CATERINA PES, legge il processo verbale della seduta del 6 marzo 2015.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Dorina Bianchi, Stella Bianchi, Michele Bordo, Boschi, Bratti, Brunetta, Caparini, Capezzone, Cimbro, Cominelli, D'Alia, De Girolamo, Epifani, Fedriga, Fico, Manciulli, Pisicchio, Polverini, Realacci, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Speranza, Valeria Valente, Vignaroli, Zanetti e Zolezzi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente novantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, n. 2613-A: Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione; e degli abbinati progetti di legge costituzionale nn. 8, 14, 21, 32, 33, 34, 148, 177, 178, 179, 180, 243, 247, 284, 329, 355, 357, 379, 398, 399, 466, 568, 579, 580, 581, 582, 757, 758, 839, 861, 939, 1002, 1259, 1273, 1319, 1439, 1543, 1660, 1706, 1748, 1925, 1953, 2051, 2147, 2221, 2227, 2293, 2329, 2338, 2378, 2402, 2423, 2441, 2458 2462, 2499.
Ricordo che nella seduta di ieri si è concluso l'esame degli ordini del giorno.
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Albrecht Plangger. Ne ha facoltà.
ALBRECHT PLANGGER. Signora Presidente, onorevoli parlamentari, signora Ministra, che però non è ancora arrivata, signor sottogretario, che saluto cordialmente, la componente Minoranze Linguistiche SVP ha atteso questa riforma e ha dimostrato di voler contribuire attivamente affinché questa legislatura fosse una legislatura costituente.
Tra gli aspetti, per noi, fondamentali di questo processo di revisione costituzionale vi sono il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione significativa del numero dei parlamentari e la trasformazione del Senato in una vera Camera di rappresentanza delle autonomie territoriali, sul modello del Bundesrat tedesco. Purtroppo, con questa riforma, questi obiettivi vengono raggiunti solo in parte: mentre viene superato il bicameralismo paritario e ridotto il numero complessivo dei parlamentari, il nuovo Senato non avrà un vero contrappeso alla Camera dei deputati e non avrà poteri paragonabili al Bundesrat tedesco. Mancava, a mio parere, da parte delle regioni, una profonda coscienza federalista, radicata nella storia come contrappeso allo Stato centralista.
Rileviamo, purtroppo, un ritorno all'accentramento dei poteri centrali e un indebolimento delle regioni, le quali hanno accettato, senza una vera ribellione, il ritrasferimento allo Stato di competenze loro affidate dal 2001. Si sentiva la volontà delle regioni di avere più finanziamenti, ma non la conseguente volontà di assumere anche tutta la responsabilità di come distribuire questi finanziamenti, poi, sul proprio territorio. Un obiettivo importante della riforma doveva proprio essere quello di rafforzare le autonomie ordinarie e, nel contempo, rafforzare anche le autonomie speciali, alle quali, per gli attacchi di diverse parti politiche, è stato precluso ogni passo in avanti.
Noi della provincia di Bolzano avremmo voluto recuperare qualche competenza nuova, ad oggi ancora statale, con riferimento, in particolare, ad ambiente ed ecosistema, materia nella quale, come autonomi, abbiamo già ampiamente dimostrato un buon autogoverno, responsabile, con ottimi risultati su tutto il nostro territorio provinciale. Proprio su queste competenze avremmo voluto fare in futuro da esempio, da apripista sul territorio, anche per tutte le regioni a statuto ordinario e a statuto speciale.
Con la riformulazione dell'articolo 116 è stata aperta una procedura per le regioni a statuto ordinario virtuose, che vogliono seguire la nostra strada federalista e anche conseguire i buoni esempi di autogoverno responsabile ampiamente dimostrati sul nostro territorio, come strade, scuola, agricoltura, eccetera.
Per la nostra provincia questa preclusione ad ulteriori forme di autonomia è un'occasione mancata.
Non sarebbe, tuttavia, corretto valutare solo gli aspetti critici della riforma senza tenere conto anche degli aspetti positivi. Per noi è fondamentale anche la salvaguardia delle competenze e dei poteri delle regioni speciali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, alcune peraltro tutelate da accordi internazionali. Sotto questo profilo, la presente riforma è senz'altro positiva, perché esclude le regioni speciali dall'applicazione del Titolo V e demanda l'adeguamento degli statuti a una futura legge costituzionale, introducendo la clausola pattizia anche in Costituzione.
Una volta entrata in vigore questa riforma costituzionale, spetterà al Governo, al Parlamento e alle autonomie speciali aprire un negoziato per affrontare le delicate questioni sul futuro sviluppo dell'autonomia. Per questa procedura già adesso annunciamo la nostra disponibilità ad assumere maggiore responsabilità e a sperimentare sul territorio specialmente le competenze ancora primarie dello Stato in ordine a tutta la questione dell'ambiente. Siamo convinti di possedere i requisiti.
Concludo, signora Presidente, annunciando, seppure con tutte le perplessità fin qui espresse circa le criticità contenute nel testo di riforma, il voto favorevole di SVP, componente Minoranze linguistiche del gruppo Misto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mauro Ottobre. Ne ha facoltà.
MAURO OTTOBRE. Signora Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, intervengo per chiarire la posizione della nostra autonomia del Trentino-Alto Adige Südtirol e lo faccio da persona che vive nel territorio autonomo. Prima di tutto, autonomia significa assunzione di responsabilità, far da sé senza essere a carico dello Stato. Non ho mai visto un ministro venire nella nostra terra e promettere un'opera pubblica, risolvere un caso grave di lavoro, scandali o spreco di denaro pubblico per colpa del governo regionale.
Noi, nel corso dei secoli, abbiamo sempre avuto un'autonomia e un intreccio con il mondo mitteleuropeo, fin dal Sacro Romano Impero, con il principato vescovile di Trento e di Bressanone, che ha governato la regione fino al periodo di Napoleone. Poi ci siamo sempre autogovernati e battuti per l'autonomia anche quando facevamo parte dell'Impero austro-ungarico, con lotte al Parlamento di Vienna. Non sono da scordare le manifestazioni alla fine della Seconda Guerra Mondiale in Trentino, quando più di 100 mila persone aderirono al movimento formato da varie classi politiche, che chiedeva autonomia integrale da Ala al Brennero, dentro la Repubblica italiana, e per lo più in Sud Tirolo, quando si chiedeva l'autodeterminazione per i danni avuti dal fascismo con le tragiche opzioni. Un'autonomia che non è stata voluta per i soldi, ma per gestire le competenze a casa propria.
Signori, il Trentino e il Sud Tirolo sono sempre stati autonomi e uniti storicamente e culturalmente, anche se si parlano due lingue diverse. Pertanto, non concepisco le ragioni per cui si debba sopprimere una regione a statuto speciale, dove l'economia e la cultura della salvaguardia del territorio funzionano benissimo e che è da sempre in prima linea ad aiutare lo Stato italiano in caso di emergenza. Si vedano il terremoto de L'Aquila, la copiosa nevicata in Emilia Romagna di due anni fa e l'alluvione in Liguria dell'anno scorso.
La nostra regione ha riconosciuto parità di diritti ai cittadini e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali. Un esempio è lo statuto regionale redatto in due lingue, italiano e tedesco. Non ricreiamo polemiche inutili che hanno minacciato la pace e la convivenza del Sud Tirolo Alto Adige negli anni Sessanta e che, se non fosse stato per Magnago e la Südtiroler Volkspartei, sarebbero scoppiate in una guerra civile. Non bisogna scherzare o minacciare di togliere l'autonomia, perché ci sono alcuni partiti separatisti in Sud Tirolo che non aspettano altro per chiedere l'autodeterminazione. Chi sostiene che l'autonomia in Trentino-Alto Adige Südtirol non abbia l'ancoraggio internazionale – l'ho sentito dire in quest'Aula, cari signori – si sbaglia. Ricordo che l'attuale autonomia del Trentino-Alto Adige è nata il 5 settembre 1946 con l'Accordo di Parigi tra De Gasperi e il Ministro degli esteri austriaco Karl Gruber, con funzione di protezione dei diritti del popolo dell'intera regione.
Vi è una tutela internazionale da parte dell'Austria ed è stata data per ragioni storiche, linguistiche e culturali. A chi sostiene che le minoranze linguistiche non esistono più, voglio ricordare che l'Accordo di Parigi prevede, all'articolo 1, la completa eguaglianza dei diritti degli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento, ladini, mocheni e cimbri, rispetto agli abitanti di lingua italiana. Tutto ciò che vedete in Trentino-Alto Adige l'abbiamo fatto con le nostre risorse e con la nostra politica, tenendo presente che la nostra regione era tra le più povere d'Italia nell'immediato dopoguerra.
Oggi possiamo dire che questo modello amministrativo funziona. Se le altre regioni hanno perso autonomia, lo si deve al fatto che non hanno saputo amministrare. Cito, come esempio, la sanità nazionale, che è in rosso in tutte le regioni. Sono casi come questo che inducono lo Stato ad accentrare alcune competenze e non è certo per colpa nostra. Non vedo la necessità di eliminare o affossare l'autonomia della regione Trentino-Alto Adige Südtirol, che è una delle poche regioni in cui essa funziona. Piuttosto, si cerchi di rivedere dove tale meccanismo presenta delle pecche. Estendiamolo in altri, ma non togliamolo dove si governa bene.
La nostra regione, guardando anche alle statistiche ISTAT, è quasi sempre in testa per qualità di vita e di benessere delle persone. Nella nostra regione la disoccupazione è al 5,5 per cento, il tasso meno elevato in Italia. Nella classifica delle università italiane, Trento, assieme a Verona, è in vetta, tenendo conto della qualità della didattica e della ricerca. Esistono pompieri volontari da centinaia di anni, un corpo che non ha eguali in Italia.
PRESIDENTE. Deve concludere.
MAURO OTTOBRE. Ancora un attimo, signora Presidente. Volontari che sono sempre pronti a partire in caso di emergenze. Ci sono custodi forestali che tutelano l'ambiente in maniera ottimale. Questi sono alcuni dati che avvalorano la regione, con servizi efficienti sul territorio. Una regione che per l'80 per cento è di montagna e, quindi, svantaggiata rispetto ad altre realtà italiane.
L'attuale governo di centrosinistra, che governa il Trentino, nel suo primo anno di vita ha cercato di eliminare gli sprechi e la burocrazia che rallenta il lavoro e, soprattutto, ha diminuito i vitalizi degli ex consiglieri regionali, ricavando quasi 30 milioni di euro, che andranno nelle casse regionali. Ha rafforzato i rapporti transfrontalieri di cooperazione con il vicino Tirolo e ha creato politiche del lavoro, soprattutto per i giovani. La disoccupazione giovanile è meno elevata rispetto al resto d'Italia. Infine, tra le altre cose, ha contributo al pagamento del debito pubblico italiano in maniera consistente rispetto alle altre regioni. Ricordo che nel novembre 2009 i governatori Dellai e Durnwalder avevano firmato il cosiddetto Patto di Milano con il Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti e il Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli, che prevedeva la nostra compartecipazione alla riduzione del debito nazionale, togliendo a noi importanti risorse per destinarle al calderone nazionale. Insomma, si toglie a chi ha fatto bene per dare a chi non ha saputo amministrare, portando il debito statale a cifre impressionanti.
Noi siamo una parte dell'Italia che funziona, non una parte dell'Italia che va risanata. Il ruolo della regione Trentino-Alto Adige deve essere rilanciato e non affossato, ridefinendo quelle competenze che favoriscono lo sviluppo e che hanno portato il Trentino-Alto Adige ad essere un modello per altre regioni d'Italia.
PRESIDENTE. Concluda, per favore, è già oltre il suo tempo, deputato Ottobre.
MAURO OTTOBRE. Io spero che il Governo Renzi e il neo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sappiano tenere conto e fede delle parole di elogio fatte alla nostra autonomia e che non diano retta ad alcun emendamento depositato dai deputati di centrodestra. Infine, colgo l'occasione per porre il mio saluto ed esprimere la mia gratificazione per l'entrata dell'ex Presidente della Repubblica Napolitano nel gruppo delle autonomie al Senato. Il Presidente uscente diventa una garanzia...
PRESIDENTE. Deve concludere. Concluda !
MAURO OTTOBRE. ...per la nostra regione – e concludo – visto che ha sempre lodato il nostro modello di lavoro e convivenza .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Di Lello. Ne ha facoltà.
MARCO DI LELLO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono trascorsi sette lustri da quando i socialisti lanciarono il tema della grande riforma. Con essa, come spiegano Gennaro Acquaviva e Luigi Covatta in «La grande riforma di Craxi», si impostò una proposta generale di riforma del sistema Italia: superamento del bicameralismo perfetto, presidenzialismo, macroregioni, intuizioni che all'epoca ebbero il solo torto di essere straordinariamente in anticipo sui tempi; intuizioni che non hanno trovato poi uomini e donne coraggiosi, capaci di portarli a compimento.
È in quegli anni che nasce quel sillogismo che mette insieme socialismo e riformismo. E oggi il voto che ci apprestiamo a varare rappresenta una prima parziale vittoria dei riformisti. Prima e parziale, non ci sfugge e non ci sfuggono i limiti del testo. Non c’è nulla sulle macroregioni, anzi si continuano a difendere privilegi, contenuti negli statuti speciali, che lasciano sopravvivere addirittura la Guerra Fredda, solo nella nostra Costituzione.
Non c’è nulla sul presidenzialismo, neanche sul premierato, anche se non ci sfugge quel voto entro sessanta giorni, che in qualche modo dà un potere acceleratorio al Governo sulle Camere. Non c’è nulla sulla separazione delle carriere e la riforma del CSM. Ma questi limiti e queste carenze non ci impediscono di valorizzare i pregi che sono contenuti nel testo.
Il benaltrismo (chi dice: sì, ma c'era ben altro da fare, erano ben altre le riforme, ben altri i punti da toccare) non ci è mai appartenuto. Noi non vogliamo alibi e noi socialisti non ci siamo mai sottratti alla sfida sul terreno dell'innovazione.
Ho ritrovato in quest'occasione degli appunti che esattamente dodici mesi fa, nel febbraio dello scorso anno, presentavano dei punti programmatici che i socialisti portarono al Presidente incaricato Matteo Renzi. Lì il punto n. 12 sulle riforme diceva: eliminazione del bicameralismo perfetto con l'introduzione di un Senato delle regioni, competente per sole determinate materie. È quello che ci apprestiamo a votare. Su questo terreno è innegabile la portata della novella. È molto positivo che vi sia una relazione fiduciaria solo ed esclusivamente con la Camera, tra Governo e Camera; che la funzione legislativa sia esercitata non più collettivamente dalle due Camere, ma dalla Camera dei deputati; è positivo il tentativo di semplificazione di questo enorme apparato della Repubblica con la soppressione del CNEL e delle province.
Non ci sfuggono i compromessi a cui si è dovuti arrivare. Basta leggere nel testo le materie in cui resiste una competenza del Senato, tra cui le leggi in materia di diritti della famiglia e di tutela della salute. Che c'entra ? Che c'entra la competenza in materia di diritti della famiglia ? Figlia evidentemente della paura di una parte di questo Parlamento, soprattutto di pregiudizi. Noi auspichiamo il riconoscimento della laicità nella Costituzione.
Altre forze politiche si arroccano sul terreno della conservazione, chiudendo gli occhi dinanzi ad una società che cambia e ad un'Italia che è molto diversa rispetto a quella di sessant'anni fa. Magari lo fanno agitando bandiere ideologiche, ma non saranno queste bandiere a poter fermare il vento del cambiamento. Le bandiere vengono indirizzate dal vento.
Tuttavia, non ci sfugge il valore dello scrivere insieme e perciò, così come abbiamo esternato preoccupazione per quel nel dibattito democratico che si era venuto a creare con l'uscita delle opposizioni da quest'Aula, così – lasciatemelo sottolineare – plaudiamo con forza alla scelta che SEL e Forza Italia hanno fatto di essere comunque presenti in Aula.
Il voto di oggi è anche un banco di prova di questo Parlamento. Esattamente due anni fa, dalle urne uscirono Camere con maggioranze diverse. Ricorderete tutti la grande difficoltà nell'elezione del Presidente della Repubblica. C'era un orizzonte minimo. L'obiettivo era salvare il salvabile di questa legislatura. Oggi, dopo due anni, vi è stata una rapida e positiva scelta nell'elezione del Presidente della Repubblica e ci ritroviamo qui a riscrivere una parte importante della Costituzione, cioè c’è l'ambizione di disegnare un assetto più efficiente della nostra Repubblica.
Lasciatemelo dire, sono lieto che si stia finalmente smettendo nel dibattito pubblico di considerare questo come un altro tassello sul terreno del risparmio della spesa, perché l'idea che la democrazia possa essere un costo – cito letteralmente la professoressa Urbinati – dà a questa riforma «una motivazione volgare». Io aggiungo a «volgare» «preoccupante», infatti, nessuno può pensare che la democrazia sia un costo da tagliare, perché altrimenti resta un uomo solo al comando e non so chi di voi voglia portare avanti questo modello.
L'obiettivo da noi condiviso era e resta la costruzione di un sistema più rapido nelle decisioni e più efficace. Non ci mancano dubbi sulla composizione del Senato e non ci sfugge il pasticcio sindaci-comuni, che rischia di escludere i sindaci dei comuni metropolitani, cioè i comuni più importanti nella novella della Costituzione. Non ci piace la scarsa territorialità dei rappresentanti in Senato: avevamo suggerito di ispirarsi ai modelli di Francia o Germania per la scelta dei senatori.
Non ci sfuggono contraddizioni insite nel testo, vedi anche la lettura degli articoli 57 e 117, che ancora parlano di «Camere» per la legge elettorale. Non ultronea è la sottolineatura che, forse, la riforma del Titolo V avrebbe avuto bisogno di un maggiore approfondimento. E, però, lasciatemelo dire, l'insieme di questi limiti e di scelte, che pure non abbiamo condiviso, non è tale da impedire ai socialisti di votare a favore, perché oggi è una vittoria dei riformisti e, in questo casi, i socialisti non possono avere alcun dubbio sulla scelta da quale parte stare.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Mucci. Ne ha facoltà.
MARA MUCCI. Grazie, signora Presidente, oggi non voteremo le riforme portate in Aula dal Governo Renzi. La contraddizione sta già qui: una riforma profonda della Costituzione fatta con un disegno di legge governativo, lo stravolgimento sostanziale dell'assetto delle istituzioni del nostro Paese e dell'iter legislativo, che tocca ben quaranta articoli della Costituzione, fatto per iniziativa del Governo. Se una riforma della Costituzione così radicale deve essere fatta – e noi crediamo che ci siano molte cose da cambiare –, allora era necessaria una discussione più ampia e partecipata.
La Costituzione non è un affare privato del partito di maggioranza o di un Premier, ma una vicenda che riguarda tutti noi, non solo quelli seduti in quest'Aula, ma i cittadini italiani, donne e uomini, che sono titolari della nostra Carta fondamentale. Non basta dichiarare, come ha fatto il Primo Ministro, di voler chiamare gli elettori ad esprimersi attraverso un referendum, perché anche quell'occasione rischia di trasformarsi nell'ennesimo scontro politico che attraverserà duramente il nostro Paese. Rischieremo insomma che, invece di avere una consultazione sui temi, avverrà una mera conta tra chi è contro e chi è favorevole al Governo Renzi, e non è questo ciò che serve al Paese.
Serviva piuttosto un'analisi approfondita dei risvolti reali che un cambiamento così radicale della nostra Carta costituzionale può avere sul procedimento legislativo e sulla bontà di azione. E un cambiamento così radicale pensiamo dovesse avvenire con un'Assemblea costituente, fatta di costituzionalisti e rappresentanti delle parti politiche e dei cittadini, perché – lo ribadiamo – la Costituzione non è un affare privato del partito di maggioranza e di un Premier, oppure iniziare, magari, a mettere mano ai Regolamenti che, a nostro avviso, sono certamente datati e che andrebbero rivisti alle condizioni attuali, sapendo anche che esiste un'informazione diversa rispetto a quando furono emessi e pensati.
Spendo anche due parole sul dibattito in seno a questa riforma, una riforma che nasce da un accordo, il famigerato «patto del Nazareno», patto che in questi giorni si è evidentemente rotto e che ha portato Forza Italia da sostenitrice ad acerrima nemica di queste riforme. Tutto legittimo sul piano politico, anche se, forse, poco comprensibile, ma mi chiedo come mai questo sforzo non si sia potuto fare con tutte le forze che siedono in questo Parlamento. Capiamo che con alcune, per un carattere fortemente ondivago che le identifica, questo percorso fosse difficile, ma era comunque un percorso da compiere, proprio perché, se la Carta costituzionale è un bene di tutti, doveva perlomeno essere frutto di un percorso comune. Allora, ci saremmo evitati l’«Aventino», le sedute notturne ed un dibattito diventato insostenibile in quest'Aula, che ha impedito finanche alle opposizioni di potersi esprimere: immagini che noi non vorremmo più vivere in queste Aule.
Venendo al merito della riforma, Presidente, pensiamo che sul Titolo V e sull'abolizione del Senato si sia fatta molta confusione e si sia agito con troppa fretta. Il Titolo V è l'unico su cui si sarebbe potuta trovare un'intesa realmente facile, dato che esisteva un giudizio diffuso, comune, negativo, sulla modifica del Titolo V avvenuta per mano della sinistra nel 2001.
In particolare, il regime delle competenze esclusive regionali, statali e concorrenti non era sufficientemente ben delineato da evitare contenziosi costituzionali che puntualmente si sono verificati in massa, intasando l'agenda della Corte costituzionale. Ciò che non era scontato era, tuttavia, che la maggioranza cancellasse, di fatto, vent'anni di dibattito su autonomie e federalismo in nome di un neocentralismo di fatto adottato senza alcun dibattito nel Paese. In particolare, ad essere riportate al centro sono tutte quelle materie, come l'ambiente, che, negli ultimi anni, hanno determinato conflitti ed una richiesta di maggiore partecipazione nei percorsi decisionali.
Con questa riforma si cerca di sterilizzare il conflitto, riportando le scelte ad un livello lontano, anziché scommettere sulla capacità positiva della politica di trovare sintesi avanzate. In altre parole, anziché puntare ad avere una classe politica all'altezza dei cittadini attivi, si punta a sterilizzare la politica di prossimità, deresponsabilizzandola. In conclusione sarà comunque un caso se l'unico Titolo della Costituzione ritenuto universalmente da riformare sia quello già riformato di recente ?
Per quanto riguarda il nuovo Senato, noi siamo completamente d'accordo sull'abolizione di una Camera elettiva per snellire il processo decisionale e legislativo, nessuno mette in discussone questo punto, ma che Senato avremo di fronte ? Ancora un'Aula composta da nominati delle regioni, quelle maggiormente colpite dagli scandali e segnate dalle ruberie. Un'Aula, lo ripetiamo, sui cui scranni siederanno nominati, non scelti dal popolo per ricoprire tale ruolo, e ci chiediamo come possa svolgere con efficienza un lavoro chi, contemporaneamente, ne svolge un altro importante come quello di un sindaco o di un consigliere regionale. Non vorremmo che il nuovo Senato diventasse un doppio lavoro svolto con superficialità.
Dopodiché possiamo fare due scenari esemplificativi di ciò che potrebbe verificarsi con questo nuovo Senato e che danneggerebbe, se non altro, il normale esito del processo democratico e legislativo. Il primo scenario è che alle prossime elezioni, con il combinato disposto della legge elettorale e riforma costituzionale, potrebbe verificarsi una maggioranza alla Camera diversa da quella del Senato, dove siedono i nominati degli enti locali. È facile immaginare che con un perimetro non definito di compiti e con la possibilità di richiedere modifiche su un'ampia fetta di provvedimenti, i lavori parlamentari potrebbero, a seguito del veto del Senato, subire un notevole rallentamento. L'altro scenario è quello che vede un palese conflitto di interessi tra quelli dei delegati regionali, comunali e sindaci per evidenti motivi e ruoli e quelli del Governo stesso, nonché della Camera, soprattutto in materia di finanza. Immaginiamoci casi come quelli dell'ultima legge di stabilità in cui il Governo licenzierà in modo legittimo misure restrittive di bilancio nei confronti degli enti locali, come reagiranno al Senato, cosa accadrà ? Questo è facile intuirlo.
Ci chiediamo, inoltre, se non sarebbe stato meglio un Senato sull'esempio tedesco, mettendo però maggiormente mano all'assetto istituzionale federale, che potesse davvero esprimere gli enti territoriali con un vincolo di mandato sui temi e con possibilità di serio veto sull'operato del Governo. Oppure, abolire del tutto il Senato, rafforzando la Conferenza Stato-regioni.
Questa riforma, Presidente, va comunque vista, necessariamente, sotto il punto di vista del combinato disposto con la legge elettorale, anche questa figlia del patto del Nazareno, quel patto che, dichiarato morto sui quotidiani, vive e continua ad aleggiare tra queste Aule. Una legge elettorale che prevede, ancora una volta, cento nominati capilista scelti dalla politica; per questo probabilmente serviva una maggiore attenzione almeno sulle nomine degli istituti di garanzia. Sulla nomina del Presidente della Repubblica, ad esempio, in seguito al dibattito si è giunti, a nostro avviso, a un miglioramento rispetto al testo originale, come anche sul tema dei referendum sul cui fronte si inserisce la possibilità dei referendum popolari propositivi e di indirizzo, nonché di altre forme di consultazione anche delle formazioni sociali. È importante però che i Regolamenti stabiliscano con certezza tempi e forme di discussione di tali referendum, affinché anche questi non restino nei cassetti delle Commissioni.
Per quanto riguarda il fronte «quorum» qualcosa in più si poteva fare come anche sul tema della parità di genere. Assistiamo ancora oggi ad una situazione surreale nei consigli regionali dove in alcune regioni le donne sono totalmente assenti. Il dibattito in Aula si è acceso in diverse occasioni, segno di una sensibilità che esiste, ma se non si realizzano di fatto le condizioni che tendono a una parità di accesso per tutti gli istituti, partendo dai servizi per la conciliazione del lavoro e della famiglia, se non cambiano la cultura di fondo e le leggi regionali al seguito, la parità di genere e il valore aggiunto che dà la presenza femminile nelle istituzioni resteranno soltanto sulla carta e in modo non troppo incisivo, evidentemente, come accade oggi.
Per concludere, Presidente, diciamo no a questa riforma, a uno schiacciamento del dibattito e a un annullamento del confronto. Il Presidente del Consiglio Renzi ha la maggioranza bulgara alla Camera, ma non al Senato e non capiamo perché non voglia confrontarsi con tutti. Non vogliamo pensare che questo sia dovuto alla sua poca sensibilità al dialogo con tutte le forze politiche, ma credo sinceramente che l'annullamento del confronto in queste Aule sia probabilmente dovuto a una scarsa fiducia che il Presidente del Consiglio ha del suo stesso partito e della sua minoranza interna che su questa riforma aveva una visione totalmente diversa dal resto del gruppo. In un clima di scontro su tutti i fronti, ci chiediamo come si possa lavorare e non sarà di certo nemmeno il referendum che a breve ci sarà a migliorare questa situazione.
Fermiamoci un attimo, colleghi, almeno sui prossimi passi da compiere, almeno sulla legge elettorale, mettendo da parte i dibattiti interni, ma dando valore al confronto con tutti, perché è questo che crea dei procedimenti migliori e dei testi migliori, anche per questo e, soprattutto, su questi temi .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Pino Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. La ringrazio, onorevole Presidente. Onorevoli colleghi, in realtà userò questo tempo brevissimo, del quale, tra l'altro, voglio ringraziare la Presidenza, per lasciare traccia nei resoconti su una questione di metodo, poiché nel merito del progetto di riforma costituzionale ho già parlato diffusamente in sede di discussione sulle linee generali. Quest'oggi vorrei registrare – mi augurerei di registrare – la sutura di una brutta ferita, quella che divaricò in quelle notti «aventiniane» i deputati, in un'Aula in cui il dovere di ognuno è quello di rappresentare al meglio delle umane possibilità il popolo sovrano. In quelle notti ero qui – come la mia funzione di capogruppo del gruppo Misto mi chiamava a fare – a registrare con sofferenza che metà dell'Aula non c'era. Ebbene, un'immagine così, colleghi, non dobbiamo più vederla, perché un'immagine così annulla di un solo colpo la contabilità dei torti e delle ragioni e diventa uno spreco di democrazia e uno spreco di rappresentanza. Furono compiuti errori, sì, forse da tutti, dalla maggioranza come dalle opposizioni; facciamo tesoro di quelle inutili prove muscolari e accettiamo fino in fondo il metodo che i nostri padri costituenti ci hanno insegnato, che è quello del confronto democratico. Forse che la posizione ideologica della sinistra comunista, all'epoca della Costituente, apparisse più vicina a quella delle destre liberali o addirittura monarchiche di quanto oggi, in una stagione post-ideologica, possa essere considerata la posizione di Forza Italia rispetto a quella del PD ? Non mi pare affatto, eppure i nostri padri seppero trovare un punto di compromesso altissimo, mai digrignando i denti ma costruendo la democrazia parlamentare. Non sciupiamo tutto e rispettiamo l'Aula; rispettiamo i cittadini che rappresentiamo, talvolta non con pienissimo merito .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fabio Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Grazie Presidente, colleghi deputati, Ministro Boschi, rappresentanti del Governo, Fratelli d'Italia voterà contro questa proposta di riforma della Costituzione, e lo farà perché la ritiene la più classica delle occasioni mancate. Non è un fatto ordinario quello di affrontare una Costituzione che dura da decenni, scritta peraltro in un linguaggio molto semplice e quindi molto diverso da quello che avete utilizzato voi nel tentativo – che speriamo non vada a buon fine – di modificarla. La nostra Costituzione è talmente semplice che viene letta nelle scuole elementari, mentre basta leggere soltanto l'articolo 12 della vostra nuova formulazione per capire che siamo più o meno ai titoli di coda del vecchio intervento al Titolo V della Costituzione, che ha reso di fatto ingovernabile lo Stato perché è impossibile mettere d'accordo le sue varie articolazioni.
È un'occasione mancata perché quando si interviene sulla Costituzione si deve stare dalla parte dei cittadini, non si può semplicemente limitare la propria azione all'intervento mezzo vero, mezzo dichiarato, mezzo falso, sul Senato della Repubblica, su una delle due Camere, con la sua trasformazione in un Senato delle regioni. Poi, c’è anche la contraddizione dell'articolo 1, dove si dice che il Parlamento si compone di Camera e Senato, che è di fatto la constatazione che il bicameralismo non è stato affatto superato. Il Senato delle regioni, è un Senato – l'abbiamo detto in tante circostanze, lo ripetiamo qui, in questa sorta di indice delle nostre osservazioni che ci impediscono di sostenere questa riforma – di secondo livello, non eletto dai cittadini ma eletto con il sistema proporzionale dai consigli regionali, che a loro volta hanno venti leggi regionali diverse, per cui non ci sarà omogeneità e armonia da questo punto di vista, né potrà essere armonico il nuovo Senato delle regioni, per l'appunto.
Senato che avrà dei pareri vincolanti su alcune materie, intanto su quelle, in specie, degli organismi territoriali di cui è emanazione e poi per la legge di stabilità e chi ha svolto un po’ di gavetta e viene magari anche dall'esperienza delle regioni sa che le regioni sono implacabili nella loro richiesta di sostegno economico. Quindi la contraddizione in termini è che paradossalmente il Senato delle regioni avrà potere di interdizione sulla attività legislativa, potere di interdizione fenomenale proprio sulla legge fondamentale che organizza e programma i lavori della Repubblica e quindi rappresenta i cittadini.
È un'occasione mancata perché non sono state consentite neanche le cose più semplici in questa riforma; non voglio fare tanto riferimento, ne abbiamo parlato in lungo e in largo, è stata una delle cause scatenanti del nostro rumoroso dissenso, alla vicenda del presidenzialismo. Non è che noi si avesse, per carità, la pretesa di imporre l'elezione diretta del Capo dello Stato a una Camera che comunque è maggioritariamente rappresentata dalla sinistra che notoriamente ha una sensibilità culturale ben diversa rispetto alla nostra al riguardo. Ma qui non c’è stata neanche la possibilità di affrontare il dibattito su quanto potesse essere maggiormente efficace e si potessero garantire quindi anche dei processi di fluidificazione, di semplificazione nel funzionamento della macchina dello Stato attraverso l'introduzione dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Se ne è parlato quasi con il sotterfugio, quasi che stessimo appunto in una sorta di consiglio comunale di Firenze invece che in una Camera che di fatto era ed è tuttora la metafora mal riuscita di una Assemblea costituente. La discussione sul presidenzialismo non c’è stata e comunque il risultato a cui la sinistra ci condanna è un passo indietro persino rispetto a quei lavori della bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema che aveva trovato una quadra nel semipresidenzialismo.
È una occasione mancata perché non sono state possibili, dicevo, neanche le modifiche più semplici e più sentite dai cittadini, comunque più condivise dai cittadini. Mi riferisco, per esempio, alla nostra proposta di introduzione in Costituzione della bandiera nazionale – non c’è – dell'inno nazionale, il canto degli italiani di Goffredo Mameli – non c’è – né è stato possibile introdurre ufficialmente la lingua italiana come lingua della Repubblica italiana – non c’è. Misteriosamente si è fatto muro anche per introdurre delle modifiche, ripeto, che sarebbero state fortemente condivise dai cittadini.
Non c’è stato consentito di introdurre il principio dell'equità generazionale, quello della partecipazione attiva dei giovani alla vita politica come se si volesse rimuovere, invece che affrontare, il problema che abbiamo dovuto constatare essersi presentato nel tempo e aver prodotto danni inenarrabili con un debito pubblico che è pari al 130 per cento del PIL ancora oggi, più o meno, come se non si volesse far passare il principio che ogni generazione deve fare i conti con le proprie tasche e la propria capacità di produrre ricchezza senza indebitare le generazioni che verranno, come se si volesse rimuovere il problema, ormai drammatico, di generazioni, giovani generazioni che avranno delle pensioni da fame in futuro, anche perché hanno una clamorosa difficoltà di accesso al mondo del lavoro. Non è stato possibile, non c’è.
È un'occasione mancata perché non si è voluto neanche abbassare a 18 anni la soglia di età per l'eleggibilità alla Camera, altra questione apparentemente condivisa da buona parte delle forze politiche dentro il Palazzo e fuori da esso.
È un'occasione mancata perché, nonostante le dichiarazioni televisive in tempi non sospetti fatte dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi in persona, ancora la norma antiribaltone finalizzata a prevedere la decadenza del mandato per i parlamentari che cambino gruppo politico non è stata accolta. Voglio ricordare che mai sarebbe stato possibile farla entrare in vigore da questa legislatura e, quindi, comunque si trattava di una prospettiva per fare ordine e creare delle regole di ingaggio condivise per evitare non i giusti e legittimi pentimenti da parte di un parlamentare, ma i trasformismi che hanno caratterizzato la vita della nazione nel corso dei secoli.
È un'occasione mancata perché non vi siete voluti sintonizzare sulla lunghezza d'onda del popolo italiano neanche per quello che attiene l'oppressione fiscale e, quindi, la necessità di cambiare il punto di vista rispetto alle tasse, introducendo in Costituzione un tetto alle tasse non solo come vincolo che, in quanto tale, potrebbe apparire odioso per lo Stato rispetto al prelievo dai redditi, ma soprattutto facendo il percorso al contrario per garantire il diritto dei cittadini ad avere un minimo riconosciuto per la vita propria, il proprio sostentamento e il sostentamento della propria famiglia.
Parliamo – concludo – di concetti facili, anche quello con il quale noi avremmo desiderato che l'Italia si riappropriasse della propria sovranità nel suo rapporto con l'Europa, anche quello del tentativo di utilizzare questa riforma per ridisegnare l'architettura degli enti territoriali attraverso i trentasei distretti che abbiamo proposto e comunque attraverso un diverso ruolo delle regioni, proposta che non viene da Fratelli d'Italia ma che è stata approfondita da istituti scientifici come quello geografico italiano.
Queste, in sintesi, sono le tante ragioni per le quali Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale non è nelle condizioni di fare altro al di fuori dell'espressione di un convinto voto contrario su questa riforma -.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Gigli. Ne ha facoltà.
GIAN LUIGI GIGLI. Presidente, signora Ministra, onorevoli colleghi, conclude oggi il suo iter in prima lettura nelle due Camere una riforma della Costituzione molto attesa. Essa ha preso le mosse dalla diffusa consapevolezza dei limiti del bicameralismo paritario perfetto, di un procedimento legislativo che troppe volte ha finito per rallentare, se non per penalizzare, l'azione di Governo, di un rapporto tra lo Stato e le regioni che ha portato a un contenzioso abnorme davanti alla Corte costituzionale per i continui conflitti di competenza sulle materie di legislazione concorrente. Una consapevolezza che è maturata ormai da molto tempo e che si è acuita dopo la malriuscita revisione del Titolo V nel 2001.
A queste difficoltà e disfunzioni il provvedimento in votazione offre certamente una risposta.
Tuttavia, consapevoli che ad una così estesa riforma costituzionale non si rimetterà mano facilmente, avvertiamo una sensazione di inadeguatezza per il lavoro svolto. Sono evidenti e largamente diffuse la sensazione di una soddisfazione solo parziale per l'opera compiuta e la preoccupazione che il meccanismo delineato possa non funzionare a dovere.
È noto che il gruppo Per l'Italia – Centro Democratico aveva idee diverse su alcuni punti di questa riforma costituzionale, in particolare per quanto riguarda la composizione del futuro Senato e i rapporti fra lo Stato e le autonomie regionali. Infatti, se con l'articolo 1 è stato deciso il superamento del bicameralismo perfetto e sono state delineate le nuove funzioni che saranno di pertinenza del Senato, è tuttavia l'articolo 2, con il quale si definisce la composizione del Senato della Repubblica, quello che avrebbe dovuto dare sostanza all'altra parte dell'articolo 1 che definisce il Senato come rappresentanza delle autonomie territoriali, perché è dalla sua composizione e dalla modalità con cui vengono eletti i senatori che dipende la reale possibilità per il Senato di rappresentare le autonomie territoriali.
Pur con un'elezione di secondo livello, avremmo voluto un nuovo Senato capace di rappresentare davvero le regioni e non frutto di equilibri di partito, più simili quindi a quanto previsto nel testo originario del Governo che a ciò che esso è diventato in seguito agli accordi intercorsi durante l'esame in prima lettura da parte dell'attuale Senato.
Avremmo almeno voluto che nelle materie regionali ci fosse un vincolo di mandato per i futuri senatori affinché essi rappresentassero davvero le necessità e le vedute dei governi regionali. Avremo invece un Senato delle autonomie sganciato dal principio di responsabilità. Ma senza responsabilità non vi è nemmeno reale rappresentanza e il futuro Senato, i cui membri non risponderanno a nessuno nell'esercizio del loro mandato, non potrà rappresentare di certo le regioni.
Lo dimostra il fatto che non è stato possibile e non sarà possibile togliere del tutto dalla scena la Conferenza Stato-regioni, nella quale continueranno a giocarsi davvero i rapporti tra lo Stato e le sue articolazioni territoriali, anche se siamo lieti che almeno sia stato accolto ieri l'ordine del giorno con il quale il Governo si impegna a ricondurre l'attività della Conferenza esclusivamente all'ambito amministrativo, tecnico e gestionale e a ispirarla a criteri di trasparenza e pubblicità dei lavori.
Da parte nostra, avremmo voluto che alle spinte neocentralistiche che caratterizzano in parte questa riforma, anche a causa di alcuni oggettivi fallimenti delle regioni nel concreto esercizio delle loro autonomie, avessero fatto riscontro decisioni assunte a seguito di una riflessione approfondita su luci e ombre del regionalismo, rispetto alla quale abbiamo invece assistito solo ad una discussione fatta di interventi disparati fondati più sulle sensazioni e su visioni preconcette che hanno impedito anche soltanto di immaginare modelli di autonomia più ampia fondati sui principi di responsabilità e di solidarietà.
Auspichiamo comunque che il modello rigido scelto nella distinzione delle competenze non riapra la stagione dei contenziosi davanti alla Corte costituzionale, stante anche la difficoltà di distinguere talora all'interno di una stessa legge tra le materie di competenza dello Stato e quelle delle regioni e il permanere, malgrado tutto, di una zona grigia per le materie i cui principi generali sono affidati alla competenza dello Stato, mentre la legislazione specifica è in capo alle regioni. Allo stesso modo, mentre siamo favorevoli all'introduzione dell'istituto del voto a data certa per i provvedimenti che caratterizzano il programma dell'Esecutivo e a cui il Governo attribuisce carattere di urgenza, provvedimento che mira a rafforzare la governabilità riducendo al contempo gli abusi nel ricorso al voto di fiducia, manteniamo alcune perplessità per la complessità del procedimento legislativo.
Infatti, malgrado i miglioramenti apportati, resta il rischio che, anche sotto il versante della distribuzione delle iniziative e dei poteri legislativi tra Camera e Senato, possano aprirsi contenziosi nei prossimi anni.
Governabilità e velocizzazione del processo legislativo, inoltre, non possono e non debbono necessariamente significare una trasformazione silente del sistema parlamentare in un sistema presidenziale . Da questo punto di vista, riteniamo che il provvedimento non sia esente da qualche rischio, rischio soprattutto per la lettura che doverosamente occorre fare di questa riforma in combinato disposto con la legge elettorale. Il forte premio di maggioranza, il ridimensionamento dei poteri del Senato, la possibilità di modificare a maggioranza semplice i futuri regolamenti e la legge elettorale porteranno necessariamente ad un ridimensionamento del ruolo del Parlamento, un ridimensionamento che avrebbe bisogno di qualche ulteriore riflessione sui contrappesi di garanzia. Siamo lieti pertanto che sia stato accolto in Commissione l'emendamento sulla maggioranza qualificata per l'elezione del Presidente della Repubblica a garanzia dell'equilibrio dei poteri tra le istituzioni dello Stato.
Pur con queste perplessità, non faremo tuttavia mancare il nostro voto a questo provvedimento, nella convinzione che bloccarlo oggi equivarrebbe ad arrestare lo slancio riformatore di cui l'Italia ha tremendamente bisogno e che l'arresto di una riforma costituzionale tanto attesa sarebbe interpretato dal Paese, dopo tanti sforzi, come una dichiarazione di impotenza del Parlamento e di irriformabilità delle istituzioni.
Riteniamo pertanto nostro dovere non arrestare questo percorso e far prevalere alle pur legittime riserve l'esercizio di una grande responsabilità verso il Paese.
Proprio per la consapevolezza che abbiamo della responsabilità che grava su di noi, ci appare ancora più incomprensibile e inaccettabile la posizione di chi lamenta ora i pericoli per la democrazia per una legge costituzionale che ha contribuito a disegnare, a condizionare negativamente e a promuovere fino a un punto di non ritorno. Non si può passare disinvoltamente dal patto del Nazareno all'Aventino, lamentando i pericoli di una deriva autoritaria. Non si può auspicare di ricondurre tutti nell'alveo di una sana democrazia parlamentare dopo aver lavorato tenacemente per il presidenzialismo di fatto. Non si può, come è stato fatto prima di abbandonare l'Aula per la breve stagione aventiniana, rinfacciare al Partito Democratico l'incostituzionalità del premio di maggioranza di 130 seggi quando questo premio di maggioranza si è prodotto grazie a una legge elettorale, il Porcellum, che il centrodestra ha voluto e che dal centrodestra è stata per anni mantenuta in vigore contro ogni opportunità e ogni buon senso.
Ho ancora davanti agli occhi l'imbarazzo di chi sedeva per Forza Italia nel Comitato dei nove. A questa collega è stato chiesto di trasformarsi rapidamente da sostenitrice sperticata degli accordi del Nazareno ad oppositrice del provvedimento che aveva sostenuto fino al punto di limitare gli interventi in dissenso di molti deputati del suo gruppo.
Per questo l'atteggiamento ufficiale assunto oggi da Berlusconi e dal gruppo di Forza Italia non è credibile, anzitutto da parte dei deputati dello stesso gruppo. Come ieri nel siglare il patto del Nazareno, anche la decisione di oggi suona molto di tatticismo e parla di interessi di bottega da difendere, piuttosto che di interesse generale del Paese da promuovere.
Onorevoli colleghi, siamo qui oggi a dare il voto finale a una riforma certamente ambiziosa ma che, come ho detto, non riesce, nonostante tutto, a entusiasmarci. Che questa sia la sensazione prevalente lo dimostra il fatto che, sia in Commissione sia durante la discussione in Aula, l'aria che si respirava non era certo quella dell'Assemblea che elaborò la Costituzione del 1948 e che nessuno di noi si è sentito, neanche per un momento, nei panni dei padri costituenti. Avremmo voluto qualcosa di diverso e, tuttavia, non possiamo non ritenere, a questo punto, accettabile l'equilibrio faticosamente raggiunto.
Avremmo voluto che questa riforma costituzionale fosse accompagnata da una diversa legge elettorale e ricordo a tutti che il nostro gruppo e Scelta Civica per l'Italia, per quanto facenti parte della maggioranza, ritennero di astenersi durante il voto finale in occasione del primo passaggio dell'Italicum alla Camera. E, tuttavia, il consenso portato allora da altre forze di maggioranza – quanto deciso al Nazareno – e il voto favorevole espresso allora anche dalla minoranza del PD ci portano ora a dire, con realismo, che l'equilibrio oggi raggiunto...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIAN LUIGI GIGLI. ...è forse il massimo possibile – vado a terminare – anche leggendo questa riforma alla luce della nuova legge elettorale. Esprimiamo, peraltro, soddisfazione per l'approvazione dell'emendamento al comma 9 dell'articolo 39, con il quale sarà consentito di sottoporre anche l'Italicum al giudizio preventivo di legittimità da parte della Corte costituzionale.
Voteremo a favore di questa riforma rivendicando il contributo dato per migliorarne il testo, sia in Commissione sia in Aula...
GIAN LUIGI GIGLI. ...e in particolare – e ho concluso – l'approvazione del nostro emendamento sulla limitazione, per quanto riguarda le regioni a statuto speciale e sino alla revisione dei loro statuti, dei poteri sostitutivi dello Stato, previsti dall'articolo 120 della Costituzione.
Voteremo a favore pur augurandoci che essa possa essere ancora modificata, in particolare per quanto riguarda la composizione del Senato, il mandato dei senatori e i contrappesi di garanzia.
PRESIDENTE. Concluda per favore !
GIAN LUIGI GIGLI. Un auspicio che il superamento del patto del Nazareno ci consente ora di formulare serenamente .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Matteo Bragantini. Ne ha facoltà.
MATTEO BRAGANTINI. Onorevole Presidente, onorevoli componenti del Governo, interviene il rappresentante della Lega Nord e vedo che i Ministri già si alzano dai banchi e non ascoltano più. Questo fa molto piacere.
Onorevoli colleghi e colleghe, noi siamo contrari a questa riforma per vari motivi che dopo illustrerò. Lo abbiamo già detto durante la poca discussione che c’è stata in Commissione e, ancora più scandalosa, in Aula. Intanto, siamo veramente dispiaciuti di come...
PRESIDENTE. Colleghi, per favore, il collega Matteo Bragantini sta parlando a fatica se non si stabilisce un po’ di silenzio. Prego.
MATTEO BRAGANTINI. ...e, dicevo, di come sia stata fatta una riforma costituzionale così importante, quasi 40 articoli, con una prova muscolare, da parte della maggioranza, che è veramente una cosa inaudita.
La riforma costituzionale della Carta di questo Stato, che dovrebbe essere condivisa dal maggior numero dei cittadini e dunque dai rappresentanti dei cittadini, invece, è stata solo una prova per vedere chi aveva più numeri in Parlamento.
È una cosa triste, molto triste, tanto è vero che noi proprio la settimana scorsa abbiamo presentato un progetto di legge costituzionale sull'articolo 138, perché abbiamo visto purtroppo che, soprattutto da quando c’è un sistema sempre più maggioritario, per quanto riguarda l'elezione di Camera e Senato, alla fine, le riforme costituzionali, come erano al principio quando sono nate con la Costituente, non si riescono più a fare, perché nel mezzo si entra sempre in dinamiche governative o elettorali.
Dunque, noi abbiamo proposto una riforma dell'articolo 138 che prevede che, quando si andrà a toccare la Costituzione su più articoli, si dovranno far eleggere direttamente dai cittadini, con sistema proporzionale puro, centocinquanta costituenti e questi centocinquanta costituenti dovranno semplicemente, ed esclusivamente, occuparsi della Costituzione, senza nessuna intromissione del Governo e senza avere nessun incarico istituzionale, ma neanche lavorativo, per quei tre anni. Infatti, essi dovranno occuparsi solo della Costituzione in modo sereno e tranquillo, perché dovranno occuparsi della Carta fondamentale dello Stato. E, in più, per i cinque anni successivi, non dovranno avere incarichi istituzionali, perché non vogliamo che ci sia il rischio che qualcuno faccia la Costituzione .
È per questo che, invece, maggiormente in questa riforma, sono saltati tutti gli schemi. Infatti, sebbene la Ministra e anche il signor Renzi ci avessero detto che doveva essere condivisa il più possibile – e dunque fu fatto il famoso patto del Nazareno – e non si poteva modificare perché una parte dell'opposizione era per quella riforma, dopo che è saltato l'accordo, non si riesce a capire il perché non si siano potuti riaprire i giochi e vedere come si poteva cambiare, ad esempio, la composizione del Senato quando, a parole e nei fatti, il gruppo di SEL, del PD, noi della Lega, il MoVimento 5 Stelle, e anche i presidenti di regione, quasi tutti, erano favorevoli a fare un Senato alla tedesca, un Senato che fosse con vincolo di mandato e di rappresentanza delle regioni. Non si riesce a capire perché non si sia voluta cambiare quella parte.
Vedere – e questo, a mio avviso, è una grande mancanza istituzionale – che il Ministro non ha mai, o pochissime volte, partecipato ai lavori di Commissione e d'Aula, perché occupato al Senato con la legge elettorale (anche se vi era sempre il sottosegretario Scalfarotto che è sempre stato presente e anche la sottosegretaria Amici) è una mancanza istituzionale. È una mancanza istituzionale che il Ministro non venga o venga così poche volte. Sembrava quasi che la partita, nei fatti, fosse già chiusa, perché era stata chiusa al Senato, dove i numeri della maggioranza erano più risicati. Questa è una mancanza, a mio avviso, istituzionale.
Vedere che con questa riforma, nei fatti, si va a ridurre quello spazio di autonomia e di federalismo delle regioni per noi è inaccettabile. Abbiamo visto che ci sono state delle incongruenze, ad esempio penso alla norma di salvaguardia che noi non condividiamo e sulla quale è stato detto che può essere promossa solo dal Governo, perché il Governo ha i numeri; io ricordo che questa è ancora una Repubblica, in teoria, parlamentare, non è una Repubblica dell'Esecutivo. Dunque, queste sono mancanze molto gravi, a mio avviso.
Abbiamo visto che abbiamo tolto ancora più competenze a quel poco di federalismo che era stato inserito prima dal centrosinistra, poi con il federalismo fiscale che avevamo fatto noi e mai attuato, perché mancano i decreti attuativi del Governo. Abbiamo detto che, per quanto riguarda la finanza locale, l'unica competenza esclusiva è dello Stato, dunque vuol dire che abbiamo levato ancora di più la responsabilità ai sindaci e agli amministratori locali.
Veramente state facendo una riforma inconcepibile, a nostro avviso, che non funzionerà, come è successo con la riforma delle province, che ha creato solo grande confusione.
Per questi motivi noi siamo contrari e, in ogni caso, noi avevamo dimostrato che volevamo partecipare. Non avevamo, all'inizio, presentato 10 mila emendamenti o subemendamenti; in Commissione, come Lega Nord, avevamo presentato 96 emendamenti, e stiamo parlando di 40 articoli della Costituzione; in Aula, se non ricordo male, eravamo arrivati a circa una settantina di emendamenti, non migliaia. Dopo, quando abbiamo visto che non c'era rispetto neanche nella forma e che si voleva andare a spron battuto solo per dimostrare che si finiva il sabato, e dunque bisognava finire in ogni caso, allora lì, onestamente, abbiamo fatto ostruzionismo. Abbiamo presentato, in poche ore, qualche migliaia di subemendamenti, ma siamo stati ancora responsabili, perché quella qualche migliaia di subemendamenti li abbiamo ritirati, perché noi crediamo alle riforme, ci crediamo veramente.
E veramente ci dispiace vedere come vengono affrontate, con tantissime incongruenze: i senatori a vita, che non sono ovviamente più a vita, ma nominati dal Presidente della Repubblica, che vengono mandati al Senato, a far che ? In rappresentanza degli enti locali mettiamo i senatori nominati dal Presidente della Repubblica ? Dovevamo abolirli, cogliere l'occasione. Una figura anacronistica, che non ha più senso, che non c’è in nessuno Stato del mondo. Se si vuole riconoscere l'importanza di qualche cittadino di questo Stato, per i suoi meriti culturali, sociali e via dicendo, ci sono altri strumenti più adeguati, a mio avviso. Perché in democrazia, a mio avviso, va a governare e va a fare le leggi chi è eletto dai cittadini, non chi è nominato ! Questa è la differenza.
Dunque, una riforma che, nei modi e per come è stata fatta, non ci piace assolutamente. Speriamo che venga affossata, tralascio il sistema del «al Senato venga cambiata ancora», oppure con un referendum finale. A mio avviso non si arriverà al referendum finale, e spero – questa volta, sì – che ci sia, da parte di tutti i gruppi, una valutazione seria delle riforme, e che venga presa in considerazione la nostra proposta di legge. Anche noi abbiamo fatto i nostri errori, anche noi, quando eravamo al Governo, abbiamo provato a fare delle riforme e non siamo riusciti, perché ? Perché è entrata quella dinamica governativa.
PRESIDENTE. Deve concludere.
MATTEO BRAGANTINI. Dunque, la riforma dell'articolo 138, che noi abbiamo presentato, non serve a modificare l'articolo 138; ma serve lo stesso in futuro, perché il metodo migliore per riprendere in mano le riforme costituzionali, la Carta costituzionale, quando sarà, se la vostra riforma andrà in porto, ma a mio avviso non andrà in porto, è che sia condivisa da tutti i cittadini e non abbia una dinamica elettorale. Poi capisco che qualche collega non può metterci la bandierina sopra dicendo che la riforma costituzionale è sua, ma a me interessa il risultato: io voglio che la riforma della Carta costituzionale venga fatta con la maggior condivisione possibile, non a colpi di maggioranza.
Per tutti questi motivi, come Lega Nord, voteremo contro queste riforme costituzionali
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Andrea Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, riformare la Costituzione è una grande responsabilità ed è sicuramente anche un atto di coraggio per le polemiche che, inevitabilmente, partono non appena si cerca di farlo e non appena si fanno proposte in questo senso, anche perché noi ci sentiamo dire, da moltissimo tempo, che la nostra è la Costituzione più bella del mondo, che non va modificata, che le responsabilità sono altre, che i problemi nascono solo dai regolamenti, e dire che la nostra Costituzione è imperfetta e richiede dei cambiamenti non è mai stato facile. Spesso chi lo ha fatto è stato accusato di autoritarismo, di voler fare delle modifiche esclusivamente a fini personali.
Prima l'onorevole Di Lello ha citato i tentativi del Partito Socialista. Ricordo che allora ci furono le stesse polemiche. Invece, bisogna prendersi quella responsabilità. La nostra Costituzione è una Costituzione equilibrata, efficiente, molto moderna nella parte sui diritti, anche se con qualche compromesso, che è il frutto proprio dei compromessi che furono raggiunti dopo la conclusione della guerra. Ma la seconda parte della Costituzione è superata e noi riteniamo che si debba intervenire. Per questo, essendo un partito che fa delle riforme il proprio segno distintivo, la propria caratteristica principale, non ci siamo tirati indietro.
Abbiamo anche sentito dire da molti che non doveva essere il Governo a presentare un disegno di legge di riforma, come se ci fossero grandi esempi di riforme costituzionali partite dal Parlamento. Il problema non è quello, non è chi presenta un disegno di legge. Il problema è come si lavora poi sulla riforma e il suo contenuto.
Passando appunto al contenuto, questa riforma ha tre aspetti fondamentali: la riforma del Senato, la riforma del procedimento legislativo, che consegue alla riforma del Senato, e la riforma del Titolo V. Poi ci sono anche altri importanti aspetti, ma direi che questi sono gli aspetti fondamentali.
Io vorrei partire dal secondo aspetto. Il superamento del bicameralismo paritario è fondamentale, lo abbiamo vissuto in questa legislatura. Esiste oramai, anche per la degenerazione che ha avuto la relazione all'interno dei partiti, una totale inefficienza del processo. Noi abbiamo una serie di componenti politiche – non li chiamo neanche partiti –, maggioranze e opposizioni, alla Camera e al Senato, che non riescono a raccordarsi neanche a 500 metri di distanza. Il concentrare tutto, o quasi tutto, in una Camera, limitando gli interventi della seconda Camera alle questioni o più importanti o di stretto riferimento delle autonomie, non può che migliorare la situazione. La potrà migliorare ovviamente se si modificheranno anche i Regolamenti parlamentari. Ma noi riteniamo che il nuovo procedimento legislativo – come esce dalla Camera, perché quello del Senato era pericolosamente simile al riparto di competenze tra Stato e regioni che era presente nel vecchio articolo 117 – è un sistema che può funzionare e – ripeto –, se verranno corretti i Regolamenti nel modo giusto, potrà funzionare. Quindi, su questo aspetto noi diamo un giudizio positivo.
Lo stesso vale per gli articoli 117 e seguenti, per la riforma del Titolo V. Abbiamo vissuto gli effetti devastanti delle riforme precedenti e si è cercato di porre rimedio. Si è cercato di porre rimedio riportando allo Stato una serie di competenze che, per noi, devono essere statali. Penso alle politiche del lavoro, penso all'istruzione e formazione professionale e penso anche alla correzione molto importante che si è adottata inserendo la clausola di supremazia. È evidente che la clausola di supremazia non potrà che essere e dovrà essere utilizzata con prudenza e attenzione. Ma la possibilità per lo Stato, nell'interesse nazionale, di intervenire, naturalmente attraverso una legge del Parlamento, per aumentare le competenze statali rispetto a quelle regionali è sicuramente fondamentale per l'uniformità e l'efficienza della legislazione in determinati campi.
Ci sono altre cose positive, alcune a noi direttamente riferibili. Abbiamo portato nell'articolo 117, tra le competenze statali, grazie al collega Quintarelli, i temi del digitale e dell'uniformità dei sistemi digitali. Abbiamo portato la trasparenza, nell'articolo 97, come principio di organizzazione della PA, grazie a un emendamento dell'onorevole Vargiu. Noi pensiamo che tutte queste siano cose positive e pensiamo anche che alla Camera sia stato giustamente corretto il sistema delle garanzie rafforzando e migliorando sia i criteri di elezione del Presidente della Repubblica sia quelli di elezione dei membri della Corte costituzionale.
Venendo al Senato, per quanto riguarda la composizione del Senato, che è il terzo elemento più rilevante, per noi l'elemento dei costi non è mai stato – in questo sono d'accordo con quanto ha detto un collega poco fa – un elemento essenziale. Riformare la Costituzione per il costo di una delle due Camere non credo sia giusto. Ma il fatto di avere una Camera delle autonomie è sicuramente un fatto positivo. Meno positiva – lo dico senza problemi – è la composizione. Noi di Scelta Civica avremmo preferito un Senato alla tedesca, come quello che è stato richiamato poco fa.
La realtà è che la composizione del Senato è stata pesantemente condizionata, come molti altri aspetti di questa riforma, dalla posizione di Forza Italia, che non ha voluto che ci fossero rappresentanti dei governi, neanche i presidenti di regioni e neanche su base proporzionale, nella composizione del Senato. E siccome pensiamo che nel complesso la riforma sia corretta, abbiamo deciso di votare comunque a favore perché, in ogni caso, la nuova composizione del Senato rappresenta indubbiamente le autonomie. Dire che i consiglieri regionali non sono rappresentativi delle regioni è abbastanza paradossale per chiunque conosca anche la struttura, la composizione e le caratteristiche dei consigli regionali. Dunque, anche su questo aspetto, che pure ci piace meno, perché indubbiamente avremmo preferito un altro tipo di Senato, pensiamo che valga la pena andare avanti e che la riforma possa essere positiva.
Ho sentito richiamare molte volte quello che è accaduto il 13 febbraio, se non sbaglio, con l'uscita dall'Aula. Oggi non abbiamo presente il MoVimento 5 Stelle. Bisogna ricordare che il MoVimento 5 Stelle è uscito dall'Aula esclusivamente perché ci si è rifiutati di approvare i loro emendamenti in materia di democrazia diretta, non per motivi di metodo, non per forzature. Hanno chiesto di approvare i loro emendamenti sui referendum; non sono stati approvati e per questo, alle cinque di pomeriggio del venerdì, se ne sono andati. Questo tipo di comportamento non ha niente a che vedere con la tutela della democrazia, ma è il non accettare il fatto che quel tipo di democrazia diretta al resto del Parlamento non piace. È legittimo proporla, è legittimo bocciarla. Quello che è stato grave è stata l'uscita dall'Aula delle altre opposizioni che hanno avallato il comportamento di chi, di fronte a un rifiuto di merito di approvare delle loro posizioni, ha iniziato a battere i pugni sui banchi e non ha più fatto lavorare gli altri. Ecco, quella non è tutela della democrazia. E sentire oggi vari esponenti delle opposizioni dire che loro sono usciti dall'Aula per le forzature, quando l'occasione dell'uscita è stato il momento in cui il MoVimento 5 Stelle è uscito per quella ragione, per una ragione di merito, credo sia un errore gravissimo.
Del resto, sentiamo cose assurde. Ho sentito dire al collega Matteo Bragantini della Lega che si punta a una legge elettorale di nominati. Io ricordo che il Porcellum fu scritto principalmente da un esponente della Lega ed era, credo, il simbolo delle elezioni di nominati. Forza Italia ci dirà tra poco che non voteranno la riforma perché avevano concordato sul testo, perché era una mediazione, ma che, saltato l'accordo, non voteranno più il testo, che tradotto significa: avrei votato una riforma costituzionale che ritengo sbagliata, ma non la voto perché non hanno eletto un Presidente della Repubblica che mi piace. Questo non credo che sia un criterio sulla base del quale si modifica la Costituzione .
Scelta Civica ha seguito un'impostazione diversa: non ci piaceva il Patto del Nazareno, non ci piaceva sapere che alcune delle scelte fossero condizionate dai veti di Berlusconi o della minoranza interna del PD o dalla necessità al Senato di negoziare questa o quella cosa, non ci piaceva affatto, ma abbiamo valutato la riforma nel suo complesso, abbiamo concluso che quella riforma può essere positiva per il Paese e per questo la voteremo .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Quaranta. Ne ha facoltà.
STEFANO QUARANTA. Signora Presidente, siamo qui in quest'Aula innanzitutto perché crediamo nelle istituzioni parlamentari e, quindi, per rispetto di questa istituzione. Siamo qui perché abbiamo trovato ascolto nel Presidente della Repubblica che, da poco eletto, ci ha ascoltati più lui che non questa maggioranza parlamentare e questo Governo in molti mesi di discussione della riforma della Costituzione. Questa maggioranza si è arrogata il diritto di modificare oltre quaranta articoli della Costituzione senza nessun mandato parlamentare, poiché nessuno presente in quest'Aula si era presentato all'elettorato portando avanti queste proposte. Lo sta facendo rappresentando una minoranza nel Paese, avendo fatto patti più o meno segreti che poi sono saltati con un partner che oggi è contrario a questa riforma e senza consentire una vera dialettica parlamentare, che non c’è mai stata, né in Commissione, né in Aula. Ed è veramente incredibile che chi si propone di cambiare quaranta articoli della Costituzione non abbia mai sentito il bisogno di motivare in Aula, articolo per articolo, se non altro per rispetto a chi questa Costituzione l'ha fatta qualche anno fa il perché fosse necessario cambiare quaranta articoli di questa Costituzione.
Mentre purtroppo vi abbiamo annoiato con le nostre peregrine obiezioni a cui evidentemente non era nemmeno necessario dare una risposta e questa è la vostra idea di rispetto del Parlamento e delle opposizioni. Vede, signora Presidente, noi non ci siamo mai sottratti sin dall'inizio ad una discussione di merito sulle riforme della Costituzione. Ovviamente noi continuiamo a pensare che la nostra Carta costituzionale necessiti semplicemente di quella che Stefano Rodotà ha definito una manutenzione ordinaria e quindi vorrei che in quest'Aula dessimo un giudizio sulla nostra Carta costituzionale: infatti non si può sempre in maniera retorica andare in giro, quando si incontrano sindacati, l'ANPI, quando si fanno le manifestazioni del 25 aprile dire che la nostra è la Carta più bella del mondo e poi stravolgerla in questo modo, a mio giudizio andando ad inficiare anche alcuni principi fondamentali dalla prima parte. Dunque il nostro giudizio su questa Carta è chiaro: noi pensiamo che la Carta costituzionale, anche in un momento di difficoltà economica e sociale del nostro Paese e mi permetto di dire anche etico-morale, sia stato un punto di tenuta delle nostre istituzioni, che certo può essere migliorato in alcune parti ma assolutamente non può essere considerata il freno allo sviluppo del nostro Paese e vorrei ricordare che è grazie a questa Carta costituzionale che il nostro Paese ha avuto il economico e pensate che lo abbiamo avuto con il bicameralismo, con il sistema proporzionale ma forse c'erano forze politiche che erano degne di questo nome. Non vorrei infatti che noi pensassimo di risolvere i problemi del nostro Paese stravolgendo la Carta quando è del tutto evidente che la crisi del nostro Paese è la crisi delle classi dirigenti che sono state inadeguate in questi anni e continuano, ahimè, ad esserlo. Tant’è vero – lo abbiamo visto anche questi ultimi anni – che c’è chi dice che questa riforma era attesa da vent'anni, che la Carta costituzionale non è mai stata toccata: ciò è palesemente falso. Sono state fatte molte riforme della Carta costituzionale in questi anni tutte, ahimè, peggiorative a partire dal Titolo V, a cui oggi si rimette mano perché oggi tutti ci rendiamo conto che era stata semplicemente seguita una moda, e ora dalla moda federalista passiamo alla moda centralista, anche qui senza alcun ragionamento su cosa serva ai cittadini italiani, su quali livelli istituzionali servono per rendere migliori i servizi ai cittadini. Tutta una cosa fatta a tavolino, senza capo né coda, come poi vedremo nel dettaglio. Poi sono state fatte altre riforme: quella dell'articolo 81, che dimostra, anche in questo caso, non il progresso che noi stiamo mettendo nella Carta costituzionale, ma il servilismo delle nostre classi dirigenti rispetto ai poteri forti Infatti, vedete, se esiste una questione democratica, ed esiste anche nelle società occidentali, non è quella legata al fatto che dobbiamo aggiornare la nostra Carta costituzionale, semmai è quella che riguarda l'Europa perché il nostro Paese sta cedendo – e anche giustamente sempre di più – sovranità ad un'istituzione che però ahimè è governata da burocrati non eletti da nessuno, che possono decidere del destino di interi Paesi e su questo sì, forse bisognerebbe fare una battaglia per portare un po’ più di democrazia. Mentre devo dire che, anche da questo punto di vista, il semestre di Presidenza del Governo Renzi è stato del tutto deludente e non ha lasciato traccia nemmeno in questo: altro che grandi riforme e grandi svolte ! Insomma rispetto al 40 per cento che voi avete preso grazie al fatto che avreste ribaltato l'Europa, devo dire francamente che i risultati sono pari a zero e dovreste rendervene conto. Quindi quando dico che noi ci siamo avvicinati a questa idea di riforma con spirito costruttivo, lo possiamo anche dire credendoci perché noi abbiamo presentato una proposta al Senato. E si potevano approvare modifiche tranquille, normalissime, che avrebbero dato efficienza alla nostra Carta costituzionale e largamente condivise. Noi eravamo d'accordo per il superamento del bicameralismo paritario. La Camera avrebbe potuto essere la Camera che dà la fiducia, ma il Senato non può diventare il dopolavoro dei consiglieri regionali e dei sindaci, dovrebbe avere effettivi poteri di controllo. Avrebbe potuto, ad esempio, dedicarsi a quella legislazione concorrente che voi state abolendo e avrebbe potuto dedicarsi tra l'altro al diritto dell'Europa, che è il diritto del futuro e che meriterebbe una particolare attenzione: non lo svilimento che è stato fatto cercando di mettere e togliere poteri nelle diverse letture al Senato tra Commissione, Senato e Camera. Quindi cose si potevano fare. C’è il tema dei costi della politica. Noi, come altri hanno detto, pensiamo che non si possa fare la riforma delle Camere sulla base di questo e tuttavia nel nostro programma elettorale con cui ci siamo presentati alle elezioni c'era la riduzione del numero dei parlamentari.
Si poteva fare, in maniera equilibrata, tra Camera e Senato: 400 deputati e 200 senatori sono meno dei 630 che voi mantenete in vigore con questa riforma, ma con una differenza. Spiegatemi voi come 100 senatori che, di fatto, sono consiglieri regionali e sindaci, possono controllare, nei tempi brevissimi che voi avete previsto, un lavoro di 630 deputati. È un nonsenso, è un Senato che non serve a nulla. Allora sarebbe stato meglio abolirlo, il Senato, anziché tenere questo obbrobrio che state facendo .
Infine, la vostra riforma – ed è bene che nel Paese si inizi a parlare di questo – la state presentando con una doppia chiave di lettura: c’è il livello della propaganda – quella che usa Renzi in televisione –, per cui questa riforma serve per dare efficienza alle istituzioni e a tagliare i costi della politica. Efficienza cosa vuol dire ? Il problema dell'Italia è, forse, il fatto che questo Parlamento fa poche leggi ? Il tema è quello di velocizzare l'approvazione delle leggi ? È esattamente il contrario: nel nostro Paese si fanno troppe leggi. Si fanno troppe leggi e, semmai, quelli che mancano sono i decreti attuativi, che sono responsabilità del Governo. Per cui, molte leggi vengono approvate e, poi, attendiamo mesi perché queste leggi abbiano degli effetti. Allora, che si agisca su quello, che si agisca, come la Presidente Boldrini spesso richiama, sui Regolamenti parlamentari.
Poi, c’è il secondo livello, quello per menti un po’ più raffinate e, cioè, che questa riforma la si fa per superare il bicameralismo paritario. Dicevo, ovviamente, che si poteva fare in tanti modi diversi. Certo, se c’è un modo contraddittorio è questo: cioè, si istituisce il Senato delle autonomie e, contemporaneamente, si tolgono poteri alle regioni. Si fa un guazzabuglio di questo Senato, senza capo né coda, in cui ci sono consiglieri regionali, sindaci, in cui ci saranno alcune regioni sovrarappresentate e altre che non conteranno nulla; e in più, per non farci mancare nulla, abbiamo tenuto gli ex Presidenti della Repubblica, i senatori a vita, i senatori di nomina presidenziale. Insomma, una roba che non ha né capo né coda.
Poi, c’è il vero livello della riforma, e su questo vado a concludere: cioè, perché, in realtà, si fa tutto questo ? Il vero livello di questa riforma lo si vede nel combinato disposto con la legge elettorale e, cioè, il punto è questo: in un momento di crisi economica e sociale del Paese non si apre ad una maggiore qualità della democrazia, ad una partecipazione diretta, al fatto che nuove idee possano circolare, forse, per migliorare le condizioni del Paese, ma con una svolta accentratrice dei poteri...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
STEFANO QUARANTA. ...perché voi contemporaneamente date ad una sola Camera la fiducia, con legge elettorale fate un Parlamento di nominati dipendenti dal Premier, date un premio di maggioranza abnorme ad un solo partito e, in più, aumentate i poteri del Governo verso il Parlamento con il voto a data certa e del Governo verso gli enti locali con la clausola di supremazia. Questo è il senso della vostra riforma: questa è una svolta accentratrice nei confronti del Governo e di una persona: il Premier ! Altro che sistema presidenziale ! Ci sono molte più garanzie nei sistemi presidenziali, dove il Congresso è indipendente rispetto al Presidente, come negli Stati Uniti. Qui, invece, avremo un Parlamento asservito al Presidente del Consiglio.
Io concludo dicendo questo: per fortuna, avremo ancora il passaggio del referendum confermativo, che, vi assicuro, non sarà una vostra gentile concessione, ma sarà una battaglia che noi faremo a tutti i livelli nel Paese .
Concludo con una cosa, scusate, e lo dico da povero, umile rappresentante di SEL, partito piccolo, che conta poco in questo Parlamento. Siccome il Governo non solo ha proposto una riforma della Costituzione – cosa che non gli spetterebbe –, ma ha anche spesso minacciato questa Camera, dicendo che, se il percorso delle riforme non andava avanti, il rischio era quello di sciogliere le Camere, allora io lo dico a me stesso e anche a molti deputati del PD, rispetto ai quali, evidentemente, questa minaccia ha fatto presa: io preferirei, Ministro Boschi, andare a casa domani, ma non essere complice di questo obbrobrio di riforma che state facendo !
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Dorina Bianchi. Ne ha facoltà.
DORINA BIANCHI. Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di Area Popolare voterà a favore di questa riforma e lo farà con convinzione. Siamo stati i primi a dire che bisognava affrontare insieme la riforma della legge elettorale e quella della Costituzione. Oggi siamo soddisfatti...
PRESIDENTE. Colleghi, per favore, un po’ di attenzione.
DORINA BIANCHI. Oggi, siamo soddisfatti, perché stiamo centrando un nostro obiettivo: legge elettorale, sinonimo di rappresentanza e governabilità, e riforma costituzionale, sinonimo di rapidità ed efficacia del processo decisionale dello Stato. Siamo convinti che riformare sia un sinonimo di credibilità internazionale, che è un fattore importante per la fiducia dei mercati e, quindi, per l'economia reale.
Colleghi, il Paese attende questa riforma da oltre trent'anni, trent'anni in cui ci sono state molte promesse non mantenute, discorsi futili, parole, parole e progetti per superare il doppione inutile di due Camere che fanno la stessa cosa e che sono cadute nel vuoto.
La Costituzione italiana ha settant'anni, riflette indubbiamente dei principi fondamentali e inalienabili che, se non vogliamo perdere, dobbiamo integrare con quelle innovazioni che permetteranno all'Italia di essere competitiva in Europa e nel mondo. Se altri Paesi reagiscono rapidamente ai cambiamenti e alla globalizzazione, è sicuramente merito di ordinamenti che sono più proiettati verso la crescita che verso la conservazione. Non riformare la nostra architettura istituzionale – non ci vuole molto a capirlo – è un lusso che noi, oggi, non possiamo più permetterci; serve semplificare, velocizzare e – perché no ? – anche, tagliare, tagliare quelli che sono i costi della politica, ma anche tagliare i tempi e tagliare i contenziosi.
Alla minoranza democratica che twitta in difesa dell'autonomia del Parlamento, ma anche agli esponenti di SEL e di Forza Italia, che troppo spesso dicono e accusano questo Governo di aver fatto ricorso alla decretazione d'urgenza, dico che anche noi vogliamo garantita l'autonomia del Parlamento, ma a tutti questi consiglio di guardare quello che succede, oggi, nelle più grandi democrazie europee, dalla Francia alla Germania, all'Inghilterra, per scoprire che in quei Paesi l'iniziativa legislativa è saldamente nelle mani degli Esecutivi. Vedranno con stupore che, probabilmente, in alcuni anni, nella democraticissima Inghilterra quasi il 100 per cento delle leggi che sono state approvate dal Parlamento era di iniziativa governativa e, in ogni caso, la percentuale di leggi di iniziativa del Governo, nelle maggiori democrazie parlamentari – lo ripeto: parlamentari – europee è compresa tra l'80 e il 90 per cento dei casi. Ovunque le opposizioni hanno degli spazi autonomi in proporzione ai numeri che rappresentano, non per impedire le decisioni di Governo e maggioranza, ma per poter presentare, dal Parlamento ai cittadini, un indirizzo alternativo a quello che in quel momento il Governo e la maggioranza rappresentano.
In assenza di una vera corsia preferenziale, qualsiasi Governo di qualsiasi nazione è costretto ad usare la decretazione d'urgenza e se noi vogliamo dare una risposta vera alla distorsione che rappresenta la decretazione d'urgenza, dobbiamo andare avanti con le riforme e permettere all'Esecutivo di avere anche uno strumento, che è quello del disegno di legge che noi abbiamo scritto in questa riforma, e però che ha una data certa per la votazione finale.
Poi ci sono tre buoni motivi, secondo noi, per votare questa riforma costituzionale. In primo luogo, vi è la semplificazione: una sola Camera, che accorda e revoca la fiducia al Governo e che approva in via definitiva le leggi di attuazione di quello che è l'indirizzo politico; e il Senato della Repubblica, che rappresenta le istituzioni territoriali e che raccorda Stato e regioni, così da evitare conflitti di competenza, che generano solamente contenziosi. Infatti, noi, con questa riforma che stiamo portando avanti, cerchiamo di superare quello che è stato l’ del Titolo V della Costituzione; abbiamo tolto alla legislazione concorrente importanti capitoli come l'energia, le grandi reti di trasporto, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e, infine, le leggi sulla tutela e sicurezza del lavoro.
Dall'altro lato, la riforma assegna alle regioni la competenza di promuovere lo sviluppo economico e anche di accrescere quella che è la competitività dei sistemi territoriali. Viene introdotta la clausola di supremazia statale, cioè la possibilità dello Stato di intervenire quando è in causa la tutela di quell'interesse nazionale che tutti noi vogliamo difendere, ma anche la possibilità di delegare dallo Stato alle regioni.
In sintesi, colleghi, con la presenza di una Camera delle autonomie, il «chi fa cosa» finalmente non sarà più delegato alla Corte costituzionale: le regioni saranno maggiormente responsabilizzate e l'enorme contenzioso potrà essere ridotto, quell'enorme contenzioso che ha causato in questi anni ritardi, che si sono moltiplicati nell'aspettare che la Corte costituzionale prendesse delle decisioni che doveva prendere, invece, la politica.
La seconda buona ragione è che non vengono indebolite affatto, anzi si rafforzano, le garanzie del sistema costituzionale. Serve ricordare, a questo punto – sarà un po’ noioso, ma voglio farlo anche per chi ci ascolta da fuori quest'Aula –, l'articolo 64 della Costituzione, sui Regolamenti che devono garantire i diritti delle minoranze e lo statuto dell'opposizione; l'articolo 71, sui progetti di iniziativa popolare, che forse finalmente finiranno di ammuffire nei cassetti; l'articolo 73, con la previsione del sindacato preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali delle Camere; l'articolo 75, con l'abbassamento del di validità del referendum abrogativo; l'articolo 77, con le limitazioni della decretazione d'urgenza; l'articolo 83, relativo all'elezione del Presidente della Repubblica, rispetto alla quale abbiamo innalzato il dei tre quinti dei votanti.
Colleghi, sorrido, però un po’ mi dispiace, quando leggo che molte critiche sono state fatte da colleghi di Forza Italia, che si oppongono proprio a un testo che alla fine hanno contribuito a scrivere, che al Senato hanno votato, che in Commissione hanno sostenuto e che oggi diventa improvvisamente un mostro giuridico.
I numerosi miglioramenti che sono stati effettuati al testo, il Nuovo Centrodestra li rivendica. Al Senato sono stati: la drastica riduzione del numero dei sindaci e dei senatori che venivano nominati dal Presidente della Repubblica; la norma sul commissariamento dei comuni e delle regioni per il dissesto finanziario; l'inserimento in Costituzione dei costi e dei fabbisogni standard. Alla Camera, però, si sono fatti i cambiamenti più sostanziali, che riguardano soprattutto il procedimento legislativo. Noi di Area Popolare-Nuovo Centrodestra abbiamo fortemente semplificato il testo con alcuni nostri emendamenti: non ci sono più iter differenziati per materie e i procedimenti sono soltanto due: quello bicamerale paritario, per le leggi costituzionali e quelle relative alle cosiddette regole; o quello ordinario, con voto finale a maggioranza semplice, per tutte le altre leggi, inclusi i disegni di legge di bilancio e di stabilità.
L'unica eccezione è rappresentata dai disegni di legge per l'esercizio della clausola di supremazia statale su proposta del Governo, per i quali la Camera non potrà non conformarsi con il Senato, se non a maggioranza assoluta. Anche sulla famiglia, signor Presidente, abbiamo eliminato l'assurda competenza bicamerale paritaria.
Certo, questa riforma poteva essere migliore, se avessimo parlato di società partecipate e anche di macroregioni; delle società partecipate, perché, francamente, colleghi, molte sono – diciamo la verità – dei «poltronifici», solo costi inutili per i cittadini; e poi le macroregioni, perché è fondamentale, per garantire un'organizzazione che funzioni, non frammentare, non avere una configurazione frammentaria delle nostre venti regioni, come è oggi.
Ci sono state molte critiche da parte dell'opposizione e noi, colleghi, non abbiamo condiviso la non partecipazione dell'opposizione alla votazione degli ultimi emendamenti, perché credo che questo non aiuti la nostra reputazione e la reputazione di questo Parlamento.
L'ultima parola spetterà agli italiani.
Saranno loro a decidere se noi abbiamo fatto in questa Aula un buon lavoro oppure no. Noi di Area Popolare siamo convinti che questa riforma dia leggi più veloci, meno parlamentari e più voce ai territori, ed è per queste ragioni che voteremo convintamente a favore.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Renato Brunetta. Ne ha facoltà.
RENATO BRUNETTA. Signora Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio – che non c’è, che colpevolmente non c’è –, signora Ministra Boschi, oggi si sta compiendo un evento grave e drammatico. Oggi ci troviamo a discutere di uno dei temi più importanti della vita politica dello Stato, la riforma della nostra Costituzione, in un Parlamento lacerato, delegittimato, in un Paese impaurito.
Siamo stati accusati di aver fatto l'Aventino, mortificando le nostre istituzioni parlamentari, ma io mi domando, signor Presidente del Consiglio, che non c’è: cosa c’è di edificante nell'affrontare una discussione, sapendo già che l'esito della stessa è segnato non dalla forza politica e dal consenso maggioritario di chi la propone, ma dalla forza trafugata e violenta dell'abuso ? L'abuso di una maggioranza che non è tale se non per conseguenza di un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale più di un anno fa; che tragicomico paradosso, signor Presidente del Consiglio, che non c’è.
Voi ci chiedete di lasciarvi cambiare la Costituzione in forza di una legittimazione incostituzionale; ma non dovrebbe essere il contrario, in una liberal-democrazia ? Non dovrebbero essere i vizi a venire sanati per rispettare la Costituzione, anziché utilizzare quei vizi proprio per poterla cambiare ? Vede, Presidente, la democrazia non è una mera proclamazione verbale, non è un simulacro di riti, ma un una cultura e da un vizio di origine della democrazia non può mai sorgere un suo consolidamento, bensì solo l'inizio della sua fine.
Quei 148 parlamentari abusivi, 130 di maggioranza attuale, sono per lei un asso della manica graziosamente concesso da un destino che la premia come si addice alla retorica dei predestinati, non una ragione di imbarazzo, il memento di una violenza alla Costituzione. Ed è inutile cercare di dimostrare che la riforma in corso può essere considerata comunque legittimata perché alla sua mancanza di legittimazione sopperirà l'eventuale referendum finale articolo 138 della Costituzione. La logica di quel signor Presidente del Consiglio, che non c’è, infatti si fonda su di una precisa combinazione nel rapporto tra cittadini e propri rappresentanti. Il referendum non ha il potere di sanare i vizi, ma di aggiungere legittimazione a quella che già ci deve essere ! Il referendum non compensa, consolida, ma non si può consolidare un vizio di origine o, meglio, consolidarlo significherebbe perseverare nell'errore e cadere in una pericolosa deriva plebiscitaria.
Signor Presidente, che non c’è, questa legislatura aveva una sola di appianare il di una maggioranza illegittimamente drogata e tale era di realizzare una convergenza di consensi sulle riforme, che rispecchiasse effettivamente una maggioranza di cittadini nel Paese. Questo è stato lo spirito con cui si è sottoscritto il Patto del Nazareno. Forza Italia si è resa disponibile a concorrere, nell'interesse generale, ad approvare una riforma costituzionale che potesse avere la sufficiente legittimazione per superare l’ prodotto dalla dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale. Purtroppo, le logiche giacobine del suo partito, del suo comportarsi, signor Presidente del Consiglio, hanno prevalso sul buonsenso e, come ha detto il Presidente Berlusconi domenica scorsa a Bari, abbiamo imparato che ogni cambiamento per le riforme da lei imposto non serviva a migliorare le istituzioni, ma solo a privilegiare le posizioni di una sola parte politica.
Abbiamo imparato che l'arroganza di chi si ritiene a torto moralmente superiore non è cambiata, per loro dialogare significa imporre le proprie idee e la propria visione del mondo. Noi ci avevamo creduto fino in fondo, signor Presidente del Consiglio che non c’è, con enormi costi in termini di consenso. È stato giusto tentare, ma ora a testa alta possiamo dire che non siamo stati noi a tradire quel cammino che poteva cambiare il Paese. La brusca interruzione del dialogo ha reso evidente l'intento malcelato della maggioranza, della sua maggioranza, signor Presidente, a rafforzare a dismisura i poteri del Premier, i suoi poteri, svincolare il Premier da qualsiasi senso di responsabilità verso il Parlamento trasformato in una mera Camera di ratifica delle decisioni del Governo, come ci ricorda oggi il professor Rodotà, rendere il Premier un uomo solo al comando, azzerando tutti i che qualsiasi liberaldemocrazia deve avere per non trasformarsi in una dittatura della maggioranza. In quest'Aula siamo tutti consapevoli delle ferme reazioni che sono venute in queste settimane dai più importanti costituzionalisti del Paese, di ogni orientamento culturale, soprattutto di sinistra: da Zagrebelsky a De Siervo, da Ainis a Luciani, a Rodotà, a Oliva oggi, solo per citarne alcuni.
E ancora, signor Presidente del Consiglio che non c’è, non ci si dica che quelle proposte erano già state delineate durante le trattative con il centrodestra nel quadro dell'accordo del Nazareno e che il nostro sarebbe un voltafaccia, lei ha tradito la nostra fiducia per il potere, per il suo potere, ed è per questo che lo spirito di questa riforma si sta trasformando in un fantasma che si aggira sulla nostra democrazia così da renderla, come è stato detto, una «democratura». Quale pratica può nascere dall'arroganza delle forzature, dal disprezzo dell'opposizione, dalla cultura costituzionale, anzi incostituzionale, di chi abusa del potere malgrado una sentenza della Corte costituzionale ? E quale uso, quale pratica ne potrà fare il vincitore che, solo al comando, beneficerà di una riforma che nasce da un simile disprezzo per lo spirito e la sostanza della legalità democratica ? Queste sono le ragioni per cui il gruppo di Forza Italia voterà contro questa riforma, lo farà a ragion veduta, a seguito di una discussione che si è svolta nei suoi uffici di partito, in seno al gruppo parlamentare, sotto la guida e l'ispirazione del Presidente Berlusconi.
Nel merito, dopo la vostra riforma del 2001 che andava in direzione esattamente opposta a quella di oggi, ci si sarebbe atteso l'aggiustamento necessario di quella riforma voluta, ricordiamocelo, dal centrosinistra stesso, a strettissima maggioranza. E invece no, si fa una grossolana inversione a «u», si ripristina un egemonico interesse nazionale che non è l'interesse della nazione, ma l'interesse della maggioranza politica del momento. E ancora, si costruisce un sistema legislativo che produrrà infinite controversie, che consentirà l'uso di poteri di interdizione e rallentamento finendo per sospingere ancora una volta verso quella legislazione emergenziale e d'urgenza per decreto-legge di cui a parole ci si vorrebbe liberare. In questo contesto il nuovo Senato sarà caratterizzato da impotenza e spirito revanchista, così poco legittimato per la sua elezione indiretta da non poter svolgere alcun ruolo costruttivo ma solo quello di avvelenare i pozzi e sabotarne le iniziative.
Ancor più drammaticamente lacerante fino a rasentare la crisi costituzionale è la sommatoria, signor Presidente del Consiglio che non c’è, tra riforma costituzionale e riforma elettorale. Questo combinato disposto spiana la strada ad un orizzonte nel quale il momento più basso della legittimazione parlamentare, dopo la sentenza della Corte, nella storia repubblicana produce il cambiamento più radicale degli ultimi sessant'anni: oltre quaranta articoli della Costituzione modificati, un sistema complessivo che risulterà privo di bilanciamento, ovvero di quei pesi e contrappesi necessari per garantire l'equilibrio politico e istituzionale tra poteri e tra le diverse forze politiche in campo, a piena garanzia del popolo sovrano.
Signor Presidente, oggi il destino dell'Italia non riguarda le tecnicalità dell'organizzazione delle sue istituzioni, oggi il destino dell'Italia riguarda la scelta sul volto della Costituzione. La Costituzione di un Paese è l'anima della nazione che guardando ad essa si riconosce come comunità unita in un destino storico. Per questi motivi, la battaglia sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale ha una portata epocale.
Come ha ricordato sempre nei giorni scorsi il presidente Berlusconi, speravamo con Renzi di chiudere vent'anni di guerra strisciante, ma abbiamo imparato a nostre spese che per lei, per Renzi, il partito viene prima del Paese. Non siamo stati noi a venir meno alla parola data. Queste sfide che abbiamo di fronte in questi anni, in questi giorni e in questi mesi potranno essere affrontate solo se la nazione continuerà ad essere il punto di riferimento dell'intero popolo, di cui la Costituzione non è solo veste giuridica, ma sintesi di posizioni più profonde in cui ognuno possa riconoscersi.
State facendo un grave errore, signor Presidente del Consiglio che non c’è, e porterete la responsabilità storica di una grande occasione perduta. Per questo, diciamo «no», con semplicità «no». Il vostro «sì» è distruttivo, rischia di aprire ad una svolta autoritaria. Il nostro «no» è desiderio e tutela di libertà .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Toninelli. Ne ha facoltà.
DANILO TONINELLI. Signora Presidente, Governo, colleghi, è davvero doloroso per me essere qui oggi, ma lo faccio con l'orgoglio di chi ha il compito di testimoniare la contrarietà del MoVimento 5 Stelle ad un tentativo di rovina della Costituzione che è stato imposto con metodi fascisti. Discutere del merito di questa riforma è ormai del tutto superfluo, ma è doveroso esplicitare in questa sede i pilastri di questo attacco scellerato alle fondamenta della nostra democrazia e della nostra storia.
Politici nominati da altri politici e non eletti direttamente dai cittadini, prevaricazione del Governo sul Parlamento, complicazione del processo legislativo; in breve, meno sovranità popolare e più sovranità di un capo. Questo è l'esatto opposto di quanto prevede la nostra Costituzione. Per questo motivo, siamo stati, fin dal primo momento, contrari all'impianto di questa che chiamate riforma, ma che di riforma non ha proprio nulla. Nonostante ciò, non abbiamo rinunciato a tentare di contribuire a modificarla e a tentare in qualche modo almeno di limitare il danno.
Chi dice che abbiamo rinunciato a qualsiasi tentativo di dialogo mente, sapendo di mentire. Abbiamo provato a dialogare in tutti i modi possibili, sedendoci letteralmente al tavolo con voi per discutere di riforme, ma il concetto di dialogo del padrone del partito unico è quello di far finta di ascoltare tutti per fare poi ciò che gli pare, facendo passare coloro che dissentono per il popolo del «no». Ma chi crede di essere, chi credono di essere lui e gli interessi che rappresenta ? La Costituzione non è loro, la democrazia non è loro. Sono di tutti, signora Presidente, ma soprattutto sono degli onesti, di chi ama l'Italia e gli italiani. Tutti indistintamente, di destra e di sinistra perché l'onestà e la buona fede non sono né di destra, né di sinistra. Siamo tutti questi italiani, cittadini di ogni provenienza e appartenenza sociale, cittadini giunti in Parlamento per aiutare e rappresentare le persone che ne stanno fuori, tutte le persone che stanno fuori di qui e che anche questa volta subiscono i danni delle vostre guerre di potere.
Siamo rimasti in quest'Aula fino a notte, nonostante l'evidente illegalità del procedimento seguito perché il percorso delle riforme costituzionali è studiato per essere svolto in tempi più lunghi di quelli delle leggi ordinarie. Voi invece avete illegalmente trasformato un dibattito costituente in una grottesca seduta fiume con cui avete riformato decine di articoli della Carta fondamentale nel giro di un giorno e di una notte. Ma noi abbiamo partecipato con spirito propositivo, fino all'ultimo, fino all'ultimo. Abbiamo ascoltato, studiato e poi proposto, con l'onestà intellettuale di chi sa, in buona fede, di avere solo un interesse da rappresentare, il bene comune. Abbiamo proposto l'approvazione di alcune norme, poche, perché sapevamo non avreste ascoltato chi vi chiede onestà. Lo abbiamo fatto in nome dei principi di trasparenza e di partecipazione dal basso che ci contraddistinguono. Vi abbiamo chiesto di tutelare il Parlamento, inteso come luogo di espressione della voce del popolo, dallo strapotere del Governo che, a sua volta, è schiacciato dai poteri forti di banche e istituzioni finanziarie.
Ci avete detto di no. Vi abbiamo chiesto di aiutare i cittadini ad affiancare la politica nelle decisioni che riguardano tutti – sto parlando della nostra proposta di introdurre il referendum senza – ed è stato ancora un no. Vi abbiamo chiesto quello che tutti i cittadini italiani chiedono: il dimezzamento dei parlamentari e dei loro stipendi, l'abolizione dello scandaloso privilegio dei vitalizi per i parlamentari condannati e anche questo è stato un no. Ci avete detto sempre e solo «no» !
Lo avete fatto perché siete dei codardi lo avete fatto perché avete paura della democrazia e dei cittadini. Vi rinchiudete nella vostra roccaforte di potere perché vi sentite minacciati e vi difendete limitando la democrazia, affinché i cittadini vengano spinti ancora più in basso, in un luogo buio e deserto in cui l'unico ruolo che possono ricoprire è quello di sudditi. Ed è per questo che non c'eravamo ieri, signora Presidente, e non ci siamo neppure oggi. Abbiamo abbandonato l'Aula, come segno di rispetto per il nostro Paese e per i nostri padri costituenti. Non potevamo lasciare alcuna traccia di legittimità ad una maggioranza parlamentare illegittima, che cambia la Costituzione di tutti gli italiani di notte, in fretta come i ladri.
Ma la mia presenza qui oggi serve anche per rinfrescarvi la memoria, almeno per quelli di voi che ancora non l'hanno gettata dalla finestra insieme alla dignità. Sono qui a ricordarvi alcune parole che vennero pronunciate in quest'Aula il 20 ottobre 2005. Signora Presidente, io chiederei almeno da parte sua l'attenzione di ascoltare il mio intervento e chiederei all'Aula di ascoltare almeno questa parte dell'intervento e prego quest'Aula di ascoltarlo con la mente e con il cuore. Queste non sono mie parole: «Oggi voi del Governo e della maggioranza state facendo la vostra Costituzione. L'avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza. Il Governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione. Il Governo e la maggioranza – ripeto – hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l'accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità ad esaminare le proposte dell'opposizione o anche soltanto a discutere con l'opposizione. Ciò perché non volevate rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili accordi interni. Il modo di procedere di questo Governo e di questa maggioranza è stato il contrario di quello seguito in quest'Aula, nell'Assemblea costituente, dal Governo, dalla maggioranza e dall'opposizione di allora. (...) Siete andati avanti, con questa dissennata riforma, al contrario rispetto all'esempio della Costituente, soltanto per non far cadere il Governo. (...) Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo Governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al Governo e di chi è all'opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione». Signora Presidente, qui si chiudono le virgolette. Queste parole sembrano pensate per essere rivolte alla maggioranza e al Governo, qui ed oggi, ma sono state pronunciate in quest'Aula dieci anni fa dall'attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Avete capito bene; parlavo di Sergio Mattarella, il candidato che voi avete proposto e votato poche settimane fa e che tanto avete applaudito. Le sue parole valgono oggi più di allora e ora vi dovete vergognare per avere fatto peggio, molto peggio, di quanto fece Berlusconi nel 2005.
Ma noi, signora Presidente, non ci arrendiamo, non ci arrenderemo. Faremo di tutto per impedire che vittima della vostra malafede e degli interessi che rappresentate sia la nostra Costituzione. Lo faremo ancora, signora Presidente, anche adesso, regalandovi – e parlo con il Governo – il resoconto stenografico di questo storico discorso, che vi ho appena letto, del nostro Presidente, pronunciato il 20 ottobre 2005 in quest'Aula.
Per ora, e concludo, gli onesti escono e i disonesti rimangono, ma non finisce qui.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Lorenzo Guerini. Ne ha facoltà.
LORENZO GUERINI. Signora Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, ogni giorno ciascuno di noi sente la responsabilità di essere rappresentante del popolo italiano, a maggior ragione in questa giornata, quando siamo chiamati ad esprimere il nostro voto su modifiche che riguardano la legge fondamentale che regola la vita della Repubblica, la nostra Costituzione che, certamente, possiamo definire un gioiello di civiltà e che nei suoi principi fondamentali, nella I Parte, disegna un'idea di società e una visione dei rapporti politici, sociali, economici e culturali, che sfidano ognuno di noi a mettere tutte le sue capacità e tutto il suo impegno per almeno avvicinare quell'orizzonte che ci hanno donato i nostri padri costituenti. Noi oggi siamo qui per adempiere a quel compito e a quella responsabilità. Sono sicuro che tutti noi, pur con convinzioni e culture diverse, siamo consapevoli di questo, così come tutti siamo animati dalla volontà di far sì che la Costituzione sia sempre più capace, nella sua parte ordinamentale, di orientare e guidare il funzionamento della Repubblica. È con questo spirito e con questa intenzione che il Partito Democratico, nei primi giorni dello scorso anno, ha proposto a tutte le forze parlamentari di maggioranza e di opposizione un percorso di riforma della II Parte della Costituzione, con un obiettivo chiaro ed esplicito: far sì che le nostre istituzioni siano in grado di muoversi a tempo con la società, far sì che la politica che le innerva sappia guidare le cose e usare la sua intelligenza per capire e governare gli avvenimenti a vantaggio dei nostri concittadini. Come funzionano le istituzioni, con quanta qualità producono i provvedimenti, quale incisività attribuiamo agli strumenti di cui dispongono per governare i processi di cambiamento, anche di questo, anzi soprattutto di questo, stiamo parlando quando parliamo di questa riforma costituzionale. Lo dico a chi continua a sostenere, lo abbiamo sentito anche oggi, che è una questione secondaria rispetto alle emergenze sociali ed economiche. Non è così, qui noi stiamo esattamente parlando e decidendo di questo: della quotidianità dei cittadini italiani e della capacità delle istituzioni di rispondere efficacemente alle sfide dell'oggi. Per questo siamo convinti che se si vuole bene alla nostra Costituzione, si opera per far sì che sia in grado di fissare regole di funzionamento istituzionale che rendono la nostra democrazia più efficiente. L'Italia ha bisogno di un responsabile coraggio riformatore, liberandosi dalla paura di cambiare le cose, dalla tentazione di dire sempre di no a qualsiasi cambiamento.
Non è un tema nuovo, sono trent'anni che nel nostro Paese se ne discute senza essere arrivati ad un punto conclusivo. Oggi il tempo è scaduto, da tempo è scaduto, e a noi qui oggi è chiesto di fare un passo avanti verso la conclusione di questo lungo dibattito che ha attraversato la politica italiana. C’è chi ci accusa di troppa fretta, francamente dopo trent'anni è un'accusa che non possiamo accogliere, se mai c’è urgenza – questa sì – che ci richiama al dovere di restituire innanzitutto alla politica la credibilità che in questi anni, su questo fronte, non ha saputo coltivare.
Con questa consapevolezza, il Partito Democratico ha formulato la sua proposta, cercando con trasparenza il più largo coinvolgimento su alcuni punti chiari: fine del bicamerale paritario, riequilibrio delle funzioni tra i livelli istituzionali di Governo, semplificazione dei rapporti tra Stato e regioni. Fuori e dentro quest'Aula, nel corso di quest'anno, vi è stato un utile dibattito politico e scientifico, ampio, approfondito e dettagliato, che ha portato anche a modifiche e aggiustamenti rispetto all'impianto iniziale sul per l'elezione degli organismi di garanzia, sulla semplificazione del procedimento legislativo, sul corretto riequilibrio dei rapporti tra Governo e Parlamento, solo per citarne alcuni.
Nessun fastidio per il confronto dunque, anzi una discussione che ha attraversato le forze politiche, compresa la nostra, che è stata certamente un arricchimento e che ci ha fatto approdare ad un testo che ha visto il voto di una maggioranza ampia, sia in Senato, sia in I Commissione qui alla Camera, dove sono stati inseriti, appunto, ulteriori cambiamenti.
Il presupposto che ci ha guidati è stata la convinzione che muovere la Costituzione è un compito che deve vedere il contributo del più ampio arco di posizioni politiche. E continuiamo a pensare che questo sia il metodo giusto, anche oggi, quando chi, dalla posizione di chi ha partecipato a tutte le fasi di discussione, di lavorazione e di decisione, dichiara il suo voto contrario, pur non facendoci comprendere fino in fondo con quali motivazioni.
Nel merito di questa riforma è cambiato qualcosa di determinante rispetto al testo che abbiamo approvato, che avete approvato, prima in Senato e poi in Commissione ? Lo dico con tutta la sincerità possibile e con rispetto: è una decisione che non capiamo. Voglio essere chiaro. Riteniamo sia molto positivo che chi nelle ultime fasi di discussione aveva deciso di uscire dall'Aula sia oggi qui. È un bene per tutti. E ci rammarichiamo per chi continua a rimanere estraneo al futuro. Onorevole Toninelli, più che aprire il Parlamento, continuate a chiudere le porte dietro di voi Altro che i ladri della notte ! Oggi verifichiamo ancora una volta, per vostra scelta, la vostra irrilevanza.
Ma se da parte di alcuni gruppi il voto contrario di oggi è conseguenza di posizioni sviluppate e mantenute lungo tutto il percorso, l'atteggiamento di chi invece ha sempre votato a favore oggi è incomprensibile, non solo per noi, ma probabilmente per l'intera opinione pubblica. È sempre legittimo cambiare idea, ma non si accampino scuse improbabili e, soprattutto, non si usi la Costituzione per fare campagna elettorale ! Se si decide di abdicare alla propria convinzione per energici condizionamenti politici di potenziali alleati, non può essere l'Italia a pagarne il prezzo. Altro che farci tirare la giacca ! Vi hanno già strappato probabilmente anche le maniche .
È del tutto evidente, però, che noi non possiamo che andare avanti. L'Italia non si merita di aspettare ancora, l'Italia e i suoi cittadini aspettano da troppo tempo. Ce lo ha ricordato più volte il Presidente emerito Napolitano e anche il Presidente Mattarella, nel suo messaggio di insediamento, nel rispetto della sovranità delle Camere, ha voluto esprimere l'auspicio che questo percorso sia portato a compimento, con l'obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia.
Signora Presidente, colleghe e colleghi, noi oggi siamo a questo passaggio importante. Tutti noi in quest'Aula abbiamo l'occasione di rispondere «sì» a una domanda che i cittadini italiani ci hanno posto da decenni, cittadini che in più di un'occasione ci hanno mostrato la capacità di separare la sostanza dalla politica, dalla propaganda, di essere maturi e consapevoli per capire che, se si vuole rendere la nostra democrazia adeguata, occorre assumerci la responsabilità del cambiamento. Troppo spesso la politica ha avuto ed ha ancora atteggiamenti paternalistici nei loro confronti, quasi avessero bisogno di essere guidati per comprendere le conseguenze delle decisioni. Non è così e ce lo hanno fatto capire più volte. Semmai è la politica che deve ritrovare la loro fiducia. Oggi è uno di quei momenti. Non c’è dubbio che sapranno giudicare e lo faranno attraverso il referendum. La Costituzione appartiene a loro e loro ci diranno se abbiamo lavorato per il meglio.
Il Partito Democratico è convinto di averlo fatto e – ci sia permesso – è orgoglioso di avere contribuito con la sua iniziativa a mettere in moto un processo riformatore decisivo per il futuro della nostra democrazia e di ciascun cittadino italiano. È quindi con questa convinzione e con la responsabilità che ci compete che preannunzio il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico
PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti della classe II F dell'Istituto Bodoni di Parma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Benvenuti !
Come sanno i colleghi che partecipano alla Conferenza dei presidenti di gruppo, gli interventi a titolo personale non ci dovrebbero essere oggi, perché i tempi sono esauriti, ma, vista la rilevanza del provvedimento, ritengo sia giusto concedere un minuto ai colleghi che vorranno intervenire in dissenso dal gruppo. Ci sono sette iscritti a parlare. Dunque, do la parola al deputato Maurizio Bianconi. Prego, deputato, ha un minuto.
MAURIZIO BIANCONI. Grazie Presidente. Desidero precisare, di fronte a questa pioggia di «no» del gruppo di Forza Italia, che il mio è un «no» che è sempre stato «no», che non è mai stato «nì», né tantomeno «sì» . Ho sempre detto che il patto del Nazareno era una cosa misteriosa, sbagliatissima, dannosa, che il metodo Renzi è contrario ad ogni prassi costituzionale, che le riforme renziane sono pessime e contrarie agli interessi nazionali. Sono sempre stato contrario al Senato di secondo livello e volevo l'abolizione del Senato, il presidenzialismo, il tetto fiscale in Costituzione. Ma non li volevo solo io, li vuole e li chiede il centrodestra da almeno venti anni. Ecco perché ritengo ridicole le asserzioni di chi tra noi diceva in quest'Aula che queste riforme sono le nostre riforme e ci toglieva tempo per illustrare...
MAURIZIO BIANCONI. ... i nostri emendamenti genuinamente di centrodestra. Ecco perché ero e sono contrario al «sì» votato da Forza Italia a tutti gli articoli di questa pessima riforma. Ecco perché il «no» del gruppo non è il mio «no» ed è un «no», quello del gruppo, che sarà forse transitorio e strumentale. Ma spero di sbagliarmi .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Stefano Fassina. Ne ha facoltà.
STEFANO FASSINA. Grazie Presidente. Oggi votiamo modifiche sostanziali alla Carta costituzionale, modifiche che interagiscono con le revisioni alla legge elettorale, il cosiddetto Italicum. L'interazione determina un effetto sistemico che, a mio avviso, arriva a cambiare radicalmente la forma di Governo, da sistema parlamentare a un presidenzialismo di fatto, ossia un presidenzialismo privo delle garanzie e dei contrappesi necessari, tra i quali la piena autonomia dei parlamentari, che, come sapete, in larga misura saranno nominati.
Rimango, inoltre, convinto che sia grave procedere a così radicali cambiamenti dell'assetto costituzionale senza un ampio consenso. Inoltre, nelle ultime ore abbiamo appreso dal Presidente del Consiglio l'indisponibilità a correggere la legge elettorale.
Per tali ragioni, pur condividendo la necessità delle riforme e le posizioni che esprimeranno altri colleghi dopo di me, che interverranno a titolo personale, non posso sostenere il testo oggi all'esame dell'Aula e non partecipo al voto -.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Gianfranco Rotondi. Ne ha facoltà e ha un minuto.
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente, nessuno può dubitare del fatto che io sia un deputato di opposizione, visto che ho persino fatto un «governo ombra». Nessuno può dubitare della mia lealtà verso Silvio Berlusconi perché è la mia storia. Ma oggi mi sento di dissentire dal mio gruppo. Sa perché, signora Presidente ? Perché venendo alla Camera mi sono ricordato che io qui ci sono venuto la prima volta da studente liceale, accompagnato dal grande costituente Fiorentino Sullo, e quel giorno, Ministro Boschi, strinsi la mano ad un signore che si chiamava Giorgio La Pira. La Camera discuteva di riforme. Dopo tanti anni, dopo Commissioni, tentativi, tentativo Maccanico, Commissione D'Alema, è la prima volta che giunge una riforma condivisa perché scritta dai due principali partiti che si contendono la guida del Paese. Penso che sia un errore che Forza Italia non voti una riforma che dà l'abito istituzionale al bipolarismo italiano. Infatti, Silvio Berlusconi nella storia è il bipolarismo italiano .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Capezzone. Ne ha facoltà.
DANIELE CAPEZZONE. Signora Presidente, lo ha fatto un istante fa il collega Bianconi e desidero farlo anch'io. Il «no» di tanti di noi non nasce oggi, non nasce nelle ultime ore, nasce da tempo e non nasce, come sento dire da qualche giorno, dai banchi del centrodestra, dal fatto che, virgolette, «Matteo Renzi ci avrebbe imbrogliato». Ricordo a tutti che, ammesso che esista, e non so se esista, la categoria degli imbroglioni politici, così si certifica l'esistenza della categoria degli imbrogliati politici e non mi sembra un'autoclassificazione gloriosa.
Invece, con una ventina di altri colleghi, abbiamo fatto da mesi un lavoro serio e coraggioso quando era difficile, presentando emendamenti su cinque grandi temi: presidenzialismo, abolizione secca del Senato, introduzione di un tetto fiscale e di un tetto di spesa in Costituzione, superamento dei vincoli europei di austerità, difesa e allargamento dell'istituto del referendum. Il Governo e la maggioranza ci hanno detto di «no» e per questo noi diciamo «no».
Avevamo proposto – e chiudo – emendamenti per passare, ritenevamo e riteniamo...
DANIELE CAPEZZONE. ... alla Terza Repubblica e rendere ambiziosa questa riforma. È, invece, solo manutenzione ordinaria e votiamo «no» .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Monchiero. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MONCHIERO. Signor Presidente, colleghi, io non credo che oggi sia in pericolo la democrazia, né che il voto che stiamo per dare segni l'inizio della fine delle nostre istituzioni.
Semplicemente, non condivido l'impostazione di questa riforma che mi pare raffazzonata e non ritengo opportuno trasformare il Senato della Repubblica in un dopolavoro per esponenti di altri livelli istituzionali che vivono di finanza derivata e che sono, quindi, in naturale conflitto di interessi con il Governo centrale.
Così come la riforma del Titolo V mi sembra forse peggiore di quella attualmente vigente, densa com’è di norme di dettaglio e scritta in un linguaggio involuto, degna più di una circolare ministeriale che non della legge fondamentale dello Stato.
Io so bene che l'appartenenza politica impone di sostenere le ragioni della propria parte anche quando non si condividono integralmente, ma questo sano principio di convivenza non mi pare applicabile ad una così ampia riforma della Carta costituzionale. Non è dignitoso turarsi il naso nel modificare la Costituzione e non lo farò .
PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti degli istituti scolastici secondari di secondo grado della provincia di Vicenza e del liceo delle scienze umane «Contessa Tornielli Bellini» di Novara, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Grazie di essere venuti alla Camera dei deputati .
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Altieri. Ne ha facoltà.
TRIFONE ALTIERI. Signora Presidente, io voterò «no», non per ritorsione, né per dispetto, né per il tradimento di un patto, ma voterò «no» come ho votato dal primo articolo perché questa riforma non è una modernizzazione della Costituzione, ma è un'umiliazione della Costituzione stessa, sia nel metodo, che nel merito. Nel metodo, perché si è cercato un accordo fuori da questo Parlamento, fuori da quest'Aula. Addirittura, nel metodo, non è stato consentito ai deputati di confrontarsi, di dibattere, e non è stato consentito di dormire perché questa doveva essere la riforma del Presidente del Consiglio, per soddisfare i suoi desideri di potere e accrescere il suo potere nel futuro. Infatti, nel merito, questa riforma tradisce la Carta costituzionale e tradisce anche il suo stesso titolo: superamento del bicameralismo perfetto. Non si supera il bicameralismo perfetto, diciamolo chiaramente, perché il Senato resta lì, resta lì con i suoi riti, resta lì con i suoi palazzi, resta lì con i suoi funzionari. Quindi, siamo ben lontani dal superamento del bicameralismo. Infatti, io ed altri deputati abbiamo chiesto di riformare questo Paese, abbiamo chiesto di riformare la Costituzione cancellando il Senato. Superare il bicameralismo significa eliminare il Senato. Ci è stato detto di no. Abbiamo chiesto il tetto fiscale in Costituzione, che è qualcosa che interessa i cittadini che non possono pagare il 60 per cento di tasse. Ci è stato detto di no.
Abbiamo chiesto di riformare questo Paese nel senso di un presidenzialismo vero come nelle corde di liberali quali noi siamo: c’è stato detto «no»...
PRESIDENTE. Concluda, deputato.
TRIFONE ALTIERI... ed è per questo che noi diciamo «no» in maniera convinta a questa riforma, che non è la nostra e non è fatta negli interessi degli italiani
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Rosy Bindi. Ne ha facoltà.
ROSY BINDI. Grazie Presidente. Le critiche a questa riforma della Costituzione, soprattutto per il metodo ma anche per aspetti fondamentali nel merito, sono testimoniate nei verbali di quest'Aula così come sono testimoniati nei verbali di quest'Aula i miglioramenti che, grazie alla determinazione di alcuni di noi, sono stati apportati al testo che è pervenuto dal Senato. Tuttavia, resto profondamente convinta che questa riforma, insieme alla legge elettorale, non sia una modifica della nostra Costituzione ma sia in parte un cambiamento profondo della forma di democrazia parlamentare Il Presidente del Consiglio ha annunciato in questi giorni che non ci saranno modifiche, così come spesso è stato detto che molti di noi volevano fermare il processo riformatore. Ebbene, Presidente, nonostante tutti i dubbi, io oggi dimostrerò con il mio voto favorevole che non intendo fermare il processo riformatore ma, se il Governo resterà fedele alle parole del Presidente del Consiglio e non verrà modificata la legge elettorale né verranno apportati miglioramenti a questo testo, nelle votazioni successive io non voterò a favore, non parteciperò al voto, perché nel caso di referendum vorrò stare dalla parte dei cittadini .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato D'Attorre. Ne ha facoltà.
ALFREDO D'ATTORRE. Grazie Presidente, voglio anch'io illustrare le ragioni per le quali oggi esprimerò un voto favorevole che è legato alla responsabilità che avverto di non interrompere il processo riformatore in coerenza con la scelta che ho fatto anche quando abbiamo deciso di procedere in una notte da soli, senza le opposizioni, a modificare molti articoli della Costituzione, scelta che non ho condiviso. Tuttavia, anche in quella occasione tanti di noi hanno fatto prevalere la scelta di privilegiare la prosecuzione del percorso delle riforme. Con altrettanta responsabilità e sincerità devo dire che questo atto di responsabilità a questo punto è l'ultimo perché, se il Governo dovesse riconfermare la posizione di immodificabilità dell'attuale pacchetto delle riforme – posizione tanto più incomprensibile, alla luce del venir meno del patto del Nazareno che aveva blindato e reso extraparlamentare buona parte di questo percorso di riforme e che delinea un pacchetto che, nonostante i miglioramenti che qui abbiamo introdotti, non ha dal mio punto di vista un suo equilibrio – se questa posizione sarà riconfermata nelle prossime settimane, nei prossimi passaggi parlamentari, a partire dal passaggio della legge elettorale qui alla Camera,...
ALFREDO D'ATTORRE. ...io non mi sentirò di assicurare più il mio sostegno e la mia condivisione a questo percorso di riforma
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Francesco Saverio Romano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Grazie Presidente. Intanto mi consenta di salutare con favore il rientro in Aula da parte dei colleghi che avevano scelto una opposizione altra cioè quella dell'Aventino. Essere qui in Aula a manifestare la propria posizione è il modo migliore per rispettare gli elettori e il modo migliore per rispettare le istituzioni. Per questa ragione, insieme ad altri colleghi, sin dal primo momento, abbiamo detto «no» a queste riforme perché, nel merito e nel metodo, non facevano l'interesse degli italiani. Noi abbiamo chiesto di introdurre l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Abbiamo chiesto di introdurre un tetto massimo fiscale, abbiamo chiesto di superare l'austerità europea con i suoi Trattati. Ebbene c’è stato sempre detto «no» da parte della maggioranza.
Allora, non è per lealtà nei confronti di alcuno, perché noi abbiamo la lealtà nei confronti dei cittadini e nemmeno per una ripicca – mi consenta – sull'unica cosa apprezzabile che nel corso di questo anno ha fatto Matteo Renzi e, cioè, aver proposto Sergio Mattarella a Capo dello Stato, che si forma il mio e il nostro «no» a queste riforme.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Il mio e il nostro «no» a queste riforme è un no nel merito di riforme che in un momento come questo...
FRANCESCO SAVERIO ROMANO. ... vanno fatte da tutti e non soltanto da alcuni a colpi di maggioranza .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Cuperlo. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CUPERLO. Grazie, Presidente, la mia posizione e quella di altri colleghi in questo voto è una scelta condizionata dalla volontà di non far fallire il percorso riformatore. Io mantengo, come questi colleghi, riserve profonde sull'assetto istituzionale della forma di Governo che si sta delineando e continuerò a battermi insieme a loro per le modifiche necessarie. Siamo tutti leali, in primo luogo, verso il nostro Paese. Esiste ancora uno spazio per agire e noi lo occuperemo, ma, nel caso in cui il Governo si rifiutasse di riaprire il confronto sull'ipotesi di miglioramento del pacchetto complessivo delle riforme, ciascuno si assumerà le proprie responsabilità: io dichiaro da subito che, senza modifiche, l'equilibrio attualmente raggiunto dalle due riforme non sarà condiviso – credo di poterlo dire in quest'Aula, in questa giornata – non soltanto da me, ma da un folto e significativo numero di parlamentari .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Ciracì. Ne ha facoltà.
NICOLA CIRACÌ. Signora Presidente, come tutti i colleghi iscritti oggi al gruppo di Forza Italia, ho sottoscritto al momento della mia candidatura il «patto del parlamentare», impegnandomi a non tradire il mandato degli elettori e il mio programma elettorale presentato dal presidente Berlusconi agli italiani. Rammento a tutti che il primo punto del nostro programma per rendere le istituzioni adeguate e moderne era l'elezione diretta e popolare del Presidente della Repubblica, cioè il presidenzialismo. Lo abbiamo firmato tutti quel programma: è stato un grave errore politico sottoscrivere un patto contro natura e un patto su quanto promesso agli elettori.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
NICOLA CIRACÌ. Abbiamo fatto sbandare il nostro elettorato e, insieme a molti altri colleghi, abbiamo lanciato un SOS, presentando emendamenti chiari e finalizzati a realizzare un vero passaggio alla Terza Repubblica.
Cinque questioni sono quelle che fanno parte del nostro DNA: l'abolizione secca del Senato per mantenere l'impegno assunto, dimezzare il numero dei parlamentari, introdurre un tetto fiscale e un tetto di spesa in Costituzione.
NICOLA CIRACÌ. In questa riforma non vi è nulla di tutto questo, e concludo. Io voto «no», perché credo nella democrazia parlamentare e, al contrario di altri che stanno dall'altra parte e che oggi mi deludono profondamente, non voglio fare filosofia della diversità, ma voglio dire «no» ad una riforma che ritengo iniqua, ingiusta e che è un vero attacco alla democrazia parlamentare .
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
EMANUELE FIANO, . Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
EMANUELE FIANO, . Presidente, solo pochi secondi per ringraziare, intanto, tutti gli uffici della Camera e della Commissione che hanno collaborato a questo lungo e complesso lavoro e tutti i colleghi che, a diverso titolo, favorevoli o dissenzienti dal lavoro che abbiamo fatto, hanno collaborato a questo percorso, penso tutti nell'interesse del Paese .
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, la Presidenza si intende autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato, n. 2613-A, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione a un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal tribunale di Prato e dichiarato ammissibile con l'ordinanza n. 286 del 2014.
Il conflitto è stato sollevato in relazione alla deliberazione della Camera del 28 novembre 2012 con la quale è stata dichiarata, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, l'insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Lucio Barani, deputato all'epoca dei fatti, nei confronti del Sistema Integrato degli Ospedali Regionali (SIOR), dell'Azienda USL 1 di Massa e Carrara, dell'Azienda USL 2 di Lucca, dell'Azienda USL 3 di Pistoia e dell'Azienda USL 4 di Prato.
Comunico che l'Ufficio di Presidenza, nella riunione del 5 marzo 2015, preso atto dell'orientamento espresso dalla Giunta per le autorizzazioni nella seduta del 25 febbraio 2015, ha deliberato di proporre alla Camera la costituzione in giudizio innanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953, per resistere al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Se non vi sono richieste di intervento e non vi sono obiezioni, tale deliberazione si intende adottata dall'Assemblea.
.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baretta, Bellanova, Dorina Bianchi, Stella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Capezzone, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cominelli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso De Caro, Di Lello, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Meta, Orlando, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente cento, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 2844-A: Conversione in legge del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti.
Ricordo che nella seduta del 6 marzo 2015 si è conclusa la discussione sulle linee generali ed il rappresentante del Governo è intervenuto in sede di replica mentre i relatori vi hanno rinunziato.
A questo punto, poiché i gruppi hanno fatto conoscere in questi minuti il ritiro di un gran numero di emendamenti, ritengo che, per consentire agli uffici di controllare i fascicoli e di monitorarli tutti, sia utile una sospensione di dieci minuti.
La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. Avverto che, fuori della seduta, sono stati ritirati dai deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC) tutti gli emendamenti a loro firma ad eccezione dell'emendamento Pagano 2.5.
Avverto inoltre che, sempre fuori della seduta, sono stati ritirati i seguenti emendamenti: Di Gioia 1.295, 1.41, 1.46, 1.55, 1.181, 1.215 e 1.229; Catalano 1.502 e 1.503; tutti gli emendamenti non segnalati per la votazione da parte del gruppo della Lega Nord e Autonomie; le seguenti proposte emendative del gruppo Scelta Civica per l'Italia: Sottanelli 1.322, Mazziotti Di Celso 1.500, 1.343 e 1.171, Quintarelli 4.106, Sottanelli 4.21, Quintarelli 4.016, Mazziotti Di Celso 7.7, 7.12 e 7.15, Sottanelli 8-.21 e 8-.12; i seguenti emendamenti del gruppo Sinistra Ecologia Libertà: Paglia 1.120, 1.38, 1.65 e 1.116, Ricciatti 4.64, 4.560, 5.6, 7.13, 7.20, 7.23 e 8-.501; i seguenti emendamenti del gruppo MoVimento 5 Stelle: Villarosa 1.141, 1.131, 1.136 e 1.307, Agostinelli 1.315, Battelli 1.314, Villarosa 1.5, Ferraresi 1.350, Villarosa 1.349, Cecconi 1.355, Cozzolino 1.356, D'Ambrosio 1.357; 1.306, 1.320, Villarosa 1.11, 1.339 e 1.184, De Lorenzis 1.358, Baroni 1.345, Nuti 1.105, Simone Valente 1.139 e Micillo 2.500; le seguenti proposte emendative del gruppo Partito Democratico: Fassina 1.71, 1.32 e 1.507, Marco Di Maio 7.01, Pelillo 8-.500 e 8-501.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni .
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni .
Le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri, che sono distribuiti in fotocopia .
Avverto che, a pagina 100 del fascicolo, è riportato l'emendamento Catalano 4.503, che deve intendersi correttamente numerato come 4.503-.
Avverto, inoltre, che è in distribuzione la versione corretta dell'emendamento Villarosa 1.4.
Avverto che, ai sensi dell'articolo 96-, comma 7, del Regolamento, la Presidenza non ritiene ammissibili le seguenti proposte emendative, non strettamente attinenti al contenuto del provvedimento e identiche o di contenuto analogo ad altre dichiarate inammissibili nel corso dell'esame in sede referente: Maietta 1.02, Boccadutri 4.500 (analogo al 4.012), Ricciatti 4.0500 (analogo al 4.05), Luigi Gallo 4.0501 (analogo al 4.87), Di Vita 4.0502 (analogo al 4.96) e Della Valle 4.0503 (analogo al 4.013).
Avverto, inoltre, che la Presidenza, ai sensi degli articoli 86 e 96-, comma 7, del Regolamento, non ritiene ammissibili le seguenti ulteriori proposte emendative, non previamente presentate nelle Commissioni: Petraroli 1.0500, recante novelle al testo unico in materia bancaria concernenti comunicazioni alla clientela; Catalano 4.503-, che è volto ad estendere incentivi attualmente previsti per i veicoli a trazione elettrica anche a quelli ibridi; Crippa 4.0504, recante una novella alla legge di stabilità 2014, al fine di aumentare il fondo destinato alle associazioni e ai raggruppamenti temporanei di impresa.
Informo l'Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85- del Regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare.
A tal fine il gruppo Lega Nord e Autonomie e il deputato del gruppo Misto Formisano sono stati invitati a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
Avverto, infine, che le Commissioni, al fine di recepire la condizione formulata nel parere espresso dalla Commissione bilancio, hanno presentato l'emendamento 4.1000.
Ha chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti il deputato Sebastiano Barbanti. Ne ha facoltà.
SEBASTIANO BARBANTI. Signora Presidente, ci troviamo davanti a un provvedimento che è nato, evidentemente, in fretta e i cui gradi di approssimazione, insomma, sono evidenti, sono davanti agli occhi di tutti. Da un lato c’è stata la buona volontà di inserire alcuni provvedimenti meritevoli di condivisione, sicuramente con buoni intenti, ma che sono scritti in maniera abbastanza frettolosa, anzi diciamo anche abbastanza male visto che in Commissione sono state apportate diverse modifiche e c’è stato ampio spazio, in questo caso, per la discussione e anche per il recepimento di numerosi emendamenti.
Dall'altro, però, c’è la grande piaga, che è quella delle banche popolari, della soppressione, di fatto, delle banche popolari, su cui il Governo anche in Commissione è stato praticamente sordo a qualunque richiesta sia da parte delle opposizioni sia, in alcuni casi, della maggioranza stessa e sia di un sistema di autoriforma che le stesse banche popolari stavano cercando di portare avanti e che hanno portato all'attenzione delle Commissioni competenti.
Sul trasferimento gratuito dei conti di pagamento, per carità è un sacrosanto provvedimento e se ne sentiva anche la necessità, per chiudere un po’ il quadro a seguito di quello che è stato fatto anche sui conti correnti. Però, pensiamo che si doveva e si poteva fare di più, per dare più organicità anche alla manovra stessa, alla direttiva stessa, in questo caso recependo per intero quello che diceva la direttiva europea.
Però, adesso bisogna evitare che la giusta presenza della trasparenza, richiesta e sacrosanta, all'interno delle condizioni – in questo caso delle banche sui conti correnti – diventi un ostacolo alla normale operatività, quindi consentendo sostanzialmente che questa richiesta di trasparenza, che si tramutano nella pubblicazione di un indice sintetico di costo per i conti correnti, venga pubblicata sui canali più accessibili a tutti, più fruibili a tutti, senza che si provochino delle code interminabili in questo caso agli sportelli ATM. È un piccolo correttivo, ma ha grandi risvolti anche sulla quotidianità.
Per quanto riguarda l'aiuto all'internazionalizzazione delle imprese, sacrosanto è stato anche il passo indietro fatto dal Governo stesso sull'articolato principale, che vedeva la trasformazione di Sace in banca. In questo caso gli elementi di approssimazione sono evidenti, visto che c’è stata una riscrittura totale del testo. In questo caso è utile che la Cassa depositi e prestiti abbia un ruolo principale, soprattutto perché se davvero l'economia si riprenderà le nostre imprese dovranno essere degli attori fondamentali anche sui mercati internazionali.
Però, quello che ci aspettavamo e che chiediamo, anche con gli emendamenti presentati, è che ci sia a questo punto anche un maggior coinvolgimento per quanto riguarda Simest.
Per ciò che riguarda, invece, le innovative, il provvedimento è anche in questo caso di buon senso, buono nel suo complesso. Anche qui sono state recepite diverse proposte emendative. Ad esempio, con degli emendamenti nostri è passata la possibilità di effettuare il anche tramite il canale Internet. Avevamo chiesto in questo caso che venisse alzata anche la soglia per la donazione, ma questa proposta è stata rifiutata. Così come anche buono è l'emendamento, sempre a prima firma di Alternativa Libera, proposto da Alternativa Libera, che presenta degli sgravi sui costi per quanto riguarda le imprese che acquisiscono tecnologie ad alto livello innovativo o che investono in PMI o innovative.
Quello che adesso mancherebbe, la classica ciliegina sulla torta, è sostanzialmente la possibilità di prevedere anche degli sgravi per chi produce che deve essere, quindi, secondo noi elevato al rango di una PMI innovativa.
Per quanto riguarda, invece, uno degli ultimi articoli, che riguarda appunto l'utilizzo da parte delle banche di una provvista propria per l'erogazione dei crediti alle PMI, con l'assistenza di Cassa depositi e prestiti, per ciò che riguarda invece la parte degli interessi – e questo riguarda le imprese – è un plafond che è andato a ruba; già solo questo grande tiraggio ci fa capire l'importanza per le imprese, soprattutto in un periodo così di crisi, per dare anche respiro ai bilanci e permettere un più facile accesso al credito. Ecco, in questo caso, pensiamo che, tramite il recepimento di un nostro emendamento, si sia colmato un che poteva rilevarsi pericoloso. Sostanzialmente bisognava attendere un altro decreto ministeriale che fissasse i criteri per la selezione di queste imprese, quando in realtà un decreto ministeriale già c’è, già esiste e ha delle maglie molto larghe, perché è stato disegnato proprio sulla crisi che sta imperando ormai da qualche anno.
Ecco, con il nostro emendamento abbiamo voluto fare salve – e il Governo ha apprezzato e ha accettato – i criteri, quindi queste maglie abbastanza larghe, a tutto vantaggio delle imprese. Resta, però, come dicevamo, il nodo delle popolari. Non si può per decreto dichiarare la scomparsa di un modo di fare banca, che da sempre è molto vicino ai territori, e lo sappiamo e le statistiche parlano abbastanza chiaro per quanto riguarda il sostegno che queste banche hanno dato alle imprese in un periodo così difficile. Non si possono violare i diritti dei soci che vedono trasformata la propria banca e i propri diritti sulle banche stesse. Non si può individuare in modo arbitrario e soggettivo una soglia che stabilisce dove finisce la libertà di impresa, perché di questo stiamo parlando, quando per le banche ad 8 miliardi, cifra non decisa chissà da chi, si deve decretare il passaggio ad una struttura societaria diversa, così come è anche un palliativo, una vittoria di Pirro, ed è inutile il vincolo del 5 per cento sul diritto di voto, che è stato inserito in Commissione, anche perché interviene quando ormai il danno è fatto e, soprattutto, per un periodo di ventiquattro mesi dalla conversione del decreto, perché, tra conversione, cambiamenti e recepimenti in statuto, questo 5 per cento vedrà la luce, sì e no, per sei mesi, quando andrà bene.
Ecco, abbiamo presentato, in questo caso in Aula, la possibilità di estendere a cinque anni questa deroga sul limite del 5 per cento. Ci sembra anche una cosa abbastanza di buon senso, almeno come ristoro delle vessazioni che il Governo sta facendo alle banche popolari, ai soci delle banche popolari e anche alle imprese che rischiano di vedere un po’ chiusi o ristretti quanto meno i rubinetti del credito. Perché non inserire il numero dei soci ? Si è parlato spesso in Commissione di un problema di contendibilità, di ma se il problema delle banche è quello della non si risolve con un limite a 8 miliardi, che rischia di essere controproducente anche per la stessa economia del territorio, perché una banca popolare potrebbe benissimo fermare il proprio a 7,9 miliardi, per non cambiare stato sociale e, in questo caso, significherebbe – lo sapete meglio di me – una chiusura totale dei rubinetti del credito e del della banca, con ripercussioni sia sui dipendenti della banca sia sullo sviluppo dell'impresa, l'impresa bancaria in questo senso, sia delle imprese sul territorio. Allora, perché non mettiamo un limite sulla compagine sociale ? Perché non mettiamo un limite di 100 mila soci, perché magari quello potrebbe rendere un po’ difficili i processi decisionali ? Perché non parliamo della soglia degli 8 miliardi ? Lo avevamo detto a più riprese: è una soglia che è alquanto soggettiva, calata dall'alto. Perché una volta tanto non ci appelliamo a quello che ha imposto l'Europa, in questo caso, per quanta riguarda la vigilanza ? Ecco, inseriamo allora una soglia che, da un lato, abbia un ancoraggio oggettivo, in questo caso all'Europa, quindi i famosi 30 miliardi della direttiva, e magari, dall'altro, rispecchia anche la libertà di impresa. Quindi, in questo caso stabiliamo che le popolari che vogliono quotarsi in borsa possano – anzi debbano a questo punto – cambiare stato sociale e diventare Spa. Rispetteremmo, da un lato, la libertà dell'impresa di fare impresa, costituzionalmente prevista, e, dall'altro, anche una soglia più oggettiva e parametrizzata alla legislazione europea.
Questi e molti altri sono gli argomenti di cui si è parlato in Commissione e che abbiamo riportato, sebbene in maniera limitata, per via anche della riduzione degli emendamenti, in quest'Aula. Sebbene il Governo sia stato sordo, totalmente, soprattutto per quanto riguarda le banche popolari, in Commissione, speriamo almeno che in quest'Aula possa aprire un paio di orecchie e dare un po’ più di spazio al dibattito, ma, soprattutto, a recepire degli emendamenti sacrosanti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Sibilia. Ne ha facoltà.
CARLO SIBILIA. Grazie, Presidente. Il decreto in esame sul mutamento dell'attuale quadro normativo delle prime dieci banche popolari italiane va, secondo noi, valutato nel contesto dei diversi funzionamenti degli istituti di credito italiani. A nostro avviso, naturalmente, questo decreto va a modificare, sostanzialmente, quello che è l’ societario delle nostre banche popolari, trasformando quelle che possiedono alcuni criteri in Spa. Chiaramente, volendolo analizzare dal punto di vista del funzionamento degli istituti di credito italiani, non si può non prendere ad esempio quello che è uno dei più grandi, che è UniCredit, che è una società per azioni e che è anche il principale gruppo bancario italiano per volume di attivo.
Con UniCredit si può diventare soci acquistando anche una sola azione in Borsa – il costo attuale è di circa 6 euro – e l'occasione odierna, naturalmente, consente anche di evidenziare che il bilancio pluriennale 2008-2013 della citata UniCredit Spa è, sostanzialmente, un bilancio catastrofico, come, peraltro, anche dichiarato e documentato nella passata assemblea dei soci UniCredit del 13 maggio 2014, a Roma, alla quale il sottoscritto ha preso parte.
In tale ottica, quest'Aula dovrebbe seriamente dibattere e legiferare non per la snaturazione delle banche popolari, ma sul diverso tema della deconcentrazione dei grandi gruppi bancari, cioè la localizzazione dei grandi gruppi bancari del Paese, in base ai dati fallimentari dei processi tecnico-politici determinati dalle forti e selvagge concentrazioni bancarie avviate negli anni Novanta e attuate, nel medio-lungo periodo, per favorire le maggiori banche nazionali ed i loro banchieri e dirigenti; processi che coinvolgono anche e soprattutto il primo gruppo bancario italiano, che è UniCredit Spa.
Infatti, facendo riferimento ad un lavoro scientifico e sistematico svolto da un gruppo minoritario di risparmiatori dell'ex controllata Banca Mediterranea Spa del sud Italia, la citata UniCredit ha vanificato, nel solo sessennio 2008-2013, tra rettifiche e cancellazioni per svalutazioni, la stratosferica somma di oltre 100 miliardi di euro, cui si aggiungono 18,5 miliardi di euro per aumenti di capitale e altri conferimenti dei soci nel periodo 2009-2013.
Tale evento catastrofico è avvenuto nonostante nel sessennio 2008-2013 la stessa UniCredit abbia diminuito di 110 miliardi di euro i prestiti ai clienti. Quindi, queste grandi Spa nelle quali vogliamo trasformare oggi le banche popolari sono quelle che hanno diminuito i prestiti, quindi stiamo parlando di meno gettito per le imprese e per le famiglie, solo con UniCredit, di 110 miliardi di euro, nonostante la raccolta, cioè i soldi che praticamente sono rientrati alla banca, sia rimasta stabile a 571 miliardi di euro.
Ed è inoltre avvenuto – udite bene – sia con la diminuzione – cioè quasi l'azzeramento del valore del suo titolo in Borsa dell'88 per cento; quindi, UniCredit ha perso l'88 per cento del suo valore in Borsa – sia con la riduzione del personale dipendente di ben 26.655 unità, da 174.519 a 147.864. Ovviamente, non licenziando, magari, qualche grosso dirigente che aveva permesso che il titolo perdesse in Borsa l'88 per cento o che i 110 miliardi di euro non andassero alla clientela, ma questo taglio di personale ha colpito solo i livelli inferiori, escludendo quelli dirigenziali, aumentati, invece, del 15 per cento circa, nel 2013, a 2.761, rispetto ai 2.345 dirigenti del 2008.
E per tale risultato catastrofico bancario – tenete adesso anche bene aperte le orecchie, cari colleghi – l'amministratore delegato di UniCredit è stato premiato con l'incomprensibile compenso di 3.698.000 euro nel solo 2013, contenente un assurdo aumento di 702 mila euro rispetto all'esercizio 2012, quando, invece, il suo compenso avrebbe dovuto essere azzerato, anche a seguito di un'adeguata ed efficiente relazione degli organi di vigilanza.
Che succede ? Succede che quando le banche perdono, come in questo caso UniCredit, 14 miliardi di euro – quindi non hanno utile e vanno in perdita –, i loro amministratori delegati per tutta risposta vengono premiati. È come se io chiudessi la mia salumeria perché mi arrivano le cartelle di Equitalia e poi mi arrivasse un a casa di 1 milione di euro. Ecco quello che succede nelle grandi banche senza che nessuno sappia niente !
Ebbene, a differenza di UniCredit e delle altre banche commerciali di specie, nel capitale sociale degli istituti di credito cooperativo-popolare non vale soltanto la sua quantità, ma è fondamentale la sua qualità, per cui diventare socio di una banca cooperativo-popolare non è un fatto automatico che si realizza con il semplice acquisto delle azioni in borsa, come abbiamo visto si può fare con le grandi Spa.
Vi sono procedure di collaudata garanzia sistemica secolare nel funzionamento delle banche cooperativo-popolari italiane, che questo Governo vuole distruggere, fondate soprattutto su disposizioni statutarie e regolamenti provenienti dai territori d'origine, che prevedono un esame dell'aspirante socio sul piano dell'affidabilità personale ed economica e che assicurano la valorizzazione del contesto bancario cooperativo di pertinenza, tra cui vanno enucleati il Banco popolare con sede a Verona, l'UBI Banca con sede a Bergamo, la Banca popolare di Romagna con sede a Modena, rispettivamente al quarto, quinto, sesto e settimo posto nella classifica dei gruppi bancari più importanti del Paese. Come si arriva ad essere un gruppo più importante ? Non essendo una Spa, lo fai con l'affidabilità dei soci e, quindi, delle persone responsabili che si avvicinano a questo mondo.
Nel caso del Banco popolare, la società cooperativa, ad esempio, l'aspirante socio, tra l'altro, deve acquistare in borsa e possedere ininterrottamente almeno 100 azioni (attuale valore complessivo di 1.400 euro circa), deve risultare privo di protesti bancari e di condotte pregiudizievoli con il gruppo bancario, deve rappresentare per iscritto al suo consiglio di amministrazione la propria condizione sociale, familiare ed economica e la propria motivazione della richiesta di ammissione a socio e deve corrispondere la tassa di iscrizione di 50 euro. Queste procedure di qualità, poste a garanzia del sistema creditizio cooperativo, possono concludersi anche dopo sei mesi e possono coinvolgere pure il collegio dei probiviri, nel quale l'aspirante socio ha il potere democratico di designare il quarto componente, ai sensi dell'aggiornato articolo 30 del Testo unico bancario.
In tal senso il principio del voto capitario è il fulcro dell'intero e ben collaudato sistema ultrasecolare, che questo Governo vuole irresponsabilmente eliminare. Chiaramente abbiamo presentato degli emendamenti, come MoVimento 5 Stelle, per evitare quest'ennesimo scempio, che continua ad aumentare il potere verso i grandi banchieri, non gli sportellisti, ma quelli che non concedono i prestiti alle piccole e medie imprese, alle quali vengono bloccate le linee di credito. È in questo modo che si controlla l'economia del Paese.
Sul punto ritengo che il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi sbagli clamorosamente quando, seguendo le linee guida del suo consigliere Andrea Guerra, che tra l'altro è un ex amministratore delegato di Luxottica, va a dichiarare con sorprendente disinvoltura alla trasmissione televisiva : non diciamo tecnicamente parlando castronerie, le prime dieci banche popolari di popolare hanno soltanto il nome ormai; la sostanza del mio decreto è che le prime dieci banche popolari si trasformano in Spa in diciotto mesi; esso arriverà in Parlamento, che sarà libero di fare le sue valutazioni.
Colleghi, ovviamente sappiamo benissimo che queste valutazioni le abbiamo fatte tutti e abbiamo anche visto come alcuni emendamenti in Commissione siano stati presentati, in particolare quello dell'abolizione dell'articolo 1, da tutti i gruppi politici, quindi anche il Partito Democratico ha presentato questo tipo di proposte emendative. Se non avessimo il Porcellum, che è una legge naturalmente anticostituzionale, e se non avessimo una maggioranza bulgara che naturalmente è sotto ricatto del Presidente del Consiglio, quest'articolo sarebbe già scomparso da questo decreto. Infatti tutti i gruppi politici hanno presentato un emendamento per abolirlo. Se la matematica non è un'opinione, se tutti i gruppi vogliono abolire quest'articolo, evidentemente quest'articolo non dovrebbe più esserci. Ma c’è ancora e siamo costretti a parlarne.
Quindi, colleghi votiamo decisamente contro questo decreto-legge governativo, che io definirei – prendendo a prestito alcune parole di esponenti del Partito Democratico – cialtrone e demenziale, che ha l'unico obiettivo di favorire i soliti speculatori bancari e finanziari, distruggendo il sistema creditizio ultrasecolare delle principali banche cooperative popolari italiane, da sempre valido, importante e democratico strumento economico-sociale dei territori nazionali di appartenenza, ai quali volete togliere l'ennesima sovranità, la sovranità economica
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Capezzone. Ne ha facoltà.
DANIELE CAPEZZONE. Grazie, signora Presidente. Signori rappresentanti del Governo, intervengo una sola volta sull'articolo 1, sul complesso degli emendamenti e lo faccio da questi banchi per significare, anche simbolicamente, la doverosa barriera che deve esserci tra le funzioni di presidente di Commissione che, insieme al collega presidente Epifani, abbiamo svolto e svolgiamo, e, invece, la posizione di parte che esprimo come deputato e a nome del mio partito.
Mi sia consentito ancora solo un minuto come presidente di Commissione per ringraziare il presidente Epifani per il lavoro che abbiamo svolto e svolgiamo insieme nella diversità delle opinioni di merito, per ringraziare i rappresentanti del Governo che hanno difeso la loro opinione, i relatori naturalmente e i colleghi di ogni appartenenza. Le due Commissioni, la Commissione finanze e la Commissione attività produttive, su un tema così incandescente e con opinioni così contrapposte – io stesso rappresento un'opinione di minoranza, alla quale verrò tra poco – hanno però dato un esempio positivo la scorsa settimana, votando tutti gli emendamenti che erano stati presentati, assicurando alle forze di maggioranza il diritto-dovere di fare le proprie scelte, ma assicurando alle forze di opposizione il simmetrico diritto di poter fare la loro battaglia di segno opposto. E io credo che questo sia un punto importante.
Tante volte, dentro e anche e soprattutto fuori quest'Aula, si dice che tutto il male a volte è giustificato nei confronti del Parlamento, di questo Parlamento. Ma io credo che nel mondo non sia stato inventato di meglio, se non i meccanismi parlamentari e noi dobbiamo esserne fieri. Non siamo bestie da rieducare, siamo protagonisti di una democrazia piena di guai, ma comunque di una democrazia che cerca di discutere nel merito delle questioni.
Allora, levo il cappello di presidente di Commissione e parlo, invece, da deputato, a nome del mio gruppo, per esprimere la grande delusione per il provvedimento così com'era e anche la delusione per le scelte finora compiute dal Governo e dalla maggioranza. La stessa riformulazione di alcuni degli emendamenti che avevamo presentato a questo articolo 1 ha piuttosto il sapore di una sterilizzazione, che non il sapore di un accoglimento positivo.
Ci sono tre questioni che io desidero porre. La prima questione, che è una questione di fondo, è la gravità della scelta del decreto-legge. Non compete ai singoli parlamentari decidere su questo – ciò è perfino ovvio, lo dico a qualche parlamentare del Partito Democratico che questo ci ha rimproverato –, ma compete a tutti noi esprimere la propria opinione su questo. Abbiamo discusso per un mese, ancora non abbiamo sentito argomenti, a nostro avviso, convincenti che giustifichino il fatto che, su questa materia, il Governo abbia voluto procedere con decreto-legge e non, invece, con disegno di legge come sarebbe stato possibile.
A nostro avviso, questo è due volte censurabile: una prima volta, in nome dell'articolo 77 della Costituzione (non si capisce dove fossero le ragioni di straordinarietà e di urgenza per procedere con la decretazione); una seconda volta, in nome dell'articolo 3 della Costituzione e del principio di uguaglianza. Perché gli 8 miliardi di euro ? Perché non, invece, i 30 miliardi di euro ? Perché avete coinvolto anche le non quotate ? Tutte scelte che rischiano di esporre questa vicenda ad inevitabili vertenze dinnanzi alla Corte costituzionale.
Allora, a mio avviso, proprio coloro che sono in maggioranza dovrebbero essere i primi ad avere maggiore senso di responsabilità e interrogarsi su cosa accadrà quando, tra alcuni mesi, a riforma già realizzata, la Corte costituzionale sarà inevitabilmente investita di questioni, non solo ex articolo 77, ma – sottolineo – soprattutto ex articolo 3, cioè sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, anche inteso come trattamento uguale di situazioni uguali e trattamento diverso di situazioni diverse.
Sia consentita su questo primo punto un'osservazione. Guardiamoci negli occhi, tutto questo è avvenuto quando non c'era il Presidente della Repubblica uscito, il Presidente Napolitano, e non c'era ancora il Presidente della Repubblica entrato, il Presidente Mattarella.
Questo è avvenuto in un periodo di in cui le funzioni erano svolte in via supplente e transitoria. Allora, mi appello all'onestà intellettuale di tutti e di ciascuno in quest'Aula: che cosa sarebbe successo se un'operazione di questo genere, cioè un intervento con un decreto-legge dai requisiti perlomeno dubbi e, addirittura, in una fase di della Presidenza della Repubblica, se tutto questo fosse stato fatto da un Governo di centrodestra ? Mi appello all'onestà intellettuale di tutti. Tutti sappiamo che avremmo avuto questo Parlamento incendiato, avremmo avuto le televisioni incendiate, avremmo avuto le piazze incendiate. Io non chiedo incendi di alcun tipo, in quanto sono per natura pompiere, chiedo, però, onestà intellettuale e chiedo a tutti di fermarsi in considerazione di quello che, come ripeto, rischia di accadere davanti alla Corte costituzionale quando, inevitabilmente, sarà posto il tema della costituzionalità del provvedimento. E questo è il primo punto.
Il secondo punto è un punto di merito. Chi parla, lo fa da liberale, ma il nostro gruppo di appartenenza è di persone liberali. Non siamo a favore dello e conosciamo bene che questi meccanismi, in particolare per le banche popolari quotate, dovevano e devono essere modificati. Questo è poco, ma sicuro. Ma non solo bisognava procedere per disegno di legge e non per decreto-legge, ma bisognava avere anche il pragmatismo liberale di considerare la realtà, di considerare la specificità delle banche popolari, realtà che in questo Paese è stata più aderente ai territori e che molto meglio di altre è stata capace, anche negli anni più forti della crisi, negli anni di un che prosegue, di avere, però, un profilo di attenzione, territorio per territorio, alle famiglie e alle imprese. Allora, da liberali guardiamo anche altri Paesi che considerano questa specificità, anche con norme di attenzione e di tutela. E, soprattutto, se è consentito, anche da un punto di vista teorico, stiamo attenti – lo dice un liberale – a immaginare a casa propria delle norme molto liberali quando tutto intorno c’è, invece, un regime di protezione e di tutela. Se tu, anche al di là di questa materia, e lo dico in termini generali ed astratti, fai a casa tua il mercato perfetto, mentre intorno a te c’è l'oligopolio e la protezione perfetta, non fai una cosa liberale, mai fai una cosa autolesionista che espone la tua realtà ad essere sostanzialmente predata. Ora, anche qui chi parla è un liberale, figurarsi se vedo male investimenti esteri. Dico, però, attenzione a una logica per la quale chi arriva è interessato più alla raccolta che le banche popolari fanno che non a mantenere e a rafforzare gli investimenti sui territori a favore delle imprese e delle famiglie dei territori italiani. Vogliamo ragionare su questo o no ? Oppure, in nome del mercato che io amo e dei principi liberali che io amo, ci esponiamo a logiche da svendita che questo Paese ha già conosciuto ? Mi è capitato di fare in Commissione l'esempio delle privatizzazioni italiane degli anni Novanta. Chi parla è un privatizzatore e un liberale; privatizzerei molto, ma in una logica di valorizzazione di quello che si ha. Attenti, invece, a quelle situazioni, un po’ da Britannia 1992-1993, in cui, per carità, tutti in buona fede, ma il risultato finale è che arrivano dall'estero con un pugno di soldi, con un sacchetto di perline, e l'Italia ha già perso all'epoca un pezzo di chimica, un pezzo di meccanica, un pezzo di agroalimentare, un po’ di grande distribuzione e alcune banche.
E, ancora, sia consentito al liberale dire che abbiamo accettato tante lezioni di liberalismo sull'articolo 1, poi, invece, si arriva all'articolo 7 e ci riproponete vecchi arnesi da partecipazioni statali, vecchie logiche da GEPI per cui, con il denaro pubblico o con il denaro dei fondi previdenziali, si affida al Governo di turno il potere di ingerire e di inserirsi nel mercato per stabilire in quali situazioni si interviene, in quali situazioni non si interviene, per resuscitare i vecchi cadaveri più o meno delle partecipazioni statali, dell'intervento e della distorsione nel mercato fatta dal Governo. Allora, che facciamo ? Facciamo i liberali all'articolo 1 quando, però, ci si espone alla svendita a favore di soggetti stranieri e, poi, improvvisamente, ci si rimette il cappello da statalisti all'articolo 7.
Lo vedete che sono contraddizioni che poniamo in buona fede. Il nostro gruppo ha presentato 16 emendamenti. Non abbiamo alcuna intenzione ostruzionistica, ci mancherebbe altro: quando si presentano sedici emendamenti, vuol dire che uno usa la logica di chi pone sul tavolo delle questioni di merito, consapevole dei numeri che ci sono contro, per indurre la maggioranza ad una riflessione. Ma fatela questa riflessione perché, altrimenti, temo che, tra qualche mese, vi esporrete a delle brutte sorprese quando, come dire, la realtà si sarà presa la sua vendetta, avremo scoperto che l'articolo 7 funziona in senso statalista, in senso di distorsione del mercato e l'articolo 1 avrà funzionato in termini di svendita di alcune realtà, in termini di arrivo di soggetti esteri poco interessati agli investimenti sul territorio e molto alla raccolta e a mettere le mani su un pezzo di sistema bancario italiano. Ripeto: chi parla è un liberale, è un liberale mercato, favorevole a rimettere in discussione lo e a farlo in termini mercato, competizione ma attenti a farlo in una logica che la mattina è liberale e il pomeriggio è statalista a seconda delle convenienze e che poi produce, in ultima analisi, effetti di svendita e di depauperamento dell'interesse nazionale che pure dovrebbe stargli a cuore. Per queste ragioni, signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, signori rappresentanti della maggioranza, vi chiediamo una riflessione e un approfondimento. Semmai i nostri emendamenti vi sfidano di più sul terreno delle soluzioni di mercato, vi sfidano di più sul terreno della competizione ma lo fanno in una cornice coerente che riguarda non solo l'articolo 1 ma anche l'articolo 7, che riguarda il complesso del provvedimento, che si apre in una logica – lo ripeto – di mercato, si apre alla libera competizione tra operatori italiani e operatori stranieri ma lo fa senza autolesionismi da Britannia ’92-’93 o attraverso logiche da riproposizione di Britannia 2 che vediamo per molti versi comparire. C’è questa operazione delle banche popolari, c’è l'incredibile operazione – sulla quale chi parla e pochi altri ha presentato interrogazioni – della svendita di pezzi di Cassa depositi e prestiti Reti non al mercato, non ad operatori di mercato stranieri ma ad uno Stato cinese, quindi figurarsi altro che privatizzazione ! Lì si tratta di una nazionalizzazione di un settore strategico oppure svendite di altri pezzi a prezzi da saldo di fine stagione. Chi parla è, com’è noto, favorevole a privatizzazioni serie, a costituzione di fondi per valorizzare e mettere sul mercato realtà mobiliari e immobiliari – questo è un altro discorso che faremo in un'altra sede – ma occhio alle operazioni per cui alle ore 11 facciamo un po’ di svendita e alle ore 16 facciamo un po’ di partecipazioni statali
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sul complesso delle proposte emendative, invito i relatori ed il rappresentante del Governo ad esprimere i pareri.
Onorevole Causi, se lei consente, le leggerò io gli emendamenti così forse facciamo prima perché ce ne sono molti ritirati.
Il parere sugli identici emendamenti Paglia 1.125, Busin 1.285 e Ruocco 1.291 ?
MARCO CAUSI, . Signora Presidente, le Commissioni esprimono parere contrario sugli identici emendamenti Paglia 1.125, Busin 1.285 e Ruocco 1.291... Signora Presidente, non so se si possa accelerare, comunicando che tutti i pareri sugli emendamenti riferiti all'articolo 1 sono contrari.
PRESIDENTE. Onorevole Causi, deve esprimere il parere anche sulle proposte emendative riferite a tutti gli altri articoli perché il disegno di legge è composto da un solo articolo di conversione del decreto-legge.
MARCO CAUSI, . Quanto agli emendamenti presentati all'articolo 2 del decreto-legge ne chiederei l'accantonamento: abbiamo discusso nel Comitato dei diciotto un'ipotesi di riscrittura e quindi chiederei l'accantonamento di tutti gli emendamenti.
PRESIDENTE. Sta bene: tutti gli emendamenti presentati all'articolo 2 del decreto-legge sono accantonati. Sugli emendamenti all'articolo 3 ?
MARCO CAUSI, . Le Commissioni esprimono parere contrario su tutte le proposte emendative presentate all'articolo 3.
PRESIDENTE. Quanto agli emendamenti presentati all'articolo 4 ? Partiamo da pagina 84 del fascicolo.
LUIGI TARANTO, . Signora Presidente, sugli emendamenti Quintarelli 4.9 e Prataviera 4.24, 4.25 e 4.26 le Commissioni esprimono parere contrario.
PRESIDENTE. Quest'ultimo però non è segnalato. Emendamento Guidesi 4.27 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.32 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.33 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Ricciatti 4.16 e Allasia 4.20 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Allasia 4.37, a pagina 88 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.501 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Ricordo che l'emendamento Boccadutri 4.500 è inammissibile.
Emendamento Prataviera 4.125 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Businarolo 4.49 e Ricciatti 4.50 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Allasia 4.57 ?
LUIGI TARANTO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Prataviera 4.503, a pagina 92 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Ricciatti 4.502 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Abrignani 4.553, a pagina 93 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Del Grosso 4.88 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Caso 4.551 ?
LUIGI TARANTO, . Signora Presidente, le Commissioni esprimono parere contrario relativamente al primo capoverso 10-, mentre chiedono l'accantonamento relativamente al secondo capoverso 10-, coincidente...
PRESIDENTE. Quindi accantoniamo tutto l'emendamento ? Va bene.
Emendamento Caso 4.85 ?
LUIGI TARANTO, . Signora Presidente, le Commissioni chiedono l'accantonamento.
PRESIDENTE. Emendamento Nicola Bianchi 4.552 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Ricciatti 4.100 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Vitelli 4.117 ?
LUIGI TARANTO, . Signora Presidente, le Commissioni chiedono l'accantonamento.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.111 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Brugnerotto 4.550 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.557 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.555 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.115 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mucci 4.112 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. A questo punto c’è l'emendamento 4.1000 delle Commissioni. Passiamo all'emendamento Terzoni 4.98, a pagina 99.
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento De Rosa 4.97 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Articolo aggiuntivo Sorial 4.07, a pagina 101 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Passiamo ora a pagina 106 del fascicolo. Emendamento Mucci 5.5 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Capezzone 7.1 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Liuzzi 7.6 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Massimiliano Bernini 7.501 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Carinelli 7.502 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Cariello 7.500 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Cominardi 7.503 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Mazziotti Di Celso 7.14, a pagina 109 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Prataviera 7.272, a pagina 110 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Allasia 7.22 ?
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Passiamo a pagina 112. Identici articoli aggiuntivi Boccadutri 7.0500 e Abrignani 7.0501 ?
LUIGI TARANTO, . Signora Presidente, le Commissioni chiedono l'accantonamento.
PRESIDENTE. Passiamo a pagina 114. Articolo aggiuntivi Pelillo 7.0502 ?
LUIGI TARANTO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Ricciatti 8-.500, a pagina 117 ?
LUIGI TARANTO, L'emendamento Allasia 8.4 viene dopo ?
PRESIDENTE. Sì, l'emendamento Allasia 8.4 risulta non segnalato; quindi, non è stato segnalato per la votazione. Voleva dare un parere favorevole ?
LUIGI TARANTO, . Con una piccola riformulazione.
PRESIDENTE. Non è segnalato dai proponenti, non è stato segnalato dal gruppo della Lega Nord.
Se la Lega ritiene, in via eccezionale, di cambiare la segnalazione, noi lo segnaliamo; ovviamente, dipende del gruppo della Lega, non possiamo farlo noi. Ne hanno «desegnalati» più di quanti dovessero, quindi hanno spazio per segnalarlo.
Quindi, sull'emendamento Allasia 8.4 c’è una proposta di riformulazione da parte del relatore.
LUIGI TARANTO, . Sì, sostituire la parola: «trenta», con la parola: «sessanta».
PRESIDENTE. Va bene, quindi, se i presentatori accettano la riformulazione, il parere è favorevole.
Passiamo, a questo punto, a pagina 117, all'emendamento Ricciatti 8-.500.
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Passiamo a pagina 119 all'emendamento Ricciatti 8-.9.
LUIGI TARANTO, . Parere contrario.
PRESIDENTE. Va bene, gli altri sono stati ritirati.
A questo punto do la parola ai relatori di minoranza. Onorevole Pesco, prego.
DANIELE PESCO, . Grazie, Presidente.
PRESIDENTE. Passiamo agli emendamenti all'articolo 1, agli identici emendamenti Paglia 1.125, Ruocco 1.291 e così via...
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Andiamo a pagina 10, emendamento Villarosa 1.308.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Andiamo a pagina 16, emendamento Cancelleri 1.311.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.74.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Alla pagina successiva, emendamento Busin 1.265.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Bonafede 1.342.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Busin 1.260.
DANIELE PESCO, . Mi rimetto all'Assemblea.
PRESIDENTE. Emendamento Barbanti 1.14, pagina 20.
DANIELE PESCO, . Mi rimetto all'Assemblea.
PRESIDENTE. Emendamento Busin 1.280.
DANIELE PESCO, . Mi rimetto all'Assemblea.
PRESIDENTE. Emendamento Busin 1.257, a pagina 22.
DANIELE PESCO, . Mi rimetto all'Assemblea.
PRESIDENTE. A pagina 25, serie a scalare, qui non capisco più niente... ecco, è rimasto l'emendamento Villarosa 1.2.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.3.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Fraccaro 1.521.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.4.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Dieni 1.8.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Ciprini 1.352.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Chimienti 1.351.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Paglia 1.37.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. A pagina 29, gli identici emendamenti Laffranco 1.332, Maietta 1.40 e Busin 1.268.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Di Gioia 1.63 e Laffranco 1.73.
DANIELE PESCO, . Parere favorevole.
PRESIDENTE. A pagina 33, emendamento Colletti 1.354.
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Paglia 1.44, Laffranco 1.336 e Maietta 1.49 e Busin 1.270 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Palese 1.508 ?
DANIELE PESCO, Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Barbanti 1.504 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Palese 1.68 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Maietta 1.50, Paglia 1.57, Di Gioia 1.60, Laffranco 1.333, Busin 1.269 e Barbanti 1.505 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento De Rosa 1.359 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Palese 1.323 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Paglia 1.89 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Barbanti 1.87 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.335 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Paglia 1.67, Busin 1.275, Maietta 1.214 e Di Gioia 1.217 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Pesco 1.80 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Capezzone 1.84 a pagina 42 ?
DANIELE PESCO, Parere contrario.
PRESIDENTE. Emendamento Paglia 1.90 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Mazziotti Di Celso 1.501 ?
DANIELE PESCO, Mi rimetto all'Assemblea.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.104 a pagina 46 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Dadone 1.348 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Barbanti 1.114, Busin 1.276 e Di Gioia 1.109 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Busin 1.284 e Lombardi 1.228 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Sarti 1.186 a pagina 51 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Toninelli 1.158 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Sibilia 1.153 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Tofalo 1.155 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.165 a pagina 55 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Paglia 1.117 a pagina 57 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Palese 1.192 a pagina 58 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Paglia 1.118 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Paglia 1.121 a pagina 60 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Vacca 1.135 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Paglia 1.126 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamenti Villarosa 1.146, 1.142, 1.144, 1.143, 1.148 e 1.145 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.140 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Capezzone 1.174, Barbanti 1.177 e Busin 1.279 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Busin 1.264 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Pesco 1.522 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Emendamento Villarosa 1.81 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Maietta 1.86, Paglia 1.185 e Palese 1.212 ?
DANIELE PESCO, Parere favorevole.
PRESIDENTE. Identici emendamenti Maietta 1.88...
DANIELE PESCO, Sugli identici emendamenti Maietta 1.88 e Capezzone 1.191 il parere è favorevole. Sugli emendamenti Paglia 1.223 e Pesco 1.520 il parere è favorevole. Sugli emendamenti Busin 1.514 e 1.516, Barbanti 1.506 e Busin 1.509, 1.510, 1.512 e 1.517 ci rimettiamo all'Assemblea. Sull'emendamento Pesco 1.519 e sull'articolo aggiuntivo Busin 1.07 il parere è favorevole.
PRESIDENTE. Ricordo che le proposte emendative riferite all'articolo 2 sono state accantonate per richiesta del relatore di maggioranza. Passiamo alle proposte emendative riferite all'articolo 3, cioè a pagina 81.
DANIELE PESCO, . Sugli emendamenti Ricciatti 3.3 e Mucci 3.17 ci rimettiamo all'Assemblea. Sugli emendamenti Vallascas 3.12, Da Villa 3.13, Allasia 3.18 e 3.15, Fantinati 3.20 e Silvia Giordano 3.22 il parere è favorevole. Sull'emendamento Quintarelli 4.9 ci rimettiamo all'Assemblea.
PRESIDENTE. Ricordo che l'emendamento Prataviera 4.24 non è segnalato.
DANIELE PESCO, . Sugli emendamenti Prataviera 4.25, Guidesi 4.27, Mucci 4.32 e 4.33 il parere è favorevole. Sugli identici emendamenti Ricciatti 4.16 e Allasia 4.20 ci rimettiamo all'Assemblea. Sull'emendamento Allasia 4.37 il parere favorevole. Sull'emendamento Mucci 4.501 ci rimettiamo all'Assemblea. Sugli emendamenti Prataviera 4.125 e gli identici Businarolo 4.49 e Ricciatti 4.50 il parere è favorevole. Sugli emendamenti Allasia 4.57 e Prataviera 4.503 ci rimettiamo all'Assemblea. Sull'emendamento Ricciardi 4.502 il parere è favorevole. Sull'emendamento Abrignani 4.553 il parere è contrario. Sull'emendamento Del Grosso 4.88 il parere è favorevole.
PRESIDENTE. Gli emendamenti Caso 4.551 e 4.85 sono stati accantonati.
DANIELE PESCO, . Sugli emendamenti Nicola Bianchi 4.552 e Ricciatti 4.500 il parere favorevole.
PRESIDENTE. L'emendamento successivo è stato accantonato.
DANIELE PESCO, . Sugli emendamenti Mucci 4.111, Brugnerotto 4.550, Mucci 4.557, 4.555, 4.115 e 4.112 il parere è favorevole. Sull'emendamento 4.1000 della Commissione il parere è favorevole. Sugli emendamenti Terzoni 4.98 e De Rosa 4.97 e sull'articolo aggiuntivo Sorial 4.07 il parere è favorevole.
Emendamenti Mucci 5.5 e Capezzone 7.1, ci rimettiamo all'Aula. Emendamento Liuzzi 7.6, favorevole. Emendamenti Massimiliano Bernini 7.501, Carinelli 7.502, Cariello 7.500 e Cominardi 7.503, favorevole. Emendamenti Mazziotti Di Celso 7.14, Prataviera 7.272 e Allasia 7.22, ci rimettiamo all'Aula.
PRESIDENTE. Ricordo che gli identici articoli aggiuntivi Boccadutri 7.0500 e Abrignani 7.0501 sono stati accantonati.
DANIELE PESCO, . Articolo aggiuntivo Pelillo 7.0502, ci rimettiamo all'Aula.
PRESIDENTE. Sull'emendamento Allasia 8.4 c’è una riformulazione da parte del relatore di maggioranza.
DANIELE PESCO, . Sull'emendamento Allasia 8.4 ci rimettiamo all'Aula. Così pure sugli emendamenti Ricciatti 8-.500 e Ricciatti 8-.9.
PRESIDENTE. Invito l'altro relatore di minoranza, Busin, ad esprimere il parere della Commissione.
FILIPPO BUSIN, Signor Presidente, io le darei i pareri per masse, che così facciamo prima.
PRESIDENTE. Se ce la fa, benissimo.
FILIPPO BUSIN, Per l'articolo 1 i pareri sono tutti favorevoli, eccezion fatta per gli emendamenti Palese 1.508 e Mazziotti Di Celso 1.501 su cui è contrario.
Per tutti gli altri articoli ci rimettiamo all'Aula. Siamo favorevoli a quello del Governo, che recepisce le indicazioni della Commissione bilancio, come pure all'emendamento Capezzone 7.1.
PRESIDENTE. Su tutti gli altri vi rimettete...
FILIPPO BUSIN, Ci rimettiamo all'Aula. E siamo favorevoli ai nostri, ovviamente.
PIER PAOLO BARETTA, . Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dai relatori per la maggioranza.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli identici emendamenti Paglia 1.125, Ruocco 1.291, Alberto Giorgetti 1.293, Barbanti 1.294 e Maietta 1.298.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Busin. Ne ha facoltà.
FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, noi ovviamente siamo favorevoli alla soppressione dell'articolo 1. Per quanto riguarda gli aspetti di carattere costituzionale, ci siamo già espressi nelle pregiudiziali che abbiamo presentato in Aula; qui in modo sintetico vorremmo ribadire il fatto che un provvedimento di tipo ordinamentale come questo avrebbe avuto bisogno di un iter legislativo normale, e non di un decreto-legge che ha bisogno di presupposti di urgenza e di necessità che qui non ravvisiamo.
I presupposti oltretutto portati dal Governo non hanno nessun fondamento, non hanno nessun senso di essere posti.
Ad esempio, si è contestato il fatto che le banche popolari hanno assunto la forma di società cooperativa ma questa si manifesta come un contenitore vuoto perché il fine di queste banche sarebbe di tipo lucrativo, essenzialmente lucrativo. Questo presupposto è stato ampiamente smentito addirittura da un'indagine della Commissione Europea; un'indagine molto accurata che ha invece riconosciuto alle banche popolari la loro finalità sociale che, al di là, appunto, della mutualità prevalente o meno e quanto è difeso e incentivato dall'articolo 45 della Costituzione che non prevede la mutualità esclusiva ma anche forme a mutualità non prevalente come, per esempio, quelle delle banche popolari. Del resto la quota di destinazione all'utile e gli interventi sociali che sono stati fatti da queste banche negli anni, anche in anni di crisi, testimoniano appunto il carattere sociale e le finalità sociali di questo particolare tipo di istituto.
Per quanto riguarda i rilievi sulla debolezza patrimoniale o sul pericolo di tenuta degli indici che riguardano appunto la solidità patrimoniale e la sicurezza dei crediti nell'attivo di queste banche, se ci riferiamo al passato possiamo dire che non c’è assolutamente una correlazione tra forma societaria e questo tipo di pericolo. Negli che sono stati effettuati recentemente dalla Banca centrale europea, le banche in forma di Spa sono risultate insufficienti da questo punto di vista ed hanno bisogno di azioni correttive; le banche popolari con alcuni provvedimenti, con alcuni adeguamenti successivi ad una prima fase di indagine, sono tutte congrue rispetto a questi . Quindi, per quanto riguarda il passato questo presupposto di pericolo per il sistema creditizio nel suo complesso non sta in piedi.
Evidentemente per quanto riguarda, invece, il futuro ci sono delle informazioni di cui noi non disponiamo, di cui dispone evidentemente il Governo e la Banca d'Italia, in base alle quali queste banche, per la loro particolare forma di non sarebbero attrezzate ad affrontare problemi legati alla patrimonializzazione per la loro difficoltà e lentezza nel presentarsi sul mercato per recepire capitali privati. Ebbene, se questo presupposto del Governo fosse anche vero a questo punto cadrebbe la soglia degli 8 miliardi. Non si capisce perché questo provvedimento, se il problema è di di queste banche popolari, non sia stato esteso a tutte le banche popolari e non sia stato soppresso semplicemente l'istituto delle banche popolari ed trasformate tutte in Spa.
Non ci si venga a dire, perché non è vero e neanche verosimile, che tutte e dieci le banche che sono interessate da questo provvedimento saranno costrette, perché hanno un attivo superiore agli otto miliardi, a trasformarsi in Spa. Non ci si dica, quindi, che tutte queste dieci banche hanno problemi patrimoniali perché questo non è sostenibile.
Subentra, quindi, un secondo problema che è quello di giustizia perché qui si discrimina tra banche che hanno la sfortuna di trovarsi al di sopra di questa soglia e banche che sono al di sotto di questa soglia e che non vengono se non minimamente toccate dal presente decreto.
Avrò modo, poi, di tornare su questi argomenti dicendo che la cosa più grave di questo decreto è che la forma del decreto-legge non consente di prevedere le necessarie cautele per un intervento di questa portata e non si preoccupa degli effetti che questo ha non solo sulle banche popolari, che vengono costrette a cambiare la loro forma societaria, ma anche sulle legittime aspettative dei soci che vengono in questo modo lesi in un loro diritto fondamentale. Non dimentichiamoci del problema che, con questo decreto, si distolgono le ricchezze generate e prodotte in un territorio dal territorio stesso che le ha create. Mi riferisco in questo senso non tanto ai correntisti che sono salvaguardati da altre leggi ma ai piccoli azionisti che sono in gran parte dipendenti, piccoli artigiani che verranno gravemente penalizzati.
PRESIDENTE. Deve concludere.
FILIPPO BUSIN. Probabilmente non lo sanno ancora o se lo sanno non hanno fatto sentire abbastanza la loro voce, che verranno penalizzati gravemente dai movimenti successivi a questo decreto...
PRESIDENTE. Deve concludere, ha esaurito il suo tempo.
FILIPPO BUSIN. ...con le probabili fusioni che vedranno un abbattimento sostanziale del valore delle azioni da loro possedute. Ancora una volta sono colpiti i piccoli risparmiatori, gli artigiani, i piccoli commercianti già gravemente penalizzati da questa crisi.
PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti e le studentesse dell'istituto superiore «Manzoni» di Suzzara, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune . Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Grazie Presidente, io credo che il dibattito che abbiamo iniziato venerdì e che oggi ci accingiamo a continuare a partire dalla votazione di questi emendamenti meriterebbe un'Aula molto attenta ma soprattutto un dibattito ampio e informato non solo all'interno del Parlamento ma nel Paese. Deve essere chiaro – come credo lo sia – almeno alla Camera dei deputati che quello che stiamo facendo è intervenire per legge a modificare pesantemente la forma societaria di istituti bancari che complessivamente rappresentano il 30 per cento della capacità di erogazione di credito in Italia.
Ora, il sistema finanziario all'interno del sistema economico è un po’ come la rete neurale, che consente a tutte le informazioni di distribuirsi, consente a tutto il resto del sistema di funzionare; ciò lo sappiamo bene perché abbiamo sotto gli occhi cosa significhi e cosa abbia significato per il Paese, per il suo apparato industriale e produttivo anni e anni ormai consecutivi di che non accenna in alcun modo a completarsi.
Quando si va ad intervenire su una fetta importante del sistema bancario sarebbe bene che tutto il Paese partecipasse al dibattito. Questo non è stato possibile un po’ perché, devo dire, c’è stata una attenzione generale non all'altezza della questione e questo forse dice anche qualcosa di quale sia il livello del dibattito pubblico a cui i hanno costretto da anni e continuano a costringere l'Italia, ma anche perché evidentemente la scelta del Governo di agire per decreto, lo abbiamo già detto, non ha fatto altro che comprimere ulteriormente i tempi del dibattito, costringerli in una dimensione che non dovrebbe essere loro propria.
Quindi siamo qui, con questa serie di emendamenti a chiedere al Parlamento di riflettere profondamente su questa scelta e forse anche di comprenderla e di tornare indietro. Voi sapete – sono sicuro, il Parlamento lo sa tutto, è perfettamente consapevole di questo – in Italia è possibile fare banca in molti modi; è possibile farlo per il tramite di una società per azioni, è possibile farlo attraverso l'istituto delle banche popolari, è possibile farlo attraverso le modalità del credito cooperativo. Sono sistemi diversi, hanno regole di funzionamento diverse, anche la loro interazione con il mercato è diversa.
Diverso non vuol dire migliore o peggiore, vuol dire andare a contribuire complessivamente a quella biodiversità del sistema bancario che da sempre è considerata in questo Paese elemento positivo, in questo Paese e in questo continente oserei dire. Ora, quello che si fa con questo decreto è decidere per legge che una di queste tre tipologie di banche di cui vi ho parlato, cioè la banca popolare, in Italia semplicemente non esisterà più.
Non esisterà più nell'immediato per le dieci più grandi, quelle con gli attivi maggiori, sopra gli 8 miliardi, banche molto radicate nel loro territorio in particolar modo nelle zone più industrializzate del Paese – Veneto, Lombardia, Emilia Romagna – ma anche nel Sud: penso alla Banca popolare di Bari che è probabilmente l'ultima banca di dimensioni medio-grandi ad avere sede nel Sud, così come Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza peraltro sono le uniche banche ad avere ancora testa pienamente nel Veneto e il Veneto non è una zona irrilevante dal punto di vista dell'apparato industriale del Paese.
Parliamo di questa cosa qui, parliamo di banche molto significative che devono diventare Spa. C’è una ragione di mercato in questo ? Se qualcuno si è informato, anche solo tramite i giornali e anche solo superficialmente in queste settimane, avrà letto che queste banche hanno problemi di capitalizzazione, di di prospettiva. Non hanno problemi di capitalizzazione né di conti, tranne Popolare dell'Etruria – questo lo dice la BCE, che ha appena concluso l’ e gli su queste banche. Hanno problemi di su cui tuttavia questo decreto nulla fa, non interviene, non se ne preoccupa. Hanno problemi di prospettiva ? Nulla ci dice che debbano averne, ad ogni modo c’è modo e modo di risolvere anche problemi di prospettiva.
Io credo che risolvere le questioni del sistema bancario italiano semplicemente dicendo che – dieci istituti ora, e poi tutti gli altri a seguire negli anni, perché gli attivi cresceranno evidentemente – devono sparire le banche popolari solo in Italia sia la cosa più sbagliata che si potesse fare .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie Presidente, Forza Italia ha già ribadito, con il collega Capezzone con l'intervento sul complesso degli emendamenti all'inizio della discussione di questo provvedimento, che noi siamo a favore della riforma delle banche popolari, del sistema bancario. Siamo a favore in un contesto di logica, in un contesto di rispetto delle regole, dal punto di vista generale, e siamo stati costretti, con il collega Alberto Giorgetti, a presentare un emendamento che prevede la soppressione dell'articolo 1, nonostante noi siamo a favore della riforma. Noi siamo per la soppressione dell'articolo 1 per il modo con cui il Governo ha proceduto su questa riforma, sia per il metodo, con il decreto-legge, sia anche perché rispetto alle tante misure discutibili, che sono inserite nell'articolo 1, il Governo ha manifestato e continua a manifestare, anche qui all'interno di questa Aula, la chiusura totale sulle numerosissime modifiche che sono state presentate da tutti i colleghi di tutti i gruppi politici presenti in Assemblea.
È una cosa incredibile, che non si è mai registrata, cioè che il Governo sia fermo sulla decisione. Questo è ciò che è uscito dal Consiglio dei ministri riguardo l'articolo 1, che non si tocca, che è assolutamente immodificabile e, dunque, il Parlamento risulta sostanzialmente esautorato da qualsiasi possibilità di riflessione e di suggerimento, che pure c’è stata.
Non è un mistero che noi siamo d'accordo e che occorreva fare la riforma sulle banche popolari quotate. Così pure ritenevamo la possibilità di toccare anche le banche non quotate, che poteva starci all'interno di questo decreto, visto che ci si metteva mano. Però, non condividiamo il modo con cui il Governo ha proceduto ed ha fatto, con la scelta di una soglia discutibile, discrezionale, non seguendo quelle che sono le indicazioni del regolamento della BCE e di altri istituti preposti a livello internazionale alla regolamentazione dei mercati finanziari, che determinano nella soglia di 30 miliardi la situazione delle non quotate. Il Governo, invece, sceglie di stabilire 8 miliardi. Ma noi, sia nelle audizioni, sia nelle discussioni in Commissione e sia anche in questa sede, sfidiamo il Governo a spiegare a questa Assemblea da dove deriva questa cifra di 8 miliardi. Siccome non è stata spiegata da nessuna parte, né dalla Banca d'Italia in audizione né da altri, è una scelta totalmente arbitraria !
È stato detto «no» alle tante proposte di modifica che sono state fatte all'interno della Commissione, riferite anche agli altri emendamenti. Il Governo preannunzia di dire «no» su tutto, ed ha espresso già il parere contrario su tutto. Ha espresso il parere contrario anche su suggerimenti di buon senso che sono venuti. Quando si dice che 18 mesi è un termine che può creare delle discrepanze, in riferimento agli esercizi finanziari della contabilità, e si dice di portarlo a 24 mesi ma poi si dice «no» anche a questo, vuol dire proprio che solo incomprensibile si può definire questo giudizio da parte del Governo, questa ferma posizione ingiustificata e ingiustificabile.
E così pure sulle modifiche al codice civile sulle deleghe (cioè, che minimo cinque e massimo dieci e le hanno portate da dieci a venti). Non vi è assolutamente dubbio che non è stato preso in considerazione anche il riferimento alle sollecitazioni che molti istituti avevano subito sulle acquisizioni che erano state effettuate nell'anno 2014, ma anche sul problema dello spostamento temporale di alcune situazioni non c’è stato niente.
Noi riteniamo che ci sia un molto forte nei confronti del territorio.
Qui altri colleghi hanno ricordato la funzione di tanti istituti che sono sull'intero territorio e a favore del territorio. Noi riteniamo che sia una violenza inaudita nei confronti del Mezzogiorno, dove già c’è una crisi incredibile, intervenire in maniera anche qui arbitraria e discrezionale sul problema della Banca popolare di Bari e sulle altre. Riteniamo, cioè, che ciò che è stato detto, ossia che questa riforma porterà più credito e meno banchieri, non sia così e non sarà così, perché ci sarà sicuramente e assisteremo alla svendita totale, ad una rapina pilotata, di cui solo il Governo, semplicemente il Governo e questa maggioranza saranno responsabili.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Ruocco. Ne ha facoltà.
CARLA RUOCCO. Grazie Presidente, certo sì trovarsi praticamente quasi in maggioranza significa qualcosa. Ancora una volta il Governo, con il suo modo di fare arrogante e violento, vuole passare sopra il Parlamento con un ennesimo decreto-legge, che ovviamente ha tutte altre logiche rispetto a quelle della salute e del benessere dei cittadini.
Infatti, proprio per quanto riguarda il tema bancario, si agisce d'imperio per questioni assolutamente slegate, anzi che vanno contro gli interessi dell'impresa e dell'economia reale, laddove invece spesso in Commissione finanze ci troviamo di fronte a risposte del Governo che, guarda caso, su altri temi, come quelli, per esempio, di riduzione degli oneri bancari, sull'utilizzo delle carte di credito, proprio per la gestione del contante, per facilitare la vita agli operatori commerciali, ai piccoli imprenditori, davanti a queste richieste rispetta il libero mercato. Qui no, qui, quando si tratta di strappare un concetto che ancora permane nell'ambito bancario – sembra incredibile, ma la mutualità certo funzionava male, certo era stata strumentalizzata, per questo motivo forse il Governo ha deciso di fare questa riforma – non si spiega allora perché si agisca sul sistema delle deleghe, ampliando addirittura la possibilità di dare la delega nell'ambito delle assemblee. Quindi, come al solito, il Governo è contraddittorio e noi per questo chiediamo la soppressione di questo articolo. Chiediamo ancora una volta a gran voce che il Governo sottoponga al Parlamento e alla dignità del Parlamento un disegno di legge serio che, una volta per tutte, vada a favore dei cittadini e degli interessi economici che porta avanti la collettività e non degli interessi economici di pochi
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Pesco. Ne ha facoltà.
DANIELE PESCO. Grazie Presidente, io rivolgo un appello a tutti i deputati in quanto questo emendamento è praticamente l'emendamento che ci troviamo votare in tutta la giornata, perché è l'unico emendamento che va a sopprimere l'intera riforma delle banche popolari promossa e portata avanti dal Premier Matteo Renzi e sembra, a quanto pare, appoggiato dalla maggioranza e dallo stesso Governo. È veramente un emendamento radicale che tende a fare piazza pulita di una riforma che il MoVimento 5 Stelle non condivide affatto, una riforma che va contro uno strumento veramente democratico, quale quello del voto capitario. Grazie al voto capitario, molte banche popolari sono riuscite a crescere veramente tanto e il fatto di essere cresciute tanto non deve essere un fattore discriminante per dire loro che non vanno più bene come banche popolari, ma vanno inserite sul mercato. Secondo noi, non si agisce così, secondo noi il Governo non dovrebbe agire in questo modo e le possibilità di riformare le banche popolari c'erano. Potevamo tranquillamente disegnare tutti insieme una proposta di legge e portarla avanti e riuscire veramente a fare un lavoro più approfondito, andando a modificare molti aspetti che attualmente, oggi, vengono utilizzati come dei veri abusi per gestire non solo le banche popolari, ma anche le banche commerciali in modo, purtroppo, spiacevole per tutti i cittadini. Quindi, veramente il nostro appello è quello di votare questo emendamento, perché è l'unica soluzione corretta a questa riforma.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie Presidente, io sono notoriamente un sostenitore di questo Governo, a cui do il merito, al Governo e alla maggioranza, di avere salvato il Paese dal disastro. Quando tanti hanno scommesso contro l'Italia, hanno scommesso sul fallimento dell'Italia, sull'uscita dell'Italia dall'euro, il Governo, con il nostro appoggio decisivo di Area Popolare, è riuscito a tenere dritta la barra e a salvare il Paese.
Senza questo, oggi non ci sarebbe la ripresa e saremmo ridotti peggio della Grecia. Fatta questa premessa, mi viene in mente una frase di Lenin, autore oggi non molto popolare, ma che di politica ne capiva. Lenin ha scritto una volta che le galline non voleranno mai così in alto come le aquile, ma capita, talvolta, alle aquile di volare più in basso delle galline. Mi sembra che, in questo caso, il Governo, che è un'aquila, stia volando più basso di una gallina.
Quando ho letto il documento che accompagnava il decreto-legge del Governo, ho visto tre rivendicazioni fondamentali. Perché facciamo questa cosa ? La facciamo, si dice, perché ce lo chiede l'Europa, il Fondo monetario internazionale e così via. Non è vero ! Infatti, Padoan ha dovuto confermare che non è vero. E poi, come consiglio al Governo, quando attribuisci un'opinione a qualcuno, è buona correttezza accademica citare dove, in che documento, a che pagina. Non si dice: «il Fondo monetario internazionale vuole». Non basta che qualcuno nel Fondo monetario internazionale, magari piazzato in un posto elevato, voglia una cosa per dire «questo ce lo chiede il Fondo monetario internazionale o la Banca centrale europea» e così via.
La seconda motivazione è: per facilitare un adeguato rafforzamento patrimoniale. Queste banche hanno appena superato gli che sono l'esame per ciò che riguarda la consistenza patrimoniale. Hanno superato gli . Se tu pensi che siano, ciò nonostante, patrimonialmente deboli, hai il dovere di spiegare perché, e questo non è avvenuto.
Il terzo motivo: per ampliare l'offerta di credito. Ma noi sappiamo che, in quest'ultima fase, l'offerta di credito è stata sostenuta in Italia soprattutto dalle banche popolari, che hanno visto aumentare la loro quota di mercato e hanno aumentato l'offerta di credito del 15 per cento in una fase in cui l'offerta complessiva di sistema si restringeva del 5 per cento.
Allora, perché ? Non mi sfugge il fatto che alcune banche abbiano raggiunto dimensioni tali da rendere opportuna una revisione del loro modo di essere, ma è impossibile una revisione che salvaguardi lo spirito cooperativo ? Certo, non mi sfugge il fatto che le banche popolari un vero dialogo e una vera disponibilità a cambiare non li abbiano dimostrati, ma esisteva tutta questa urgenza ?
Non vi era la possibilità di costruire insieme con loro un percorso che salvaguardasse i valori della cooperazione anche all'interno di un sistema cambiato ? Valori della cooperazione che sono valori costituzionalmente protetti e che corrispondono a un'idea di società in cui non tutto è mercato, in cui il mercato è importante, ma forse non tutto è mercato, e in cui l'accesso all'impresa è mediato dalla solidarietà.
Su questo, vedo che forse si poteva agire in un modo diverso e sono preoccupato perché le banche popolari sono banche un po’ arretrate, è vero, non parlano inglese, parlano dialetto. E, proprio perché parlano dialetto e non parlano inglese, non sono andate, come hanno fatto altre grandi banche, a Wall Street, a giocare i soldi dei loro correntisti nel mercato dei derivati .
Sono rimaste sul territorio, hanno finanziato l'artigiano, il commerciante, il coltivatore diretto, perché comprasse materie prime, perché assumesse un lavoratore in più, e hanno sostenuto il Paese in un momento difficile. Questo noi rischiamo di perderlo. Cosa fanno le grandi banche ? Prendono il denaro sul territorio e poi lo portano nei grandi investimenti, allontanandolo dal territorio. Mi consenta, signor Presidente, di raccontare solo una piccola storia. Quando ero bambino, andavo dal barbiere, al mio paese, e vi era un signore che stava sempre dal barbiere. Io ho chiesto: chi è quel signore ? Mi hanno detto: è il direttore della banca locale. E che ci fa dal barbiere ? Perché, per fare credito, deve conoscere le persone.
Il credito ai piccoli si fa conoscendo le persone. La mia preoccupazione è che, quando queste banche saranno diventate come tutte le altre, la capacità professionale di stare sul territorio sarà perduta. Si dice: vi saranno 20 mila posti di lavoro in meno. Non è una cosa terribile, bisogna cambiare. Ma se questi 20 mila posti di lavoro in meno fossero 20 mila persone che hanno la competenza del credito del territorio e noi la perdiamo ? Sarebbe una sciagura per tutto il Paese !
ROCCO BUTTIGLIONE. Per tutte queste ragioni, voterò a favore di questo emendamento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Cancelleri. Ne ha facoltà.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. Grazie Presidente, ritorno come MoVimento 5 Stelle a quest'emendamento, perché secondo noi questo è il più importante, visto che questo decreto-legge, con quest'articolo 1, per noi rimane un decreto inaccettabile.
Avevamo chiesto, insieme ad altre forze politiche, di rimandare quest'articolo ad una proposta di legge, esattamente com'era avvenuto altre volte e, esattamente come le altre volte, avremmo garantito la nostra professionalità, la nostra coerenza e, per così dire, il rispetto delle regole che ci saremmo dati. Ma questo non è stato accolto, perché evidentemente questa volta gli interessi che sono sotto questo decreto sono forse più personali rispetto a quelli della precedente volta.
PRESIDENTE. Si deve avviare alla conclusione, deputata Cancelleri.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. Ho già esaurito il tempo ? Allora brevemente dirò dei punti che ci fanno essere contrari. Secondo noi questo criterio degli 8 miliardi è assolutamente soggettivo e lo vedremo meglio successivamente. Non è vero che lo vuole l'Unione europea, come già è stato detto. La stessa Assopopolari ci ha detto che non è così. Non è vero che daremo più credito. Come è stato presentato questo decreto ? Dicendo meno banche, più credito. Questo è assolutamente falso, perché quello che otterremo è assolutamente l'opposto.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Cancelleri.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. In conclusione, cosa otterremmo in realtà ? Meno posti di lavoro.
In ultimo faccio mia una domanda che ci ha lasciato il professore Giarda in audizione: l'intenzione è quella di distruggere le piccole e medie imprese ?
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Petrini. Ne ha facoltà.
PAOLO PETRINI. Grazie Presidente, appare molto curioso che molti gruppi pur avendo ammesso – e non poteva essere diversamente – la necessità di intervenire su questa materia, sulle banche popolari, poi propongano la cancellazione dell'intero articolo. L'ammissione relativa alla necessità di intervenire su questa materia era, per così dire, del tutto ovvia, visto il cattivo esempio che abbiamo avuto comunque nella di queste banche negli ultimi anni, una che andava drasticamente trasformata, attraverso la proposta che poi, con il decreto, ci ha fatto il Governo e cioè la trasformazione in una spa, abbandonando il voto capitario.
Credo che attraverso questo decreto-legge non solo potremmo rendere le banche popolari per così dire, contendibili, ma lo faremmo a vantaggio di una trasparenza del sistema bancario e di una maggiore credibilità, tra l'altro, di questi istituti agli occhi degli investitori internazionali. Ricordiamoci che questi investitori non hanno mai ritenuto di dovere investire non perché non potevano, ma perché proprio la opaca e farraginosa, glielo sconsigliava. Questo del resto ha zavorrato pure fortemente il valore delle loro azioni ed è per questo che, appena la notizia del decreto-legge è giunta ai mercati, il prezzo delle loro azioni è salito velocemente. Non potevamo, dal mio punto di vista, fare un disegno di legge. Vi immaginate se queste banche, soprattutto quelle quotate, fossero state mesi e mesi, non solo sessanta giorni, sull'ottovolante dei mercati, tutti suscettibili di speculazioni legate a indiscrezioni e, in questo caso, non si sa davvero a quali fonti e di quale natura ? Credo che, invece, intervenendo con il decreto-legge, possiamo dare forza al credito, una forza che naturalmente possa permetterci di migliorare le condizioni delle famiglie e delle imprese.
Infatti, questa è una riforma che non va valutata solo per il contesto convincente, ma anche per il cambiamento sistemico che introduce, perché certamente è necessario poi valutare la qualità del credito erogato da parte di queste banche, però pure la capacità di far fronte alle quantità sempre maggiori di partite deteriorate. Ricordiamo che queste partite sono aumentate molto più velocemente nelle banche popolari rispetto che nelle banche Spa. Quindi, la riforma interviene anche per ripristinare una redditività che oggi è per loro insostenibilmente bassa.
Ma io voglio aggiungere che il nostro punto di vista si basa su una circostanza che è evidente e in certa maniera anche banale, perché è sotto gli occhi di tutti. Le banche popolari non esistono, o meglio non esiste in Italia un esempio di banca popolare di rilevanti dimensioni, la cui operatività sia in qualche modo distinguibile da quella di una qualsiasi banca commerciale costituita in forma di società per azioni: identici sono i prodotti, identici i mercati, identici i clienti, identici i rischi. Dunque, non vi è alcun motivo ragionevole per consegnare la di una buona fetta del mercato creditizio a quelli che sono dei locali, che possano provenire dai sindacati oppure dalle rappresentanze associative questo non ha importanza.
Concludo dicendo questo. Rispetto a queste banche, dove non c’è una distinzione netta con le Spa, io credo che per chi volesse davvero ripristinare un sistema mutualistico in Italia doveva fare proposte diverse piuttosto che la cancellazione di questo articolo. Infatti, per le società per azioni c’è un voto proporzionato al capitale, una operatività e una dimensione libera; per le società cooperative ci deve essere il voto capitario, una operatività e una dimensione limitata. Che facciano una proposta in questo senso per le banche più piccole .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Guidesi. Ne ha facoltà.
GUIDO GUIDESI. Grazie Presidente. Io credo che sarebbe stato molto utile, prima di iniziare il voto, che il Governo avesse chiarito alcuni punti che riguardavano soprattutto il metodo utilizzato per questo decreto-legge: innanzitutto il motivo per il quale si è utilizzato lo strumento del decreto-legge, ufficializzando e chiarendo i motivi dell'urgenza di un provvedimento come questo, il fatto e la motivazione attraverso cui il Presidente del Consiglio ha provveduto a comunicare il decreto-legge prima che arrivasse in Consiglio dei ministri, favorendo o influenzando il mercato azionario e borsistico. Questi chiarimenti non ci sono stati. Si è detto che c’è..., quanto tempo ho ?
PRESIDENTE. Ha concluso il suo tempo. Ha un minuto, onorevole Guidesi. Ha parlato l'onorevole Busin per il gruppo.
GUIDO GUIDESI. L'onorevole Busin è il relatore di minoranza.
PRESIDENTE. Il relatore parla come relatore quando dà i pareri. In quel caso ha fatto un intervento e ha parlato a nome del gruppo.
GUIDO GUIDESI. Allora mi fermo qua e continuo dopo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente. Noi voteremo contro l'emendamento soppressivo perché siamo convinti che la riforma che oggi arriva in Parlamento debba passare. Abbiamo proposto anche noi degli emendamenti correttivi e crediamo che alcune cose potevano essere diverse. Ma questo non toglie il fatto che quello che abbiamo sentito dire oggi in Aula è semplicemente una descrizione di una verità che non esiste.
In questo caso non stanno venendo eliminate le banche popolari o abrogate le banche popolari. Le banche popolari di dimensioni piccole, medie e anche abbastanza grandi resteranno e continueranno ad operare. Si potranno trasformare in Spa oppure no e i loro soci potranno decidere o meno di entrare, di essere ammessi come soci e i consigli continueranno a funzionare come oggi. Lo stesso vale anche per la vicinanza per quelle banche che sono realmente territoriali, di prossimità. Tutto questo rimarrà.
Quello che non rimarrà è l'assurdità di un mercato in cui ci sono una decina di banche, di dimensioni che non hanno nulla a che vedere con la prossimità, diffuse su tutto il territorio nazionale, che operano secondo schemi identici a quelli delle grandi banche, con una sola eccezione, ossia che la non ha niente a che vedere con quella di una normale società. Chi investe in una grande banca popolare, chi compra le azioni di una grande banca popolare, soprattutto se è quotata, le compra pensando che sia una banca come le altre, non pensa che sia una cooperativa. E ha ragione, perché non operano come cooperative. La descrizione rosea di queste banche meravigliose che lavorano vicino al territorio, che portano i soldi nel territorio più delle altre, è una descrizione che ha sicuramente dei punti di contatto con la verità quando si parla delle banche popolari di prossimità vere, ma non ha nessun collegamento con le grandi banche. Quando le grandi banche sono molto radicate sul territorio, molto vicine al territorio, questo spesso si manifesta attraverso delle distorsioni perché il finanziamento, il credito, l'accesso al credito diventano strumenti di campagna elettorale e lo vediamo ogni volta in cui si rinnova la delle banche. Abbiamo letto lettere sui giornali di presidenti che minacciavano i dipendenti che non avessero sostenuto la loro lista.
Ecco, questi fenomeni si sono verificati ed è grave che si verifichino in grandi banche con decine di miliardi di euro di patrimonio. È ancora più grave che si verifichino nelle banche quotate in Borsa perché la quotazione in Borsa ha come presupposto il fatto che le azioni hanno tutte un valore uguale. Se io con la seconda azione già non acquisisco il diritto di voto, è una cosa di per sé anomala. Una società quotata opera per il profitto, non opera per fini mutualistici. Per questo, come Scelta Civica – ci torneremo dopo –, noi abbiamo presentato e tenuto un emendamento che vieta la quotazione di tutte le popolari a prescindere dall'attivo. Ma, indipendentemente da questo e dalla posizione del Governo, che è stata negativa e che non condividiamo, perché pensiamo che anche le banche sotto gli 8 miliardi di euro di attivo non debbano quotarsi, noi vogliamo che ci sia questa trasformazione per quel che riguarda le grandi banche e per quel che riguarda soprattutto le banche quotate. Questo è un passaggio fondamentale per il nostro sistema bancario, per consolidarlo, perché queste banche – e tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza della situazione lo sanno – hanno passato con grandissima difficoltà e con misure dell'ultimo minuto gli della Banca centrale europea e, alla prossima revisione, se ci fosse una situazione di crisi, nessuna di queste banche riuscirebbe a trovare soldi sul mercato perché il mercato a una banca popolare in crisi i soldi non li dà. E in questi anni abbiamo vissuto una tale serie di scandali e situazioni gravi relative alle grandi banche popolari, a partire dalla famosa Banca Popolare di Lodi in poi, che non è pensabile che, senza modificare questa qualsiasi investitore, non internazionale e non speculatore, ma qualsiasi investitore, che non sia chiamato con metodi anomali a comprare le azioni, dia dei soldi a delle banche che hanno una di questo tipo. Per questo, voteremo contro gli identici emendamenti .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Da Villa. Ne ha facoltà.
MARCO DA VILLA. Grazie Presidente, io sento parole di ipocrisia a difesa di questo articolo 1 da parte della maggioranza. Si parla di problemi di . Tutti gli emendamenti delle opposizioni e anche di parte della maggioranza volevano andare a risolvere i problemi delle banche popolari, ma qui e nelle Commissioni ci è stato detto che l'articolo 1 non si tocca e nessuno, né nelle Commissioni, né in Aula, ci dice il perché di questa soglia degli 8 miliardi di euro. Perché la soglia degli 8 miliardi di euro ? Nessuno ha il coraggio di rispondere a questa domanda. Nessuno e il sottosegretario va anche via in questo momento. E, allora, quando si parla di disegno di legge, non si può fare il disegno di legge per non sottoporre a manovre speculative le banche. Le speculazioni pare ci siano già state, collega Petrini. È sotto gli occhi della Consob e anche all'attenzione della procura il caso della Banca Etruria. Quindi, non prendiamoci in giro e diteci perché la soglia degli 8 miliardi di euro. Nessuno l'ha ancora detto in quest'Aula .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà. Onorevole Di Gioia, prego.
LELLO DI GIOIA. Le chiedo scusa, signora Presidente, ma per gli applausi non avevo capito che ero io che dovevo parlare. Anch'io sono profondamente convinto che vi sia la necessità di dover riverificare il sistema bancario e quindi anche per ciò che riguarda le questioni delle banche popolari ma giustamente, come si diceva prima, credo sia necessario, doveroso da parte del Governo, al di là adesso del decreto-legge o di un disegno di legge, fornire risposte ai quesiti che vengono posti e agli emendamenti che vengono presentati e a me sembra che il Governo non abbia dato queste risposte. Anzi, si è semplicemente arroccato su una posizione di non dire. Credo che le banche popolari abbiano dato risposte sicuramente ai territori per ciò che riguarda il credito e ciò che non hanno fatto in questi anni le grandi banche commerciali, e credo sia doveroso da parte del Governo dirci perché vi è una soglia di 8 miliardi di euro. Le banche significative, come le definisce l'Unione europea, hanno 30 miliardi di euro. Sottosegretario Baretta, ci dia una risposta su questo in modo chiaro e definitivo e dia anche una risposta in merito agli emendamenti che ha presentato il relatore su tale questione e su questa pseudo-società per azioni su cui possono confluire e intervenire anche i cosiddetti fondi di previdenza professionale, che sono in contraddizione su tutto e su tutto di più, su quello che abbiamo fatto nella legge di stabilità, su quello che si dovrà fare per ciò che riguarda, ad esempio, il decreto sugli di investimento. Ma ci rendiamo conto di quello che sta costruendo e di quello che sarà anche il decreto sulla competitività ? Credo che vi sia la necessità una volta ogni tanto – per quello che mi riguarda lo farò, votando a favore di questo emendamento – che ognuno di noi si assuma le proprie responsabilità con la propria coscienza, non in virtù di un vincolo maggioritario e, se non ci sono risposte su quelli che sono problemi seri che vengono posti, credo che ognuno di noi abbia il dovere di rispondere in modo forte votando e in questo modo io voterò a favore di questi emendamenti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signora Presidente, il collega Buttiglione, che è un filosofo molto apprezzato, ha prima dissertato sul volo delle aquile e delle galline. Io non sono in grado di reggere un dibattito di questa profondità e pur tuttavia sono contrario alla soppressione dell'articolo 1 per una ragione molto semplice. Il collega Buttiglione richiama l'immaginetta del barbiere: lui era piccolo e il barbiere gli indicava il banchiere. Ora io auguro lunga vita a quel barbiere ma ho l'impressione che sia morto perché nel frattempo Buttiglione è cresciuto parecchio. Vorrei segnalare all'onorevole Buttiglione che quelle banche popolari sulle quali dissertava il suo barbiere non ci sono più. Onorevole Buttiglione, le prime dieci popolari in Italia si estendono su sessanta province. Normalmente la base di riferimento di una popolare partiva dalla dimensione provinciale e qui c’è un elemento che forse andrebbe ripreso.
Quando si dice che il Governo ha sbagliato nell'indicare in 8 miliardi i limiti dell'attivo, può essere. Probabilmente, sarebbe stato molto meglio se avesse indicato la base regionale: tutti gli istituti che escono dalla dimensione regionale devono essere sottoposti ad una valutazione di tipo diverso. Avremmo risolto un sacco di problemi, perché non mi si venga a dire che una banca popolare mantiene le sue caratteristiche di base, quindi che ha avuto come riferimento il voto capitario nella seconda metà dell'Ottocento, di fronte ad un mondo che è profondamente cambiato, malgrado il filosofo Buttiglione ci inviti a considerare le idee del suo barbiere.
Questo è quanto. Quindi, secondo me, il Governo Renzi ha fatto un gesto di coraggio e il collega che ha richiamato il fatto che non si poteva stare settimane e settimane sulla giostra della borsa ha fatto un'osservazione totalmente seria e concreta. Per cui non c’è un provvedimento che non abbia ragione d'urgenza più evidente di quello che riguarda sette società che sono quotate in borsa e che, quotativamente, vengono giudicate attraverso la domanda e l'offerta.
Quindi, stiamo molto tranquilli e sereni: questo è un provvedimento che avremmo dovuto fare da tempo e, siccome io «bazzico» un po’ da qualche anno queste Aule parlamentari, mi rammarico di non essere riuscito a farlo quando già, nel lontano 2004, tuonavo contro alcune banche popolari, in particolare quella di Lodi, che, da lì a pochi mesi, ha tentato la scalata incrociata all'Antonveneta, da cui sono derivate tutte quelle problematiche che hanno portato, tra l'altro, le cadute del Governatore Fazio. Quindi, allora, se non altro, quella memoria dovrebbe essere sufficiente a renderci del tutto tranquilli e sereni .
DAVIDE CRIPPA. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.
PRESIDENTE. A che proposito ?
DAVIDE CRIPPA. Signora Presidente, intervengo per un richiamo all'articolo 86. Lei, poc'anzi, ha riferito ai colleghi della Lega che, in qualità di relatore di minoranza, non è possibile esprimere alcunché oltre i semplici pareri. Io vorrei capire se è un orientamento che sta dando lei in questo momento o se, di fatto, avviene come è già successo, ad esempio, a proposito delle riforme costituzionali, quando i colleghi, in quel caso Sisto o Fiano, si esprimevano come relatori per la maggioranza; ovviamente, con gli stessi criteri, i relatori di minoranza si possono esprimere nel momento in cui non vanno a supportare con un orientamento politico quello che stanno dicendo. Ma dal punto di vista dell'analisi tecnica e nella motivazione della loro espressione di voto e, quindi, dell'indicazione di voto favorevole o contraria, sia permesso loro di parlare.
Pertanto, le chiedo se, d'ora in avanti, ci saranno modalità per i relatori di minoranza per poter esprimere delle considerazioni in merito all'emendamento che viene posto in votazione differentemente dal gruppo politico, perché possono essere due orientamenti, uno tecnico e uno prettamente politico.
PRESIDENTE. Onorevole Crippa, io mi sono basata su una prassi abbastanza consolidata, che riguarda tutti i provvedimenti, ovviamente. L'onorevole Busin ha fatto un intervento di dichiarazione di voto, chiaramente: è intervenuto in dichiarazione di voto sugli emendamenti di cui stiamo discutendo.
Altra cosa è se, in qualità di relatori, tutti, relatori sia per la maggioranza che di minoranza, esprimono una motivazione rispetto al parere che hanno esposto, che è ovviamente ancora parte del loro ruolo di relatori. Ovviamente, in qualche caso, il confine è un po’ più labile, ma non in questo caso, perché l'intervento dell'onorevole Busin è stato chiaramente un intervento di dichiarazione di voto: lo ha chiesto di parlare in dichiarazione di voto e, quindi, lo ha chiesto per il suo gruppo. Poi, naturalmente, strada facendo, se il gruppo della Lega riterrà di dover far parlare prima altri colleghi, lo verificheremo.
Comunque, mi sono basata su una prassi e ho chiara la differenza tra il ruolo del relatore e il ruolo di un collega che interviene in dichiarazione di voto.
Se non vi sono altri colleghi che chiedono di parlare per dichiarazione di voto, passiamo ai voti. Chiedo ai colleghi di prendere posto, perché, magari, si sono dimenticati che stiamo per votare.
Intanto che i colleghi prendono posto, salutiamo gli studenti e le studentesse dell'istituto comprensivo di Gualtieri, Reggio Emilia, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune .
Passiamo, dunque, ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Paglia 1.125, Busin 1.285, Ruocco 1.291, Alberto Giorgetti 1.293, Barbanti 1.294 e Maietta 1.298, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
DANIELE PESCO. Grazie Presidente, questi emendamenti – ce ne sono due abbastanza simili – in pratica rappresentano una proposta di riforma delle banche popolari che il MoVimento 5 Stelle ha pensato di proporre per cercare di riparare i danni. Non abbiamo la pretesa di dire che questa sia la riforma più giusta, più corretta e più precisa in assoluto, perché sicuramente molte altre idee potevano essere sviluppate, magari anche in modo più approfondito, però siamo dell'opinione che la discriminante, la possibilità, secondo noi, per una banca popolare di rimanere banca popolare, non debba essere legata a un importo riferito agli attivi. Il Governo ha scelto 8 miliardi di euro, non si sa come abbia scelto questa soglia degli 8 miliardi di euro.
Ebbene, secondo noi, invece, una banca popolare per riuscire a restare tale dovrebbe veramente fare il lavoro della banca popolare, della banca per i cittadini e, quindi, dovrebbe attuare quel principio, chiamato principio della prevalenza, della mutualità prevalente, secondo il quale una banca dovrebbe prestare più soldi a famiglie, a imprese, piuttosto che spenderli nella speculazione finanziaria verso quei fondi che, magari, danno dei profitti maggiori, però, alla fine, vanno solo a depauperare l'economia reale di un Paese. Quindi, il concetto della prevalenza, secondo noi, è fondamentale ed è un concetto che era fondamentale fino a pochi anni fa. Nel 2004 c’è stata una riforma delle banche popolari con la quale è stato eliminato questo principio della mutualità prevalente; è stato tolto. Quindi, basterebbe tornare alla normativa precedente per avere, comunque, delle banche popolari più performanti per quanto riguarda gli interessi di cittadini e imprese. Difatti, nel 2004, è stata modificata la possibilità per le banche popolari di utilizzare alcuni articoli del codice civile: gli articoli 2.012, 2.013 e 2.014. Sono degli articoli che, veramente, fanno riferimento alla mutualità prevalente.
Ebbene, Presidente, secondo noi questa è una possibilità, con la quale potremo migliorare e modificare le banche popolari, sicuramente meglio rispetto a come ha fatto il Governo. Non abbiamo la pretesa che sia la soluzione migliore...
PRESIDENTE. Onorevole Misiani, c’è un solo rappresentante del Governo ...
DANIELE PESCO. Tra l'altro, non si tratta di concetti che abbiamo inventato noi, ma di concetti già inseriti in alcuni statuti di banche popolari, che, quindi, funzionano e hanno dato prova di dare maggiore competitività e maggiore alle banche popolari. Secondo noi, si dovrebbe fare di più per questo settore, che è diffuso in tutto il mondo: in tutto il mondo vi sono 3.700 banche popolari, delle quali fanno parte 56 milioni di membri. In Francia esse rappresentano il 60 per cento del mondo bancario, in Germania il 50 per cento; in tutto il mondo vi sono banche popolari, o che si ispirano ai principi cooperativi legati alle banche popolari, con un attivo molto più alto rispetto alla soglia di 8 miliardi di euro fissata dal Governo. Ci chiediamo, quindi, quale sia il motivo per il quale si è voluta fissare questa soglia. Attualmente, se, all'interno delle banche popolari, vi sono criticità legate alla interviene la Banca d'Italia o la magistratura e noi abbiamo la possibilità di modificare una parte della normativa e di andare a scavare e a cercare i difetti della normativa che rendono possibile il compimento di alcuni abusi. Questo avremmo dovuto fare. Noi abbiamo cercato di farlo con alcune proposte emendative, come ad esempio l'emendamento Villarosa 1.308, ma non è giusto intervenire in questo modo, a «gamba tesa», tra l'altro con un decreto-legge, che è stato emanato quando il Presidente della Repubblica non c'era e c'era un Presidente della Repubblica reggente. Questo, secondo noi, è un motivo critico, che deve essere esaminato con accuratezza, così come con accuratezza la Consob ha svolto le sue analisi, trovando che, a causa del provvedimento in esame, sono state effettuati speculazioni e scambi molto elevati rispetto ai titoli delle banche popolari. Ben 10 milioni di plusvalenze si sono registrati in quei giorni, in cui probabilmente i titoli delle banche popolari dovevano essere sospesi e, invece, questo non è stato fatto. In quei giorni, vi sono state fughe di notizie e qualcuno ha guadagnato veramente tanti soldi, a discapito di tutti i cittadini. Noi siamo contrari a questa riforma e questa è la nostra proposta per riuscire a ridisegnare in modo più concreto le banche popolari .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Guidesi. Ne ha facoltà.
GUIDO GUIDESI. Signora Presidente, cerco di riprendere il discorso di prima. Mancano tantissime risposte del Governo, e non so se riusciremo ad averle oggi: si tratta di risposte al perché dell'urgenza della decretazione, al motivo per il quale il Governo ha ritenuto che il provvedimento in esame dovesse essere un decreto-legge urgente. Mancano alcune risposte del Governo sull'atteggiamento tenuto dal Presidente del Consiglio, che ha annunciato prima il decreto-legge, pur sapendo che esso avrebbe influenzato le borse, tre-quattro giorni prima della sua approvazione in Consiglio dei ministri. Mancano spiegazioni rispetto al parametro degli 8 miliardi di euro sulla base del quale si determina la trasformazione delle banche popolari in società per azioni; mancano alcune considerazioni rispetto alle valutazioni svolte e alle motivazioni fornite dal Governo rispetto ai contenuti dell'articolo 1, riguardante le banche popolari: se si riteneva, infatti, che alcune non andassero bene o non fossero in grado di gestire al meglio gli istituti di credito, sarebbe bastato, forse, introdurre qualche regola di trasparenza in più e magari qualche ulteriore regola sulla e sugli obiettivi.
In questo modo, infatti, voi state consegnando le banche popolari, territoriali o non che esse siano, e le trasformate in banche d'affari, dove poi pochi o tanti finanzieri ci giocheranno un po’ su. Si è detto che non è vero che le banche popolari erano il maggiore ente creditizio rispetto alle esigenze di famiglie e di piccole e medie imprese: questo è assolutamente vero, anche perché le banche popolari hanno rispettato tutti gli stress test di patrimonializzazione. Allora, la domanda è: perché alcune hanno ottenuto risultati tanto pessimi da dover fare intervenire anche i piccoli azionisti per continue ricapitalizzazioni ? Perché probabilmente alcune non sono stato al servizio dei territori delle piccole e medie imprese ma sono state al servizio di grandi aziende nazionali: il Banco popolare è notoriamente uno dei più grandi creditori del gruppo De Benedetti e di tanti altri gruppi. Ma il Banco popolare ha altresì chiesto numerosi interventi di ricapitalizzazione ai piccoli azionisti. Allora, ci si chiede per quale motivo un decreto-legge di questo tipo, quando si sarebbe potuto sistemare la situazione evitando mal fatte e amministratori magari irresponsabili con delle soluzioni di trasparenza e anche di linee guida rispetto alle e di rispetto delle regole. Questo avrebbe potuto evitare un salto non di qualità nel mercato finanziario, che porterà, sì, il poco credito che veniva dato dalle banche popolari ai territori ad essere completamente cancellato. Infine, Presidente, credo che a tutte queste domande il Governo debba una risposta al Parlamento, anche perché nel contempo dell'approvazione del decreto-legge veniva commissariata la Banca popolare dell'Etruria, e dal punto di vista della comunicazione, anche a livello informativo, qualche collegamento, perlomeno familiare, con qualche membro del Governo c’è, tutti lo sappiamo. Anche da questo punto di vista, una spiegazione rispetto a quanto è stato fatto dalla Banca popolare dell'Etruria e i motivi del suo commissariamento, che è una delle banche protagoniste di questo decreto-legge, da parte del Governo ci deve essere, perché la nostra può anche essere malafede, ma se a tutte queste domande non c’è neanche una risposta noi pensiamo che questo decreto-legge non venga fatto in funzione di un potenziamento patrimoniale delle banche popolari ma per nascondere qualcosa e qualche errore che è stato commesso dalle e magari anche qualche errore commesso dal Monte dei Paschi di Siena, quello sì collegato alla politica .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Bianconi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO BIANCONI. Presidente, volevo intanto principiare ricordando tramite lei ai colleghi che mi hanno preceduto che questa questione della divisione fra banche d'affari e banche di raccolta di risparmio è all'ordine del giorno di una proposta di legge sottoscritta da me, dall'onorevole Laffranco, dall'onorevole Marotta, dall'onorevole Di Stefano e dall'onorevole Corsaro, che prevede esattamente che le banche che fanno raccolta di denaro non possano speculare e non possano investire sui titoli se non sui titoli del Tesoro nazionale. Quindi, non è che ci voleva molto, se proprio si doveva fare questo lavoro, di far sì che le banche popolari fossero soggette al mercato fino in fondo e che in questo decreto-legge ci si potesse porre anche questa questione tutto sommato semplice, che era all'ordine del giorno di proposte di legge esistenti.
Perché questo ? Perché le banche popolari, checché ne dica il barbiere dell'onorevole Buttiglione e le riflessioni dell'onorevole Tabacci, una funzione l'hanno sempre avuta: facilitare l'accesso al credito per le piccole e piccolissime e medie imprese. Non vi tedierò con aneddoti personali, ma io che non avevo né arte né parte appena presi la laurea con il massimo dei voti e la lode fui chiamato dal direttore della banca popolare, il quale mi fece un affidamento di 5 milioni e con quelli ho aperto il mio studio legale. Oggi questo non succede più, non è neanche pensabile che ci sia questo; ma che ci sia una raccolta di risparmio che si riverbera poi negli investimenti del territorio, questo mi sembra che faccia parte della tradizione della nostra economia.
La verità è un'altra, e non è quella che dice Guidesi, con il quale sono quasi sempre d'accordo: non c'entra niente la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, la Banca Etruria. La Banca Etruria va trasformata in società per azioni perché è al collasso, e ha bisogno di entrare nel mercato; ma non ci voleva questo decreto-legge per quel problema, per quel problema si poteva fare o un decreto c o addirittura secondo me anche niente, perché quando siamo in quelle condizioni per salvarla dal fallimento si può fare tutto.
La verità è un'altra, è molto più complicata. La verità è che la Banca Centrale Europea – che ricordiamo tutti, a noi e a chi ci ascolta, non è la banca degli Stati europei, ma è una banca privata che stampa dietro corrispettivo la moneta europea che gli Stati pagano – non vuole fra le scatole le piccole banche, non vuole fra le scatole le banche di credito cooperativo, non vuole fra le scatole le banche popolari: in Italia, perché in Germania rimangono, in Italia, perché in Germania ci sono. Cosicché la Banca d'Italia, fedele osservante dei voleri della Banca Centrale Europea, ha disposto che in un anno vanno fatte fuori tutte le banche popolari, ed in capo a tre anni tutte le banche di credito cooperativo. Per modo che non solo la Banca Centrale Europea e le grandi banche avranno accesso al sistema creditizio italiano, ma anche la piccola, la piccolissima, la media impresa rimarranno senza possibilità di sopravvivenza. Così quadrando il cerchio, in qualche maniera, o comunque facendo ritornare tutto il ragionamento: dove la Banca privata europea stampa moneta, non presta i soldi agli Stati ma li presta alle banche che li prestano agli Stati, dopo di che la Banca Centrale Europea compra il debito pubblico degli Stati, che gli Stati hanno fatto per prendere i soldi in prestito dalle banche alle quali la Banca europea li ha prestati, togliendo completamente ogni risorsa alla piccola e alla media impresa e facendo del risparmio italiano oggetto di speculazione di una società compatta...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURIZIO BIANCONI. Trenta secondi ! Di una società compatta, comandata dal sistema bancario al servizio della finanza, che è quella che oggi governa il mondo nello Stato liberale perfetto; con gli Esecutivi da essi voluti: noi ci siamo liberati di Monti, non ci siamo liberati di Renzi, che è la faccia buona di Monti in questo perverso disegno .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Presidente, vedo che il mio barbiere gode di una straordinaria e per me inattesa popolarità. Io concordo con molte delle cose che ha detto l'onorevole Tabacci: ricordo la battaglia meritoria che ha condotto contro la mancanza di trasparenza delle banche popolari, che non son mica degli eroi e dei santi ! Andava fatto qualcosa per imporre maggiore trasparenza alle banche popolari; andava fatto: ma quando un bambino zoppica non è che gli tagli la testa !
E allora, davanti ai problemi delle banche popolari non è che la conversione in società per azioni è un toccasana.
Vorrei ricordare che il Banco di Lodi non ha preso il Banco Antoniano, ma quello che doveva prendere il Banco Antoniano al posto del Banco di Lodi, cioè Hambros Bank, un gigante, una grande società per azioni, un modello bancario, quelli che parlavano inglese, è fallito. E allora non è convertendo in società per azioni che automaticamente si risolvono i problemi perché la mancanza di trasparenza non la troviamo anche in qualche società per azioni ? Non abbiamo qualche scandalo recente da citare, io mi asterrò dal citarlo, che coinvolge grandi banche costituite come società per azioni ? Non è questo il problema. E poi se la legge prevedesse come segno di mutualità la dimensione regionale, già sarebbe una legge diversa. Ma onorevole Tabacci questa legge non introduce la dimensione regionale, questa legge, visto che il bambino zoppica e zoppica davvero, e meritava chi gli si facesse una operazione, gli taglia la testa e questo non è bello.
Detto questo, è stato raggiunto un accordo politico, io dopo avere espresso le mie valutazioni personali, ovviamente sostenendo per giuste ragioni questo Governo starò dentro l'accordo politico.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Su questo emendamento solo brevemente per dire che noi ci asterremo perché nonostante ne condividiamo lo spirito, capiamo dove si voglia andare, si vuole andare a individuare un criterio diverso da quello degli 8 miliardi e si vuole andare a individuare un criterio che in qualche modo evidenza anche il ripristino di uno spirito cooperativo all'interno delle banche popolari. Nonostante questo a me non convince il modo in cui la cosa è stata impostata, se approvassimo questo emendamento temo che avremmo dei problemi di gestione altrettanto gravi di quelli che ci ripromettiamo di risolvere. Questo è il motivo della astensione.
Ne approfitto per dire solo un paio di cose rispetto al dibattito che comunque attengono all'emendamento. Bisognerebbe che ricordassimo tutti, lo dico a me per primo, che la questione della territorialità è certo un valore, è certo una cosa importante, ma viene continuamente richiamata come se esistesse in questo Paese una legge che dica che una banca popolare per essere tale deve essere ancorata al territorio. Io non ricordo che il Testo unico bancario francamente nell'individuare i motivi per cui la banca popolare deve essere tale parli di territorio. Parla semplicemente di una banca che abbia deciso di avere una fondata sul voto capitale anziché sul voto per quote. Tutte le banche in origine in questo Paese, la maggior parte, erano piccole, molte sono cresciute e nel crescere i problemi di «gigantismo» li hanno incontrati tutte perché il problema l'ha avuto il Monte dei Paschi di Siena nel momento in cui ha inglobato Antonveneta con tutto quello che ne è comportato. Ha ballato per un po’ Unicredit dopo aver assorbito Capitalia.
Le banche popolari, forse anche visto in virtù della loro nel crescere hanno avuto alcuni problemi di trasparenza diversi da altri. Renderei però noto a tutti noi stessi e ricorderei sempre che problemi come la mancanza di trasparenza, problemi nella problemi ai bilanci e tutto questo avrebbero un organismo in questo Paese, che si chiama Banca d'Italia, che ha tutti gli strumenti e tutto il dovere di vigilare, di guardare, di intervenire. Non a caso è intervenuta, è già stato citato, su Banca Popolare dell'Etruria, ha trovato a quanto pare cose non particolarmente gradevoli. Io dico che poteva intervenire anche un anno prima quando il faro si era già acceso anziché intervenire un minuto dopo casualmente che questa riforma abbia imposto anche a quella banche di diventare una Spa. Succederà che avremo la Banca d'Italia che accompagnerà una banca popolare nel tragitto verso la società per azioni, speriamo a tutela degli azionisti, quando non ha voluto fare nulla l'anno prima quando invece forse sarebbe stato necessario a tutela del credito.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giampaolo Galli. Ne ha facoltà.
GIAMPAOLO GALLI. Grazie Presidente, io vorrei ricordare come questo articolo risponda ad un appello accorato, direi preoccupato, delle autorità di vigilanza sulla base anche di raccomandazioni che sono già state ricordate del Fondo monetario e della Commissione europea. Il problema nasce da lontano, è da anni che se ne discute ma accelera nel 2013 quando non vengono soddisfatti i requisiti di capitale stabiliti a livello europeo e quindi si stava profilando il rischio che al problema del debito pubblico in Italia si sovrapponesse anche un problema di sostenibilità della situazione delle banche.
Si è rimediato nel corso del 2014 con grande fatica perché raccogliere capitali per queste banche è molto difficile, perché chi ci mette i soldi a quei soldi sa che non corrisponde un diritto di voto. Vorrei dire solo questo, che noi ragioniamo ancora in uno schema antico che è precedente alla direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie, il cosiddetto . Si può essere d'accordo o non d'accordo ma quella direttiva e gli orientamenti che stanno prevalendo in tutto il mondo dicono che non solo non si salvano i banchieri – il che è giusto – ma non si salvano più le banche, si salvano solo i piccoli depositanti e per questo le banche devono avere un'elevata capitalizzazione. Io personalmente ho qualche perplessità su questa lettura che risponde però a un movimento di opinione molto diffuso che ha trovato il suo apice nel cosiddetto movimento Occupy Wall Street in base al quale si deve salvare cioè meno ristrette c’è il piccolo depositante, le persone, e non Wall Street, cioè le banche. Allora il rischio derivante da un'insufficienza di capitale o da un eccesso di indebitamento di di una banca è un rischio che diventa sistemico e gravissimo. Credo che a questo rischio e a questo appello che ci viene rivolto dalle autorità di vigilanza noi non possiamo rimanere indifferenti, dobbiamo dare una risposta urgente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Barbanti. Ne ha facoltà.
SEBASTIANO BARBANTI. Presidente, con buona pace del barbiere che sicuramente vedrà i suoi incassi lievitare – per fortuna – io ritornerei un attimo sull'argomento principale che è quello dell'emendamento. Premesso che va bene qualunque cosa che possa andare a rimuovere la decisione di questa soglia ben indefinita di 8 miliardi e che possa poi nelle more di questo emendamento dare all'operatività della banca una dimensione più territoriale e meno finanziaria, quindi ben venga tutto quello che è riportato nell'emendamento, tuttavia vedo delle difficoltà per quanto riguarda il punto 2 e lo aveva anche prima sollevato il collega Paglia, in quanto nel punto b) da un lato sembra che si vada, nel comma 1 dell'articolo 150- del Testo unico bancario, a reinserire la possibilità per le banche di credito cooperativo di togliere i criteri di mutualità prevalente e viceversa al punto 2, che sostituisce il comma 2, si va praticamente a obbligare le banche popolari ad adottare i principi di mutualità prevalente. Quindi mi sembra un po’, se non ho interpretato male, che si vogliano trasformare le banche di credito cooperativo in banche popolari e le banche popolari in banche di credito cooperativo. Ora, se così è, questo potrebbe non giocare molto a favore di questo emendamento che, ripeto, per quanto riguarda tutto il resto è perfettamente condivisibile, anzi da appoggiare, tanto più che nelle versioni successive, dove non c’è questa modifica del codice civile, per quanto ci riguarda noi voteremo sicuramente a favore. Nei successivi, non in questo dove vedo questo .
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Villarosa 1.308, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo, con il parere favorevole del relatore di minoranza del gruppo MoVimento 5 Stelle, mentre il relatore di minoranza del gruppo Lega Nord e Autonomie si rimette all'Aula.
Dichiaro aperta la votazione.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. Grazie, Presidente. Con questo emendamento noi sostituiamo il limite degli 8 miliardi e la liquidazione con il 2-, che dà una definizione di banca popolare dedotta da una sintesi dei vari statuti delle banche popolari. Questo permette di definire finalmente chi è una banca popolare. Con il 2-, invece, prevediamo che il criterio per la trasformazione in SpA non sia legato al limite degli 8 miliardi, ma al requisito della prevalenza a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie. Cioè, se una banca si occupa prevalentemente di queste due categorie e, quindi, dell'economia reale diventa una SpA.
Inoltre, il Governo sostituisce l'articolo 31 del TUB con la lettera che, invece, nella nostra riformulazione viene cancellata, lasciando in vigore l'attuale articolo 31 che, ricordo, attribuisce alla Banca d'Italia la facoltà di autorizzare le trasformazioni di banche popolari in società per azioni per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione del sistema. Quindi, già una norma che prevedeva, che dava la possibilità alle banche popolari di trasformarsi in SpA esiste e veniva attuata tramite, appunto, un vaglio della Banca d'Italia.
Inoltre, questa motivazione che veniva presentata prima, cioè che le autorità europee ci hanno imposto questa misura, secondo noi non ha un fondamento, perché altrimenti l'avrebbero dovuto imporre non solo all'Italia ma anche, per esempio, alla Germania.
Noi sicuramente non pensiamo che questo emendamento, come gli altri, sia la migliore soluzione o la soluzione ai problemi che hanno le banche popolari. Ma allo stesso tempo riteniamo che chi sostiene che le banche popolari in Italia non esistano più non dica proprio una frase corretta, perché innanzitutto dobbiamo definire cosa intendiamo noi per una banca legata al territorio. Quindi, tra le definizioni possibili, che sono molte, ne ho scelta una che mi sembra particolarmente calzante, cioè una banca che concentri i suoi prestiti in un territorio circoscritto e che, inoltre, rappresenti una quota rilevante dei prestiti erogati in quel territorio. Quindi, andiamo a sancire un legame reciproco tra il territorio, che diventa importante per la banca, e la banca, che diventa importante per il territorio. Se adoperiamo questa definizione dei parametri quantitativi ragionevoli, rileviamo in Italia quasi 300 banche del territorio. Quindi, per questo dico che la frase che le banche popolari o, comunque, legate al territorio non esistono non è vera.
In più sentivo una proposta, da parte dell'onorevole Tabacci, che diceva: «Circoscriviamo l'attività delle banche popolari in un determinato territorio». Noi lo avevamo fatto. Noi avevamo presentato un emendamento che puntava proprio a questo. Dunque, abbiamo delle soluzioni maggiori rispetto alla semplice abrogazione dell'articolo 1, però il Governo le ha bocciate .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Busin. Ne ha facoltà.
FILIPPO BUSIN. Grazie, Presidente. Voglio motivare il nostro voto favorevole su questo emendamento perché questo, come altri, interviene su quello che è il vero oggetto che dovrebbe interessare le banche popolari, cioè la . Ovviamente lo strumento del decreto-legge non consente gli approfondimenti necessari e non consente il contributo che poteva venire dalle opposizioni. Noi non ci nascondiamo dietro un dito, perché il problema della si pone per le banche popolari.
È vero che le banche popolari hanno dimostrato una certa inerzia nell'intervenire su questo tema, visto che è dal 2004 che sono sollecitate, a vario titolo dai vari Governi, a farlo e non lo hanno fatto.
Detto questo, la mannaia del decreto-legge, con questa soglia totalmente discrezionale e, allo stato dei fatti, ancora non giustificata dal Governo, non ci trova favorevoli.
E a proposito di voglio ricordare che si possono fare delle modifiche, ma banche popolari o banche simili di natura cooperativa, con la presenza del voto capitario, sono presenti anche in altri Paesi d'Europa, soprattutto in Francia e in Germania, e che le ottanta banche maggiori organizzate secondo la forma cooperativa in Europa hanno un attivo medio di ben 154 miliardi, quindi ben superiore a quello più alto della più grande banca popolare quotata in Borsa in Italia, che viene interessata da questo decreto. Germania, fra l'altro, che voglio dire, tra parentesi, ha difeso strenuamente le sue banche popolari e non ha voluto sentirne di modificare il loro assetto societario, nonostante siano patrimonialmente messe in condizioni molto peggiori delle nostre. Ovviamente, loro fanno i loro interessi nazionali in modo deciso; noi, in questo senso, siamo abbastanza superficiali e deboli e non calcoliamo le possibili conseguenze di questo intervento. Mi riservo poi di intervenire sulle altre questioni relative alla soglia degli 8 miliardi.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Cancelleri 1.311, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo, con il parere favorevole del relatore di minoranza del gruppo MoVimento 5 Stelle, mentre il relatore di minoranza del gruppo Lega Nord e Autonomie si rimette all'Assemblea, ma ha appena fatto una dichiarazione di voto e ha cambiato il parere...
FILIPPO BUSIN, . Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FILIPPO BUSIN, Scusi Presidente, c’è un equivoco: a parte i due emendamenti su cui mi sono espresso con parere contrario, i pareri sugli emendamenti riferiti all'articolo 1 sono tutti favorevoli.
PRESIDENTE. Grazie, ha fatto bene a dirmelo, perché avevamo capito diversamente.
Quindi, indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Cancelleri 1.311, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
DANIELE PESCO. Grazie Presidente, con questo emendamento andiamo in pratica a fare tre cose. La prima – e forse la più importante – andiamo ad annullare quel recepimento, diciamo di fatto, di una direttiva europea. Il Governo, grazie a poche parole, è riuscito a recepire una direttiva europea di 150 pagine della Commissione europea, che è riferita al ovvero ad uno di quei sistemi di protezione delle nostre banche, dicendo che gli investitori non hanno la sicurezza di poter ritirare i propri soldi dai conti che hanno investito nelle loro banche. Secondo noi, questo è un concetto totalmente sbagliato. Le forme di sicurezza e di tutela delle banche possono essere trovate, ma in altro modo, certo non violando la libertà di un investitore di poter ritirare i propri soldi da una banca, nel caso in cui sia appunto un investitore, un socio o un azionista. Secondo noi, questo è profondamente sbagliato e, guarda caso, lo si va a fare proprio nelle banche popolari che diventeranno delle Spa. Quindi, non solo si va contro il principio costituzionale di cui all'articolo 41 della libera iniziativa economica, ma in più si va anche ad obbligare le persone a restare in queste banche, anche se prenderanno una forma diversa, se diventeranno delle Spa. A noi questo non piace assolutamente, tant’è che abbiamo proposto un emendamento soppressivo di questa parte. Andiamo anche logicamente a togliere l'altra parte fondamentale di questo articolo 1, che è riferita alla soglia degli 8 miliardi. Siccome nessuno è in grado di spiegarci perché è stata scelta questa soglia, perché è stato scelto questo valore, quando in tutto il mondo e in tutta Europa ci sono veramente banche popolari molto più grandi, verso le quali la Banca centrale europea non ha espresso nessun parere, ebbene ci chiediamo perché è stata scelta questa soglia, perché dobbiamo far diventare le banche popolari sopra gli 8 miliardi delle Spa. Nessuno riesce a risponderci. Perché ? Perché nessuno riesce a risponderci ? Perché non c’è un motivo vero.
Il motivo è solo quello legato agli interessi . Qui sotto vi sono gli interessi: ce lo hanno spiegato bene in audizione quali sono gli interessi. Gli interessi sono riferiti a chi queste banche le comprerà. Ma chi potrà mai comprare una banca, se non altre banche ? E sarà così: le grandi Spa, le grandi banche commerciali, entreranno, entreranno a comprare queste banche.
Già vi sono stati i primi segnali di qualcuno è già andato a osservarle. Le grandi banche commerciali sono interessate a comprare queste banche popolari. Perché le vogliono comprare ? Perché sono, guarda caso, nelle regioni un pochino più produttive rispetto alle altre: sono in Emilia-Romagna, sono in Lombardia, sono in Piemonte, sono in Veneto. E, guarda caso, in queste regioni si riesce a fare ancora parecchia raccolta, raccolta preziosa, perché ricordiamo bene cosa fanno le banche con la raccolta.
O la prestano a famiglie e imprese, come noi auspichiamo facessero anche le banche popolari, oppure la investono, la investono nella speculazione, nei titoli, nei titoli speculativi, dove si hanno forti e vantaggiosi interessi, forti profitti, ma certo non si alimenta e non si dà una mano all'economia reale . Ebbene, succederà questo, succederà questo !
Le piccole e medie imprese che attualmente riescono ancora ad avere credito dalle banche popolari non lo avranno più, lo avranno meno; lo avranno meno perché questo sta accadendo nelle banche commerciali. Negli ultimi tre anni, le banche commerciali hanno ridotto drasticamente la propensione a dare credito a imprese e famiglie: meno 15,4 per cento. È un dato veramente significativo, quando, invece, le banche popolari tengono; tengono e i soldi alle famiglie e alle imprese riescono ancora a darli.
Presidente, veramente, la nostra richiesta è veramente una richiesta accorata, nel senso che bisogna fare qualcosa. Siamo ancora in tempo per modificare le parti più incisive di questo decreto, le parti più aggressive di questo decreto, le parti che vanno a discapito di tutta la nazione e di tutte le attività produttive.
In più, sempre in questo emendamento, cerchiamo di andare a ripristinare il concetto che dicevo prima. Mi riferisco all'articolo 2545- del codice civile, che è riferito sempre al concetto di prevalenza: se lo andiamo a reinserire, probabilmente avremo delle banche popolari che riuscirebbero a lavorare meglio di come stanno lavorando oggi .
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Villarosa 1.74, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
DANIELE PESCO. Grazie Presidente, approfitto anche per rispondere al collega Giampaolo Galli, che prima ci ha parlato di atti provenienti dalle autorità europee, riferiti al fatto che le nostre banche popolari non sono in grado di ricapitalizzarsi. Ebbene, in realtà, non ci sono questi atti, in realtà abbiamo solo gli Gli cosa hanno documentato ? Hanno documentato che le banche popolari sono riuscite a ricapitalizzarsi, quindi, sono riuscite a vincere questo scoglio e a superare quest'ostacolo, quindi, sono in grado di farcela, a differenza invece di altre banche commerciali, come MPS e Carige, che invece non hanno le caratteristiche per riuscire a potere essere al pari delle altre. Loro sì che non ce la fanno a raccogliere i capitali necessari ! Tanto che MPS, ad esempio, non riuscirà a restituire gli interessi sui famosi Monti-, tant’è che lo Stato entrerà probabilmente nell'azionariato di MPS, andando a creare una piccola banca con la partecipazione pubblica, della quale forse dovremmo essere contenti e che, però, certo ci dà la prova che alcune banche commerciali non ce la fanno, quando invece alcune banche popolari ce la fanno.
Presidente, la lettera che noi vogliamo sopprimere è quella sempre riferita agli 8 miliardi, la soglia che noi non capiamo affatto. Non capiamo da che parte arrivi e non capiamo, soprattutto, perché sia prevista una soglia di 8 miliardi quando in realtà, in Europa e nel mondo, abbiamo banche molto, molto più grandi. Guarda caso, però, dieci banche sono sopra questa soglia. E qual è la prima banca al di sopra della soglia ? Banca Etruria ! Ma chissà, forse, quindi, questa soglia è stata fissata solo per riuscire a capitalizzare questa banca ? Forse perché questa banca ha veramente necessità di essere messa sul mercato ? Lo si poteva fare in altri modi. Ma perché fare un decreto-legge un decreto in questo modo ? Un decreto così aggressivo verso un sistema di banche, le banche popolari, difeso addirittura da 163 studiosi di economia, i quali dicono che le banche popolari sono le uniche banche che hanno un'offerta di credito che è meno prociclica delle altre. Cosa vuol dire ? Vuol dire che il credito che viene offerto dalle banche popolari è veramente destinato a famiglie, a imprese e a fare crescere l'economia di un Paese, non come magari quello delle grandi banche commerciali, che hanno un reditizio spesso riferito a grandi imprese che magari poi spariscono nel nulla.
Per non parlare, Presidente, di un altro fenomeno e qui veramente parlo a proposito sia delle banche commerciali, sia delle banche di credito cooperativo, sia delle banche popolari. Ebbene, in Italia, purtroppo, abbiamo un fenomeno, un fenomeno chiamato dei fidi facili, dove vi è molta compiacenza, magari, tra chi chiede il credito e chi lo elargisce. Ebbene lì dovremmo agire, dovremmo andare ad agire lì e capire veramente dove c’è compiacenza, capire dove vengono spesi i soldi delle banche. Infatti spesso vengono spesi male e quando i soldi di una banca vengono investiti male, non ci rimettono solo la banca e gli azionisti della banca: ci rimettono tutti i cittadini, perché vuol dire che diminuiscono le risorse per tutti i cittadini e diminuiscono in modo speculativo, andando contro la legge e andando contro gli interessi della nazione .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Bonafede. Ne ha facoltà.
ALFONSO BONAFEDE. Grazie Presidente, visto che si vota adesso l'emendamento che mi vede come primo firmatario, intervengo semplicemente per ribadire l'atteggiamento vergognoso e poco rispettoso da parte del Governo. Di fronte ad una richiesta legittima, che è quella di sapere la motivazione di una soglia che oggi appare totalmente ingiustificata e calata dall'alto, in virtù di chissà quali interessi – ma li sappiamo tutti quali interessi, solo che non si possono dire –, continua ad esserci un silenzio che è poco dignitoso per una Repubblica parlamentare . Io chiedo alla maggioranza di smetterla con quest'atteggiamento che ormai sta diventando una prassi, ed è una prassi che un Parlamento non può permettersi.
Se i parlamentari di una forza politica, in questo caso dell'unica forza politica di opposizione, chiedono una motivazione su un intervento così importante, dovrebbe essere il minimo (il minimo !) per un Governo sentire l'esigenza di alzarsi e spiegare a quei parlamentari e ai cittadini che vengono rappresentati da quei parlamentari le motivazioni .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie Presidente. Intervengo per ribadire, a nome del gruppo di Forza Italia, che noi attendiamo spiegazioni dal Governo dal primo momento che abbiamo iniziato l'iter nelle Commissioni. C’è necessità di spiegazione – in che lingua glielo dobbiamo chiedere ? – del perché c’è questa scelta arbitraria degli 8 miliardi di euro.
Lei, Presidente, è garante dello svolgimento e dell'organizzazione dei lavori, ma è garante anche rispetto a una richiesta che le viene quasi dalla totalità delle opposizioni, che le viene quasi dalla totalità del Parlamento. Anche all'interno della maggioranza e del PD, anche nel Nuovo Centrodestra e anche tra gli altri gruppi della maggioranza c’è chi ha presentato emendamenti e ha fatto questa domanda nelle Commissioni. Non c’è stata alcuna risposta e continua a non esserci. Noi, come Parlamento, abbiamo necessità di spiegazione perché questa è una Repubblica parlamentare. La sovranità del Parlamento è stata ribadita dal Presidente Mattarella qui dentro e ancora una volta il Governo è latitante su questa risposta. Noi dobbiamo avere questa risposta .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Grazie Presidente. Credevo che l'onorevole Bonafede ormai si fosse accorto, dopo due anni, che le opposizioni sono alcune, non una. Questo lo teniamo per inciso.
Tutti si chiedono perché gli 8 miliardi di euro. Ce lo chiediamo anche noi perché. È da alcune settimane che ce lo chiediamo. Però io credo francamente che questa domanda abbia anche una risposta, onorevole Palese. Si volevano esattamente queste dieci banche: questa è la risposta.
Il criterio è stato preso e tagliato su misura di dieci banche. Quindi, la domanda dovrebbe essere un'altra. Perché queste dieci e non altre ? Perché si doveva arrivare per forza fino alla popolare dell'Etruria ? Perché si doveva arrivare per forza fino alla popolare di Bari ? Perché si doveva arrivare per forza lì ? Questa dovrebbe essere la domanda. Perché si è evitato in tutti i modi di accettare anche modifiche che ci indicava l'Antitrust, che erano ritenute accettabili dall'opinione pubblica ? Perché ? Perché qualsiasi modifica almeno una l'avrebbe lasciata fuori. E invece dovevano stare dentro tutte e dieci.
E questo è quello a cui il Governo dovrebbe dare risposta. Infatti, adottare una disposizione su basi discrezionali, anziché su basi oggettive, in un Paese democratico e soprattutto in uno Stato di diritto, non si dovrebbe fare. E questo Governo si è preso, invece, la responsabilità, su un sistema delicato come il sistema bancario, su una questione delicata come quella delle società quotate in borsa, di intervenire a piena discrezione, tagliando a destra, tagliando a sinistra e individuando un bersaglio. Perché lo abbia fatto ce lo dovrebbe spiegare. Ha ragione tutta l'opposizione .
MARCO CAUSI, Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCO CAUSI, . Presidente, in qualità di relatore, faccio presenti soltanto tre dati di fatto. Non li commento neanche. Il primo è che nella normativa italiana le banche popolari hanno un regime di distribuzione degli utili esattamente uguale a quello delle banche commerciali, mettono a riserva il 10 per cento e distribuiscono liberamente tutti gli altri utili. Invece, le banche cooperative, quelle veramente cooperative oserei dire, hanno un regime del tutto diverso, perché mettono a riserva il 70 per cento degli utili e poi devono anche contribuire ai loro fondi di mutualità interna. Quindi, questo è il primo punto. La legge italiana storicamente riconosce a questa forma della banca popolare uno scopo di lucro. Quindi, non stiamo parlando di organizzazioni non lucrative.
Il secondo dato di fatto è che i crediti deteriorati di questo comparto bancario erano pari al 3,3 per cento del totale dei crediti all'inizio della crisi, oggi sono arrivati al 13 per cento. I crediti deteriorati delle banche Spa erano pari al 3,5 per cento all'inizio della crisi, oggi sono pari al 9,5 per cento, secondo i dati Mediobanca. Questo evidentemente è un tema che abbiamo sentito – credo tutti i colleghi hanno sentito – nelle audizioni di tutte le autorità di vigilanza (Banca d'Italia, Consob e Antitrust).
Il terzo dato è che, come tutti i colleghi hanno saputo e hanno sentito, la Banca d'Italia porta una giustificazione a quella soglia.
Io ve ne offro un'altra, che è interessante. L'undicesima banca e, cioè, quella che sta sotto la soglia – anche questo è un dato di fatto, perché pubblico –, è una banca che ha deciso, tramite una fusione con un'altra banca più piccola, di salire sopra la soglia e automaticamente di trasformarsi in Spa. Quindi, la soglia si può anche abbassare. Da questo punto di vista, la motivazione è stata portata credo nell'audizione della Banca d'Italia.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Laffranco. Ne ha facoltà.
PIETRO LAFFRANCO. Grazie Presidente, intervengo solo per aggiungere una considerazione. Mi stupisce un po’, pur essendo doveroso da parte nostra come opposizione e anche da parte di coloro che si sono occupati di questo decreto-legge, continuare a porre questa domanda sulla fatidica soglia al Governo. Credo sia un esercizio inutile perché nessuno in quest'Aula si alzerà a dare una risposta perché gli organi deputati a dare risposte non stanno in quest'Aula, ma sono organismi di controllo e di vigilanza di natura inquirente che stanno al di fuori di questo Parlamento. Quello che potrà fare il Parlamento è probabilmente soltanto segnalare la possibilità di andare verso delle indagini conoscitive, se non addirittura verso una Commissione di inchiesta, per fare chiarezza su una vicenda che di lati oscuri ne ha davvero molti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Busin. Ne ha facoltà.
FILIPPO BUSIN. Grazie Presidente, per motivare il voto favorevole e rispondere anche all'intervento dell'onorevole Causi. Vero è che le banche popolari alla fine della crisi si sono trovate nell'attivo una quota di crediti deteriorati superiore alla media degli altri istituti di credito. Ma questa è la medaglia da guardare da due lati. È chiaro che una banca svolge, come dovrebbe la banca popolare, una funzione sociale, quindi di sostegno, soprattutto alle imprese e alle famiglie. Questo è avvenuto perché i numeri lo dicono: nel periodo di crisi dal 2011 fino ad oggi, le banche popolari hanno aumentato i crediti alle imprese, soprattutto piccole e medie, e alle famiglie del 15 per cento, quando tutte le altre banche commerciali li hanno diminuiti e anche le banche cooperative li hanno diminuiti. Cosa vuol dire ? Che, svolgendo una funzione anticiclica, almeno per quanto riguarda l'erogazione del credito, si sono esposte a dei rischi che, giocoforza, sono collegati alla crisi economica che abbiamo vissuto. Quindi, un effetto consequenziale è l'avere dei crediti deteriorati nell'attività. Il lato positivo, che è da sottolineare, è che queste banche in periodi di crisi hanno fatto uno sforzo per sostenere le piccole e medie imprese, per farle arrivare vive in fondo a questa durissima crisi che ci ha coinvolto .
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Bonafede 1.342, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
PIER PAOLO BARETTA, . Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO BARETTA, . Grazie Presidente, ho sentito che molti colleghi deputati e, da ultimo, l'onorevole Palese, ma altri prima, hanno a gran voce chiesto che il Governo risponda alle interrogazioni, ai dubbi e alle domande. Mi corre l'obbligo di precisare che venerdì scorso, in quest'Aula, si è svolta una discussione sulle linee generali, per tutta la mattinata, con interventi di tutti i gruppi, al termine della quale, come è doveroso e nella sede opportuna, il Governo nella mia persona ha risposto, è intervenuto e ha dato le risposte che ha ritenuto di dover dare.
C'erano poche persone, quattro o cinque persone, ma ciò non toglie che l'atteggiamento del Governo sia stato rispettoso dell'Aula, piena o vuota che fosse. Da questo punto di vista, quindi, può darsi e accetterei che si dicesse che quelle risposte non hanno soddisfatto o non sono state compiute perché fa parte del dibattito politico ma, attenzione, non si dica che il Governo non ha risposto perché il Governo ha dato risposte e sono presenti nei resoconti di venerdì. Quella è la sede nella quale il Governo dà le risposte. Questa è la sede diversa: è la sede del voto
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Zaratti. Ne ha facoltà.
FILIBERTO ZARATTI. Grazie Presidente, semplicemente per commentare le parole del Governo in quest'aula che sono veramente stupefacenti come stupefacente è l'applauso che ho sentito accennato dall'Aula. Io credo che sia dovere del Governo partecipare alla discussione in tutta la sua articolazione non soltanto nel dibattito generale ma nella parte che stiamo facendo oggi cioè quella di votare gli emendamenti e di discuterli. Se si necessita di un ulteriore chiarimento e di una presa di posizione del Governo, credo che questo sia un elemento doveroso. Credo che l'arroganza dimostrata dal Governo nelle dichiarazioni che ha fatto testé è veramente da censurare da parte di tutti e se il Governo non ritiene di intervenire, non intervenga. Ma affermare che il Governo ha parlato in seduta di discussione sulle linee generali e che quindi non c’è più necessità di ulteriori delucidazioni e discussioni, veramente credo che non merita la storia di quest'aula. Per questo penso che davvero il Governo dovrebbe essere un po’ più partecipe della discussione e rispondere alle domande, altrimenti dovremmo pensare – lo pensiamo – che il Governo non è in grado di dare le risposte alle domande che poniamo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie Presidente, io ero impegnato nell'inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei conti giù a Bari e onestamente non ero presente ma ho letto i resoconti e il Governo in quella sede ha detto che si può anche non essere d'accordo in ordine alla soglia scelta dallo stesso di 8 miliardi ma, in pratica, non c’è una spiegazione. Noi vorremmo capire perché 8 e non 9 e via seguitando. Avrei potuto pure immaginare – non sarei stato d'accordo ma avrei potuto immaginare – che il Governo dicesse perché dobbiamo rafforzare non so quale sistema di controllo, di valutazione eccetera; tutte, o 30 miliardi o tutte. Oppure non si riesce a capire perché 8 miliardi; perché solo quelle 10, come diceva poco fa il collega Paglia, e ad esempio, se la sollecitazione veniva dalla Banca d'Italia così come qualche collega che mi ha preceduto, se non erro Galli, perché mai non dovrebbe essere anche inserita la CSR dei dipendenti di Banca d'Italia che vanta un attivo di 4 miliardi. Tant’è vero che in maniera provocatoria noi abbiamo presentato un emendamento con cui diciamo che la soglia può essere di 4 miliardi e 459 milioni proprio perché fosse inserita quella che sostanzialmente è la popolare della Banca d'Italia. Vorremmo questo tipo di risposta: perché gli 8 miliardi ? Perché c'era una preparazione, una predisposizione per fare speculazioni ? Non lo sappiamo. Vegas è venuto e ci ha detto molte cose, ci sono delle indagini in corso perché vi sono altri aspetti ancora più inquietanti rispetto ai quali noi riscontriamo addirittura che ci sono anche delle fusioni in corso e quant'altro. Perché il regolatore, che è la Banca d'Italia, dopo che ha predisposto e sollecitato di fare una serie di acquisizioni, adesso passa ad una seconda fase per mettere tutto a tacere e sotto la cenere, tutti i misfatti di Tercas, di Banca Marche, di Carige e delle più disparate banche popolari e quant'altro. Noi come Parlamento vorremmo sapere tutto da questo punto di vista. Dobbiamo aprire un'inchiesta vera e talvolta la politica deve arrivare prima della magistratura e andare oltre. Noi vogliamo sapere dal Governo queste cose perché ci sembra che gli 8 miliardi siano funzionali a qualche disegno che non viene esplicitato. Noi vorremmo sapere queste cose: non come il relatore Causi, persona che io stimo, al quale chiediamo risposte a denari e risponde a coppe tanto per intenderci o, peggio ancora, è il Governo che fa finta di non capire.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Busin. Ne ha facoltà.
FILIPPO BUSIN. Grazie Presidente, intervengo per rispondere e dire che io venerdì ero qui e ho ascoltato le obiezioni e le repliche del Governo, ma una risposta a questo tetto discrezionale di 8 miliardi di euro non l'ho sentita, come non l'hanno sentita neanche i miei colleghi, almeno quelli dell'opposizione. È un tetto completamente arbitrario e aggiungo a ciò che ha già detto l'onorevole Paglia, che condivido completamente, che questo tetto arbitrario ha creato anche una lesione di un diritto costituzionale – ne ha fatto cenno prima l'onorevole Capezzone – previsto dall'articolo 3, l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge che, ovviamente, riguarda anche le società. Il fatto di aver posto un limite, per ricomprendere nell'obbligo di trasformazione in Spa la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e la Banca popolare di Bari, ha creato una grave ingiustizia rispetto a tutte le altre banche che, non avendo problemi né di solidità patrimoniale, né di gestione delle secondo le storture del capitalismo di relazione, variamente citato dal Governo, sono state ricomprese in questa mannaia che le costringe a diventare delle Spa.
Concludo, dicendo che le Spa, verso cui si vogliono costringere le dieci maggiori banche popolari italiane, non sono esenti dai difetti propri del capitalismo di relazione; abbiamo esempi anche recenti di prestiti elargiti con troppa facilità a imprenditori noti alle cronache, senza fare nomi. Voglio ricordare anche le storture note in generale nella gestione degli istituti di credito e delle Spa in generale; ricordo le scatole cinesi con le quali viene violato palesemente il principio della rappresentanza e della proporzionalità degli azionisti, le partecipazioni incrociate, per sottacere poi del potere esercitato in modo spropositato da certi manager, da una certa classe dirigenziale di alcune banche, pur costituite in Spa, che fanno carta straccia e, anzi, ostacolano in molti casi i diritti dei legittimi proprietari delle azioni, frapponendo loro vari ostacoli che ledono e vanno contro il principio della proporzionalità della rappresentatività del capitale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Di Battista. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DI BATTISTA. Grazie, Presidente, è curioso, tutti si domandano perché questi dieci banche. Perché sono banche di amici degli amici, lo avete sempre fatto, da quando Fassino urlava: abbiamo una banca ! Urlava Fassino. Adesso magari hanno messo le mani su qualche altra banca, fino a 10, i soliti amici degli amici, la banca Etruria... ma in che Paese siamo, dove il padre del Ministro per i rapporti con il Parlamento è il vicepresidente di una di queste banche, che avranno un favore, hanno già avuto un favore importante, il Ministro è piccolo azionista e l'altro fratello è dipendente ?
Ma che razza di Paese è questo ? Se l'avesse fatta Berlusconi una manovra del genere avreste occupato le Commissioni ecco, placali, Rosato, placali; vergognatevi ! Tutto per mantenere un posto di lavoro, una poltrona a 14 mila euro al mese, ingoiate tutte queste schifezze !
PRESIDENTE. Onorevole Di Battista, si rivolga alla Presidenza.
ALESSANDRO DI BATTISTA. Ingoiate roba che neanche in Forza Italia hanno ingoiato ! Paradossalmente hanno avuto più dignità loro, non difendevano le porcate con le supercazzole vostre. Siete una vergogna, difendete gli interessi delle banche, solo per quel posto di lavoro. Non avete un briciolo di coscienza . Pensate se un Ministro di Berlusconi avesse fatto questo. Che avrebbero fatto Ezio Mauro, Scalfari, che avrebbero fatto ? Circondato il Parlamento ? Tutti zitti perché lo fa la sinistra e la sinistra si sente ontologicamente superiore agli altri cittadini .
PRESIDENTE. Colleghi, lasciate concludere...
ALESSANDRO DI BATTISTA. Questa è la verità !
PRESIDENTE. Onorevole Di Battista, si rivolga alla Presidenza.
ALESSANDRO DI BATTISTA. Siete vergognosi e, quando vi scaldate, dimostrate che abbiamo ragione ...
PRESIDENTE. Onorevole Di Battista, si rivolga alla Presidenza.
ALESSANDRO DI BATTISTA. ... e abbiamo il coraggio di farvi queste denunce. Siete vergognosi !
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bonafede. Ne ha facoltà, per un minuto.
ALFONSO BONAFEDE. Grazie Presidente, sui lavori che sono stati fatti nelle Commissioni hanno già parlato gli altri colleghi. Io mi chiedo in quale Paese un Governo arriva a un livello di arroganza tale che un sottosegretario si alza e dice: io non devo motivare niente, perché l'ho già motivato in Commissione. Ma dove credete di essere ?
Posso capire che siete abituati che, nelle vostre sedute, si presenti il capo e dica che oggi si fa così...
PRESIDENTE. Onorevole Bonafede, si rivolga alla Presidenza.
ALFONSO BONAFEDE. Questa non è una «para-seduta» del PD, ma è il Parlamento italiano e il sottosegretario è tenuto al rispetto del Parlamento italiano ! E allora o si alza e motiva oppure sta seduto e in silenzio
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Busin 1.260, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole del relatore di minoranza della Lega Nord e sul quale il relatore di minoranza del Movimento 5 Stelle si rimette all'Assemblea.
Dichiaro aperta la votazione.
MARA MUCCI. Signor Presidente, con l'emendamento Barbanti 1.14 proponiamo di limitare il numero dei soci della banca popolare a non oltre 100 mila, per superare il problema che è stato sollevato e per il quale nel decreto-legge si è posta questa soluzione, ovvero la trasformazione in società per azioni delle banche popolari che hanno un bilancio superiore agli otto miliardi di euro. Si poneva, infatti, il problema della farraginosità della che, a nostro avviso, non dipende dal bilancio delle banche popolari, ma piuttosto dal numero dei soci. Con l'emendamento Barbanti 1.14 intendiamo porre l'attenzione su un altro problema e proporre una soluzione per il problema posto, anche per evitare che si debba intervenire con un blocco di erogazione del credito, perché queste banche temono di superare il limite degli otto miliardi di euro e, quindi, diventare automaticamente SpA.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Barbanti 1.14, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole del relatore di minoranza della Lega Nord, sul quale il relatore di minoranza del Movimento 5 Stelle si rimette all'Assemblea.
Dichiaro aperta la votazione.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. Presidente, adesso inizia una serie di emendamenti che puntano a rivedere il comma 2-, cioè gli 8 miliardi di euro. Vorrei motivare, spiegare questo emendamento e dire perché utilizziamo il cioè il tasso di copertura con accantonamenti in bilancio. Questo criterio è stato utilizzato proprio dalla Banca d'Italia – che è così cara a molti in quest'Aula – per stabilire che le banche popolari al momento sono fragili. Allora, cosa abbiamo fatto ? Abbiamo rivisto il criterio degli 8 miliardi di euro legandolo al e quindi diciamo: perché questo metodo di valutazione, che è stato utilizzato da Banca d'Italia, non lo utilizziamo anche per la riforma ? Nello specifico, in questo emendamento lo leghiamo a cinque punti percentuali della media del sistema. Volevo anche dire che i dati che sono stati forniti sulle banche di credito cooperativo possono essere smentiti, perché la CGIA di Mestre ci ha dato i seguenti dati: all'inizio del nel 2011, fino alla fine del 2013, le banche popolari hanno aumentato i prestiti alla clientela del 15,4 per cento, mentre le Spa registravano un meno 4,9 per cento, e gli istituti di credito cooperativo un meno 2,2 per cento. Quindi, nel periodo 2008-2014, i nuovi finanziamenti erogati dalle banche popolari alle PMI sono aumentati a 250 miliardi di euro e gli impieghi totali sono aumentati di oltre il 15 per cento, di cui il 10 per cento verso le piccole e medie imprese. Ma sugli 8 miliardi di euro voglio aggiungere un ulteriore domanda al Governo, che secondo noi è ancora senza risposta: come mai le Spa risultano ai vostri occhi, secondo le vostre valutazioni, più sicure, visto che, oltre al Monte dei Paschi di Siena, in Italia, gli scandali riguardano, ad esempio, Banca delle Marche, la Tercas di Teramo e Carige ?
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Presidente, intervengo per dire che anche qui la logica si capisce, ma voteremo contro questi emendamenti. Infatti, mi dispiace ma una domanda ci rimane: le banche popolari dovrebbero rispettare dei criteri di che le Spa non hanno, pena diventare Spa. La solidità patrimoniale vale per tutti gli istituti di credito e, qualora si riscontri una non sufficiente solidità, ci sono altre misure per intervenire, come la ricapitalizzazione obbligatoria e l'intervento di Banca d'Italia. Credo che – almeno per quanto ci riguarda – per questo decreto cerchiamo di attenerci al principio generale che in realtà non ci sia alcuna ragione sostanziale per differenziare le Spa dalle banche popolari, cioè per riconoscere il fatto che le une debbano avere un trattamento diverso dalle altre se non per ciò che già la norma storicamente prevede in termini di voto capitario da un lato e in termini di possibilità di investimento dall'altro.
Questi criteri capisco che vogliano essere migliorativi, rispetto a quelli individuati dal Governo; cioè si dice: se proprio bisogna dimostrare che siano solide, almeno siano solide. Però una Spa se non rispettasse questi criteri che deve fare, sciogliersi ? Il principio di uguaglianza dal mio punto di vista rimane, così come il principio che la legge è uguale per tutti. Quindi voteremo contro questo, e qualora mantenuti tutti quelli che seguono.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbanti. Ne ha facoltà.
SEBASTIANO BARBANTI. Signora Presidente, il collega Paglia è appena intervenuto, ha praticamente rubato quello che era anche il mio pensiero: nel senso che è sempre apprezzabile qualunque criterio che possa superare la famosa soglia degli 8 miliardi di cui ancora non conosciamo la genesi, ma nella fattispecie questo criterio, individuato da questo emendamento, così come alcuni dei successivi che riguardano il vincolo al mantenimento di essere banca popolare, della forma societaria con dei parametri tipici dell'analisi di bilancio, rischia di essere non solo controproducente ma anche pericoloso. Oltre che avere poco senso all'interno di una media che può essere general-generica: come diceva prima il collega Paglia, qui dentro nella media ci sono le grandi banche Spa, ci sono le piccole BCC.
Soprattutto poi possono essere diversi i motivi per cui il può discostarsi. Immaginiamo per esempio una banca neonata: per i primi anni si suppone che abbia un praticamente quasi pari a zero; quindi che deve fare, trasformarsi direttamente in Spa ? Forzare per giunta una banca per il mantenimento di una forma societaria, che è già tipica di per sé e rappresenta in sé e per sé l'operatività stessa della banca, può essere controproducente, perché soprattutto per quanto riguarda il si lega molto con le svalutazioni di bilancio. Quindi stiamo cercando di mettere a repentaglio anche alcuni bilanci delle banche: per rimanere banche popolari devono svalutare più o meno a seconda di questo criterio. Ecco, magari su questo maxiemendamento noi voteremo contro.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Pesco. Ne ha facoltà, per un minuto.
DANIELE PESCO. Signora Presidente, rispondo ai colleghi che hanno eccepito delle criticità in questo emendamento. Secondo noi invece l'emendamento ci sta, ci sta tutto: visto che vengono criticate le banche popolari e vengono criticate per il fatto che non sono abbastanza solide, secondo noi questo criterio, quello del ci dà una mano nel capire se effettivamente... E soprattutto il fatto che venga riferito al sistema, quindi verrebbe confrontata qualsiasi banca popolare con il valore medio del sistema: ci darebbe veramente la prova se una banca è solida o no.
E quindi secondo noi questo sicuramente è un metodo migliore di quello espresso dal Governo con la soglia degli 8 miliardi di attivi. Forse non è il criterio migliore, però sinceramente andrebbe sicuramente più a beneficio di cittadini e aziende rispetto a quello indicato al Governo .
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Villarosa 1.2, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo, e con il parere favorevole del relatore per il gruppo MoVimento 5 Stelle e del relatore per il gruppo Lega Nord Padania.
Dichiaro aperta la votazione.
DANIELE PESCO. Grazie Presidente, anche in questo caso utilizziamo lo stesso parametro del ma chiediamo che questo debba essere pari almeno al 65 per cento degli attivi di ogni banca. Sappiamo che è un limite molto alto, però ci preme comunque supportare questo emendamento in quanto forse spesso ci dimentichiamo il potere che hanno le banche. Le banche hanno quel grandissimo potere di creare la moneta, ma in che modo creano la moneta ? Grazie ad un altro parametro chiamato riserva frazionaria. Ebbene questa riserva frazionaria fino a poco tempo fa era al 2 per cento, adesso è stata passata all'1 per cento. Cosa vuol dire ? Vuol dire che se una banca riceve mille euro può dare in prestito, può erogare fino a 98 mila euro; quindi le banche sono le vere macchine che stampano la moneta, non la stampano direttamente ma la stampano in modo elettronico. Ebbene cosa vuol dire questo ? Che questo potere va assolutamente utilizzato con molta delicatezza, con molta attenzione, con molta, moltissima attenzione però purtroppo questo non è successo in questi anni.
In questi anni c’è stata veramente molta disinvoltura nel concedere credito, per concedere credito magari ai grossi gruppi, magari grossi gruppi che poi sono saltati così per aria e questi soldi non sono più tornati nelle casse della banca e non ci ha rimesso solo la banca, ci rimettono tutti i cittadini perché vuol dire che questo principio della riserva frazionaria molto delicato e molto importante non viene utilizzato a beneficio dei cittadini ma a beneficio solo di qualcuno e qualcuno spesso si comporta in modo sbagliato.
Ebbene, Presidente, questo emendamento magari chiede troppo però è fondamentale che tutti ci ricordiamo il potere bancario che hanno in mano queste istituzioni. Questo potere è un potere molto importante, va usato con molta delicatezza e sopratutto con molta attenzione
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fraccaro 1.521, con il parere contrario delle Commissioni, e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
DANIELE PESCO. Grazie Presidente, spendo anche due parole sull'emendamento precedente, il Villarosa 1.4, in quanto chiedeva solo che gli impieghi delle banche debbano essere utilizzati prevalentemente verso i clienti e non verso l'altro modo che hanno le banche per investire i soldi, verso la speculazione. Quindi è solo un concetto semplice con il quale le banche popolari sarebbero state invitate veramente a fare quello che già fanno ma a farlo meglio, cioè a prestare soldi a famiglie e imprese.
Invece nell'emendamento Dieni 1.8 in pratica viene chiesto che alle banche popolari che gli impieghi siano superiori al 50 per cento dei crediti deteriorati.
Cosa vuol dire ? Che se in una banca, per quanto riguarda i suoi impieghi, più del 50 per cento sono crediti deteriorati, secondo noi è una banca che probabilmente ha delle forti criticità e quindi vuol dire che ha fatto male il suo lavoro. Questo perché ? Perché spesso se i crediti sono deteriorati, non è solo colpa della crisi, purtroppo spesso i crediti deteriorati sono quelli di cui parlavo prima, sono quelli riferiti ai fidi facili, cioè a crediti che vengono elargiti con compiacenza a persone magari amiche della banca, ma sono crediti che con compiacenza vengono divisi, magari tra il personale della banca e la persona che chiede credito, e magari questi soldi poi non tornano più. Quindi questi sono fatti veramente gravi, sono fatti che ultimamente stanno venendo alla luce, per fortuna, vuol dire che c’è la magistratura che sta indagando e vuol dire che forse Banca d'Italia ogni tanto riesce a togliersi le fette di prosciutto dagli occhi. Ebbene, questi fatti sono fatti veramente che minano la sicurezza del nostro sistema bancario. Quindi secondo noi questo potrebbe essere un criterio: i crediti deteriorati non devono essere superiori alla metà del totale degli impieghi.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Dieni 1.8, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo, e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. Signora Presidente, anche in questo emendamento noi andiamo a rivedere il criterio degli 8 miliardi di euro, che continuiamo a dire che riteniamo assolutamente soggettivo; non riusciamo a conoscere da parte dal Governo quale sia stata la motivazione che li ha spinti a fissare questo criterio, perché, come diceva l'onorevole Paglia, grazie a questo criterio rientrano solo dieci banche popolari, quindi ci chiediamo anche perché solo queste dieci. A queste domande, checché ne dica il Governo, noi non abbiamo avuto una risposta. Qui cosa facciamo ? Noi andiamo a modificare il criterio degli 8 miliardi dicendo che l'attivo delle banche popolari con azioni quotate in mercati regolamentati non può superare i 30 miliardi di euro, quindi poniamo due nuove condizioni che peraltro sono le condizioni che le stesse banche che devono recepire, anzi subire, questo decreto-legge ponevano come condizione minima per rendere accettabile questo decreto-legge. Alle due domande di cui ancora non abbiamo risposta, io rinnovo quella per cui questo Governo ritiene la forma della Spa più sicura rispetto a quella della banca popolare, a cui ancora, ripeto, non abbiamo risposta e non ci soddisfa neanche la frase del sottosegretario che dice che questa non è la sede opportuna. Siamo in Parlamento e quindi non vedo qual è la sede migliore per rispondere alle osservazioni che l'opposizione pone al Governo e alla maggioranza.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbanti. Ne ha facoltà.
SEBASTIANO BARBANTI. Signora Presidente, questo emendamento è molto di buonsenso, soprattutto perché non solo esclude tutte le banche popolari non quotate, quindi andiamo a lasciare la libertà di impresa per cui una banca popolare che voglia quotarsi sa che comunque sia, superati i 30 miliardi di euro, deve cambiare ovviamente la forma societaria.
Quindi, questo è assolutamente di buon senso, un po’ a differenza, come dicevamo prima, dei precedenti in uno dei quali non si capisce come mai sia stato mischiato un tasso di copertura, quindi il con un valore assoluto, che è il totale degli attivi, o peggio ancora – e io questo poi non l'ho capito dal collega Pesco – limitare il totale dei crediti verso clienti al 65 per cento del totale attivi. Forse era il contrario: doveva essere almeno il 65 per cento del totale attivo, perché se così non fosse si sta limitando l'erogazione del credito sul territorio e, quindi, si sarebbe ottenuto un risultato che era esattamente il contrario di quello che forse l'emendamento e i proponenti volevano raggiungere.
Tornando all'emendamento Ciprini 1.352, preannunzio che su questo emendamento assolutamente e convintamente voteremo a favore.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Ciprini 1.352, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
DANIELE PESCO. Presidente, questo è veramente un emendamento che potrebbe limitare un po’ i danni, nel senso che visto che tra le banche popolari, tra le dieci scelte, ve ne sono alcune già quotate e alcune no, potrebbe essere una soluzione quella di mandare sul mercato quelle già quotate, fare diventare SpA quelle che già sul mercato ci sono, ossia quelle quotate. Quindi, si potrebbe veramente cercare di limitare i danni, aspettare e trovare delle soluzioni migliori magari per le altre.
Questa ci sembra un'operazione di buon senso. Non ci sembra un'operazione meno a gamba tesa di quella che ha fatto il Governo e potrebbe essere veramente ben voluta anche dai soci delle banche popolari, dai cittadini soci delle banche popolari di cui stiamo parlando e cioè, ripeto, quella di fare diventare delle SpA solamente le banche che hanno già dimostrato la propensione di andare sul mercato, ossia quelle quotate.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Chimienti 1.351, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
GIOVANNI PAGLIA. Grazie, Presidente. Nei giorni che ancora precedevano la pubblicazione del decreto-legge, in quei giorni in cui la Borsa italiana si divertiva a vedere andare in ottovolante le azioni di alcune di queste banche – poi dirà la Consob o lo diranno gli atti di due procure cosa sia successo in quei giorni e se ci siano stati o altri tipi di reato finanziario – in quei giorni dunque, quando appunto già si cominciava a intuire o a dire o a leggere che quello degli 8 miliardi potesse essere il criterio attraverso cui si andava a «fare la pesca», cioè si andava a individuare chi fosse dentro e chi fosse fuori, io, discutendone qui dentro e fuori, trovai immediatamente più logico e pensai, se si doveva individuare un criterio che dividesse le grandi banche popolari che ipoteticamente stavano tradendo il mandato originario rispetto alle banche popolari di più ridotte dimensioni, che la prima reazione era quella di dire che al posto degli 8 miliardi, che è un criterio privo di qualsiasi logica, si poteva pensare, piuttosto, a individuare quelle che sono quotate nei mercati regolamentari.
Perché questo ? Per almeno due ragioni: la prima è che evidentemente è difficile sostenere che comunque ci sia un qualche nesso fra il voto capitario e il fatto di essere contemporaneamente quotate in una Borsa valori; ma la seconda, molto più importante, aveva a che fare con la ragione che io credo che un'assemblea degli azionisti che decida di quotarsi ha un elemento soggettivo di scelta, cioè sa che, nel momento in cui si quota, rinuncia anche al voto capitario, rinuncia alla tradizionale, ma può scegliere di non farlo, mentre gli 8 miliardi sono un criterio potenzialmente molto aleatorio. Chiedo ai colleghi della Lega se possono andare a discutere altrove.
PRESIDENTE. Colleghi della Lega, scusate, io vi devo chiedere almeno di abbassare un po’ il volume, per rispetto nei confronti del collega che sta parlando.
GIOVANNI PAGLIA. Non per rispetto.
PRESIDENTE. Sì anche, diciamo, per rispetto dell'Aula.
GIOVANNI PAGLIA. Semplicemente per disinteresse nei confronti di quello che stanno dicendo, almeno da parte mia. Dicevo che gli 8 miliardi sono un criterio in cui chiunque può incappare; persino l'inflazione, prima o poi, farà sì che tutte queste banche finiscano all'interno degli 8 miliardi di attivo. Con l'inflazione attuale forse ci vorrà un po’ di tempo. Arrivavamo, quindi, a questo emendamento, che propone di individuare un criterio doppio, cioè chi abbia azioni quotate in proprio o abbia addirittura all'interno di un gruppo bancario la presenza, laddove ci siano eventualmente banche popolari, ma anche banche Spa, di Spa quotate. Ci sembrava un criterio assolutamente razionale, oggettivo, utilizzabile. Ci ha fatto molto piacere che, quando è venuta in audizione l'Antitrust, nella sua memoria ci abbia lasciato detto esattamente questo, cioè proponeva di fare un'unica modifica al decreto, così come è scritto dal Governo, cioè di sostituire il criterio degli 8 miliardi con il criterio della quotazione in Borsa. Noi riteniamo che tuttora, se questo Parlamento volesse fare un intervento, che io probabilmente non condividerei ugualmente, ma che sul piano della forma e della sostanza avrebbe invece una ragione di riforma sistemica molto più forte, dovrebbe appunto approvare questo emendamento o anche quelli che seguono, che sostanzialmente sono analoghi. Se non lo farà, io credo che sia perché prevale, da un lato, un elemento di ideologismo, dall'altro, sicuramente una forte sudditanza alle direttive governative, che rendono impossibile a questo Parlamento qualsiasi tipo di intervento. Per altro verso, evidentemente non si farà nulla per fugare tutti quei dubbi, che l'Aula ha già espresso più volte, sul perché si sia scelto un criterio che ha evidentemente un valore tutto soggettivo e per nulla, diciamo, invece, oggettivo, fondato su ragioni logiche
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Paglia 1.37, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
PAOLO TANCREDI. Grazie, Presidente. Intervengo su questo emendamento perché più parlamentari del mio gruppo, sia in Commissione che in Aula, poi ritirando, evidentemente, tutti gli emendamenti, hanno firmato emendamenti simili. Si tratta, volendolo riassumere brevemente, della modifica della soglia imposta dal decreto, portandola a 30 miliardi di euro per le banche non quotate e lasciandola, comunque, a 8 miliardi per le banche quotate, su considerazioni che sono state fatte in quest'Aula da più parti e con visioni diverse, a mio avviso, un po’ troppo manichee.
Naturalmente, quello che sto dicendo non compromette il mio voto a favore dell'articolo – ho apprezzato molte considerazioni fatte dal collega Buttiglione, ma non arriverò a non votare l'articolo e ho votato contro l'emendamento soppressivo – però voglio soffermarmi un attimo in Aula, perché rimanga a verbale, sulla questione della soglia. Presidente, l'innalzamento della soglia non è il desiderio di voler escludere, in particolare, uno o un altro istituto di credito dalla necessaria riforma e cambiamento della struttura e della delle banche popolari.
Nasce dalla considerazione che la soglia di 8 miliardi di euro è una soglia penalizzante anche sul futuro e sullo sviluppo degli istituti di credito-banche popolari, molti dei quali si trovano poco al di sotto di quella soglia e sono istituti che rispondono maggiormente a una logica territoriale. Infatti, in realtà, si dovrebbero contestare molte delle asserzioni che si fanno qui e che si danno per vere.
Non è vero, per esempio, che un problema sia la dimensione della banca popolare o di credito cooperativo. Esistono all'interno dell'Unione europea, all'interno dell'area euro, molti Paesi in cui la fetta di mercato del credito cooperativo e delle banche popolari è enorme, esistono realtà nate come credito cooperativo. Faccio l'esempio che fanno tutti in questi anni: Desjardins in Canada, che è una banca enorme, una delle più grandi del Nord America, e che ha una struttura popolare o che risponde a criteri cooperativistici.
Dopodiché, intervengo per smentire alcune affermazioni che sono state fatte. Non può essere che passi l'idea che il credito cooperativo e le banche popolari – il sistema cooperativistico, direi, perché poi, come sappiamo, le banche popolari si sono distinte dal credito cooperativo – siano fonte soltanto di credito ammalorato, di politiche fatte per altri interessi, meglio che vada politici, peggio che vada, addirittura, affaristici o loschi, mentre, dall'altra parte, vi è il capitalismo bancario italiano che è liberista ed è l'esempio del liberalismo più sfrenato. Così come contesto la raffigurazione un po’ favolistica delle banche di territorio, che aiutano i piccoli artigiani, e invece il grande sistema del credito fa soltanto speculazione.
Così non può essere, la realtà come al solito sta nel mezzo e non si può parlare di credito cooperativo e di banche popolari. Parlo di credito cooperativo perché non riguarda questo provvedimento, ma non è detto che, aprendo una breccia, non si vada poi avanti. Non è possibile dire che le banche popolari e il credito cooperativo, per il loro sistema di non rispondono al mercato. Non è così, le banche popolari sono incastonate fortemente nel mercato ! Così come è una falsità pensare che non rispondano alla vigilanza. La vigilanza ha forte potere sul sistema delle banche popolari e del credito cooperativo e l'esempio ne sono i numerosi commissariamenti ed i numerosi accorpamenti pilotati. Quindi, da questo punto di vista, non è vero. Ma un'affermazione che a me preoccupa e che io contesto è che con questa misura non si riduce la potenzialità del credito a breve e a medio termine. È per forza così ! Infatti, seppure le banche popolari hanno perso la loro caratteristica mutualistica, essa è insita nel loro sistema di . Il limite dei voti in assemblea, del voto capitario e della partecipazione, limitano la possibilità per una banca popolare di accedere agli strumenti, che invece sono normali, anzi obbligati, per le società per azioni, che devono...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Tancredi.
PAOLO TANCREDI. Sto per concludere, Presidente, mi dia un minuto. Intervengo per il gruppo solo su questo emendamento, poi non interveniamo...
PRESIDENTE. Ha già superato i cinque minuti, però va bene, concluda.
PAOLO TANCREDI. Grazie, Presidente. Le Spa sono giustamente portate a fare speculazione su mercati diversi da quello del credito. Devono fare devono fare reddito ! È chiaro che la trasformazione in Spa di questi istituti li sbilancerà verso investimenti più redditizi e meno verso il credito ! Le banche popolari e il credito cooperativo sono per forza orientati a stare sul credito, perché è la loro unica stessa ragione di esistenza. Quindi, che questo decreto-legge non penalizzerà un po’ il credito è un fatto che non si può sostenere, almeno nel medio periodo. Da questo punto di vista, credo opportuna la posizione di un limite di 30 miliardi, che è il limite della vigilanza europea.
Poi vi è anche il fatto delle quotate. Io sono d'accordo con quello che ha detto Mazziotti Di Celso al cento per cento: non può essere che una società quotata abbia regole diverse da quelle delle altre Spa. Ebbene questo, secondo me, avrebbe reso il presente decreto più equilibrato, sia per le banche coinvolte, sia per tutto il sistema, che in questo momento non è coinvolto, ma verrebbe orientato da un tetto che abbiamo posto
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Laffranco, se ho capito. Prego, onorevole Laffranco.
PIETRO LAFFRANCO. Visto che lei insiste...
PRESIDENTE. No, non insistevo, però ne ha facoltà.
PIETRO LAFFRANCO. Presidente, come posso sottrarmi dal provare a dire due cose su quest'emendamento che assieme al collega Palese abbiamo presentato ? Siamo ovviamente, Presidente, nell'ambito e nel cuore di questa, chiamiamola, riforma. È infatti uno dei tanti provvedimenti del Governo che dimostrano come ci sia una sorta di ossessione da parte del Presidente Renzi per le riforme della . Ha riformato quella del Partito Democratico, poi quella del Governo, ora quella della Rai e non poteva che esserci una riforma della delle banche popolari. Ma, soprattutto, credo che, prima di entrare nel merito stretto dell'emendamento, dovremmo porci un quesito. Mi dispiace che in qualche modo sia un'altra delle risposte inevase da parte del Governo. Ma questa pseudo riforma è una riforma che è nelle condizioni di venire incontro a quello che è uno dei problemi più grandi che l'economia italiana ha e cioè l'erogazione del credito o no ? Perché, insomma, fare la riforma della delle banche popolari e mettere la soglia a 8, a 12, a 15 o a 50 è importante e interessante, ma credo che la domanda che sta a cuore a famiglie e ad imprese italiane sia se il provvedimento di cui sta discutendo il Governo e soprattutto di cui sta lungamente dibattendo questo Parlamento sia nelle condizioni di migliorare l'erogazione del credito, già piuttosto congelato dalla lunga crisi economica, oppure no.
Detto questo e detto, dunque, che la nostra è una risposta – ahinoi ! – negativa, perché, come prima correttamente spiegava il collega Tancredi, dal suo punto di vista, le banche popolari, così come le banche di credito cooperativo, per la loro essenza di banche di territorio e di prossimità, sono quelle che sono più in grado di aiutare il vero tessuto nevralgico della nostra economia, cioè quello delle piccole e medie imprese, noi riteniamo che questa sia innanzitutto una pseudo riforma, cioè una riforma non utile al Paese e al suo tessuto economico.
La vicenda di cui stiamo parlando in questo momento, cioè l'emendamento che con il collega Palese abbiamo presentato, è relativa a ciò di cui molti hanno già discettato, cioè la vicenda della famosa soglia, ovvero la soglia dimensionale che definisce quali sono le banche popolari oggetto di questa pseudo riforma. Io già prima ho avuto modo di intervenire, spiegando, sia pure molto brevemente, ciò che proverò a dire ora con qualche attimo in più.
Questa famosa soglia dimensionale degli 8 miliardi di euro – colleghi, se c’è chi è in grado di smentirmi sono lietissimo di ammettere il mio errore – non trova riscontro in alcuna normativa, primaria, secondaria, nazionale, internazionale. È un'autentica originalità, se così vogliamo dire. Infatti, c’è chi ha fatto riferimento correttamente – e anche nel nostro emendamento in qualche misura e in una serie di emendamenti che abbiamo presentato – alla soglia dei 30 miliardi di euro, perché è la soglia di attenzionamento, di vigilanza da parte della Banca centrale europea. Ci sono rapporti importanti in sede europea che parlano, invece, di 20 miliardi di euro come della dimensione di massima efficienza, che potrebbe quindi rappresentare un parametro di riferimento.
Nessuno ci ha spiegato perché questa soglia dimensionale fa riferimento al cosiddetto attivo e non ad altri parametri, che avrebbero potuto essere la patrimonializzazione, la patrimonializzazione al netto degli ammortamenti, l'utile, l'utile netto. Non ci è stata data alcuna spiegazione, anche perché io ritengo, colleghi, che le spiegazioni non ci siano in questa sede e in questo momento. Ma ci dovranno essere successivamente nell'ambito di una serie di strumenti che dovranno essere attivati e che io comunque, con alcuni colleghi, mi propongo di attivare o di proporre di attivare, che si tratti – concludo, Presidente – di indagini conoscitive o, più propriamente, addirittura di Commissioni di inchiesta, se altri organi esterni a questo Parlamento non agiranno, perché non esiste nessuna risposta razionale e coerente neppure con gli stessi obiettivi della riforma. È un errore assolutamente voluto, ma altrettanto grave. Ecco perché io mi auguro – e concludo davvero, Presidente – che quest'Aula, nonostante si sia dimostrata in buona parte sorda a proposte di buon senso e ragionevoli, almeno in questa situazione dimostri un sussulto di dignità.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Laffranco 1.73, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
DANIELE PESCO. Grazie Presidente. In pratica che cosa andiamo a chiedere ? Che la soglia non sia pari a 8 miliardi di euro, bensì a 100 miliardi di euro. Quindi, chiediamo che diventino delle Spa solo le banche popolari che hanno gli attivi pari o superiori a 100 miliardi di euro. Questo sarebbe un gran vantaggio per tutto il PD perché, comunque, andremmo a fugare tutti i dubbi che ci sono su questa misura. Quali dubbi ? Ad esempio, il fatto che la banca più vicina alla soglia degli 8 miliardi di euro sia proprio Banca Etruria; riguardanti il fatto che, proprio due parenti molto stretti di un Ministro di questo Governo, lavoravano in Banca Etruria; oppure il fatto che un finanziere molto vicino a Renzi, che ha anche finanziato la campagna elettorale del Premier un po’ di anni addietro, ha investito parecchi soldi proprio su Banca Etruria. Un anno fa, certo, però ha investito parecchi soldi. Si dice spesso che tre indizi fanno una prova. Qui di indizi ne abbiamo veramente tanti. Colleghi del PD, veramente, questo emendamento potrebbe fugare ogni dubbio, potrebbe mettervi al riparo. Votatelo, quindi, ve lo consiglio .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Busin. Ne ha facoltà.
FILIPPO BUSIN. Grazie Presidente. Intervengo su questi emendamenti che sono tutti simili e cercano di trovare una soglia che abbia qualche giustificazione razionale e che non sia puramente arbitraria come quella proposta dal Governo degli 8 miliardi di euro. Ad esempio, quella dei 30 miliardi di euro ha un senso perché è la soglia oltre la quale la BCE prevede una vigilanza di tipo preventivo per banche di una certa taglia, il cui dissesto potrebbe provocare delle conseguenze gravi e non rimediabili sul sistema creditizio e sull'economia in generale.
E, approfittando di questi emendamenti, sottolineo ancora una volta la superficialità con cui si è predisposto questo decreto-legge, senza prevedere in alcun modo gli effetti che si avranno sull'intero sistema economico del nostro Paese. Voglio citare, ad esempio, quelli occupazionali. È stata stimata in 20 mila unità la perdita di posti di lavoro da parte di Assopopolari, conseguenza diretta di questo decreto-legge. E, guardate, è una stima credo prudenziale e gli effetti non sono affatto remoti, ma sono immediati. Io penso al mio territorio dove due banche hanno già deciso di trasformarsi in Spa entro giugno e di fondersi probabilmente e sono completamente sovrapposte dal punto di vista degli sportelli territoriali. E questo vorrà dire una cifra vicina al dimezzamento dell'organico che fa capo a queste due grandi banche popolari venete.
Ovviamente, un altro effetto che non viene calcolato è quello sui risparmiatori, sui diritti lesi di chi era diventato azionista di una popolare e adesso si trova azionista di una Spa, senza essere stato interpellato, senza avere la possibilità neanche di recedere o di dire la sua, ma semplicemente si trova socio di una società che non aveva scelto lui direttamente.
E, cosa più generale e più grave di tutte, si separa la ricchezza accumulata e prodotta dai territori che l'hanno generata. Questo è grave, questo è irrimediabile, si può prefigurare come un furto della ricchezza che viene tolta in modo irrimediabile dal potere diretto di chi l'ha generata e che avrebbe tutto il diritto di gestirla direttamente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie Presidente, torniamo sempre sul luogo del delitto, cioè quello delle soglie. Noi riteniamo e ribadiamo che questo sia uno dei motivi principali che induce il mio gruppo a criticare e a votare violentemente contro questa riforma.
Noi riteniamo che l'aspetto più inquietante della riforma sia questo e non viene spiegato. Non viene spiegato al Parlamento, non viene spiegato dal Governo, non viene spiegato da nessuno...
PRESIDENTE. Onorevole Capodicasa...
ROCCO PALESE. ... avremmo compreso l'adeguamento all'Europa e al Fondo monetario internazionale e quant'altro sui 30 miliardi oppure niente, nessuna soglia, tutte dentro. Ma prendo la parola e non la riprenderò per l'emendamento 1.508, a mia prima firma, faccio un unico intervento, perché gli aspetti che non convincono nessuno e che sono emersi anche sulla stampa a più riprese sono i seguenti. Era stato presentato un decreto-legge che, per quanto riportato da indiscrezioni sulla stampa, ma nessuno ha smentito, il Presidente Napolitano si era rifiutato di firmare. Questa è una notizia che è uscita sulla stampa, e non è stata smentita da nessuno. Il facente funzione e Presidente del Senato, per quanto dal mio presidente di gruppo e da altri fosse stato anche sollecitato ad evitare ciò che era stato annunciato con la firma di questo decreto-legge, ha ritenuto nelle sue funzioni di dover firmare questo decreto-legge e dare corso ad esso ed è questa la prima situazione inquietante. La seconda situazione inquietante è l'audizione in via ufficiale del presidente Consob. La terza è il commissariamento della Banca Etruria. La quarta, ancora più inquietante di questa, è la situazione dell'inchiesta della magistratura. Ma noi a chi dovremmo chiedere notizie rispetto a questi aspetti ? La Banca d'Italia tace. Dovremmo chiederle a persone estranee al Parlamento per quello che emerge sulla stampa ma anche in questo caso non smentisce nessuno. Si parla di Guerra, si parla di Serra: dobbiamo chiedere a questi come parlamentari del perché 8 miliardi e non 30, del perché si va a 30 miliardi oppure nessun tetto e quant'altro ? C’è poi questa chicca perché, in maniera provocatoria, ho proposto l'emendamento 1.508 che è riferito esclusivamente e in maniera mirata ad una scelta che tutti dovremmo avallare compresa la Banca d'Italia. Perché la Banca d'Italia per la propria popolare, che ha un attivo di 4 miliardi e 460 milioni di euro, non ha scelto questo limite, quello che noi proponiamo con l'emendamento, 4 miliardi e 459 milioni di euro, così poi anch'essa si può mettere nel contesto di questo panorama e di questo tipo di riforma e nessuno avrebbe da dire ? Questi sono gli elementi più critici e più discutibili di questa riforma su cui noi continuiamo a non avere risposte; il Parlamento non ha risposta e da parte di tutti continuiamo a proporre esclusivamente degli elementi e degli emendamenti che riguardano questi aspetti e questi punti. Non mi sembra che tutto ciò che è stato proposto sia da rigettare come sta facendo il Governo e la maggioranza senza alcuna possibilità di avere ascolto, di avere anche qualche formulazione che poteva essere sicuramente determinata in riferimento alle proposte, a quelli che sono i dubbi. Penso che, non accettando queste proposte, si arrechi un danno ai cittadini, un danno ai risparmiatori perché nessuno sa come evolverà veramente la situazione. Una cosa è certa: queste banche erano funzionali al territorio, erano funzionali per la situazione del credito e, secondo me, invece, la situazione purtroppo peggiorerà.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Molto brevemente, al di là di tutte le altre considerazioni, almeno gli emendamenti tra cui il mio, che puntano a fissare a 30 e non ad 8 miliardi il limite degli attivi, andrebbero prese in considerazione per un'unica ragione, cioè che perlomeno si fondano su un criterio che esiste.
Altrove, in questo mondo, esiste, è il criterio che la Banca Centrale Europea si è data per individuare le banche che abbiano una rilevanza sistemica e quindi sulle quali esercitare... Vicepresidente Giachetti, grazie...
PRESIDENTE. Collega Giachetti...
GIOVANNI PAGLIA. Come stavo dicendo, almeno è un criterio che ha un qualche valore almeno a livello europeo. Tra 30 miliardi di euro e 8 miliardi di euro cosa ci passa ? Ci passa la differenza tra coinvolgere sette istituti o coinvolgerne dieci. Per cui, ci si poteva allineare, come spesso fa questo Paese, anche acriticamente, a quelle che sono le indicazioni europee e, in questo caso, molto del dibattito di oggi non ci sarebbe stato, ma tre di quegli istituti sarebbero rimasti fuori dalla riforma, oppure inventarsi questa soglia degli 8 miliardi di euro e arrivare ai dieci e torniamo sempre al punto di partenza ampiamente dibattuto in quest'Aula: il perché di un criterio che nessuno capisce, di cui nessuno è messo a parte, ma che rimane piantato come un macigno sulla strada che questo decreto-legge farà da qui alla fine della sua approvazione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Piepoli. Ne ha facoltà.
GAETANO PIEPOLI. Grazie, Presidente, io credo che il tema meriti oggettivamente una riflessione, perché è chiaro che l'adozione di criteri di carattere matematico-quantitativo sono necessariamente, in un certo qual modo, arbitrari, però rientrano nella discrezionalità etico-politica del legislatore, se correttamente fondati e, quindi, non irrazionali. In un certo qual modo, questo sicuramente non può definirsi un criterio irrazionale e, quindi, non fondato, dal punto di vista della discrezionalità etico-politica del legislatore. Il problema è che, siccome questo decreto-legge, noi lo facciamo per migliorare la possibilità del sostegno allo sviluppo del sistema Paese, non possiamo nemmeno ignorare che noi non l'abbiamo nemmeno scelto al buio e, quindi, sappiamo bene qual è il complesso degli istituti, banche popolari, compreso.
Mi permetto di spezzare una lancia sulla inevitabile necessità di verificare altri aspetti e altri parametri che sono quelli, non solo dell'astratto radicamento territoriale l'essere, invece, un gruppo che ha un suo mercato che va al di là del radicamento territoriale in un certo contesto, quanto piuttosto del fatto che, per il Mezzogiorno, esiste un profilo obiettivo di specialità che non richiede certamente un'esenzione dalle preoccupazioni che il legislatore ha con questo decreto-legge, ma che, però, nello stesso tempo, deve essere valutato correttamente. Perché infilare il territorio meridionale dentro un profilo di mercato che spersonalizza sino in fondo l'ombrello protettivo delle imprese – e questo lo dico in particolare per la Banca popolare di Bari e per le altre eventuali iniziative del Mezzogiorno – secondo me rischia di penalizzare, di non avere i frutti di questo decreto-legge, ma di pagarne semplicemente i prezzi.
PRESIDENTE. Passiamo, quindi, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Colletti 1.354, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e con il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
ROCCO PALESE. Presidente, ho chiesto la parola per l'ennesimo intervento sulla situazione delle soglie. Questo emendamento aveva un presupposto sulle soglie, nel senso che la Banca d'Italia era intervenuta nel 2014 a sollecitare acquisizioni e dopo le acquisizioni sono avvenute. Mi riferisco all'acquisizione della Banca popolare di Bari e Tercas – per la quale la magistratura sta facendo ciò che deve essere fatto e che ci auguriamo che vengano presi i responsabili fino in fondo –, che è avvenuta di fatto nel novembre del 2014. L'emendamento mira ad innalzare la soglia e immaginavo che il Governo potesse accettare anche una riformulazione che fosse nella disponibilità di allungare la parte temporale, cioè invece che 18 mesi un anno in più, visto che non solo dal punto di vista contabile c’è un forte impatto di impegno ma anche dal punto di vista organizzativo, rispetto alla situazione di questa acquisizione. Il Governo, anche in questo caso, ha espresso un parere contrario insieme alla maggioranza, e questa è una responsabilità grave ! Ho preso la parola perché ciò rimanga agli atti, con la speranza che questo tipo di intervento non complichi ulteriormente una situazione che era già complicata e che invece stava cercando di essere messa a posto dalla Banca popolare di Bari.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Presidente, intervengo solo per dare pieno sostegno a questo emendamento dell'onorevole Palese. Questo è un Paese dove può capitare che ad una banca venga chiesto di acquisirne un'altra in grande sofferenza perché, per ragioni sistemiche, si ritiene che una banca non debba fallire, per esempio. Questo è giusto, è un principio condivisibile. Ciò che non è condivisibile è che poi possa capitare – adesso, ma potrebbe succedere anche in futuro – che, in virtù di un'acquisizione, una banca popolare si ritrovi a superare gli 8 miliardi di euro di attivi e, quindi, per aver ottemperato a quello che le viene posto quasi come un dovere nazionale a tutela della salubrità del credito in questo Paese, come ricompensa di questo intervento, si deve trasformare in una società per azioni. Cioè, quelle assemblee a cui viene chiesto di dare il via libera a fusioni, perché altrimenti potrebbero esserci rischi sistemici negativi, sono le stesse assemblee che un minuto dopo si ritrovano a dover votare la trasformazione in Spa. Se anche questo sembra normale alla Camera, sotto molto aspetti mi preoccupo della capacità di capire; non me ne farò una ragione e andremo avanti a sostenere le nostre ragioni.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Palese 1.323, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo e il parere favorevole dei relatori di minoranza.
Dichiaro aperta la votazione.
MARIA VALENTINA VEZZALI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARIA VALENTINA VEZZALI. Signora Presidente, colleghi, è notizia che ha fatto il giro del mondo, e in questa sede vorrei esprimere il mio sgomento per quanto accaduto nei cieli fra Cile e Argentina, dove hanno perso la vita dieci persone, tra cui tre...
PRESIDENTE. Colleghi, un po’ di silenzio per favore.
MARIA VALENTINA VEZZALI....colleghi olimpici francesi: l'ex velista Florence Arthaud, la giovane nuotatrice Camille Muffat e il pugile Alexis Vastine. Il mondo sportivo perde tre grandi atleti che hanno portato in alto nel mondo i colori della loro nazione. Il mio cordoglio va ai familiari delle dieci vittime e alla Francia intera .
PRESIDENTE. Onorevole Vezzali, credo che tutta l'Aula e la Presidenza si associno a questo suo intervento.
GIUSEPPE BRESCIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE BRESCIA. Presidente, solo per ricordare a quest'Aula che il 27 novembre dell'anno scorso questa stessa Aula ha votato per una Commissione di inchiesta sui CARA e sui CIE. Evidentemente nessuno più se lo ricorda, soltanto noi e credo forse anche la Lega abbiamo dato i nominativi per i deputati che devono prendere parte a questa Commissione, mi sembra poco serio da parte della Camera dei deputati che si faccia finta di dimenticare che si debba avviare questa Commissione e qui faccio un appello tramite lei alla Presidente della Camera affinché solleciti tutti i gruppi parlamentari a dare questi nominativi, perché mi viene il dubbio che forse non si vogliono far partire i lavori di questa Commissione per nascondere chissà quali altre magagne a mo’ di mafia capitale. Quindi speriamo che non sia così e che questi lavori possano partire il prima possibile .
DONATELLA AGOSTINELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DONATELLA AGOSTINELLI. Presidente, il 27 febbraio la proprietà del gruppo Prysmian, leader mondiale nella produzione di cavi elettrici, ha annunciato la volontà di chiudere lo stabilimento con sede in Ascoli Piceno, nelle Marche, lasciando a casa 120 lavoratori in un territorio già duramente provato da quella che possiamo chiamare una vera e propria desertificazione industriale. Questa storia ha dell'incredibile, dell'assurdo: come se non bastasse lo spettro della crisi economica, che pure ha lasciato sul terreno come in un campo di battaglia numerose tra le più fiorenti piccole e medie imprese del tessuto economico marchigiano, da fanti ministeriali infatti si apprende che la Prysmian avrebbe ottenuto un finanziamento di 40 milioni per l'ampliamento della sede di Giovinazzo in Puglia, con il risultato che all'azienda conviene chiudere lo stabilimento di Ascoli, pur con elevati profitti, a spese di 120 famiglie, delocalizzando e trasferendo macchinari al sud. Ora, pur riconoscendo l'utilità degli incentivi in determinati casi, è necessario senza dubbio rivederne l'erogazione e controllare quando c’è una mera volontà speculativa, perché a rimetterci sono sempre e solo i lavoratori come in questo corso. Ora, ci sono 120 operai che presidiano la fabbrica giorno e notte, 120 persone che hanno paura per loro e per le loro famiglie. A queste persone e a quelle il cui destino è legato a un filo, non può andare solo la solidarietà a parole ma a loro la politica dovrà dare risposte concrete nei tavoli tecnici aperti. Non possiamo dimenticare le altre realtà marchigiane che la crisi gravissima ha messo in ginocchio e non si può più tacere la verità, cioè che questo Governo non ha uno straccio di politica economica seria, che rilanci l'economia reale. E cosa fa ? Droga il mercato del lavoro e nasconde la cronica mancanza di competitività delle imprese, conseguenza ormai evidente di una moneta a cambio fisso e che ha come tragica contropartita la svalutazione dei salari e l'annullamento dei diritti dei lavoratori .
DAVIDE CRIPPA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DAVIDE CRIPPA. Presidente, intervengo per sollecitare risposta all'interrogazione 4-06283, a mia prima firma. Si tratta di un'interrogazione riguardante la strada statale 33, prolungamento dell'imbocco sud della galleria di Paglino verso la Svizzera, nel territorio del VCO. Scadenza lavori novembre 2014, è stata fatta una proroga all'11 febbraio 2015. Noi segnalavamo e chiedevamo ai Ministeri competenti delle risposte chiare.
Ci tengo a precisare che dopo aver sollecitato più volte direttamente sia Anas sia i Ministeri, oggi veniamo a sapere che questo rimbalzo di fatto c’è stato tra il MEF, in quanto titolare delle partecipazioni di Anas e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del Ministro Lupi.
Noi le chiediamo, per cortesia, Presidente, di intercedere e di sollecitare questa interrogazione, perché per noi quanto meno desta un po’ di preoccupazione che dei lavori di un milione 400 mila euro vengano affidati a un'azienda con capitale sociale di 20 mila euro.
Visto che questi lavori stanno ritardando in maniera significativa e per i quali oggi c’è un senso unico alternato verso la Svizzera, come per dire a coloro i quali vengono in Italia: «Benvenuti in Italia» e con un bel semaforo a senso unico alternato, e visto che questa situazione sembra non avere una via di chiarimento, gradiremmo delle risposte chiare dal Ministro Lupi. Se oltre a Expo ha tempo di occuparsi anche di altro gli saremmo grati .
DANILO TONINELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DANILO TONINELLI. La ringrazio, Presidente. Questo intervento è per portare la mia solidarietà e la solidarietà di tutto il MoVimento 5 Stelle della mia provincia, Cremona, ad un consigliere comunale nonché cittadino attivo del comune di Sergnano, che dopo aver portato avanti, con immenso coraggio e quasi in solitudine, una battaglia contro l'esistenza di una discarica abusiva, potenzialmente causa di un disastro ambientale in questa zona, dopo aver portato questo argomento addirittura su una tv nazionale, nella trasmissione e dopo essere arrivato, grazie al sottoscritto, ad interrogare i Ministri competenti su questa questione, è stato denunciato per danneggiamenti e violazione di domicilio. Un vero e proprio atto intimidatorio di cui, purtroppo, questo Paese, e anche la mia provincia, continua ad essere pieno.
Da parte mia e da parte nostra tutta la solidarietà e l'invito ad andare avanti, perché certamente avrà una forza politica, a differenza del passato, che gli starà a fianco e gli darà una mano .