione di quelle Autorità e di quelle banche dati che fanno riferimento al Trattato di Prüm già da noi approvato, per consentire l'archiviazione del DNA dei criminali che si rendano responsabili di tali delitti per poter poi eseguire tutte le azioni sia di prevenzione per la recidiva sia di prevenzione .
. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, intendo iniziare questo breve intervento richiamandomi a quanto detto in maniera impeccabile (e che in qualche modo racchiude il senso di questa Convenzione, della sua ratifica e della sua esecuzione) dall'ex segretario generale dell'ONU Kofi Annan: «Non c'è responsabilità più sacra di quella che il mondo ha verso i bambini. Non c'è dovere più importante che garantire che siano rispettati i loro diritti, che il loro benessere sia tutelato, che le loro vite siano libere dalla paura e dal bisogno e che essi possano crescere nella pace». Detto questo, credo che la Convenzione di Lanzarote, non ancora entrata in vigore, sia il primo strumento internazionale con il quale si prevede che gli abusi sessuali contro i bambini e i minori in genere siano considerati reati, oltre alle fattispecie di reato più diffuse in questo campo che, come si è ricordato, sono l'abuso sessuale, la prostituzione infantile, la pedopornografia, la partecipazione coatta di bambini a spettacoli pornografici. La Convenzione in esame disciplina anche casi di ossia di adescamento attraverso Internet e di turismo sessuale: ciò è già stato ricordato, ma lo faccio ancora perché è bene che tutti noi si abbia per la testa la gravità di questo fenomeno e che culturalmente ce ne impossessiamo sia come persone, sia come parlamentari ed anche come istituzioni in grado di dare delle risposte più complessive e articolate. Osservo, quindi, che la Convenzione, composta da cinquanta articoli raggruppati in tredici capitoli, delinea misure preventive che comprendono il monitoraggio, il reclutamento e l'addestramento di personale che possa lavorare con i bambini, al fine di renderli consapevoli dei rischi che possono correre e di insegnare loro a proteggersi. Essa stabilisce, inoltre, programmi di sostegno e supporto alle vittime ed incoraggia la denuncia di presunti abusi e di episodi di sfruttamento prevedendo l'istituzione di centri di aiuto via telefono o via Internet. Considerata l'importanza strategica di tale ratifica, anche in vista di un'efficace tutela dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale e del conseguente adeguamento dell'ordinamento interno in materia di diritto e di procedura penale, l'Italia dei Valori esprime un giudizio favorevole sul provvedimento in esame. Si riconosce altresì, finalmente, l'importanza delle attività svolte anche dagli enti locali e dalle associazioni di volontariato nel campo della protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale. Si auspica che quanto enucleato in forma teorica nella Convenzione possa essere tradotto dal Governo in misure concrete soprattutto attraverso l'individuazione di appositi strumenti di intervento nell'ambito della definizione del previsto Piano di azione per l'infanzia. Esprimiamo, altresì, soddisfazione per quella parte della Convenzione che introduce - e non se ne è puntualizzata oltremodo l'importanza - il principio della formazione professionale di tutti coloro che operano nel campo delle indagini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali relativi ai bambini, dal momento che la delicatezza delle mansioni svolte in tale settore richiede un tipo di preparazione specifica e adeguata. Insisto sul principio della formazione professionale perché vi è una dimenticanza importante e ritengo anche in qualche modo colpevole perché in questa Convenzione non si fa menzione della famiglia; ma di ciò mi occuperò in conclusione dell'intervento. Si fa presente, peraltro, che si prevede nella Convenzione stessa il raddoppio dei termini di prescrizione in caso di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e violenza sessuale di gruppo in danno di minore di anni quattordici, l'introduzione del reato di pedofilia e pedopornografia culturale individuato nella condotta di chi, con qualsiasi mezzo anche telematico e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600, turismo sessuale, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e corruzione di minorenne. La pena è la reclusione da tre a cinque anni e la stessa pena si applica a chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più dei delitti indicati. L'aumento delle pene si ha nel caso di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati indicati commessi nei confronti di minorenni, e quale ulteriore aggravante dell'omicidio si ha la circostanza che il fatto sia commesso in occasione dei reati di atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni in cambio di denaro, di altra utilità o di pornografia minorile. In particolare, in materia di prostituzione minorile vengono individuate ulteriori condotte riconducibili all'induzione, agevolazione e sfruttamento della prostituzione (comma 1), si interviene sulla fattispecie di cui al comma 2 (compimento di atti sessuali con un minorenne in cambio di denaro o di altra utilità economica) anche attraverso la ridefinizione della nozione di utilità e si modifica la disciplina delle aggravanti. In materia di pornografia minorile si amplia il novero delle condotte riconducibili a tale delitto: in particolare, vengono aggiunti alle esibizioni pornografiche il concetto di spettacoli pornografici ed al concetto di induzione alla pornografia minorile quello di reclutamento. Si prevede inoltre la sanzionabilità di colui che, a prescindere da tali condotte attive, tragga comunque profitto da tali esibizioni e spettacoli. Vengono, inoltre, introdotti due nuovi articoli nel codice penale che intervengono sulle circostanze attenuanti dei delitti contro la personalità individuale e definiscono ulteriori pene accessorie applicabili nel caso di condanna per i medesimi delitti. Si interviene, infine, sui delitti di violenza sessuale estendendo l'ambito soggettivo di applicazione del delitto di atti sessuali con minorenne e si interviene sul delitto di corruzione di minorenne, in particolare sanzionando anche il comportamento di chi faccia assistere un minore di 14 anni al compimento di atti sessuali ovvero gli mostri materiale pornografico al fine di indurlo a compiere o a subire atti sessuali. Si ammettono al patrocinio a spese dello Stato le persone offese da delitti di violenza sessuale, di sfruttamento sessuale di minori e di tratta di persone anche in deroga ai limiti del reddito generalmente previsti. Si introduce il nuovo delitto di adescamento di minorenni, la cui condotta consiste nel compiere qualsiasi atto volto a carpire la fiducia di un minore di 16 anni attraverso artifici, lusinghe o minacce poste in essere anche mediante Internet o altre reti o mezzi di comunicazione. La fattispecie è caratterizzata dal dolo specifico ed il soggetto agente deve aver agito al fine di commettere delitti di sfruttamento sessuale di minori o delitti di violenza sessuale. Ma andando più in profondità, bisogna anche verificare alcuni aspetti e dire che - a seguito dei due precedenti convegni mondiali tenutisi a Stoccolma nel 1996 e nella città di Yokohama nel 2001 - sono state emanate importanti dichiarazioni di intenti, grazie alle quali molti Paesi si sono proficuamente impegnati attraverso piani d'azione che hanno previsto interventi sia di natura repressiva sia di natura preventiva per contrastare il terribile fenomeno della pedofilia e della pedopornografia. L'Italia, attraverso sostanziali modifiche al codice penale italiano, ha deciso con fermezza di allinearsi sia alle indicazioni emerse nei due congressi precedenti sia alle disposizioni del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo relativo alla vendita di bambini, alla prostituzione minorile, alla pornografia minorile. L'Italia fin dal 1996 ha introdotto nel codice penale il reato di prostituzione minorile prevedendo pene molto elevate per chi induce alla prostituzione un minore di 18 anni, pene elevate per chi compie atti sessuali con un minore tra i 14 e i 18 anni ed elevatissime se il minore ha meno di 14 anni. L'Italia ha anche previsto il reato di pornografia minorile per chi, utilizzando minori di 18 anni, realizza esibizioni pornografiche, produce materiale pornografico o induce i minori a parteciparvi. È reato fare commercio del materiale, detenere, divulgare, distribuire, diffondere, pubblicizzare detto materiale anche se virtuale. Dal 1998 inoltre, il legislatore italiano ha introdotto l'equivalenza tra il concetto di sfruttamento sessuale a fini commerciali e la riduzione in schiavitù; ha altresì considerato tali forme di sfruttamento come serie minacce alla salvaguardia dello sviluppo fisico e psicologico dei minori, collocando le nuove fattispecie nell'ambito dei delitti contro la personalità individuale. Sono da ritenere fondamentali questi passaggi poiché l'elemento centrale che si vuole tutelare è sempre e comunque il minore. Questo è tanto valido per i reati di violenza sessuale, quanto per quelli di sfruttamento, dove per sfruttamento intendiamo sia l'utilizzo del minore con finalità di prostituzione, sia l'utilizzo dei minori per la produzione di immagini pornografiche. Il mutare dei tempi rende evidenti ulteriori necessità, prima fra tutte l'omogeneità legislativa tra i vari Paesi coinvolti nel turpe reato di pedopornografia e di pedofilia. Il primo strumento comune a cui rivolgersi deve essere considerato, innanzitutto, la nuova Convenzione di Lanzarote. La Convenzione sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, promossa dal Consiglio d'Europa, è stato concepita come uno strumento di natura vincolante per i Paesi firmatari, tale da rappresentare un effettivo valore aggiunto rispetto agli strumenti già esistenti. È il nuovo orizzonte per gli Stati che credono profondamente nell'importanza dell'azione comune. Aderire a questo importante ed innovativo strumento internazionale significa, infatti, apprestarsi ad affrontare le nuove sfide che attendono gli Stati nell'immediato futuro. In particolare, vi è l'importanza di arginare le nuove fattispecie di reato che si vanno delineando attraverso le nuove tecnologie come, ad esempio, l'adescamento dei minori attraverso Internet, che rappresenta l'assoluta novità introdotta dalla Convenzione nel panorama normativo internazionale. Esiste, ancora, la necessità di identificare le vittime; dietro ogni immagine di bambini sfruttati attraverso la pornografia vi è, infatti, un bambino in carne ed ossa che non dobbiamo dimenticare. Vi è, inoltre, la necessità di contrastare l'utilizzazione di bambini per finalità di prostituzione nei Paesi ad alto rischio, in particolare mediante l'applicazione della extraterritorialità e del principio della certezza della pena, sanzionando anche l'utilizzo dei minori per spettacoli pornografici e la partecipazione consapevole degli adulti a tali turpi spettacoli. Vi è la necessità, infine, di promuovere l'attività di cooperazione internazionale. Nella nuova Convenzione si introduce l'impegno per gli Stati di effettuare programmi di cooperazione allo sviluppo nei Paesi a maggior rischio di sfruttamento sessuale dei minori al fine di prevenire e contrastare il fenomeno, e per combatterne la sua dimensione transnazionale. Infine, è opportuno sollecitare un esercizio sempre più stringente in merito alla cooperazione giudiziaria e di polizia. Bisogna ricordare l'importanza per tutti i Paesi di prevedere un sempre più efficace coordinamento politico. Questo è stato l'elemento condiviso tra Stoccolma e Yokohama che è stato ribadito nella Convenzione di Lanzarote. L'Italia si è da sempre posta in prima linea nella lotta all'abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori, avviando da tempo un incisivo processo di adeguamento normativo per dotarsi di strumenti di contrasto moderni ed efficaci a questo turpe fenomeno. Lo Stato italiano è dotato, inoltre, di due organismi: l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, presso il Ministero delle pari opportunità, e il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia su Internet, organismo istituito presso il Ministero dell'interno. Questi due organismi estremamente innovativi, il cui modello è stato portato come buona pratica nella negoziazione della Convenzione di Lanzarote, svolgono delle azioni fondamentali. Il primo si occupa della raccolta dei dati attraverso la previsione di una specifica banca dati, nel pieno rispetto della privacy, e svolge attività di studio del fenomeno con un approccio rigoroso e scientifico al fine di implementarne le politiche. Il secondo pone in essere azioni di contrasto al fenomeno dello sfruttamento sessuale dei minori attraverso le immagini pornografiche via Internet, con la previsione di unità specializzate che controllano la rete, creando delle e operando il controllo dell'acquisto delle immagini attraverso le carte di pagamento. Bisogna, inoltre, ricordare l'importanza di effettuare dei piani di azione specifici che coinvolgano in un tavolo di lavoro non solo le amministrazioni, ma anche le maggiori organizzazioni non governative impegnate nella lotta al fenomeno in campo internazionale, ricordando che tale fenomeno è strettamente legato a quello della tratta e che supera tristemente i confini di ogni nazione per divenire piaga internazionale comune ai popoli. Voglio terminare questo mio intervento ricordando un aspetto che ho citato in premessa: non è stato dato il giusto ruolo, che ritengo fondamentale, prioritario e di coordinamento, alla famiglia. Come ho avuto modo di dire in altre occasioni, ritengo che ogni identità è una relazione, e la prima relazione nasce, cresce, e si struttura all'interno della famiglia. È sbagliato, quindi, non attribuirle un ruolo così importante e prioritario, avendolo garantito giustamente a tutti quanti, soprattutto alla formazione professionale, alle ONG e agli enti locali. Evidentemente vi è un retroterra culturale che impedisce che vi sia la partecipazione della famiglia in termini così forti e importanti, famiglia che viene solo richiamata nelle occasione ormai negative, in cui viene vista soccombere nella sua veste educativa e nel suo fondamentale rapporto per lo sviluppo e la crescita dei minori. Ritengo che vi era una buona occasione, all'interno di questa Convenzione in questo momento, in questo Parlamento e nelle sue Commissioni, ovverosia quella di colmare questo vuoto, perché credo che il riferimento della famiglia, intesa come risorsa, sia assolutamente insostituibile. Mi viene alla mente un libro di una studiosa, una scrittrice italiana, Daniela Del Boca, che tratta di famiglie sole. Ebbene, in questo caso le famiglie italiane (ma anche le famiglie a livello mondiale) sono ancora più sole perché questa Convenzione avrebbe avuto tutto il diritto e tutto il dovere di conferire loro un ruolo prioritario. Infatti, è vero il concetto di centralità dei minori, ma è anche vero che bisogna mettere in campo delle politiche nelle quali le relazioni, a partire da quelle familiari, diventino fondamentali perché il centro di ogni passo, di ogni identità e di ogni azione per i minori resta e rimane la famiglia, alla quale dovremo dare molti più supporti anche di carattere culturale, con politiche veramente innovative di sostegno che non la facciano sentire sola ma vicina ad uno Stato in grado di essere moderno ed efficace anche attraverso queste ratifiche ed esecuzioni di Protocolli e di Convenzioni.
. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, dopo gli ampi e articolati interventi dei colleghi ritengo di dovermi sottrarre ad una - a questo punto inutile - parafrasi del contenuto positivo del testo che oggi viene rassegnato all'esame dell'Aula, non perché esso non sia significativo ed importante ma proprio perché i suoi contenuti di dettaglio sono stati ampiamente indicati (mi limiterò a qualche ulteriore specificazione). Vorrei invece cogliere l'occasione per una riflessione di carattere più generale, di carattere politico, su questo tema partendo dalla considerazione (che peraltro anche ampiamente la relatrice ha svolto, e a tal proposito colgo l'occasione per ringraziarla per il lavoro e l'impegno profuso) che su questo tema non è certamente né necessario né opportuno dividersi attraverso schematismi ideologici o di fazione poiché questa è una delle materie dove, più che quasi in ogni altra, si evidenzia la necessità di una cultura umanistica integrale, di un umanesimo integrale che deve pervadere di sé, in una democrazia moderna ed avanzata come la nostra, tutte le istituzioni e tutta la normativa. Ciò è tanto vero che la stessa nozione di abuso sessuale che viene in qualche misura utilizzata, non soltanto recependo quanto indicato nella Convenzione ma anche perché si tratta di una elaborazione che appartiene già al nostro ordinamento, non è più quella di un abuso fisico, bensì di un abuso che alcuni giuristi definiscono anche cioè un abuso che riguarda ogni turbativa all'integrità della persona anche nella sua sfera sessuale e nel diritto alla sua libera formazione: quindi ogni turbativa, ogni elemento che impedisce una formazione libera, autonoma e giusta della personalità del minore è in questo caso sanzionato e sanzionabile. Ciò - direi - tra l'altro deve considerarsi lo sviluppo di un'ampia elaborazione che il nostro ordinamento negli ultimi anni sta positivamente compiendo anche più in generale per quello che riguarda le relazioni personali e umane e non solo per quello che riguarda le relazioni sessuali, anche tra persone maggiori di età. Mi riferisco anche alle relazioni familiari, alle relazioni tra soggetti, dove - anche qui - rispetto alle vecchie norme ormai assai datate, che avevano la loro consistenza ed il loro culturale in una visione di tutela dell'onorabilità, dell'onore e della dignità della persona come fatto esterno, si privilegia ora la tutela invece della identità personale e della libertà personale di qualunque cittadino. Tant'è vero che gli interventi nel nostro ordinamento non sono solo quelli di ratifica della Convenzione in esame, ma potremmo dire che partono dalla legge n. 66 del 1996 (norme contro la violenza sessuale), dalla legge n. 269 del 1998 (norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù). Vi sono stati poi altri appuntamenti non normativi, ma di carattere internazionale, a cui il nostro Paese ha preso parte positiva, come il congresso di Yokohama contro lo sfruttamento commerciale e sessuale dei minori nel 2001 e come la sessione speciale delle Nazioni Unite sull'infanzia, conclusasi con un documento, il che è in qualche misura anch'esso un punto fondamentale della lotta a livello internazionale contro ogni forma di violenza nei confronti dei minori. Potremmo anche aggiungere la legge n. 154 del 2001 (misure contro la violenza nelle relazioni familiari) e la legge n. 38 del 2009, perché anche lo seppur si riferisce ad una specifica condotta soprattutto all'interno della sfera delle relazioni sentimentali, certamente non è estraneo a questo complesso e articolato sistema di norme, che mi fa venire in mente una prima riflessione di carattere generale: forse i tempi sono maturi per la redazione di un testo unico, una sorta di di queste disposizioni, che peraltro negli anni si sono trovate in qualche contraddizione, soprattutto perché il sistema repressivo, per quello che riguarda tutti i suoi aspetti, dovrebbe essere ampiamente ordinato. L'altro punto che mi sento di aggiungere, sempre come riflessione di carattere generale, è che potrebbe per esempio occuparsi di questa materia la Commissione speciale per l'infanzia, ma anche le Commissioni di merito potrebbero cominciare a lavorarci; occorrerebbe anche una visione più articolata: tutti gli interventi hanno lamentato la mancanza della centralità della famiglia. Io direi, più in generale, che non dobbiamo costruire questo tema come un tema panpenalistico, un tema che solo attraverso una pur adeguata repressione penale può essere risolto, perché pur senza alcun sociologismo deterministico - infatti non è più così, tutti noi abbiamo abbandonato questa illusione - non vi è altrettanto dubbio che solo con un intervento integrato, che tenga conto della sociologia, della psicologia e del diritto, del diritto repressivo, ma anche della prevenzione, si può tracciare una rotta che serva non solo a reprimere questi fenomeni, ma tendenzialmente ad evitarne la loro interazione. In particolare, facendo riferimento anche ai dati, essi ci dimostrano come la gran parte di questi tipi di violenza non siano soltanto esterni, non siano soltanto quelli dell'orco cattivo, ma spesso accadono anche all'interno del nucleo familiare e - ahimè - accadono quanto più la situazione di degrado economico e sociale consente la formazione di condotte che non hanno un retroterra adeguato di sensibilità, di sentimenti e di valutazioni personali. Quindi, secondo me sarebbe utile anche per esempio un lavoro nei luoghi collettivi, nelle associazioni sportive e nelle associazioni culturali, che possono essere ad un tempo momenti di perdizione, ma anche momenti alti di educazione dei minori ad un rapporto positivo e sano con la sfera sessuale. Lo stesso - non mi dilungo, è stato già detto - per la famiglia: anche qui una serie di disposizioni puntuali che tengano conto di questo mi sembra necessaria. Questa opera credo che sarebbe utile anche per un altro profilo. Tra le varie norme, qui addirittura si introducono giustamente almeno altre due fattispecie di reato: quella dell'adescamento e quella della pedofilia e pedopornografia culturale; al di là di questo - anche qui è stato magistralmente detto dai relatori che mi hanno preceduto - credo che si debba fare una riflessione di carattere generale, che del resto chi maneggia il diritto penale conosce. Purtroppo ogni qual volta si delinea una fattispecie criminosa vi è sempre un rapporto difficile fra la necessità di un'indicazione di carattere generale e quella della legislazione di dettaglio. Ciascuna di queste due tecniche, che di solito deve essere sagacemente compendiata, presenta rischi, perché ove le norme siano troppo generiche si rischia addirittura di non costruire fattispecie penali e di rendere difficile il lavoro all'operatore, viceversa l'esistenza di una legislazione troppo di dettaglio impigrisce l'interprete. In qualche modo, ciò consente o impone all'interprete, quando non trovi esattamente la voce lessicale che corrisponde ad una determinata condotta, di sostenere che quella fattispecie non è prevista dalla legge come reato. Peraltro, a mio avviso, vi è una certa pigrizia, perché il principio di completezza dell'ordinamento consentirebbe molto spesso - e avrebbe già consentito - di punire alcune fattispecie. Ad esempio, a mio parere, è stato necessario inserire lo tra i reati attraverso una norma positiva ma, in realtà, con qualche sforzo interpretativo, già si sarebbe potuto sanzionare tale fattispecie come iterata violenza. Poiché le citate norme ci consegnano ancora un quadro non del tutto nitido, credo che sia opportuna, anche per questo motivo, una fase di riflessione generale, che ampli e coordini tutte le disposizioni in materia. Si intendano per tali non solo quelle che, in senso stretto, si occupano degli abusi sessuali contro i minori, ma anche quelle che riguardano l'universo e la sfera delle relazioni sessuali, sia all'interno della famiglia, che nel mondo sociale nel suo complesso. Un'ultima notazione - e, poi, mi taccio - sempre di carattere generale, è quella relativa alle norme e alle disposizioni processuali. Anche in questo caso, ritengo che un intervento di coordinamento e di riordino si renda sempre più significativamente necessario. Infatti, ritengo che l'insieme delle aggravanti e delle attenuanti, delle sanzioni accessorie, dei vincoli e dei limiti alla concessione degli eventuali benefici, la recidiva e le sue conseguenze, l'interdizione - non solo genericamente dai pubblici uffici, ma, per esempio, anche da incarichi che, in modo specifico, mettano a contatto con i minori - rappresentino, nel complesso, una materia che vada riordinata e verificata, anche alla luce di un'equiparazione degli effetti punitivi o successivi dei vari profili. Infatti, la tecnica che il legislatore ha già attuato è quella dell'interpolazione, laddove possibile, di figure già esistenti nel codice penale. Pertanto, anche sotto questo profilo, ritengo che fornire un quadro di maggiore completezza non sarebbe un limite in questo momento, ma anzi, rappresenterebbe sicuramente un elemento ulteriore, utile ed additivo. Infine, sempre in relazione alla materia in oggetto, vorrei fare riferimento alla questione dell'incidente probatorio, sul quale si è svolta qualche discussione. Mi riferisco all'esame dei cosiddetti testi vulnerabili e all'applicabilità, o meno, dei riti premiali, in particolare, con riferimento all'articolo 444 del codice di procedura penale (concernente il cosiddetto patteggiamento) e, ove fosse concesso, alle eventuali conseguenze accessorie necessitate. Un ultimo tema - anch'esso potrebbe sembrare un po' «di bottega», perché chi lo solleva, molte volte, svolge un'attività di tipo libero-professionale - è quello della difesa. Ritengo che la nostra tradizione giuridico-liberale non consenta di costruire una sorta di difesa pubblica. Tuttavia, non vi è dubbio, che la difesa, in queste condizioni - mi riferisco, in particolare, alla difesa delle persone offese dal reato nelle citate fattispecie - seppure affidata al libero foro, debba essere fortemente sostenuta da un intervento pubblico. Ogni volta, anche per ragioni evidenti di chiusura non dolorosa delle attività legislative, viene invocata la famosa clausola secondo la quale - come si dice - tutte queste disposizioni producono invarianza del bilancio dello Stato. Non è affatto vero. Infatti, se vogliamo intervenire in modo significativo nella tutela e nella difesa - per esempio, dei minori soggetti agli episodi di violenza, o delle donne minacciate o violentate - è chiaro che dobbiamo prevedere un pacchetto di misure e, in particolare, una dotazione finanziaria, che consenta, da un lato, di ricorrere alla scelta del libero foro, e dall'altro, ampliando le ipotesi del gratuito patrocinio, di avere una disponibilità economica nel Fondo della giustizia per provvedere a questi pagamenti. L'esperienza ci insegna che tali pagamenti sono sospesi da anni, addirittura esistono delle banche che, ormai, fanno una specie di finanziamento a futura memoria. A mio avviso, questa non è soltanto una questione di bottega: voi mi insegnate che, in particolare, quando vi è un conflitto non paritario fra l'imputato eccellente e la persona offesa debole, avere una difesa di qualità e non essere condizionati dalle necessità economiche è di grande rilievo. Infatti, in queste materie, la difesa non è soltanto quella professionale e tecnica del legale. Spesso è una difesa integrata da una perizia psicologica o da una perizia medico-legale, è cioè una tipica difesa che richiede oneri complessi e costosi da cui è giusto che lo Stato cerchi di affrancare il cittadino in difficoltà, in particolare le famiglie che potrebbero non disporre delle risorse necessarie per sostenere delle battaglie legali lunghe e complesse come - l'esperienza ci insegna - sono spesso quelle di questa materia così delicata. In conclusione, non solo esprimo un apprezzamento e l'indicazione che quella che stiamo percorrendo è sicuramente una strada giusta, ma invito - come si dice in questi casi, senza rivolgermi ad alcuno in particolare - tutti noi del Parlamento, le forze politiche, ma anche il Governo, a far sì che da questo momento nasca un'ulteriore fase di revisione non critica, ma soprattutto costruttiva, che produca a breve termine un articolato complesso di norme in questa materia così importante
. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
. Ha facoltà di replicare la relatrice per la Commissione giustizia, onorevole Angela Napoli.
, . Signor Presidente, intervengo brevemente solo per ringraziare tutti i colleghi che sono intervenuti e che, con i loro interventi, hanno dimostrato quanto sia complicata la trattazione di questa materia.
, . Nello stesso tempo, tengo ad evidenziare che oggi siamo qui chiamati ad approvare una Convenzione internazionale a cui, in quanto tale, non possiamo derogare rispetto all'impianto definito a Lanzarote; già, forse, abbiamo apportato qualche modifica, introducendo dei reati, quale quello di pedofilia culturale, che non sono previsti nella Convenzione. Andare oltre lo schema ci è sembrato un po' troppo, però, personalmente, in qualità di relatrice per la Commissione giustizia, prendo atto della bontà dei contenuti degli interventi dei colleghi e mi impegno a proseguire, dopo l'approvazione della Convenzione, la discussione nelle Commissioni competenti, affinché possa essere definita dal Parlamento italiano quella organicità necessaria per rendere davvero efficace ed efficiente il contrasto alla pedofilia.
. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Cota ed altri n. 1-00295, concernente iniziative relative ai criteri previsti dall'accordo «Basilea 2», volte a favorire il finanziamento delle piccole e medie imprese . Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Borghesi ed altri n. 1-00312, Occhiuto ed altri n. 1-00316, Fluvi ed altri n. 1-00317 e Vignali ed altri n. 1-00318 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente .
. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. È iscritta a parlare l'onorevole Dal Lago, che illustrerà anche la mozione Cota ed altri n. 1-00295, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, come tutti sappiamo, le difficoltà di ottenere credito continua ad essere, nonostante l'attenuarsi della fase più acuta della crisi economica, uno dei freni al recupero di competitività del nostro sistema produttivo, prevalentemente caratterizzato da imprese di piccole e piccolissime dimensioni. Queste ultime sono oggi in stato di forte sofferenza, in quanto, se è vero che per loro natura hanno maggiore capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato, è altrettanto vero che, a differenza delle grandi imprese, corrono un maggior rischio di rimanere schiacciate dalla morsa del credito. In Italia, infatti, il tasso di crescita dei prestiti si è ridotto, secondo le stime più recenti, di circa 10 punti percentuali, registrando nel mese di luglio 2009 una crescita dello 0,9 per cento contro il 10,9 per cento dell'anno precedente e colpendo, in primo luogo, proprio le piccole e medie imprese. I rigidi criteri imposti dall'Accordo di Basilea 2 hanno un impatto rilevante sulla difficoltà di accesso al credito da parte di molte aziende italiane, le quali sono costrette a confrontarsi con criteri burocratici che, oltre ad essere lontani dalla realtà economica di queste aziende, rischiano anche di compromettere la loro stessa esistenza sul mercato. In queste circostanze si ritiene sia necessario adottare una nuova strategia che punti ad una sospensione dell'Accordo di Basilea 2 e, in attesa di una sua rinegoziazione sostanziale, al recupero di quell'antico rapporto confidenziale che proprio nei momenti di crisi ha sempre legato banche e imprenditori. L'eccessiva rigidità con cui le banche valutano le linee di credito trascura, infatti, quegli elementi che prima della lettura dei bilanci sono fondamentali per comprendere la natura di un'azienda, la sua realtà storica e l'affidabilità dell'imprenditore stesso. A nostro avviso, se si vuole riagganciare la ripresa non si può, quindi, lasciare alla burocrazia il compito di decidere le sorti di un'impresa se è vero poi, come è vero, che le piccole e le medie imprese sono quelle che in questi anni hanno effettivamente supportato l'economia italiana, a differenza delle grandi imprese, che sono state, invece, troppo spesso supportate dallo Stato. Se, come dicevo, questo è vero, non si può lasciare alla burocrazia il compito di decidere le sorti di un'impresa, ma si deve necessariamente rimettere al centro di ogni valutazione l'imprenditore con la sua storia, la sua attitudine a restituire i soldi alle banche, con la sua onestà e con la sua capacità. L'Accordo di Basilea 2, invece, agisce nella direzione contraria rispetto a quella auspicata, penalizzando le piccole e le medie imprese sia in termini di possibilità di accesso al credito sia in termini di aumento dei tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso. L'obiettivo che si propone la Lega Nord con questa mozione è, dunque, quello di una revisione di tale Accordo, che partendo proprio da valutazioni basate su criteri di affidabilità storica delle aziende, garantisca più liquidità alle stesse. Sarebbe, secondo noi, paradossale che le nostre imprese, in vista di una possibile ripresa, non si trovassero nelle condizioni di poter effettuare investimenti - e, quindi, generare occupazione - per non avere la possibilità di disporre della liquidità necessaria in conseguenza di un maggior restringimento delle maglie del credito da parte delle banche. Signor Presidente, nonostante il Comitato di Basilea 2 stia da tempo lavorando ad alcune proposte correttive dell'Accordo dobbiamo, credo, essere consapevoli che tali proposte esplicheranno i loro effetti - nel caso di esiti favorevoli evidentemente - soltanto in un periodo di tempo abbastanza lungo, con conseguenze assolutamente dannose per le nostre imprese, che non hanno più tempo per aspettare. Pertanto, ciò che chiediamo al Governo, con questa nostra mozione, è di farsi carico di questa problematica e di salvaguardare il sistema produttivo del nostro Paese, chiedendo e portando avanti ai livelli corretti la sospensione dei criteri di Basilea 2, finché non sarà raggiunto un accordo per la loro revisione. È evidente, secondo noi, che il dibattito dovrà spostarsi necessariamente in altre sedi. Tuttavia, abbiamo un punto di partenza che è rappresentato dalle istanze contenute, appunto, in questo documento, le quali guardano al futuro delle nostre imprese e forniscono loro la possibilità di uscire dalla crisi e ricominciare a crescere per essere competitive. Riteniamo che ciò si possa fare solamente con un'azione forte e congiunta di tutto il Governo che chieda, nell'attesa della revisione dell'Accordo, la sospensione, momentaneamente e immediatamente, dei criteri imposti da Basilea 2.
. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la mozione Borghesi ed altri n. 1-00312, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, prima di passare agli impegni della mozione vorrei condividere con voi alcune riflessioni di carattere generale per far capire all'interno di quale quadro di riferimento si vada a scrivere la nostra mozione e quali siano gli impegni successivi che chiediamo al Governo. È cosa ormai comune e conosciuta da tutti che la recessione mondiale si è in qualche modo arrestata e si sta profilando, secondo quanto dice la Banca d'Italia, una ripresa in larga parte grazie al sostegno delle politiche economiche espansive messe in atto dai principali Paesi per contenere i dati negativi registrati dalle economie dei vari Stati. Secondo le previsioni degli organismi internazionali, tuttavia, la ripresa si presenterebbe con ritmi contenuti. Rimane molto elevata l'incertezza sulla sua solidità: vi è il rischio che con il venir meno degli stimoli fiscali e monetari, e una volta esaurito il ciclo di ricostituzione delle scorte, la domanda privata possa tornare a ristagnare, frenata in molte economie da una disoccupazione elevata e crescente, dalla limitata disponibilità di credito e dall'esigenza delle famiglie di risanare i propri bilanci. Le più recenti valutazioni degli organismi internazionali prospettano per la media del 2009 un calo dell'attività intorno al 4 per cento, seguito, secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, da un rialzo di pochi decimi di punto nel 2010. Pur in un contesto di domanda mondiale più favorevole, i dati disponibili sulle nostre esportazioni ne segnalano una persistente debolezza. Il credito bancario al settore privato non finanziario, sempre secondo i dati forniti dalla Banca d'Italia, continua a risentire sia di una ridotta domanda di finanziamenti da parte delle imprese a causa della difficile congiuntura economica, sia di un orientamento ancora restrittivo dei criteri di offerta, seppure con segnali di attenuazione. Qualità degli attivi e redditività delle banche hanno continuato a peggiorare e la raccolta ha ulteriormente rallentato, mentre sono migliorati i coefficienti patrimoniali dei maggiori gruppi bancari italiani. Secondo il direttore della vigilanza creditizia e finanziaria di Banca d'Italia, Stefano Mieli, le indagini sulle condizioni di accesso al credito condotte presso le banche e presso le imprese hanno rilevato che permane elevata la quota di imprese che dichiara di non ottenere l'ammontare di finanziamenti desiderati. L'analisi delle politiche creditizie non può prescindere da un esame del tema dell'impatto dell'accordo «Basilea 2». Esso prevede sulla carta un trattamento di favore per le piccole e medie imprese, ipotizzando che rispetto alle grandi la loro rischiosità sia influenzata in misura minore dal ciclo economico e in misura maggiore da fattori di rischio specifici. L'accordo «Basilea 2» si fonda sull'applicazione di metodologie statistico-quantitative all'attività creditizia, sia nella fase di selezione delle controparti cui fare affidamento, sia in quella della quantificazione del rischio di credito. Il riferimento naturale dell'accordo è all'informazione pubblica di tipo quantitativo (bilanci, indicatori andamentali), più agevolmente trattabile con strumenti statistici. La regolamentazione sottolinea, tuttavia, la necessità che i modelli di incorporino tutta l'informazione disponibile, compresi gli elementi qualitativi (principio di completezza delle informazioni). Essa introduce, inoltre, criteri definiti e restrittivi per il computo delle garanzie e richiede, quindi, una loro gestione ordinata. In un contesto come quello italiano, dove la prevalenza della piccola e media impresa rende determinante il ruolo degli aspetti qualitativi, l'applicazione del requisito di completezza dell'informazione risulta particolarmente complessa e costosa. Si tratta, infatti, di raccogliere e aggiornare tempestivamente le informazioni, quantitative e qualitative; trovare le modalità opportune per incorporare le informazioni qualitative nei modelli; nel caso in cui ciò non sia possibile, modificare discrezionalmente i punteggi automatici attribuiti dal sistema di facendo ricorso al cosiddetto cioè alla modifica discrezionale, ma motivata, che una banca può fare del attribuito dal modello statistico a un'impresa. Il punto cruciale è, comunque, la tempistica con la quale vengono aggiornate le informazioni sulle imprese e che oggi dà luogo a una prociclicità ritardata. I bilanci aziendali attualmente in corso sono quelli relativi al 2008, che offrono una rappresentazione assolutamente inattuale dell'impresa stessa. Questo ritardo che oggi in qualche modo avvantaggia le imprese, domani le penalizzerà fortemente e forse definitivamente. Il metodo più proficuo per correggere il quadro regolamentare, adattandolo alla crisi in atto, sembra essere quello di una rimodulazione anticiclica - come prevista in Canada ed in Spagna - degli accantonamenti di capitale da parte delle banche, tali da aumentare in periodi di alta congiuntura e da ridursi nei periodi di crisi, adeguatamente trattati sul piano fiscale, in maniera da non penalizzare il credito all'economia reale anche nei periodi di crisi. C'è, tuttavia, da rilevare che i due Paesi citati hanno previsto che i rispettivi istituti di credito costituissero delle riserve prima dello scoppio della crisi finanziaria. Essendo stato sperimentato in una fase particolarmente critica, l'accordo «Basilea 2» è stato sottoposto a uno particolarmente severo e probante, ma la soluzione non consiste nell'accantonare il nuovo quadro regolamentare, ma nell'attuarlo con gradualità e giudizio. Infatti, l'accordo «Basilea 2» è basato sull'analisi del rapporto rischio-redditività e sulla necessità di aggiornarlo di continuo, seguendo le aziende e il mercato molto da vicino. Questa prassi favorirà gli investimenti in innovazione e ricerca, che sono i più rischiosi, ma possono generare maggiore reddito nel futuro e maggiore crescita economica. L'accordo «Basilea 2», inoltre, darà alle banche una maggiore discrezionalità nelle decisioni imprenditoriali di quelle imprese che chiedano un credito: in questo senso la banca diventa una sorta di consulente-controllore di qualità dell'impresa. Più accurate sono le analisi e le informazioni che una banca può ottenere rispetto ad un'impresa, meno la banca rischia che l'impresa non restituisca i soldi che le sono stati prestati. Meno la banca rischia, meno ha necessità di accantonare denaro per tutelarsi. Meno denaro accantona, meno lo deve ricaricare sui clienti, risultando, quindi, più competitiva. Nelle settimane scorse, Confindustria unitamente alla Confederazione degli industriali tedeschi (cioè le rappresentanze degli industriali dei due Paesi europei nei quali è più presente il settore manifatturiero) hanno chiesto come misura anticiclica una maggiore ed immediata flessibilità dei dell'accordo «Basilea 2». È, comunque, innegabile che, specie in Italia, le aziende debbono essere aiutate a fare passi in avanti nella loro aggregazione e verso una maggiore capitalizzazione. L'Italia è un Paese che deve la sua ossatura produttiva alle piccole e medie imprese, ma che ha un sistema economico molto chiuso, carente di quella capacità di innovare che è la molla necessaria per la competitività. L'ovvia conseguenza è che le piccole e medie imprese italiane risultano avere un livello di capitalizzazione molto basso. Per le imprese italiane, storicamente sottocapitalizzate e ancora basate sul pluriaffidamento bancario a breve, quello di capitalizzazione sarà l'indicatore che darà più preoccupazioni. Le imprese italiane, soprattutto quelle di minori dimensioni, non sono adeguatamente trasparenti. Regole severe con sanzioni effettive per chi nasconde e occulta i dati contabili consentirebbero alle banche di rischiare di più e chiedere meno garanzie. L'entrata in vigore dello schema aggiornato di supervisione prudenziale pubblicato prima di Natale 2009 dal comitato di «Basilea 2» è stato differito al 2012. I tempi lunghi della riforma generale del quadro regolatorio internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche, nonché la complessità del processo di riforma, che sconta una molteplicità di proposte di modifica da parte della Commissione europea e del comitato di «Basilea 2», impongono di esplorare anche strade alternative per rafforzare il sistema creditizio senza penalizzare il credito alle piccole e medie imprese. L'articolo 11, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008 ha introdotto la garanzia dello Stato sugli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, quale garanzia di ultima istanza. Quest'ultima, in relazione alla disciplina prudenziale, rientra tra le «tecniche di attenuazione del rischio di credito», qualificandosi come controgaranzia rilasciata da uno Stato sovrano. Di conseguenza, in relazione al requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, alle esposizioni assistite dal fondo nella forma della garanzia diretta e della controgaranzia a prima richiesta, si applica il fattore di ponderazione associato allo Stato italiano (ossia la «ponderazione zero»), in quanto più favorevole di quello del soggetto debitore, nei limiti dell'importo che il fondo è tenuto a versare in caso di inadempimento del debitore principale ovvero dei confidi. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 25 marzo 2009 ha stabilito criteri, condizioni e modalità di rilascio della garanzia di ultima istanza. L'intervento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese avrà l'effetto di rendere «leggero» il debito delle imprese garantite ai fini del calcolo del patrimonio minimo che le banche devono possedere in relazione alla rischiosità della loro esposizione creditizia, così come stabilito dall'accordo «Basilea 2». Istituito dal Governo Prodi (articolo 2, comma 100, lettera della legge n. 662 del 1996) in nove anni di attività, il Fondo di garanzia ha ammesso alla garanzia del fondo stesso oltre 58 mila operazioni finanziarie per un totale di finanziamenti garantiti pari a 11,2 miliardi di euro, e non è poca cosa. Nel caso della garanzia diretta, il Fondo interviene nella misura massima del 60 per cento dell'importo di ciascuna operazione finanziaria. Tale percentuale è elevata fino all'80 per cento in casi particolari (per le piccole e medie imprese a prevalente partecipazione femminile, per le piccole e medie imprese ubicate nelle zone ex articolo 87.3 del Trattato che istituisce l'Unione europea, per le piccole e medie imprese aderenti a programmazione negoziata). Nel caso di controgaranzia, il fondo interviene, invece, nella misura massima del 90 per cento della garanzia prestata dai confidi o dagli altri fondi di garanzia. Alla data del 12 marzo 2009, risultano finanziamenti in essere per oltre 3 miliardi di euro ed un importo garantito totale in essere pari a circa 1,5 miliardi di euro. L'accantonamento medio risulta pari all'11,7 per cento e la percentuale media di copertura (rapporto tra le garanzie prestate ed i finanziamenti concessi) è pari al 52,9 per cento. Il moltiplicatore calcolato sul «finanziato» dato dal rapporto è pari a circa 16: con un euro di dotazione del Fondo sono, dunque, attivabili 16 euro di finanziamenti. Il moltiplicatore calcolato sul «garantito» è invece pari a circa 8: un euro di dotazione del fondo consente, pertanto, di attivare circa 8 euro di garanzia. Il Fondo è stato finanziato per un miliardo e mezzo di euro per il quadriennio 2009-2012; l'importo garantito dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato innalzato, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 9 aprile 2009, da 500 mila euro a un milione e mezzo di euro. L'intervento del Fondo, inoltre, è stato esteso, per la prima volta, alle imprese artigiane, estendendo notevolmente la platea dei potenziali beneficiari. I circa 250 confidi dell'artigianato contano, infatti, circa 700 mila imprese associate. Dai dati citati appare evidente come l'entità dei finanziamenti a disposizione, il tetto dell'importo garantito, le percentuali su cui si applica la garanzia non consentono di fornire un sostegno adeguato alle piccole e medie imprese, incluse le imprese artigiane, in particolare in questa fase di crisi. Pertanto, l'Italia dei Valori ha inteso impegnare il Governo a promuovere nelle sedi opportune una sospensione dei criteri del nuovo accordo sul capitale di Basilea, fino all'entrata in vigore della sua revisione attualmente in corso; a presentare al Parlamento una relazione periodica sullo stato di attuazione delle modifiche all'accordo «Basilea 2»; a valutare opportuni meccanismi incentivanti ed agevolazioni per favorire l'aggregazione tra imprese e l'incremento patrimoniale delle stesse; e da ultimo, ma non per ultimo, ad assicurare la continuità e l'estensione dell'attività di garanzia del Fondo rivolta alle piccole e medie imprese, di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997, valutando la possibilità di incrementare in maniera consistente le risorse a disposizione del Fondo di garanzia, il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia.
. È iscritto a parlare l'onorevole Causi, che illustrerà la mozione Fluvi ed altri n. 1-00317, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, chi è intervenuto prima di me ha già introdotto il tema in discussione di queste mozioni, il cosiddetto ovvero la restrizione del credito. I numeri recenti non sono positivi nel nostro Paese: l'ultimo Bollettino economico della Banca d'Italia ci dice che nell'ultimo trimestre del 2009 c'è stata una contrazione del credito dell'1,3 per cento rispetto al trimestre precedente. Questa contrazione, inoltre, è ancora più grande se guardiamo i primi cinque gruppi bancari italiani; quindi le cinque più grandi banche italiane, che intermediano circa la metà del credito nel nostro Paese, hanno contratto i flussi erogati alle imprese del 3,5 per cento. È aperta una discussione se la contrazione dei flussi di credito sia dovuta a un effetto di offerta, e quindi se siano le banche a contrarre, ovvero a un effetto di domanda, e cioè se siano le imprese a chiedere meno credito per effetto della crisi economica. Questa discussione è aperta, tuttavia in Italia emerge con nettezza ed evidenza il problema strutturale delle piccole e medie imprese (il 95 per cento delle imprese italiane). Tutti gli indicatori segnalano che persistono e si ampliano difficoltà di accesso al credito, soprattutto nel caso delle piccole e medie imprese. Le recenti indagini dell'ISAE, della Banca d'Italia e de lo confermano. Quindi, anche se evidentemente esiste un effetto di contrazione dei flussi creditizi collegato alla bassa congiuntura economica, tutti gli osservatori istituzionali convergono nel definire l'esistenza di un problema di contrazione del credito specifico per le piccole e medie imprese italiane. Leggo dall'ultimo Bollettino della Banca d'Italia un elemento interessante, che finora non è emerso in questa discussione, e lo offro alla riflessione di tutti noi. La Banca d'Italia dice che nel terzo trimestre del 2009 la situazione è lievemente migliorata, ma l'attenuazione dell'irrigidimento del credito da parte delle banche ha riguardato le condizioni praticate alle imprese di grandi dimensioni, risentendo del venir meno, rispetto alle passate rilevazioni, degli effetti negativi connessi con la posizione patrimoniale delle banche. Quindi, la Banca d'Italia ci dice che, se qualche lieve riduzione del c'è stata negli ultimi mesi del 2009, essa ha riguardato solo le grandi imprese e non le piccole. Il tema di queste mozioni, quindi, c'è tutto. Noi invitiamo il Governo e il Ministro dell'economia e delle finanze a rifletterci con attenzione. La domanda che dobbiamo porci, però, a questo punto è se la colpa di tutto questo sia da ricondurre a «Basilea 2», quindi agli accordi internazionali relativi alle nuove modalità di erogazione del credito da parte delle aziende bancarie. Attenzione a fare su questo errori di valutazione o facili demagogie. Gli accordi di «Basilea 2» sono entrati in vigore contemporaneamente alla crisi economica; quindi è molto facile sovrapporre le due questioni, la crisi economica e gli accordi di «Basilea 2», e imputare a «Basilea 2» ciò che invece andrebbe imputato più correttamente alla crisi economica. Attenzione, quindi, a fare quest'errore di valutazione, perché in realtà sembra che la crisi economica e i comportamenti macro del sistema finanziario di fronte alla crisi siano dominanti in questa fase anche rispetto alla questione dell'applicazione di «Basilea 2». Non voglio farla lunga ma ci sono due recenti articoli usciti sulla stampa specializzata scritti dal componente italiano del della Banca centrale europea, Lorenzo Bini Smaghi, che descrivono molto bene quali siano le criticità del comportamento delle banche europee in questa fase, che nulla hanno a che fare con «Basilea 2», ma con l'obiettivo delle banche di ridurre la loro esposizione, aumentare il loro patrimonio, utilizzare la fase espansiva della politica monetaria anticrisi non tanto per dar credito alle imprese, ma per sistemare i loro conti. Si tratta di un atteggiamento e di una politica da parte delle banche non pienamente accettabili, nei cui confronti le autorità monetarie e fiscali europee e nazionali devono essere chiamate ad intervenire. Ma il punto non è tanto «Basilea 2», quanto invece la fase attuale del sistema economico e come le banche italiane ed europee stanno reagendo all'attuale fase di politica monetaria. Naturalmente, nessuno disconosce - lo sappiamo già da mesi - che i criteri di «Basilea 2» vadano rivisti. È in corso un lavoro macrosistemico di ridefinizione di questi criteri, ma attenzione - lo dico a tutti quelli che sostengono l'idea di sospendere l'applicazione di «Basilea 2» - perché il punto positivo di «Basilea 2» è che con questa nuova filosofia il rapporto tra la banca e l'impresa è stato sottratto alla piena discrezionalità da parte della banca. Nel mondo «Basilea 2» la banca, per dire «sì» o «no» all'erogazione di un credito, deve fare riferimento a criteri e parametri oggettivi, non può farlo in modo del tutto discrezionale, come invece avveniva una volta. Adesso il tema è di scrivere queste regole e questi criteri oggettivi in modo non prociclico, in modo che sia più garantista nei confronti delle piccole imprese, ma non di tornare al mondo precedente a «Basilea 2». Era un mondo in cui le banche potevano operare in modo discrezionale, per esempio per amicizia, con relazioni politiche o istituzionali di turno, e quindi secondo un criterio selettivo non oggettivo, ma assolutamente non garantista nei riguardi delle imprese. Voglio dire che secondo il Partito Democratico l'ipotesi di sospendere Basilea 2 è demagogica e di difficile, se non impossibile, praticabilità giuridica, ed è anzi potenzialmente dannosa, perché ricaccerebbe le imprese, soprattutto le piccole, in quel mondo di discrezionalità da cui, invece, i nuovi criteri vogliono farle uscire. Quali sono i veri problemi? Innanzitutto, vi è un problema strutturale, e cioè che i nuovi criteri che si stanno negoziando nelle sedi internazionali per riscrivere Basilea 2 dopo la crisi devono tenere conto del problema delle piccole e medie imprese. Dato che l'Italia è un Paese che strutturalmente ha un apparato imprenditoriale soprattutto piccolo e medio, il Governo italiano deve fare in modo che i nuovi criteri oggettivi tengano conto delle particolarità delle piccole imprese, in particolare per quanto riguarda le informazioni qualitative sulla storia di impresa, che la banca deve considerare quando definisce l'accesso al credito. Bisogna, quindi, avere delle procedure bancarie che superino le rigidità della vecchia Basilea 2 e bisogna, su questo, avere una posizione italiana molto ferma e precisa ai tavoli di revisione degli accordi di Basilea 2. D'altra parte, al tempo stesso, è necessario un maggiore intervento da parte del Governo italiano sulla questione relativa alla garanzia dei prestiti alle piccole e medie imprese. Da parte di chi oggi dice, soprattutto i settori della maggioranza, di sospendere Basilea 2, mi sarei aspettato un'attenzione maggiore alla questione di fondo, e cioè che gli interventi di supporto e di garanzia - lo ha detto bene prima di me il collega Di Stanislao - al credito delle piccole imprese messi in campo negli ultimi due anni dalla politica economica del Governo sono del tutto insufficienti. L'estensione del fondo di garanzia (la cosiddetta legge Bersani del 1997), peraltro richiesta anche dall'opposizione, è del tutto insufficiente; la messa in campo della Cassa depositi e prestiti, peraltro richiesta anche dall'opposizione, è innanzitutto insufficiente, e poi ancora ritardata. In particolare, non abbiamo ancora alcuna informazione su quello che il Governo è riuscito a fare con questi due interventi. Mancano le informazioni al Parlamento sulle misure adottate: ricordo, per esempio, che, in base all'articolo 5, comma 1-, del decreto-legge n. 155 del 2008, il Governo era impegnato ad una relazione trimestrale al Parlamento sull'evoluzione delle condizioni bancarie e della situazione bancaria. Ricordo che con il decreto-legge n. 155 del 2008 si intervenne contro le crisi bancarie. Queste relazioni non mi risultano essere mai state inoltrate e quindi si tratta di un tema di scarsa azione, di inazione della politica economica interna. In secondo luogo, per quanto riguarda il tema congiunturale per le piccole e medie imprese, non ci si può limitare alla sospensione di Basilea 2. Cosa sostituiamo qualora Basilea 2 fosse sospesa? Al riguardo, abbiamo una proposta: il Partito Democratico in questa mozione propone di riempire di contenuto ciò che, altrimenti, rischia di essere un mero appello demagogico. Occorre intervenire immediatamente, tramite un'adeguata concertazione con i europei, per alleggerire i vincoli delle banche nella valutazione del rischio di credito delle piccole e medie imprese, perché è questo che chiedono le associazioni imprenditoriali italiane ed europee ed è questo che chiede la stessa Germania: non la sospensione di Basilea 2, ma la sua modifica, anche soltanto temporanea, in modo da alleggerire i vincoli delle banche nella valutazione del rischio delle piccole imprese. Si tratterebbe, quindi, per un periodo transitorio, ad esempio per 18 mesi, di ridurre le ponderazioni del rischio di credito, e quindi di ridurre la necessità che le banche hanno di accantonare il loro patrimonio quando accendono crediti a vantaggio delle piccole e medie imprese. Con questa modalità, e quindi con la modifica delle ponderazioni del rischio, non si andrebbe ad una sospensione dei criteri di corretta valutazione del rischio di credito. Le banche devono continuare a fare il loro mestiere di valutare correttamente il rischio di credito, ma ne potrebbero, con parametri diversi, diluire nel tempo gli effetti. In sintesi (e concludo, signor Presidente), il Partito Democratico chiede al Governo tre cose. In primo luogo, che nella riformulazione strutturale degli accordi di Basilea 2 si tenga conto di criteri e regole oggettive parametrati e calibrati sulle esigenze delle imprese di più piccola dimensione: un problema non solo italiano, ma soprattutto italiano. In secondo luogo, chiediamo che nelle politiche nazionali sia data più attenzione al credito delle piccole e medie imprese, estendendo i sistemi di garanzia pubblica, anche tramite un maggiore coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti ed un maggiore coinvolgimento fra fondi centrali e sistemi dei confidi delle regioni. In terzo luogo, chiediamo che il Governo si faccia parte attiva per un intervento congiunturale e temporaneo che renda meno stringenti non tanto i criteri di valutazione, quanto il costo patrimoniale della valutazione delle piccole imprese da parte delle banche. Quindi, non si torni indietro ad un mondo in cui l'impresa, soprattutto piccola, era nelle mani discrezionali della banca: essa deve invece rendere in modo oggettivo le sue valutazioni, ma tali valutazioni, quando applicate alle piccole imprese, devono avere un costo patrimoniale per le banche, e quindi un costo di copertura patrimoniale di garanzia per esse, inferiore a quello previsto dalle attuali regole; e ciò in attesa che le nuove regole di Basilea possano tenere conto in modo pieno non soltanto degli aspetti macrosistemici che abbiamo appreso nel corso della crisi, ma anche della particolarità delle storie di imprese di minori dimensioni .
. È iscritto a parlare l'onorevole Conte, che illustrerà anche la mozione Vignali ed altri n. 1-00318, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevole colleghi, come si fa a non essere d'accordo con l'onorevole Causi? Egli ha espresso in questo aumento le idee del Partito Democratico in relazione al sistema delle piccole e medie imprese e ai finanziamenti, e soprattutto in relazione a quello che viene denominato «Basilea 2». Vi è un problema di fondo. Non voglio prendere le parti del Governo, ma in realtà l'onorevole Causi e i colleghi che mi hanno preceduto sanno bene che gli interventi del Governo in questo settore sono stati pronti ed efficienti, in considerazione del fatto che, per esempio, la seconda delle richieste dell'onorevole Causi, e cioè quella del coinvolgimento diretto della Cassa depositi e prestiti nel sistema di finanziamento delle piccole e medie imprese, è stata realizzata attraverso due interventi normativi che si sono succeduti l'anno scorso, e che hanno garantito una disponibilità finanziaria fino a 8 miliardi di controgaranzia della Cassa depositi e prestiti nei confronti del sistema bancario per il finanziamento delle piccole e medie imprese. Tutte le mozioni presentate partono dal presupposto che sia necessario effettuare un intervento su Basilea 2. Naturalmente per il pubblico non informato Basilea 2 rappresenta una coordinata geografica, e non è noto fino in fondo quello che è concettualmente alla base di tale sistema. Intanto si tratta di un sistema che ha regolato i rapporti patrimoniali e di credito fra banche ed imprenditori, e - è questa la sua particolarità - è stato applicato in maniera scientifica in Europa (è un accordo di livello internazionale), ma gli americani si sono ben guardati dall'applicare le stesse regole. Da dove parte la crisi della finanza internazionale? Naturalmente dall'America. E che responsabilità hanno gli europei rispetto a questo accordo internazionale? Di averlo applicato fino in fondo. Noi in Commissione finanze stiamo già avviando (lo faremo in questa settimana) una serie di audizioni, che vedranno intervenire l'Associazione Bancaria, e anche gli enti preposti alla definizione dell'accordo di Basilea 2. La richiesta che proviene da più parti politiche, di una temporanea sospensione dei suoi criteri, naturalmente sarà tenuta nella dovuta considerazione; credo che prevarranno poi in fondo le ragioni delle banche e del sistema finanziario complessivo. Noi abbiamo assistito, subito dopo l'esplosione della crisi finanziaria, ad una serie di interventi da parte dei Governi per garantire i depositi, innanzi tutto, e per garantire poi la stabilità del sistema finanziario. I risultati che ne sono venuti fuori sono lusinghieri per il sistema finanziario complessivo. Ormai le grandi banche, soprattutto quelle americane che perdevano miliardi, tanto che si era arrivati alla necessità di realizzare interventi per trilioni di dollari - oggi producono utili e hanno ripreso il sistema dei che viene molto criticato e che ha costretto sostanzialmente l'amministrazione americana ad intervenire per modificare quel tipo di atteggiamento che è rimasto assolutamente radicato nel sistema finanziario. Credo emerga anche dalla stampa internazionale che gli stessi americani, oggi, solo dopo aver salvato il sistema finanziario e le grandi banche, sono interessati invece a trasferire il denaro che ritorna sotto forma di utili e di tassazione da parte delle grandi banche al sistema produttivo in generale. Quindi assisteremo nei prossimi mesi ad un trasferimento di risorse dal sistema finanziario a quello delle piccole e medie imprese e delle imprese complessivamente. Questa è sostanzialmente la rispetto ai problemi che ha creato il crollo dei sistemi finanziari. D'altra parte, anche qui in Italia - nonostante il nostro sistema finanziario abbia contenuto gli effetti della crisi anche per una maggiore vicinanza da parte del sistema bancario alle imprese e per una maggiore propensione al risparmio che hanno caratterizzato la nostra capacità di uscire dalla crisi - si sono resi necessari nei mesi scorsi degli interventi fra i quali anche l'accordo fra istituti bancari e associazione degli imprenditori per garantire una moratoria sui pagamenti delle piccole e medie imprese. È stato fatto anche nei confronti delle famiglie. Il Governo è intervenuto attraverso una normativa che ha reso possibile la ripatrimonializzazione delle imprese con una deducibilità fiscale in relazione a questa patrimonializzazione. D'altra parte, il sistema delle piccole e medie imprese nel nostro Paese è caratterizzato da una scarsa patrimonializzazione. Qui interviene il problema tutto relativo a Basilea 2 ossia quello dello mancanza di capitali delle piccole e medie imprese che si riflette in criteri e parametri adottati dal sistema bancario per determinare la possibilità di concedere il credito. Rispetto ai parametri internazionali e ai che sono richiesti, molte delle nostre imprese uscirebbero sostanzialmente dal mercato e questo sarà, purtroppo, lo scenario che andremo a riscontrare quest'anno e l'anno prossimo. Durante la crisi che abbiamo vissuto nel 1992 i colleghi ricorderanno l'intervento realizzato dal Governo Amato che sottrasse con una tassazione sui depositi bancari denaro ai contribuenti: fu un intervento molto pesante. La medesima crisi del 1992 ebbe l'epilogo peggiore sotto il profilo della solidità delle imprese due anni dopo: nel 1994 vi fu il picco delle sofferenze e sostanzialmente uscirono dal mercato migliaia e migliaia di imprese. Naturalmente dovremo affrontare questo pericolo che si evidenzierà soprattutto quest'anno e l'anno prossimo perché è ben noto che nel nostro sistema delle piccole e medie imprese che funzionano come famiglie l'imprenditore tende ad avere un occhio di riguardo nei confronti dei propri dipendenti e a pagare magari in ritardo i fornitori e il sistema fiscale e contributivo. Queste sono situazioni che si possono reggere nel medio periodo ma che alla fine conducono alla decozione delle aziende. Questo è il rischio e perciò in questa nostra mozione - che sostanzialmente è parificabile a quelle che sono state presentate dagli altri gruppi politici - affrontiamo il tema di una revisione dei criteri. Nella sostanza si chiede agli enti regolatori di avere più attenzione per ciò che le imprese sono, per la loro capacità di restituire denaro nel passato, per la capacità di stare sul mercato; in un momento di particolare crisi, occorre piuttosto guardare alle difficoltà che hanno investito il settore manifatturiero e quello della produzione di beni per l'esportazione. È proprio nei confronti di questi due settori che le regole di Basilea 2 diventano procicliche. Quando vi è un momento di particolare facilità di accesso al credito, quando si ha una produzione industriale che cammina, quando vi è una crescita del PIL queste regole sono cioè assolutamente accettabili; in un momento però in cui si registra una crisi generalizzata, esse diventano eccessivamente restrittive e costringono le banche - che hanno necessità di garantire una patrimonializzazione in relazione ai che vengono assegnati alle imprese - ad assumere atteggiamenti molto restrittivi (il non lo abbiamo inventato noi, è un fenomeno che abbiamo visto comparire in tutti i mercati internazionali). In Italia - rispetto ad una prima resistenza da parte del sistema bancario, che voleva garantire la continuazione di un sistema di patrimonializzazione che evidentemente era insufficiente - vi sono state operazioni che hanno caratterizzato i più grandi gruppi bancari e che li hanno portati ad aumentare i parametri di riferimento (il Core Tier 1 ed altri) in maniera tale da poter rispondere alle esigenze di finanziamento complessivo. Sono d'accordo con l'onorevole Causi sul fatto che l'attività del nostro Governo dovrà puntare soprattutto a una sospensione temporanea dei criteri - di un alleggerimento di quei criteri - soprattutto avendo in mente che un'impresa non si valuta in relazione ai momenti di difficoltà e di crisi produttiva bensì nel complesso, anche guardando alla storia dell'impresa, dell'imprenditore, di ciò che è stato capace di realizzare nel passato e di quello che potrà fare nel futuro. Auspichiamo naturalmente che il Governo faccia la sua parte e speriamo che la solita burocrazia ottusa di derivazione europea non si metta di traverso, perché le regole vanno adattate ai momenti economici. Mi auguro che avere una rigidità che, come ho già sostenuto nella parte precedente del mio intervento, ha caratterizzato esclusivamente l'Europa (mentre gli Stati Uniti d'America si sono ben guardati dall'applicare la normativa di Basilea 2) induca le istituzioni finanziarie europee ad avere ben in mente che il tessuto produttivo del nostro Paese merita un'attenzione particolare perché è fatto di piccole e piccolissime imprese che hanno bisogno del sostegno finanziario. Credo che il Governo abbia fatto nel frattempo tutto quello che si doveva fare: probabilmente altri interventi saranno necessari, soprattutto sotto il profilo del rafforzamento di Confidi. In un provvedimento all'esame del Senato viene stabilita anche una proroga per quanto riguarda i rapporti di pagamento e le intermediazioni da parte delle banche per i pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti delle piccole e medie imprese (era una proroga necessaria perché c'è voluto del tempo per affinare le procedure). Speriamo e contiamo - ma ne avremo sicuramente una conferma in occasione della prossima audizione dell'ABI - che l'ABI stessa sosterrà la necessità di aiutare il mondo delle piccole e piccolissime imprese e chiediamo pertanto al Governo di attivarsi in sede europea per garantire il mantenimento di un tessuto produttivo che non ha eguali al mondo e che fa del nostro un grande Paese.
. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.
. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Di Pietro ed altri n. 1-00239 sulla situazione in Afghanistan e sulle prospettive dell'impegno del contingente italiano . Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea . Avverto che sono state presentate, altresì, le mozioni Fassino ed altri n. 1-00313, Cicu, Gidoni ed altri n.1-00314 e Bosi ed altri n.1-00315 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente . I relativi testi sono in distribuzione.
. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la mozione Di Pietro ed altri n. 1-00239 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, prima di passare all'illustrazione puntuale della mozione del gruppo dell'Italia dei Valori, vorrei farvi partecipi di alcune riflessioni che ormai fanno parte della storia recente, di un presente che non riesce a svincolarsi da una impostazione delle missioni se non in chiave strettamente belligerante. Affermo ciò senza toni polemici, ma ricordando, e ricordandomi, quali sono stati gli interventi e le riflessioni autorevoli di illustri studiosi che in Italia non utilizziamo come supporto alle nostre iniziative di carattere politico e istituzionale così come avviene, invece, in altri Governi e Parlamenti occidentali, moderni e maturi, che sono consapevoli del fatto che la politica e i Governi che si succedono, spesso, non hanno tutte le risposte possibili e immaginabili rispetto a degli scenari che cambiano repentinamente anche rispetto alle proprie volontà di mettere in campo missioni di carattere civile volte alla ricostruzione. In questi mesi ho compiuto uno sforzo di ascolto, di comprensione, di confronto, per comprendere la cultura di quanti hanno proposto, e continuano a proporre, missioni definendole civili allorché abbiamo, invece, a che fare con un contesto che non ha più nulla di civile (come diceva qualche tempo fa il sottosegretario Crosetto: ci troviamo in una stagione di guerra). Credo, allora, che dovremmo compiere una qualche riflessione, sottolineando alcuni elementi che sono, come ci insegna la politica, anche di sostanza. Vi evidenzio alcuni numeri che sono importanti per capire lo stato dell'arte rispetto alle missioni civili, alle ricostruzioni, ad una nuova strategia per l'Afghanistan, al ruolo dell'Italia, allo scenario della mondiale e al ruolo dell'Unione europea (ruolo che vedo sempre più residuale nonostante gli appelli a voler conquistare spazi di dignità che, invece, non riesce ad ottenere perché non riesce a sviluppare una propria identità). Alcune verità sono incontrovertibili e le evidenzio al Governo e ai colleghi di maggioranza e opposizione. I numeri ci dicono che in 12 anni il mondo spenderà per aiutare gli afgani meno di quanto gli Stati Uniti hanno speso nel solo 2009 per fare la guerra in Afghanistan. Il dato dimostra di per sé che l'attuale strategia va cambiata perché inefficace e fuori bersaglio. Al di là degli slogan, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno fin qui dedicato molte più risorse per cercare di vincere, senza riuscirci, la guerra guerreggiata piuttosto che per provare a vincere - con la pace, la democrazia, la tolleranza e lo sviluppo - quella che da più parti viene chiamata la battaglia delle menti e dei cuori. Tra il 2002 e 2013 gli aiuti internazionali verso l'Afghanistan ammonteranno a poco più di 50 miliardi di dollari. Se tutti gli impegni finora presi saranno rispettati dai singoli Stati e dalle organizzazioni internazionali gli Stati Uniti, il maggior donatore, avranno impegnato 31 mila miliardi di dollari; l'Italia, che è undicesima nella classifica per Stati, 637 milioni di dollari, senza contare quelli investiti tramite l'Unione europea o la Banca mondiale. Le spese militari degli Stati Uniti in Afghanistan, soltanto e limitatamente al 2009, superano i 55 miliardi di dollari, e tra il 2001 e il 2008 gli Stati Uniti hanno investito oltre 178 miliardi di dollari per combattere in Afghanistan. Qui non si parla di impegni ma evidentemente si parla già di esborsi che vanno a sommarsi nell'economia bellica a quanto in questi anni (oltre 680 miliardi di dollari) è stato bruciato in Iraq. Per ogni miliardo di dollari vi sono cinque soldati uccisi: le perdite americane in Afghanistan erano, a ottobre, 881; quelle alleate complessivamente 1.463, di cui ventidue italiani. In Iraq il rapporto è stato peggiore: per ogni miliardo almeno sette caduti. Quindi cominciamo a fare qualche conto che ha a che fare con le vite spezzate e anche con la qualità degli interventi, non solo con i numeri e la sopraffazione a tutti i costi. Si tratta di un dollaro per la pace in dodici anni, quasi otto per la guerra in nove anni. Se queste sono le cifre, stupisce più che la guerra vada male in Afghanistan piuttosto che il Paese vada alla deriva e che la democrazia invece di avvicinarsi sembra allontanarsi. Dall'agosto del 2005 all'agosto del 2009 le truppe straniere nel Paese anziché diminuire sono quadruplicate: da 26 mila uomini a 102 mila; 62 mila gli americani, 2.800 gli italiani che sono il quinto contingente nell'ambito dell'ISAF. Contemporaneamente l'Afghanistan, che era risalito al centodiciassettesimo posto nella classifica globale della corruzione stilata da (su 180 Paesi) è riprecipitato sul fondo al centosettantaseiesimo; il tasso di crescita annuale dell'economia resta alto ma è ai minimi dall'inizio della guerra, il 10 per cento, con un tasso dell'inflazione del 10 per cento; il 42 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà e il 20 per cento a ridosso di essa. Vi è anche un dato su cui bisogna riflettere: noi abbiamo a che fare con un aspetto che riguarda la droga e significativamente l'oppio. Meno di un afgano su quattro dispone di acqua potabile, quasi uno su due non ha alimentazione sufficiente; appena uno su otto può ricevere cure mediche, mentre quel Paese è il più grande produttore di oppio a livello mondiale e spesso da questo trae vantaggio il consumatore occidentale. Credo che questi dati, incontrovertibili, evidentemente devono creare qualche elemento in più di tensione etica, di impegno politico, e di revisione e supervisione dell'attività che noi facciamo insieme agli alleati all'interno delle missioni internazionali e soprattutto, in questo caso, nelle missioni per quanto riguarda l'Afghanistan. Queste cifre che cosa ci dicono? Lo dico al Governo, lo dico ai colleghi parlamentari di maggioranza e di opposizione. Ci dicono che l'Afghanistan ha bisogno soprattutto di azioni civili per lo sviluppo, contro la povertà, per migliorare la qualità della vita. E per ottenere risultati positivi su quei fronti basta molto meno dei soldi finora spesi per condurre la guerra senza vincerla. Tornando allo strumento per conquistare i cuori e le menti, credo che l'Italia abbia avuto, continua ad avere e potrà ancora avere un ruolo fondamentale nelle missioni civili se continueremo a caratterizzarci per questo, così come abbiamo fatto in tanti anni, anche con riferimento alla caratterizzazione forte della missione ISAF: al riguardo ci siamo impegnati, definendo alcuni aspetti fondamentali della nostra presenza su quel territorio, affermando che la missione ISAF rispetto alla consiste in questo. Noi siamo andati lì per fare tre cose fondamentali, operando su tre direttrici: la ricostruzione, la stabilizzazione e l'addestramento. Avevo già chiesto al Governo di rispondermi, ormai qualche tempo fa - ma vedo che il Governo è impegnato in altre cose, siccome non risponde a me almeno così può rispondere agli altri, ma dovrebbe in qualche modo rispondere alla propria coscienza ed al proprio impegno politico e istituzionale: non mi rivolgo in questo caso espressamente al sottosegretario Cossiga, al quale va il mio apprezzamento per il lavoro svolto, soprattutto per quel che conosco in Commissione - per capire l'effettiva linea di demarcazione della missione ISAF e se la di quella missione e della nostra presenza è ancora quella originaria, voluta dal Parlamento e percepita e condivisa dall'opinione pubblica italiana, ossia un mandato teso al mantenimento della sicurezza, nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari. Dico ciò perché in questa riflessione ed in questa volontà detta a voce alta qualcuno mi ha preceduto e mi ha anche molto più autorevolmente doppiato, parlando in maniera molto importante e dicendo, riferendosi alla missione in Afghanistan, che bisogna rafforzare l'intervento sul terreno civile ed economico; non solo: si sottolinea l'accresciuta presenza militare del nostro Paese, ma anche l'urgenza che vi sia una strategia più sapiente politicamente e più riccamente caratterizzata sul terreno dell'intervento civile ed economico. Chi ha parlato in questo modo è il Presidente della Repubblica, al quale mi unisco, con la convinzione che le cose che ha detto sono quelle che colgono nel segno della nostra presenza in Afghanistan. Non è finita: vi è chi ci ricorda, ancora di più e meglio, in un'attualità molto più stringente, quello che bisognerebbe fare, che va fatto e che mi auguro faccia il Governo italiano in occasione della conferenza che si terrà a Londra alla fine del mese. Per tale conferenza chiedo al Governo e in questo caso al sottosegretario che non vi sia la presenza solo del Governo, ma che vi sia la presenza di una compagine istituzionale formata anche da componenti delle Commissioni difesa ed esteri del Parlamento, perché penso che in questi casi non si possa e non si debba andare da soli: deve essere interamente rappresentato uno Stato ed una nazione che fa del proprio impegno civile la pietra miliare della sua presenza all'interno del panorama mondiale. Come ha detto Gianni Riotta, quegli uomini danno la cifra del nostro impegno e della nostra qualità nel mondo. Dunque, su questo credo che noi dobbiamo stare insieme. Non ci si può ricordare del Parlamento solo quando bisogna andare a votare i rifinanziamenti, ma bisogna far partecipe il Parlamento anche e soprattutto nel momento in cui bisogna consolidare un impegno, anche e soprattutto quando bisogna fare in modo che si stia tutti quanti insieme dentro un progetto e non si lasci escluso nessuno, perché nella collegialità vi è la corresponsabilità, vi è la consapevolezza e vi è la possibilità di rispondere in maniera articolata, che dà la cifra della maturità di un intero Parlamento. Mi auguro che queste mie parole vengano ascoltate, perché è veramente impensabile che un Governo che a fine mese si appresta ad andare alla conferenza di Londra sul tema dell'Afghanistan e delle missioni non venga prima a riferire in Aula, si limiti solo a fare comunicazioni in Commissione, come se noi fossimo degli auditori che stanno a sentire di volta in volta i Ministri che si affacciano lì passando, come se fosse pura retorica o puro formalismo da adempiere, senza pensare invece che in altri contesti i Parlamenti sono coinvolti totalmente e sostengono tutti quanti insieme le azioni che hanno a che fare con la caratterizzazione civile delle missioni che sono nei teatri internazionali e mondiali. Ma dico qualcosa in più: quando parlo di rinegoziare l'impegno NATO in Afghanistan evidentemente ho questa convinzione, ma anche qui sono in buona compagnia. In data 17 novembre, anche il nuovo Segretario generale della NATO, Rasmussen, ha parlato di rinegoziare gli impegni NATO in Afghanistan e di attuare una lotta alla corruzione, rendendola più efficace. Egli ha detto anche qualcosa in più: che a Kabul vi è bisogno di un Governo forte e credibile, che combatta la corruzione. Lo sappiamo da tempo, ma ora sarà necessario un nuovo patto, un contratto tra l'Afghanistan e la comunità internazionale, attraverso una conferenza - che si terrà prossimamente a Londra - che, al più presto, lanci un messaggio chiaro e forte. Il messaggio è il seguente: verrà riconfermato tutto il nostro impegno ma, in cambio, gli afgani dovranno combattere la corruzione. Siamo in grado di chiedere questo al Governo Karzai, che ancora è balbettante e non riesce a mettersi in piedi in maniera autorevole? Rasmussen, inoltre, ha dichiarato che è necessario fare in modo che la ricostruzione civile rappresenti il dato qualificante della nostra presenza, e che possa essere ancora più rafforzata insieme all'azione di sicurezza e dell'addestramento militare. Credo che questi siano degli elementi forti ed importanti, ma non solo. Sono convinto della bontà delle nostre iniziative e delle nostre missioni in questi focolai, che, spesso, sono di guerra, che non portano il rilancio, né la pace, né la serenità, né la ricostruzione, né il benessere e che non danno serenità a quelle popolazioni. Tuttavia, ritengo che vi debba essere qualcosa di più, di diverso. In Afghanistan, abbiamo sviluppato alcune esperienze importanti: vi sono di ricostruzione provinciale ed esistono situazioni che ci consentono di dire che, in quei luoghi, ci siamo qualificati attraverso un modello italiano di intervento, non riconosciuto compiutamente dal Governo e dai due Ministri che sono parte in causa, cioè difesa ed affari esteri. Tuttavia, credo che quel modello rappresenti il nostro modo e la nostra grande caratterizzazione, che chi hanno consentito di passare indenni in parecchie situazioni e che ci hanno fatto riconoscere, creando una nostra grande ed originale identità all'interno di quello scenario. Credo che gli interventi svolti dai citati di ricostruzione provinciale, che operano in piccole aree e in piccole zone - sono ventisei in Afghanistan - siano importanti. Credo che rappresentino la caratterizzazione più forte e che rientrino nello spirito della missione ISAF, ma non solo. Vi sono anche piccole unità addette alla cooperazione civile e militare - le cosiddette «Cimic», secondo il gergo NATO - che si occupano, oltre che di intrattenere rapporti con la popolazione, anche di realizzare piccoli progetti di ricostruzione, come l'edificazione di una scuola, lo scavo di un pozzo o la consegna di materiale umanitario. In questo caso, l'obiettivo è triplice: incrementare il margine di sicurezza dei militari sul territorio, promuovere l'accettazione della missione da parte delle popolazioni locali, reperire informazioni ai fini di . Non si tratta, pertanto, di un vero e proprio programma di ricostruzione, bensì, di una serie di piccoli progetti, spesso, purtroppo, scollegati, perché non vi è un'opera di raccordo e di coordinamento da parte dei nostri Ministeri. Tuttavia, credo che sia un aspetto importante, perché questo è ciò che hanno sempre percepito di noi, ove siamo stati in missione a livello internazionale: ci hanno visto come esempi virtuosi di capacità per la ricostruzione e per la messa in campo di una serie di opzioni e di percorsi di ricostruzione. Pertanto, dovremmo anche prendere ad esempio quanto è stato detto, qualche tempo fa, rispetto alle missioni civili, in occasione del seminario tenuto dal Ministero degli affari esteri e dall'Istituto affari internazionali (IAI), in cui si parlava delle ricette per migliorare la partecipazione dell'Italia. Ve le ricordo, per ricordarmene, tuttavia, chiedo un impegno al Governo a tenerne conto, perché questo non è un atteggiamento puramente scolastico o un aspetto culturale della nostra riflessione tutta italiana. Come dicevo prima, essa non si avvale dei professionisti e degli studiosi, ma ritiene caratterizzanti solo dei convegni, non come elementi e strumenti per capire meglio le questioni e per attrezzarsi rispetto alle risposte da dare. Per caratterizzare fortemente la nostra presenza, è necessario utilizzare quattro elementi fondamentali, che riguardano le missioni in generale, ma in questo caso, anche l'Afghanistan. Pensare di pianificare meglio le missioni a livello europeo e definire meglio la linea di comando e controllo, mi sembra ragionevole. Va ben quando si dice di voler di rafforzare il coordinamento della partecipazione italiana fra le diverse amministrazioni coinvolte (esteri, difesa, interno, giustizia ed economia e finanze), affidandolo al Ministro degli affari esteri. Ancora, va bene garantire la certezza delle risorse inserendo i finanziamenti nei bilanci ordinari dell'amministrazione statale - e non, come si fa ora, nei bilanci straordinari decisi di volta in volta e per pochi mesi - così come rendere più efficaci il reclutamento e la formazione. Aggiungo: è possibile avere, da parte del Governo, un'idea di documento strategico su quella che deve essere la gestione delle crisi? È possibile che il Governo venga a riferire in che modo e in che misura, nel prossimo futuro, senza pagare con nuove vite umane, si possa caratterizzare la nostra presenza, che ritengo debba essere mantenuta per continuare a dare il nostro contributo, come abbiamo fatto fino ad ora? È evidente che su questo occorrono delle risposte importanti. È altrettanto evidente, mi auguro, che l'opzione che stiamo cercando di mettere in campo attraverso la presente mozione deve essere intesa come un contributo a fare di più e a fare meglio, non come un contributo a vanificare quello che è stato messo in campo in questi anni. Penso che dobbiamo avere la forza di affermare alcune questioni in modo che siano rese chiare al Paese, a questo Parlamento, ma anche al Governo, che non può continuare così. Ritengo che sia deplorevole per il Governo e mortificante per i parlamentari, sia che appartengano alla maggioranza, sia che appartengano all'opposizione, quando assistiamo alle comunicazioni del Governo rese in forma solenne attraverso le audizioni. Ma cosa dobbiamo ancora ascoltare, non ci basta vedere la televisione e sentire quello che dicono gli opinionisti, coloro che ci indirizzano di volta in volta in maniera importante su come è meglio essere presenti in quegli scenari? Credo, allora, che dovremmo avere la forza di ragionare - qui sì senza ideologia, in maniera forte, importante e matura - dentro questo Parlamento e non nel chiuso delle Commissioni, per dire cosa vogliamo fare sulla scorta di quanto abbiamo fatto sin qui in maniera positiva, ne sono convinto, negli scenari in Afghanistan. Mi rivolgo al sottosegretario, in rappresentanza del Governo, dobbiamo chiarire tutto questo prima di andare alla Conferenza prevista per fine mese a Londra, dobbiamo chiedere al Governo di dichiarare come intende agire e cosa andrà a dire in quel contesto. Non abbiamo più bisogno di sorprese. Qualche tempo fa abbiamo assistito ad una serie di esternazioni allucinanti per un Governo maturo, che si accinge di volta in volta a mandare tanti giovani allo sbaraglio; esso ha prima sostenuto che in prossimità di fatti delittuosi andremo via dall'Afghanistan, poi ha detto che vi torneremo, che non andremo via, ma porteremo altri soldati. No: bisogna avere il coraggio di mantenere la linea fino in fondo e di chiedere il sostegno non all'opposizione o alle parti in campo ideologicamente schierate, ma bisogna chiedere la sostanza e la qualità della presenza all'intero Parlamento e alle forze in campo, che devono riconoscersi all'interno di un progetto che sia il progetto di uno Stato, non di un Governo. Questo non si riesce ancora a capire e mi dispiace, perché personalmente sto svolgendo un grande lavoro all'interno della mia parte per fare in modo che si determinino alcune condizioni affinché l'Italia non sia isolata rispetto all'Europa. Infatti, ci troviamo sempre in una condizione subalterna e veniamo interpellati solo per chiederci di dare qualcosa, ma nessuno ci domanda come e cosa vogliamo fare, quali sono le nostre idee o se abbiamo dei progetti. Ci chiedono solo uomini, non ci chiedono di entrare con pari dignità all'interno delle scelte, che spesso vengono compiute anche a nostra insaputa e cambiano le nostre come è successo in Afghanistan con il generale McCrystal durante l'ultima fase dell'estate. Questa mozione si propone di consentire il recupero della vocazione della nostra missione in Afghanistan e ha il compito di sollecitarvi e pungolarvi. In occasione dell'ultimo esame, alla fine dello scorso anno, quando è stato disposto il rinnovo della nostra partecipazione alle missioni, ho affermato che la nostra astensione aveva un carattere propositivo e dialogante. Non si è voluto capire che si trattava di un atteggiamento, da parte del gruppo e soprattutto da parte di chi vi parla, del bicchiere mezzo pieno, perché vi è la volontà di stare tutti insieme dentro un progetto che deve essere italiano e del suo Parlamento, non di una parte del Parlamento, che può cambiare le carte in tavola come e quando meglio crede. Dunque, si deve rimanere all'interno di questi aspetti e credo che la nostra mozione abbia questi requisiti. Nella premessa affermiamo alcune cose importanti che sono assolutamente condivisibili e che persone più autorevoli di me hanno già detto in un recente passato. Diciamo anche questo, ossia che il nostro Paese è da tempo impegnato in missioni internazionali di stabilizzazione e di mantenimento della pace, dalla prima missione in Libano del 1982 a quella in Afghanistan nell'agosto del 2003 in ambito ISAF, che di fatto si può considerare una continuazione dell'iniziativa statunitense avviata all'indomani dell'attentato alle torri gemelle dell'11 settembre 2001. Tuttavia, una differenza e una contraddizione evidente vi è sempre stata fra queste due ultime missioni: la ISAF è sempre stata intesa e percepita - e come tale si è sviluppata - come assistenza e sostegno alla popolazione, secondo i canoni di una vera e propria operazione di ; quella sotto il diretto comando USA, invece, è sempre apparsa come una missione di lotta al terrorismo, secondo le logiche e le strategie di una guerra . Tuttavia, nonostante il diffuso apprezzamento per l'azione del nostro contingente in Afghanistan, negli ultimi 4 anni si sono contati già 22 caduti fra i nostri militari e, nel frattempo, sembrano svaniti o dimenticati i presupposti e le ragioni per cui i nostri soldati partecipano alla missione ISAF. Infatti, come risulta da numerose denunce anche degli osservatori dell'Unione europea e dell'ONU, la produzione di oppio è continuata a crescere e i grandi trafficanti hanno fatto campagna elettorale in stretta alleanza con i signori della guerra. Inoltre, l'attuale presenza militare internazionale e italiana in quel Paese ha ormai assunto i caratteri di un vero e proprio conflitto armato, che mal si concilia e che, invece, è necessario torni a conformarsi con il dettato della nostra Carta costituzionale e con la dovuta attenzione alla sicurezza dei nostri militari. Il nostro contingente, dunque, si trova ad operare nel pieno di una vera e propria guerra civile ed è quindi necessario porre al centro dell'attenzione, nelle sedi internazionali, una fermo restando il nostro impegno per la ricostruzione dell'Afghanistan. Il nostro Paese, allorquando il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato la nuova strategia americana, prevedendo l'invio di 30 mila soldati in più in Afghanistan entro l'anno 2010, ha fatto sapere di poter assicurare la presenza di ulteriori mille nostri militari (170 dei quali da subito, come indicato nel decreto-legge n. 1 del 2010, in attesa di essere convertito in legge). Il 28 gennaio 2010 si terrà a Londra una conferenza internazionale sull'Afghanistan e sulla stabilizzazione politica, cui parteciperà ovviamente anche il nostro Paese. Proprio su questo vale la pena ricordare che il neo Segretario Generale della Nato, Rasmussen, ha dichiarato che è necessario chiedere qualcosa in più e di diverso all'Afghanistan e al Governo Karzai. Pertanto, è auspicabile e non più rinviabile l'avvio di un confronto parlamentare e di un dibattito sereno, equilibrato e maturo sul nostro impegno in Afghanistan. Pertanto, intendiamo impegnare il Governo a porre, senza indugi, nelle sedi internazionali, l'esigenza di un riesame e di una modifica dei tempi e della strategia d'intervento di ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan, avviando un percorso di fermo restando il nostro impegno per la ricostruzione dell'Afghanistan. Inoltre, intendiamo impegnare il Governo a compiere tutti i passi necessari, in occasione della partecipazione alla citata conferenza internazionale di Londra, per tradurre in azioni concrete ed efficaci gli intenti della nostra diplomazia circa la maggiore responsabilizzazione del Governo Karzai sulle varie questioni che riguardano il futuro dell'Afghanistan, quali la lotta alla corruzione, al crimine organizzato, la stabilizzazione politica e la riconciliazione nazionale. Termino il mio intervento, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, ricordando un'ultima cosa. per chi vi parla - ma credo anche per il mio gruppo - non sta a significare in quale modo si esca dall'Afghanistan e se se ne debba uscire immediatamente. Per invece, si intende cosa bisogna fare ora, quale sia il termine ultimo di questa uscita e cosa mettere in campo in questo periodo di tempo affinché non si perdano i requisiti raggiunti e affinché si mantenga viva la iniziale della nostra missione ISAF e, soprattutto, la caratterizzazione forte del contingente italiano.
. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini, che illustrerà anche la mozione Fassino ed altri n. 1-00313, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, questa discussione si svolge quando abbiamo potuto leggere sulle agenzie la notizia che il Governo Karzai è stato nuovamente sconfitto nell'Aula parlamentare di quel Paese, con l'ulteriore bocciatura di altri sette Ministri. Gli appassionati e gli affezionati alla questione sanno quali sono le caratteristiche e le procedure costituzionali di quel Paese, ma resta il fatto che il Governo Karzai si presenterà alla Conferenza di Londra il 28 gennaio prossimo sostanzialmente con un Governo dimezzato. Questo naturalmente è un elemento non positivo che si aggiunge ad altri elementi non positivi che conosciamo e che sono, purtroppo, all'ordine del giorno. La nostra mozione naturalmente sintetizza queste questioni. Come la grande stampa e la grande informazione internazionale ci dicono, e come ci dice l'ONU, la guerra e il confronto con i talebani purtroppo è in una fase di grandissima difficoltà. La nostra preoccupazione resta quella di sempre, ossia come poter garantire ad un tempo una capacità di tenuta delle fragilissime strutture democratiche del Governo di quel Paese e, nel contempo, evitare che questo avvenga soltanto sul terreno puramente militare, atteso che questa strategia si è rivelata assolutamente insufficiente. Naturalmente in Afghanistan c'è il terrorismo, ci sono i talebani e c'è una situazione che non possiamo lasciare allo sbando. Sappiamo bene perché le Nazioni Unite hanno costruito la missione ISAF, sappiamo bene perché siamo in quel contesto, sappiamo di doverci restare, ma tutti - qui nessuno di noi ha la palla di vetro o delle miracolose ricette in tasca - ci stiamo domandando come poter fare. Ho letto che a Londra il Governo Karzai - mi riferisco a notizie di agenzia, quindi come tali assolutamente non controllate - si predisporrebbe a riproporre la questione di un accordo e di un'intesa con una parte degli che non sono più dichiaratamente iscritti al fondamentalismo. È una questione che è sul tappeto non da oggi. Ricordo che quando l'allora segretario del partito dei Democratici di Sinistra pose la questione della ineluttabilità di un punto di contatto anche con una parte dei nemici e degli avversari si levarono alti lai. Non lo dico perché ci sia bisogno di dire che lo avevamo detto, poiché non è assolutamente questo il punto, ma solo per osservare come più le cose vanno avanti, più questa questione resta la questione principale. Si ricomincia a parlare - e credo che questo a Londra verrà fuori - di un'ipotesi di Conferenza di pace. Oggi ci sono le condizioni per una Conferenza di pace, cioè ci sono le condizioni per poter mettere intorno a un tavolo con prospettive accettabili queste parti? Io temo che ancora non siamo a questo punto, temo che questa debba essere un'iniziativa che però non possiamo neppure rinviare ad una scadenza senza termine. D'altronde, qui è anche nella sua ragionevole e giustificata incertezza la posizione che ha assunto il Governo statunitense. Quando Obama è uscito dalla strettoia che, da una parte, era rappresentata dalla richiesta dei militari e, in particolare, dal generale McCrystal e, dall'altra, da una opinione pubblica che per molti versi continuava e continua a porsi il tema di quale sbocco potesse avere la situazione per un Paese pesantemente impegnato in Afghanistan e che paga un pesante prezzo in vite umani e in costi materiali, egli ha sostanzialmente posto una questione ed ha dato una scadenza. Ha detto: «Noi faremo adesso come ci ha chiesto il rapporto McCrystal, anzi in qualche modo anticipiamo l'invio dei nuovi contingenti, lo facciamo perché vogliamo dare subito corso ad una nuova fase nella campagna afgana, però naturalmente poniamo anche una scadenza». Questa scadenza, cioè il giorno dell'avvio del ritiro delle truppe americane, è inevitabilmente e inestricabilmente legata con questa questione politica: come e quale sbocco siamo in grado di dare nel corso dei prossimi due anni a questa vicenda molto intricata. A questo proposito, avremmo voluto che il Governo italiano fosse venuto prima in Parlamento, e non dopo. Poi gli impegni internazionali in Africa per il Ministro Frattini hanno rappresentato una giustificazione non banale - per carità - per il rinvio. Tuttavia, noi avremmo certamente gradito di poter discutere un attimo prima della Conferenza di Londra. Infatti, o questa è un'occasione importante - cioè un momento nel quale si riesce a fissare un ordine del giorno vero delle prossime mosse del prossimo futuro - o rischiamo di trovarci di fronte ad una occasione perduta. Peraltro, quella di Londra, come sappiamo, è una Conferenza che si dedicherà anche ad altre tematiche, in particolare a questa questione dello Yemen e, più in generale, alla questione del terrorismo (quindi, con molta carne al fuoco). L'importante è che noi vorremmo dal Governo avere contezza di una posizione, di un'idea, di una proposta. Ho letto che il Ministro Frattini avanzerà delle proposte e sarebbe stato assai utile che esse ci fossero state comunicate e fosse stato possibile affrontare una discussione rapida. Naturalmente si va alle conferenze in un modo e se ne esce in un altro perché è così che accade in tali sedi, ma avremmo gradito la possibilità di un ragionamento. Infatti, il nodo che si comincia sempre di più ad evidenziare è questo: siamo in presenza - non abbiamo detto di «no», per quello che ci riguarda - di un maggiore impegno. Gli Stati Uniti hanno accettato una linea di correzione sul piano dei comportamenti, privilegiando gli aspetti del rapporto con le popolazioni (la strategia che ha avuto qualche successo in Iraq, come voi ben sapete). Noi siamo disponibili, ma naturalmente viene fuori sempre più evidentemente e fortemente la necessità che venga risolto il punto politico, cioè quello di come dare uno sbocco politico alla vicenda. Siamo in presenza, lo ripeto, di un Governo Karzai debole, che a Londra viene non al meglio della sua rappresentanza e con un contesto regionale - questo è l'altro aspetto che voglio sottolineare - che non dà segni di particolare ottimismo. Mi riferisco a quell'indispensabile contesto regionale che deve essere il teatro nel quale qualunque Conferenza - di pace e non - che faccia fare passi avanti all'Afghanistan è indispensabile. Noi siamo in condizione di pensare forse che a Londra accadrà questo: una nuova scadenza che metta intorno ad un tavolo regionale tutti gli interessi in campo? È un'idea che si coltiva da molto tempo, ma che non si è riusciti a trasformare in fatti concreti. Forse è il momento dell'iniziativa diplomatica dei grandi paesi interessati. In queste ore ci sono tra Islamabad, Karachi e Nuova Delhi movimenti che interessano la diplomazia di alcuni Paesi che ospitano la Conferenza di Londra, che mi pare vadano nella direzione di richiamare la centralità di questo aspetto, ma indubbiamente è così. O la comunità internazionale, le Nazioni Unite, sono in grado di lavorare intorno alla prospettiva di un certo protagonismo, mettendo insieme gli interessi regionali che sono ancora molto disarticolati (penso alle questioni India-Pakistan, a quelle che riguardano anche il ruolo della Cina e tutta la questione energetica che vi è dietro), o dovranno essere adottate certe misure, accanto al lavoro sul campo, con uno sforzo militare mirato, una maggiore attenzione al civile e alla capacità di riaprire un colloquio e un dialogo con la popolazione. Ma se la comunità internazionale non è in grado di mettere in campo un di iniziativa diplomatica per rifocalizzare gli interessi regionali intorno alla questione afgana naturalmente le cose rischiano di diventare in questa fase ulteriormente complicate e difficili. Per quello che ci riguarda, abbiamo presentato una mozione che in larga misura fa riferimento a questo itinerario che è sostanzialmente un percorso che al suo interno porta con sé qualche inevitabile chiarimento. Il primo chiarimento è il rapporto tra e ISAF: solo nella sede NATO è possibile sciogliere il nodo del rapporto tra le due missioni che hanno filosofie diverse e che si sono avvicinate inevitabilmente, vista la necessità di determinare un controllo del territorio, perché è chiaro che si deve parlare di controllo del territorio come elemento di base per qualunque discussione anche di pacificazione e di ricostruzione di sviluppo. Ma naturalmente l'avvicinarsi di queste due missioni comporta inevitabilmente moltissimi problemi. Noi siamo con la nostra missione ISAF in un territorio che confina con l'Helmand dove lo sforzo militare sotto la bandiera di si è molto caratterizzato e naturalmente questo comporta inevitabilmente delle sovrapposizioni che spesso sono cariche di conseguenze anche sul piano dei costi e delle vite umane. Insomma, questo è un tema all'ordine del giorno e vorremmo da questo punto di vista che fosse chiara la nostra opzione: in sede NATO questo tema deve essere focalizzato in modo migliore rispetto a quanto accaduto sinora. Mi pare che da questo punto di vista le cose dette da Obama in più occasioni sul ruolo della NATO vadano nella direzione giusta. Abbiamo ascoltato, almeno in linea di principio, da parte del Presidente degli Stati Uniti Obama una disponibilità a far meno da soli e a fare più insieme. Ed è anche in funzione di questo che la NATO e i principali Paesi che sono sul campo hanno dato la loro disponibilità. Vogliamo sperare che in questa logica il Governo italiano abbia dato la sua disponibilità con l'aumento di militari sul campo. Questo è un primo blocco di questioni molto importanti. Il secondo ordine di questioni riguarda come fare effettivamente sul campo, in un Paese dove le notizie di agenzia poco fa ci dicono che neppure la controllatissima Kabul riesce ad essere immune da una raffica di iniziative di insorgenti che oggi hanno a più riprese messo a ferro e fuoco la città. Questo ci dice che questa seconda parte del ragionamento, quella cioè di come riscaldare i cuori, è un tema molto complesso e difficile. Ripeto, noi dobbiamo riscaldare i cuori, sapendo e non dimenticandoci che in quei luoghi vi sono i terroristi e vi è una guerra che i terroristi fanno in un contesto che, come sapete meglio di me, ha certe caratteristiche geopolitiche: la questione del Pakistan, la questione dello Yemen. La situazione generale di quell'area non può che suscitare nuovi elementi di allarme. Il terzo blocco di problemi è quello legato all'iniziativa diplomatica. Ci auguriamo che da Londra possa partire un'attenzione - siamo certi che questo avverrà naturalmente, non vogliamo dire niente di diverso - che vada in questa direzione, cioè quella di considerare sempre più l'emergenza tempo - perché il è cominciato con le dichiarazioni di Obama - che ci deve portare ad una maggiore iniziativa diplomatica e a guardare alla questione della regionalizzazione della crisi come a una questione essenziale, sulla quale vanno spesi tutti gli sforzi possibili, per arrivare a ragionare in modo più credibile di quanto dicano le dichiarazioni di Karzai di oggi. Oggi mi pare che il Governo Karzai abbia riproposto un concetto giusto, quello di un'apertura di dialogo con «pezzi» che oggi sono dall'altra parte, che però rischia di essere purtroppo, nei termini in cui stanno le cose oggi, una petizione di principio. Quindi, questo è un terzo blocco di questioni, un terzo approccio che credo dobbiamo sottolineare. Penso, per concludere, che tutto questo ci porti a riaffermare la nostra opzione e il nostro atteggiamento costruttivo. Qualche volta, noi abbiamo - lo dico al sottosegretario, perché se ne faccia relatore - mandato giù qualche atteggiamento, come quello con il quale è stato dato il via libera all'aumento delle truppe, al contingente di mille militari. Noi abbiamo in qualche modo evitato un'inevitabile osservazione, ossia che tutto ciò avveniva al di fuori di una preventiva consultazione a livello parlamentare; abbiamo evitato di amplificare questa critica proprio perché sappiamo che questo è un terreno molto difficile e continueremo ad attenerci a questa ispirazione. Naturalmente, chiediamo al Governo - lo facciamo in questa sede, lo faremo nei prossimi giorni e continueremo a farlo - sempre maggiore attenzione, perché la delicatezza della situazione impone rapporti parlamentari che siano all'altezza dell'interesse nazionale, che i nostri soldati e lo Stato difendono stando in quella lontana parte del mondo
. È iscritto a parlare l'onorevole Moles, che illustrerà anche la mozione Cicu, Gidoni ed altri n. 1-00314, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, abbiamo ritenuto opportuno presentare questa mozione sull'impegno dell'Italia nell'ambito della missione in Afghanistan non solo per esprimere l'apprezzamento e la condivisione per gli sforzi che il Governo italiano sta producendo per la stabilizzazione del Paese, ma anche perché ci sia un ulteriore importante momento di riflessione sulle prospettive del nostro impegno. Ciò sulla base degli attuali sviluppi della strategia internazionale proprio a seguito dell'evoluzione della situazione nel Paese e in vista della Conferenza di Londra. Il nostro Paese ha un ruolo importante nello scenario internazionale e svolge ad ogni livello compiti di primo piano, raccogliendo un ampio riconoscimento sia sull'impegno che sulla professionalità del personale impiegato. Il contributo al mantenimento della pace e della sicurezza nel contesto mondiale è di fatto divenuto prioritario per la comunità internazionale, quindi anche per l'Italia, che nell'ultimo decennio non ha potuto né voluto sottrarsi dal recitare un ruolo adeguato al suo rango politico, storico ed economico. Anche nel contesto operativo afgano è particolarmente apprezzata la nostra azione, che vuole garantire al popolo afgano un quadro di sicurezza e riaccendere la speranza di una vita normale e di un futuro dignitoso. Ciò proprio in consonanza con la politica estera del Governo italiano in tema di sicurezza, che comprende la legittimità e l'opportunità di interventi militari a sostegno della pace e della sicurezza, condotti in sinergia con le attività di assistenza alle popolazioni, finalizzate proprio alla ricostruzione istituzionale, sociale ed economica delle aree di crisi. Il nostro obiettivo è, dunque, quello di contribuire a difendere i valori della libertà e della democrazia in Afghanistan, poiché tutto ciò coincide in realtà con il nostro interesse nazionale, che è quello di combattere il terrorismo. La situazione oggi è particolarmente rischiosa e la partita in Afghanistan è molto complessa, perché i talebani hanno rialzato la testa. La testimonianza di ciò l'abbiamo avuta proprio oggi, nelle ore della mattinata, con una serie di tremendi attacchi e attentati suicidi che si sono registrati a Kabul e che sembrano, in realtà, essere un chiaro messaggio dei talebani proprio nel giorno del giuramento di Ministri del Governo afgano e in vista dell'inizio della Conferenza internazionale di Londra del prossimo 28 gennaio. Se guardiamo a qualche anno fa, in realtà, dobbiamo tenere presente che la caduta dei talebani aveva messo fine all'esperienza di come elemento statuale. Da quel momento, non aveva più influenzato direttamente le sorti di un Paese, tanto da spostare il suo principale asse di interesse dall'area del Golfo al supporto dell'Islam estremista in diverse parti del mondo. Ma non va dimenticato, poi, che lo stesso Bin Laden, in un messaggio audio rivolto all'Europa, scaturito proprio dopo le sconfitte subite in Iraq, ha fornito indicazioni per un ripiegamento strategico sull'Afghanistan, dove tradizionalmente continua a godere di indubbi vantaggi organizzativi ed operativi proprio grazie ai talebani. Non va dimenticato, inoltre, che l'Afghanistan era fra i 25 Paesi più poveri al mondo e che il succedersi dell'occupazione sovietica, della resistenza ad essa, del regime dei talebani e della resistenza a questi ultimi hanno privato questo sfortunato Paese di due generazioni di afgani, che, invece di lavorare o studiare, hanno dovuto fare delle armi il proprio mestiere. Se a questo si aggiunge che nel Paese operano oltre 400 gruppi illegali armati e che la produzione di oppio e il suo commercio rappresentano una delle principali attività dell'economia talebana, ci si rende facilmente conto che la partita sarà non brevissima né facile. Questo significa che dobbiamo accettare l'inevitabilità della sconfitta e abbandonare Kabul al suo destino? Credo proprio di no! Non siamo lì solo per altruismo, ma anche per difendere la nostra sicurezza. Dobbiamo quindi puntare su tutte quelle iniziative, non solo militari, per restituire l'Afghanistan agli afgani e per creare oggi le condizioni iniziali che permettano di trasferire progressivamente al Governo di Kabul non solo la responsabilità e la gestione della sicurezza, ma soprattutto del buon governo del Paese. Questo è ciò che si chiede al Governo con la nostra mozione. La verità è che, come tutti sappiamo, il terrorismo esiste ed è un pericolo mortale per tutti, e quindi su tutti i Paesi incombe il dovere di contribuire, nei limiti delle possibilità di ognuno, a quella che è una lotta nell'interesse di tutti e dell'intera comunità internazionale. L'Afghanistan è una delle frontiere, forse la più cruciale, della lotta al terrorismo. Una vittoria dei talebani e di in Afghanistan costituirebbe una drammatica sconfitta per tutti: per l'ONU, per la NATO, per l'Occidente intero. La sicurezza, ed è quello che auspichiamo che si riesca a realizzare in Afghanistan, è diventata un concetto globale proprio perché riferito a rischi multiformi e differenziati ed il terrorismo è il peggiore di questi rischi, sia per la globalizzazione della minaccia sia per la difficoltà di identificare il nemico. Quindi il terrorismo è il primo obiettivo, perché continua a rappresentare una minaccia non solo per il popolo afgano, ma per l'intera comunità internazionale. Non mi è mai piaciuta l'espressione «guerra al terrorismo», perché, in realtà, la guerra in senso stretto è il conflitto tra Stati o coalizioni di Stati. Il terrorismo internazionale non è uno Stato e il contrasto della comunità internazionale al terrorismo non è una guerra. Non vi è dubbio, tuttavia, che, se la vogliamo chiamare guerra, la sua prima linea oggi è l'Afghanistan ed è lì che si gioca l'intera partita. Se i talebani e i terroristi di avessero la meglio sulla fragile democrazia afgana, i terroristi avrebbero vinto la più importante delle loro battaglie contro la sicurezza internazionale, perché disporrebbero, ancora una volta, di una formidabile base di reclutamento e addestramento di adepti, nonché di basi per attacchi terroristici nei più disparati Paesi del mondo. Se il rischio è globale, la risposta deve essere globale; è per questo che l'Italia deve contribuire con convinzione all'attuale ulteriore sforzo della comunità internazionale in termini di sicurezza militare e in termini civili e finanziari. Questo impegno si deve caratterizzare, oltre che per una presenza strettamente militare, per una presenza rinforzata per l'addestramento delle forze di sicurezza, in termini finanziari con il contributo al al fine di aiutare il potenziamento della sicurezza afgana, e, infine, attraverso un accrescimento degli sforzi in campo civile, quelli in cui l'Italia, insieme allo straordinario contributo militare, ha già dimostrato di non essere un Paese marginale, ma, al contrario, tra i primi Paesi del mondo nella coalizione in Afghanistan. Quindi, così come anche delineato recentemente proprio nelle audizioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa nelle Commissioni congiunte, aumento temporaneo con una precisa finalità politica dei contingenti militari, perché è necessario garantire l'indispensabile cornice di sicurezza finalizzata proprio alla transizione, ed alla logica politica di consegnare agli afgani il destino e il controllo del loro Paese; e quindi, per realizzare le condizioni di un graduale, successivo disimpegno internazionale. Una strategia politica, questa, onnicomprensiva, che include ovviamente la sicurezza sul terreno, ma anche la protezione della popolazione afgana. Inoltre, una maggiore responsabilizzazione del Governo afgano: un Governo afgano, quindi, finalmente capace di creare sviluppo economico e di realizzare la riconciliazione nazionale. Concludo con l'auspicio che su questi argomenti si possa continuare a registrare una convergenza di posizioni ed un consenso generale; e ciò perché è dovere di tutti coloro che hanno vivo il senso dello Stato dare prova di unità nell'affrontare i temi che riguardano la politica estera e di difesa dell'Italia. La prima essenziale fase di risposta alla sfida apertasi dopo gli attentati dell'11 settembre è stata superata con un sostegno costante di Governo e di Parlamento; e ciò, fortunatamente, in scenari senza più tabù, senza pregiudizi ideologici e senza zone d'ombra. L'auspicio è che anche questa nuova fase veda le forze politiche unite nel sostenere gli sforzi del nostro Paese. La missione in Afghanistan è nell'interesse di tutti, ed è dovere di tutti contribuire a che in quel Paese non vinca il terrorismo internazionale. Sono convinto che l'Italia sia un grande Paese, e che in quanto tale debba far fronte alle responsabilità di un grande Paese, ed è questo che chiediamo al Governo con la nostra mozione.
. È iscritto a parlare l'onorevole Gidoni. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, se la mozione n. 1-00239 presentata dal collega Di Pietro ha un merito, è quello di avere proposto all'attenzione dell'Assemblea di Montecitorio il problema dell'impegno militare ed umanitario internazionale in Afghanistan; ed è di particolare importanza che della situazione in quel Paese si discuta proprio oggi, che Kabul è stata teatro di un'imponente battaglia tra le forze di sicurezza fedeli al Presidente Karzai e nuclei della guerriglia islamista che vi si oppone. Nel documento presentato dall'Italia dei Valori sono certamente interessanti i richiami al progressivo deterioramento della situazione sul terreno, che ha contraddistinto gli sviluppi degli ultimi anni, ed altresì il riferimento alle dichiarazioni con le quali il Presidente americano Obama ha annunciato la sua decisione di precedere ad un nuovo l'ulteriore rafforzamento del contingente statunitense ed alleato presente in Afghanistan. Quanto in effetti Obama ha detto a proposito dell'inopportunità del rimanere a tempo indefinito in Afghanistan, richiama in modo straordinario quanto noi, come Lega Nord, ci eravamo sommessamente permessi di sottolineare la scorsa estate, all'indomani di uno degli eventi luttuosi che avevano colpito le nostre unità lì operanti. Ma la condivisione e la sintonia con la mozione Di Pietro n. 1-00239 finiscono qui. Riteniamo infatti non corretti sia alcuni dei riferimenti generalizzati nella premessa, sia le conclusioni che vengono tratte a livello di impegni di Governo; ma soprattutto non condividiamo che il conflitto afgano possa ricondursi ad un semplice bilancio ragionieristico di rapporto costi-caduti, come qui fatto poco fa nel corso della discussione: siamo convinti che la lotta per la libertà e la democrazia vada ben al di là del mero e freddo calcolo costi-benefici. Torniamo però alla parte introduttiva della mozione Di Pietro n. 1-00239 : le inesattezze sono diverse, e sono il riflesso della scarsa conoscenza della storia dell'intervento occidentale in Afghanistan. In modo particolare, va rilevato come la pretesa che l'ISAF dovesse fare solo assistenza e sostegno alla popolazione sia assolutamente falsa: la «s» presente nell'acronimo, infatti, sta per sicurezza, ed il mandato della missione implicava sin dall'inizio il supporto alla creazione di condizioni adeguate di sicurezza nel Paese, sostanzialmente facendo delle truppe ONU, dal 2003 sotto «cappello» NATO, una sorta di braccio armato al servizio del Governo diretto dal Presidente Karzai. Vorremmo a questo proposito richiamare il primo impegno figurante nella risoluzione n. 1386 del Consiglio di sicurezza dell'ONU che autorizzava per sei mesi una forza internazionale di assistenza alla sicurezza per assistere l'Autorità provvisoria afgana nel mantenimento della sicurezza a Kabul e nelle aree circostanti in modo tale che l'Autorità provvisoria afgana e il personale delle Nazioni Unite potessero operare in un ambiente sicuro. Se non si capisce questo fatto non si comprende granché di ciò che è seguito e soprattutto sfuggono le ragioni del progressivo attenuarsi di fatto della differenza originariamente esistente tra l'ISAF e l'. È semplicemente accaduto questo: tentando di sostenere l'affermazione del Governo di Kabul in tutto l'Afghanistan la NATO si è fatta nemica di tutti gli avversari di Karzai che non sono pochi compresi ovviamente talebani e terroristi che erano invece lo specifico bersaglio della missione a guida americana . Del resto che la partecipazione all'ISAF potesse implicare l'uso della forza e che la esposizione a situazioni di combattimento rientrasse nelle previsioni dell'Esecutivo lo prova altresì la decisione presa nell'autunno 2001 dal Governo della Casa delle libertà e confermata fino all'estate del 2006 di applicare ai soldati italiani partecipanti a quella missione internazionale il codice penale e militare di guerra. Quindi, uno dei fondamentali presupposti richiamati dalla mozione Di Pietro e altri n. 1-00239 non è assolutamente corretto, come non è corretto affermare che da un punto di vista tecnico-giuridico l'Italia sia in guerra. Non lo è certamente anche se le nostre truppe e quelle dei nostri alleati sono costrette assai di frequente a fronteggiare le iniziative militari di una guerriglia priva di scrupoli. Anche se lo fosse comunque è bene sottolineare che le iniziative intraprese dai nostri Governi con riferimento all'Afghanistan dal 2000 ad oggi - inclusi i tempi del duo Prodi-D'Alema - sono del tutto in linea con i parametri di costituzionalità stabiliti dal Consiglio supremo di difesa il 19 marzo 2003, dal momento che le operazioni in Afghanistan sono state autorizzate da risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU. C'è poi un ulteriore elemento da considerare: proprio la decisione presa dall'amministrazione americana di varare un'ulteriore e di chiedere agli europei di fare la loro parte ci impedisce di andarcene adesso. C'è stato chiesto un estremo sforzo, al fine di creare le condizioni del ritiro successivo nella speranza che le cose vadano come in Iraq dove comunque la presenza militare straniera ha ormai i giorni contati. Il quadro politico e la strategia sono diventati più chiari ed è per questo motivo che anche noi della Lega abbiamo accettato che il nostro Paese facesse la sua parte. Ritirare subito adesso tutti i nostri soldati non sarebbe utile, indebolirebbe lo sforzo finale degli Stati Uniti e creerebbe risentimenti tra gli alleati destinati a pesare a lungo. Anche noi vogliamo andare via dall'Afghanistan, ma vogliamo farlo insieme ai nostri alleati avendone discusso con loro tempi e modalità: la novità è che sembra esservi un accordo di massima su questo punto, un'intesa che evidentemente l'onorevole Di Pietro ignora. Del nuovo quadro tiene invece conto la mozione della maggioranza, che anche noi abbiamo sottoscritto e che ha il merito di ricordare al Parlamento l'interezza dei compiti affidati all'ISAF, che non è mai stata una semplice missione di ricostruzione delle scuole e dei ponti (anche se i militari che vi partecipano fanno pure queste cose). Condividiamo della mozione di maggioranza anche il riferimento agli obiettivi minimi da raggiungere prima di avviare il ritiro, nonché il richiamo alla necessità di esercitare pressioni sul Governo di Kabul affinché acceleri il percorso di rinnovamento, senza il quale è impensabile conquistare i consensi delle masse afgane. Concludo ricordando come la Lega Nord abbia già espresso il 10 dicembre scorso in Parlamento ed il 17 seguente nel Consiglio dei ministri il suo appoggio alla decisione del Governo di accrescere temporaneamente il contributo militare italiano alla stabilizzazione dell'Afghanistan. Confermiamo oggi questi orientamenti nella speranza che il sacrificio non sia vano e che sia possibile effettivamente, già a partire dal 2011, avviare il rimpatrio dei nostri ragazzi.
. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.
. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.