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Giovedì 04 Ottobre 2012 ore 09:30
Seduta di assemblea numero 697 della XVI legislatura
Resoconto stenografico
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Seduta di assemblea numero 697 della XVI legislatura del 04/10/2012
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012 (Doc. LVII, n. 5-bis) (Esame)
- Preavviso di votazioni elettroniche.
- Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 5-bis
- Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 5-bis
- Votazione risoluzioni - Doc. LVII, n. 5-bis
- Risoluzioni - Doc. LVII, n. 5-bis
- Sull'ordine dei lavori
- La seduta, sospesa alle 11,20, è ripresa alle 12
- Interpellanze urgenti (Svolgimento)
- Iniziative per favorire una proficua gestione degli enti previdenziali privati e privatizzati - n. 2-01666
- Iniziative per salvaguardare la specificità dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado - n. 2-01684
- Elementi in relazione alla convocazione nel settembre 1981, da parte dell'ufficio istruzione del tribunale di Bologna, di Saleh Abu Anzeh, esponente in Italia del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, nell'ambito del procedimento relativo all'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980 - n. 2-01674
- Stato dei negoziati in corso tra gli Stati membri dell'Unione europea che intendono aderire alla cooperazione rafforzata per l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie - n. 2-01680
- Orientamenti del Governo in merito alla permanenza in carica dell'attuale amministratore delegato della società Eur Spa - n. 2-01683
- Iniziative per escludere le spese veterinarie per gli animali domestici dall'elenco di quelle comprese nel cosiddetto redditometro - n. 2-01682
- Iniziative volte a salvaguardare l'industria automobilistica italiana alla luce del nuovo piano di investimenti della FIAT - n. 2-01670
- Elementi e iniziative in ordine alla procedura di gara relativa alla cessione dei rami d'azienda della società Asa group di Castellamonte (Torino) - n. 2-01673
- Iniziative per garantire la correttezza delle fasi di esecuzione contrattuale relative agli affidamenti diretti in essere tra i general contractor e le società locali nei territori della Calabria e della Sicilia - n. 2-01661
- Iniziative per scongiurare il rischio di un prolungato arresto dei lavori relativi alla stazione dell'alta velocità di Afragola (Napoli) - n. 2-01676
- Ordine del giorno della prossima seduta
, legge il processo verbale della seduta di ieri.
. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Antonione, Bergamini, Boniver, Brugger, Buttiglione, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Donadi, Dozzo, Fava, Franceschini, Ghizzoni, La Loggia, Leo, Lucà, Melchiorre, Migliori, Misiti, Moffa, Mosca, Mussolini, Palumbo, Pecorella, Pisacane, Pisicchio e Vernetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna. Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna.
. L'ordine del giorno reca l'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012. Ricordo che, per l'esame della Nota, è previsto dall'articolo 118-, comma 4, del Regolamento, un dibattito limitato, con l'intervento di un deputato per ciascun gruppo e per ciascuna componente del gruppo Misto, nonché dei deputati che intendano esprimere posizioni dissenzienti dai rispettivi gruppi. Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
. Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Ciccanti.
, Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, con la nota di aggiornamento vengono riviste al ribasso le stime macroeconomiche del documento di economia e finanza dello scorso aprile. Si sono ridotti i consumi nazionali con la contrazione della spesa delle famiglie residenti. Si sono ridotti gli investimenti fissi lordi di quasi il doppio. Il tasso di disoccupazione è cresciuto, anche in virtù del rinvio del pensionamento, indotto in parte dalla riforma previdenziale. Il costo del lavoro per unità di prodotto aumenta, nonostante la moderazione della dinamica salariale. La minore liquidità in circolazione di moneta ha inasprito la concessione di crediti con l'innalzamento di tassi creditori da parte delle banche. Migliora l', ma in rapporto alla bilancia dei pagamenti a causa della diminuzione delle importazioni dovuta al calo dei consumi interni. Abbiamo di fronte a noi un quadro macroeconomico e finanziario drammatico, che è meglio descritto con il conforto di dati della relazione scritta che consegno. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.
. Onorevole Ciccanti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
, La ringrazio, signor Presidente. Voglio però cogliere dal quadro onesto e trasparente dei della nota due valutazioni politiche, una di carattere internazionale e l'altra di carattere interno. Lo scenario internazionale ci vede con un alto debito pubblico e con livelli di competitività deteriorati. Ne consegue una crisi di fiducia da parte dei mercati finanziari che non investono sull'Italia a causa del rischio della sostenibilità del suo debito, sicché abbiamo bisogno di affrontare questa difficile congiuntura economica con l'aiuto dell'Europa. L'ombrello protettivo dell'Europa e dell'euro nella sfida globale ci serve come l'aria che respiriamo. Lo abbiamo capito quando le autorità monetarie europee hanno reagito alla crisi di fiducia rafforzando i meccanismi di stabilizzazione finanziaria, assicurando poi anche un più corretto funzionamento dei mercati finanziari con l'annuncio dell'intervento nel mercato secondario della Banca centrale europea per l'acquisto illimitato di titoli di debito pubblico a breve termine degli Stati membri. Le quotazioni dello tra e BTP si è subito posizionato sotto i 400 punti base. È stato il segnale che, quando non si va in ordine sparso e l'Europa è percepita dal mondo, il sistema finanziario si stabilizza e con esso anche la nostra finanza pubblica. Quindi, l'unione bancaria, l'unione fiscale e l'unione politica sono le uniche risposte immediate per far fronte alla speculazione finanziaria. Altro che uscire dall'euro, altro che governo delle banche: quando c'è più Europa e quando i conti pubblici sono affidabili e credibili si ridimensiona la speculazione finanziaria. L'altra riflessione attiene alle sorti del nostro Paese rispetto ad una recessione che dura da sei anni e ad una crescita dell'economia che da 20 anni registra una media dello 0,3 per cento, rispetto ad una spesa pubblica che, invece, è cresciuta in media 7 volte tanto. Il PIL in questi ultimi sei anni è diminuito di 7 punti in termini reali rispetto al 2007, il reddito è andato peggio. La natura della nostra crisi non è ciclica, è diventata, o sta diventando, strutturale. Le nostre unità produttive hanno chiuso definitivamente e forse non riapriranno più, oppure sono delocalizzate, sono fuggite dall'Italia. Il tasso di natalità delle aziende è negativo da anni, lo di capitale umano sta riducendosi con l'aumento dei disoccupati di lunga durata. Sembra un ossimoro, ma il nostro precariato sta diventando permanente e per una generazione vi è il rischio di rimanere precari a vita; la scuola già conosce questo dramma. Il difficile ingresso dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro sta assumendo carattere strutturale. Corriamo il rischio che il nostro arretramento non sia solo di natura quantitativa, ma anche qualitativa circa le sue capacità produttive. Si rischia di perdere primati che le economie emergenti, come, per esempio, la Corea del sud, già conquistano a nostro danno. Questa nota è l'ultimo documento programmatico di questa legislatura e consegna alla prossima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento temi di grande importanza e significato per la loro pericolosità. Le future coalizioni di Governo e le sfide politiche non saranno più, come nel passato, su fronti ideologici e sistematici, ma dovranno dire parole chiare sull'Europa, sulla competitività, sul con quale Stato e pubblica amministrazione si intende governare i processi di cambiamento globale e le nuove sfide sulla cittadinanza, civile e sociale. Non vi sarà più il tempo per fare manutenzione ordinaria del sistema. Riforma del fisco, dell'assistenza, della giustizia, dello Stato, delle grandi opere sono stati temi messi nell'agenda della piccola parentesi del Governo Monti, un Governo provvisorio e di emergenza, nato per salvare l'Italia dal baratro. Se non fosse nato, oggi saremmo come la Grecia, il Portogallo o la Spagna. Occorre, pertanto, continuare l'agenda Monti con un Governo politico che sappia portare avanti l'opera di questo Governo in un quadro di stabilità, in grado di gestire il cambiamento. Rigore, crescita ed equità sono stati i pilastri dell'azione politica di questo Governo, che abbiamo sostenuto con lealtà. Il rigore lo stiamo conoscendo, la crescita la stiamo costruendo, l'equità la dobbiamo ancora ottenere. Questi sono i traguardi del Documento di economia e finanza, della sua nota di aggiornamento e lo spirito della relazione che ho consegnato agli atti con l'autorizzazione di questa Presidenza .
. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, intanto le chiedo, in considerazione dello strettissimo tempo a disposizione, di poter consegnare il mio intervento scritto per essere allegato agli atti. Il contesto nel quale discutiamo oggi della nota di aggiornamento del DEF è totalmente diverso rispetto a quello di un anno fa. Era esattamente l'11 ottobre 2011 quando la nota di aggiornamento fu approvata con solo 2 voti di scarto e, cinque minuti dopo, il Rendiconto dello Stato, l'articolo 1 del Rendiconto dello Stato, invece, fu bocciato, con la crisi del Governo che conosciamo, anche perché due giorni prima, il 9 ottobre, lo dei titoli italiani e quelli tedeschi era schizzato a 575 punti di differenziale. Ma quella politica, portata avanti in tanti anni, ce la troviamo ancora con le conseguenze oggi, anche se la situazione - ripeto - è cambiata, almeno sul fronte della stabilità dei conti e della messa in ordine dei conti dello Stato. Ovviamente tutto ciò non basta e cioè bisogna passare alla seconda parte che avrebbe potuto/dovuto coniugarsi in contemporanea. Ciò non è stato possibile. Mi auguro che in questi pochi mesi che mancano alla fine della legislatura si possa per davvero dare un segnale forte. Mi fa piacere che ci sia il sottosegretario Ceriani, che sta portando avanti convintamente una riforma, una legge delega, sul fisco perché si proceda speditamente a rimettere in pista tutte quelle risorse, che sono rinvenienti da parecchie fonti.
. La prego di concludere, onorevole Cambursano.
. Ne cito almeno cinque: i costi della politica, la rivisitazione delle agevolazioni fiscali, la lotta all'evasione fiscale e naturalmente le risorse rinvenienti dai Paesi della oggi per far sì che vengano ridotti i costi del lavoro, cioè abbattimento del cuneo fiscale e riduzione, se non annullamento, dell'IRAP sul lavoro.
. Deve concludere, onorevole Cambursano.
. Solo così - e concludo davvero, signor Presidente - si potrà rilanciare uno sviluppo nel nostro Paese. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
. Onorevole Cambursano, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, non c'è nulla da aggiungere all'analisi, estremamente puntuale, che ha fatto il relatore, onorevole Ciccanti, il quale ha delineato un quadro grave e - se possiamo usare un'espressione diretta - drammatico dell'economia italiana. Di fronte a questo quadro, preso atto che la relazione e il documento del Governo danno indicazioni tranquillizzanti per ciò che riguarda l'evoluzione della finanza pubblica nel nostro Paese, vi è una sola domanda che questo Parlamento deve rivolgere al Governo. Mi dispiace che non sia presente il Ministro dell'economia e delle finanze o il Presidente del Consiglio a questo nostro dibattito. La domanda è: ma il Governo è rassegnato ad accettare un andamento macroeconomico così deprimente e così disperante come quello descritto nelle tavole macroeconomiche? Si tratta cioè di una caduta del reddito del 2,4 quest'anno e dello 0,2 per l'anno prossimo. Insomma, il nulla fino al 2015, con l'aumento drammatico della disoccupazione. È rassegnato il Governo o il Governo intende - come noi pensiamo debba intendere - fare qualche cosa per sollevare l'economia italiana e chiedere all'Europa di non assistere silenziosamente e con soddisfazione alla caduta dell'economia di un grande Paese come l'Italia, che poi avrà ripercussioni sul resto dell'Europa e del mondo? Vogliamo dare o no una svolta alla condizione economica del nostro Paese o consideriamo con rassegnazione che gli indici della disoccupazione crescono, che i giovani sono disoccupati, che il Mezzogiorno è così e via dicendo? Ecco, questa è la domanda, signor Presidente, che mi permetto di rivolgere al Governo.
. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, il Documento di economia e finanza in qualche modo riflette lo stato della nostra economia e in qualche modo riflette anche i risultati dell'azione di Governo. Ora, se ci sono degli indicatori e questi indicatori sono quelli che servono e che dovrebbero servire per comprendere gli effetti dell'azione di Governo, noi abbiamo un esito che è quasi esiziale per il futuro del Paese. Non c'è un indicatore, uno solo, che dica che la situazione economica del Paese sta migliorando. Siamo in recessione e le previsioni sulla recessione sono state totalmente sbagliate. Per carità, capisco bene che fare delle previsioni sia difficile, però quando quelle previsioni incidono sui conti pubblici bisognerebbe che, termini di legge o no, il Governo facesse immediatamente gli aggiornamenti necessari. E così noi ci troviamo che da un'ipotesi dello 0,5 per cento in meno, in termini di ricchezza prodotta e di prodotto interno lordo, siamo arrivati ad un riconoscimento da parte del Governo prima delle ferie dell'1,2, ma oggi siamo al 2,4 e c'è qualcuno che dice che forse il Governo dovrebbe vedere bene, perché il 2,4 forse non sarà, e il dato sarà ancora peggiore. Inoltre c'è in più una previsione di recessione anche per il prossimo anno. Questo di solito è l'indicatore più significativo, ma dietro a questo indicatore ce ne sono tanti altri. C'è una disoccupazione crescente, ormai ben oltre il 10 per cento. C'è un'inflazione galoppante, perché in una situazione di recessione come questa, che l'inflazione superi il 3 per cento vuol dire che siamo in una situazione di inflazione galoppante. C'è un crollo dei consumi: l'ISTAT accerta che abbiamo un livello di consumi pari a quello di vent'anni fa. Il debito pubblico in rapporto al PIL cresce: andremo al 126 per cento. Non c'è un indicatore che ci dica che le cose stanno o sono destinate in questo momento a migliorare. Allora, questo in qualche modo è anche il segno di un fallimento degli obiettivi di Governo. Lo dico perché quando il Presidente Monti si è presentato in quest'Aula, nel novembre dello scorso anno, ha detto: «Rigore, equità, sviluppo». Noi abbiamo visto solo il rigore. L'equità è qualcosa che forse verrà nel futuro, ma non l'abbiamo vista. Noi avevamo dato persino fiducia a questa dichiarazione del Presidente del Consiglio e gli avevamo chiesto: dacci certo il rigore, ma iniziando a far pagare chi non ha mai pagato, facendo pagare gli speculatori, gli evasori fiscali, facendo pagare coloro che più hanno e solo alla fine di un processo di questo tipo, andando a chiedere soldi a quelli che li hanno già dati, cioè ai lavoratori e ai pensionati. Mi spiace, ma il Presidente Monti ha invertito questo ordine: ha lasciato un ordine dei fattori che ci sta portando in una recessione che rischia di non interrompersi. Infatti, non si può immaginare: la terza parola d'ordine del Presidente Monti era «sviluppo», ma noi non abbiamo visto nulla. Addirittura avete fatto dei decreti sviluppo ed ora ne dovete riproporre degli altri, perché quelli sono stati totalmente inutili dal punto di vista dell'obiettivo che si vuole raggiungere. Quindi, è un Governo che ha mancato gli obiettivi. Possiamo parlare di fallimento, questo può essere un ragionamento anche magari politico, ma è certo che dovete riconoscere che avete mancato gli obiettivi che vi eravate proposti a novembre. Allora, noi pensiamo che questo documento di economia e finanza in realtà certifichi questa situazione e noi certamente ricordiamo quello che si dovrebbe fare, a nostro giudizio. Voglio anche ricordare che non è il giudizio solo nostro, ma è il giudizio di interlocutori internazionali. Certo, è chiaro che i nostri creditori sono contenti del rigore, ma è un modo un po' sciocco di intenderla, perché un creditore dovrebbe essere contento se il suo debitore cresce e si sviluppa, non se fa soltanto il rigore. Infatti, dovrebbero sapere che il rigore fine a se stesso...pregherei però, signor Presidente, che il sottosegretario potesse ascoltarmi, perché altrimenti non è possibile, signor Presidente...
. Mi scusi, signor sottosegretario. Prego, onorevole Borghesi.
. Il rigore fine a se stesso non è qualcosa di positivo per il creditore, perché porta ad una spirale, dalla quale - la Grecia ci insegna -, poi, è difficile uscire. Noi vogliamo ricordare i nostri suggerimenti. Come stavo dicendo - poi, purtroppo, ho perso un attimo il filo del discorso, ma lo riprendo -, non siamo solo noi a dire che la situazione va in una direzione sbagliata. Posso ricordare l'affermazione della Corte dei conti. Il presidente della Corte dei conti, in audizione, ha pronunciato parole molto severe, e voglio ricordarle. Egli ha detto che esiste un pericolo: «Il pericolo di un corto circuito rigore-crescita non è dissipato nell'impianto del Documento di economia e finanza, impegnato a definire il profilo di avvicinamento al pareggio di bilancio in un arco di tempo molto breve (...). L'urgenza del riequilibrio dei conti si è tradotta, pertanto, nel ricorso al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per ulteriori effetti recessivi indotti dalle restrizioni di bilancio. Con un consistente depauperamento dei benefici attesi e con il rischio di ricorrenti ma non risolutivi adeguamenti dell'intensità delle manovre correttive». E ancora: il pericolo di un corto circuito favorito dalle manovre correttive delineate nel DEF, per quasi il 70 per cento affidate nel 2013 ad aumenti di imposte e tasse, con una pressione fiscale oltre il 45 per cento, già fuori linea nel confronto europeo. Dunque, voglio dire che questo è un accertamento che viene fatto da un soggetto che analizza i conti pubblici, dalla magistratura contabile; è un fatto che noi teniamo a rilevare, in particolare, per quanto riguarda la pressione fiscale: è un altro degli indicatori straordinariamente negativi certificato da questo DEF. Di fronte a questo, è inutile che ci trinceriamo, anche perché un ulteriore elemento che non quadra in questo DEF è il fatto che non prendiamo conto nelle entrate di questo andamento recessivo. Come a dire, che non vi è una regressione, quasi lineare - è una regressione quasi vicina al valore 1 - tra riduzione del prodotto interno lordo e entrate dello Stato. Qui non ne prendiamo conto, facciamo finta che non ci sia e immaginiamo che, con qualche bacchetta magica, sia un calo ulteriore di spesa che consente di pareggiare il conto. Ma quel calo si può fare solo in due modi: ancora chiedendo tasse ai cittadini o lasciando, ad esempio, l'IVA, evitandone l'aumento, oppure, evidentemente, facendo una qualche manovra correttiva che oggi viene negata da parte del Governo. Voglio concludere, ricordando gli impegni che nella nostra risoluzione chiederemo al Governo, perché noi abbiamo consapevolezza che per lo sviluppo c'è solo il taglio delle tasse possibili. Bisogna avere il coraggio di superare anche eventuali ostacoli da parte della Ragioneria generale dello Stato per collegare immediatamente i recuperi di evasione fiscale alla riduzione delle tasse alle famiglie e alle imprese. Se noi non troveremo il coraggio di fare un'operazione automatica, non succederà nulla: le famiglie non riprenderanno a consumare e, quindi, non riprenderanno ad alimentare la domanda interna, e le imprese non investiranno. Infatti, se diciamo alle imprese: intanto facciamo, poi, forse, ridurremo le tasse, nessun imprenditore investirà in condizioni di questo tipo. Quindi, ecco che manca uno degli elementi che favorisce l'investimento. Ricordo alcune delle nostre proposte, che, invece, non ho sentito nella relazione del relatore, il quale ha fatto riferimento soltanto a continuare sulla e ad attivare la dismissione dei beni pubblici. Certamente sono cose da fare, ma noi chiediamo che avvengano in modo strutturale e non lineare, come in effetti anche l'ultima operazione di è stata fatta; chiediamo che si debba, ad esempio, intervenire con maggiore efficienza sulla spesa per l'infrastruttura, soprattutto contrastando i fenomeni di illegalità. Non si è ancora intervenuti in modo rilevante sugli unici altri due elementi che possono portarci fuori da questa ossia innovazione e ricerca. Infatti, senza innovazione e ricerca le imprese non investono e non vanno avanti, eppure non c'è nulla, praticamente nulla: 100 milioni di euro non servono, ci vuole ben di più per poter creare condizioni di sviluppo. E ancora: la riduzione della pressione fiscale, come ho già detto, una politica industriale di cui ancora non si vede un disegno, un intervento per costringere gli istituti di credito a dare credito alle imprese; avete fatto loro regali, rendendo i loro debiti garantiti dallo Stato; avete fatto un regalo ulteriore al Monte dei Paschi di Siena; io non ho visto un contratto che obblighi queste banche a concedere credito alle imprese, e questo va fatto se si vuole che il Paese cresca. Credo di aver illustrato gli interventi necessari, naturalmente ce ne sono altri, perché non dimentichiamo che c'è un Paese che dal punto di vista del sociale è in una gravissima situazione e noi continuiamo a lasciare inalterato il programma delle spese militari, in particolare dell'acquisto dei famosi cacciabombardieri, che ci costeranno un miliardo di euro all'anno. Ma possiamo prendere quel miliardo e destinarlo ad alleviare le condizioni di chi sta male, dei disabili per esempio? No! Il fondo per autosufficienti langue, però noi spendiamo un miliardo di euro per i cacciabombardieri! Ecco, credo che ci sia molto da fare: le nostre proposte saranno contenute nella nostra risoluzione, ma credo che in questo momento siamo sulla strada sbagliata e non vediamo davvero, da parte del Governo Monti, il perseguimento di quegli obiettivi dichiarati all'inizio, che erano, sì di rigore, ma anche di equità e di sviluppo.
. È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, le difficili condizioni della nostra economia e soprattutto dell'economia internazionale, le tensioni improvvise sui mercati finanziari e le incertezze dell'area euro non lasciano spazio a particolari entusiasmi in questo momento. L'obiettivo prioritario è portare al più presto l'Italia fuori dalla crisi. Quindi, gli sforzi messi in campo dal nostro Paese, soprattutto grazie all'azione di questo Governo, vanno confermati e moltiplicati. Le stime sull'andamento dell'economia formulate la scorsa primavera appaiono oggi troppo ottimistiche e il Governo, con la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2012, ha dovuto rivederle al ribasso. Si stimava una contrazione del PIL per l'anno 2012 dell'1,2 per cento. Purtroppo dobbiamo registrare che il calcolo raddoppia e il prodotto interno lordo diminuirà, invece, del 2,4 per cento per quest'anno e dello 0,2 per cento nel 2013. La luce in fondo al tunnel, come si diceva qualche settimana fa, la si intravede per il biennio successivo, quello che va dal 2014 al 2015. L'Italia dovrà incrociare la domanda mondiale crescente in quel periodo e dovrà essere solida sia sotto il profilo contabile, sia dal punto di vista della capacità interna di competere sui mercati internazionali. I dati sono allarmanti e ciascun ambito di previsione risulta ulteriormente indebolito. I consumi sono bassi e le famiglie hanno sempre maggiori difficoltà di spesa. La disoccupazione è in preoccupante aumento e il mercato del lavoro rigetta soprattutto i giovani. La crescita delle esportazioni è insoddisfacente. Il Documento conferma la crescita, purtroppo esponenziale, della pressione fiscale, che ormai non è più tollerabile: essa registra quest'anno un consistente aumento di due punti percentuali di PIL, passando dal 42,5 per cento del 2011 al 44,7 per cento. Nel 2013, la crescita della pressione fiscale si prevede debba innalzarsi fino al 45,3 per cento per poi, forse, tornare nel 2015 ai valori iniziali del periodo. Questi dati ci proiettano direttamente nel canale delle esigenze future: abbattere il debito pubblico, soddisfare la domanda di crescita, ridurre il carico fiscale e incentivare le imprese, anche attraverso massicci investimenti nella ricerca. Accogliamo positivamente la volontà del Governo di dare attuazione, nei prossimi mesi, agli strumenti creati per procedere alla valorizzazione e alla successiva dismissione del patrimonio dello Stato, sia degli immobili, sia delle partecipazioni pubbliche e chiediamo con forza che le risorse ottenute da questa operazione siano orientate esclusivamente alla crescita. Vogliamo evidenziare una ulteriore criticità: gli enti locali sono in grande sofferenza e sempre meno spesso riescono a garantire i servizi necessari nelle misure adeguate; teniamo a ricordare che i comuni sono le istituzioni più direttamente vicine ai cittadini e quindi, più di altri enti, avvertono il peso del disagio delle famiglie e delle comunità, sia in termini economici che in termini morali. È compito dello Stato, quindi, prestare la dovuta attenzione alle richieste degli enti locali, incentivando le amministrazioni virtuose, supportando quelle in difficoltà e condannando gli sprechi. Con queste precisazioni e con queste raccomandazioni il gruppo di Futuro e Libertà per l'Italia annuncia il voto favorevole alla risoluzione relativa alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza .
. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, non mi soffermerò sul contenuto della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, lo ha fatto bene il relatore, onorevole Ciccanti, aprendo la discussione, oggi, in Aula. Peraltro, oggi, interveniamo sulla risoluzione con la quale si approva la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza; voglio però preliminarmente osservare che questa Nota di aggiornamento descrive la situazione del Paese e lo fa con onestà, con chiarezza, senza reticenze e descrive la situazione di un Paese che è ancora nel pieno di una crisi difficile, che non sappiamo quando si concluderà e quando lascerà il posto alla ripresa. Una crisi dovuta, come è scritto nella Nota di aggiornamento, ad una congiuntura internazionale; non solo il nostro Paese, non solo l'Europa ma il mondo occidentale e anche le economie che fino a qualche anno fa erano, in qualche modo, il motore del PIL mondiale, sono in una condizione di difficoltà. Una crisi che è dovuta, guardando al nostro continente, alla crisi dei debiti sovrani e all'incertezza che l'Europa ha dimostrato in ordine alla sua capacità di fronteggiare la speculazione sui mercati. Una crisi, però, e il Governo lo ammette nella Nota di aggiornamento al DEF con onestà e con correttezza, che è dovuta, anche, ai sacrifici che sono stati richiesti al Paese e che hanno determinato un'ulteriore riduzione del prodotto interno lordo determinando, appunto, una contrazione dei consumi privati e degli investimenti pubblici e da parte delle imprese. Molti si chiedono, ora, valutando gli effetti chiaramente e naturalmente recessivi di questi sacrifici, se questi ultimi fossero necessari o meno, se se ne potesse fare a meno. Noi riteniamo che questi sacrifici fossero assolutamente necessari perché è grazie ad essi che oggi il nostro Paese può presentarsi in Europa con un abito nuovo, senza pudore, senza dover arrossire per le inadempienze del passato. L'Italia può contribuire, su un piano di pari dignità con gli altri Paesi, a fare in modo che l'Europa riacquisti la forza, la capacità, l'autorevolezza per essere protagonista delle scelte utili a fronteggiare la crisi sui mercati. Sono sacrifici che oggi si dimostrano utili, anche perché la Nota di aggiornamento al DEF, descrivendo la situazione di un Paese con il PIL in contrazione, con i consumi in diminuzione e con gli investimenti che si contraggono, dice anche però che l'Italia è uno dei pochi Paesi, insieme alla Germania, all'Estonia e alla Finlandia, che l'anno prossimo non si dovrà sottoporre alle procedure stabilite dalla europea per il rientro dal deficit. Sono stati sacrifici necessari, perché l'alternativa sarebbe stata il ; l'alternativa sarebbe stata la situazione della Grecia, in un Paese che aveva - il nostro - un debito pubblico addirittura superiore a quello della Grecia. Sacrifici necessari, quindi. Oggi, in ragione di questi sacrifici, è come se pedalassimo in salita, ma, fino a qualche tempo fa, per l'appunto prima delle manovre che questi sacrifici hanno determinato, eravamo sull'orlo di un precipizio. Ora però bisogna avere la capacità e il coraggio di coniugare in maniera diversa il rapporto tra rigore e crescita, tra austerità e crescita, tra necessità di mantenere i conti in ordine - che abbiamo dimostrato di voler fare: siamo tra i Paesi che per primi hanno recepito le indicazioni dell'Unione europea in ordine alla modifica dell'articolo 81 della Costituzione, e quindi dell'equilibrio di bilancio - e sviluppo. Tutti ne parlano, tutti si interrogano su come questa strada debba essere percorsa, su come si debba fare la crescita, che tutti invocano. Ma come la facciamo questa crescita? Non vi sono risorse, non è possibile fare spesa in deficit e, se anche per assurdo l'Europa ci consentisse di ritornare a politiche economiche keynesiane, avremmo poi la difficoltà a collocare sul mercato i titoli di debito utili a finanziare queste politiche. Quindi, la strada è necessariamente quella imboccata con coraggio, anche sfidando l'impopolarità, dal Governo: la strada delle riforme. Esse sono utili non solo a renderci più presentabili in Europa e sui mercati, ma utili anche a rendere più fertile quel terreno nel quale la crescita deve svilupparsi. Vorrei ricordare che il nostro Paese è un Paese che non cresce da tanti anni, da prima della crisi dei debiti sovrani, da prima della crisi del 2008, perché il nostro Paese è un Paese che, anche quando gli altri Paesi d'Europa crescevano, cresceva mediamente meno della Germania, della Francia e della Spagna. Il nostro Paese è un Paese nel quale, mentre in Europa, dopo l'introduzione dell'euro, si utilizzavano i risparmi derivanti dai minori tassi di interesse per investire in ricerca, innovazione e sviluppo, quei risparmi, 100 miliardi di euro all'anno, 7 punti di PIL all'anno, li abbiamo utilizzati per costruire uno Stato troppo invadente e troppo invasivo, incapace di fare quelle riforme che sono state per anni soltanto annunciate. Al di fuori di ogni ipocrisia noi ribadiamo, anche in occasione della discussione di oggi sulla Nota di aggiornamento al DEF, che il compito della politica deve essere quello di recuperare una responsabilità che non ha avuto il coraggio di esercitare negli anni passati, non quello di fare tutte le parti in commedia come spesso avviene, sostenendo un Governo chiamato a supplire le incapacità della politica degli anni passati e poi contestandolo per le scelte necessarie che fa. Noi non riusciamo a fare tutte le parti in commedia, e riteniamo che, soprattutto in un momento come questo, di gravi crisi della politica, di grave crisi anche in ordine alla credibilità della politica, chi sta nelle istituzioni deve avere il coraggio di esprimersi con le parole della verità e della responsabilità. Per questo diamo atto al Governo di avere prodotto una Nota di aggiornamento al DEF molto coraggiosa, onesta e corretta, che non nasconde le difficoltà del Paese, ma che dice con chiarezza che grazie a queste difficoltà l'Italia ce la farà .
. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, sottosegretario Vieri Ceriani, siamo al dunque. Dopo un anno di manovre Monti, ossia di manovre economiche votate a maggioranza attraverso colpi di fiducia da questa inedita maggioranza PD-PdL, siamo arrivati al capolinea della mistificazione della realtà voluta con pervicacia dai poteri forti che hanno portato voi tecnici al Governo. Qui oggi discutiamo di numeri, non di parole e di impressioni soggettive, o di parte. Parliamo di numeri concreti, purtroppo veri, che certificano senza appello che le vostre politiche economiche stanno uccidendo il Paese, stanno uccidendo le imprese del Nord, le famiglie e soprattutto gli enti locali del Nord. I dati della Nota di aggiornamento peggiorano vistosamente rispetto al testo originale dell'aprile scorso, quindi in pochissimo tempo, in pochi mesi, le previsioni sono state completamente disattese in maniera tragica, e questo deve essere un campanello d'allarme che deve essere assolutamente ascoltato: meno 2,4 per cento del PIL sul 2012; il 2,6 di indebitamento netto; rallentamento della riduzione del debito che continua a volare al di sopra del 126 per cento e non scenderà sotto i 120 punti neanche nel 2015; tasso di disoccupazione che aumenta del 2,5 per cento portandosi al 10,7 nel 2012 e all'11,4 nel 2013; una pressione fiscale che aumenta di 2 punti, attestandosi ben al di sopra del 45 per cento nell'intero triennio 2012-2014 e destinata, purtroppo, a perdurare a lungo a causa di manovre economiche affidate per quasi il 70 per cento ad aumenti di imposte, tasse e regalie alle banche, non ultima quella della che ha destinato 4 miliardi del taglio degli enti locali a una banca (il Monte dei Paschi di Siena). Non veniteci a raccontare, come ho già sentito anche in quest'Aula e ho letto nel Documento, che tutti questi obiettivi mancati siano causa della congiuntura economica mondiale, perché gli altri Stati, quindi gli altri Paesi europei, soffrono nettamente meno dell'Italia e danno delle previsioni di ripresa certamente più repentine e concrete, molto probabilmente perché non hanno preso le misure economiche che questo Governo ha dato all'Italia. È tutto causa, quindi, delle vostre manovre, della recessione nata per una tassazione elevata che ha frenato la domanda interna, con il crollo dell'introito - per esempio - dell'IVA. Ciò che ha determinato questo scenario, noi della Lega Nord Padania - da mesi - lo gridiamo inascoltati in questo Parlamento: troppe tasse e pochi investimenti nella crescita; troppi tagli agli enti locali e pochi tagli al centralismo romano; troppo rigore e poca crescita. Guardate che questa non è squisitamente solo un'impressione politica di parte, è anche il parere della Corte dei conti che, in V Commissione (Bilancio), ha evidenziato con chiarezza tutte le criticità e le lacune dell'azione del Governo. Altro che contesto internazionale! I maggiori problemi di mancata ripresa sono da imputarsi alle vostre politiche economiche interne intraprese finora. Il Governo ha guardato esclusivamente alle richieste dell'Europa, ricorrendo pesantemente al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per un ulteriore effetto recessivo che ha portato a una riduzione di PIL in termini reali, benché la quota della spesa sul prodotto sia rimasta al di sopra dei livelli pre-crisi. I dati sono eloquenti: meno 19 per cento per gli investimenti in macchinari; meno 23 per cento per le costruzioni; meno 4 per cento per i consumi delle famiglie; meno 7 per cento per le esportazioni. Sono valori fortemente negativi, destinati a peggiorare nella seconda parte dell'anno e nei primi mesi del 2013, tanto che l'effetto recessivo attribuibile direttamente alle misure di riduzione del disavanzo avrebbe dissolto circa la metà dei 75 miliardi della correzione prevista nel 2013. L'elevata tassazione ha generato paura nel futuro, che ha prodotto, così, un corto circuito. Abbiamo minori entrate per 33 miliardi nel 2012, per oltre 41 nel 2013 e per quasi 44 miliardi nel 2014, in corrispondenza di livelli di prodotto nominale più bassi rispettivamente di 53, 83 e 85 miliardi. Errore fondamentale è stato quello di seguire le richieste delle autorità europee che pongono al centro della strategia economico-finanziaria il solo e squisitamente rigido controllo delle finanze pubbliche, invece di seguire logiche richieste dei mercati che vogliono maggiore stabilità nella ripresa economica e nello sviluppo industriale. Il rigore del bilancio da solo non basta, anzi può essere un danno. Poi, se questo rigore deve sempre e solo pagarlo il Nord, ecco che il problema e l'errore di valutazione si acuiscono in modo esponenziale. Si deve immediatamente iniziare una fase di crescita dell'economia su cui appoggiare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica. Basta considerare gli enti locali dei limoni da spremere per il raggiungimento del pareggio di bilancio. Nel triennio 2012-2014 le province subiscono un taglio di 5,2 miliardi di euro, i comuni di 16 miliardi di euro, le regioni ordinarie di 23,6 miliardi di euro. Si tratta di cifre immense che causano l'impoverimento dei servizi ai cittadini e l'aumento della pressione fiscale locale. Basta IMU e prelievo locale per finanziare spese statali. L'IMU deve rimanere interamente ai comuni. È arrivato il momento veramente di concretizzare il federalismo, così come ha ricordato il Ministro Passera agli Stati generali del Nord domenica scorsa, sia per dare dignità economica ai territori, sia per responsabilizzare, come era già previsto nella legge n. 42, gli eletti, arrivando così alla loro ineleggibilità in caso di dissesto dell'ente. La Lega Nord Padania non abbaia mai alla luna, ma ascolta l'economia reale e si fa interprete delle sue richieste e proposte. Al contrario del Governo Monti, che si riferisce esclusivamente alla burocrazia pelosa europea, la Lega Nord Padania invece ha incontrato il mondo industriale e produttivo e continuerà a farsi promotrice delle istanze del Nord. A Torino, agli Stati generali del Nord, più di cento imprenditori hanno chiesto di rafforzare l'euro-regione del Nord, di trattenere almeno il 75 per cento delle tasse pagate sul territorio, di incentivare l'innovazione, l'esportazione e la ricerca, tagliando i sussidi alle imprese decotte. Gli imprenditori hanno chiesto di introdurre subito una fiscalità di vantaggio per contrastare la delocalizzazione. Basta aiuti alle banche che non danno credito e per il Nord solo banche vere che concedono quindi credito alle famiglie e alle imprese; zero IRPEF per l'assunzione di giovani sotto i 35 anni per i primi tre anni di lavoro, contratti territoriali; in più anche la realizzazione di una nuova Europa, un'Europa dei popoli, di cui solo i territori che ne hanno le caratteristiche strutturali economiche e industriali possono far parte. Quindi, abbiamo molte idee concrete per lo sviluppo e la crescita, non squisitamente degli slogan. Ecco perché abbiamo presentato una nostra risoluzione che riprende e impegna il Governo a seguire tutte le indicazioni che la Lega Nord Padania ha ricevuto dalle imprese locali e dagli imprenditori del Nord, che tanto hanno dato al Paese e che nulla stanno ricevendo in cambio se non un'elevata tassazione e un cuneo fiscale che le rende non competitive a livello europeo e a livello mondiale. La Lega Nord Padania, quindi, voterà contro questa Nota di aggiornamento, i cui dati negativi per l'economia, soprattutto del Nord, evidenziano quanto di giusto abbiamo fatto finora nel non concedere mai la fiducia al Governo Monti .
. È iscritta a parlare l'onorevole Rubinato. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, con il voto della risoluzione in oggetto sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, che prende atto del forte peggioramento intervenuto nel quadro macroeconomico, il Partito Democratico conferma la volontà di proseguire il cammino di stabilizzazione e riforme intrapreso negli ultimi mesi, nella consapevolezza che solo un lungo ciclo di governo riformista potrà realizzare il radicale cambiamento che è necessario al rilancio del Paese. Nel quadro macroeconomico attuale, che potrebbe peggiorare se riprendessero le tensioni sui mercati finanziari internazionali o se ritardasse la ripresa dell'economia a livello globale, occorre continuare a operare con senso di responsabilità per attuare con determinazione politiche economiche, efficaci e credibili, di consolidamento dei conti pubblici per accrescere la fiducia degli operatori internazionali come precondizione per riavviare la crescita in Europa e in Italia e così garantire prosperità e coesione sociale alle presenti e future generazioni. Dico in Europa e in Italia perché, dopo l'accordo del 28 e 29 giugno scorso e tutte le iniziative e le decisioni che ne sono seguite, fino all'ultima della BCE, siamo ormai dentro ad un processo irreversibile di integrazione in sede comunitaria delle procedure di bilancio delle politiche economiche e fiscali. Esso costituisce la precondizione per realizzare quella unione politica e federale che auspichiamo, rafforzata da una nuova ed adeguata legittimazione democratica delle istituzioni europee. In questo processo va evidenziato, anche con un certo orgoglio nazionale, come, in virtù dell'azione del Presidente Monti, l'Italia sia tornata a svolgere un ruolo trainante, prima riservato solo alla Germania e alla Francia. La Nota di aggiornamento al DEF, in particolare, è lo strumento che aggiorna le previsioni macroeconomiche di finanza pubblica nonché gli obiettivi programmatici individuati dal Governo nel Documento di economia e finanza dell'aprile scorso, nell'ambito di quella che possiamo davvero definire la sessione di bilancio europea, tenendo conto delle raccomandazioni formulate all'Italia in questo percorso dall'autorità europea. Esse sono sei: le prime due riguardano deficit e debito. Il Parlamento nazionale ha già modificato l'articolo 81 della Costituzione, introducendo il principio del pareggio strutturale del bilancio. È un obiettivo realizzabile nei tempi previsti, nel 2013, dato il netto miglioramento già ottenuto nel 2012, malgrado il grave peggioramento del ciclo economico, che produce effetti di aumento dell'indebitamente nominale. Quando al debito, l'obiettivo fissato nel e nelle raccomandazioni è conseguibile, in presenza di una ripresa anche se non vivace dell'economia, grazie all'effettivo mantenimento nel tempo del pareggio strutturale. Ma può e deve essere accelerato attraverso operazioni sul patrimonio pubblico. Le altre quattro raccomandazioni, inerenti crescita ed equità, riguardano mercato del lavoro, efficienza della pubblica amministrazione, istruzione e giustizia. Una strategia di radicali riforme strutturali, appena avviata dal Governo Monti, è necessaria, dunque, comunque, anche se si potesse prescindere dalle raccomandazioni europee. Va, pertanto, stigmatizzato sia il tentativo di rimettere in discussione l'accordo del da ultimo attaccato proprio dall'ex Presidente del Consiglio, che pure l'aveva nella sostanza concordato in Europa, tentazione strumentale alla rinnovata promessa della cancellazione dell'IMU, sia la tentazione di rimettere in discussione gli interventi del Governo Monti sul sistema previdenziale e sulla riforma del mercato del lavoro. Si possono e si debbono affrontare alcuni problemi aperti con politiche di sostegno del reddito e nella ricerca di nuova occupazione. Ma non sembra, non appare, che alcuna forza politica oggi possa dire agevolmente che si può tornare indietro, su riforme strutturali fondamentali, per consolidare la finanza pubblica e la ripresa di un sentiero di crescita per il Paese. Del resto, la politica economica, compresa quella delle misure volte alla crescita di ciascun Paese europeo, è e sarà vieppiù oggetto di un interesse comune dell'Unione europea e, dunque, di una progressiva gestione comune, insieme alla politica di bilancio. Con la discussione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza e l'approvazione delle relative risoluzioni parlamentari, il Parlamento impegna il Governo, dunque, a rispettare in vista della prossima legge di stabilità nel prossimo triennio, gli obiettivi già fissati per il 2013, sia per ciò che attiene alla finanza pubblica - deficit e debito ma anche rispetto ad obiettivi di spesa ed obiettivi di pressione fiscale -, sia per le riforme strutturali ed eventuali disegni di legge collegati alla legge di stabilità. Non solo! I gruppi parlamentari che approvano, con l'apposita risoluzione, la nota di aggiornamento del DEF si impegnano, a loro volta, almeno per il triennio - e credo che possiamo anche dire nella prossima legislatura - a stare dentro questa cornice condivisa di disciplina di finanza pubblica, di cui dovranno tener conto le proposte programmatiche che nella campagna elettorale i singoli partiti o le coalizioni presenteranno ai cittadini. Non si può, però, puntare tutto sul rigore, attendendo la crescita con gli attuali livelli di pressione fiscale, soprattutto. Le misure di bilancio, adottate tra luglio e dicembre dello scorso anno - lo ammette lo stesso DEF -, hanno avuto un effetto recessivo pari ad almeno un punto di PIL quest'anno e il prossimo anno. È vero che la Banca d'Italia ci ricorda che in assenza di misure credibili di consolidamento dei conti pubblici le condizioni richieste dai mercati finanziari, per acquistare titoli di debito di emittenti italiani, sarebbero diventate proibitive e avrebbero comportato costi ben più elevati per la nostra economia, mettendo a repentaglio non solo la sostenibilità del debito pubblico ma anche la stabilità del sistema finanziario. Tuttavia, consapevoli di questo - e in questo il Partito Democratico è stato assolutamente leale e coerente nel dare il proprio sostegno alle scelte del Governo Monti -, come evidenzia la stessa Corte dei Conti, i risultati di una strategia improntata solo al rigore sono evidentemente insufficienti. Il caso dell'Italia - dice la Corte dei Conti - da questo punto di vista, è esemplare perché consente di verificare come il rigore di bilancio da solo non basta, se manca una crescita dell'economia su cui appoggiare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica. Allora, se non si può, dati i livelli di debito, fare spesa in deficit, bisogna comunque evitare che la cura da cavallo imposta alla finanza pubblica uccida il cavallo, ossia occupazione ed imprese. Per l'Italia l'andamento della crisi - dobbiamo ricordarlo - è stato particolarmente duro. Rispetto al 2007 il PIL è diminuito di 6, 4 punti percentuali, il reddito disponibile delle famiglie ha perso 9 punti, ulteriori due punti rispetto alla fine dello scorso anno quando l'ISTAT già misurava in 1.300 euro a testa la caduta del valore, in termini reali, dei redditi delle famiglie. Sempre rispetto al 2007 il numero degli occupati è diminuito di 2,3 punti, ovvero di quasi mezzo milione di posti di lavoro. Allarmanti sono soprattutto i dati sull'occupazione giovanile, che dovrebbe essere motore della crescita, mentre in realtà, rispetto al 2007, nel secondo trimestre del 2012, gli occupati di età compresa tra i 15 e 34 anni sono diminuiti di quasi un milione e mezzo di unità. In questo contesto, le risorse di cui abbiamo bisogno vanno reperite all'interno della spesa pubblica attuale e dalla lotta all'evasione fiscale. Già lo si è detto: bisogna farlo e praticarlo sempre di più. In particolare, la revisione integrale della spesa, la cosiddetta è la priorità delle priorità, perché potrebbe, attraverso il controllo di congruità e appropriatezza di ogni voce di spesa e un'attività selettiva di tagli chirurgici operati con attenzione all'equità sociale e all'efficienza economica, permettere di costruire uno spazio finanziario per ridurre la pressione fiscale sui produttori e trainare così la crescita. Senza contare il messaggio forte che va dato, riqualificando la spesa pubblica, prima di tutto, eliminando sperperi, sprechi, malversazioni e corruttele perché la pubblica opinione, ovviamente costretta a sacrifici importantissimi, non ne può più di vedere questo spettacolo. Va attuato un programma di profonda riorganizzazione e modernizzazione delle pubbliche amministrazioni incentrato su un sistema di valutazione indipendente delle in funzione dell'allineamento ai migliori standard europei del carico burocratico gravante su imprese e cittadini, nonché dei livelli di efficienza delle amministrazioni di ciascun settore. In particolare, ci auguriamo che la definizione rapida dei costi standard, consenta una riconsiderazione del Patto di stabilità degli enti locali, sia sul fronte della spesa corrente, sia sul fronte della buona spesa in conto capitale. Ricordo qui che la Corte dei conti avvisa Governo e Parlamento che, sul fronte degli enti territoriali, il ritardo nel processo di definizione dei valori di riferimento, rischia di indebolire il legame tra tagli ed eccessi di spesa, rendendo la distribuzione dei sacrifici poco aderente alle effettive possibilità di riassorbimento di squilibri strutturali. Non è un gran vantaggio portare gli enti locali al disavanzo e, inoltre, sottolinea la Corte dei Conti, manca un riferimento ancora certo dei margini entro cui disegnare le caratteristiche, i compiti e le funzioni proprie dell'intervento pubblico. Priorità assoluta deve essere data all'allineamento dell'efficienza dei servizi scolastici e dell'amministrazione giudiziaria. Occorre dare impulso alla modernizzazione delle infrastrutture di trasporto e comunicazione sul trasporto internazionale, occorre incrementare la capacità, oggi gravemente insufficiente, delle amministrazioni di promuovere progetti suscettibili di fruire effettivamente del finanziamento da parte dei fondi strutturali dell'Unione europea. Ultime due osservazioni: nella risoluzione si impegna il Governo a quantificare le risorse derivanti dalla lotta all'evasione e a destinarle integralmente, al più presto, a finanziare un piano di riduzione della pressione fiscale sui lavoratori e sulle imprese, con specifico riferimento al cuneo fiscale. La riduzione stessa del carico fiscale gravante su lavoro e impresa, va perseguita anche trasferendone parte sui consumi, non agendo sulle aliquote IVA, ma sull'enorme evasione ed elusione esistenti, nonché sui patrimoni, correggendo l'IMU secondo criteri di equità. Poiché non c'è solo da combattere il troppo debito e la poca crescita ma anche le troppe disuguaglianze, ribadisco quello che sempre dice il segretario Bersani: chi ha di più deve dare di più, ma sottolineo, chi ha di più e non ha dato ancora, deve dare ancora di più, perché non c'è, ripeto, solo da combattere debito e poca crescita, ma troppe disuguaglianze. Sul fronte dell'equità, la risoluzione infine impegna il Governo a perseguire obiettivi più ambiziosi di inclusione sociale e di riduzione della povertà e dell'emarginazione, settori in cui il nostro stato sociale è rimasto molto indietro, con particolare attenzione alle famiglie. In questo Paese troppe sono le famiglie a rischio di povertà relativa, il 24 per cento in più rispetto alla Germania, e oltre il 5 per cento sono a rischio di povertà assoluta. In questo Paese ci sono famiglie a reddito zero che non godono di alcuna forma di sostegno al reddito, la sola sperimentazione della in alcune città italiane, in concomitanza con il peso ormai insostenibile caricato dalle manovre correttive sugli enti locali e quindi sulla relativa erogazione di servizi, è troppo poco per un Paese che non ha alcuna forma di reddito minimo vitale. Sono in gioco qui i valori fondamentali della dignità delle persone e dei diritti basilari all'alloggio e al cibo, qui davvero è questione di civiltà, non solo di stabilità e di crescita. Proprio di fronte al livello di famiglie in condizione di povertà relativa e di povertà assoluta, proprio di fronte a questo dato, sul quale concludo il mio intervento, noi dobbiamo come classe politica, come buona politica, avere non solo l'ambizione ma il dovere etico di intervenire in modo radicale su sperperi, malversazioni, corruzione dilagante; il Parlamento dia un segnale forte in questa direzione perché il percorso da fare è lungo e fortemente in salita e non ci si può permettere una fase di distruzione dovuta solo al dilagare dell'antipolitica se non c'è insieme anche una fase di costruzione della buona politica, ma l'antipolitica viene scacciata indietro, come diceva Tommaso Padoa-Schioppa, solo dalla buona politica .
. È iscritto a parlare l'onorevole Alberto Giorgetti. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo ad affrontare il dibattito su questo Documento di economia e finanza in un contesto di particolare pesantezza e gravità, credo che il relatore nel suo ottimo intervento e adeguata sintesi ha già dato una fotografia della situazione, viene definito un quadro macroeconomico e finanziario drammatico. È difficile poter smentire il relatore Ciccanti da questo punto di vista, però è altrettanto vero, colleghi, che noi siamo qui oggi per cercare di dare una speranza al Paese, per cercare di guardare avanti e soprattutto per cimentare, coinvolgere e impegnare il Parlamento rispetto a quelli che sono scenari di lavoro in materia di politica economica, finanziaria e fiscale in cui credo a maggior ragione il Parlamento deve svolgere un ruolo assolutamente di primo piano. Nelle risoluzioni che sono state presentate credo che si intravedano le questioni che dovranno essere affrontate nei prossimi tempi. Noi pensiamo che non bisogna guardare con rassegnazione i dati che sono riepilogati nella nota di aggiornamento; sono dati indubbiamente molto pesanti e molto negativi, non voglio andare a riprenderli uno per uno perché è oggettivamente difficile poter vedere in questi dati una speranza di ripresa, ma noi dobbiamo lavorare per fare in modo che, tenendo conto di questi elementi, ci sia la possibilità per il Paese di immaginare un futuro diverso. Innanzitutto non è vero - mi permetto di dire con la solita simpatia al relatore Ciccanti e con grande rispetto e considerazione - che è una congiuntura che colpisce tutto il mondo o in particolar modo il mondo occidentale, è vero in parte perché se andiamo a vedere le proiezioni di crescita degli altri Paesi certamente si tratta di crescita ridotta in talune situazioni, di recessione che si riduce nei prossimi mesi per altri Paesi, ma certamente il dato per l'Italia è il più grave in assoluto. È evidente che dobbiamo partire da questo. Cari colleghi, qualche anno fa discutevamo di quella che era una condizione di trappola, cosiddetta di bassa crescita, in cui l'Italia si trovava. Oggi possiamo dire che la trappola di bassa crescita è diventata sostanzialmente una trappola recessiva e pesante, in cui è evidente che il Paese è ingessato all'interno dei vincoli che sono stati posti in materia di stabilità e in cui la crescita sembra essere stata totalmente dimenticata. Noi dobbiamo lavorare proprio su questi fattori, consapevoli del fatto, come ha ricordato correttamente il Ministro Grilli, che dobbiamo muoverci in una linea di continuità rispetto al controllo della spesa pubblica, ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che non possiamo strangolare il Paese in una morsa che è determinata dal taglio progressivo di risorse della spesa, che comunque incideva e incide anche sull'aspetto legato alla domanda interna e sugli investimenti. Così come non possiamo non tener conto di una stretta e di una morsa del credito, che sembra essere ancora troppo forte per le nostre imprese. Credo, colleghi, che sul primo aspetto molti abbiano già parlato. La collega Rubinato ricordava prima l'importanza della È indubbia l'importanza di interventi di controllo di qualità sulla spesa e sempre di più su aspetti di carattere qualitativo che saranno determinanti nel futuro per poter rendere virtuosa questa attività, non limitandosi semplicemente ad un'iniziativa che determina ulteriore recessione e quindi difficoltà ad immaginare percorsi di crescita. Così come è altrettanto evidente che non possiamo fare a meno di notare ancora una volta che gli istituti di credito devono fare uno sforzo maggiore. Importanti sono i pronunciamenti di questi giorni in merito alla tenuta dei patrimoni delle nostre aziende di credito, di fronte a un giudizio che sembrava in qualche modo di natura problematica, un giudizio che avrebbe messo in difficoltà anche le nostre banche. Invece le nostre banche, come abbiamo sempre sostenuto, in una logica di continuità anche del Governo precedente rispetto alle scelte del Governo di oggi, hanno un indice di patrimonializzazione particolarmente forte e questo è indubbiamente un valore per il Paese. Deve essere altrettanto chiaro che da parte del Governo dovrà essere svolta un'iniziativa più forte in merito all'azione che le banche dovranno fare nei confronti di famiglie e di imprese per sostenere il credito. È palese che senza credito non è possibile investire, non è possibile sostenere lo sviluppo e non è possibile mantenere le imprese in attività e, quindi, un'occupazione degna di questo nome. Di fronte a dati che hanno dimostrato una riduzione progressiva del dato occupazionale, il tema del credito diventa quindi un aspetto centrale. Sono importanti anche le rassicurazioni del Ministro Grilli in merito al fatto che anche nella procedura di progressiva dismissione delle partecipazioni dello Stato, quanto meno non di quelle strategiche, e in previsione di ulteriori iniziative, la Cassa depositi e prestiti rappresenta un punto di riferimento importante. Però, è altrettanto chiaro che dobbiamo lavorare anche per consolidare la convinzione da parte del sistema del credito con una serie di interventi che puntino a rafforzare la patrimonializzazione anche delle aziende. In particolar modo, dovremo lavorare anche per rafforzare gli strumenti di garanzia, cosa che è stata fatta nei mesi scorsi, e per rafforzare gli istituti che determinano comunque un effetto di finanza positiva nei confronti delle garanzie delle aziende e che aiutano quindi gli istituti di credito ad affrontare meglio il rischio. Sono tutti elementi e leve che ci aiutano ad affrontare questa congiuntura e aiutano le aziende in modo molto più efficace, ma è altrettanto evidente - lo dico al sottosegretario Vieri Ceriani - che il rapporto con l'Europa va presidiato anche in modo diverso. È indubbio che quello di stabilità è un vincolo che l'Italia deve onorare, ma allo stesso tempo bisogna limitare l'applicazione di parametri stringenti di rientro del debito. Deve essere chiaro che l'Italia deve svolgere un lavoro più forte in sede europea per ribadire le dinamiche di riduzione del debito, ma allo stesso tempo gli positivi devono essere valorizzati in modo diverso. Questo per poter consentire investimenti adeguati in particolar modo in materia di politica infrastrutturale. Bene deve essere svolta e in tempi rapidi anche l'azione connessa al decreto che dovrà coinvolgere i privati in modo più efficace anche con vantaggi fiscali per la realizzazione comunque delle infrastrutture. Bisogna valorizzare la capacità del Paese di poter sostenere quegli investimenti previsti dall'allegato infrastrutturale alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Allo stesso tempo, noi vediamo la necessità di intervenire in materia fiscale, non solo in una previsione complessiva di revisione delle discipline generali in materia di fisco, e quindi una riforma fiscale in senso ampio, secondo una logica di maggiore equità, ma, allo stesso tempo, bisogna cominciare a ridurre anche l'aspetto della leva fiscale, intervenendo, in particolar modo, nei confronti delle famiglie che sono in difficoltà, delle famiglie monoreddito, di tutti coloro che hanno, con difficoltà, accumulato nel tempo un risparmio connesso alla casa di abitazione che oggi viene toccato direttamente da una tassa straordinaria, ma che deve essere immediatamente arginata e limitata nel tempo e in riferimento alla quale noi proponiamo già formule di sgravio maggiore rispetto a quello che è stato fatto fino ad oggi nei confronti dell'IMU. Sono interventi che noi vorremmo venissero già presi e segnalati all'interno di un prossimo provvedimento sullo sviluppo, annunciato a breve, ma all'interno della legge di stabilità. È possibile, quindi, recuperare delle risorse che ci consentano di poter adottare delle azioni mirate di riduzione della pressione fiscale in alcuni settori e un intervento mirato, in particolar modo, per l'avvio di nuove aziende e nuove imprese e un sostegno alle nuove imprese che vedano i giovani protagonisti di una fase di sviluppo. Insomma, professor Vieri Ceriani, si tratta del tentativo di immaginare dei segnali che possano aiutare il Paese a guardare con maggiore serenità al futuro. È chiaro che la condizione in cui noi oggi ci troviamo necessita di maggiore responsabilità, una responsabilità che noi abbiamo dimostrato, devo dire, con grande puntualità, sostenendo il Governo in tutti i passaggi e approvando i documenti che sono stati a noi proposti, anche le manovre più difficili. Oggi, però, bisogna guardare in modo diverso a quest'ultima fase della legislatura, lavorando su proposte concrete per lo sviluppo, che è possibile adottare, lavorando con proposte concrete per ottenere risorse aggiuntive, oltre al piano di dismissione del debito e del patrimonio per arginare il debito, lavorando sul tema delle concessioni pubbliche, che è possibile, evidentemente, rappresentare in sede europea come opzione per ottenere risorse cosiddette per ridurre il debito in modo consistente, lavorando ulteriormente per ottenere dei margini che vedano la nostra fiscalità alleggerirsi nei confronti di imprese e famiglie. Gli strumenti su cui noi abbiamo grandi aspettative sono due: il decreto sviluppo e la legge di stabilità, che è connessa all'eventuale riforma fiscale che è stata inserita in delega e che lei sta seguendo direttamente. Potrebbero determinare nuove risorse per sostenere lo sviluppo, una nuova prospettiva per le nuove famiglie, la possibilità per le imprese di non essere strangolate nei prossimi mesi, e quindi di potersi rapportare con un sistema economico e finanziario di carattere internazionale che oggi ha determinato una condizione di sostanziale peggioramento della nostra attività in materia di esportazione e della nostra presenza sui mercati mondiali, e quindi un dinamismo italiano che deve guardare con maggiore serenità al futuro. Abbiamo bisogno di una politica che dovrebbe anche avere un'attenzione particolare non solo, ovviamente, verso le piccole e medie imprese, ma anche verso i campioni nazionali. Vi è bisogno anche di sostenere le bandiere, quelle che hanno rappresentato l'Italia nel mondo, che rappresentano la buona impresa italiana e quelle che sono in grado di dare fiducia anche a chi intende ancora oggi investire. È evidente che tutti questi argomenti dovranno essere affrontati nei prossimi due provvedimenti e noi ci aspettiamo, con il nostro voto favorevole alla risoluzione presentata dalla maggioranza a questa Nota di aggiornamento, che il Governo possa dare questi segnali di garanzia non solo, ovviamente, al Popolo della Libertà, ma a tutto il Paese .
. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Dozzo ed altri n. 6-00115, Cambursano n. 6-00116, Borghesi ed altri n. 6-00117 e Gioacchino Alfano, Baretta, Ciccanti e Lo Presti n. 6-00118, che sono in distribuzione . Successivamente l'onorevole Cambursano ha ritirato la sua risoluzione n. 6-00116 e ha sottoscritto la risoluzione Gioacchino Alfano, Baretta, Ciccanti, Lo Presti n. 6-00118. Invito dunque il rappresentante del Governo a dichiarare quale risoluzione intenda accettare, atteso che, a norma dell'articolo 118-, comma 2, del Regolamento, verrà posta in votazione per prima la risoluzione accettata dal Governo che, in caso di approvazione, precluderà le altre.
, . Signor Presidente, se mi consente due parole vorrei esprimere un apprezzamento per il lavoro del relatore e per tutti gli interventi di coloro che hanno preso la parola per presentare le loro opinioni. Credo che, complessivamente, dal dibattito sia emerso un dato comune, direi, cioè la percezione della serietà e della gravità della situazione. Questo aggiornamento del DEF indica, ovviamente, un quadro congiunturale negativo, in questo momento, e indica, però, anche una prospettiva di ripresa in tempi ragionevolmente brevi. Esprimo, ovviamente, la condivisione e l'appoggio del Governo alla risoluzione Gioacchino Alfano, Baretta, Ciccanti, Lo Presti n. 6-00118, che impegna il Governo a proseguire negli indirizzi di politica di bilancio e negli indirizzi programmatici già indicati. Si tratta, in questa fase, di stabilizzare e di riportare a pareggio il bilancio strutturale e questo, in questo aggiornamento del Documento di economia e finanza, è un obiettivo che viene sostanzialmente conseguito già dall'anno prossimo, nel rispetto, quindi, degli impegni assunti già dal precedente Governo e fatti propri da questo. Ovviamente, è una prospettiva di crescita che si delinea a partire dagli anni successivi, 2013-2014, è un obiettivo importante per il Governo quello di favorire la crescita, che persegue sia con misure a livello nazionale sia con un'azione a livello internazionale, in particolare in sede europea. Esprime apprezzamento, quindi...
. Mi scusi, sottosegretario. Vorrei dire ai colleghi alla mia destra che il Governo sta esprimendo un parere su un documento importante, che è il DEF. Capisco l'agitazione al mattino, però, almeno dare la possibilità alla Presidenza e ai colleghi che vogliono di ascoltare il parere sarebbe molto utile. Prego, sottosegretario.
, . La ringrazio, signor Presidente. Esprimiamo, quindi, apprezzamento per la risoluzione Gioacchino Alfano, Baretta, Ciccanti, Lo Presti n. 6-00118 che impegna il Governo a continuare nell'azione che ha già intrapreso e a portare avanti, stavo dicendo, in particolare, degli obiettivi, oltre al pareggio strutturale di bilancio, al netto degli effetti ciclici, che viene, in base al quadro, aggiornato e conseguito già dal 2013, così come già indicato dal precedente Governo e come obiettivo fatto proprio dall'attuale. A questo si affianca, ovviamente, un complesso di azioni forti, tese a stimolare la crescita sia a livello nazionale, sia con un'iniziativa su vari fronti a livello europeo per giungere ad un consenso a livello, appunto, comunitario, a livello di Unione, su un orientamento generale più orientato alla crescita, più orientato alla stabilità dei mercati monetari e finanziari. È di conforto il tono e il contenuto, il tono della discussione e del dibattito e il contenuto delle proposte. Il Governo ringrazia.
. Passiamo ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Gioacchino Alfano, Baretta, Ciccanti, Lo Presti e Cambursano n. 6-00118, accettata dal Governo. Dichiaro aperta la votazione.
. Chiedo di parlare.
. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, il Presidente della Camera ha scritto a tutti i presidenti delle Commissioni, richiamandoli al rispetto dell'articolo 134 del nostro Regolamento, ovvero il Presidente della Camera ha ribadito che l'articolo 134 va letto così com'è scritto. Risulta che diverse Commissioni parlamentari non stanno dando seguito all'interpretazione autentica data dal Presidente della Camera, che - ripeto - è quella di rispondere alla lettera del Regolamento. Vorrei chiedere, signor Presidente, di sollecitare il Presidente Fini, non solo a richiamare i presidenti delle Commissioni parlamentari a rispettare alla lettera l'articolo 134 del Regolamento, ma a vigilare affinché sia fatto quello che il Presidente della Camera ha chiesto. L'articolo 134 riguarda le interrogazioni parlamentari che non ottengono risposta dal Governo e che entro venti giorni, su richiesta del parlamentare, possono essere oggetto di un'interrogazione a risposta in Commissione. Purtroppo - ripeto - il Presidente Fini ha sollecitato i presidenti delle Commissioni, ma molte Commissioni non si sono ancora adeguate a quanto avrebbero dovuto fare dall'inizio, cioè rispettare la lettera del Regolamento.
. La ringrazio onorevole Maurizio Turco, perché lei ha fatto bene a richiamare non solo la questione, perché l'articolo 134 si legge esattamente com'è scritto, ma anche il fatto che il Presidente della Camera è intervenuto, proprio chiedendo a tutti i presidenti di Commissione di rispettare l'articolo 134. Pertanto, solleciteremo, ulteriormente, come mi suggeriscono gli uffici, nell'interpretazione che si è consolidata e che il Presidente della Camera ha ribadito nella lettera inviata ai presidenti di Commissione. Sarà compito della Presidenza sollecitare nella direzione da lei richiesta, già da adesso, rispetto ai presidenti di Commissione che sono qui presenti in Aula.
. Chiedo di parlare.
. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, la scorsa settimana sono intervenuto in merito ad una delle tante assurde vicende lavorative che ormai da tempo affliggono il nostro Paese: mi riferisco alla FNAC Italia. Come già ricordato nel mio precedente intervento, la multinazionale francese nel nostro Paese occupa circa 600 dipendenti, distribuiti nei negozi di Torino, Napoli, Roma, Firenze, Milano, Verona e Genova. Il 13 gennaio scorso l'azienda, con uno stringato comunicato - per FNAC Italia è stata spesa una riga soltanto - comunicava le proprie intenzioni: in Italia, dove non sussistono più le condizioni per un'attività in proprio, la FNAC vaglierà tutte le possibili opzioni e prenderà una decisione entro l'anno. In questi nove mesi poi solo il silenzio, un assordante silenzio e l'oblio per quei lavoratori che in un momento come questo, legittimamente, temono per il loro futuro. Ieri abbiamo depositato un'interrogazione, insieme ad alcuni colleghi, rivolta al Ministro delle attività produttive, sollecitando l'apertura di un tavolo istituzionale che possa sbloccare questo silenzio e soprattutto dare risposte a chi pone una sola domanda: il lavoro .
. Chiedo di parlare.
. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, io vorrei sottoporre alla sua attenzione e all'attenzione del Governo e dell'Aula una vicenda che si sta consumando in questi giorni nuovamente in Val di Susa, presso il cantiere TAV di Chiomonte. Come è noto, l'estate è stata un'estate particolarmente calda e purtroppo violenta: gruppi di quelli che io definisco teppisti hanno passato i mesi estivi a bivaccare in un campeggio abusivo, utilizzato come base per attaccare in maniera continua il cantiere e le forze dell'ordine che lo difendono. Il cantiere si è chiuso. Oggi quel che resta del movimento no-TAV - mi permetto di dubitare ormai dell'appartenenza di questi pochi soggetti al movimento stesso - ha messo in campo una nuova strategia: la strategia di intimidire i lavoratori che si recano tutte le mattine al cantiere. Questo avviene attraverso uno strumento ormai abituale purtroppo in Val di Susa: è stata eretta una baracca abusiva all'ingresso dell'unica strada pubblica dell'Avanà, detta strada dell'Avanà, presidiata mediamente da quattro o cinque persone che, al transitare degli operai, delle maestranze, degli ingegneri, minacciano e insultano gli stessi. La polizia - che, ci tengo a sottolinearlo, sta svolgendo ormai da un anno e mezzo un lavoro serio, equilibrato, alla ricerca non dello scontro, ma del presidio democratico di un'opera decisa a tutti i livelli, dal Parlamento italiano al Parlamento europeo - ha suggerito agli operai ed agli ingegneri di cambiare strada. Peccato che tutto questo significhi 70 chilometri in più al giorno, significa costi aggiuntivi per il transito sull'autostrada e significa un disagio reale e inaccettabile in un Paese democratico. Per me è l'ennesima denuncia di quello che avviene in quel pezzo di territorio, un pezzo di territorio che per alcuni continua ad essere una libera repubblica fuori dallo Stato italiano. L'Europa ha abbattuto le barriere, la libera circolazione delle persone è uno degli elementi fondativi dell'Unione europea. Purtroppo a Chiomonte, in provincia di Torino, territorio italiano, ci sono alcuni disperati che ritengono di poter impedire l'applicazione della legge. Chiedo quindi al Ministro Cancellieri - signor Presidente, farò oggi stesso un'interrogazione sul tema - di mantenere l'impegno che si era assunta alcune settimane fa. Le chiedemmo di andare a visitare il cantiere di Chiomonte, di portare la parola dello Stato direttamente nel cantiere, a sostegno delle forze dell'ordine e a sostegno di chi sta lavorando in maniera democratica e legale presso quel cantiere. Non dubito che il Ministro intenda mantenere l'impegno, ma a questo punto le chiedo di farlo in fretta. C'è un pezzo di territorio che è fuori dalla giurisdizione italiana. Ci sono operai che lavorano e che tutte le mattine sono costretti a fare un giro dell'oca per poter raggiungere il loro posto di lavoro. Questo non è un modo democratico in uno Stato democratico. Credo che il diritto di manifestare sia un diritto che vada sempre riconosciuto e difeso. Io stesso, che ho un'opinione diversa dal movimento no-TAV mi sono sempre battuto per difendere il loro diritto ma, per chi usa violenza, intimidazioni e strumenti illegali non esiste la possibilità di tolleranza: esiste la riaffermazione del diritto dello Stato ad essere presente
. Chiedo di parlare.
. Ne ha facoltà.
. Signor Presidente, intervengo brevemente, per ricordare che il 7 agosto scorso, nell'ambito della provvedimento sulla è stato accolto dal Governo un ordine del giorno che riguarda i dirigenti penitenziari e tutto il personale amministrativo, quello civile, educatori e psicologi, nonché il Corpo della polizia penitenziaria, affinché siano esclusi dai tagli che sono previsti dal provvedimento. Chiedo di sapere a che punto si trovi l'attuazione di questo ordine del giorno, anche perché credo che tutti conosciamo la situazione drammatica delle carceri. Tutti sappiamo che ci sono istituti penitenziari che, addirittura, sono privi di direttore, così come gli uffici dell'esecuzione penale non hanno dirigenza; la carenza degli agenti di polizia penitenziaria ammonta a ben 7 mila unità, per non parlare di tutto il resto del personale, educatori, psicologi e personale amministrativo. Ho visto che, in data 25 settembre 2012, il Servizio per il controllo parlamentare ha inviato una lettera al capo di gabinetto del Ministero della giustizia per chiedere a che punto si trovi l'attuazione di questo ordine del giorno. Anch'io mi permetto di sollecitare questa attuazione, vista l'attenzione e il dramma che si sta vivendo nelle carceri italiane.
. Grazie, onorevole Bernardini, la Presidenza si attiverà nella direzione da lei richiesta. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 12.
. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
. L'onorevole Sardelli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01666, concernente iniziative per favorire una proficua gestione degli enti previdenziali privati e privatizzati .
. Signor Presidente, l'interpellanza nasce da una riflessione sulla condizione in cui operano le casse previdenziali, che, a seguito del decreto legislativo n. 509 del 1994, sono andate a suo tempo incontro ad una privatizzazione e, quindi, come tali, non concorrono alla formazione del bilancio dello Stato. A queste casse previdenziali, negli anni, prima con la legge finanziaria per il 2007 e poi con il decreto-legge n. 201 del 2011, sono state richieste condizioni sempre più stringenti di sostenibilità, con una sostenibilità richiesta per un arco temporale addirittura di cinquanta anni. Tuttavia, a tale richiesta di sostenibilità delle casse stesse, si è accompagnata una serie di vincoli e obblighi gestionali che limitano la possibilità per le casse di una proficua gestione delle stesse. Pertanto, noi chiediamo innanzitutto di riflettere su questa contraddizione assoluta tra i vincoli sempre più stretti alla gestione delle casse e la richiesta di sostenibilità a cinquanta anni delle casse stesse, che non avviene per esempio per l'INPS o per la previdenza pubblica. Inoltre, invitiamo anche il Governo a riflettere su questa determinazione, presente nel decreto sulla che obbliga le casse previdenziali a lasciare risparmiare e a versare nelle casse dello Stato una parte dei risparmi stessi. Ora, noi ricordiamo al Governo che le casse sono al di fuori del bilancio dello Stato, non possono rientrare nella e, quindi, non devono far fronte a questa richiesta. Preghiamo il Governo di specificare e di chiarire se le casse previdenziali, che sono un ottimo esempio di gestione privata della previdenza, debbano continuare ad essere tali, oppure debbano entrare nel calderone della previdenza pubblica, dove, purtroppo, la gestione non trova ottimizzazione e riscontro rispetto all'investimento delle risorse stesse.
. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Cecilia Guerra, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, l'onorevole Sardelli, con l'atto parlamentare che ha illustrato, richiama l'attenzione sui vincoli e sugli obblighi gestionali cui sono stati sottoposti gli enti previdenziali privati e privatizzati, a seguito dell'emanazione del decreto-legge n. 95 del 2012. Al riguardo, è opportuno precisare, in via preliminare, che la questione sollevata dall'interpellante investe profili di competenza dell'amministrazione che rappresento, nonché, in misura prevalente, profili che riguardano, invece, il Ministero dell'economia e delle finanze. Per quanto riguarda i profili di competenza dell'amministrazione che io rappresento, preciso che l'applicazione agli enti previdenziali privati e privatizzati delle misure richiamate dall'interpellante costituisce diretta conseguenza del disposto di cui all'articolo 1, commi 2 e 3, della legge n. 196 del 2009. Questa disposizione che ho appena richiamato stabilisce, infatti, che - ai fini dell'individuazione dei destinatari delle disposizioni in materia di finanza pubblica - sono da intendersi amministrazioni pubbliche gli enti ed i soggetti indicati, a decorrere dall'anno 2012, nell'elenco annuale stilato dall'ISTAT. Come è noto, tale elenco ricomprende attualmente anche gli enti previdenziali privati e privatizzati. Quindi, il riferimento non è al bilancio dello Stato ma all'insieme delle amministrazioni pubbliche. Peraltro, occorre considerare che allorquando il legislatore abbia inteso escludere i predetti enti da specifiche misure di contenimento, lo ha fatto in modo esplicito, ad esempio questo è avvenuto nel caso dell'articolo 8, comma 15-, del decreto-legge n. 78 del 2010. In ordine all'obbligatoria adozione di misure idonee a garantire l'equilibrio del saldo previdenziale nel più ampio arco temporale di cinquant'anni, ai sensi dell'articolo 24, comma 24, del decreto-legge n. 201 del 2011, occorre osservare che tale disposizione, più che limitare l'autonomia attribuita agli enti, è essenzialmente volta a garantire il puntuale assolvimento della primaria e costituzionalmente protetta funzione dagli stessi esercitata, consistente nell'erogazione delle pensioni, di cui il mantenimento del richiamato equilibrio finanziario costituisce un presupposto assolutamente necessario. Aggiungo inoltre che, fermo restando l'obiettivo della tenuta del saldo previdenziale nel lungo periodo, gli enti previdenziali possono operare le opportune valutazioni discrezionali in ordine alla scelta dei provvedimenti da adottare, avuto riguardo ad un ventaglio di possibili e diverse soluzioni In materia di investimenti, occorre considerare che l'autonomia degli enti previdenziali non può considerarsi assoluta, in quanto le forme di vigilanza hanno assunto connotazioni più stringenti a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 14 del decreto-legge n. 98 del 2011 che ha attribuito alla COVIP il controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio di tali enti. Pertanto, alla luce di quanto esposto e in considerazione del necessario contributo che le casse in questione sono chiamate ad offrire al fine del conseguimento dei complessivi equilibri di bilancio, si ritiene che il quadro normativo dinanzi descritto si ponga in un rapporto di coerenza con il principio di autonomia degli enti previdenziali privati, sancito dal decreto legislativo 509 del 1994 e dal decreto legislativo n. 103 del 1996. Quanto appena esposto assorbe in senso lato le questioni richiamate nell'ambito del secondo e del terzo quesito, questioni su cui però la competenza è del Ministero dell'economia e delle finanze e sui quali il MEF non ha fatto pervenire elementi di risposta. In particolare per quanto riguarda gli aspetti connessi alle eventuali stime sulle minori entrate, uno dei punti richiamati dall'interpellanza, si tratta di una disposizione finalizzata alla riduzione degli oneri per le pubbliche amministrazioni e di contrazione della spesa pubblica che, come dicevo, sono appunto di pertinenza primaria del Ministero dell'economia e delle finanze, a cui abbiamo richiesto i dati ma che non ce li ha forniti. Per quanto riguarda le disposizioni in materia di investimenti che non prevedono espressi vincoli sulla scelta del tipo di strumento di ricorso al mercato, quanto piuttosto indicazioni di metodo ispirato ad un principio di prudenza delle scelte medesime, si sottolinea che le stesse sono funzionali ad assicurare la trasparenza delle procedure e l'adeguatezza della funzione di monitoraggio da parte del amministrazioni vigilanti, al fine ultimo di garantire il rispetto della sostenibilità di lungo periodo, come si è detto, a tutela delle prestazioni future degli iscritti.
. L'onorevole Sardelli ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la risposta articolata, attenta e puntuale. Come il sottosegretario però faceva notare c'è una parte che manca che è quella del Ministero dell'economia e delle finanze e comunque il Governo risponde nella sua interezza. Questa interpellanza urgente fa seguito ad una serie di interrogazioni che abbiamo fatto e di attenzioni che abbiamo per questo mondo e che continueremo ad avere nei prossimi mesi. Ringrazio comunque il sottosegretario e il Governo per l'attenzione dovuta, ponendo il punto fondamentale, però, che rimanendo i suddetti enti previdenziali al di fuori del bilancio dello Stato non possono, a nostro avviso, rientrare nella .
. L'onorevole Polledri ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01684, concernente iniziative per salvaguardare la specificità dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado .
. Signor Presidente, alcuni colleghi, principalmente della Lega Nord, ma anche del PdL e dell'UdC, hanno sottoscritto questa interpellanza urgente, per sapere ufficialmente qual è la posizione del Ministro interpellato circa alcune affermazioni che sono state fatte alcuni giorni or sono, che devo dire hanno suscitato una legittima perplessità, sia in ordine temporale che in ordine di contenuto. In ordine temporale perché - ricordo che l'affermazione verteva attorno alla necessità di modificare in qualche modo l'insegnamento dell'ora di religione - siamo alla fine della legislatura e quindi mi sembra questo un argomento non pregnante e centrale in quello che può essere una necessità. In secondo luogo, vi sono perplessità dal punto di vista del contenuto perché è caratteristica dei tecnici parlare dopo aver approfondito l'argomento. Per questo, volevamo da politici proporre un utile approfondimento, ricordando che vi sono dei «piccoli» documenti che sono stati sottoscritti. Un «piccolo» documento è stato sottoscritto nel 1985, si chiama Concordato, e venne proposto da un Primo Ministro sicuramente di ispirazione socialista, un certo Craxi. L'articolo 9 della legge n. 121 del 1985 propone il riconoscimento da parte della Repubblica del valore della cultura religiosa e, altresì, e cito, che «i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano», insieme all'impegno a continuare ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola - che poi andremo a declinare - l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie. Si fece poi un protocollo addizionale, e al punto 5 riferito all'articolo 9 citato si proponeva come l'insegnamento della religione cattolica sia impartito nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni - e quindi questo è salvaguardato dall'intesa -, in conformità alla dottrina della Chiesa, da insegnanti riconosciuti idonei. Un altro «piccolo» documento su cui valeva la pena magari informarsi era il decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1985, n. 751, ratificato anche con la Conferenza episcopale italiana, in cui, emergendo l'impegno di dare un profilo diverso dell'insegnante di religione cattolica, lo Stato dava spazi anche per lo studio delle altre religioni e più ampiamente del fattore religioso, garantendo il diritto di scegliere, quindi, se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento di religione cattolica insieme al carattere professionale dell'insegnamento, il cui contenuto consiste nel fornire agli studenti la conoscenza del cattolicesimo. Sempre detto decreto, probabilmente trascurato nelle dichiarazioni forse affrettate, ma riprese anche dopo, ha determinato i contenuti per le materie previste dal punto 5. Quindi, i programmi che sono collocati nel quadro delle finalità della scuola sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica - e non tramite interviste del Ministro tecnico di turno - su proposta del Ministro interpellato, ma vi è un altro piccolo particolare, cioè che il decreto è adottato previa intesa con la Conferenza episcopale italiana, particolare che è stato trascurato. Non voglio entrare nel merito della storia di questo Paese che in qualche modo ha visto intrecciarsi un proficuo grado di civiltà con un altrettanto proficuo radicarsi della religione cattolica, ricordo però le carte che magari andavano lette, e ai sensi del punto 3 dell'intesa i testi per l'insegnamento della religione cattolica sono equiparati a tutti gli altri testi scolastici, anche per la modalità di adozione, che avviene su proposta dell'insegnante di religione ma su delibera dell'organo scolastico competente, che in qualche modo lo contempla nel progetto educativo. Inoltre, devono essere provvisti del nulla osta, non del Ministro, ma della Conferenza episcopale. Sempre nelle suddette carte, gli obiettivi rivestono un'alta valenza formativa ed educativa in una prospettiva interdisciplinare. Quindi, gli interpellanti chiedono se in qualche modo il Ministro non ritenga opportuno garantire la specificità dell'insegnamento della religione cattolica nel pieno rispetto della normativa vigente che ha recepito le indicazioni della Conferenza episcopale italiana in materia di programmazione dell'insegnamento, oppure se magari il Governo non intenda porre in essere una revisione delle disposizioni della legge n. 121 del 1985, quindi se voglia proporre un nuovo Concordato. Ricordiamo che, fino ad ora, ne sono stati fatti due in momenti storici importanti e che ci è voluto forse qualche anno. Chiediamo se magari, invece, questo Governo di tecnici in pochi mesi intenda mettere mano a un provvedimento così importante.
. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, si risponde su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri all'atto di sindacato ispettivo in discussione, con il quale gli onorevoli interpellanti richiedono che sia garantita la specificità dell'insegnamento della religione cattolica secondo quanto previsto dalla normativa vigente. I quesiti posti traggono spunto dalle dichiarazioni rese dal signor Ministro sulla necessità di adeguare alcuni insegnamenti alla nuova realtà multietnica che si va affermando nel nostro Paese in questi ultimi anni. In merito, sono già state fornite ampie precisazioni agli organi di stampa sull'esatto significato del messaggio che si intendeva fornire con le dichiarazioni in questione ed è stato oltremodo chiarito, senza che possa sorgere alcuna incomprensione in merito, che non sussiste alcuna intenzione di modificare le norme e i patti oggi in vigore sull'insegnamento della religione cattolica. Come è noto, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane è regolato attualmente dall'Accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984 e recepito nell'ordinamento italiano con la legge 15 marzo 1985, n. 121. Esso istituisce un insegnamento che intende collocarsi «nel quadro delle finalità della scuola» con motivazioni di carattere culturale (poiché viene riconosciuto «il valore della cultura religiosa») e di carattere storico (la constatazione che «i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano»). Poiché la religione, pur nella sua tradizione culturale e scolastica, può costituire per sua natura una interrogazione della coscienza personale, l'Accordo del 1984 ha «garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento», fermo restando che la scelta non può farsi impropriamente corrispondere ad una dichiarazione di appartenenza. Tale impianto peraltro sembra aver retto egregiamente alla prova del tempo, visto che dopo oltre un quarto di secolo una percentuale elevatissima di alunni (mediamente circa il 90 per cento) continua ad avvalersene. Nello stesso periodo di tempo è però certamente mutata la composizione della popolazione scolastica, che all'epoca della revisione del Concordato vedeva la presenza nelle scuole italiane di uno 0,06 per cento di alunni stranieri (secondo i dati ISTAT riferiti all'anno scolastico 1983-1984) e che oggi registra la presenza di oltre 700 mila alunni con cittadinanza non italiana (dati 2010-2011, ma sono ancora di più), pari al 7,9 per cento del totale degli alunni frequentanti. La pluralità delle culture è, dunque, una realtà con la quale la scuola italiana ha imparato a fare i conti e ad essa si deve supporre che corrisponda anche una pluralità di appartenenze religiose. Ma l'esperienza insegna che la scelta di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica è trasversale alle personali convinzioni religiose di alunni e di famiglie. D'altra parte, la varia appartenenza religiosa degli alunni non può incidere formalmente sulla vita della scuola, che non si organizza in base ad essa per via della sua istituzionale laicità, che, come ha insegnato a suo tempo la Corte costituzionale, - cito - «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». La sentenza n. 203 del 1989 dice questo. Alla luce di tale principio è quindi possibile affermare che l'insegnamento della religione cattolica, secondo le modalità di organizzazione definite con il citato accordo di revisione del Concordato, come ha ribadito la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 13 del 1991, - cito - «non è causa di discriminazione e non contrasta, essendone anzi una manifestazione, col principio supremo di laicità dello Stato». Ciò premesso, va precisato che la natura dell'insegnamento della religione cattolica non è una forma di proselitismo o di indottrinamento, come ci insegnano le pratiche di migliaia di insegnanti di religione cattolica nelle scuole autonome della Repubblica, bensì un confronto con i diversi aspetti della fede cattolica e con gli effetti che essa ha avuto sulla storia e sulla cultura italiane. Sono prova di questa identità le indicazioni didattiche emanate, d'intesa con la Conferenza episcopale italiana, con decreto del Presidente della Repubblica dell'11 febbraio 2010 per le scuole dell'infanzia e per il primo ciclo di istruzione e quelle sottoscritte lo scorso 28 giugno dallo stesso signor Ministro e dal presidente della Conferenza episcopale italiana per il secondo ciclo di istruzione e di formazione, indicazioni per le quali si attende l'imminente pubblicazione in del relativo decreto del Presidente della Repubblica. Leggendo questi testi è possibile rilevare, accanto ai richiami ai principi fondamentali della religione cattolica, l'ampio spazio che nella pratica didattica quotidiana si chiede di attribuire al contesto multiculturale e multireligioso, in cui gli alunni che frequentano le nostre scuole e che si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, si trovano a vivere. Se si confrontano queste ultime indicazioni didattiche con i programmi vigenti appena venticinque anni fa, è possibile cogliere la significativa evoluzione registratasi nella direzione di un sempre più aperto confronto con la realtà del pluralismo religioso. Sono questi i contenuti che la Conferenza episcopale italiana, unica competente in materia, ha ritenuto di dover indicare agli insegnanti di religione cattolica. L'amministrazione scolastica ha il dovere di prenderne atto, ma intende anche esprimere apprezzamento per la sensibilità, la profondità e l'apertura offerta dalle nuove indicazioni, di cui mi sono personalmente occupato con specifica delega, che si rivelano in sintonia con gli auspici espressi dalla Conferenza episcopale per un adeguamento della prassi didattica, dell'insegnamento della religione cattolica come di molte altre materie di studio, alla mutata realtà umana e culturale della nostra scuola. Le dichiarazioni del signor Ministro vanno pertanto lette come una riflessione su come la nostra società sta cambiando e in che modo la scuola possa recepire e trasmettere un'idea di questi cambiamenti alle generazioni degli italiani che si stanno formando oggi, per i quali la conoscenza di questo processo evolutivo e la comprensione delle trasformazioni dallo stesso prodotte, è un aspetto essenziale del bagaglio culturale che assicura una cultura civica e costituzionale pronta per la cittadinanza. Una preoccupazione, quella espressa dal signor Ministro, che nasce dalla convinzione che il nostro Paese abbia profondo bisogno di una scuola al passo con i tempi che faccia crescere e maturare una coscienza civile rinnovata e una cittadinanza responsabile.
. L'onorevole Goisis, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, è evidente che saremmo soddisfatti se il confronto e l'interlocuzione fosse con il sottosegretario. Devo dire che la sua esposizione collima con le nostre posizioni. Anche noi siamo molto attenti in quanto persone di scuola, persone che hanno famiglia. Siamo molto attenti al discorso della religione, non vista come indottrinamento o come proselitismo ma, invece, come conoscenza, come acquisizione di consapevolezza di tutto un percorso storico e civile. Quindi, il suo intervento ci trova estremamente d'accordo. Peccato, però, che le affermazioni prodotte e fatte apertamente, ad una festa pubblica di SEL, siano state completamente diverse. Siccome tutti noi conosciamo bene l'italiano, siamo stati in grado di capire e di decifrare perfettamente quelle che sono state, appunto, le parole del Ministro. Pertanto, inviterei il Ministro, di fronte a cose relative alla scuola, forse a farsi coadiuvare, appunto, dai suoi sottosegretari - e in modo particolare da lei, che vedo sempre così molto attento nelle questioni della scuola e dell'istruzione - e probabilmente certe, in un certo senso, non si sarebbero né sentite né avvertite. D'altra parte, siccome siamo - sia lei sia io e anche qui i nostri colleghi -, come dicevo, persone di scuola, che hanno contatto con la scuola e con l'istruzione, anche per i loro interventi a livello di consiglio comunale, come assessori alla cultura e all'istruzione, è chiaro ed evidente che tutta questa posizione per noi è molto importante. Sappiamo molto chiaramente quanto l'insegnamento della religione sia per noi un fattore determinante. Ma determinante perché? Pensiamo a quando si dice che - come ha ricordato adesso anche lei - la scuola deve essere al passo con i tempi. Certo che deve essere al passo con i tempi! Ma la scuola non può, però, rinunciare a quella che è la sua precipua finalità, ossia insegnare agli studenti, che siano italiani o stranieri che sono venuti qui nel nostro Paese, quella che è stata la nostra storia, la nostra cultura, le nostre tradizioni che, appunto, implicano appositamente anche tutti i valori della religione cristiano-cattolica. D'altra parte, non vorremmo che nel tentativo di acquisire all'istruzione questi bambini e questi ragazzi stranieri che vengono nel nostro Paese, vi rinunciassimo. Questo è il rischio e il pericolo che stiamo vivendo e che stiamo vedendo! Che rinunciassimo a quelle che sono le nostre caratteristiche. Perché abbiamo questo timore? Perché lo abbiamo già visto in Europa. In Europa i partiti si sono vergognati di inserire le radici cristiane, il valore e il riconoscimento delle radici cristiane, all'interno della Costituzione europea. Pertanto, la nostra non è un'azione da talebani, un timore da talebani. Il nostro è un timore vero e reale, perché lo vediamo e ci scontriamo con questo pericolo ogni giorno, nelle nostre scuole e nelle nostre piazze. Ma, addirittura basti solo pensare a che cosa avviene negli altri Paesi, dai quali poi i ragazzi stranieri vengono da noi. Negli altri Paesi, purtroppo, assistiamo a morti e a uccisioni. In questi Paesi si vuole eliminare la religione cristiano-cattolica. Allora, se anche nel nostro Paese non stiamo più che attenti a questo valore, che è quello della religione cristiano-cattolica, è evidente che, così come vengono meno determinati valori, varie famiglie di varia entità e varie istituzioni, così piano piano veniamo a rinunciare anche a quella che è la nostra storia e la nostra cultura. Ma, vorrei aggiungere anche un'altra cosa, che le stavo dicendo prima. Appunto come persone di scuola, sappiamo benissimo quello che aveva detto il Ministro, ossia di insegnare la storia della altre religioni. Ma, ogni insegnante di letteratura e di storia fa questo, perché quando parla di storia, quando parla dell'islamismo e dell'ebraismo, chiaramente parla delle altre religioni. Quindi, non vi è assolutamente bisogno di eliminare o, comunque, di ridurre l'ora di religione all'ora di storia delle religioni, perché qualunque insegnante, che sia fedele al proprio ruolo e alla propria missione (naturalmente, se è retto e corretto), questa cosa la fa. Io l'ho sempre fatta, altri insegnanti e altri miei colleghi l'hanno sempre fatta! Quindi, questa «uscita» del Ministro è stata «un'uscita» che non abbiamo assolutamente accolto positivamente e l'abbiamo voluta stigmatizzare proprio perché avvertiamo questo rischio e questo pericolo. È vero che negli anni immediatamente successivi al 1985, quando c'è stata la revisione del Concordato, i ragazzi stranieri erano lo 0, 6 ed oggi sono 700 mila, ma non è per il fatto che sono tanti che adesso dobbiamo rinunciare alla nostra storia, alle nostre tradizioni, alla nostra cultura e alla nostra religione, che vogliamo difendere in tutti i modi, prima di tutto nelle scuole, durante l'ora di religione, nella quale andremo a dire che, se vogliono venire da noi in Italia e frequentare l'ora di religione e l'ora di storia, devono anche sapere che noi non accetteremo mai che nei loro Paesi i cristiani vengano ammazzati e torturati. Io mi meraviglio che un Ministro ed un sottosegretario del mondo dell'istruzione non avvertano come noi questo pericolo e questa difficoltà. Ecco, perché la risposta che lei ci ha dato ci trova d'accordo per quanto riguarda la relazione che ci ha offerto, ma non ci trova assolutamente d'accordo con le parole del Ministro perché uno di voi due in qualcosa ha sbagliato. O ha sbagliato lei, sottosegretario, nel proporci questa relazione, ma non credo perché siamo d'accordo con quello che ci ha detto, o, evidentemente, ha sbagliato qualcun altro. Quindi, noi insistiamo su questa posizione e vogliamo dire che saremo sempre per la difesa della nostra cultura e della nostra tradizione e non permetteremo mai che diventi quasi cosa comune - purtroppo lo abbiamo visto in Egitto, in Nigeria, in Pakistan, in India e in tanti altri Paesi - che i cristiani, solo perché sono cristiani, vengano uccisi, torturati e ammazzati, così come abbiamo visto in questi mesi. Quindi, lo ripeto, la sua relazione ci trova d'accordo, ma non ci trova d'accordo assolutamente la posizione del Ministro. La prego, quindi, di farsi parte attiva e di rappresentare al Ministro questa nostra difficoltà, questa nostra paura e questo nostro timore .
. L'onorevole Raisi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01674, concernente elementi in relazione alla convocazione nel settembre 1981, da parte dell'ufficio istruzione del tribunale di Bologna, di Saleh Abu Anzeh, esponente in Italia del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, nell'ambito del procedimento relativo all'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980 .
. Signor Presidente, rappresentanti del Governo e colleghi. È un'interpellanza molto delicata quella che mi appresto a svolgere, un'interpellanza che riguarda un fatto molto importante, scoperto trentadue anni dopo la strage di Bologna. La voglio, in parte, illustrare perché è importante per capire di cosa stiamo parlando. La Commissione parlamentare Mitrokhin, attraverso una relazione che ha svolto dopo anni di ricerche e di documentazione - che, in parte, abbiamo trovato in qualche cantina delle nostre questure, in particolare quella di Bologna - e attraverso soprattutto a documenti che ci sono pervenuti da procure francesi, tedesche e ungheresi, grazie alla caduta del muro di Berlino, ha accertato che, con grande probabilità, l'attentato della strage di Bologna - come peraltro ha avuto modo di dire più volte l'emerito Presidente Cossiga - è stato realizzato nel contesto di un trasporto di bomba/esplosivo di origine palestinese, dovuto probabilmente, dice la relazione - io ho fatto parte di quella Commissione e la condivido - ad un atto ritorsivo che avvenne nel nostro Paese in quanto, nel novembre del 1979, fu arrestato Saleh Abu Anzeh, che era rappresentante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina in Italia, in seguito al ritrovamento dei famosi missili Strela ad Ortona, che venivano trasportati da alcuni autonomi romani per conto del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Un atto che ruppe il lodo Moro, quel lodo che bene è stato illustrato nella relazione dalla Commissione parlamentare di inchiesta concernente il «dossier Mitrokhin», che in qualche modo era una garanzia per l'Italia di non subire attentati da parte delle formazioni terroristiche palestinesi, a patto che si consentisse loro il trasporto di armi ed esplosivi che poi venivano in qualche modo distribuiti ai vari raggruppamenti terroristici in Europa loro legati, e servivano agli stessi palestinesi per compiere attentati nel nostro continente. Quel patto venne rotto con quel sequestro, a cui si aggiunse l'arresto di Abu Anzeh Saleh, il quale venne condannato, ci furono delle minacce da parte delle autorità palestinesi affinché venisse liberato Abu Anzeh Saleh e venissero restituite le armi sequestrate - l'ultimo fu recepito e scritto dal prefetto De Francisci che ebbe, a trenta giorni dalla strage di Bologna, notifica di questo - le nostre autorità non ritennero di dover sottostare al ricatto e quindi Abu Anzeh Saleh fu condannato, rimase in galera e scoppiò la bomba a Bologna. Poi Abu Anzeh Saleh fu liberato, a differenza degli altri, in modo strano, senza scontare la pena, e gli furono dati gli arresti domiciliari. Negli atti del processo di Bologna, l'unico processo che ha portato ad una sentenza definitiva per strage, della questione palestinese non risultava nessun documento, tranne il tentativo di quello che fu il primo depistaggio, operato dalle autorità palestinesi, non a caso in collaborazione con i nostri rappresentanti del SISMI, in particolar modo con il colonnello Giovannone, il nostro referente in Libano e garante del famoso lodo Moro, quando la giornalista Rita Porena scrisse un articolo sul intervistando Abu Ayad, uno dei massimi esponenti del mondo palestinese, il quale diceva che avevano arrestato alcuni terroristi tedeschi che si erano addestrati nei campi falangisti libanesi, e lì avevano incontrato dei neofascisti italiani che avevano ammesso che la bomba di Bologna era stata da loro collocata. Poi dalle indagini successive risultò che dagli atti dell'istruttoria di Bologna - anche se molto nascosti, ho fatto molto fatica a ritrovarli - che quei tedeschi, una volta interrogati dalle autorità tedesche, era il famoso gruppo Hoffman, risultavano essere in realtà militanti di un gruppo neonazista che si era addestrato nei campi palestinesi. Quello fu il primo depistaggio, opera di una giornalista legata sentimentalmente ad un dirigente dei palestinesi, e pagata dai nostri servizi del SISMI. Anche questo lo sapemmo poi nel 1986 quando uno dei massimi dirigenti dei servizi segreti italiani fu interrogato dal giudice Mastellone, che per primo in un atto ufficiale dichiarò l'esistenza del lodo Moro e dichiarò appunto questo primo tentativo di depistaggio. Ma negli atti dell'istruttoria di Bologna non c'era nulla che in qualche modo ci potesse ricondurre alla pista palestinese, non c'era nulla fintanto che Giampaolo Pellizzarro - che è uno dei consulenti che hanno portato alla realizzazione della relazione della Commissione parlamentare di inchiesta concernente il «dossier Mitrokhin», concernente la strage di Bologna - scopre che tra le carte delle indagini sull'attentato di Bologna, c'erano quattro importanti documenti agli atti dell'istruttoria della strage del 2 agosto 1980, nel quale il primo, importantissimo, il giudice istruttore aggiunto, Aldo Gentile - che fu allontanato per un suo comportamento sicuramente non trasparente durante l'indagine di Bologna, sicuramente fu uno di quelli che coprì la pista palestinese - aveva mandato ai giudici de L'Aquila una richiesta - il 10 settembre 1981, cioè 1 anno e qualche mese dopo la strage di Bologna - in cui si chiedeva di consentire ad Abu Anzeh Saleh che, dicevo, era stato nel frattempo scarcerato ma aveva l'obbligo della firma presso la questura di Bologna, di andare a Roma per una settimana o dieci giorni - questo è l'aspetto inquietante - per attività concernenti le indagini sulla strage di Bologna. Saleh Abu Anzeh per la prima volta entra in un documento ufficiale dell'istruttoria della strage di Bologna, un documento seppellito che abbiamo ritrovato dopo trentadue anni e questo la dice lunga sulla capacità di trasparenza del nostro Paese e sulla voglia di fare anche i conti con la propria storia. Ebbene questo documento è il primo di quattro in cui c'è uno scambio tra Aldo Gentile e i giudici de L'Aquila, che dovevano autorizzare Saleh Abu Anzeh a lasciare Bologna. Gli danno l'autorizzazione nell'ultimo documento, obbligandolo però alla firma presso la questura di Roma. Ora il problema è che in questo documento importantissimo, che è un documento a mio parere che dà la svolta ai fatti anche per quanto riguarda - spero - le indagini che sono in corso - attualmente sono state aperte - sulla strage di Bologna, in realtà non c'è nulla che ci dica se Saleh Abu Anzeh si sia effettivamente recato a Roma, cosa sia andato a fare, perché questa strana richiesta e cosa c'entrasse Saleh Abu Anzeh con l'inchiesta sulla strage di Bologna. È chiaro che questa interpellanza è molto delicata. L'avevo indirizzata al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia, ma ho saputo che mi risponderà la Presidenza del Consiglio, quindi immagino i servizi segreti. Non me ne voglia il sottosegretario e lo ringrazio innanzitutto per essere qui perché so che a volte fate un lavoro ingrato. Mi aspettavo che di fronte alla delicatezza di questa interpellanza qualcuno si assumesse la responsabilità di venire a rispondere in prima persona, qualcuno della Presidenza del Consiglio ovviamente, perché quando si trattano argomenti così delicati, anche per l'interesse nazionale, è bene avere un'interlocuzione corretta e non solamente un foglio di carta che verrà letto dal sottosegretario che - ripeto - ringrazio per la sua disponibilità. Chiaramente non è a lui che indirizzo questa mia rimostranza, visto che non mi risulta essere sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Detto questo, sono molto curioso di attendere questa risposta e mi riserverò poi in sede di replica di esprimere il mio giudizio, ma è una risposta che potrà essere evidentemente decisiva anche per la famosa pista palestinese, che in questo momento è oggetto di attenzione delle nuove indagini della procura di Bologna. Quindi anche sulla base della risposta e delle informazioni che riceveremo capiremo tanti di quegli interrogativi che sono rimasti sospesi, al di là del fatto che comunque c'è una fotografia abbastanza chiara di chi era presente quel giorno a Bologna, a cominciare dal terrorista Kram, probabilmente con la Fröhlich, sua collega, per arrivare ai collegamenti tra il gruppo Separat, di cui Carlos e la Fröhlich facevano parte. Le stesse dichiarazioni che il terrorista Carlos ha reso confermano la tesi che quel giorno effettivamente il materiale trasportato era loro. Diciamo che siamo già in uno stadio molto avanzato rispetto al risultato del processo che si è concluso con la condanna di tre terroristi neofascisti, ma che ha lasciato tanti interrogativi, a cominciare dal fatto che la stessa condanna non chiarì mai chi mise la bomba e chi fu il mandante. I tre terroristi furono condannati per la loro partecipazione, ma non per essere quelli che hanno fatto esplodere eventualmente la bomba né tanto meno si è mai saputo nulla dei mandanti. Sono passati ormai quindici anni da quel processo, non si è mai più saputo nulla, fu un processo indiziario. Il lavoro svolto dalla commissione Mitrokhin portò nel 2005 all'apertura delle nuove indagini. A tutt'oggi stanno procedendo e ci sono peraltro anche alcune rogatorie internazionali molto importanti che dovrà svolgere il sostituto procuratore Celi, che sta indagando su questo. È evidente che la risposta che oggi lei mi darà sarà importante per capire molte incognite che sono ancora presenti in questa vicenda.
. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, con l'interpellanza in oggetto si chiedono delucidazioni circa la posizione di Saleh Abu Anzeh, esponente in Italia del Fronte popolare della liberazione della Palestina, nell'ambito dell'istruttoria sulla strage della stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980. In particolare, gli onorevoli interpellanti si soffermano su una misteriosa istanza, e precisamente un telex, partito dall'Ufficio istruzione di Bologna e indirizzato alla Corte d'Appello de L'Aquila firmato dal consigliere istruttore aggiunto Aldo Gentile, finalizzato ad autorizzare l'assenza dell'imputato Saleh, sottoposto all'obbligo di dimora presso il comune di Bologna e alla presentazione periodica presso la questura di Bologna. In merito, per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo quanto riferito al riguardo, l'autorità giudiziaria bolognese ha puntualizzato di aver visionato l'imponente incarto processuale relativo al procedimento della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e di aver effettivamente riscontrato la presenza degli atti menzionati nel testo dell'interpellanza: si tratta degli atti rinvenuti alle pagine 34-38 della cartella 2 del 33o faldone, corrispondente al primo dei due volumi afferenti alla pista «D», avente l'intitolazione «Indagini concernenti attività eversiva di cittadini italiani e stranieri in Libano». Così come precisato dalla citata magistratura bolognese - cito - l'esame del fascicolo, e segnatamente dei due volumi di detta pista «D», non è valso, però, a rinvenire altri elementi utili in relazione alle questioni poste dall'interpellanza: in particolare con chi Saleh Abu Anzeh si sarebbe incontrato in Roma, che cosa sarebbe stato discusso ed esaminato in quei giorni e per quale ragione dagli atti del procedimento non risultano gli esiti di quella che viene definita misteriosa missione. Anche la ricerca elettronica effettuata dal Tribunale di Bologna con riguardo al nominativo di Saleh Abu Anzeh non ha portato all'individuazione di ulteriori atti che si riferiscano al predetto. In merito allo specifico quesito, le autorità giudiziarie di Roma e L'Aquila citate nell'atto di sindacato ispettivo nulla hanno riferito circa la posizione di Saleh Abu Anzeh. Sempre in relazione allo specifico quesito, anche l'autorità giudiziaria di Chieti, pur confermando l'esistenza degli atti conosciuti dall'onorevole interpellante, comunica che dai medesimi atti non è dato evincere «con chi si incontrò il giordano una volta a Roma e cosa venne discusso ed esaminato in quei dieci giorni». Il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza ha comunicato che gli organismi informativi non hanno elementi per la risposta allo specifico quesito posto dagli onorevoli interpellanti. Il Ministero dell'interno-Dipartimento di pubblica sicurezza ha comunicato che Saleh Abu Anzeh, nato ad Amman il 15 agosto 1949, è stato autorizzato a recarsi a Roma nel mese di novembre del 1981. Il predetto Dipartimento ha, tuttavia, soggiunto di non disporre di alcun riscontro relativamente alla circostanza che il viaggio a Roma sia avvenuto in relazione al procedimento penale relativo alla strage di Bologna.
. L'onorevole Raisi ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario ancora una volta, ma non so se avete valutato le risposte inquietanti che avete dato. Noi abbiamo agli atti di diverse procure i documenti che ho illustrato nell'interpellanza, dopodiché le nostre autorità giudiziarie, le nostre autorità di pubblica sicurezza e i nostri servizi segreti confermano tutto, ma non hanno un atto in cui spiegano cosa è venuto a fare a Roma Saleh Abu Anzeh. Non è, come dice la polizia, che non si hanno atti che possano provare che sia venuto per la strage di Bologna: lo dice il giudice istruttore Gentile! Almeno si leggessero gli atti! È lui che dice: chiedo questa autorizzazione per l'indagine concernente la strage di Bologna. Tutte le autorità competenti dello Stato italiano non hanno un documento in cui spiegano quella visita anomala - perché la richiesta è chiaramente una cosa anomala - di un terrorista, che viene autorizzato da parte dell'autorità giudiziaria a lasciare la città nella quale aveva l'obbligo e il vincolo di residenza per andare ad avere degli incontri o delle attività concernenti le indagini sulla strage di Bologna. È sparito tutto. Non so se avete capito cosa è successo. Credo che oggi sia una pagina veramente nera per le nostre istituzioni. Mi si dice che nessuna istituzione italiana, che avrebbe dovuto controllare, sapere e far conoscere ai cittadini cosa fosse andato a fare lì Saleh Abu Anzeh - terrorista, condannato per gravi reati, rappresentante del Fplp in Italia, che è stato mandato lì dal giudice istruttore di Bologna per le indagini concernenti la strage di Bologna -, ha un atto che mi dica chi ha incontrato, cosa è andato a fare e per quale motivo è andato! Credo che questo sia un aspetto vergognoso che la dice lunga sulla non volontà da parte di questo Paese di fare chiarezza. Non posso credere - lo dico a voce alta - che i nostri servizi segreti non sappiano nulla di quella visita! Posso pensare che i nostri servizi segreti stiano occultando le carte su quella visita avvenuta a Bologna. Questa è la verità che voglio gridare a voce alta nell'Aula di questo Parlamento! Questa è una vergogna! Certo, non sono soddisfatto della risposta ricevuta, ma continuerò nella ricerca della verità. Voglio sapere dove sono finite quelle carte! Qualcuno deve spiegarlo al Paese. Non è possibile che mi si risponda che tre procure non sanno nulla, che la Polizia di Stato non sappia nulla, che i carabinieri non sappiano nulla, che i nostri servizi segreti non sappiano nulla delle attività concernenti le indagini sul più grave attentato mai avvenuto nella Repubblica italiana! È una vicenda scandalosa! Spero veramente che qualcuno abbia il coraggio di tirare fuori quelle carte perché queste esistono, non posso pensare che un terrorista viene autorizzato a recarsi a Roma e non venga seguito, osservato e che non vi siano delle relazioni che ci dicano chi ha incontrato e perché abbia avuto quegli incontri. È impossibile, a meno che non siamo uno Stato in cui certe attività di sono affidate a dei mentecatti. Visto che mentecatti non erano - anzi, alcuni di loro sono stati anche condannati per aver depistato le indagini sulla strage di Bologna - vuol dire che qualcuno ha nascosto e fatto sparire i documenti. Questa è la realtà che apprendo dopo la lettura della risposta del sottosegretario che, ripeto, non ha alcuna colpa e che vorrei anche ringraziare per essere qui in Aula a rispondermi. Però è un atto molto grave, penso che ne siate tutti consapevoli, anche chi siede ai banchi del Governo. Chiedo scusa della foga, ma sono vent'anni che svolgo questa ricerca, ho dato anche molti anni della mia attività parlamentare per questo e sentire una risposta di questo genere oggi mi fa vergognare di essere un parlamentare della Repubblica italiana.
. L'onorevole Sarubbi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01680, concernente lo stato dei negoziati in corso tra gli Stati membri dell'Unione europea che intendono aderire alla cooperazione rafforzata per l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie .
. Signor Presidente, ringrazio in anticipo il rappresentante del Governo presente qui in Aula a rispondere. Parliamo di un tema che interessa il Parlamento ormai da inizio legislatura, in entrambe le fasi, quella del Governo Berlusconi e ora quella del Governo Monti. Si tratta di un tema che, visto da fuori, può sembrare un dialogo tra buoni contro cattivi: chi è a favore della tassa sulle transazioni finanziarie è un «bonaccione» e chi, invece, è contro è un realista. In realtà le cose non stanno assolutamente così. Mi viene in mente, ad esempio, l'appello di mille economisti di 53 Paesi diversi che venne consegnato al G20 di Washington ad aprile 2011 per l'introduzione di questa tassa. In quel gruppo di economisti vi erano dei nomi importanti come Rodrik, Atkinson, Stiglitz, Sachs e così via. L'anno prima, in Italia, vi era stato anche un movimento di opinione tra vari economisti, in tutto erano 130 - ricordo il professor Becchetti, dell'Università di Tor Vergata insieme agli altri 129 -, che firmò un analogo appello dicendo che si trattava di una tassa conveniente per gli Stati. Dunque non soltanto una tassa buona perché bisognava aprire il cuore, ma una tassa anche conveniente per quattro motivi. Il primo motivo: il sostegno ai conti pubblici, che chiaramente non va disdegnato, soprattutto in un momento come questo. Il secondo motivo: l'equità della finanza. Si dice sempre che la finanza sia alla base di questa crisi. Ebbene, allora, il settore finanziario dia un contributo anche alla copertura dei costi dei piani di salvataggio e dei programmi di stimolo e di rilancio delle economie. Inoltre - mi sento di dirlo - è ora anche di una maggiore parità di trattamento fra la finanza e gli altri settori produttivi, che invece pagano un prezzo ben più pesante in termini fiscali. Terzo punto: perché conviene una tassa del genere? Perché permette di avviare delle politiche di medio e lungo periodo, perché sostanzialmente è un gettito prevedibile e, quindi, permette poi agli Stati di poter mettere qualche soldino sia su programmi di aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri sia su programmi di contrasto ai cambiamenti climatici sia su altre iniziative che poi magari vedremo più avanti, ripercorrendo le varie proposte di legge presentate. Quarto punto: perché conviene questa tassa? Essenzialmente per la stabilità dei mercati: frena la speculazione e diminuisce l'instabilità dei mercati. Questo significa un vantaggio anche per le imprese in termini di minor rischio valutario, minori incertezze sui prezzi delle materie prime e minori rischi degli investimenti esteri. Sono cose che diciamo da tempo, ma sono cose che sono state ripetute anche al Presidente del Consiglio pochi giorni fa. Infatti c'è stato il Forum della cooperazione, e riporto da una dichiarazione di Andrea Baranes, portavoce della Campagna ZeroZeroCinque in cui si ripete che transazioni, che non hanno nessun legame con l'economia reale, ma che esasperano la volatilità e l'instabilità sui mercati e che distruggono vite a livello globale, verrebbero così appunto penalizzate, verrebbero rese meno convenienti, se non addirittura impossibili, e genererebbero poi il gettito di cui appunto parlavamo prima. Signor sottosegretario, lei è arrivato da non molto, come d'altra parte tutto il resto del Governo, e quindi magari determinate cose non le ha vissute in prima persona, però sappia che già nel 2010 vennero approvate qui, in quest'Aula, delle mozioni. Ne ricordo una a prima firma Barbi. Eravamo alla vigilia del vertice dei Ministri dell'economia dei Paesi OCSE (27-28 maggio 2010) a Parigi e poi si teneva il famoso G20 di Toronto (26-27 giugno 2010). Venne impegnato il Governo a valutare l'impatto e la fattibilità finalizzata all'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. All'epoca, pensi un po', parlavamo ancora dei degli obiettivi di sviluppo del millennio entro il 2015, che poi abbiamo mollato per strada. Però questo fu già, per esempio, un primo momento importante, in cui l'Aula impegnò il Governo. Ancora. A novembre 2011 siete arrivati voi e a febbraio 2012 si ripropone il tema in Aula. Apro e chiudo una parentesi. Con il Governo Berlusconi era un po' difficile parlare di questi temi, perché c'era un Presidente del Consiglio che era contrario ed un Ministro degli affari esteri che era favorevole alla tassa sulle transazioni finanziarie, per cui non capivamo mai chi fosse il nostro interlocutore. Con voi speriamo che le cose siano chiare, anche perché il Presidente del Consiglio aveva dato dei segnali di disponibilità. Comunque, torniamo al febbraio 2012. A febbraio 2012 arrivano in Aula delle mozioni, che vengono votate il 7 febbraio. Ne cito una, dell'onorevole Volontè - quindi del gruppo dell'Unione di Centro - molto, molto, per così dire, moderata, in cui si impegnava il Governo ad assumere ogni iniziativa utile di concerto con gli altri europei per facilitare una graduale applicazione della tassa sulle transazioni finanziarie, anche a livello mondiale e poi, addirittura, «a prevedere eventuali meccanismi di correzione al fine di evitare che l'introduzione della tassazione sulle transazioni finanziarie possa produrre un rallentamento delle transazioni» e così via. Faccio riferimento alla nuova formulazione della mozione, quella concordata anche con il Governo, per cui vuol dire che anche il Governo era d'accordo con quella formulazione. Stessa cosa accade, nello stesso giorno 7 febbraio 2012, alla mozione a prima firma dell'onorevole Tempestini, dunque una mozione del Partito Democratico. Anche questa viene approvata ed il Governo viene impegnato ad adottare ogni iniziativa utile nelle opportune sedi europea, tese ad assicurare il pieno coinvolgimento di tutti gli Stati membri dell'Unione perché si giunga appunto alla graduale applicazione di questa tassa. Addirittura il Partito Democratico prevede una misura, sempre per il discorso dei meccanismi di correzione, a cui facevo cenno poco fa'. Si prevede che il pagamento dell'imposta venga collegato al criterio della nazionalità dello strumento finanziario, in maniera tale che poi l'elusione venga ridotta. Soltanto questo? No, ci sono anche dei progetti di legge. Me ne vengono in mente due. Uno è facile, perché è a prima firma mia, ma era - ed è ancora - un progetto di legge perché ha visto la partecipazione di deputati di quasi tutti i gruppi politici, credo tranne la Lega Nord. Si tratta dell'Atto Camera n. 3740. Si prevede in sostanza un'aliquota allo 0,05 per cento, che si applica a tutte le transazioni finanziarie, dirette o indirette, compiute attraverso qualunque strumento finanziario, anche derivato, di qualunque natura, ma - questo mi ricordo di averlo inserito su specifica richiesta del gruppo dell'Unione di Centro - esclude dall'applicazione di questa tassa i titoli del debito pubblico, per non colpire i piccoli risparmiatori, le famiglie, ivi compresi i titoli emessi da enti pubblici territoriali. Come avevamo pensato di destinare il gettito? Avevamo detto: metà lo diamo al debito e con l'altra metà integriamo il Fondo nazionale per le politiche sociali che il Ministro Tremonti aveva sostanzialmente azzerato. Si può discutere, la Campagna ZeroZeroCinque insiste perché vada alla cooperazione, ci sono vari tipi: per esempio la proposta di legge del 27 maggio 2011, a prima firma dell'onorevole Bersani, segretario del Partito Democratico, prevede invece che il gettito vada destinato ad altre possibilità, prevede il 25 per cento alla cooperazione, il 25 per cento al finanziamento di uno specifico fondo europeo e il 50 per cento all'ammortamento titoli di Stato. Quindi, possiamo divergere un po' sulla destinazione, ma insomma siamo tutti d'accordo sulla necessità di instaurare questa tassa. Tra le altre cose, la proposta Bersani Atto Camera n. 4389 prevede che vi sia una tassazione agevolata per i titoli di Stato e che vengano esentati dalla tassa sulle transazioni finanziarie le operazioni effettuate direttamente tra privati contraenti o con l'intervento di soggetti diversi dagli intermediari autorizzati, per un ammontare complessivo annuale delle operazioni inferiore ai 200 mila euro. Cioè la sostanza è: non vogliamo colpire i piccoli risparmiatori, che è la che gira per mettere paura su questa tassa. Non è una tassa che riguarderà l'italiano medio e che cambierà il suo stile di vita. Vogliamo colpire gli speculatori, perché è giusto che sia così e ne siamo profondamente convinti. Siamo convinti che sia una battaglia giusta. Questo è quello che è avvenuto in Parlamento. Brevemente ricordo al Governo anche cosa è avvenuto invece in sede europea negli ultimi tre mesi e mezzo e poi vengo alle domande. Il 22 giugno, Ecofin, cioè Consiglio dei Ministri delle finanze: si constata l'impossibilità di procedere unanimi all'adozione della proposta di direttiva della Commissione europea, quella che doveva appunto prevedere un sistema comune d'imposta sulle transazioni finanziarie. Allora, finisce qui? No, non finisce qui, perché comunque sia l'Ecofin dice: alla luce del dibattito pubblico orientativo che si è svolto presso questo Consiglio dei Ministri delle finanze, nelle conclusioni del vertice si prende atto del significativo numero di delegazioni favorevoli a considerare l'introduzione di questa tassa sulle transazioni finanziarie attraverso la procedura della cooperazione rafforzata. Siamo ad un punto chiave della vicenda. Questo era il 22 giugno. La settimana dopo il Consiglio europeo recepisce l'orientamento espresso dall'Ecofin. Nelle conclusioni di questo Consiglio europeo si conferma la volontà da parte di alcuni Stati membri di avviare la procedura della cooperazione rafforzata, affinché questa proposta relativa ad una tassa sulle transazioni finanziarie sia adottata entro dicembre 2012. Oggi, guardo l'orologio, è il 4 ottobre 2012, festa di San Francesco, patrono d'Italia, quindi non manca molto, mancano un paio di mesi alla fine dell'anno. Cosa accade? Accade che il Governo più volte conferma l'apertura dell'Italia a considerare l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. C'è questo Consiglio europeo di giugno e in conferenza stampa il Presidente Monti prende la parola. un giornalista italiano gli dice: »Mi scusi, Presidente, ma allora cosa facciamo noi sulla tassa sulle transazioni finanziarie?". La risposta è che il professor Monti fa intendere l'Italia tra i Paesi aderenti alla cooperazione rafforzata, però mette una condizione, cioè a condizione che le altre misure di stabilità finanziaria proposte dall'Italia vengano accolte a livello europeo. Ora, ci sembra che in questi mesi questa condizione sia stata raggiunta positivamente, perché l'Europa ha intrapreso un percorso. Perché siamo qui? Perché i Paesi membri che si sono dichiarati favorevoli all'avvio della cooperazione rafforzata, quindi l'Italia dovrebbe essere tra questi, devono per forza di cose sottoscrivere una lettera congiunta alla Commissione europea e devono chiedere alla stessa Commissione europea l'avvio della procedura. Devono formalizzarla in sostanza e poi dopo si andrà avanti. già a luglio ha detto che c'era una bozza in giro, l'aveva redatta il Governo tedesco; tra l'altro, perché abbiamo insistito con l'interpellanza urgente? Perché mai come oggi abbiamo avuto un momento favorevole, mai come oggi Francia e Germania sono da questa parte. La Francia, guidata dal Governo di sinistra e la Germania, guidata da una e comunque da un Cancelliere di centrodestra: esperienze diverse, ma capiscono entrambi che è il momento buono. Cosa manca? Manca l'Italia in questo momento. Allora, le domande che facciamo in questa interpellanza urgente - per la quale le dico che non ho avuto alcuna difficoltà a trovare le 30 firme del Partito Democratico, anzi ne avrei potute trovare dieci volte tanto, perché siamo davvero tutti concordi, non è soltanto una richiesta del Partito Democratico - quali sono? Le domande sono quattro. La prima domanda: quale sia lo stato dell'arte dei negoziati in corso tra gli Stati membri dell'UE che intendono aderire alla cooperazione rafforzata per l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. Glielo chiedo apposta, a 15 giorni dal prossimo Consiglio europeo. Seconda domanda: quale posizionamento politico sta assumendo l'Italia sulla proposta di lettera attualmente in circolazione, che un significativo numero di Stati membri dell'Unione europea intende inoltrare alla Commissione europea, comunicando la propria disponibilità ad introdurre la tassa sulle transazioni finanziarie attraverso la cooperazione rafforzata? Terza domanda: tenuto conto che la proposta di direttiva che la Commissione europea elabora su indicazione dei Paesi coinvolti nella procedura di cooperazione rafforzata può essere presentata da parte del Consiglio europeo solo se corredata di un parere positivo del (che deve pronunciarsi sull'assenza o meno di effetti distorsivi e di squilibrio del mercato unico da parte della tassa), chiediamo quali sono ad oggi le eventuali riserve di carattere tecnico nutrite dal Governo sulla sottoscrizione di questa lettera. In altri termini, non l'abbiamo sottoscritta ancora perché ci sono delle riserve tecniche? E quali sono eventualmente? Se possibile, vorremmo saperlo. Quarta e ultima domanda: quale tempistica si prevede di seguire, tenuto conto dell'impegno assunto dal Consiglio europeo di adottare la proposta entro dicembre 2012?
. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Vieri Ceriani, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, preliminarmente, come peraltro sottolineato anche dagli onorevoli interpellanti, l'impossibilità di giungere ad un accordo in tempi brevi sulla proposta presentata dalla Commissione europea su un sistema comune di imposta sulle transazioni finanziarie, impossibilità riscontrata al Consiglio Ecofin del 22 giugno scorso, ha spinto alcuni Stati membri, in primo luogo la Germania, a promuovere la ricerca di un accordo attraverso l'avvio di una cooperazione rafforzata. In particolare, i Ministri delle finanze di Francia e Germania hanno indirizzato alla Commissione la richiesta di cooperazione rafforzata in questa materia, chiedendo ai loro omologhi di sostenere l'iniziativa, firmando la lettera e trasmettendola, a loro volta, alla Commissione. Tra gli Stati potenzialmente interessati, si annoverano anche Belgio, Austria, Spagna, Portogallo, Slovenia, Estonia, Grecia e Finlandia. In occasione della riunione dell'Ecofin del 22 giugno, la delegazione italiana ha comunicato la disponibilità del Governo italiano a valutare l'ipotesi di una cooperazione rafforzata, ma non ha assunto alcuna decisione definitiva al riguardo. In questa sede, è stato sottolineato che la decisione da parte del Governo italiano era condizionata anche dal raggiungimento di risultati sostanziali e credibili in relazione al pacchetto di misure allo studio, sempre a livello di Unione europea, per far fronte alla crisi economica e finanziaria. Riguardo agli aspetti tecnici, è stata espressa preoccupazione sugli effetti della nuova imposta sul mercato dei titoli di Stato. Sebbene le emissioni dei titoli del debito sovrano siano esenti dalla proposta tassa, la riduzione di liquidità sul mercato secondario potrebbe condizionare il prezzo dei titoli nelle aste sul mercato primario, determinando un aumento del tasso di interesse. La Commissione stima che l'aumento medio degli interessi sui titoli di Stato potrebbe collocarsi tra i 10 e i 20 punti base. Questo dato potrebbe, tuttavia, essere sottostimato, perché basato sull'ipotesi di una tassa che, in realtà, avrebbe un campo di applicazione più limitato della proposta della (FTT) e, soprattutto, presuppone una situazione di normalità sul mercato dei titoli. Infine, ogni previsione in merito all'adozione entro dicembre 2012 della tassazione sulle transazioni finanziarie, risulta ovviamente prematura, perché la richiesta di cooperazione rafforzata deve essere presentata da almeno nove Stati membri dell'Unione europea.
. L'onorevole Mogherini Rebesani, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, diciamo che possiamo ritenerci soddisfatti se guardiamo il progresso storico delle posizioni dell'Italia, meno se ascoltiamo le parole che sono state pronunciate in quest'Aula. Mi spiego. Meno di un anno fa, l'8 novembre 2011 - riporto da un a Bruxelles -: l'Italia ha espresso seri dubbi sulla proposta di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie di cui si è discusso all'Ecofin allora. Successivamente era già cambiato Governo - l'8 novembre, se non ricordo male, c'era ancora il Governo Berlusconi - e Tremonti spiegava, di nuovo, da un'agenzia di stampa, perché si fosse sono sempre opposto a questa misura: «se vedo uno che fa una rapina, non lo tasso, lo blocco», con il risultato, aggiungo io, che chi ha fatto la rapina non è stato né bloccato, né tassato. Andando avanti, soltanto qualche mese fa e poi qualche giorno fa, Berlusconi è tornato sul tema rivendicando la netta opposizione dell'Italia con il suo Governo all'introduzione della . Il 20 giugno diceva: «La politica del rigore avvelena l'economia e noi contro questa politica ci siamo battuti dicendo no alla richiesta dalla Germania», indicando, secondo me, uno stato confusionale notevole, confondendo politica del rigore e introduzione di una che, invece, potrebbero andarla ad alleviare, introducendo risorse aggiuntive ai nostri bilanci, e, di nuovo, pochissimi giorni fa, il 27 settembre, sempre Berlusconi ha dichiarato: «Sono intervenuto in Europa a fermare delle cose perché ero l'unico imprenditore tra i Capi di Stato e di Governo. Ho fermato, ad esempio, la che la Merkel, con il sostegno di Sarkozy, voleva fosse introdotta». Quindi, due Governi di destra. Ora, i Paesi che ancora sono dalla parte di voler introdurre la sono sempre gli stessi, nonostante sia cambiato il colore politico di uno di questi: la Francia e la Germania. Il Governo italiano nel frattempo è cambiato. Fortunatamente è cambiato, per una serie di motivi, ma anche per questo. Ora, vorrei - me lo consentirà, signor Presidente - mettere un attimo tra parentesi le parole che abbiamo ascoltato qui, oggi, dal Governo e invece leggere le dichiarazioni che, mese dopo mese, il Presidente Monti ha fatto su questo tema. Il 14 dicembre, quindi poco dopo l'insediamento del nuovo Governo, Monti ha dichiarato di aver detto all'Unione europea: «sì alla per meno tasse». Leggo testualmente perché penso che l'argomento avanzato dal Presidente del Consiglio sia molto valido. Egli dice: Rispondo a chi mi dice, in Aula e fuori, meno tasse, credo che si riferisse alla Lega Nord, e aggiunge: «Colgo l'occasione per dire che in sede europea uno dei modi per arrivare a meno tasse su chi produce e per le famiglie è anche quello di avere una fiscalità estesa anche al mondo della finanza. Ho notificato in sede europea» - continua Monti - «che l'Italia è disposta a cambiare la propria posizione su questo tema. Il precedente Governo in sede europea aveva tenuto una posizione contraria all'ipotesi sulle tassazioni finanziarie. Dopo una attenta valutazione abbiamo segnalato che l'Italia è pronta a considerare questa posizione e a unirsi a quelli che vorrebbero la Ci sono molte altre dichiarazioni che vanno nello stesso senso, fatte dal Presidente Monti. Le ultime sono proprio intorno al Consiglio europeo di fine giugno, che è stato ricordato. Ora, cosa è successo a partire da quel Consiglio in poi? È successo che la procedura per la cooperazione rafforzata è stata avviata, perché c'è una copia - presumo che se ce l'ho io, ce l'avrà anche il Ministero - della lettera che Schäuble e Moscovici hanno inviato alla Commissione europea, aperta alla firma di tutti quegli Stati membri che volessero sottoscriverla. La base della cooperazione rafforzata è la volontarietà dell'adesione alla cooperazione stessa e, quindi, automaticamente ed anche esplicitamente l'Italia è stata invitata a sottoscrivere questa lettera e due Paesi, come giustamente veniva ricordato, ossia l'Austria e il Belgio, al momento hanno sottoscritto questa stessa richiesta e, a quello che si capisce sia dalle notizie ufficiose, sia comunque da quanto è stato accertato oggi in Aula, ci sarebbero altri Paesi pronti e disposti a farlo. Ora, l'onorevole Sarubbi ha molto bene ricordato quali sarebbero i vantaggi. Ci tengo a sottolinearlo di nuovo, perché credo che siamo in un momento cruciale. La proposta di cooperazione rafforzata sarà sul tavolo del prossimo Consiglio europeo tra pochissimi giorni: il 18 e il 19 ottobre. L'Ecofin dell'8 e 9 novembre sarà chiamato di nuovo a trattare il tema. Il limite temporale è quello della fine dell'anno, quindi sono pochissimi mesi. Penso che sia utile leggere una dichiarazione in questo senso del Commissario dell'Unione europea al fisco, Semeta, il quale, soltanto due giorni fa, il 2 ottobre, ha dichiarato: «: decisivo il via libera dell'Italia», sostenendo che gli Stati che la adotteranno, godranno di molti benefici. La leggo quasi integralmente; dice Semeta: «L'obiettivo è di introdurre una tassa equa, che possa generare un gettito importante e contribuire a un settore finanziario più stabile (...). L'Italia è sempre stata una grande sostenitrice in generale di un approccio europeo coordinato, consapevole del fatto che, insieme, i Paesi membri sono più forti delle loro individualità. Gli Stati che adotteranno una tassa sulle transazioni finanziarie godranno di molti benefici, non ultimo di un mercato unico meno frammentato. Molti Paesi membri hanno già, o stanno preparando, tasse sulle transazioni finanziarie (....)». Prosegue Semeta: «Non appena un minimo di nove Stati avranno fatto richiesta ufficiale di cooperazione rafforzata, la Commissione è pronta a muoversi molto rapidamente in modo da presentare un progetto in tal senso». Tutto è pronto, gli altri Paesi si stanno muovendo molto velocemente e con grande convinzione lungo questa strada; capisco che l'Italia possa avere in questo frangente, così come l'ha avuta nel contesto dell'ultimo Consiglio europeo della fine di giugno, l'interesse ad inserire questa discussione in un pacchetto più ampio di contrattazione, diciamo così. Ma questo sarà, perché - e se lo so io il Ministero lo sa sicuramente molto meglio di me - già domani sarà in discussione al un pacchetto, di cui danno notizia i giornali anche di oggi, che comprende, oltre ad altre proposte interessanti e importanti che non sono però oggetto della nostra discussione oggi - tra cui un superministro del tesoro dell'Unione europea, l'elezione diretta del presidente della Commissione - anche il tema della tassa sulle transazioni finanziarie. Quindi sarà parte di un pacchetto e se c'è l'interesse, da parte dell'Italia, a non esplicitare in modo pubblico un «sì» o un «no» troppo presto, possiamo, da un punto di vista tattico, forse, capirlo; la cosa fondamentale è che questa lunga scia di «sì» che Monti ha detto a partire da dicembre in poi, che ha invertito nettamente la tendenza rispetto al Governo precedente, trovi, entro il limite massimo del prossimo Consiglio europeo, un «sì» definitivo in modo tale che l'Italia possa fare due cose. Innanzitutto, onorare gli impegni parlamentari perché c'è anche un altro piccolo elemento su questo: il Parlamento italiano si è espresso molte volte in questo senso, sempre in modo unanime o quasi; il Parlamento europeo si è espresso in questo senso in modo molto convinto ancora quasi un anno fa, molti mesi fa e c'è anche un tema di rispetto delle istituzioni democratiche nelle scelte che riguardano questo settore; sono convinta che il Governo lo farà ma credo che sia giusto sottolineare, anche rispetto all'opinione pubblica e ai cittadini che in questa fase vivono un rapporto complicato con i bilanci pubblici - ed i tagli ai bilanci che comportano poi conseguenze sulla loro vita - e rispetto alle dinamiche democratiche. Ciò non soltanto nel nostro Paese, in cui per ovvie e tristi vicende la situazione è più aggravata, ma in tutta Europa si mettono in discussione la centralità e la funzionalità delle istituzioni parlamentari e democratiche. Ecco, è importante che un'indicazione, un orientamento parlamentare che è sempre stato univoco in questo senso ed un orientamento che il Presidente Monti ha sempre espresso in questi mesi, giungano, insieme, ad un compimento efficace ed effettivo prima del Consiglio europeo. Perché, lo diceva giustamente Sarubbi e lo riprendo molto rapidamente, ciò libererebbe risorse: sessanta miliardi di euro l'anno stimati dal Parlamento europeo, possono essere di meno, anche se fossero la metà, sono tantissimi soldi. Una boccata d'ossigeno che può essere intesa per il debito, ovvero può essere intesa per risorse da destinare a scelte - dicevamo giustamente - di lungo termine ma strategicamente molto importanti per noi come la prevenzione dei conflitti e dell'instabilità nel mondo, la cooperazione allo sviluppo, la lotta alla povertà, ma non soltanto. Possono essere un fondo speciale riservato dell'Unione europea così come indicato nel progetto di legge Bersani, cosa che indicherebbe, oltretutto, la capacità dell'Unione europea di dotarsi di risorse proprie aggiuntive; non una cosa banale di questi tempi. Sarebbe quindi un beneficio certo per i contribuenti. Secondariamente, mostrerebbe la volontà politica dell'Europa, e il nostro Paese contribuirebbe in questo senso in modo determinante, a regolamentare i mercati finanziari rendendo più stabile il settore finanziario, meno orientato sul breve termine e quindi più concentrato sul finanziamento all'economia reale con beneficio diretto per le imprese.
. La prego di concludere.
. Mi avvio a concludere, signor Presidente, ma soprattutto indicherebbe la capacità, non soltanto la volontà, ma la capacità politica delle istituzioni europee e dell'Italia, insieme al resto delle istituzioni europee, di dotarsi di una strategia che la porti fuori dalla crisi. Si esce da questa situazione con più consistenza, con più corpo europeo, con più futuro europeo, anche attraverso i procedimenti di cooperazione rafforzata. Credo che l'Italia sia pronta a fare la sua parte in questo percorso e insieme a me credo che una grandissima parte del Parlamento italiano chiami il Governo, in questo momento, a dire il «sì» definitivo.
. L'onorevole Causi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01683, concernente orientamenti del Governo in merito alla permanenza in carica dell'attuale amministratore delegato della società Eur Spa .
. Signor Presidente, sottosegretario Vieri Ceriani, ci ritroviamo per la seconda volta in quest'Aula a discutere dell'amministratore delegato di Eur Spa. Me ne dispiaccio per lei, perché so che non è nelle sue competenze, in quanto lei si occupa del dipartimento delle finanze e delle politiche fiscali del Governo, e quindi non rientra nell'ambito delle sue competenze il processo di nomina e poi di valutazione e di monitoraggio dei manager pubblici nelle società partecipate dallo Stato, che invece è un processo che è sotto il controllo della dipartimento del tesoro. Al tempo stesso, devo ricordare al Governo un po' la storia di questa vicenda, perché già a giugno, quando il Governo Monti ha confermato nella carica l'ingegner Mancini all'Eur Spa, il gruppo del PD, per mezzo di un'altra interpellanza che fu discussa in quest'Aula il 14 giugno, sollevò dei dubbi di opportunità, alla luce del fatto che già allora circolavano delle informazioni circa il possibile coinvolgimento del dottor Mancini in inchieste collegate alle questioni di Finmeccanica. Negli ultimi giorni, purtroppo, quelle che qualche mese fa erano soltanto voci sono diventati veri e propri fatti e, quindi, vi è un'indagine in atto dalla parte della procura della Repubblica di Roma e la guardia di finanza ha effettuato numerosi sequestri. Quindi, di nuovo, scrivendo questa interpellanza urgente, domandiamo al Governo se non ritenga di cambiare opinione e orientamento rispetto alle scelte effettuate nel mese di giugno e quindi se non ritenga necessario annunciare, come Governo e quindi come azionista di maggioranza di Eur Spa, di voler togliere la fiducia all'amministratore delegato e chiederne le immediate dimissioni. Ciò non perché essere iscritti nel registro degli indagati sia già una manifestazione di colpevolezza, siamo tutti garantisti, ma per ragioni di opportunità, credo anche per la stessa capacità e possibilità dello stesso ingegner Mancini di potersi difendere dalle accuse che gli vengono mosse, che sarebbe molto potenziata dal fatto di lasciare il suo incarico. Però voglio concludere dicendo che quando abbiamo scritto questa interpellanza urgente, qualche giorno fa, non erano successi altri due fatti che rilevano ai fini di questa valutazione, e cioè, in primo luogo, che il Ministro dell'economia e delle finanze, Grilli, ha molto opportunamente stabilito in un suo documento, in una sua lettera, in una sua circolare, una serie di procedure molto più rigide, per quanto riguarda il monitoraggio e il controllo da parte dell'azionista Stato nei confronti dei manager delle aziende pubbliche. In questa lettera di Grilli, nei confronti dei consiglieri di amministrazione nominati dal Ministero dell'economia e delle finanze nelle varie aziende pubbliche, viene attivato fortemente il ruolo dei revisori e dei collegi sindacali per monitorare i comportamenti e dare subito attenzione all'azionista Stato in presenza di comportamenti che possono essere discutibili. Quindi, in qualche modo, in questa lettera, dal punto di vista metodologico, nelle procedure, il Ministro dell'economia e delle finanze si rende conto che l'attività del Ministero di controllo e di monitoraggio del buon andamento della gestione aziendale delle aziende pubblica è una questione che passa anche attraverso l'attenzione ai comportamenti dei singoli e la predisposizione di procedimenti adatti a rendere noto all'azionista Stato quando qualcosa non va, in modo tale che l'azionista Stato possa, ad esempio, togliere la fiducia ai che dovessero aver fatto delle cose per le quali lo Stato deve togliergli la fiducia. L'applicazione di questa nuova lettera e di questa nuova procedura al caso dell'EUR Spa a me sembra - lo dico tramite lei al Ministro dell'economia - automatica, doverosa ed evidente. È successo poi un secondo fatto che «aggrava» ancora di più la questione, cioè nella giornata di venerdì scorso l'EUR Spa ha proceduto alla costituzione di una nuova società da essa stessa partecipata. Questa nuova società, EUR Servizi Srl, verrà tra qualche giorno ricapitalizzata con il concorso della camera di commercio di Roma per costituire una nuova società integrata che dovrà in futuro gestire in modo integrato il polo fieristico e il polo congressuale. Come si vede, stiamo parlando di un'operazione di sistema e non soltanto di un'operazione all'interno dell'EUR. Ebbene, in modo io dico sconvolgente, l'ingegner Mancini è stato indicato quale amministratore delegato della nuova società, raddoppiandogli quindi l'incarico in un consiglio di amministrazione che - voglio ricordarlo - per quattro quinti è espressione del Ministero dell'economia e delle finanze. Non siamo di fronte ad un'azienda comunale. Siamo di fronte ad una azienda che per il 90 per cento è partecipata dallo Stato e la maggioranza del consiglio di amministrazione è espressione del Ministero dell'economia. Pertanto, noi siamo di nuovo qui a chiedere - tramite lei - al Ministro dell'economia di attuare immediatamente gli stessi precetti contenuti nella sua lettera al caso di EUR Spa e di dare chiaro indirizzo ai consiglieri di EUR Spa di nomina del tesoro, di togliere la fiducia all'ingegner Mancini, chiederne le immediate dei dimissioni e di revocare le delibere - questo non c'è nell'interpellanza urgente, perché è un fatto nuovo - che il consiglio di amministrazione di EUR Spa ha assunto venerdì mattina scorso.
. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Vieri Ceriani, ha facoltà di rispondere.
, Signor Presidente, riguardo all'interpellanza urgente dell'onorevole Causi ed altri, il Ministro dell'economia e delle finanze fa presente che in data 28 settembre ha impartito precise direttive affinché, nell'esercizio dei poteri dell'azionista, venga adottata ogni iniziativa per garantire l'efficienza delle aziende e l'immagine delle stesse, al fine di preservare il valore delle società e tutelare i diritti dell'azionista. In particolare, gli organi societari, nel rispetto delle proprie competenze, dovranno effettuare idonei approfondimenti istruttori, con il coinvolgimento delle strutture di interno e degli organismi di vigilanza, istituiti ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001. Conseguentemente, sulla base degli elementi in possesso delle società e delle risultanze istruttorie, saranno adottati i provvedimenti più opportuni per garantire trasparenza e correttezza. In questa ottica, fermo restando il potere del consiglio di amministrazione di revocare le deleghe conferite, ovvero la facoltà dei singoli consiglieri di rassegnare le dimissioni, si avrà cura di verificare, in presenza di comportamenti non rispondenti alle leggi o ai canoni di lealtà e di codice etico, se si configurino i presupposti per revocare da parte dell'assemblea dei soci la nomina degli amministratori coinvolti. Del pari, verrà verificata l'eventuale sussistenza dei presupposti per promuovere da parte degli azionisti l'azione sociale di responsabilità. Queste iniziative coinvolgono anche i collegi sindacali delle società controllate dallo Stato. Con specifico riferimento alla società EUR Spa si assicura che, anche alla luce della citata direttiva, si avrà cura di adottare ogni iniziativa che dovesse rendersi opportuna.
. L'onorevole Causi ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, signor sottosegretario, non sono molto soddisfatto di questa risposta. La prego, per suo tramite, di dire al Ministro dell'economia e al Dipartimento del tesoro che ben venga la lettera, la circolare che ha citato, ma qui non siamo di fronte a un caso di azione di responsabilità. Perlomeno non posseggo elementi sufficienti per sostenere la fattispecie dell'azione di responsabilità. Siamo di fronte a un problema di opportunità, un evidente problema di opportunità, e quindi la prego di trasmettere al Ministro dell'economia e delle finanze, al Dipartimento del tesoro, la necessità che le ultime due righe della sua risposta attivino all'interno del Ministero un processo di valutazione sulla giustezza di questa nomina fatta il 7 giugno e un processo di riflessione sull'opportunità di chiedere all'ingegnere Mancini le immediate dimissioni .
. L'onorevole Giammanco ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01682, concernente iniziative per escludere le spese veterinarie per gli animali domestici dall'elenco di quelle comprese nel cosiddetto redditometro .
. Signor Presidente, intervengo per chiedere al Governo e al rappresentante del Governo, sottosegretario Vieri Ceriani, cosa ci sarà esattamente all'interno del redditometro, perché sappiamo che a ottobre sarà operativo il nuovo redditometro che, come dichiarato dal direttore dell'Agenzia delle entrate nel corso dell'audizione presso la Commissione finanze della Camera, rappresenta sicuramente un passaggio fondamentale nella guerra contro l'evasione fiscale, che chiaramente noi tutti apprezziamo. Il redditometro ha come obiettivo quello di dare, quindi, la caccia agli evasori individuando gli scostamenti tra il reddito dichiarato e le spese effettivamente sostenute attraverso cento voci di spesa. Tra queste cento voci di spesa si pensa di inserire anche le spese veterinarie. Per cui realmente, se così dovesse accadere, il risultato raggiunto in questo modo sarebbe quello di considerare beni di lusso, o meglio beni indicatori di reddito, gli animali domestici: un cane, un gatto, qualsiasi altro piccolo animale che si tiene in casa per pura compagnia. Gli animali, come riconosciuto dal Trattato di Lisbona dell'Unione europea e dal codice deontologico dei medici veterinari, sono esseri senzienti, naturalmente non sono beni che possono indicare un lusso, un reddito alla stessa stregua di un'automobile, di uno o di un appartamento e, come tali, hanno il diritto ovviamente alla loro tutela, alla tutela del loro benessere, della loro salute, ancor più in un periodo così delicato per l'economia di molte famiglie italiane. Molto spesso già chi vive con un cane o un gatto deve affrontare spese molto alte, l'aliquota IVA più alta sia sulle spese veterinarie che sui loro alimenti, quindi si fa già carico di misure estremamente penalizzanti. Lo voglio ricordare: due famiglie su tre possiedono un animale domestico e in più, sottosegretario, questi animali domestici sono spesso posseduti da famiglie anche poco abbienti o, ancor più, da anziani che tengono questi animali semplicemente per non sentire la solitudine. Quindi, mi chiedo qual è l'intendimento del Governo ed effettivamente cosa vuole fare circa questi animali, anche perché, inserendo le spese veterinarie all'interno del redditometro, questo provvedimento risulterebbe sicuramente punitivo nei confronti di tutte quelle persone che già tengono un animale da compagnia con tanti sacrifici e anche nei confronti di tutte quelle famiglie che magari hanno adottato un cane dal canile e, quindi, contribuiscono a combattere la piaga del randagismo anche con grande sollievo per le casse degli enti locali. Questo non lo dobbiamo dimenticare perché, ad oggi, sono gli enti locali che si fanno carico dei canili e delle spese sostenute all'interno di questi canili. Quindi, chi adotta un cane sicuramente contribuisce ad alleggerire le spese degli enti locali. Inoltre, il provvedimento di cui sopra contribuirebbe all'aumento di animali abbandonati da parte di chi versa già in condizioni economiche disagiate e che certo non può permettersi una simile beffa da parte del Governo. Per ultimo, vorrei dire che - e questo, chiaramente, anche il sottosegretario e il Governo stesso non dovrebbero sottovalutarlo - gli animali da compagnia, in genere, sono amici di salute, perché è già stato dimostrato ampiamente che con la che si esegue, appunto, in molti ospedali, con i cani, in particolare, che oltre a essere ottimi compagni di gioco sono anche, appunto, amici fidati della salute dei bambini, perché li proteggono da malattie del tratto respiratorio, come tosse, raffreddore e otiti. Questo non lo dico io ma questa rivista medica specializzata la quale, appunto, afferma che i bambini che vivono a contatto con un animale domestico, sin dalle prime settimane di vita - e, in particolare, con un cane -, sono più in salute dei piccoli coetanei senza animali in casa. Si ammalano meno e possono prendere meno antibiotici. Questo è emerso da uno studio su quasi 400 bambini, seguiti dalla nascita fino a oltre il primo anno di vita. Questo studio è stato condotto in Finlandia, dal dipartimento di pediatria, ostetricia e ginecologia del policlinico universitario di Kuopio e la ricerca è stata pubblica su tutte le riviste scientifiche mondiali e internazionali che, naturalmente, in questi casi ci forniscono quello che è il dato scientifico rilevato durante questa ricerca. Quindi, il contatto o, comunque, la presenza in casa di animali - lo ripeto, in particolare di cani - contribuisce a rafforzare il sistema immunitario dei bambini, che si trovano così più naturalmente protetti dai virus e dai batteri che a quella età, naturalmente, insidiano la loro salute. Pertanto, sottosegretario, alla luce di tutte queste considerazioni, la prego di darmi la risposta che vorrei sentire. Escludendo gli animali di altro tipo, come i cavalli, che sicuramente possono comportare una spesa onerosa per le famiglie e che sicuramente non sono animali che si tengono in casa e che, effettivamente, comportano dei costi sicuramente maggiori, mi auguro e le chiedo, quindi in questo senso, se davvero quello che abbiamo sentito è vero e, cioè, che verranno inserite anche le spese veterinarie per gli animali domestici nel redditometro. Quindi, le chiedo, se così dovesse essere secondo appunto quello che vuole e che ha deciso il Governo, se si possa rivedere tale decisione e, dunque, se possano essere eliminate dal redditometro le spese veterinarie effettuate esclusivamente per gli animali domestici.
. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Vieri Ceriani, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, forse occorre, in primo luogo, precisare che le spese veterinarie, comprese quelle dei medicinali per gli stessi animali, danno diritto al riconoscimento di una detrazione ai fini IRPEF in sede di dichiarazione dei redditi. Questo per dire che il fisco, in qualche modo, riconosce la valenza affettiva della cura degli animali domestici. Riguardo alla questione del redditometro, si tratta di un nuovo strumento di selezione dei soggetti ai fini della determinazione sintetica del reddito. Si tratta, sostanzialmente, di un indice di «pericolosità», che è in corso di elaborazione. È stato recentemente sperimentato con il coinvolgimento di organizzazioni sindacali, associazioni di categoria e ordini professionali. Cerca di cogliere il contesto in cui si manifesta la capacità di spesa del contribuente, differenziata ovviamente in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza. Per ricostruire, appunto, la capacità di spesa del contribuente l'Agenzia delle entrate ha individuato e valorizzato cento voci di spesa che colgono diversi aspetti della vita quotidiana (su sette categorie di spesa). Le spese veterinarie sono una di queste cento voci che aiutano a fotografare complessivamente la capacità di spesa della famiglia. Per la verità, incidono marginalmente in questa fotografia rispetto ad altre voci di spesa che potrebbero essere definite di «lusso». In conclusione, con l'inclusione delle spese veterinarie tra le spese oggetto del redditometro, non viene sminuita affatto la valenza affettiva della cura degli animali domestici. Come ricordavo all'inizio, le spese in questione, comprese quelle per medicinali, danno diritto al riconoscimento di una detrazione dall'IRPEF in sede di dichiarazione dei redditi.
. L'onorevole Giammanco ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, naturalmente ringrazio il sottosegretario per la sua presenza e per la sua risposta. Non mi posso chiaramente dire soddisfatta di tale risposta anche perché conosco perfettamente le detrazioni, ad oggi, presenti sulle spese veterinarie e sui farmaci per gli animali: sicuramente le detrazioni di cui lei parla sono irrisorie, veramente molto basse e non fanno la differenza per nessuno, neanche per le famiglie economicamente più disagiate. A tal proposito, a questo punto, rilancerei anche un'ulteriore proposta al sottosegretario, ossia quella di aumentare le detrazioni e le agevolazioni fiscali, non per tutti, naturalmente, perché non sarebbe neanche ragionevole, ma per le famiglie che hanno un basso reddito, o ancora per i pensionati, che oggi davvero riescono ad arrivare alla fine del mese con grandissimi stenti. Per cui, potrei concepire l'introduzione di queste spese veterinarie nel redditometro qualora, parallelamente, si perseguisse questa strada, cioè quella di aumentare le detrazioni e le agevolazioni fiscali in favore delle famiglie economicamente più svantaggiate e dei pensionati. Quindi, rilancio questa proposta al Governo: mi auguro che questa sia presa in considerazione, signor sottosegretario; la ufficializzo qui in Aula e, naturalmente, fino alla fine, spererò che il Governo che lei rappresenta possa rivedere questa scelta ed eliminare questa voce all'interno del redditometro.
. L'onorevole Vico ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01670, concernente Iniziative volte a salvaguardare l'industria automobilistica italiana alla luce del nuovo piano di investimenti della FIAT .
. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, le cifre che mettono a fuoco, più di altre, le ultime vicende del caso FIAT sono le seguenti: nel mese di agosto scorso, il lingotto, sommando auto e furgoni ha registrato vendite per circa 20.000 pezzi in Italia, 98.000 in Brasile (che è un record assoluto), 168.000 negli Stati Uniti e nel Canada, di cui 5.000 quelle assicurate dalla FIAT 500. Diremo subito che il confronto è ingeneroso verso l'Italia, dove, nello stesso mese di agosto, tutto viaggia a scartamento ridotto, quasi trattasi di ferrovia. Tuttavia, la tendenza è chiarissima: se si guardano gli andamenti dei primi otto mesi dell'anno, si scopre che la FIAT ha venduto 600 mila pezzi in Europa, dei quali in Italia solo 330 mila e circa 600 mila vetture in Sudamerica ed un milione 300 mila tra Stati Uniti e Canada. Sempre per memoria, è utile non dimenticare che, nel contempo, rimane la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese e che la cassa integrazione è ormai arrivata in tutti e quattro gli stabilimenti del gruppo: Mirafiori, Melfi, Cassino e Pomigliano. Pochi mesi fa è uscita la nuova Panda, che non vende come sperato, e la cassa integrazione ha riguardato 2.150 dipendenti tra il 20 ed il 31 agosto dell'anno in corso. Il Governo sa anche che è stato posticipato, nello stabilimento di Melfi, il lancio di una nuova versione della Punto, in attesa di una ripresa del mercato. Lì lavorano 5.300 dipendenti, la cassa integrazione colpisce a «macchia di leopardo» - che è un'immagine chiara - a seconda dei rendimenti e degli ordini, e la stessa cosa accade a Cassino presso la fabbrica che produce la Lancia Delta, la Fiat Bravo e l'Alfa Giulietta. È evidente che il mercato italiano è lo spicchio più piccolo del caleidoscopio Fiat, dal momento che in Europa, pur in presenza di una crisi gravissima, il mercato dell'auto - quello più sofisticato e dove esistono competenze che non sono ritrovabili se non in Europa - regalare quote di mercato ai concorrenti non avrebbe senso, e in questo caso noi lo diciamo non solo per Fiat, e questa asserzione ci riviene da alcune altre osservazioni precise: la General Motors sopporta da ben 14 anni una Opel in perdita, lo stesso fa la Ford con la sua filiale europea che, secondo l'ultimo di Morgan Stanley, quest'anno perderà circa 2 miliardi di euro, senza parlare della Peugeot Citroën che sta bruciando 7 milioni al giorno pur di non arrendersi. Torniamo a «Fabbrica Italia». Marchionne metterà in rilievo - è anche l'ironia del suo destino manageriale, osserviamo - che egli nel 2010 aveva lanciato Fabbrica Italia con l'obiettivo di raddoppiare la produzione di automobili nel nostro Paese, e invece il piano sembra essere stato applicato in America, dove i risultati di Chrysler sono a dir poco sfavillanti: nei primi mesi del 2010 le fabbriche di Auburn Hills hanno prodotto 1 milione e 53 mila veicoli, mentre nei primi otto mesi del 2012 la produzione ha raggiunto quota 1 milione 599 mila veicoli; l'incremento in soli 24 mesi è stato del 52 per cento. Questa impennata ha fatto del Marchionne una sorta di guru dell'auto in America. Già nel 2009 lo stesso Marchionne ha preso stabilimenti arrugginiti, come quello di Belvidere in Ohio, con appena 200 dipendenti, assumendone poi 4.300 per produrre la Dacia Duster, che è una berlina americana, su un pianale e motore Alfa Romeo. Il piano - sempre «Fabbrica Italia» - prevedeva di produrre in Italia 700 mila auto in più nel 2014 rispetto a quelle sfornate nel 2009, e ben 300 mila sarebbero state dirottate negli USA. Ora, secondo Marchionne, per alleviare la crisi, bisogna esportare in America, dove le fabbriche marcerebbero già quasi tutte su 3 turni e presto non saranno in grado di soddisfare la domanda. Allora qui cominciano alcune della nostre domande, come la natura e la ragione dell'interpellanza stessa; prima ed ultima osservazione: quello che Marchionne dice oggi, onorevole rappresentante del Governo, poteva essere detto allo stesso modo due anni fa, quando annunciò il piano? Mi consenta di porla in forma interrogativa, avrei dovuto renderla come asserzione, perché anche allora non c'era il sole, si veniva da un anno di dura recessione, la sovracapacità produttiva era evidente, così come il fatto che il potere d'acquisto delle famiglie non sarebbe cresciuto con le politiche di rigore. Quindi, o quel piano di investimento, casomai, è stato un errore colossale, oppurre una propaganda strumentale. Serve chiarezza su questo, perché c'è un problema di credibilità dell'interlocutore; tra l'altro il vero interlocutore, dal momento che la Fiat non è una è l'azionista; Marchionne è il primo - anche molto pagato - dipendente di quella grande azienda, ma in ultima analisi decide chi controlla l'azienda stessa. Se nei giorni e nelle ore passate Marchionne ha palesato l'intenzione di mantenere fede ai programmi di investimento e si fa strada addirittura il timore di un abbandono dell'Italia da parte dell'impresa manifatturiera nazionale per eccellenza, a noi sembra evidente e anche conseguente un sentimento giustificato di indignazione. Nonostante le note dichiarazioni di Marchionne, la FIAT, signor sottosegretario, ha un debito storico verso l'Italia, che va oltre i contributi a fondo perduto, ora cessati, ma copiosi in passato, e chiama in causa la politica dei trasporti. Sarà un caso se l'Italia ha avuto per lungo tempo la più estesa rete di autostrade, mentre ha sviluppato in modo limitato la rotaia, senza considerare le tornate di incentivi alla rottamazione a vantaggio di tutti, ma ovviamente di qualcuno in modo particolare. Allora, è necessario che il Governo, rispondendoci, senza alcun comportamento accidioso, capisca la reale strategia del gruppo, che i che sono stati aperti restino aperti, perché devono concludersi. Ovviamente sto parlando di Termini Imerese, di Irisbus, di Sevel. Parlando dei che non possano essere chiusi dalla FIAT e dal Governo, chiedo, concludendo, quali iniziative il Governo intenda assumere per salvaguardare lo sviluppo della classe industriale del Paese, assumendo la priorità dell'industria automobilistica, partendo anche dalla valutazione se abbia un ruolo, quale ruolo abbia eventualmente perduto e cosa intenda fare. Soprattutto in sede di relazioni, è importante che il Governo, in quel tratto di politica industriale che reiteriamo ormai da anni in quest'Aula, capisca le reali intenzioni della FIAT, ovvero se intenda investire ancora in Italia, dovendo assicurare le migliori condizioni di contesto, anche in termini di ammortizzatori sociali. Ovviamente, l'ultima domanda che poniamo al Governo è di prendere in considerazione che quel settore manifatturiero, quegli stabilimenti, il capitale sociale e umano della conoscenza dei 25 mila dipendenti degli stabilimenti italiani diretti, sono una ricchezza, perché il settore dell'auto nel campo del manifatturiero, per quanto ci riguarda, non può che essere esigibile come un tratto del nostro futuro.
. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Massimo Vari, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, vista l'ampia portata dei problemi sollevati dall'onorevole Vico e dagli altri interpellanti, vorrei muovere da una premessa di ordine generale, fornendo assicurazioni sul fatto che il Governo è fortemente impegnato ad affrontare la grave situazione del comparto sia con riferimento alla crisi di mercato, che alle specifiche problematiche evidenziate dall'intera filiera, che va dalla fabbricazione di automobili, alla subfornitura, alla rete commerciale e relativi servizi finanziari. Al fine di individuare criticità, ma anche opportunità, per il settore, il Ministero per lo sviluppo economico ha avviato, nel mese di maggio, un tavolo, con le associazioni rappresentative dell'intera filiera, volto a raccogliere proposte e istanze, sì da valutarne la fattibilità. Il Ministero sta ora approfondendo i dati raccolti in occasione di tali incontri, come pure quelli desumibili da diversi studi concernenti le problematiche del comparto, per stabilire quali misure possano essere messe a punto, avendo riguardo ai vincoli e alle compatibilità dell'attuale quadro di finanza pubblica. Tra le iniziative già intraprese e compatibili con tale quadro si segnalano gli incentivi alla diffusione di veicoli aziendali a basse emissioni, elettrici, a gas, a biocombustibili e ad idrogeno (nel caso dei veicoli elettrici, anche a favore di privati cittadini), con la finalità di eliminare contestualmente dai centri urbani i veicoli più inquinanti ed a più alto tasso di circolazione, quindi con maggiori emissioni totali, nonché a favorire un maggiore allineamento del mercato italiano al modello europeo, caratterizzato da una maggiore penetrazione di veicoli aziendali e di veicoli meno inquinanti. Tali misure sono coerenti con l'iniziativa parlamentare recentemente confluita nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, la quale, al capo IV, prevede disposizioni per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli a basse emissioni complessive. Questo è un tema che, se mi è consentito, l'onorevole Vico conosce perfettamente, ma mi sembrava doveroso citarlo, perché è un'iniziativa molto importante e molto meritoria. Tra le altre iniziative portate avanti dal Governo per consentire la ripresa del settore segnalo: il coordinamento mantenuto con la Direzione generale impresa e industria della Commissione europea e con gli altri Paesi membri, dal quale è scaturita la strategia europea condivisa per il settore, denominata CARS 21, la quale ha dato poi luogo alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 7 febbraio 2007; più recentemente, vi è stato il coordinamento a livello bilaterale comunitario, dal quale è scaturita la proposta avanzata l'11 luglio scorso dalla Direzione generale clima della Commissione europea, con l'obiettivo di aggiornare i regolamenti europei sulle emissioni di anidride carbonica da parte di auto e veicoli commerciali, rispettivamente regolamento (CE) n. 443 del 2009 e regolamento (UE) n. 510 del 2011, proposta con la quale risultano in armonia le tipologie di auto maggiormente prodotte e circolanti in Italia; l'emanazione di misure di promozione e semplificazione della distribuzione di carburanti ecocompatibili, come i biocombustibili, attraverso il cosiddetto decreto sviluppo, cioè il decreto-legge n. 83 del 2012, e il metano, attraverso il cosiddetto decreto liberalizzazioni, e cioè il decreto n. 1 del 2012; più in generale, la considerazione delle esigenze sia del mercato sia della produzione automobilistica italiana nella negoziazione degli accordi di libero scambio in corso. Accanto alle sopra ricordate iniziative, vorrei ancora menzionare gli interventi legislativi di portata ancor più generale, finalizzati al rilancio dei settori a più alta caratteristica innovativa e tecnologica, come il già citato decreto-legge n. 83 del 2012, che ha introdotto un credito di imposta per favorire la ricerca e lo sviluppo. Del credito di imposta, come sappiamo, possono beneficiare tutte le imprese, a prescindere dalla dimensione aziendale, dalla forma giuridica e dal settore in cui operano, cioè le imprese che presentano profili altamente qualificati, necessari nelle attività ad alto contenuto di innovazione e tecnologia. Ora il Ministero sta predisponendo la regolamentazione attuativa di questa previsione normativa. Venendo ora, più specificamente, al tema FIAT, il Ministero, pur nella consapevolezza che la situazione del mercato italiano e di quello europeo è estremamente negativa, con previsioni di stagnazione a breve termine, come evidenziato dal rallentamento anche del mercato tedesco, auspica, tuttavia, che nei prossimi anni si possano determinare le condizioni per il riavvio del piano «Fabbrica Italia». In questo contesto, va da sé che la condizione per il mantenimento in Italia di una significativa produzione di auto richiede investimenti nello sviluppo di nuovi modelli e il continuo aggiornamento degli impianti. Il Governo, come noto, ha affrontato la questione FIAT nel corso di un incontro che si è tenuto il 22 settembre scorso presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. L'incontro si è reso particolarmente opportuno, anche a seguito delle dichiarazioni dell'amministratore delegato della FIAT, il quale, in più occasioni, ha affermato che il piano «Fabbrica Italia», così come illustrato al Governo e alle parti sociali nel 2010, non risultava più compatibile con l'evoluzione del mercato e con le strategie aziendali. Nel corso dell'incontro i vertici FIAT hanno confermato l'impegno a salvaguardare la presenza industriale del gruppo in Italia, dichiarandosi propensi a riorientare il proprio modello di nel nostro Paese in una logica che privilegi l', in particolare extraeuropeo. Il gruppo ha, inoltre, manifestato piena disponibilità a valorizzare le competenze e le professionalità peculiari delle proprie strutture italiane, tra le quali quelle attinenti all'attività di ricerca e innovazione. FIAT ha anche confermato la strategia dell'azienda di destinare nuovi investimenti in Italia, nel momento idoneo allo sviluppo di nuovi prodotti che consentano di approfittare pienamente della auspicabile ripresa del mercato europeo. Il Governo, dal canto suo, ha espresso apprezzamento per i risultati che FIAT sta conseguendo a livello internazionale e per l'impegno, assunto nel corso della riunione, ad essere parte attiva dello sforzo che il Paese sta portando avanti per superare questa difficile fase economica e finanziaria. In termini più concreti, aggiungo che al termine della riunione Governo e FIAT hanno assunto l'impegno a svolgere, nelle prossime settimane, un lavoro congiunto onde determinare requisiti e condizioni per il rafforzamento della capacità competitiva dell'azienda. A tal fine, è stato già costituito un gruppo di lavoro che avvierà i lavori nei prossimi giorni.
. L'onorevole Lulli, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per le informazioni che ci ha reso. In buona parte, ovviamente, le avevamo già apprese dalla stampa quotidiana. Non è una critica, ma una constatazione. Tuttavia, mi permetto di rilevare che noi siamo stati mossi non dall'esigenza di riascoltare quello che, più o meno, avevamo letto e sentito dai anche se è sempre importante che in una sede di questa rilevanza istituzionale si possano ufficializzare queste informazioni. Però, debbo dire che ci aspettiamo qualcosa di più dal Governo. Parliamoci chiaramente: anche noi abbiamo audito l'amministratore delegato Marchionne alla Camera dei deputati all'indomani dello sbandierato piano «Fabbrica Italia». In quell'occasione Marchionne ci disse che non poteva illustrare i piani di investimento perché la concorrenza lo avrebbe ascoltato. Anche in quell'occasione al Governo dell'epoca noi sollevammo un problema: è chiaro che ognuno deve fare il suo mestiere, così come la FIAT, al di là del fatto che credo debba essere grata allo Stato e ai contribuenti italiani, anche se qualcosa certamente ha restituito. Ma, nel rispetto dei ruoli, credo che la questione dell'industria dell'auto e dell' nel nostro Paese non può non essere un obiettivo strategico e non può non riguardare anche una politica industriale, che latita da troppo tempo. Noi non possiamo pensare di uscire dalla crisi se non produciamo lavoro e se non produciamo ricchezza. Di questo bisogna avere consapevolezza. Per carità, io non sono per buttare via niente, però le promesse in questo tempo di crisi non possono non essere seguite da qualche impegno e, per quanto riguarda gli impegni concreti, lei ha citato gli interventi che su base parlamentare non solo abbiamo condiviso, ma abbiamo anche promosso, come la mobilità elettrica (come sapete bene). C'è stata una discussione e credo che il gruppo del Partito Democratico sia stato quello che ha promosso questo tipo di legislazione e abbiamo visto che ha anche causato delle critiche da grandi organi di stampa nazionali, che francamente mi fanno pensare ad un Paese che guarda al passato, invece che al futuro. Ma, detto questo, gli impianti? Il collega Vico ha detto tante cose, ovviamente condivisibili, e ha parlato di ammortizzatori sociali. Io vorrei invece parlare di impianti e di posti di lavoro. Non è forse chiaro che in questo Paese c'è un patrimonio, fatto di professionalità e di tanto lavoro operaio (me lo lasci dire) oltre che tecnico, che è apprezzato nel mondo? Infatti, spesso tanti modelli di auto europee (non voglio citare marchi) hanno un contenuto di quasi superiore rispetto allo stesso prodotto FIAT. Voglio sapere se siamo in condizione di valorizzare questi aspetti e di costruire delle condizioni necessarie perché si possa mantenere un ruolo di primo piano in questi settori. C'è il settore dell'auto, gli stabilimenti, e per Termini Imerese non si sa che cosa succede, ma si potrebbe parlare anche di Irisbus (il trasporto pubblico). Qui non si capisce: se FIAT non è più interessata, il Governo deve in qualche modo pretendere che quegli stabilimenti possano essere rilevati da aziende importanti, perché non è accettabile che investimenti pagati con i soldi pubblici siano fermi e producano altro debito pubblico, perché la cassa integrazione, che è doverosa verso chi non ha il posto di lavoro, non può essere considerata una soluzione alla crisi. Dice la FIAT che il mercato mondiale è un mercato difficile e che l'Europa è nella situazione che è: benissimo, lo sappiamo e nessuno pensa che ci siano le bacchette magiche o che siano problemi facili da affrontare. Quello che non è accettabile è che tali questioni non siano in primo piano nell'agenda del Governo. Bisogna quindi sollecitare anche il mondo imprenditoriale a fare il proprio dovere, perché altrimenti è chiaro che al Paese, a cui chiediamo sacrifici per uscire da una situazione difficile, non diamo prospettiva. E io sono convinto che le nostre capacità professionali, tecniche, di lavoro siano un elemento da preservare e da sviluppare, in particolare nel settore dell', e vorrei quindi che al di là degli impegni, di tutti i discorsi, costruiamo tutte le condizioni necessarie, purché non si pensi che in fondo l'unico modo di affrontare questi problemi sia di peggiorare le condizioni di lavoro. Sarebbe una miopia, perché se non pensiamo di vincere la sfida della qualità e dell'innovazione, non andiamo da nessuna parte. Abbiamo sollevato tale questione e sapevamo che il Governo più di tanto non ci avrebbe potuto dire, però ha ribadito una notizia importante: l'apertura dei tavoli. Credo che noi torneremo a chiedere come vanno questi tavoli, per sollecitarvi affinché le vertenze sui singoli impianti, anche quelli fuori dal sistema FIAT, come Termini Imerese e la stessa Irisbus, ricevano un momento di attenzione che ci consenta di ripartire da qualche parte, facendo riaccendere quella fiammella assolutamente importante di cui il nostro Paese ha una grande bisogno. D'altra parte, il nostro segretario Bersani ritiene che la politica industriale sia uno dei temi principali su cui ricostruire una riscossa di questo nostro Paese. Noi siamo fiduciosi. Certamente, lo premettiamo per il futuro, perché pensiamo che il nuovo Governo potrà andare avanti in quella direzione, ma credo che non si possano perdere questi mesi che abbiamo di fronte, perché ogni giorno perso determina un piccolo elemento di pessimismo in più di cui non abbiamo bisogno .
. L'onorevole Togni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01673, concernente elementi e iniziative in ordine alla procedura di gara relativa alla cessione dei rami d'azienda della società Asa group di Castellamonte (Torino) .
. Signor Presidente, prima di cominciare l'illustrazione dell'interpellanza vorrei muovere una pacata, ma molto ferma critica al Governo, non personalmente al sottosegretario Vari o al sottosegretario Improta. Questa interpellanza era prevista e calendarizzata per la settimana scorsa. Dalla segreteria del sottosegretario De Vincenti mi arrivò una richiesta se, cortesemente, potevamo rimandarla a questa settimana perché il sottosegretario non poteva essere presente e avrebbe voluto discuterla lui in quanto molto al corrente della situazione. Nonostante l'urgenza, che poi illustrerò, essendo una persona cortese ho acconsentito allo spostamento. Però, vedo che oggi non è stata ricambiata la mia cortesia, non essendo presente di nuovo il sottosegretario De Vincenti, senza nulla togliere agli esponenti del Governo presenti. Detto questo, partirei proprio dall'oggetto dell'interpellanza. Stiamo discutendo di una società pubblica che si chiama Asa group, di Castellamonte in provincia di Torino, che è completamente partecipata da 51 comuni - quindi è una società totalmente pubblica -, la quale è stata portata ad un dissesto finanziario notevole a causa di diverse vicende. Si parla di un disavanzo di circa 80-90 milioni di euro che, per un bacino di utenza di 80 mila abitanti, mi sembra veramente rilevante. Dopo queste problematiche, due anni fa, nel 2010, è stata commissariata dal Ministero dello sviluppo economico, che ha nominato un commissario ministeriale, il dottor professor Ambrosini. Si sono protratte diverse situazioni da allora ad oggi. Non andiamo troppo indietro nel tempo nel cercare le motivazioni di questo dissesto finanziario, ma spero che ci sarà qualcuno che indagherà e farà luce sulle responsabilità di tutti i vari soggetti che hanno portato a questo disastro territoriale. Sta di fatto che una società, che poteva essere ed è stata per un certo tempo un grande punto di riferimento per il lavoro della nostra zona, poteva appunto costituire un'occasione di sviluppo territoriale. Purtroppo, è andata a finire molto molto male. Questo è quanto è successo prima del commissariamento. Dopo il commissariamento, ho incontrato diverse volte il commissario proponendogli diverse soluzioni e, nonostante la sua cortesia e l'avermi ascoltato molto attentamente, però ha preso delle iniziative totalmente non condivise non solo da me, ma anche da gran parte della popolazione, secondo quanto ho potuto constatare. Cosa ha portato tutto questo? Ha portato - torno al discorso che ho fatto prima nella premessa - all'urgenza dell'interpellanza urgente in oggetto. La settimana scorsa era molto urgente perché si voleva dare un segnale ai circa 200 lavoratori che, da due anni, hanno il «fiato sospeso» perché non sanno quale sarà il loro futuro; il 19 settembre scorso hanno indetto una manifestazione permanente addirittura arrivando a gesti estremi come, ad esempio, salire sui tetti, cospargersi di benzina e così via. Non condivido questi gesti perché ciò significa esasperare troppo la situazione, però capisco perfettamente la condizione di queste persone. È per questo che dico che la situazione era già piuttosto delicata, urgente, ma la settimana scorsa lo era ancora di più proprio per la necessità di dare un segnale di solidarietà a questi circa 200 lavoratori. Cosa è successo? Il commissariamento si è protratto per circa due anni, fino ad arrivare al mese di aprile di quest'anno quando, finalmente, è stata indetta una gara sia per il ramo riguardante l'energia - infatti «in ballo» vi è anche un discorso sul teleriscaldamento - sia per il ramo principale della gestione della raccolta dei rifiuti, di cui stiamo parlando e che riguarda, appunto, i 200 lavoratori di cui ho detto. Ho contestato, nella presentazione del bando di gara, l'iter previsto per la gara stessa, e sono stato facile profeta, dicendo che questo tipo di gara sarebbe stata inutile perché sarebbe andata deserta in quanto il bando di gara era molto complesso e si ricercavano determinate situazioni che non potevano, in questo momento di crisi, essere affrontate da soggetti privati, tantomeno da soggetti pubblici. Purtroppo, ripeto, sono stato facile profeta, la gara è stata indetta ed è andata deserta, come avevo previsto puntualmente. La gara è stata riaperta e sono stati modificati i termini dell'offerta economicamente più vantaggiosa; vi è stata quindi una seconda gara, in questo caso, a doppio oggetto e ciò rappresenta il fulcro della non appetibilità della gara stessa. Anche lo stesso Ministero ha detto che si trattava di una delle prime, sperimentali, gare a doppio oggetto. Questo significa che, alla gara del servizio di gestione di raccolta rifiuti, nonostante si sia fatto di tutto per renderla più appetibile possibile (stiamo parlando di 117 milioni di euro posti a base d'asta), è abbinato l'acquisto del ramo di azienda relativo alla società che si occupava della raccolta rifiuti e che si chiamava ASA ambiente. In un primo tempo, nella prima gara, è stato elaborato questo bando che prevedeva una gara con il miglior prezzo in ribasso sulla gestione dei rifiuti e il miglior prezzo in rialzo per il ramo d'azienda. La gara è poi andata deserta, vi è stata la modifica di certi termini e si è previsto, come criterio di aggiudicazione, il miglior prezzo al ribasso in entrambi i casi. Anche questa gara è andata praticamente deserta, malgrado vi siano state delle cosiddette manifestazioni di interesse. Il 19 settembre 2012 il tribunale avrebbe dovuto esprimersi sul fallimento di questa azienda, ma, per fortuna, il buon senso ha prevalso, anche perché se questa azienda malauguratamente andasse verso una procedura fallimentare normale, è chiaro che ai dipendenti e ai lavoratori verrebbe a mancare la copertura del contratto di lavoro nazionale che prevede l'assorbimento di parte dei lavoratori, o di tutti, da parte di chi subentra nella gestione del servizio della raccolta dei rifiuti. Il tribunale, per fortuna, ha rinviato di quarantacinque giorni l' fallimentare. Adesso siamo a questo punto: il commissario, concordando con il consorzio che si occupa della raccolta rifiuti, ha praticamente scelto la strada della trattativa privata, andando ad interpellare le 4-5 aziende che si erano manifestate interessate al bando. Noi vorremmo capire, fondamentalmente, dal Governo, in primo luogo, se ha chiara la situazione e se gli è stata illustrata chiaramente dal commissario stesso e, in secondo luogo, come abbiamo scritto nell'interpellanza urgente, se non era opportuno scindere questo tipo di gara con due appalti diversi, per rendere possibile quello che è il punto di arrivo che tutti ci attendiamo, che è quello della tutela dei lavoratori sicuramente, ma anche della tutela dei cittadini. Infatti, in questo momento emergono rilevanti problematiche anche sotto il profilo della salute pubblica, perché, oltretutto, a questo pasticcio, è andato a sommarsi il fatto che la discarica, che veniva usata per tale bacino è stata chiusa, quindi, oggi come oggi, tutti i rifiuti transitano nella sede centrale dell'azienda, che si trova in mezzo al paese, provocando diverse problematiche ai cittadini che abitano in zona, i quali hanno anche presentato degli esposti in procura in merito. Anche in tal senso dovremo dare loro una mano; dobbiamo sempre coniugare degli interessi, e mi riferisco a quello dei lavoratori, che è sacrosanto e in questo momento è assolutamente primario, tutelando però il bacino d'utenza dei cittadini, che non possono sopportare di avere magari disservizi continui per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti, perché capite bene la situazione: abbiamo avuto esperienze in merito non molto simpatiche in altre zone d'Italia e, quindi, siamo già preparati a queste situazioni. Quindi, vorremmo capire dal Governo se può fornirci qualche indicazione in ordine alle nostre richieste di base, cioè scindere fondamentalmente questo tipo di gara per permettere un più facile accesso alle aziende che possono gestire la raccolta rifiuti.
. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Massimo Vari, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, anche in tal caso vorrei premettere alcune considerazioni di ordine generale, facendo presente che il consorzio ASA, come è noto anche agli onorevoli interpellanti, trova la sua origine nell'iniziativa di quattro comunità montane del territorio dell'Alto Canavese per affrontare i problemi della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati. L'oggetto sociale del consorzio, che nel tempo ha ampliato la propria attività, consiste oggi nell'esercizio dell'attività di gestione dei rifiuti, del ciclo integrato delle acque, della produzione e vendita di ogni tipo di energia e dei servizi di telecomunicazione. A seguito di tale ampliamento di attività, siamo oggi di fronte ad un'impresa che opera sul territorio di cinquantatre comuni - se non vado errato - e per un totale di 80 mila abitanti, offrendo una pluralità di servizi direttamente e/o a mezzo di società del gruppo. In particolare, mentre in capo al consorzio ASA sono state mantenute le attività di tipo energetico, lo stesso consorzio detiene partecipazioni in diverse società, tra cui ASA servizi Srl, controllata al 100 per cento, competente per lo svolgimento di tutte le attività legate al settore dei rifiuti (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento). Ciò premesso, il consorzio, a seguito di una situazione finanziaria non felice, è stato ammesso, con decreto in data 3 maggio 2010 del Tribunale di Ivrea, alla procedura di amministrazione straordinaria. Con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, come ha ricordato l'onorevole interpellante, è stato nominato commissario straordinario il professor Stefano Ambrosini, che ha conseguentemente predisposto il programma previsto dagli articoli 54 e seguenti del decreto legislativo n. 270 del 1999. In particolare, il programma approvato dal Ministero il 15 novembre 2010 ha previsto la cessione dei complessi aziendali del consorzio ASA, all'interno dei quali sono stati distinti due differenti ambiti: da un lato, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, dall'altro, la distribuzione e produzione di energia. In data 29 luglio 2011, il Ministero ha autorizzato l'avvio della procedura di vendita del ramo rifiuti e, in particolare, di due sottorami: il sottoramo «discariche» gestito da ASA mediante affidamento diretto da parte di ATO-R; il sottoramo «raccolta» gestito da ASA in regime di affidamento diretto da parte del Consorzio Canavesano Ambiente. Nel corso della procedura di vendita e precisamente nell'agosto del 2011 è entrato in vigore il decreto-legge n. 138 del 2011, che contiene la nuova regolamentazione del settore dei servizi pubblici essenziali. Pertanto, nel mese di febbraio del 2012, al fine di consentire il buon esito della prevista vendita, il commissario è stato autorizzato a stipulare una convenzione, rispettivamente con i due soggetti affidanti il servizio, allo scopo di avviare una procedura definita a «doppio oggetto» ovvero per la cessione sia dei complessi aziendali di ASA, sia per garantire l'aggiudicazione del servizio. Questa è la ragione di questa procedura, perché la procedura si è resa necessaria al fine di garantire al potenziale acquirente degli la possibilità di esercitare il servizio di smaltimento e di raccolta. Si è valutato che una diversa impostazione avrebbe determinato il probabile insuccesso della gara, anche se poi è successo ugualmente questo inconveniente. Il soggetto aggiudicatario dell'azienda, infatti, (pur obbligandosi a corrispondere il relativo prezzo e ad assumere il personale dipendente), non avrebbe goduto di alcuna garanzia riguardo all'effettiva possibilità di esercitare l'attività di raccolta dei rifiuti, dovendosi sottoporre all'alea di una seconda (e autonoma) procedura competitiva in vista dell'affidamento del servizio. Di qui la scelta di adottare il meccanismo del «bando a doppio oggetto», concentrando in un'unica procedura competitiva l'assegnazione sia dell'azienda sia dell'esercizio del servizio pubblico, in modo da individuare contestualmente un unico soggetto aggiudicatario. E ciò, almeno negli intenti, con gli ulteriori vantaggi di una maggiore rapidità dei tempi del procedimento - almeno questo era negli auspici - della salvaguardia dei livelli occupazionali come pure della continuità del servizio pubblico. A seguito dell'infruttuoso esito del primo esperimento di gara, in data 1o agosto 2012, il commissario è stato autorizzato ad avviare una nuova procedura ad evidenza pubblica. A seguito di questa nuova procedura, in data 10 settembre scorso, è pervenuta da parte del commissario richiesta di autorizzazione alla vendita del complesso aziendale afferente al ramo «discariche» del Consorzio ASA, domanda in corso di valutazione in questo momento. Per quanto invece riguarda il «ramo raccolta» sono pervenute entro il termine previsto, come riferito dal commissario, due offerte non conformi ai requisiti richiesti. Tuttavia, alla luce degli interessamenti pervenuti per l'acquisto del sopracitato ramo, il Consorzio Canavesano Ambiente ha espresso la disponibilità a dare avvio ad una nuova procedura di vendita.
. L'onorevole Togni ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, purtroppo non sono soddisfatto, perché quello che è il punto debole di tutta questa vicenda è proprio il fatto di aver legato a doppio filo l'aggiudicazione del servizio di raccolta con l'acquisizione del ramo d'azienda. Perché? Per due motivi fondamentali. Innanzitutto, perché questo ramo di azienda è stato valutato intorno ai 7 milioni di euro: sfido chiunque a trovare oggi, con le ristrettezze finanziarie che ci sono, un privato che svolga questa attività disponibile o, addirittura, che abbia la possibilità di essere finanziato per acquisire un ramo d'azienda che, fondamentalmente, è sovradimensionato per quello che è la gestione e la raccolta dei rifiuti di cui si deve occupare chi prenderà, appunto, la gestione stessa. In altri termini, la società che vince la gara di appalto per la gestione e la raccolta dei rifiuti, per ristrutturarsi, per fare questo tipo di raccolta, per avere il suo cantiere, avrebbe ipoteticamente bisogno, gli basterebbe, un terzo di quello che è il ramo d'azienda che vogliono vendergli. Questo fondamentalmente è il nostro problema. La nostra preoccupazione - e spero di essere smentito - è quella proprio che, pur essendoci stata manifestazione di interessi, si vada verso un'ulteriore gara deserta. Perché? Perché è ovvio che un privato che vede la possibilità di aggiudicarsi, dopo il fallimento, la gestione, con una gara normale e di non dover sborsare «x» milioni di euro per acquisire il ramo d'azienda, tenderà a portare avanti il più possibile la trattativa verso quella soluzione. Ed è quello che noi vogliamo evitare per tutelare i lavoratori. Pertanto, sollecito ancora una volta il Governo a verificare effettivamente se non ci sia la possibilità di slegare le due cose, perché, secondo me, è il punto debole, debolissimo, di tutta questa operazione. In più, dobbiamo anche dire alcune cose che sono sicuramente poco simpatiche. Oltre a questo che si sta verificando ora, prima di indire la gara, prima di esperire la gara, il commissario, il presidente del consorzio Canavesano Ambiente, eccetera, avevano addirittura sollecitato - nonostante la mia presa di posizione in alcune assemblee pubbliche contraria, dicendo proprio che non era possibile la soluzione che prospettavano - convincendo i comuni a finanziare una nuova società - una - che avrebbe dovuto, secondo i loro calcoli, sostituire l'ASA con l'affidamento diretto del servizio di raccolta; e sappiamo tutti che ciò non è più possibile, perché le leggi lo impediscono. Anche questo comportamento, sinceramente, non è stato molto apprezzabile dal punto di vista proprio dell'etica della gestione dei servizi pubblici e degli enti locali. Infatti, adesso, gli enti locali hanno fatto una società, l'hanno finanziata - ci sono circa 400 mila euro di capitale sociale che i comuni, penso, abbiamo dovuto mettere a bilancio - e ora si tratta di andare a liquidarla, perché è svuotata di ogni tipo di interesse. Anche questo, secondo me, non è una medaglia su tutta questa vicenda. Spero veramente che il Governo si interessi a questa situazione perché nella nostra zona, che è l'alto canavese, a nord di Torino, verso la valle d'Aosta, i problemi lavorativi e quelli relativi alla carenza di lavoro si stanno facendo sentire in maniera preoccupante anche per il profondo nord. Quindi vi solleciterei e vi ringrazio, comunque, della vostra risposta.
. L'onorevole Misiti ha facoltà di illustrare l'interpellanza Terranova n. 2-01661, concernente iniziative per garantire la correttezza delle fasi di esecuzione contrattuale relative agli affidamenti diretti in essere tra i e le società locali nei territori della Calabria e della Sicilia di cui è cofirmatario.
. Signor Presidente, l'interpellanza urgente è stata sottoscritta da varie parti di questo Parlamento, sia da deputati del centro, che della destra e della sinistra, insieme a tutti e dieci deputati di Grande Sud. Questo ha un significato perché si capisce che quello che si dice nella nostra interpellanza è un fatto condiviso da tutto il territorio, non solo dal territorio della Sicilia e della Calabria, e io credo che le considerazioni si possano estendere al di là dei confini di queste due regioni. Addirittura si può pensare anche ad una riflessione più approfondita sulla validità della figura del contraente generale nel nostro codice dei lavori pubblici, dei contratti e delle forniture. Infatti, è evidente che questa figura è stata introdotta sulla base di figure simili esistenti in altri Paesi, dove, evidentemente, c'era una situazione diversa dalla nostra. Ed era stata introdotta per grandi progetti che superassero i 200 milioni di euro; successivamente, invece, questa figura si è allargata ed è stata diffusa per appalti molto più contenuti, dimensionalmente più piccoli e, quindi, si è diffusa questa pratica. Nel nostro Paese c'era già un diaframma tra lo Stato e l'impresa esecutrice che era, nel campo stradale e autostradale, l'ANAS, nel campo ferroviario, le Ferrovie dello Stato con le sue innumerevoli società. Introdurre un'ulteriore struttura, tipo il contraente generale, che rappresenta esattamente e si sostituisce totalmente allo Stato nell'esecuzione dei lavori, è stata una forzatura, un esperimento che, a mio avviso, dopo questo decennio di sperimentazione, va assolutamente ripensata e forse non è utile all'attività delle costruzioni nel nostro Paese. Lo dice la nostra interpellanza urgente, con i comportamenti - in generale, non tutti certamente fanno la stessa cosa - dei contraenti generali nelle grandi opere pubbliche della Sicilia e della Calabria. Io posso dire benissimo della Campania, ma anche delle regioni del nord. E qual è questo comportamento? Questo comportamento viene denunciato in questo periodo, evidentemente ancora più critico, dovuto al fatto che c'è una crisi di carattere generale, c'è una crisi di cassa anche per gli investimenti sulle infrastrutture, c'è una ricerca spasmodica e non si riesce a fare, perché non credo vi siano idee chiare per cercare di attrarre capitali privati o, comunque, fondi provenienti da tutto il mondo verso un'attività di costruzione di grandi opere pubbliche del nostro Paese come avviene in altri. Ebbene, c'è questo problema che il contraente generale si inserisce in questa situazione critica, nel nostro Paese, di mancanza o di riduzione degli appalti, di crisi delle costruzioni, di un numero sempre più grande di disoccupati nel settore e così via, con un atteggiamento che, praticamente, aggrava la situazione oggettiva esistente. Che cosa fanno in generale, come giustamente denunciano le associazioni delle piccole e medie imprese sia in Calabria che in Sicilia? Loro denunciano che, per esempio, il contraente generale facendo le funzioni dell'ANAS, per quanto riguarda la costruzione delle strade, o delle ferrovie, quando si tratta di costruire infrastrutture ferroviarie, in effetti, non certifica i SAL, e cioè lo stato di avanzamento dei lavori, per la liquidazione di questi singoli stati di avanzamento o lo certifica con gravissimo ritardo e, quindi, le imprese che sono state scelte dal contraente generale per realizzare l'opera - ecco perché dico che qui il contraente generale potrebbe non esserci perché poteva essere direttamente l'ANAS - devono essere certificate per poter chiedere il dovuto per i lavori già effettuati. Questo viene meno o comunque viene ritardato nel tempo con grave danno alle aziende e alle imprese che investono i propri capitali per realizzare dei lavori che non vengono pagati nei tempi contrattualmente stabiliti. Inoltre, c'è una assoluta mancanza di tempi certi di questi pagamenti, voi sapete che ogni impresa deve fare suo bilancio, e quindi, non essendoci tempi certi, molte imprese hanno una crisi di liquidità e rischiano di fallire, specialmente se si tratta di piccole imprese. Ancora, ad esempio, sappiamo che in seguito ai contratti che il contraente generale stipula con le imprese realizzatrici dell'opera, queste imprese si fanno anticipare dalle banche dei fondi presentando le fatture che sono emesse a carico del contraente generale. Il contraente generale non fa facilmente il ripianamento delle anticipazioni concesse alle società locali dagli istituti bancari e quindi anche questo fatto negativo si aggiunge per il bilancio delle imprese. Inoltre, in questo momento di crisi, approfittando proprio del momento di stress finanziario delle stesse imprese, il contraente generale dovrebbe in qualche misura fare fronte, acquistare le riserve che le imprese propongono per il lavoro che stanno svolgendo; ebbene, le riserve delle imprese vengono, sì acquisite dal contraente generale ma, approfittando dello stress finanziario delle stesse, le riserve vengono acquisite a prezzi stracciati; quindi, le imprese investono cento ed il contraente generale gliene riconosce magari cinquanta. Il che significa che quelle imprese sono tutte sull'orlo del fallimento. Quindi, questo è un fatto estremamente ingiustificato, sia nei ritardati pagamenti sia in questi cavilli che il contraente generale fa. Questo, rappresentando lo Stato o comunque la concedente dello Stato, l'ANAS, si dovrebbe comportare come lo Stato e non come un'impresa ingorda che tende a salvaguardare il proprio bilancio, anzi a rimpinguare la propria cassa attraverso una specie di raccolta di finanziamenti a carico delle imprese esecutrici dei lavori. Quindi, ciò crea una grandissima contraddizione che deriva dal fatto che questi contraenti generali si sentono in una posizione dominante, come per esempio l'ANAS, ma l'ANAS non ha affatto interessi per la propria cassa. L'ANAS ha interesse a che si svolgano i lavori, che si abbia il finanziamento da parte dello Stato, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e di quello delle infrastrutture e dei trasporti, e quindi ha interesse generale, mentre il contraente generale, essendo sempre in genere un privato, o comunque aziende private, ha interessi completamente diversi, che mal si conciliano con gli interessi generali del Paese.
. Quindi, queste ritardate certificazioni, questi ritardati o addirittura mancati pagamenti dei crediti contrattuali stabiliti all'interno dei contratti che questi contraenti generali fanno con le aziende esecutrici locali provocano una crisi finanziaria ed economica artificiosamente indotta, in cui tutte le società locali versano in questo momento, e non soltanto una parte, ma la totalità di queste società. Pertanto, per impedire il drenaggio di risorse finanziarie da parte del contraente generale verso queste piccole e medie imprese, sarebbe a nostro avviso necessario un'iniziativa da parte del Governo: verificare formalmente come mai succede questo e ripristinare la correttezza giuridica nelle fasi di esecuzione delle opere pubbliche nel nostro Paese. Ci aspettiamo che il Governo intervenga, altrimenti non può che esservi una possibilità per noi, come Parlamento, di proporre - e lo faremo con tutte le parti politiche di questo Parlamento - di modificare la norma e, a mio avviso, abolire per legge la figura del contraente generale.
. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Guido Improta, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, con riferimento alla richiesta degli onorevoli interpellanti, in via generale, informo che ai sensi dell'articolo 163 del decreto legislativo n. 163 del 2006, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti svolge, tra l'altro, le attività di supporto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, delle attività di affidamento da parte dei soggetti aggiudicatori e della successiva realizzazione delle infrastrutture. In particolare, con circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 17 aprile 2008, sono stati disciplinati modalità, tempi e ruoli delle attività di monitoraggio del programma per le infrastrutture strategiche e l'aggiornamento telematico dei dati relativi alle singole opere da parte dei soggetti aggiudicatori; inoltre, con la stessa circolare, sono stati individuati i dati oggetto delle rilevazioni che devono essere forniti da parte dei responsabili di procedimento (RUP) nominati dai soggetti aggiudicatori. I dati vengono forniti dai RUP con periodicità trimestrale e consentono un continuo controllo sull'andamento della realizzazione delle opere e sul rispetto dei cronoprogrammi di esecuzione inerenti a ciascun progetto definitivo approvato dal CIPE. Faccio altresì presente che nel febbraio 2011 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra il Ministero e la Guardia di finanza che, nel definire i criteri e le modalità di collaborazione nell'attività di sorveglianza delle grandi opere, prevede, tra l'altro, lo scambio di informazioni e di ogni altra notizia di interesse di polizia economico-finanziaria nonché l'effettuazione di controlli congiunti. Ritengo opportuno sottolineare che in tale ambito questo Governo è intervenuto sin dai primi provvedimenti legislativi approvati. In particolare, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha previsto l'inserimento della lettera nell'articolo 163, comma 2, del codice dei contratti pubblici. In base a tale norma il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti verifica lo stato di avanzamento dei lavori anche attraverso sopralluoghi tecnico-amministrativi presso i cantieri interessati, previo accesso agli stessi; a tal fine può avvalersi, ove necessario, del Corpo della guardia di finanza mediante la sottoscrizione di appositi protocolli d'intesa. La citata disposizione ha, dunque, introdotto un ulteriore strumento di verifica in materia di opere strategiche in tutte le fasi contrattuali, al fine di evitare rallentamenti nell'esecuzione delle opere, comprese le eventuali problematiche di carattere finanziario intercorrenti nei rapporti tra il e le imprese locali subaffidatarie. Con la stessa disposizione si è così inteso rafforzare il ruolo della struttura tecnica di missione e del servizio per l'alta sorveglianza delle grandi opere, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che, nell'ambito della citata attività di monitoraggio e vigilanza sull'avanzamento delle attività progettuali, possono individuare le criticità nelle fasi di esecuzione dei lavori ed elaborare proposte ed iniziative per la risoluzione delle stesse. In tale quadro, tutto ciò che è causa di ritardi nella realizzazione delle opere potrà essere oggetto di segnalazione al CIPE, alla Corte dei conti, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, nonché alla Guardia di finanza. Occorre, da ultimo, sottolineare che attraverso la banca dati presso la struttura tecnica di missione sono raccolte tutte le informazioni riguardanti i subcontratti ed i subcontraenti che a diverso titolo entrano a far parte della filiera delle lavorazioni di ciascuna opera strategica. La procedura consente non solo di adempiere agli obblighi di prevenzione dalle infiltrazioni criminali negli appalti pubblici, ma anche di sviluppare, con puntuale riferimento alla realizzazione delle infrastrutture strategiche, una analisi attenta del relativo indotto socioeconomico. Più in particolare, in relazione a quanto segnalato dagli onorevoli interpellanti, è di tutta evidenza che la specifica situazione è senza dubbio grave e preoccupante per la tenuta dell'intero tessuto imprenditoriale nelle regioni Calabria e Sicilia, in un momento assai delicato della storia nazionale. La prospettata casistica che sintetizza le macroscopiche alterazioni del sinallagma contrattuale è la medesima che purtroppo, sempre più spesso, caratterizza, su tutto il territorio nazionale, i rapporti dell'appaltatore con i propri subappaltatori o fornitori, tutti chiamati di regola a «prefinanziare» la rispettiva attività, con conseguente esposizione laddove si interrompa il ciclo ordinario dei pagamenti in capo all'appaltatore stesso. In altri termini, trattasi di una tematica che riguarda non solo i lavori della Salerno-Reggio Calabria o la Jonica, ma anche, e forse soprattutto, le migliaia di comuni, stretti da tempo nei vincoli del Patto di stabilità interno che impediscono loro di pagare somme, grandi e piccole, alle imprese affidatarie di appalti e cottimi, somme che, quindi, non possono venire trasferite ai relativi subcontraenti. Faccio presente, al riguardo, che, lo scorso 30 luglio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha ricevuto dall'AGI, l'associazione di categoria che in seno all'ANCE rappresenta i una nota inviata anche al Ministero dell'economia e delle finanze, in cui si lamenta, per le opere in questione, l'esistenza di debiti per lavori scaduti per i quali non era stato ancora previsto il pagamento, nonché di debiti per lavori di imminente scadenza. Per risolvere la specifica situazione segnalata, proprio in questi giorni, si stanno verificando insieme con il Ministero dell'economia e delle finanze tutte le possibili soluzioni, al fine di garantire il trasferimento all'ANAS delle risorse finanziarie richieste dalle imprese per i lavori eseguiti. Assicuro che il Ministero avrà cura di verificare, tramite la stessa ANAS, che le somme una volta erogate raggiungano tutti gli aventi diritto sia in quanto affidatari diretti che subappaltatori e fornitori e, più in generale, valuterà l'opportunità di modificare le norme vigenti per ovviare alle situazioni rappresentate dagli onorevoli interpellanti.
. L'onorevole Misiti ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Improta che ci ha ricordato le questioni che abbiamo affrontato anche in quest'Aula e i provvedimenti che abbiamo approvato, anche su proposta del Governo, ma che comunque non hanno portato a dei risultati ancora tangibili in modo tale che siano superate le difficoltà delle imprese che abbiamo segnalato. Tuttavia, credo che sia pure positivo il riconoscimento da parte del Ministero, e quindi del Governo, della situazione difficile che hanno gli stessi contraenti generali, nel senso che l'ANAS, il Ministero e il Governo spesso non fanno fronte nei tempi necessari ai pagamenti delle opere già realizzate. Questa è una sofferenza che evidentemente è grave, ma è senz'altro meno grave della sofferenza che hanno le piccole imprese. Infatti, le grandi imprese hanno diverse opportunità, e comunque hanno rapporti, lavorano in campo nazionale e internazionale, hanno contratti diversi, nonché una consistenza e un patrimonio molto più alti. Noi qui abbiamo messo in rilievo l'importanza degli interventi a favore di imprese che hanno patrimoni piccoli, che hanno un numero di dipendenti limitato, ma che comunque sono moltissime. Quindi, il numero di dipendenti è elevatissimo e ciò può pertanto mettere in ginocchio l'economia di un'intera regione, ad esempio il settore delle costruzioni. Perciò abbiamo la necessità che siano realizzati quegli impegni che, per ultimo, il sottosegretario Improta ha riconosciuto aver preso il Governo, che sta andando avanti in quella direzione. Credo che bisogna accelerare e comunque verificare rapidamente che i pagamenti avvengano nei tempi il più possibile ridotti in modo tale da salvaguardare l'integrità di queste aziende, soprattutto in territori depressi, dove l'economia è crollata con molta più rapidità e accelerazione rispetto ad altri. È bene salvaguardare queste imprese perché ciò può portare anche un contributo positivo alla ripresa economica generale. Sono convinto che, se si procede in questa direzione, non solo nel Mezzogiorno, ma anche nell'intero Paese, come giustamente faceva riferimento il sottosegretario, questo settore possa rappresentare invece il motore della ripresa economica italiana.
. L'onorevole Laboccetta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01676, concernente iniziative per scongiurare il rischio di un prolungato arresto dei lavori relativi alla stazione dell'alta velocità di Afragola (Napoli) .
. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, le ragioni per cui è stata presentata l'interpellanza, da parte mia, della collega Pina Castiello e di altri cinquantacinque deputati, nascono da una preoccupazione che investe sia il futuro di un'opera pubblica strategica, qual è la costruzione della stazione dell'alta velocità di Afragola, cui - lo ricordo - sono destinati fondi pubblici per 80 milioni di euro, sia il futuro di un numero cospicuo di aziende campane, che dai lavori eseguiti su quel cantiere hanno subito perdite pesanti e che sono pertanto tutte o quasi tutte a rischio di fallimento. Questa preoccupazione si è aggravata ulteriormente dopo aver letto le dichiarazioni rese a mezzo stampa, proprio nei giorni scorsi, da Rete ferroviaria italiana. Secondo quanto dichiarano le Ferrovie, la ripresa dei lavori su quel cantiere, da quel che comprendiamo, oggi sostanzialmente è una specie di miraggio. Penso che l'ingegner Moretti abbia delle precise responsabilità su questa vicenda e che non possa fare più il distratto. Lo dico con rispetto, ma con profonda convinzione, e penso e spero che il Governo se ne voglia rendere conto una volta per sempre. Il contratto per la progettazione e l'esecuzione dei lavori della stazione di Afragola, a suo tempo concluso tra RFI e l'impresa Dec, è stato risolto perché quest'ultima è stata inadempiente. Il sequestro giudiziario, che è stato disposto pochi giorni fa dal tribunale di Milano a favore di una società terza, la Peri Spa, impedisce oggi sia a RFI che a qualunque terzo di svolgere ogni possibile attività sul cantiere stesso e dunque anche quella di ripiegare il cantiere, ovvero di riprendere i lavori. Per questo solo fatto è inattendibile, dal nostro punto di vista, la dichiarazione di RFI, ripresa pochi giorni fa da un giornale campano, il più importante giornale del Mezzogiorno, il 21 settembre, per cui quest'ultima avrebbe incaricato l'impresa Dec, già esecutrice dei lavori, di rimuovere i materiali e le attrezzature presenti in cantiere. Anzi, proprio perché la società RFI dichiara di voler rimuovere le strutture di cantiere, ciò significa che, a nostro giudizio, non ha intenzione di riprendere i lavori. In ogni caso, la scelta di RFI di affidare proprio alla Dec l'incarico di rimuovere il cantiere è, secondo noi, illogica perché sembra chiaro che RFI voglia solo fingere di occuparsi del problema. Si tratta, infatti, di un incarico il cui svolgimento richiede un esborso finanziario pesantissimo, nonché un investimento in termini di tempo, mezzi e manodopera incompatibile con la situazione in cui versa oggi questa società, la Dec. Basta dire che questa società ha presentato domanda di concordato preventivo ed è, quindi, a rischio di fallimento. Non ha onorato alcuno dei debiti contratti con i fornitori e con i subappaltatori durante l'esecuzione dei lavori per oltre 6 milioni di euro. Ha subito una risoluzione contrattuale per inadempimento, non essendo in grado, anche finanziariamente, di portare a termine i lavori. Sicché è del tutto velleitario il solo pensare che proprio la Dec sia in grado o abbia interesse a eseguire un incarico che, sostanzialmente, è in perdita. È evidente, quindi, dal nostro punto di vista, che per un motivo o per un altro la volontà di RFI sia quella di sospendere i lavori, per riprenderli poi chissà quando. Questo è tanto vero che la stessa RFI ci viene a raccontare di non essere ancora riuscita a contattare l'impresa seconda classificata nella gara di appalto (svolta a suo tempo), che potrebbe subentrare alla Dec nell'esecuzione dei lavori. Questo è avvenuto a distanza di tre mesi dalla risoluzione del contratto e di ben otto mesi dalla sospensione di ogni attività lavorativa su quel cantiere. Il totale disinteresse alla ripresa dei lavori è dimostrato anche dalla dichiarazione di RFI, resa agli organi di stampa, secondo cui il progetto esecutivo dell'opera dovrà certamente essere rielaborato dalla ditta che sarà chiamata a riprendere i lavori in sostituzione della Dec. Si tratta, secondo noi, di un'affermazione molto grave, perché il progetto esecutivo della stazione alta velocità è stato già verificato e approvato dalla stessa RFI e, quindi, dovrebbe essere soltanto eseguito. Sicché delle due l'una: o RFI ha consapevolmente approvato un progetto non cantierabile; ovvero, si è accorta solo in corso d'opera di averlo approvato erroneamente. In ogni caso, sussiste a pieno la responsabilità di RFI e non è una responsabilità secondaria, signor sottosegretario, considerando che sia la variazione di un progetto, sia il tempo che inutilmente decorrerà sino alla ripresa dei lavori faranno certamente lievitare pesantemente i costi dell'opera. Per queste ragioni, chiediamo al Governo di intervenire, perché la gestione sconsiderata dell'appalto da parte di RFI rischia di costare alle casse dello Stato svariati milioni di euro, senza nessuna certezza di portare a compimento un'opera strategica qual è la stazione di Afragola. Si tratta di una questione pesante sulla quale precedentemente anche l'onorevole Castiello e tutti i parlamentari della Campania si sono attivati e mobilitati. Cos'altro dobbiamo fare? Personalmente, ho esaminato le carte di questo appalto e balza agli occhi, con un'evidenza solare, la connivenza tra l'impresa appaltatrice e la Italferr, organo di controllo del cantiere e dei lavori designato da RFI e appartenente al medesimo gruppo societario. La Italferr ha tollerato passivamente per quattro mesi che la Dec sospendesse i lavori senza alcuna valida ragione e questa sua inerzia ha dato a Dec tutto il tempo necessario per mascherare la gravità della sua crisi, a danno dei fornitori e dei subappaltatori che hanno, invece, continuato a lavorare e a fornire i materiali, ignari che in tal modo stavano aprendo le porte alla propria crisi d'impresa. Non è importante, in questo momento, sapere quali siano le ragioni per cui l'ente appaltante e l'organo di direzione dei lavori, l'Italferr, hanno protetto gli interessi della Dec a danno dell'opera pubblica e di tutti i fornitori e subappaltatori coinvolti nella sua realizzazione. Potrebbe essere un interesse, da parte nostra, di natura solo politica, poiché sia RFI sia Dec, come si sa, hanno un unico ben noto referente politico; ovvero, potrebbe esservi dell'altro, ma in questo caso sarebbe compito della magistratura accertare eventuali responsabilità come, del resto, già sta emergendo dalle indagini in corso, dagli arresti e dai processi. Ciò che è importante, dal nostro punto di vista, adesso è, invece, salvaguardare gli interessi delle aziende coinvolte che, come già evidenziato, sono a rischio - lo ripeto - di fallimento. Basti pensare che due piccole imprese subappaltrici di Dec vantano crediti per circa 2 milioni e mezzo di euro. Anche la prefettura e i sindacati sono stati coinvolti nella gestione del problema, perché questa crisi coinvolge lavoratori e famiglie a rischio di povertà. L'unico soggetto rimasto inerte è proprio RFI. Eppure, nel giugno scorso quest'ultima era stata delegata da Dec a pagare direttamente i propri subappaltatori. RFI non l'ha fatto, anzi ha tenuto un atteggiamento ostile nei confronti di tutte queste imprese. Ci sono comunicazioni di RFI e di Italferr, infatti, nelle quali queste ultime rifiutano a chiare lettere ogni forma di collaborazione con le imprese subappaltatrici malgrado i loro problemi siano stati frutto anche del comportamento inerte e connivente di chi, per legge e per funzioni, era invece chiamato a garantire la corretta esecuzione dei lavori. Vale la pena di evidenziare, per tutte, che RFI non ha neanche preso in considerazione la richiesta delle imprese di fare eseguire direttamente, sostituendosi a Dec, alcune lavorazioni urgenti. Ci si riferisce proprio a quelle lavorazioni che avrebbero consentito, se realizzate, di restituire alla ditta Peri tutte le imponenti attrezzature che quest'ultima oggi ha sottoposto a sequestro. Avremmo risolto così un grande problema. In pratica, il rifiuto di RFI ha costretto le imprese subappaltatrici ad indebitarsi con Peri del tutto inutilmente per pagare gli ingenti costi di noleggio delle attrezzature, senza poterle frattanto né utilizzare, né rimuovere per non compromettere la sicurezza del cantiere. Ha costretto, inoltre, la Peri a richiedere il sequestro al tribunale di Milano, perché si tratta di attrezzature estremamente costose che non possono restare abbandonate in un cantiere. A questo punto, non chiediamo, signor sottosegretario, una risposta vaga o, come spesso avviene, burocratica, ma chiediamo un intervento deciso al Governo perché i lavori riprendano nel rispetto della legalità, tutelando contestualmente i diritti di tutti i soggetti: imprese, fornitori e lavoratori. Si tratta di un intervento che va effettuato con urgenza perché il tempo, non solo pregiudica gli interessi delle imprese coinvolte, ma anche - come l'esperienza insegna e dimostra - fa lievitare enormemente i costi. Non vorremmo che qualcuno stesse giocando proprio per far lievitare i costi di quest'opera.
. Il Sottosegretario di Stato per le infrastrutture ed i trasporti, Guido Improta, ha facoltà di rispondere.
, . Signor Presidente, come ricordava l'onorevole Laboccetta, la problematica è stata evidenziata già nel maggio scorso dall'onorevole Castiello. Sulla base delle informazioni assunte da Rete ferroviaria italiana, che però alla luce di quanto ho ascoltato in Aula mi riservo poi di andare a verificare ulteriormente, ritengo opportuno, innanzitutto, inquadrare brevemente le principali vicende contrattuali che hanno portato all'attuale situazione. Con delibera n. 24/2012 del 18 luglio 2012, la società RFI ha disposto la risoluzione del contratto n. 9/2009 del 7 luglio 2009 per grave inadempimento dell'ATI Dec, appaltatrice dei lavori in argomento. La decisione è stata assunta non appena la situazione di inadempimento dell'ATI Dec, sia nella conduzione dei lavori, sia nei rapporti con subappaltatori e dipendenti, ha assunto connotati tali da non far più ritenere possibile una corretta realizzazione dell'opera appaltata. A seguito della disposta risoluzione contrattuale, sono state avviate le attività, richieste dalla legge e dal contratto, di accertamento delle lavorazioni eseguite alla data della risoluzione e di ripiegamento del cantiere, propedeutiche alla chiusura tecnico-contabile dell'appalto e al riaffidamento dei lavori a nuovo appaltatore. Durante lo svolgimento di tali attività, la disponibilità delle aree di cantiere, comprensiva dell'obbligo della necessaria custodia, a termini di legge e di contratto, resta in capo all'ATI appaltatrice fino alla formale riconsegna delle aree a RFI, che avverrà non prima della redazione dello stato di consistenza dei lavori. In parallelo con la liberazione delle aree, sono in corso le verifiche, da parte del committente, per l'individuazione della procedura di affidamento dei lavori di completamento dell'opera, in linea con la normativa vigente. Per quanto riguarda l'interesse manifestato dal secondo classificato nella gara originaria di appalto a subentrare nell'appalto, nel confermare che è facoltà della stazione appaltante, ai sensi dell'articolo 140 del codice dei contratti pubblici, avvalersi della possibilità di interpellare i partecipanti alla gara di appalto in ordine decrescente di ribasso, si precisa che il committente deve valutare attentamente se avvalersi di tale facoltà in alternativa ad una procedura di gara ad evidenza pubblica ordinaria, avendo come obiettivo prioritario la salvaguardia dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera. In merito al mancato pagamento da parte dell'ATI Dec delle fatture dei subappaltatori, la direzione lavori di Italferr ha invitato a più riprese l'ATI inadempiente a regolarizzare la situazione debitoria nei confronti delle imprese subappaltatrici e fornitrici e a riprendere le lavorazioni. Perdurando l'inadempienza, RFI ha disposto, in data 11 maggio 2012, il blocco dei pagamenti degli stati d'avanzamento dei lavori a partire dal mese di ottobre 2011, in conformità a quanto previsto dall'articolo 118 del codice dei contratti pubblici. Allo stato, il totale dei debiti per fatture verso l'appaltatore è pari a circa 2,3 milioni di euro, il cui pagamento è tuttora bloccato, anche a seguito degli intervenuti pignoramenti, notificati a Ferrovie, ad opera di alcuni creditori. Preciso, al riguardo, che il verbale di sospensione redatto tra l'ATI appaltatrice ed uno dei suoi subappaltatori è stato contestato dal committente, il quale, per il tramite della Italferr, ha richiamato l'ATI appaltatrice al rispetto degli impegni contrattuali assunti e diffidato l'ATI stessa dal sospendere i lavori. Inoltre, i mancati pagamenti delle retribuzioni dei dipendenti sono stati contestati più volte all'ATI dalla committenza; da ultimo RFI, in relazione a quanto previsto dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, ha provveduto, surrogandosi all'ATI inadempiente, a corrispondere gli emolumenti relativi alle retribuzioni nette spettanti direttamente alle maestranze dei subappaltatori coinvolte, nonché a mettere a disposizione dei competenti enti le somme quantificate per i relativi oneri contributivi. Per quanto attiene, poi, alla richiesta formulata dai subappaltatori al committente di far eseguire d'ufficio i lavori, non avrebbe potuto essere accolta, pur tenendo conto degli importi in gioco, considerato che non è consentito procedere a trattative private senza confronto concorrenziale se non nei rigorosi limiti previsti dalla normativa vigente. Per quanto riguarda, ancora, la concessione di una proroga di 134 giorni (in luogo comunque dei circa 350 giorni richiesti dall'ATI), questa ha avuto ad oggetto fatti pregressi, cioè antecedenti la scadenza dei termini contrattuali, e ha costituito pertanto un atto dovuto, in quanto, se non fosse stata formalizzata, avrebbe potuto ingenerare oneri a carico del committente nella successiva sede giudiziale. Infine, una volta accertata definitivamente l'impossibilità di completare i lavori e risolto il contratto, in ossequio alla disciplina di legge e contrattuale, il committente ha invitato l'ATI ad accertare in contraddittorio lo stato dei lavori e ad attivarsi per rimuovere i materiali presenti in cantiere, avvertendo la stessa che, in caso di inadempienza, le relative attività saranno svolte direttamente dal committente tramite altre imprese, in danno dell'ATI stessa. Assicuro che il Governo seguirà con la massima attenzione l'evolversi della vicenda, al fine di pervenire nei tempi più brevi possibili alla ripresa delle attività di cantiere.
. L'onorevole Laboccetta ha facoltà di replicare.
. Signor Presidente, signor sottosegretario, come temevamo la risposta del Governo non ci tranquillizza: è una risposta, come avevo immaginato e anche detto, meramente burocratica e sicuramente ci spinge a tornare successivamente su questo tema con atti. Noi ci saremmo aspettati una maggiore sensibilità da parte del Governo nei confronti di quest'opera, che rappresenta un fattore di creazione di ricchezza e di stimolo, anche per la produzione del reddito nazionale. Il punto non è solo questo, poiché una vostra azione costituirebbe elemento essenziale per l'implementazione occupazionale, il che significa non solo aumento dei posti di lavoro in una regione difficile qual è la nostra, la Campania, ma contratti stabili, a tempo indeterminato, ed aumento del PIL. Oltre ai dati prettamente occupazionali, deve darsi importanza, a nostro giudizio, anche a ciò che significherebbe la creazione di una nuova stazione ferroviaria. Si prenda, ad esempio, il caso di grandi stazioni: penso alla città di Roma e alla stazione Roma Termini, che non è solo un bel luogo di partenze e arrivi, ma possiamo configurarla come vero e proprio centro propulsivo di vita. Il territorio di Afragola, dove risiede l'onorevole Castiello e tanti altri amici che oggi noi qui ci permettiamo di rappresentare, si trova in una situazione di maggiore necessità in tal senso e, visto anche l'alto tasso di criminalità, la stazione funzionerebbe da stimolo per consentire un miglioramento delle condizioni di vivibilità dell'intera area. Oltre alla riqualificazione urbanistica che ne deriverebbe, tutto questo consentirebbe la nascita di un'efficiente polarità urbana, che garantirebbe un'immagine certamente più funzionale del Mezzogiorno e, in particolare, della sua grande capitale, Napoli. Vista l'attuale situazione che investe il meridione, ci sentiamo in dovere di richiamare con forza l'attenzione del Governo sul tema, anche nei rapporti e nei confronti delle Ferrovie, perché, solo agendo in maniera incisiva - e non mi pare che sino ad ora tutto ciò sia avvenuto, lo dico con rispetto, ma è un dato di fatto -, si può dare una svolta alle criticità che ostacolano lo sviluppo soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. Pertanto, ci aspettiamo che il Governo si sensibilizzi maggiormente verso tale questione e consenta un'accelerazione di certi processi con un colpo di «remi» - non di reni -, che dimostri finalmente un'attenzione maggiore verso il sud Italia.
. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.