PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ANNA MARGHERITA MIOTTO, legge il processo verbale della seduta dell'8 aprile 2016.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Casero, Castiglione, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zampa e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente ottantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna .
ARTURO SCOTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, ci appelliamo alla sensibilità istituzionale del Partito Democratico e della maggioranza per accedere a un'ipotesi di costruzione e di convocazione di una Conferenza dei presidenti di gruppo urgente sull'andamento e l'esame delle riforme costituzionali di questo provvedimento.
Come si sa, nella precedente Conferenza dei presidenti di gruppo, nonostante una richiesta unanime da parte delle opposizioni di rinviare il voto sulle riforme costituzionali – in quanto il prossimo 17 aprile ci sarà un referendum molto importante, indetto dalle regioni, sulle trivellazioni – fosse stata respinta, noi avvertiamo ancora oggi l'urgenza di una revisione di quella scelta, anche perché, nel frattempo, come è noto a tutti, sono intervenute delle novità tutt'altro che secondarie, novità che vedono la posizione della questione di fiducia, già calendarizzata il 19 aprile prossimo, sulle mozioni in Senato.
Sono a chiedere, dunque, che venga consentito lo svolgimento della discussione sulle linee generali; abbiamo appreso che il Presidente del Consiglio verrà qui a concluderla, fatto nuovo, tra l'altro, anche, diciamo, con dichiarazioni politiche che mi auguro che lei, signor Presidente, sceglierà di stigmatizzare nel momento in cui il Presidente del Consiglio di questo Paese, in un'intervista televisiva, arriva a dire che l'opposizione ha un antidemocratico perché vuole impedire alla maggioranza di approvare le riforme costituzionali. Mi dispiace dirlo in termini, come dire, dialoganti, ma molto fermi, in tutte le democrazie occidentali funziona così: la democrazia esige il pluralismo, i regimi considerano le opposizioni antidemocratiche quando fanno il proprio mestiere.
Chiusa questa parentesi, questa richiesta è giustificata dal fatto che, di qui a dieci giorni, questo Governo sarà, di fatto, sottoposto a una doppia fiducia: in primo luogo, la fiducia che è segnata e che sarà caratterizzata dall'istituto di democrazia diretta, quale il referendum ex articolo 75 della Costituzione che si esprimerà sulla politica energetica, e, in secondo luogo, la fiducia che è legata al passaggio del Senato, che avviene all'indomani di fatti rilevanti che hanno coinvolto questo Governo e anche il suo assetto interno.
Signor Presidente, quando si dimette un Ministro rilevante, strategico, come il Ministro delle attività produttive, quando emerge un quadro – ad essere gentili – di divisioni all'interno di questo Governo, rispetto a rapporti tra Ministri e sottosegretari e rispetto ad emendamenti che escono di notte e ricompaiono di giorno, provvedimento legislativo per provvedimento legislativo, di fronte a questo doppio voto, la saggezza, la sensibilità istituzionale vorrebbe un rinvio, esigerebbe un rinvio. Mi auguro che questo sia possibile, mi auguro che non si voglia trasformare anche la discussione sulle linee generali, che va fatta oggi con la chiusura del Presidente del Consiglio, in una replica della direzione del Partito Democratico. Questo è il Parlamento e quando parliamo di questo istituto, di questa Assemblea, occorre rispetto e occorre saperci dialogare; invece qui prevale soltanto la logica dello scontro e, mi consenta, anche, talvolta, dello sberleffo. E questo è inaccettabile .
MICHELE DELL'ORCO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MICHELE DELL'ORCO. Grazie, Presidente. Anche noi ci uniamo per chiedere che venga convocata il prima possibile una Conferenza dei presidenti di gruppo, perché noi questa settimana siamo qui a votare su una delle riforme più importanti e, a nostro avviso, deleterie per il nostro Paese, cioè quella della Carta costituzionale, e tutto questo mentre c’è una mozione di sfiducia al Governo, che è calendarizzata per il 19 aprile al Senato. È assurdo che si vada a riformare la Costituzione, quando non si sa nemmeno se il 19 aprile, con certezza, il Governo sarà ancora in piedi, se avrà i numeri, se ci sarà Verdini a sostenerlo, come ha fatto in altre occasioni, oppure no.
E in più, parliamo di una mozione di sfiducia che è legata ad un grave caso di corruzione, perché stiamo parlando del caso – come noi lo abbiamo soprannominato – «Trivellopoli», che riguarda le estrazioni petrolifere, riguarda norme, leggi, emendamenti fatti dal Governo, che vanno a favorire, magari, i fidanzati di alcuni Ministri e in cui, da come è emerso nelle intercettazioni, in maniera più o meno diretta o indiretta sono coinvolti anche altri membri del Governo. Penso, ad esempio, al caso della Ministra Guidi, che si è dimessa, ma, secondo quanto è uscito dalle intercettazioni sulla stampa, ad esempio, Gemelli, questo lobbista, era in grado di controllare e di manovrare il MISE, cioè il Ministero dello sviluppo economico, non solo attraverso la Guidi che si è dimessa, ma anche attraverso il sottosegretario De Vincenti. E noi ci chiediamo: se questo è vero, come mai la Guidi è ancora lì e De Vincenti, invece, non si è dimesso ?
In più, voglio ricordare che abbiamo anche, in questa settimana, ben quattordici deputati del MoVimento 5 Stelle che sono stati sospesi, cioè quattordici parlamentari, rappresentanti anche del popolo italiano, che non potranno partecipare al voto sulle riforme costituzionali, perché ? Perché la Presidenza ha deciso di sospenderli proprio questa settimana, nonostante una nostra richiesta, almeno, di posticipare la sospensione.
In tutto questo, io sento la maggioranza, il Presidente del Consiglio, che non parla di leggi urgenti visto il caso «Trivellopoli», visto questo caso di corruzione, di discutere in Parlamento di una legge sul conflitto di interessi, una legge sulla riforma della prescrizione... no ! Parla di bavaglio alle intercettazioni ! Cioè, alcuni membri, alcuni esponenti importanti della maggioranza sono stati beccati con le mani nella marmellata e cosa chiede il Presidente del Consiglio ? Di mettere un bavaglio sulle intercettazioni !
Bene, per tutto questo noi chiediamo immediatamente una Conferenza dei presidenti del gruppo. È assurdo che venga votata questa settimana una riforma della Costituzione, quando c’è ancora in ballo una mozione di sfiducia al Senato .
RENATO BRUNETTA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, devo dire che il clima di quest'Aula – il Governo, al di là della persona stimabilissima, evidentemente, è rappresentato da un sottosegretario – l'Aula vuota, il tutto all'interno di un clima pesantissimo: ecco, questa è l'immagine che noi diamo al Paese, di un Parlamento che sta per fare la riforma più importante della storia della Repubblica dal punto di vista costituzionale.
Cambiamo più di un terzo degli articoli della nostra Costituzione e lo facciamo in un clima di conflitto esasperato, con una maggioranza che approva il provvedimento a colpi di maggioranza ! Una maggioranza, signor Presidente, glielo ricordo, che è tale solo sulla carta, ma non è la maggioranza che esiste nel Paese. Ricordo a me stesso e lo ricordo a lei e alla sua sensibilità istituzionale, signor Presidente, che la coalizione di centrosinistra, o di sinistra, ha vinto le elezioni del 2013 per uno 0,34 per cento di differenza, e grazie a questo 0,34 di differenza, 140.000 voti alla Camera, la coalizione ha potuto dotarsi di oltre 140 deputati come premio di maggioranza. Ricordo che quella maggioranza non è la maggioranza che governa questo Paese, perché quella maggioranza si è dissolta, e ricordo anche la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato quei 140 deputati, figli del premio di maggioranza, incostituzionali.
Quindi, siamo di fronte a una maggioranza e ad un Governo che stanno facendo la più grande riforma costituzionale della storia repubblicana con una maggioranza dichiarata incostituzionale ! Questa è l'aberrazione; se ci fosse ancora qualche persona di fede degna e perbene, con un equilibrio sulle regole, direbbe subito: basta, fermatevi, non potete farlo ! Certo, il Nazareno, ma il Nazareno era la soluzione al costituzionale dopo la sentenza della Corte ! Saltato anche quello siamo di fronte all'aberrazione più totale. Un partito che non ha vinto le elezioni, che grazie al premio di maggioranza dichiarato incostituzionale, sta cambiando la Costituzione repubblicana nella maniera più profonda e più totale – io dico anche più indecente, ma comunque sta cambiando la Costituzione – con tutto il mondo contro, con una maggioranza di fatto del Paese contro, perché se guardiamo, signor Presidente, alla opposizione non numerica inficiata dal premio di maggioranza, ma se guardiamo ai numeri nel Paese, il Partito Democratico è assoluta minoranza in questo Paese, e sta cambiando la Costituzione con un'assoluta minoranza !
Per questa ragione, e per tutte le ragioni ricordate dai miei colleghi precedentemente – la mozione di sfiducia, il referendum, le forzature infinite che abbiamo dovuto subire – noi chiediamo che si sospenda questa seduta, che si arrivi a una capigruppo e che si rifletta a mente fredda su questo passaggio, che rischia di essere un passaggio incostituzionale finale di approvazione, si fa per dire, di una riforma che tanto dovrà poi passare per il referendum confermativo, rispetto al quale voterà tutto il Paese, rispetto al quale noi chiederemo agli italiani di dire di no, di dire di no a Renzi, di dire di no alla sua maggioranza incostituzionale, di dire di no a queste violenze e forzature nell'approvazione della riforma, di dire di no al combinato disposto tra riforma costituzionale e legge elettorale, di dire di no a questo periodo buio per la nostra democrazia !
ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Grazie Presidente. Ho ascoltato con grande attenzione le parole dei colleghi presidenti dei gruppi dell'opposizione che sono intervenuti qui oggi, chiedendo una Conferenza dei presidenti dei gruppi, su cui naturalmente la Presidente poi deciderà. Noi porteremo la nostra posizione, che qui per chiarezza sintetizzo. Questa è la sesta lettura del provvedimento, abbiamo fatto migliaia di ore di discussione in Commissione, alla Camera, al Senato; una discussione anche di merito, anche importante e utile e abbiamo discusso e approvato 193 emendamenti e subemendamenti, tra qui ed il Senato, e abbiamo avuto anche un lungo e duro ostruzionismo, e in ogni passaggio di questa riforma quasi tutte le opposizioni hanno fatto tutto il possibile affinché non si andasse avanti. Quasi tutte, perché con Forza Italia abbiamo scritto una parte importante di questa riforma; ha contribuito in maniera rilevante, in particolare al Senato, anche se poi hanno cambiato idea, ma questo è un altro elemento.
Io penso che questa riforma vada portata fino in fondo, vada approvata perché serve agli italiani. Ha ragione il presidente Brunetta quando dice che è una riforma molto importante e molto significativa, che riguarda gli impegni assunti in questo Paese in trent'anni di lavoro dal centrosinistra, che diceva di cambiare il bicameralismo, che diceva di riguardare alcune cose importanti come la riduzione del numero dei parlamentari – che c’è dentro – e i costi della politica. Non ci sono motivi per fermarsi, non c'erano quando ne abbiamo discusso in altre occasioni, non ci sono neanche oggi perché sono pretestuosi, Presidente. La sospensione per il referendum è stata chiesta solo alla Camera e non al Senato, perché evidentemente i senatori delle opposizioni in quel ramo del Parlamento ritenevano che non ve ne fosse bisogno; non capisco quindi perché qui invece ve ne debba essere. La mozione di sfiducia credo sia la tredicesima mozione di sfiducia depositata dall'inizio della legislatura; tutte respinte naturalmente, perlomeno quelle discusse. Il voto di fiducia la maggioranza lo ha avuto al Senato l'altra settimana. Vi è stato un voto di fiducia dopo le dimissioni del Ministro Guidi, che è stata accordata al Governo senza problemi, come tutti gli organi di informazione hanno riportato.
Vi è solo la volontà di fare andare oltre e di posticipare. Un tipo di volontà che ha fatto male a questo Paese, cioè quella di rinviare sempre le decisioni. Noi vogliamo semplicemente decidere; il Parlamento deciderà, e soprattutto decideranno gli italiani con il referendum che verrà tenuto ad ottobre e in quell'occasione sapremo se le cose che abbiamo ascoltato anche oggi sono vere o false; se cioè gli italiani stanno con noi, quelli che vogliono un Paese più moderno e che vogliono approvare questa riforma costituzionale, o stanno con le opposizioni tutte insieme, tutte affascinatamente insieme, che pensano di dover lasciare tutto com’è. Il tutto così come è lo abbiamo già provato; noi invece vogliamo cambiare e questo cambiamento lo portiamo avanti anche con la riforma costituzionale, su cui abbiamo la convinzione di aver fatto un buon lavoro. Abbiamo provato a coinvolgere tutte le opposizioni, quelle che ci volevano stare, e molte cose le abbiamo fatte insieme. È un peccato che la volontà di strumentalizzare, la volontà di rompere, la volontà di trasformare sempre tutto in una grande caciara politica prevalga anche oggi !
PRESIDENTE. Grazie, non ho altri iscritti a parlare; a questo punto, colleghi, ovviamente io raccolgo la richiesta avanzata dai gruppi dell'opposizione e informerò la Presidente della richiesta di una Conferenza dei presidenti dei gruppi. Come sapete, deciderà lei, mentre invece, onorevole Brunetta, per quanto riguarda la sospensione della seduta, eventualmente è una questione su cui decide la Conferenza dei presidenti dei gruppi, la Presidenza della Camera o l'Aula direttamente, ma in questo momento noi non possiamo che proseguire con i nostri lavori finché non ci saranno cambiamenti rispetto alla programmazione che abbiamo in atto.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato, n. 2613-D: Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Fiano.
EMANUELE FIANO, . Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, le riforme costituzionali, che sono state una costante nel dibattito pubblico a partire dalla fine degli anni Settanta, in questa legislatura sono divenute una priorità politica di grande rilievo, per volontà di noi, che le abbiamo presentate, e per la necessità di un cambiamento nel Paese, nella sua organizzazione istituzionale. Di commissioni di studio e di commissioni incaricate di redigere progetti organici di riforma della seconda parte della Costituzione è costellata la storia repubblicana degli ultimi trent'anni. Mi limito a citare quelle parlamentari: la Commissione Bozzi (1983), la Commissione De Mita-Iotti (1992) e la Commissione D'Alema (1997).
Sulla base di questo retroterra, nella XVII legislatura le riforme costituzionali non sono state più solo uno dei temi dell'agenda politica parlamentare, ma la priorità politica e istituzionale del Parlamento e del Governo. Non solo sono state espressamente inserite nelle dichiarazioni programmatiche del Governo Letta e del Governo Renzi, ma il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto ad esse espresso riferimento nel discorso pronunciato di fronte al Parlamento in seduta comune in occasione dell'avvio del suo secondo straordinario mandato, affermando che quello delle riforme era un impegno che il Parlamento non poteva continuare a mancare, soprattutto dopo l'imperdonabile fallimento della modifica della legge elettorale e di alcune disposizioni della seconda parte della Costituzione, che aveva segnato la chiusura della precedente legislatura.
Il Governo in carica si è fatto motore del processo di riforma. Lo ha fatto portando a termine l'approvazione di una nuova legge elettorale per la Camera deputati – anche in conseguenza della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale – e presentando un disegno di legge di revisione della seconda parte della Costituzione, che ha ampiamente attinto ai contenuti e ai punti fermi del dibattito politico, istituzionale e dottrinale degli ultimi tre decenni. Il Governo in carica ha anche deciso di percorrere la strada procedurale segnata dall'articolo 138 della Carta fondamentale, scartando l'opzione che precedentemente era stata vagliata. Di questa procedura, come è noto, verrà perseguita anche la variante referendaria, che consentirà al corpo elettorale di esercitare il diritto all'ultima parola sulle riforme costituzionali.
Il disegno di legge, recante norme sul superamento del bicameralismo paritario e di revisione del Titolo V della parte seconda dalla Costituzione, è stato approvato dal Senato, con modificazioni, nella seduta dell'8 agosto 2014, al termine di un esame parlamentare durato più di quattro mesi. Il testo è stato trasmesso alla Camera, che ne ha avviato l'esame nel settembre 2014 e lo ha approvato, con modificazioni, il 10 marzo 2015. Il testo, modificato dalla Camera, è stato ulteriormente modificato dal Senato e approvato da tale ramo del Parlamento in prima deliberazione il 13 ottobre 2015, con 178 voti favorevoli e 17 contrari. Il testo, così definito, è stato approvato dalla Camera nella seduta dell'11 gennaio di quest'anno, con 367 voti favorevoli e 194 voti contrari. La seconda deliberazione del Senato è avvenuta il 20 gennaio 2016 e, quindi, oggi ci apprestiamo a chiudere la seconda deliberazione della Camera dei deputati, la quarta deliberazione conforme.
La pluralità dei passaggi parlamentari, l'arco di tempo impiegato per portarli a concepimento e i consensi registrati al momento del voto testimoniano che il Parlamento ha avuto un ruolo rilevante e decisivo nella definizione del testo sul quale siamo chiamati a deliberare, anche contro – questa testimonianza di partecipazione parlamentare – una certa pubblicistica che vorrebbe in questo vedere un testo unicamente gestito dal Governo, anche in relazione ad aspetti significativi del disegno di legge, quali la composizione del Senato, le sue funzioni e gli istituti di garanzia, dall'elezione del Presidente della Repubblica al controllo preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali.
Il processo di riforma, avviato dal Governo, dunque si è svolto in Parlamento e dal Parlamento è stato preso attivamente in carico, con la conseguenza che faremmo un torto a noi stessi, Presidente, e alla funzione che siamo chiamati ad esercitare se continuassimo a qualificarlo un processo di riforma governativo, così come non è stato.
Ripercorrendo le fasi che hanno caratterizzato l'iter parlamentare della riforma costituzionale, si ricorda che il disegno di legge, nel testo iniziale presentato dal Governo, nel disporre il superamento del bicameralismo interveniva sulla composizione del Senato, per il quale veniva prevista l'elezione di secondo grado e veniva mutata la denominazione in «Senato delle autonomie». Veniva previsto che il Senato fosse composto dai presidenti delle giunte regionali e delle province autonome nonché, per ciascuna regione, da due membri, eletti con voto limitato, dal consiglio regionale tra i propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio elettorale costituito dai sindaci della regione. A tali membri potevano aggiungersi 21 senatori nominati dal Presidente della Repubblica.
Nel testo iniziale del disegno di legge veniva inoltre soppressa, per i senatori, la previsione dell'immunità parlamentare, così come concepita all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione, e veniva mantenuta solo l'immunità per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle funzioni parlamentari. Venivano espressamente definite le funzioni del Senato a partire dal concorso alla funzione legislativa salve le leggi costituzionali, per le quali veniva mantenuto il procedimento bicamerale paritario. Con la finalità di rafforzare l'incidenza del Governo nel procedimento legislativo, veniva prevista, in particolare, la richiesta di esame di voto finale entro un termine determinato, decorso il quale poteva essere richiesto il voto parlamentare bloccato senza emendamenti. Al contempo, venivano costituzionalizzati i limiti alla decretazione d'urgenza e, infine, il potere di istituire commissioni d'inchiesta da parte del Senato era soppresso.
Nell'ambito delle disposizioni di riforma del Titolo V, il provvedimento, oltre a rivedere il riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni con la soppressione della potestà concorrente e l'introduzione della cosiddetta «clausola di supremazia», disponeva la soppressione della previsione costituzionale delle province, quali articolazioni territoriali della Repubblica, nonché l'abrogazione dell'articolo 116 della Costituzione relativo al cosiddetto «regionalismo differenziato», introdotto dalla riforma costituzionale del Titolo V nel 2001. Era infine disposta la soppressione del CNEL.
A seguito dell'esame in prima lettura al Senato, il testo trasmesso alla Camera ha modificato le funzioni del Senato, che mantiene la denominazione di «Senato della Repubblica», ampliando, tra gli altri, gli ambiti di competenza legislativa ad approvazione paritaria e prevedendo che la Camera possa discostarsi dalle proposte di modificazione approvate dal Senato con una maggioranza che muta a seconda delle materie oggetto dell'intervento legislativo, con particolare riguardo a quelle riconducibili ad ambiti di competenza delle autonomie territoriali. Muta, inoltre, la modalità di elezione del Senato, di cui fanno parte 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali eletti in secondo grado dai consigli regionali tra i propri membri e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. In più, vi sono i cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica per sette anni (gli anni del mandato presidenziale).
Le previsioni sull'immunità parlamentare, di cui all'articolo 68 della Costituzione, e il potere di istituire commissioni d'inchiesta vengono mantenute sia in capo alla Camera sia al Senato. Per le inchieste è introdotto il limite, per il Senato, delle materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali. Viene modificato il per l'elezione del Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune – punto rilevante – e viene disposto che i giudici costituzionali di nomina parlamentare siano eletti separatamente (tre dalla Camera e due dal Senato). È stato previsto che le leggi che disciplinano l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possano essere sottoposte prima della loro promulgazione – novità rilevante nel panorama italiano – al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte, su ricorso motivato e presentato da almeno un terzo dei componenti della Camera.
Quanto alle modifiche al Titolo V, viene in particolare reintrodotta la previsione del cosiddetto «regionalismo differenziato», di cui al terzo comma dell'articolo 116. Tutto ciò avviene contestualmente alla soppressione della potestà legislativa delegata alle regioni. All'articolo 117 della Costituzione viene in parte modificato l'elenco delle materie in tale quadro attribuite e viene superato il richiamo all'attribuzione di funzioni, oltre che di materie, alla competenza statale e regionale.
Le principali modifiche apportate dalla Camera rispetto al testo approvato dal Senato l'8 agosto 2014 hanno riguardato la ridefinizione delle funzioni del Senato, la semplificazione del procedimento legislativo, l'introduzione di un'espressa previsione costituzionale sullo statuto delle opposizioni e sui diritti delle minoranze, la disciplina del cosiddetto «voto a data certa» in luogo del cosiddetto «voto bloccato», deliberativi diversi per l'elezione del Presidente della Repubblica, il richiamo al principio di trasparenza nell'organizzazione dei pubblici uffici, l'applicabilità del ricorso di legittimità costituzionale su richiesta di un determinato di parlamentari alle leggi elettorali promulgate nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore della legge costituzionale, cioè una norma provvisoria per potere giudicare l'attuale legge elettorale con lo stesso metro di cui alla norma ordinaria che abbiamo introdotto.
Rispetto al testo approvato dalla Camera il 10 marzo 2015 le principali modifiche apportate nel corso dell'iter al Senato hanno interessato in particolare le ridefinizioni ancora delle funzioni del Senato; la previsione in base alla quale l'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali avviene in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri; l'introduzione per le regioni di un termine per adeguarsi alla nuova legge elettorale del Senato in novanta giorni; il ripristino della previsione in base alla quale i cinque giudici di nomina parlamentare della Corte costituzionale sono eletti distintamente, tre e due, da Camera e Senato; la sostituzione dell'espressione «adeguamento» degli statuti con l'espressione «revisione», per riferirsi al momento dal quale il Titolo V riformato risulterà applicabile alle regioni; l'applicabilità alle regioni a statuto speciale e alle province autonome a decorrere dalla revisione dei presenti statuti dell'articolo 116, terzo comma, relativo al cosiddetto regionalismo differenziato con una disciplina transitoria per il periodo precedente; l'introduzione di due nuove materie tra quelle che possono essere attribuite alle regioni nell'ambito del procedimento relativo al regionalismo differenziato; la possibilità di approvare la nuova legge elettorale del Senato anche nella legislatura in corso, prevedendo conseguentemente che il termine per il ricorso alla Corte costituzionale su tale legge elettorale scada il decimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge medesima.
Per quanto concerne il merito del testo, come approvato in seconda deliberazione dal Senato e in prima dalla Camera dei deputati, il disegno di legge di revisione costituzionale interviene su due aspetti della Carta fondamentale che hanno mostrato evidenti segni di debolezza nel corso della storia repubblicana: l'organizzazione dei poteri con particolare riferimento al futuro Parlamento e i rapporti tra lo Stato e gli enti territoriali. Sono sotto gli occhi di tutti i limiti di un assetto istituzionale nel quale le Camere hanno i medesimi poteri, le negative ripercussioni che la duplicazione del processo decisionale ha avuto sui compromessi politici che inevitabilmente l'attività parlamentare comporta, ma che oggi, per forza di cose, sono raddoppiati in ogni passaggio dell'azione parlamentare. Tortuosità, complicazioni procedurali dalle quali usciamo attraverso il ricorso ordinario a strumenti che dovrebbero essere straordinari come la decretazione d'urgenza, i maxiemendamenti e le questioni di fiducia: strumenti di cui tutti criticano e stigmatizzano l'utilizzo, salvo poi tentennare o tirarsi indietro nel momento in cui c’è da progettare un nuovo processo decisionale. Il superamento del bicameralismo perfetto si riverbera sugli equilibri della forma di Governo in relazione al rapporto con l'Esecutivo. Alla Camera dei deputati, la cui composizione rimane invariata, spettano la titolarità esclusiva del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico nonché quella di controllo sull'operato del Governo. Diversamente la nuova composizione del Senato, il suo nuovo ruolo istituzionale si connettono con la forma di Stato giacché la seconda Camera è trasformata in organo rappresentativo delle istituzioni territoriali. Il nuovo Senato è chiamato a veicolare nei processi decisionali dello Stato le esigenze dei territori al fine di prevenire i conflitti tra livelli di Governo che dal 2001 ad oggi, dalla modifica del Titolo V, nell'impossibilità di essere assorbiti dal procedimento legislativo, si sono scaricati sulla Corte costituzionale.
Il Senato diviene un organo eletto indirettamente dai consigli regionali. Rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dalla Costituzione vigente, il Senato avrà 95 senatori eletti dai consigli regionali in conformità alle scelte espresse dagli elettori, cui si aggiungeranno gli ex-Presidenti della Repubblica e i cinque senatori nominati dal Presidente della Repubblica per sette anni. L'esito della nuova struttura parlamentare sul procedimento legislativo è stata l'individuazione di un numero definito di leggi bicamerali; per tutte le altre è invece richiesta l'approvazione della sola Camera dei deputati con il procedimento già descritto prima. La riforma del procedimento legislativo non ha trascurato di considerare la posizione del Governo: è stato introdotto l'istituto del voto a data certa che garantisca all'Esecutivo tempi definiti per le deliberazioni parlamentari relative ai disegni di legge ritenuti essenziali per l'attuazione del programma di Governo. Al contempo, al fine di prevenire e di contenere l'abuso della decretazione d'urgenza, sono stati costituzionalizzati i limiti attualmente previsti dalla legislazione ordinaria ed enucleati dalla giurisprudenza costituzionale. Anche gli istituti di democrazia diretta sono rafforzati da questo disegno di legge. È introdotto un nuovo per la validità del referendum abrogativo nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata da 800 mila elettori. Resta fermo il di validità attualmente previsto, la maggioranza degli aventi diritto al voto, nel caso in cui la richiesta provenga da un numero di elettori tra 500 mila, che è il minimo, e fino a 800 mila.
Sono introdotti il referendum propositivo e di indirizzo la cui disciplina è riservata ad una legge costituzionale. Per l'iniziativa legislativa popolare, inoltre, il numero di firme necessario per la presentazione del progetto di legge è elevato da 50.000 a 150.000 ma è previsto che ne siano garantiti l'esame e la deliberazione finale, pur nei tempi, nelle forme e nei limiti definiti dai Regolamenti parlamentari.
Il disegno di legge consolida ulteriormente anche il fronte delle garanzie, peraltro già strutturato nel nostro ordinamento. Ricordiamo l'introduzione già citata del giudizio preventivo di legittimità sulle leggi elettorali; mutano le modalità di elezione dei cinque giudici della Corte costituzionale ed è elevato il per l'elezione del Presidente della Repubblica. Sul versante della forma di Stato e del rapporto tra lo Stato e gli enti territoriali assumono rilievo le modifiche del Titolo V: in particolare appaiono significative la soppressione del riferimento costituzionale alle province, in linea con il processo di riforma degli enti territoriali in atto e la modifica del riparto di competenze legislative tra lo Stato e le regioni, di cui ho già parlato. Viene soppressa la competenza concorrente con una redistribuzione delle relative materie tra Stato e regioni. L'elenco delle materie di competenza esclusiva statale è modificato profondamente con l'enucleazione di nuovi ambiti materiali. È significativa l'introduzione di una clausola di supremazia che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materia di competenza regionale a tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica o dell'interesse nazionale. Sono anche oggetto di modifica la disciplina del cosiddetto regionalismo differenziato e del potere sostitutivo dello Stato nei confronti degli enti territoriali.
Questi sono, signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, gli assi portanti della Costituzione riformata. Non si tratta evidentemente di una riforma che mette in pericolo la democrazia parlamentare, tutt'altro, ma di una riforma che affronta le inefficienze che si sono rivelate come tali nella storia della democrazia parlamentare, dopo aver tesaurizzato anni di dibattito e di proposta di modifiche. Non siamo di fronte ad un testo di natura governativa, non siamo di fronte ad un testo affrettato o improvvisato ma di fronte ad un testo che, al contrario, secondo noi arriva fuori tempo massimo dopo anni di tentativi andati a vuoto. Noi siamo orgogliosi del lavoro compiuto, del dibattito che si è aperto nel Paese e in queste Aule. Certo nessuna legge è perfetta ma, proprio alla luce di quei fallimenti e del ritardo cronico che il nostro Paese ha accumulato, dobbiamo assumerci e ci assumiamo con quest'atto la responsabilità di decidere per il cambiamento del nostro sistema istituzionale che si traduce in un cambiamento del Paese e per il Paese. Sceglieranno gli elettori italiani il giudizio definitivo su questa riforma. Le riforme istituzionali non incidono direttamente forse sulla vita materiale dei nostri concittadini ma sono in grado di creare le premesse affinché il luogo dove vengono fatte le scelte di politica economica e sociale, quindi dove si incide direttamente sulla qualità della vita degli italiani, dei nostri concittadini con scelte che tanto condizionano la vita dei nostri concittadini, dei lavoratori e delle imprese, possano essere decise e attuate nel migliore dei modi in una democrazia che funziona per i cittadini e al servizio dei cittadini .
PRESIDENTE. Ha ora facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Toninelli.
DANILO TONINELLI, . La ringrazio, Presidente. Innanzitutto inizio il mio intervento partendo da quello che è l'atto finale, quello di più alto livello della sovranità popolare riconosciuta dall'articolo 1 della Costituzione, vale a dire il referendum. Si andrà a referendum su quelle che, erroneamente e letteralmente, si chiamano «riforme», quando il significato di riforme è cambiamento migliorativo; in realtà, sono una revisione della Costituzione e i cittadini che ci ascoltano devono sapere che il termine «riforma» è già una truffa semantica per far pensare loro che si tratta di qualcosa di migliore. Ma non siamo di fronte ad una approvazione definitiva da parte dei cittadini perché il Partito Democratico, la maggioranza o il Governo lo hanno deciso ma siamo di fronte ad un futuro e imminente referendum confermativo su questa revisione della Costituzione perché non si sono raggiunti i che la Costituzione medesima prevede: i due terzi dei voti nell'ultima lettura.
Ed è anche da sottolineare – soprattutto mi riferisco e mi rivolgo ai cittadini – non solo il fatto che non si è raggiunta la maggioranza dei due terzi in ultima lettura, ma anche che al Senato si è raggiunta faticosamente una maggioranza assoluta, che è quella necessaria affinché poi, su richiesta di tre interlocutori differenti, si vada a referendum confermativo; una maggioranza assoluta che è basata, che è stata ottenuta, che è stata raggiunta – su che cosa ? – sulla base dell'appoggio di quella costola del partito di Forza Italia che oggi grava su un condannato per concorso in corruzione e plurindagato, Verdini, e i suoi. Quindi, noi ci stiamo rivolgendo ad una maggioranza che ci sta dicendo che, grazie a lei, darà ai cittadini il voto finale, quando non è vero: è una garanzia prevista dalla Costituzione ed è una garanzia che andate a mettere in atto semplicemente perché avete ottenuto, da parte di un condannato di nome Verdini, la maggioranza assoluta. Non solo non avete raggiunto i due terzi, ma avete raggiunto a fatica la maggioranza assoluta non per i numeri della maggioranza, ma grazie a numeri esterni di persone che non, diciamo, sono così raccomandabili.
Detto questo, il referendum finale, tra l'altro, è un referendum che è inserito nel Titolo sesto dalla Costituzione, che ha un titolo: garanzie. A casa mia, come a casa di ogni minimo studioso, anche al primo anno, di diritto costituzionale, le garanzie sono a favore non di chi propone una modifica, ma sono a favore di chi non è d'accordo con la modifica. Noi siamo di fronte ad un trogloditismo costituzionale da parte della maggioranza, che si accingerà, tra pochi giorni, quando questa revisione della Costituzione sarà approvata, ad utilizzare la propria quota parlamentare incostituzionale: più di 140. La maggior parte di coloro che pigeranno il pulsante verde su questa revisione della Costituzione, sono illegittimi ed abusivi, perché sono stati eletti, nel 2013, con il cosiddetto Porcellum, sulla base di un premio di maggioranza incostituzionale. Quindi, invece che andare a casa e lasciare il posto, la poltrona a coloro che erano stati legittimamente e costituzionalmente eletti, pigiano il pulsante verde abusivamente e illegittimamente per la modifica di quello che è il patto sociale tra i cittadini, il patto di convivenza sociale. Questa è la situazione in cui si sta andando a portare una modifica di più di un terzo degli articoli della Costituzione.
Ma, purtroppo, le cose peggiorano. Infatti, questa iniziativa non arriva da una maggioranza incostituzionale, ma arriva da un Governo con un Presidente del Consiglio non eletto da nessuno, che si è già intestato, per la sua ignoranza costituzionale, il referendum, si è già intestato la riforma, perché vuole ottenere quella legittimazione popolare che, ovviamente, non ha, perché non è stato votato se non come sindaco e sappiamo che i sindaci amministrano il territorio, i sindaci amministrano il comune, mentre qua, in Parlamento si è eletti per rappresentare i cittadini. Quindi, lui non li rappresenta. Sappiamo che oggi verrà qua; senza contraddittorio, parlerà, perché probabilmente ha bisogno di altre tribune politiche per recuperare consenso, ed ha ridotto la Costituzione ad un e i cittadini elettori a carne da sondaggio. È questa la realtà in cui oggi il Paese si accinge a votare questa revisione della Costituzione; devo stare attento anch'io, Presidente, perché cado nell'inganno di chiamarla riforma.
Però, qua c’è un errore di fondo. L'errore è che i cittadini ce l'hanno dentro, gli scorre nel sangue la Costituzione, Presidente, sanno che quella Costituzione è stata scritta con il sangue di chi ha resistito contro regimi autoritari e sanno perfettamente che se metti insieme due cose e fai uno più uno, dove l'uno è la riforma costituzionale, che non abolisce il Senato, ma rimane lì e costa sempre uguale, lo stesso apparato burocratico a costo uguale, e lo metti insieme al cosiddetto Italicum, il Paese dalla dittatura di un partito passa alla dittatura di una persona. Si diceva già decenni fa. Infatti, se la Camera che dà la fiducia al Governo è una sola e se la maggioranza di questa Camera è tenuta in mano dal capo politico che si presenta al ballottaggio con il 20 per cento dei voti, magari del 50 per cento degli aventi diritto al voto, una signora o un signore comanderà sul Parlamento, comanderà sul Governo e addirittura – vediamo bene, guardando le riforme, che avete modificato anche l'articolo sulla deliberazione dello stato di guerra –, con una maggioranza assoluta, che praticamente ha comprando due o tre scagnozzi, potrà da solo deliberare lo stato di guerra. Questo è il quadretto in cui si sta modificando la Costituzione. Quindi, parliamo di conservatorismo e antipolitica utilizzati per modificare la Costituzione. Conservatorismo, Presidente, perché oggi si sta mettendo a norma la centralità assoluta del Governo tra le istituzioni del Paese.
Infatti, già sappiamo che, se la Carta costituzionale non dice così, di fatto è così: il Governo fa tutte le leggi con la decretazione d'urgenza, interviene con i voti di fiducia, ricattando il parlamentare dicendo: «O me o, dopo di me, il diluvio, perché se non mi voti devi andare a casa». È questa la situazione in cui si sta portando avanti questa riforma.
Nonostante ciò, sembra che, da un certo punto di vista, ci sia un'assuefazione, un appiattimento di quelli che contestano, anche all'interno dalla maggioranza, questo impianto di riforma, perché la miseria che è calata in questo Parlamento probabilmente porta anche coloro che non sono a favore di questa riforma ad appoggiarla, magari per mantenere per un anno o due in più la poltrona.
Ma andiamo un po’ nello specifico, Presidente, sul perché bisogna contestare nel merito. Noi non cadremo nella trappola di fare una battaglia personale nei confronti del Presidente del Consiglio. Lui se l’è già intestata. Ma, nel merito, quello che viene definito come un miglioramento della qualità e dalla formazione delle leggi, un'accelerazione nel farle, è una balla colossale. Infatti, se si prende il nuovo articolo 70 della Costituzione, da una riga e mezza siamo arrivati a settanta, ottanta righe, siamo più o meno a tre pagine. Ed è quello il cuore del Parlamento, ossia come si fanno le leggi, in che tempi si fanno, chi interviene. Quindi, si consegna il Paese al caos, perché questo sarà, e al caos si affianca la corruzione. Infatti, è una balla dire che il Senato non vale più niente. Metterà i bastoni tra le ruote all'unica Camera che dà la fiducia al Governo ogni volta che vorrà, ma soprattutto avrà lo stesso potere dalla Camera sulla riforma della Costituzione, sulle leggi elettorali, sugli ordinamenti degli enti locali, sulle ratifiche dei trattati internazionali, cioè su che cosa, Presidente ? Sul cuore della democrazia. E quel Senato è formato per la maggior parte (75) da consiglieri regionali. Quindi, probabilmente vedremo i signori Mantovani, che arrivano dal consiglio regionale della Lombardia, e i signori Rizzi – io arrivo dalla Lombardia e mi ricordo quelli –, che, tra l'altro, prendendo il treno da Milano a Roma, si vestono anche della giacca dell'immunità e verranno qui in Parlamento – a fare che cosa ? – a riformare le regole democratiche più importanti del nostro Paese. Quindi, da una parte salvate, con l'immunità, questi signori che sono sotto processo e, dall'altra parte, cinquantun persone – cinquantun persone ! – terranno il Paese e le regole democratiche del Paese in mano. Ripeto, Presidente, con la miseria che c’è e con i livelli di corruzione che ci sono in questo Paese, verranno comprati per un nonnulla. Quindi, noi avremmo un Senato che non permetterà neanche più... Salvo un acquisto, perché sappiamo perfettamente che il rapporto tra Stato e regioni fa sì che lo Stato dà alle regioni delle risorse, a questo punto se i regionali – chiamiamoli così – che vengono a Roma vogliono delle risorse daranno il consenso ad un'autorizzazione, ad una richiesta che arriva dal Senato. Quindi, la corruzione si trasformerà in «tu consigliere regionale mi chiedi risorse, io te le do e tu mi dai consenso».
Voi state trasformando lo Stato nel caos più totale e sappiamo perfettamente, Presidente, che non è necessario. Anzi, è doveroso che, in un momento di crisi, non si intervenga sulle regole democratiche più importanti. Infatti, gli unici Paesi che hanno modificato la Costituzione in questa maniera, con un'azione governativa, se andiamo nel sudamerica, sono i regimi militari del sudamerica e, se andiamo più vicino a casa nostra, abbiamo visto Orbán in Ungheria e Erdogan in Turchia. Sono loro che hanno acquisito il potere governativo dicendo ai loro cittadini: «Modificheremo le regole costituzionali». In un momento di crisi economica, di crisi occupazionale, di enorme povertà – 9 milioni italiani sotto la soglia di povertà relativa, 4 milioni 200 mila italiani sotto la soglia di povertà assoluta – questi signori, con la modifica della Costituzione, che mette in mano il potere a una persona o a una stretta oligarchia di petrolieri, di faccendieri, di banchieri, che sono direttamente seduti, a questo punto, ai banchi del Governo e non sono neanche più alle spalle, a scrivere gli emendamenti, sono loro fisicamente all'interno del Governo, questa stretta oligarchia darà lavoro ai cittadini. Non è così. Non si può intervenire in un momento di crisi economica e addirittura dire – questo veramente testimonia il livello di analfabetismo costituzionale – che, se vengono fatte le riforme, l'Europa si darà la flessibilità. Quindi, voi state vendendo la Costituzione, quindi la regola fondamentale che disciplina la nostra vita quotidiana, per uno 0,2 per cento, uno 0,3 per cento – complimenti ! –, invece di andare in Europa e dire che le regole europee vanno rispettate da tutti. Ad esempio deve iniziare a rispettarle la Germania, ad esempio che l'Europa unita non si fonda sulla moneta ma si deve fondare su regole comuni e deve avere la comunità al centro. Voi dite che è per avere un po’ di flessibilità – quindi probabilmente per durare fino a fine legislatura – e svendete la Costituzione e la nostra democrazia per uno 0,2-0,3 per cento, perché è questo che si sta generando e in realtà voi ve ne accorgerete. Avete già fatto un disastro nel 2001, perché una delle norme definite più criminogene dall'attuale numero uno dell'Autorità antimafia è quella della modifica del Titolo V della Costituzione, che ha prodotto un proliferare di centri di spesa che, a loro volta, hanno prodotto un proliferare di corruzione. Voi, nonostante quell'esempio, perché avete ottenuto a fine legislatura in quel periodo una modifica costituzionale che poi è stata approvata dai cittadini ma che ha creato un caos totale, oggi state rimettendo il Paese nel caos, perché il Parlamento non diverrà più veloce e snello; diverrà di titolarità di una sola persona o di una stretta oligarchia di persone e diverrà soprattutto ricattabile da quella stretta quota di consiglieri regionali, di sindaci che siederà al Senato, perché, signori miei, se non ve li comprate, quei senatori non vi permetteranno mai di intervenire sulla Costituzione. Però, se pensiamo male, il quadretto potrebbe essere anche questo, perché noi sappiamo che il Senato ha delle funzioni enormemente importanti ma non è che andate a sciogliere le Camere il giorno stesso dell'approvazione di questa riforma, perché quello si doveva fare, perché a questo punto che cosa accade ? Che quando si avvierà la nuova legislatura, la Camera verrà eletta con la nuova legge elettorale, mentre i senatori che faranno ? Lasciate stare, poi ne parleremo durante il dibattito, con quella legge straordinariamente offensiva per l'intelligenza umana per cui dite che i consigli regionali eleggono i senatori sulla base e in conformità, dite, con quanto deciso dai cittadini. A casa mia, o l'uno o l'altro, o un collegio elegge dei membri o i cittadini eleggono i membri di questo collegio, mentre voi dite che il collegio elegge dei membri in conformità di (...) quindi è un altro modo per aggirare, però rimarrete ricattabili da quelle persone, e se pensiamo che non si andrà ad elezioni in tutti i consigli regionali, significa che, per la maggior parte, oggi il Senato, nella prima formazione, sarà fatto di nominati dagli stessi consiglieri regionali; di conseguenza, avendo il centrosinistra la maggior parte – mi sembra quattordici – delle venti regioni, la maggior parte sarà in quota centrosinistra, quindi probabilmente, siccome l'Italicum – l'avete detto voi in diretta tv, un vostro Viceministro – è stato scritto per non far vincere il MoVimento 5 Stelle, probabilmente anche parte di questa riforma è stata fatta per non permettere, laddove vincesse, di governare; appare del tutto evidente infatti che, se il MoVimento 5 Stelle vincesse le elezioni e prendesse la maggioranza di questa Camera, dall'altra parte, non essendoci state delle concomitanti elezioni all'interno delle regioni, il MoVimento 5 Stelle che è nato pochi anni fa – voi siete nati decenni fa – avrà una ristrettissima cerchia di rappresentanti al Senato e voi avrete un'amplissima cerchia di rappresentanti, avendo quasi tutte le regioni; di conseguenza non avremo una grossa possibilità di governo. Quindi, da una parte disegnate una legge elettorale per non farci vincere, laddove dovessimo vincere e gli italiani capire che con voi non si va da nessuna parte, e che state indietreggiando verso il conservatorismo del potere della casta, dall'altra parte il Senato non ci permetterà sicuramente di modificare la legge elettorale, di ritornare a modificare la Costituzione, anche se io mi permetto di dire che non avete grosse possibilità di vittoria al referendum. Concludo, Presidente. Ce la faremo ugualmente perché, quando la battaglia si trasferirà da una persona che se l’è accentrata per ignoranza costituzionale ai contenuti, i cittadini capiranno che la domanda a cui devono rispondere sì o no non sarà: volete voi diminuire i parlamentare o abolire il Senato; volete voi tagliare la democrazia o tenerla com’è, e com’è significa tenerla con la sovranità popolare.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Quaranta.
STEFANO QUARANTA, . Signor Presidente, il Presidente Renzi lega il suo destino e quello di questo Governo all'approvazione di questa cosiddetta riforma o deforma costituzionale. Egli è noto per essere il rottamatore, cioè l'idea che andasse messa da parte la classe vecchia di centrosinistra, la classe dirigente di centrosinistra ormai superata, per sostituire a questa il meglio di un mix di politica e società civile nel nome dell'innovazione.
Ecco, la realizzazione concreta di questo progetto è stata da un lato un Governo fatto dagli Alfano e dai Verdini, mentre sul versante società civile Ministri come il Ministro Guidi o la Ministra Giannini. A me pare che con la stessa sagacia e con la stessa competenza ci si avvii a rottamare della Carta costituzionale e di questo stiamo parlando, della rottamazione della Costituzione, cioè quella cosa che per taluni settant'anni fa ci regalò la democrazia e che per altri sono settant'anni che stiamo aspettando di riformare. A me piace utilizzare nel definirla – perché credo che sia un giudizio assolutamente condivisibile – le parole dello scrittore Andrea Bajani, che recentemente ha detto che si tratta di un poderoso monumento di conoscenza, tentativo struggente di provare a far sì che il futuro fosse migliore del passato. Se la leggi, la Costituzione non te la dimentichi, ti si conficca dentro per tutta la bellezza che contiene.
Siamo all'ultimo passaggio parlamentare, ora finalmente la parola andrà agli elettori e avremo un referendum, non certo perché questa sia una gentile concessione del Premier, che prima riforma o deforma la Costituzione per via parlamentare e poi esso stesso si prende anche il diritto di dare la parola ai cittadini, ma semplicemente perché è un tal pasticcio sconclusionato questa riforma che dalle opposizioni l'unica voce che si è associata al coro della maggioranza è stata quella del senatore Verdini – lontani quindi i due terzi del Parlamento – e invece il desiderio da parte delle opposizioni e dei cittadini è di raccogliere le firme per appunto poter discutere nel Paese ed esprimere un sì o un no a questa riforma. È del tutto evidente che il Presidente del Consiglio sta utilizzando questa «deforma» della Costituzione in senso plebiscitario, lo dico perché appunto da un lato è in atto il tentativo di far sì che, anziché essere uno strumento nelle mani delle opposizioni e dei cittadini, la richiesta di referendum sia fatta dalla maggioranza, e dall'altro perché è del tutto evidente che pensare di riformare un terzo circa degli articoli della Costituzione e sottoporre il tutto a un sì o a un no da parte dei cittadini significa di fatto non voler discutere nel merito, ma appunto tentare in via plebiscitaria di costruire un consenso su sé stessi e sul proprio Governo.
Naturalmente tutto questo si collega anche a come questa riforma la si sta vendendo nel Paese, cioè questo metodo si collega in maniera inscindibile anche a dei tratti di populismo che io trovo siano inquietanti, soprattutto se vengono da un sedicente di centrosinistra. In effetti anche in queste ore, anche nei diversi passaggi parlamentari, non si è avuta l'accortezza, la sensibilità quantomeno di far comprendere ai cittadini di cosa si stava parlando, cioè fare un'operazione anche di verità e di conoscenza, visto che ai cittadini si darà questa importante responsabilità di decidere, ma i ragionamenti su cui si è portata avanti la propaganda in queste ore, in questi giorni, nei mesi passati, hanno fatto riferimento a parole vuote quanto solleticanti la pancia dei cittadini, cioè una presunta idea di efficienza, il taglio dei costi della politica, la semplificazione del quadro istituzionale, anche facendo credere tra l'altro che la qualità di una democrazia non sia nel rendere più inclusive le istituzioni per i cittadini ma al contrario delegando tutto il potere ad una persona sola. Invece la situazione da questo punto di vista, anche grazie a questa riforma, peggiorerà sensibilmente, basti pensare che ai cittadini verrà persino tolto il diritto di voto per il Senato, che peraltro mantiene poteri fondamentali quale quello appunto di riforma costituzionale, o basti pensare al fatto che le leggi di iniziativa popolare – uno dei pochi strumenti realmente nelle mani dei cittadini – vengono ulteriormente mortificate passando dalle 50 mila firme oggi necessarie alle 150 mila che prevede questa riforma. Il metodo, prima di arrivare al merito, perché vede, io credo che sia piuttosto grave, sempre da parte di una sedicente maggioranza di centrosinistra, portare avanti l'idea di una riforma di un terzo degli articoli della Costituzione senza che da un lato vi sia stato alcun mandato preventivo popolare, cioè nessuno di noi – io, il Ministro Boschi e anche il Presidente Renzi eravamo parte di una stessa coalizione che si è presentata alle elezioni, che non ha avuto un gran successo elettorale – proponeva questo tipo di riforme costituzionali.
E la cosa che io trovo assolutamente inqualificabile è che, con numeri assolutamente risicati, frutto appunto di quell'insuccesso elettorale, oggi si pretenda, con quel premio di maggioranza che è stato definito incostituzionale dalla Corte, appunto di riformare addirittura la Carta costituzionale. Il ruolo del Governo in generale è sconsigliabile quando si tratta di riformare la Costituzione, visto che i Governi stanno sotto la Costituzione e non sopra la Costituzione – credo che nell'Europa di oggi solo all'Ungheria di Orbán si sia permesso di riformare la Costituzione al Governo –, ma oltre questo ragionamento c’è anche qualche cosa di più, io credo. Cioè, il Governo ha esercitato un ruolo improprio, non solo perché ha fatto una proposta iniziale, ma perché poi ha condizionato, in una sorta di voto di fiducia permanente, la libertà anche della sua maggioranza parlamentare, minacciando, ogni qual volta si mettesse in discussione una virgola di quella riforma, lo scioglimento delle Camere e il ricorso a immediate elezioni anticipate, anche qui, tra l'altro, prendendosi un potere che, al momento, la Carta costituzionale non riserva al Presidente del Consiglio.
Quindi, questo di populismo e di allontanamento delle istituzioni dai cittadini ha portato anche a un prodotto finale, che io vorrei sottolineare, da un lato pericoloso per le cose che dirò alla fine, perché dietro naturalmente c’è un disegno di accentramento di poteri su una persona sola, ma dall'altro anche di una modestia culturale, prima ancora che politica, sconcertante. Basti pensare a tutto il ragionamento, che non c’è, sul regionalismo, sul rapporto tra Stato, regioni ed enti locali: qui si passa da una visione federalista – forse anche questa troppo poco ragionata, applicata e forse anche meditata, poi, nel suo prodotto finale – a una visione del tutto centralista, in un'incoerenza persino interna a questa proposta. Ma come si fa a proporre, da un lato, il Senato delle regioni, facendo credere che si assegni alle regioni un ruolo importante, e, dall'altro, attraverso la riforma del Titolo V, invece, di fatto far passare quasi tutta la legislazione concorrente in capo alla legge dello Stato ? Cioè, qual è la logica che sta dietro ? C’è una logica ? C’è qualcuno che ha pensato a cosa si stava facendo ?
E in più, persino le parole d'ordine utilizzate dalla propaganda renziana sono semplicemente false: in che cosa semplificherebbe questa riforma ? Io davvero lo chiedo così, aspettando una risposta, appunto, da almeno un paio d'anni, visto che di passaggi parlamentari ce ne sono stati, ma senza mai un vero dibattito e delle risposte concrete. Forse semplifica il quadro la composizione di questo Senato ? Questo è un Senato che è veramente paradossale nella sua composizione, perché è molto stretto nei numeri – poteva esserci, invece, se si voleva e io penso che questo si potesse fare tranquillamente, una diminuzione dei parlamentari fatta in modo equilibrato tra Camera e Senato – ed è talmente ridotto nei numeri che non potrà effettivamente esercitare le sue funzioni di controllo sul lavoro della Camera. E, dall'altro lato, ha una composizione che veramente è tutto tranne che semplificazione, addirittura grottesca: abbiamo cinque tipologie diverse; abbiamo senatori, sindaci, consiglieri regionali, sindaci peraltro che vengono eletti dai consiglieri regionali, anche questa è una cosa che francamente non ha né capo, né coda; abbiamo un sindaco per ogni regione, indipendentemente dalle dimensioni delle regioni; abbiamo tre tipologie di senatori diverse: i senatori a vita, i senatori di diritto e, persino, i senatori che durano per sette anni, di nomina presidenziale, in un mix francamente grottesco che non esiste in nessun altro Paese al mondo, con regioni che sono sovrarappresentate e di cui non si capisce bene come potrà funzionare il consiglio regionale insieme al Senato, ed altre che sono assolutamente irrilevanti.
E ancora, tutto ciò in un quadro in cui, in nome della semplificazione si mettono in campo dieci tipologie diverse di procedimenti legislativi, per cui, se non vi sarà l'accordo sulla materia prevalente tra il Presidente della Camera e del Senato, addirittura potremo avere una paralisi, e non si capisce bene a chi spetterebbe la decisione finale. E sempre in nome della semplificazione, la modifica del Titolo V, che, probabilmente, per le definizioni – che saranno tutte da rivedere – dei confini tra potestà regionale e statale, riaprirà un contenzioso presso la Corte costituzionale che ci porterà indietro negli anni. Questo in nome della semplificazione !
E poi, per concludere, c’è la cifra politica di questa riforma. Questa riforma accentra i poteri su una persona sola, questo è il vero significato, perché, in questa sorta di bizantino presidenzialismo alla fiorentina, avremmo un Premier eletto direttamente, in nome del fatto che i cittadini la sera del voto devono sapere chi ha vinto le elezioni; e badate che nei sistemi parlamentari questo succede solo se si prende il 51 per cento dei voti, perché se non si prende il 51 per cento dei voti non si può sapere la sera delle elezioni chi ha vinto, se non eleggendo una persona sola. E noi siamo ad una originale forma di presidenzialismo, perché, mentre negli Stati Uniti almeno il Congresso viene eletto separatamente dal Presidente degli Stati Uniti, qui avremo non solo il Premier eletto direttamente, ma che si nominerà gran parte dei suoi deputati, che dovrebbero esercitare una certa funzione di controllo. E in più, attraverso il voto a data certa si «scippa» il Parlamento del potere legislativo, e attraverso la clausola di supremazia e la riforma del Titolo V si accentrano i poteri, che erano stati dati agli enti locali e alle regioni, sulla legge statale.
Allora io, veramente, non riesco più a capire: che cosa c'entra la cultura del centrosinistra, che ha sempre avuto il centrosinistra, che era fatta della partecipazione, dell'avvicinare i cittadini alle istituzioni, del decentramento, con questo tipo di riforma ? Allora io, concludendo, penso che sia questo: non è, secondo me, solo il frutto di una imbarazzante non cultura costituzionale del nostro Presidente del Consiglio; è anche il fatto che questo tipo di riforma corrisponde ad una precisa idea di europea, che è quella che prevede e preferisce avere non dei Parlamenti che discutono e decidono liberamente, ma degli Esecutivi fedeli agli ordini che arrivano da Bruxelles o da Berlino. Io credo che del referendum costituzionale dovremmo fare anche una partita di dignità del nostro Paese, per non essere scippati dei pochi poteri che ci restano, per non essere scippati dell'indipendenza del nostro Paese, che può, sì, essere messa in gioco per costruire l'Europa dei popoli, non quest'Europa di tecnocrati e di finanzieri, che, attraverso questa riforma costituzionale, vogliono toglierci le ultime libertà che ci sono rimaste
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
A questo punto passiamo agli interventi, ma prima – lo dico solo da un punto di vista organizzativo, in maniera che proviamo a regolarci – la Presidenza sarebbe orientata a fare una interruzione dei lavori tra le 13,30 e le 14. Quindi, teniamo conto di questo, lo dico ovviamente a tutti i rappresentanti dei gruppi.
È iscritto a parlare l'onorevole Luigi Famiglietti. Ne ha facoltà.
LUIGI FAMIGLIETTI. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, posso dire, usando una metafora ciclistica, che siamo arrivati all'ultimo chilometro. Da deputato alla prima legislatura, ricordo l'inizio traumatico di circa tre anni fa: mille giorni fa c'erano difficoltà enormi a far partire questa legislatura e non dimenticherò mai l'intervento del Presidente Napolitano, al momento della sua rielezione, quando vincolò il suo secondo mandato ad un'assunzione di responsabilità, da parte delle forze politiche e di ciascuno di noi, per riprendere e portare a termine le riforme.
Questa riforma della Costituzione è il cuore di fatto dell'azione riformatrice del Governo Renzi e rappresenta un passaggio direi decisivo nel percorso di cambiamento impostato in questa legislatura dal Presidente del Consiglio, che pone fine a una lunghissima stagione di inconcludenza riformatrice. Questa riforma è parte di un processo che punta a rendere più efficace l'azione legislativa, a darle tempi certi e dare certezza in materia di riparto di attribuzioni e competenze tra Stato centrale e regioni. Sento intimamente il peso e l'orgoglio di questo processo di ammodernamento della Carta, che è alla base della convivenza civile del nostro Paese.
L'esigenza di una riforma costituzionale del Titolo V si pone in concomitanza sia con la crisi politica istituzionale del 2013, sia in un clima generale di disaffezione, ed interviene sul delicato equilibrio istituzionale tra Camera e Senato. Oggi ci avviamo a superare il bicameralismo paritario ed il conseguente meccanismo della doppia fiducia che i padri costituenti avevano scelto di adottare nella nuova Repubblica uscita dalla guerra e da vent'anni di dittatura fascista. È innegabile che la previsione di due Camere che avevano le stesse identiche funzioni, entrambe legate da rapporto fiduciario al Governo ma elette con sistemi elettorali diversi e con elettorato attivo e passivo diverso, introduceva nell'ordinamento un elemento di blocco, perché spesso i due ambiti hanno presentato in questi anni maggioranze diverse. Per questo, da circa trent'anni, se non di più, si è cominciato ad avvertire, in maniera sempre più crescente il limite di questo nostro assetto istituzionale ed è cresciuto il dibattito sull'opportunità di mantenere il bicameralismo perfetto. Oggi, con la riforma del Parlamento, si aboliscono le due Camere come doppioni; il Senato si trasforma in un'assemblea di rappresentanza dei comuni e delle regioni di 95 membri, ai quali si aggiungeranno 5 membri di nomina del Presidente della Repubblica. Avremo un Senato diverso, che non darà la fiducia al Governo, ma rappresenterà i territori, avrà competenze importanti ma con numeri ridotti.
Vorrei dirlo con onestà: non è una questione semplicemente di costi della politica. Se fosse solo questo sarei preoccupato, perché spesso dietro l'alibi della riduzione dei costi della politica si può nascondere una riduzione degli spazi di democrazia, e questa sarebbe una cosa assai pericolosa. Al Governo basterà la fiducia della sola Camera e quindi, sostanzialmente, si rafforzerà l'Esecutivo in Parlamento.
Sul Titolo V era già intervenuta la riforma del 2001, fortemente voluta dal centrosinistra per inseguire la Lega Nord sul terreno del federalismo. Una riforma frettolosa, che ha dato vita ad una complicata ripartizione di competenze tra Stato e regioni, con conseguente aumento del contenzioso di fronte alla Corte costituzionale e nella sostanza, purtroppo, ha contribuito ad allargare il divario tra nord e sud del Paese. Addirittura, cosa assai più grave sarebbe stata se fosse passata la cosiddetta di Calderoli, ma fortunatamente almeno questo ce lo siamo risparmiato.
Il nuovo testo cerca di porre rimedio alle incongruenze nate nel 2001, prevedendo una semplificazione delle competenze. Saranno solo due: competenza statale e competenza regionale in materia legislativa. Alcune competenze, oggi concorrenti, saranno accentrate per garantire un indirizzo politico generale su tutto il Paese da parte del Governo. In particolare, con la modifica dell'articolo 116, comma terzo, si introduce un sistema cosiddetto a fattispecie aperta, fatta salva l'unità nazionale, e le regioni, in alcune materie espressamente elencate potranno richiedere particolari forme di autonomia.
È introdotta poi l'importante clausola di supremazia, in base alla quale, su proposta del Governo, la legge statale può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale. Tra le novità bisogna ricordare l'abolizione delle province, cosa già prevista dalla legge Delrio, ma vi era bisogno di un passaggio di riforma della Costituzione, e c’è però la possibilità di creare degli enti di area vasta da parte degli enti locali e in più va ricordata l'abolizione del CNEL.
Il nostro sistema pubblico ha bisogno di riforme finalmente realizzate, non solo di riforme immaginate; bisogna riformare la nostra democrazia parlamentare, garantendo stabilità e continuità nell'azione di Governo. Questo non è autoritarismo, è semplicemente esercizio completo della responsabilità ricevuta dal corpo elettorale all'indomani delle elezioni. Si cerca di sbloccare un sistema parlamentare che, come ha detto Renzi al Senato, nell'arco degli ultimi settant'anni ha prodotto 63 Governi. Basti pensare che negli anni Ottanta abbiamo avuto una media superiore ad un Governo all'anno, almeno dodici Governi in dieci anni tra il 1979 ed il 1989.
Il nostro sistema ha delle procedure di formazione delle leggi talmente farraginose che all'unanimità sono considerate da cambiare. In questi anni, sostanzialmente, vi è stato un difetto nel funzionamento del circuito Parlamento-maggioranza-Governo, e questo ha reso i Governi deboli. Per questo si è scelto di agire coerentemente e contestualmente su materia elettorale e costituzionale. Il più grande difetto dell'ultima legge elettorale del 2005, a parte il premio senza e senza ballottaggio, consisteva nel conferire premi di maggioranza con formule diverse per due Camere diverse, ciascuna delle quali indispensabile titolare del rapporto fiduciario, perciò solo a condizione di abolire la doppia fiducia si può immaginare una legge elettorale maggioritaria con premio. Per questo le due riforme sono coerenti tra loro e va dato atto al lavoro fatto dal Ministro delle riforme Boschi insieme al Presidente Renzi.
Il testo che qui stiamo esaminando è giunto davvero all'ultimo passaggio parlamentare, dopo ci sarà solo il giudizio del corpo elettorale che con il referendum si pronuncerà su questo percorso. Va sottolineato che non si tocca il sistema di pesi e contrappesi previsto dalla Costituzione, non si incide sul ruolo e sui poteri della Presidenza della Repubblica.
Il cammino, cari colleghi, è stato quello dell'articolo 138 e mai nessuno l'ha messo in discussione; è stato fatto un lavoro accurato che ha coinvolto il mondo accademico, i corpi speciali, le istituzioni tutte, ciascuno con il proprio punto di vista. Stiamo approdando ad un assetto maggiormente equilibrato e migliorato nei suoi passaggi parlamentari.
Vi è poi un profilo che da parlamentare meridionale vorrei evidenziare. Uno degli aspetti della questione meridionale odierna probabilmente risiede nella debolezza delle classi dirigenti meridionali, soprattutto di quelle regionali, che con l'aiuto di questo regionalismo spinto hanno potuto creare delle rendite di posizione a discapito dello sviluppo e della crescita del sud. Che alcune importanti materie che riguardano la vita dei cittadini, a partire dalla sanità, vedano una maggiore responsabilità da parte dello Stato, a mio avviso rappresenta un elemento importante, perché sottrae alla discrezionalità della politica locale i rischi legati a dinamiche di potere che si ripercuotono sempre, purtroppo, a discapito della comunità. Ben venga, quindi, un controllo statale dei LEA nella loro declinazione vera sulla salute delle persone, così come, in materia di infrastrutture, basta ricorsi alla Corte costituzionale, perché, per esempio, su un'opera strategica come la Napoli-Bari, si rischiano ritardi perché una regione sostiene di non essere stata coinvolta. Sono queste le cose che puntiamo a sconfiggere con l'approvazione di questa riforma, e questo il ritardo che puntiamo a superare dopo decenni.
Ci dicevano che non ce l'avremmo fatta, che tutto sarebbe naufragato, che l'obiettivo era navigare a vista e invece siamo arrivati fino in fondo. È stata una sfida non facile, anche perché accompagnata dalla volontà di evitare gli errori del passato e di avere un coinvolgimento il più ampio possibile delle forze parlamentari. Per un tratto del percorso è stato così, poi qualcosa è cambiato, e non perché fosse cambiato il merito delle riforme. È un processo riformatore che non asseconda quella furia iconoclasta fomentata da chi agita la Costituzione e poi non ha neanche uno statuto per regolamentare la vita all'interno del proprio movimento, perché le decisioni si prendono in uno studio.
È una riforma che ora investe la responsabilità di ciascuno di noi, protagonisti per migliorare la vita pubblica. Questa riforma chiama ad una maggiore e più trasparente responsabilità da parte dei partiti politici, chiede un ripensamento anche dei corpi sociali, per come li abbiamo conosciuti fino ad oggi e per la crisi che investe ciascuna forma di rappresentanza collettiva. Fra i detrattori di questa riforma ci sono gli storici avversari di qualsiasi tentativo di cambiare la Costituzione, tanto più se in direzione di un più efficace funzionamento della forma di Governo e di rafforzamento del circuito corpo elettorale-Parlamento-Governo, considerato addirittura il prodromo di temute svolte autoritarie, e magari sono gli stessi che dicono che Renzi non sia legittimato a governare perché non è stato eletto direttamente dal popolo, facendo finta di dimenticare che la nostra Costituzione per ora prevede che il Presidente del Consiglio, su incarico del Presidente della Repubblica, si rechi alle Camere per ottenere la fiducia.
Come ha detto Napolitano al Senato, l'alternativa ad una conclusione positiva di questo iter di riforma costituzionale sarebbe rimanere bloccati, con tutte le disfunzioni e storture che conosciamo: dal ricorso abnorme alla decretazione d'urgenza, ad una fuorviante conflittualità tra legislazione nazionale e legislazione regionale.
L'ultima parola spetterà agli italiani, ma siamo fiduciosi che comprenderanno questo impegno e lo premieranno, consentendo al Paese di vedere il proprio assetto istituzionale più moderno e più capace di rispondere alle sfide del futuro, in un contesto internazionale difficile e in un quadro di costruzione dell'Europa ancora complicato .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.
FILIBERTO ZARATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ha detto Piero Calamandrei: se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati; dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione, questa è la Costituzione italiana.
Il Presidente del Consiglio ha annunciato con grande risonanza la sua partecipazione alla seduta odierna della Camera dei deputati e la sua intenzione di intervenire a chiusura del dibattito.
La Costituzione, quella vigente – lo voglio sottolineare –, all'articolo 95 specifica quelle che sono le attribuzioni riservate al Presidente del Consiglio. Recita l'articolo 95: «Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri». Come vedete, le sue funzioni sono chiare e tra queste non rientra in nessun modo la potestà di intervento per modificare la Carta costituzionale, funzione questa che la stessa Carta assegna al Parlamento.
Una delle questioni fondamentali della democrazia è che ognuno svolga al meglio quanto viene stabilito dalla legge – in questo caso addirittura dalla legge fondamentale dello Stato – e qui vi è il primo di questa proposta di modifica della Costituzione e, cioè, il ruolo di protagonista che il Governo ha avuto, tanto che questa proposta di modifica viene addirittura definita «la proposta del Governo». Questa è una grave anomalia, che non trova riscontro né nella prassi parlamentare né nella lettura delle funzioni che sono attribuite ai diversi poteri dello Stato. Il Presidente del Consiglio oggi non dovrà essere qui, perché approfitterebbe del suo ruolo per partecipare a un dibattito in una sede che non gli appartiene, in quanto non eletto dai cittadini e dalle cittadine di questo Paese. In quest'Aula il Presidente del Consiglio può intervenire esclusivamente per tutte le questioni che sono legate alla sua funzione, cioè su ciò che è stabilito dall'articolo 95 della Costituzione, e tra esse, come è evidente, non vi è quella della modifica della Carta.
Si è detto, nei 68 anni di vita della Costituzione italiana, che progetti di modifica dovevano prevedere un'ampia partecipazione di forze parlamentari. Non si poteva, si sottolineava, pensare di modificare la Costituzione a colpi di maggioranza. Del resto, la nostra Costituzione nasce proprio da un'alta mediazione tra forze e culture diverse presenti nel Paese. Invece, l'iter di questa proposta di modifica è stato tutt'altro che condiviso da un'ampia maggioranza. La proposta di modifica è stata imposta all'approvazione del Parlamento con tutte le pressioni possibili, comprese le minacce di scioglimento delle Camere, minacce di emarginazione di coloro che mostravano perplessità, sostituzione dei deputati di maggioranza nelle Commissioni se non erano assolutamente allineati, discussioni parlamentari che sono state accelerate ogni oltre limite ragionevole. Il trasformismo parlamentare è uscito dalle pagine dei libri di storia per diventare cronaca politica. I voti di fiducia e tutto come se la Costituzione fosse di proprietà dei pochi al Governo e non, invece, il bene più prezioso del popolo italiano.
La riforma accentra il potere nelle mani dell'Esecutivo, riduce la partecipazione democratica e incide sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza e sul diritto al voto, stravolgendo l'essenza più profonda della Costituzione, che si basava sui principi della partecipazione democratica, della rappresentanza politica e dell'equilibrio tra i poteri. Tutto questo lo sta approvando un Parlamento eletto con una legge elettorale che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale. La nuova legge elettorale, l'Italicum, non solo non risolve i problemi sollevati dalla Corte ma li accentua. Infatti, chi magari prende solo il 20 per cento dei voti al primo turno con una vittoria al ballottaggio può, attraverso un premio di maggioranza assolutamente abnorme, avere il controllo assoluto della Camera dei deputati. Il combinato disposto tra riforma costituzionale e l'Italicum crea un meccanismo per il quale il vincitore delle elezioni diventa il padrone di tutto. Con quella maggioranza può governare, eleggere i giudici della Consulta, i membri del Consiglio superiore della magistratura. Con questa riforma non si vuole eliminare il bicameralismo, che resta in campo seppure imbastardito da un Senato dalle confuse funzioni, ma si vuole farla finita con la separazione dei poteri, cosa questa che è alla base dello Stato moderno. Nella vostra furia iconoclasta non volete archiviare la nostra Costituzione ma, prima ancora, Montesquieu e il suo pensiero. Avete dichiarato di voler eliminare le province ed, invece, avete eliminato solo il diritto dei cittadini di scegliere i loro rappresentanti presso le province.
Avete dichiarato di voler eliminare il Senato e, invece, avete eliminato solo la possibilità dei cittadini di scegliere i loro senatori. Convocate referendum, come quello sulle trivelle, e poi chiedete a tutti di non partecipare alla consultazione. Ma perché vi fanno così paura i cittadini e le cittadine di questo Paese ? La democrazia che ci volete imporre è quella che pochi decidono e molti eseguono !
Sbandierate ai quattro venti i mirabolanti risultati dei vostri due anni di Governo, ma la verità è sotto gli occhi di tutti: il re è nudo, caro Presidente Renzi, cari colleghi del PD. Il fallimento di questo Governo è certificato dalla paura che avete degli elettori, che avete della democrazia, che avete della Costituzione. Domenica prossima sarà celebrato il referendum contro le trivelle. Il Presidente del Consiglio nei giorni passati ha più volte invitato i cittadini a disertare le urne. Lo voglio ricordare, lo voglio ricordare proprio al Presidente che viene qui a fare il padre costituente e voglio ricordargli l'articolo 48, comma 2, della Costituzione: «Il voto è personale e uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico» .
Il Presidente del Consiglio, istigando i cittadini a non andare a votare al referendum del 17 aprile, non ottempera al dettato costituzionale. Proprio il Presidente del Consiglio, colui che è a capo di una delle più alte cariche dello Stato, capo di un'istituzione fondamentale, chiede a gran voce di non andare a votare. Come può fare questo e, contemporaneamente, partecipare alla riforma della Costituzione ? Io spero che il Presidente Renzi abbia un profondo ripensamento e se oggi intervenisse da questi banchi possa lanciare un forte appello a tutti e a tutte per andare a votare domenica prossima al referendum contro le trivelle. Io spero che il Paese abbia una consapevolezza maggiore di quella del suo Governo circa l'interesse collettivo e, votando il 17 aprile, si possa fermare la distruzione dei nostri mari e delle nostre coste. Ad ottobre avremo il referendum costituzionale e sarà quello il momento nel quale il Paese sarà chiamato ad esprimere il suo pensiero su questa riforma costituzionale. Non sarà un plebiscito, come spera il Presidente Renzi; sarà la scelta consapevole di un popolo, che avrà la forza di dire «no» a una riforma sbagliata ed ingiusta.
Ho iniziato con una citazione di Piero Calamandrei. Mi faccia finire, signor Presidente, con un'altra citazione dello stesso padre della patria. Diceva Calamandrei: «In questo clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasioni fiscali, di dissolutezza e di corruzioni, di persecuzioni della miseria e di indulgenti silenzi per gli avventurieri di alto bordo, in questa atmosfera di putrefazione che accoglie i giovani appena si affacciano alla vita, apriamo le finestre e i giovani respirino l'aria pura delle montagne e risentano ancora i canti dell'epopea partigiana» .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bianconi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO BIANCONI. Presidente, siamo alla fine parlamentare di questa infausta vicenda istituzionale; infausta vicenda della quale – io sono convinto – la storia parlerà molto di più di quanto non ne parliamo noi. Uno scandalo istituzionale di questo tipo rimarrà sicuramente nei testi ed è per questo che ho scelto consapevolmente di partecipare alla discussione sulle linee generali, che in genere è un rito fra pochi affezionati, perché vorrei che in quei verbali ci fosse anche la mia voce, per dire a chi li leggerà, se mai li leggerà, quale sia stato lo scempio e il sacrilegio compiuto, ma non con me.
Si pone prima di tutto, Presidente, una questione di metodo fondamentale e poi una questione di merito. La questione di metodo non è una questione secondaria. Nei regimi democratici e soprattutto in quelli parlamentari, dove cioè l'Assemblea è altamente rappresentante della volontà popolare, la forma è sostanza. Rispettare la forma significa rispettare le minoranze, significa garantire la libertà, significa dare il diritto di parola. Se non si rispetta la forma si fa un e con il si fa il provvedimento e si salta a piedi pari tutto quello che è il processo democratico di conclusione e di condivisione di provvedimenti che forse sarà un pochino più lungo, forse sarà un pochino più coeso – i Regolamenti potrebbero bene definirlo meglio –, ma garantisce comunque l'esercizio di una libertà che è quella cosa che, quando ci appartiene, nessuno se ne accorge ma, appena ci manca, ce ne accorgiamo tutti. In questo concetto che la forma è sostanza e, quando si determinano le regole, la forma è ancor più sostanza, debbo dire che qui c’è un iniziale che non sta nei contenuti – vorrei dirlo all'ottimo relatore Fiano che non ha detto neanche una cosa che io condivido ma l'ha detta molto bene e quindi merita una risposta – ma sta nel principio. Non conta quello che è contenuto nel provvedimento qui giunto. Significa che ha dato lo e noi siamo di fronte a un Governo che approva un disegno di legge Renzi-Boschi sul quale pretende di fare la riforma costituzionale. Ma la riforma costituzionale per definizione è materia assembleare, non è materia di Governo ma è semplice il perché. Infatti con le riforme delle regole, delle Costituzioni e degli statuti vengono segnate le righe del campo: si dice quanto dura la partita (bisogna che parli di calcio per farmi capire da Renzi e, da quanto ho visto, anche dall'onorevole Boschi che per le fiducie ha ritirato fuori la Coppa dei Campioni, quindi parlerò di calcio), quanto si deve fare il recupero, se si deve mettere o no la moviola in campo. Bene, non lo decide il Barcellona o il Bayern: lo decide l'Uefa cioè lo decide l'Assemblea. Il Barcellona e il Bayern sono le squadre più forti, sono il Governo: non fanno loro le regole.
Lo stesso preciso ed elementare concetto vale qui: un disegno di legge Matteo Renzi-Maria Elena Boschi affligge questa riforma costituzionale di un peccato originale ineludibile. Dice Renzi: ma non le facevate le riforme. Scusate, Renzi è toscano come me: Toscana sovietica, Presidente. Io ho fatto tredici anni il consigliere regionale in Toscana: l'Unione Sovietica è un pallido ricordo rispetto alla uniformità dei provvedimenti del vecchio Partito Comunista, del PDS, del PD che è una vera corazzata Potëmkin. Quando abbiamo cambiato lo statuto in regione Toscana, la corazzata Potëmkin, i sovietici hanno escluso il Governo dalla formazione dello statuto; hanno dato la presidenza della commissione all'opposizione e la giunta partecipava con un suo esperto perché avevamo noi deciso di farli partecipare. Qui no: anche quello che hanno capito i cipputi di casa sua, non l'ha capito lui ? Ma vuole un altro esempio, Presidente ? Nel 1945 – io questo l'ho detto e ridetto – con l'Italia tutta in terra, con le bombe da tutte le parti, tedeschi, americani, guerra civile, morti in terra, miseria, c’è un Governo in cui ci sono tutte le forze, il Comitato di liberazione nazionale, da Togliatti a Badoglio, tutti monarchici e comunisti. Cosa gli costava a quel Governo unanime, in un momento di confusione di quel tipo, di abbozzare una Carta dei principi e di Costituzione che abolisse lo Statuto Albertino e facesse rinascere la democrazia con una Costituzione sia pure, date le emergenze, fatta da un Governo ? Non lo fecero. Ripeto: non lo fecero, Presidente, ma fecero eleggere un'Assemblea costituente perché anche con le bombe in casa, i morti e la fame capivano che un Governo non può mai indicare le regole.
E non lo capisce Matteo, non lo capisce il dottor Renzi, tanto meno l'onorevole Maria Elena Boschi, tutti e due dotati di una laurea come la mia, probabilmente con il massimo dei voti e la lode come me, ma si vede che leggono un altro libro che non è il libro della democrazia: è il libro del Governo, è il libro della decisione, sono fuori dall'abbecedario della politica. Guardate, lui poi direbbe: ma io ho promesso le riforme. È vero, è vero ma lui ha promesso quello che compete al Governo vale a dire, nell'ambito del programma di Governo, garantire un percorso per le riforme. Lui quello deve garantire: un percorso perché si facciano le riforme, ma non deve garantire le riforme con un suo disegno di legge perché, altrimenti, fa come Franceschiello, come un dittatorello, come il Premier dell'Ungheria – qualcuno l'ha nominato – che se le fa da sé. Io vi ho garantito le riforme: con il risultato, Presidente, che quando si cambia qualche cosa in Commissione su un emendamento – fra parentesi – del PD il mio voto è stato determinante su quella cosa lì famosa perché era il voto determinante di uno che partecipava al gruppo di Forza Italia senza esserne mai stato iscritto (voglio precisarlo perché io non ho mai avuto la tessera di Forza Italia e mai l'avrò in vita mia). Bene, lui cosa disse ? Che era stato messo sotto il Governo. La stampa cosa disse ? Che in I Commissione era andato sotto il Governo, cioè cosa si disse ? Che ogni cambio di regola, ogni cambio di maggioranza era un colpo al Governo. Allora le regole, la Costituzione, non sono le regole di tutti: sono un pezzo del programma di Governo che va mantenuto così perché il Governo deve sempre essere in maggioranza. Non bisogna essere scienziati per capire che il Governo non si mette mai sotto quando si cambia una regola ma, se si dice così, vuol dire che si pensa così. Allora mettere sotto il Governo significa fare le regole.
E inoltre l'ultimo aspetto che indica che scandalo sia questa riforma, ne parleranno i libri di storia. Nel procedimento costituzionale non solo si prevede la doppia lettura e Matteo Renzi si dice scandalizzato che la riforma è passata sei volte. È normale: quattro deve passare per forza; se vuoi cambiare due cose, sei volte diventano automatiche ma, siccome per la gente fa impressione che passi sei volte, dice che la riforma è passata sei volte e cosa succede ? Succede che è previsto, se non c’è una certa maggioranza, che il popolo decida, dal momento che i suoi rappresentanti non hanno trovato quella maggioranza così schiacciante che garantisca un'adesione popolare. State attenti che questo valeva anche per il proporzionale: con il premio di maggioranza sarebbe anche un po’ falsato questo ragionamento, ma non stiamo a disquisire su questo. E lui cosa dice, forse che siamo al momento terminale di un processo per riscrivere le regole nel quale il popolo decide se va bene o non va bene ? No, dice che è un plebiscito su di lui, sulla sua politica, ne fa una questione politica e afferma che se vincerà questo referendum, testualmente, «spazzerà via tutte le opposizioni» perché nella sua lettura di Governo le opposizioni sono dei grandi rompiscatole da spazzare via. E come le spazza via ? Lo fa nel momento in cui scrive le regole che dovevano essere le regole di garanzia delle minoranze e le regole di garanzia della democrazia che lui ha fallito e falsato facendosi lui il disegno di legge. Ma, guardate, penso che ne parleranno nei libri di storia di questa bestemmia e di questo obbrobrio. Se voleva fare una cosa rapida, faceva quello che diciamo noi presidenzialisti: si fa il Presidente della Repubblica, si abolisce subito il Senato, si fa la Camera di 500 membri e fine della fiera. Non ci volevano tanti arzigogoli per semplificare e per ridurre le spese: gli arzigogoli si fanno perché l'obiettivo è un altro, e passiamo al merito. Il merito...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURIZIO BIANCONI. ...un minuto di merito.
Il merito dice molte cose, fra le quali che il Senato non è abolito e, quindi, siamo alla «Costituzione truffa», che le province non sono abolite, sono abolite come costituzione, ma non sono abolite e ci dice, soprattutto, che novantacinque o cento persone, qualcuno di loro con doppia carica – contrariamente all'idea di un sedere una seggiola, qui si ha un sedere tre seggiole: sindaco della città metropolitana, senatore e sindaco della città, consigliere regionale o senatore –, tengono in ostaggio la Repubblica italiana, perché per cambiare la Costituzione, comunque sia, da quello pseudo Senato in cinquantuno devono dire «sì». E cinquantuno persone di quel tipo, consiglieri regionali, sono condizionabilissime.
Io concludo qui perché ho finito il tempo, ma, comunque, penso di aver reso il mio contributo per dimostrare la vergogna di questa cosa che stiamo facendo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gigli. Ne ha facoltà. Non essendo presente in Aula, si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Rizzetto. Ne ha facoltà. Non essendo presente in Aula, si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, signor Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come è noto, io non sono un fanatico delle riforme. Ricordo sempre il buon Marcora, che è stato un grande uomo politico italiano, che mi diceva che in Italia tutto quello che si riforma smette di funzionare e che prometteva che, vivo lui, il Ministero dell'agricoltura non sarebbe mai stato riformato. Questo perché ? Perché c’è una cultura illuministica delle riforme, la quale ignora che la realtà è fatta di uomini e che non basta imporre il modello teoricamente più bello, occorre anche che sia il modello adatto agli uomini che lo devono praticare. Vincenzo Cuoco, il grande storico dell'illuminismo napoletano, illuminismo anche dello storicismo napoletano, spiegava che le Costituzioni perfette non esistono. Lo spiegava contro i giacobini – lui era uno di loro politicamente, ma aveva idee diverse –, i quali volevano imporre a Napoli la Costituzione della Repubblica francese. Diceva che la Costituzione migliore è quella che corrisponde alla storia, ai pregi, alle virtù, ai difetti, ai vizi della popolazione che con quella Costituzione deve vivere. È come un abito da ritagliare sulla persona.
Per questo io non ho condiviso interamente la passione riformistica che ha travolto il nostro Paese e soprattutto – ma questo ci porterebbe lontano – la superstizione per la quale i sistemi elettorali generano sistemi politici. I sistemi elettorali possono facilitare l'evoluzione verso sistemi politici, ma sistemi elettorali i quali garantiscono sistemi politici e la formazione di sistemi politici non ce ne sono o ce n’è uno solo: quello del partito unico con il voto unico, ma non credo che nessuno desideri questo.
Nella mia lunga vita sono stato anche professore di scienza della politica. Dovessi presentare ai miei studenti il testo della nostra riforma, abbonderei in rilievi critici, in osservazioni su questa o quella imperfezione. Per la verità, c’è una cosa che condivido con il collega che mi ha preceduto: se noi vogliamo un sistema esecutivo forte, la cosa più semplice è fare un sistema in cui è eletto direttamente dal popolo il capo dell'Esecutivo. Separiamo il potere esecutivo dal potere legislativo e in questo modo rafforziamo l'Esecutivo in condizioni probabilmente di maggiore chiarezza dal punto di vista istituzionale. Mentre il tentativo di avere un Presidente del Consiglio che, però, ha poteri e caratteristiche che in altri Paesi hanno Presidenti della Repubblica è un'idea che non sembra essere molto convincente e si presta a numerose critiche. Questo è quello che io direi se dovessi parlare a un'assemblea di studenti. Siamo, però, in un luogo politico, non molto affollato per la verità, tuttavia in un luogo politico e in questo momento facciamo politica, non scienza della politica, ma politica in atto.
Questa riforma non è, a mio parere, la migliore riforma possibile in astratto, è la migliore riforma che abbia i voti per passare in questo Parlamento. Questo ci porta a dire che o la approviamo o rimandiamo il processo riformatore a un'altra legislatura.
Io, però, ho questa netta sensazione: in una repubblica, la quale ha un processo riformatore avviato, Presidente, da vent'anni – probabilmente non sono venti, sono di più –, noi abbiamo vissuto una progressiva delegittimazione delle istituzioni esistenti, accusate di essere incapaci di funzionare, accusate di nascere da una visione, la quale era tutta preoccupata – in parte è vero – della possibilità che la maggioranza abusasse del suo potere. Qual era il terrore dei democristiani nel 1948 ? Che vincesse Togliatti. Cosa mai avrebbe fatto ? E Togliatti, d'altro canto, era convinto – o dava a vedere di essere convinto, non sappiamo – che De Gasperi avrebbe instaurato una dittatura di destra. Quindi, più zeppe mettiamo sul percorso dell'Esecutivo, più lo condizioniamo, più gli impediamo di funzionare rapidamente, meglio è in quanto è una garanzia per la libertà.
Sono queste le preoccupazioni che abbiamo noi adesso ? Credo che oggi siano diverse. Dopo aver universalmente detto che la vecchia Costituzione non funzionava, perché mancava della capacità di decidere, che è essenziale in una democrazia moderna, noi non decidiamo nulla e rimandiamo tutto alla prossima legislatura. Questo può avere solo l'effetto di delegittimare ulteriormente un sistema che è già più che abbastanza delegittimato. Noi dobbiamo fare le riforme se vogliamo salvare la democrazia italiana, se vogliamo evitare che il livello di delegittimazione divenga totale. La caduta delle riforme è lo sfascio del tentativo della democrazia italiana di rinnovare se stessa. Cosa può accadere dopo non lo sappiamo.
Allora, io vi dico la mia valutazione politica, che è diametralmente opposta a quella da professore: noi dobbiamo approvare questo provvedimento, dobbiamo approvarlo per confermare la democrazia italiana. Potevamo farlo diverso ? Vent'anni fa potevamo farlo diverso. Per esempio, non abbiamo mica esaurito le potenzialità di un bicameralismo virtuoso. Sarebbero bastati accordi interistituzionali tra Camera e Senato per far funzionare le cose assai meglio, ma questo è acqua di ieri e l'acqua di ieri non macina più. Oggi siamo davanti a questa sfida.
Aggiungo che, a volte, quando sono più pessimista sulla qualità di questo testo, leggo qualche testo degli oppositori feroci della riforma, tra cui ricordo i colleghi Rodotà, Zagrebelsky e altri, e questo mi convince per lo più che vale proprio la pena di approvare questa riforma. Infatti, vedete, esiste in Italia la Costituzione, che io amo, che segna un momento alto di unità nazionale nella lotta contro il nazifascismo, in cui si ritrovarono cattolici, liberali, comunisti, socialisti, monarchici, badogliani e tanti altri ancora, se ce ne erano, e questa Costituzione che nasce dalla resistenza è la nostra Costituzione, però c’è anche un mito che è stato costruito su questa Costituzione. Mi dispiace che non ci sia più nessuno della destra, che poi sta alla mia sinistra, per ascoltare quello che voglio dire. È il mito azionista di una Costituzione che sarebbe stata la più avanzata del mondo. C’è dietro una tesi filosofica: il fascismo non è un male storico, ma il male assoluto – Croce era di diverso parere –, tutti quelli uniti contro il fascismo devono essere buoni – quindi, tra l'altro, i comunisti devono essere buoni – e, facendo una sintesi di comunismo e di democrazia liberale o, per altre versioni di comunismo e cattolicesimo, noi ci poniamo al di là delle contrapposizioni che hanno segnato il XXI secolo e costruiamo una democrazia qualitativamente superiore. Questo è un mito che è stato pernicioso per la democrazia italiana, perché ha trasformato il blocco dei poteri da «problema» in «valore», tanto che, al momento in cui bisogna rinunciare al blocco di poteri per avere livelli di efficienza simili a quelli di altre democrazie occidentali, questo viene visto come la violazione di tabù sacrale. Io penso, invece, – e credo che tutti noi ci avviamo a pensare – che la democrazia italiana è una democrazia occidentale, che deve funzionare più o meno come funzionano altre democrazie occidentali, se possibile meglio. Certo, mantiene un retroterra di valori che nascono dalla nostra storia – e quindi questa storia passa attraverso la Resistenza – ma che non possono essere convertiti in formule, le quali avevano un senso quando c'era la preoccupazione che, sulla base della Costituzione, sarebbe stata teoricamente possibile anche la costruzione del socialismo. Chi oggi seriamente in quest'Aula si ripropone di costruire il socialismo sulla base di questa Costituzione ? Questa destra, che adesso invece si trova così appassionatamente a difendere questo testo costituzionale, si rende conto del significato culturale che ha per l'Italia il fatto di fare un passo oltre, non dimenticando i valori di questa Costituzione, ma inserendoli più profondamente dentro le vicissitudini del processo costituzionale europeo ? Queste sono le ragioni per le quali noi abbiamo intenzione di votare a favore di questo provvedimento, ragioni tutte politiche: non votarlo significa sancire una disfatta, che non è la disfatta di Renzi, è la disfatta del processo riformatore italiano, ed entrare nel percorso di un'avventura assurdamente pericolosa. Poi credo che dobbiamo riflettere su di un altro fatto: raramente – o forse mai – le Costituzioni funzionano nel modo in cui pensavano coloro che le hanno scritte. C’è stata tanta malizia da parte di Renzi nello scrivere questa Costituzione ? Forse, e forse no, ma nessuno sa effettivamente come questa Costituzione funzionerà. Certo, avrà un impatto, rafforzerà il momento decisionale nella democrazia italiana, ma passerà attraverso una serie di vagli: passerà attraverso il vaglio della Corte costituzionale, passerà attraverso il vaglio dell'esperienza pratica delle modalità di funzionamento delle assemblee parlamentari, passerà attraverso il vaglio che sarà dato dalla necessità improrogabile – spero almeno adesso – di riformare i regolamenti parlamentari e, all'interno di questo processo, ci sarà spazio per fare le opportune correzioni di rotta. Segnalo un dato banale, però importante: il raccordo tra il nostro ordinamento e l'ordinamento europeo andrebbe fatto meglio, andrebbe precisato in modo più chiaro, anche perché, sulla base della legge n. 234, il Parlamento ha titolo per imporre delle condotte al Governo, per dirgli: tu ai Consigli dei ministri europei dai un voto condizionato; se non ottieni quello che noi ti chiediamo di ottenere, tu puoi votare ma solo dicendo che il mio voto è un voto provvisorio, devo tornare a casa e chiedere al Parlamento di convalidarlo. Chi è che dà, con la nuova Costituzione, questo voto ? La Camera o il Senato ? A leggere il testo, non è chiarissimo. Questa è una delle cose che andrebbero chiarite, come un'altra cosa che andrebbe chiarita è il tema della dichiarazione dello stato di guerra; basta leggere la Costituzione della Repubblica federale tedesca per vedere con quanta minuziosità si regola un provvedimento assolutamente straordinario, che non può essere affidato al voto di una delle Camere del Parlamento. Va fatto, coinvolgendo il più possibile, perché è una decisione terribile, drammatica. Certo si può dire che, in caso di un'aggressione, la quale impedisce di convocare (...) si prevedono anche le autorità sostitutive che potranno e dovranno intervenire. Si sceglie di far dichiarare lo stato di guerra dal Presidente della Repubblica, il quale otterrà prima il voto di Bundestag, Bundesrat e chi più ne ha più ne metta, se questo sarà possibile; se non sarà possibile, procederà direttamente. Ci auguriamo che questo rimanga un discorso meramente teorico, però viviamo in un tempo in cui l'idea della guerra e soprattutto il pericolo di guerre non dichiarate diventa sempre più vicino a noi, perché non stiamo avendo cura della pace, che non è qualcosa che viene da sé, è qualcosa che è coltivato dagli uomini e nel momento in cui non hai una politica europea che si prende cura della pace nel nostro immediato vicinato, i pericoli diventano grandi. Ho fatto due esempi, potremmo farne anche altri, ma questo verrà con il tempo. Adesso il problema è dare un segnale: il processo riformatore è chiuso, nuove istituzioni sono convalidate dal voto del Parlamento e – ci auguriamo – poi dopo consacrate dal voto popolare. Possiamo cominciare a lavorare con un Parlamento pienamente legittimato; non sottovalutiamo l'effetto di campagne di delegittimazione, che provengono dalle parti più diverse, le quali hanno portato gli italiani a perdere la fiducia nella democrazia.
Quando tutti i giorni una buona parte dei parlamentari di quest'Aula ripetono che questa sarebbe una Camera delegittimata, perché la legge elettorale andava cambiata e non è stata cambiata, ma vi rendete conto ? Quando poi invece da altre parti assistiamo ad eguali campagne di delegittimazione, perché il Presidente del Consiglio non è stato eletto dal popolo, quando peraltro la Costituzione vigente non chiede affatto che sia eletto dal popolo e dice che dipende dalla fiducia del Parlamento, in una situazione così ripristinare nella coscienza del popolo la chiarezza di un ordinamento costituzionale pienamente legittimo e convalidato dal voto popolare è condizione essenziale perché questa democrazia possa proseguire il suo cammino. Non dimentichiamolo, le dittature raramente nascono dalla malvagità dei dittatori; i dittatori raccolgono il potere che è per strada, perché classi dirigenti democratiche non sono state capaci di esercitarlo; è quando la democrazia non è capace di decidere che, allora, il popolo chiede: arrivi qualcuno che decida comunque, basta che decida. Vogliamo evitare questo ? Costruiamo una democrazia capace di decidere. L'altro grande problema che abbiamo è quello della corruzione e su questo abbiamo tante strumentalizzazioni, ma anche la necessità di riconsacrare da questo punto di vista la nostra vita democratica. Qui c’è un problema di rapporto con la magistratura per ottenere che le inchieste contro la corruzione non vengano strumentalizzate, che la magistratura recuperi interamente il suo prestigio, che è caduto in basso proprio per il sospetto, purtroppo non sempre immotivato e sempre ingiustificato, di una strumentalizzazione politica. Questa è un'altra questione sulla quale ovviamente questa riforma istituzionale non interviene ma sulla quale il Governo dovrà nel futuro concentrare la sua attenzione, se vogliamo ricostruire una democrazia funzionante. Mi permetto di aggiungere un altro tema che tocca la questione controversa della legge elettorale; non è un tema formalmente costituzionale ma un tema sostanzialmente costituzionale, come riconosce la maggior parte della dottrina. Noi abbiamo una legge elettorale che è stata fatta avendo in mente una immagine del Paese, un Paese con un bipolarismo imperfetto all'interno del quale quindi si poteva in qualche modo forzare, in modo da ottenere che uno dei due protagonisti avesse la maggioranza sufficiente per governare. Nel frattempo il Paese è cambiato; se voi guardate al panorama elettorale voi vedete nel migliore dei casi che il bipolarismo è diventato un tripolarismo; abbiamo tre poli, ma nella realtà lo spezzettamento è ancora molto più accentuato e questo è uno dei motivi che spingono i cittadini a non votare e a non intervenire nel processo elettorale. Una revisione forse sarebbe saggia, non sarebbe un cedimento alle pressioni di questo o di quello, ma sarebbe la capacità di adattare l'abito a un bambino che è cresciuto e che oggi ha caratteristiche diverse da quelle del momento in cui l'abito è stato fatto. Permettere la formazione di coalizioni con le opportune garanzie per la stabilità dell'Esecutivo è sicuramente un tema su cui occorre fare una riflessione, anche perché chi studia questi processi sa che, quando si hanno dei partiti che hanno maggioranze troppo ampie, come partiti, inevitabilmente la società, che cerca espressione, la cerca all'interno del partito, provocando fenomeni scissionistici, fenomeni di secessione, che rendono il sistema egualmente ingovernabile o più ingovernabile che se tempestivamente si fosse provveduto a istituzionalizzare la coalizione. Credo che sarei stato disonesto se non avessi aggiunto questa considerazione, perché i due processi, anche per il modo in cui abbiamo scelto di portarli avanti, si tengono assieme. Non è un ricatto, non è una minaccia, è una riflessione che mi auguro stimoli da parte del Governo una riflessione e anche un'apertura di dialogo, perché è un tema assolutamente da non sottovalutare. Qual è il rischio altrimenti ? È quello del consolidarsi di un sistema in cui si hanno fenomeni di radicalizzazione su ambedue le estreme: la Repubblica di Weimar crolla quando c’è una radicalizzazione a destra e una radicalizzazione a sinistra, tanto che al centro non è più possibile aggregare una maggioranza.
Siamo sicuri che il premio di maggioranza, così come è stato pensato, sia adeguato e sufficiente a escludere questo rischio e che, invece, non sia necessario dare la possibilità, a diverse componenti del centro, di esprimersi e di ritrovarsi assieme per costruire quell'argine di cui abbiamo bisogno contro i rischi del populismo ? Con questo, confermo la nostra decisione di votare a favore di questo provvedimento, di questa riforma costituzionale .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cozzolino. Ne ha facoltà.
EMANUELE COZZOLINO. Signor Presidente, rappresentante del Governo e colleghi deputati, quando un'Assemblea elettiva, rappresentativa della volontà popolare, si accinge a compiere l'ultimo atto di un processo di approvazione o di un'ampia riforma come questa, nella Costituzione si tratta di un momento solenne, alto. Si potrebbe arrivare a dire che quel momento racchiude in sé l'essenza migliore della democrazia. Quando si approva una Costituzione o la si riforma in maniera significativa, o si deforma, non tutti i membri dell'Assemblea deliberante condividono il testo che si sta per approvare, ma, a differenza del procedimento legislativo ordinario, sono consapevoli che il loro dissenso è di natura diversa da quello che si può verificare nella ordinaria contrapposizione tra maggioranza e opposizione. Ciò avviene perché, solitamente, quando si pone mano ad una Costituzione, che è la Carta fondamentale, lo si fa con una procedura attenta e ponderata, con un metodo volto a ricercare un consenso assembleare largo, una condivisione ampia, la più ampia possibile, perché non si sta decidendo su una questione meramente politica, ma si stanno definendo le regole del gioco che si chiama democrazia. Poiché, una volta approvate, le regole valgono per tutti, è necessario che queste regole siano frutto di un lavoro per quanto possibile comune e condiviso.
Ovviamente, condivisione ampia non significa unanimità. È naturale che alla fine di un lungo percorso si debba giungere a sintesi, ma, se il percorso è stato appunto comune, se c’è stata la volontà costante di dialogo, di trovare una sintesi, anche chi si ritrova a dissentire, lo fa con uno spirito diverso da quello ordinario. Chi, in questi momenti di grande riforma, non vota la riforma, è a suo modo compartecipe della grandezza dell'evento. Questo avvenne nella Costituente eletta il 2 giugno del 1946, ciò purtroppo non avverrà qui alla Camera dei deputati. L'Aula è la stessa, ma molto diversa è la situazione e, soprattutto, il clima politico. La Costituzione del 1948 fu condivisa dai grandi partiti di massa (DC, PCI, PSI) e da altre formazioni minori. Vi fu chi, quella Costituzione, non la votò, perché non ne condivise alcuni istituti, ma tutti furono consapevoli che quella legge fondamentale sarebbe stata indispensabile per la vita futura della giovane Repubblica, venuta finalmente alla luce dopo il ventennio di dittatura fascista, nata sulle rovine e sulle morti della seconda guerra mondiale e ancora profondamente lacerata da una guerra civile, in cui italiani hanno odiato e combattuto altri italiani. Oggi, come ho detto, non è così. Oggi in quest'Aula è difficile sentirsi tutti coperti e garantiti da questa nuova Costituzione. Oggi, colleghi, è un momento triste, una brutta pagina di quella Repubblica nata nel 1946 e che nel 1948 vide entrare in vigore la Costituzione, ancora vigente per fortuna.
Personalmente, da componente della Camera dei deputati, ma anche della I Commissione, mi rattrista proprio che alla Camera dei deputati spetti esprimere l'ultima deliberazione in senso cronologico, che, almeno per quanto riguarda la via parlamentare, archivia la Costituzione vigente. Questo stato d'animo, questa tristezza, questo radicale dissenso, più che dal contenuto vero e proprio della legge di riforma costituzionale, nasce dal metodo utilizzato fin dalla prima lettura, dalla strada che ci ha portato fino a qui oggi. Le due precedenti ampie riforme costituzionali – quella del centrosinistra, che riformò il Titolo V, e quella successiva del centrodestra, che poi non fu confermata al referendum – purtroppo non hanno insegnato nulla. Molte volte, dopo quelle due esperienze, si era detto: mai più riforme della Costituzione a maggioranza, salvo poi procedere a maggioranza per questa riforma e farlo in un modo come non era mai accaduto.
Questo Governo e la maggioranza, che ruvidamente tiene al guinzaglio fin dal primo momento di questo hanno avviato non un dialogo, non una riflessione ampia e condivisa, ma una prova di forza e uno scontro continuo. Noi abbiamo provato, in Commissione, qui nell'Aula della Camera e al Senato, a tentare di portare un dialogo, ma il Governo è stato sordo, sordo. Anche durante il Governo precedente, il Governo Letta, il nostro gruppo non ha fatto sconti sul primo atto propedeutico a quella che avrebbe dovuto essere la riforma costituzionale epocale.
Davanti alla proposta di derogare alla procedura prevista all'articolo 138 dai nostri saggi costituenti, alcuni nostri colleghi arrivarono al gesto eclatante di salire sul tetto di questo Palazzo. Ci hanno dato dei bambini, dei ragazzini, magari in futuro quell'atto lì sarà scritto nei libri di storia e magari ci ringrazieranno. Ciò detto, il Presidente Letta e l'allora Ministro per le riforme, Quagliariello, non ebbero mai quell'atteggiamento di protervia istituzionale, che, invece, il Governo Renzi ha mostrato fin da subito. Un episodio in questo senso è molto indicativo: il rapporto con la cosiddetta dottrina. Il Governo Letta aveva voluto costituire un Comitato di saggi; al contrario, la cifra del rapporto con la dottrina, da parte di questo Governo, è stata ben riassunta dall'espressione sbrigativa e infastidita della Ministra Boschi.
Con questo non voglio dire che le forze politiche rappresentate in Parlamento debbano sottostare a quanto viene sostenuto dai costituzionalisti, ma la differenza che ho voluto citare è indicativa di una determinata filosofia e di un atteggiamento di questo Governo. Per dirla fuori dai denti, il Presidente del Consiglio non ha considerato la riforma costituzionale come una legge fondamentale dello Stato, ma, al di là delle tante parole che ha pronunciato, fin dall'inizio ha visto e interpretato questa riforma come un fantastico per se stesso. Il testo, poi, è anche un testo governativo e non parlamentare. Il Presidente del Consiglio ha pensato alla riforma della Costituzione come a un costituzionale per corroborare l’ #cambiaverso – torniamo al fascismo ? Spero di no –, per dare sostanza alla narrazione che lui sarebbe stato colui che avrebbe portato a termine una riforma che non si riusciva ad approvare da un trentennio e che questo risultato sarebbe stato tenuto correndo e andando avanti come uno schiacciasassi, disinteressandosi del contenuto e della qualità della riforma, ma guardando soltanto allo striscione del traguardo e ai «mi piace» su . Ecco perché, nelle varie letture di questo testo, ovviamente, nel testo finale abbiamo visto tutti di tutto e di peggio.
Si è spesso ironizzato sulla definizione che la Costituzione è la più bella del mondo, data quella vigente; anche un noto comico italiano lo diceva, ma se lo è dimenticato. Di certo, la riforma che tra qualche giorno approveremo, questo rischio non lo correrà mai, perché a nessuno verrà mai in mente di dire che è bella e, soprattutto, perché ben presto mostrerà, purtroppo, tutti i suoi limiti. La Costituzione del 1948 è stata spesso definita la Costituzione dei professorini, facendo riferimento ai giovani professori eletti nella DC, con la riforma dell'accordo sull'articolo 7 tra i vari Togliatti e De Gasperi. Questa sarà la riforma dei canguri Kocijancic e della seduta fiume, della seduta notturna, imposta dalla maggioranza per punire e silenziare l'opposizione e concessa da una Presidenza troppo debole e timorosa. Io, mi ricordo, ero qua e ho interrotto anche il Presidente Renzi, che pensava di essere al bar.
La Costituzione del 1948, a differenza delle leggi che poi sono seguite, è un esempio insuperabile di chiarezza normativa, un testo che chiunque può leggere e capire, perché a questo serve la Costituzione. Gli articoli che entrano in vigore in molti casi sono talmente contorti e in alcuni casi incomprensibili, che, al confronto, i tre commi inseriti nella legge di stabilità del 2015 su Tempa Rossa sembrano una filastrocca per bambini. Dunque, nella Costituzione del 1948, poche parole: 1857 singoli lemmi, al 74 per cento presi dal vocabolario di base, articoli concisi e con un numero limitato di commi. L'articolo 55 della Costituzione attualmente si compone di soli due commi. L'articolo 1 lo fa lievitare a sei e introduce termini vaghi, politichesi, dei quali non si capisce bene la portata normativa. Proprio il comma che è oggetto del nostro esame: «esercita funzioni di raccordo», «valutare e verificare una politica»: che vuol dire in concreto ? Passeranno decenni a interpretare queste parole.
Questa è anche una Costituzione innovativa, cari colleghi, perché i meriti, quando ci sono, vanno riconosciuti: infatti, introduce una legge che non esiste, una non meglio nota legge della Repubblica, anziché dello Stato. Mi riferisco all'articolo 35 di questo disegno di legge. Si dirà che è una questione veniale e che nel merito non sposta nulla; peccato che stiamo parlando della Costituzione: quante volte ci viene ripetuto che la forma è sostanza ? Ma qua, a quanto pare, neanche per la legge fondamentale dello Stato viene rispettata. Questa riforma costituzionale non mi piace, non ci piace, lo abbiamo detto in ogni occasione e in tutte le salse nel corso del precedente esame del testo, che poi è stato modificato al Senato, e lo ribadiamo ora, in questo esame in cui gli spazi di manovra sono angusti per l'avvenuta approvazione in doppia conforme di un gran numero di articoli.
Tra gli aspetti più perniciosi e, a nostro avviso, potenzialmente pericolosi di questa riforma, c’è, in particolare, la riforma del Senato della Repubblica e il superamento dell'attuale bicameralismo paritario. Il Senato della Repubblica viene svuotato di qualsiasi funzione di rilievo nel processo legislativo e non solo, e questo salasso di funzioni, di potere e di autorevolezza viene operato già dall'articolo 1 di questa riforma, che riforma – ma non sarebbe più opportuno dire deforma ? – l'articolo 55 della Costituzione.
La composizione del nuovo Senato della Repubblica, ma soprattutto le modalità con le quali nuovi senatori saranno eletti, costituiscono la seconda maggiore criticità di questa riforma complessiva della Costituzione, che purtroppo, andata in porto con questa lettura, salvo imprevisti oggi non ipotizzabili, potrà dirsi chiusa per quanto riguarda la formulazione del testo definitivo.
Certamente il problema maggiore consiste nello svuotamento dei poteri a danno del Senato, una Camera che di fatto non legifera, non concede fiducia al Governo e che si trova costretta a muoversi in maniera estremamente rapida per poter disporre di quelle poche funzioni che gli sono state attribuite. Diviene una sorta di vittima predestinata, ad essere composta da membri non eletti direttamente dai cittadini, bensì con elezioni in secondo grado, come è successo per le province, che sono ancora lì vive e vegete e non sono state abolite, così come il Senato, che si diceva due anni fa di voler abolire. Dunque un Senato, che ambiva, almeno nei progetti iniziali ad essere una Camera dei territori in sostituzione della Conferenza Stato-regioni, vedrà i cittadini tagliati fuori dalla possibilità di stabilire in forma diretta e certa, tramite il proprio voto, chi dovrà andare a svolgere il ruolo di senatore, anche nella nuova versione disegnata da questo progetto di legge costituzionale.
Il disegno che si punta a realizzare è fin troppo chiaro purtroppo; è evidente la volontà di concentrare tutto il potere nelle mani di una singola figura, il Presidente del Consiglio, e di qualche suo stretto collaboratore o . Gli architravi di questo progetto sono, ovviamente, il monocameralismo di fatto, che stiamo vivendo anche se siamo ancora in bicameralismo, che questa riforma disegna, ed una legge elettorale di quell'unica Camera politica con un sistema iper-maggioritario, che garantisce ad un'unica lista, anche con pochi voti, di conquistare la maggioranza assoluta, sempre che non si cambi la legge sotto elezioni magari guardando qualche sondaggio. Poiché l'obiettivo è quello di dar vita a un sistema dove il manovratore, che oltre ad essere il Capo del Governo è anche il capo del partito di maggioranza, e dunque colui che decide le candidature, non deve essere disturbato, qualsiasi ipotesi di voce discorde non è gradita. Proprio per evitare che vi siano voci discordi, ancorché prive di poteri reali e di possibilità di incidere, si è scelto scientemente di impedire ai cittadini di poter eleggere direttamente il Senato, anche un Senato assolutamente pletorico come quello disegnato da questa riforma. La scelta è a nostro avviso sconsiderata, anche perché un esempio in questo senso lo abbiamo già potuto testare, come dicevo prima, e mi riferisco alle elezioni dei nuovi consigli provinciali e consigli metropolitani, organi in cui i politici non sono eletti direttamente dai cittadini, ma che dovranno amministrare, bensì da altri politici pari a loro. Elezioni di questo tipo, in applicazione della cosiddetta riforma Delrio, si sono già svolte, come pure si sono svolte campagne elettorali e sono stati stretti accordi, passati tutti sopra la testa dei cittadini, destra e sinistra insieme, e a loro sconosciuti, anche se saranno proprio i cittadini a subirne le conseguenze. Noi abbiamo deciso di non partecipare, tranne che nelle città metropolitane perché vi sono già i nostri attivisti. Ovviamente si è andati in direzione contraria; la riforma costituzionale servirà a sancire anche questa ennesima offesa alla sovranità popolare.
Questi e molti altri temi di critica sono stati sollevati nei precedenti passaggi da parte del mio gruppo, quando vi era ancora la possibilità di apportare modifiche. Oggi purtroppo è tardi, non vi è più la possibilità di modificare nulla, ma solo di approvare o respingere in blocco, e, dunque, anche la critica, per quanto possa essere fondata e circostanziata, scolora al mero atto di testimonianza: un'approvazione a scatola vuota, diremmo.
Prima di chiudere, però, mi si consenta di fare un cenno a una parte che può apparire secondaria, ma secondaria non è. Si tratta delle disposizioni transitorie dell'articolo 39: più che di un articolo normativo si tratta di un obbrobrioso pasticcio. Anche sulla nuova legge di elezione indiretta per il Senato ci si premura di garantire un'elezione a senatore dei consiglieri regionali, che non potrà tener conto in alcun modo della volontà popolare. Per non parlare poi del groviglio di disposizioni che dovrebbero prevedere la possibilità di un vaglio anticipato di costituzionalità sulla legge elettorale. Colleghi, purtroppo ci accingiamo a passare a breve dalla Costituzione più bella del mondo ad una delle leggi di riforma costituzionale tra le più brutte e confuse del mondo. Avremo questo primato. Questo, al di là delle chiacchiere e degli è la vera cifra del Governo Renzi, il suo vero volto. Un Governo che corre certamente, che soffre di «annuncite», ma che potrebbe inciampare e fare molto male a questo Paese. Noi, come abbiamo sempre sostenuto, ci opporremo a questa modifica della Costituzione, che non è stata la più ampia possibile, che è stata sorretta al Senato da maggioranze variabili, non garantite dai due terzi perché, ovviamente, al Senato non c'era la maggioranza. La prossima battaglia sarà nell'informare i cittadini sugli effetti di questa riforma quando ci sarà il referendum, che fortunatamente non ha il . Chi è interessato a difendere la Costituzione andrà a votare, e con l'unico potere che ancora ci rimane in mano, la matita nella cabina elettorale, andremo a votare; prima di tutto su questo referendum che ci sarà domenica prossima, su cui il Governo ha fatto in modo che i cittadini non si esprimano.
Quindi, dopo aver abolito l'elezione delle province e tolto il diritto di voto ai cittadini, dopo che verrà abolito il diritto dei cittadini al voto per il Senato, almeno il referendum andiamo a votarlo e diamo un segnale che questo testo di riforma non ci piace .
PRESIDENTE. Colleghi, vorrei condividere con voi la decisione. Noi abbiamo un ampio margine di guadagno sui tempi, perché tra le persone iscritte a parlare che si sono cancellate e quelle che sono decadute perché non presenti in Aula, abbiamo praticamente acquisito un ampio margine di circa due ore e mezza su quanto avevamo previsto; quindi, se siete d'accordo, io direi di prenderci una pausa leggermente più compatibile sospendendo la seduta e riprendendo i nostri lavori alle 14,30. La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. La seduta è ripresa con qualche minuto di ritardo ed è responsabilità del Presidente, di cui mi scuso. Ho avuto un inconveniente.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Fabrizio Di Stefano, Fiorio, Oliverio e Zaccagnini sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Locatelli. Ne ha facoltà.
PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signor Presidente. Il Paese ha bisogno di questa riforma e ne ha bisogno da tanto tempo. Infatti, noi socialisti abbiamo posto il tema della grande riforma nel 1979; sono passati 37 anni e il nostro impegno è di portare a compimento questo processo. Tutti, io credo, dobbiamo impegnarci, a partire dal Presidente del Consiglio.
Come abbiamo già detto qui alla Camera, ma anche in altre occasioni, il disegno di legge di riforma costituzionale, che ci accingiamo a votare per l'ultimo passaggio parlamentare, non è propriamente quello voluto dai socialisti: non lo è nei contenuti, migliorati comunque nei passaggi tra Camera e Senato, e non lo è per il metodo. Sarebbe stato senza dubbio meglio, come avevamo proposto ad inizio legislatura, adottare la strada maestra di un'Assemblea costituente che, svincolata dall'esame di altri provvedimenti, avrebbe potuto dedicare più tempo e andare più in profondità, in un clima complessivo di maggiore serenità, pur senza escludere il confronto, se necessario anche aspro. Purtroppo, siamo rimasti gli unici a sostenere la necessità di questo percorso e ne prendiamo atto.
Nel corso dei precedenti passaggi parlamentari abbiamo sollevato dubbi e criticità, ma evidenziato anche la positività – le positività – della riforma, prima fra tutte il superamento del bicameralismo paritario. È soprattutto questo aspetto che ci induce ad esprimere il nostro voto favorevole. Più in dettaglio, sul merito dei contenuti mi soffermerò nel corso della dichiarazione di voto. Oggi intendiamo dire, in particolare al Presidente del Consiglio – e chiedo ai rappresentanti del Governo qui presenti di riferire questa parte del mio intervento –, che siamo preoccupati, molto preoccupati per la sopravvivenza di questa riforma, che deve rispondere a tante obiezioni e critiche, alcune fondate altre certamente meno, ma riforma che deve difendersi da nemici palesi e, paradossalmente, perfino da alcuni suoi sostenitori. Il problema è che il Presidente del Consiglio si è esposto in prima persona e ha strettamente legato l'esito del referendum di ottobre alla durata del suo Governo. Un legame enfatizzato che paradossalmente mette a rischio la riforma stessa, in quanto costituisce una piattaforma unificante tra il fronte di coloro che non ne condividono i contenuti e coloro che vedono nella vittoria del no un'occasione unica per far cadere il Governo Renzi. Il loro obiettivo è assestare un colpo anche al Partito Democratico e all'attuale maggioranza, nell'ottica di un ricambio a Palazzo Chigi o di un ricorso anticipato alle urne. Tra questi anche alcuni di coloro che della riforma condividono i contenuti. Questo fronte è destinato ogni giorno che passa ad ampliarsi e ad irrobustirsi e questo ci preoccupa molto.
Se questa riforma serve al Paese, come noi pensiamo – e serve perché supera il bicameralismo paritario, introduce il Senato delle regioni, stabilisce norme per il riequilibrio della rappresentanza di genere, che sono tutti elementi positivi –, allora essa deve essere approvata a prescindere dalle sorti politiche di Matteo Renzi e del Governo che egli presiede, che naturalmente continuiamo a sostenere lealmente.
Noi socialisti riteniamo che si debba scollegare, per quanto possibile, l'esito del referendum dalla vicenda politica intesa in senso largo, in modo che una vittoria eventuale del no al referendum non significhi una rinuncia alla riforma, ma possa rappresentare un pressante invito a ripensarla, correggerla e modificarla, altrimenti si dovrebbe ricominciare daccapo dopo quasi quarant'anni.
Certo, sarebbe una battuta d'arresto per la maggioranza, ma non affosserebbe automaticamente la riforma. E, allora, trasformare il voto referendario in una sorta di plebiscito personale è un errore che abbiamo già visto fare ai Governi passati – Governo D'Alema – e che non porta nulla di buono, non tanto per la maggioranza e per il Governo ma per il Paese. Siamo convinti che questa riforma sia utile e non vorremmo che elettori ed elettrici leggessero il quesito come un voto pro o contro il Presidente del Consiglio, finendo, loro malgrado, per rinunciare ad un traguardo così importante e atteso da così tanto tempo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Parisi. Ne ha facoltà. Però prima, colleghi, voglio informarvi di una decisione che ho preso. Vi sono state alcune persone che si erano cancellate prima e alcune persone che sono decadute. Allora, io direi, vista anche l'importanza del dibattito, che, organizzandolo ovviamente con i tempi che abbiamo previsto per la giornata di oggi, il Presidente farà un'eccezione e farà in modo che un po’ tutti riescano a parlare e magari coloro che sono decaduti e che hanno rinunciato parleranno un po’ meno di quanto non avevano previsto, in modo che così tutti possano dare il loro contributo. Prego, onorevole Parisi, e le chiedo scusa.
MASSIMO PARISI. Prego, Presidente, la ringrazio. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il dibattito che stiamo svolgendo oggi, e che si concluderà con il voto di questa Camera in questa settimana, è certamente destinato a superare i confini della cronaca. Ci apprestiamo, infatti, a dare il penultimo suggello – l'ultimo sarà il referendum costituzionale dell'ottobre prossimo – ad uno storico tentativo di riforma della Carta costituzionale. Questo è il punto (o dovrebbe esserlo), questo è l'argomento (o dovrebbe esserlo), ma di questo, temo, non si vorrà parlare, se non marginalmente, né in questo dibattito né nelle giornate che ci attendono, per le quali sono già annunciate forme di ostruzionismo. Ci sono, evidentemente, forze politiche che non vogliono che si affronti questo dibattito, che non vogliono il cambiamento della Carta costituzionale, affette forse da una sorta di amnesia selettiva...
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Parisi. Chiedo scusa, ma il Governo dovrebbe... grazie mille. Prego.
MASSIMO PARISI. ...affette, dicevo, da una sorta di amnesia selettiva e che, in virtù di tale perdita di memoria, hanno improvvisamente dimenticato il dibattito quarantennale sulla riforma della Costituzione. Ci sono, poi, alcune forze politiche più recenti che hanno dimenticato il dibattito ventennale, dalla loro discesa in campo in poi, per la riforma e l'ammodernamento delle istituzioni repubblicane.
Noi non abbiamo cambiato idea e, posti di fronte alla scelta tra la nostra coerenza e il nostro partito, abbiamo scelto la nostra coerenza, abbiamo scelto le riforme: per questo è nata Alleanza Liberalpopolare Autonomie. Siamo qui, dunque, per confermare il nostro sì; siamo qui per confermare il nostro impegno al prossimo referendum costituzionale dell'ottobre, quando saranno gli italiani a dire l'ultima parola. Lo faranno, ne siamo certi, con la loro intelligenza, con il loro pragmatismo, senza salire sui tetti di palazzi pubblici, senza strepiti; si esprimeranno, invece, con il loro voto, la forma più alta di partecipazione democratica.
Gli italiani sono certamente meglio di noi, sono meglio della classe politica che li rappresenta e forse hanno anche memoria della nostra storia, della storia di quarant'anni di tentativi di cambiamento della Costituzione, perché cambiare la Costituzione si può. Si può perché lo hanno deciso i padri costituenti, si può perché proprio loro, che la scrissero, dissero che non era perfetta e basta sfogliare qualche pagina del dibattito alla Costituente per averne conferma. Cambiare la Costituzione si può perché sono passati 70 anni dalla proclamazione della Repubblica e 68 dalla promulgazione della Carta costituzionale; si può perché quando è stata scritta il Paese usciva da una guerra devastante e da un ventennio di dittatura; si può perché la Carta costituzionale è già stata cambiata 15 volte; si può perché sono passati 33 anni dalla Commissione bicamerale Bozzi, 23 dalla Commissione bicamerale De Mita-Iotti, 19 dalla Bicamerale D'Alema, quella del «patto della crostata». Anche quella fu, come le altre, una Commissione per la riforma della Costituzione e non per decidere il gusto della marmellata della crostata. Si può perché in Francia la Costituzione è stata cambiata nel 1958, nel 1962, nel 2003 e nel 2008; perché in Germania in 64 anni è stata modificata 58 volte, le più significative nel 1968 e nel 2006; perché in Spagna la Costituzione, pur relativamente giovane (è del 1978), è stata cambiata nel 1992 e nel 2011.
Venendo ai contenuti della riforma, era o no una delle istanze presenti nel Paese quella della riduzione del numero dei parlamentari ? Con questa riforma diventiamo uno fra i Paesi più virtuosi d'Europa da questo punto di vista. Era o no uno dei temi centrali del dibattito e anche dei tentativi di riforma che ci sono stati il superamento del bicameralismo paritario ?
Certamente lo era ed è scritto nelle molte proposte di riforma, è scritto ad esempio nei programmi di Forza Italia fin dalla sua nascita ed era scritto anche nei programmi dei primi Governi di centrodestra della storia della Seconda Repubblica tanto che a prevedere un Senato elettivo con elezioni di secondo livello ed espressione delle autonomie territoriali era stato il comitato Speroni, primo Ministro delle riforme della Lega, non il babbo di Renzi. Era il 1994: ventidue anni fa. Ma questa è solo una delle tante contraddizioni cui abbiamo assistito in questo lungo cammino che ci ha portato fin qui: lungo, sì, perché questo percorso formalmente è cominciato 734 giorni fa e per arrivare al referendum ci vorranno complessivamente oltre novecento giorni ma è un conto riduttivo perché formale perché il contatore andrebbe fatto partire dal comitato dei saggi istituito dal Presidente emerito Giorgio Napolitano. Per la verità andrebbe fatto partire negli anni Ottanta. Ecco l'Italia ha aspettato abbastanza, il dibattito sulla riforma costituzionale è stata una specie di «bradipomachia»: altro che deriva autoritaria ! Sarebbe la prima deriva autoritaria che ha impiegato quasi quarant'anni per realizzarsi. Sarebbe una deriva autoritaria al . Diciamo che magari il dibattito non sempre è stato all'altezza ma chi accusava il Patto del Nazareno per il fatto che era stato concordato fuori da quest'Aula dovrebbe forse andare a rileggersi i dibattiti di queste sei letture parlamentari e fare un po’ di sana autocritica. Io non so se la coerenza in politica sia un merito. So però per certo che le contraddizioni in politica si pagano. Chi oggi bolla come autoritaria questa riforma ha contribuito a scriverla e l'ha pure votata in prima lettura al Senato. Chi afferma che è scandalosamente non democratico che una riforma costituzionale parta con un disegno di legge del Governo dovrebbe forse ricordare che la riforma del 2005, quella del centrodestra poi bocciata dal referendum costituzionale, partì proprio con un disegno di legge del Governo e la prima firma era quella di Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, la seconda di Gianfranco Fini, vice Presidente del Consiglio, la terza quella di Umberto Bossi, Ministro delle riforme. E coloro che sono approdati in quest'Aula in questa legislatura e si proponevano di aprire questo Parlamento come una scatoletta di tonno, si sono asserragliati sui tetti di questa Camera per difendere il bicameralismo paritario, per difendere il Senato elettivo, per difendere quella storia che ci ha regalato 63 Governi e 27 diversi Presidenti del Consiglio in settant'anni di storia repubblicana. Chi sostiene che questa riforma ci porterà alla dittatura ritiene allo stesso tempo che occorre abolire dalla Costituzione il divieto di mandato imperativo e ciò senza essere sfiorato dal sospetto che il divieto di mandato imperativo serve proprio ad impedire le involuzioni della democrazia. E se allarghiamo lo sguardo anche alla collegata riforma della legge elettorale, la fiera delle contraddizioni si allarga a dismisura: ci sono forze politiche che hanno chiesto in diretta al segretario del Partito Democratico una legge elettorale con le preferenze e con il premio alla lista anziché alla coalizione e che poi contestano la legge elettorale che contiene le preferenze ed il premio alla lista. C’è invece chi sostiene che con questa legge elettorale potrebbe accadere un disastro per il Paese nel senso che il Governo potrebbe essere conquistato da una forza cosiddetta antisistema come il MoVimento 5 Stelle. Ora uno può essere anche d'accordo nel considerare questa ipotesi come nefasta per il Paese, però francamente non si può sostenere contemporaneamente che Renzi si è fatto la legge elettorale su misura e che la legge se l’è fatta apposta per perdere perché neanche il dittatore dello Stato libero di «Bananas» si sarebbe scritto una legge per far vincere il proprio avversario. Delle due l'una: o non è una legge autoritaria o non possono vincere i Cinque Stelle. Certo neanche noi sosteniamo che questa è la riforma perfetta. Si poteva fare certamente di più e meglio e per quel che ci riguarda avremmo preferito interventi incisivi sulla forma di Governo, magari che si lavorasse su un'impostazione presidenzialista e ci fanno piacere a questo proposito le aperture che sul tema ha fatto nelle settimane scorse il Ministro Boschi. Tuttavia gli sviluppi di questo dibattito e il fatto che probabilmente nelle prossime ore in quest'Aula sentiremo parlare di trivelle, di di petrolio, di tutto meno che di norme costituzionali, ci induce a pensare che nelle condizioni date forse è stato fatto il massimo possibile. Certo qualche compromesso al ribasso poteva essere evitato perché non so – lo dico con franchezza – a cosa siano servite certe mediazioni per rispondere al congresso permanente del Partito Democratico visto che poi comunque abbiamo assistito a dichiarazioni di voto al Senato di questo tenore: voterò sì alla legge costituzionale di riforma ma voterò no al referendum costituzionale. Infatti le contraddizioni di questo dibattito evidentemente non riguardano soltanto le opposizioni. Ce ne stanno molte anche dentro il partito che esprime il Presidente del Consiglio e mi immagino che di qui ad ottobre assisteremo, come già è stato per i referendum sulle trivelle, a un florilegio di posizioni: sì, no, forse o magari sì se prima si fa la legge per l'elezione dei senatori, come se avesse un senso farla prima che gli italiani si siano espressi sulla riforma madre. Ora, di fronte a questo stato di cose, per parte nostra, abbiamo fatto una scelta di coerenza e siamo stati accusati di trasformismo ma il vero trasformismo è quello di chi cambia le proprie opinioni in funzione dell'opportunità politica, non quello di mantenere la coerenza delle proprie in funzione dell'interesse del Paese.
Per dirla con Giovanni Soriano: «Alcuni sono capaci di contraddire tranquillamente le proprie opinioni quando sono sulla bocca altrui». Noi non apparteniamo a questa schiera e siamo soddisfatti che queste riforme portino anche il timbro della nostra storia, la storia di Forza Italia e del centrodestra. Siamo soddisfatti e dispiaciuti allo stesso tempo: dispiaciuti perché proprio non capiamo quale demone si sia impossessato dei vertici di quello che fu il nostro partito, di quella che è stata la nostra storia, quale idea di sviluppo e di Paese sta dentro una visione che dice «no» a quelle riforme che per anni abbiamo cercato così come – forse è ancor più paradossale – quale idea di sviluppo e di Paese c’è dietro la scelta di sostenere le ragioni del «sì» al referendum sulle trivelle. È andata così, pazienza. Dobbiamo però portare a termine questo percorso: non sarà un successo personale del Presidente del Consiglio, sarà un successo della buona politica e della migliore tradizione del riformismo di questo Paese. Riformismo già, questa strana parola che in Italia ha sempre avuto una valenza di serie B. Ebbene chi oggi si impegna nella difesa del mantenimento dello sa benissimo che questo non vuol dire lasciare le cose immutate: significa solo la resa della politica, significa che saranno altre forze – altre rispetto alla politica – a controllare il cambiamento. Chi vuole, invece, ripristinare il primato della politica oggi sa da che parte stare e noi di Alleanza Liberalpopolare Autonomie pensiamo di saperlo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, sento particolarmente forte il dovere di prendere la parola in quest'Aula di fronte ad un passaggio istituzionale riformatore così incisivo e vorrei avvertire subito che l'attività del legislatore mal si accorda con quella del tifoso. La ricerca della sintesi tra i diversi interessi particolari che sono legittimamente in campo e la necessaria prevalenza dell'interesse generale inducono inevitabilmente a mediazioni che non possono non scontentare un po’ tutti ma che non per questo sono meno necessarie. A ben vedere questa è l'essenza della politica. Esse rappresentano forse la stessa essenza della democrazia. Chi pensa ad esempio che tutte le ragioni siano dalla sua parte, chi individua il male assoluto nell'avversario politico e il bene assoluto nel proprio campo può tranquillamente sentirsi a proprio agio nella curva di qualche stadio ma non qui nell'Aula del Parlamento. Tutto questo è ancora più vero quanto più alta è la materia di cui ci occupiamo oggi. Riformare la legge delle leggi, la Costituzione, richiede un ulteriore sforzo di disponibilità per condurre in porto un risultato che, proprio perché è frutto di mediazioni, non sarà mai perfetto agli occhi di tutti ma anzi conterrà dei difetti e anche questa mediazione contiene dei difetti che potranno però essere visti come più o meno gravi a seconda dalla collocazione politica di chi esprime la propria opinione ma che vanno esaminati con obiettività accanto ai pregi, laddove ve ne siano, e sicuramente in questa riforma vi sono dei pregi. E d'altro canto occorre tenere presente che l'alternativa alla mediazione è l'assenza di mediazione, lo scontro tra tifoserie opposte appunto e quindi la paralisi che, in un contesto parlamentare, si traduce in assenza di riforme. Già è stato detto – ho letto anche il contenuto della relazione – che da più di trent'anni, se vogliamo guardare alla Commissione Bozzi e poi successivamente a quella De Mita e Iotti e poi alla Commissione D'Alema, sono stati fatti dei tentativi molto impegnati per arrivare ad una riforma della nostra Costituzione. Forse si poteva fare in maniera diversa. Si sarebbe ad esempio potuto alla fine degli anni Ottanta eleggere un'Assemblea costituente con metodo proporzionale e lì avremmo trovato il collegamento tra la storia della Repubblica italiana e quell'Assemblea costituente e la sua continuità. Non lo si è fatto perché evidentemente non si è percepito fino in fondo che si stava consumando la Repubblica e la Prima Repubblica si consuma proprio lì.
Per questo io credo che oggi sia necessario abbandonare ogni posizione oltranzista, accettare con maggiore serenità che ci siano elementi della riforma in esame che non convincono ed elementi che convincono di più e passare ad esaminare con spirito scevro da pregiudizi i punti chiave di questa riforma per soppesare elementi positivi e negativi e giungere ad un giudizio che può non essere entusiasta, come quello dei tifosi appunto, ma almeno consapevole.
Il primo elemento positivo è, secondo la mia opinione – ma su questo ricordo che tutti in passato, più o meno, in quest'Aula si sono espressi sostanzialmente nello stesso modo: destra, centro, sinistra – il superamento del bicameralismo perfetto, con la designazione della sola Camera dei deputati quale organo legislativo, chiamato a dare la fiducia al Governo, e l'assegnazione di un nuovo ruolo al Senato, chiamato, con la Camera, a votare solo le leggi e gli organi costituzionali e a rappresentare le autonomie territoriali, per occuparsi dei rapporti tra Stato, enti territoriali ed Europa. Sul superamento del bicameralismo perfetto solo il MoVimento 5 Stelle forse non si era pronunciato in passato, anche perché prima di questa legislatura ancora non avevano avuto rappresentanze parlamentari. Ricordo, però, che anche loro, come del resto tutti i partiti negli ultimi anni, sotto la spinta della pressione dell'opinione pubblica, si sono pronunciati per una riduzione del numero dei parlamentari e questa riforma riduce di oltre due terzi il numero dei senatori, da 315 a 100: troppi o troppo pochi. Comunque la si voglia vedere, la riduzione è consistente e la designazione dei nuovi senatori tra i sindaci e i consiglieri regionali, che vivranno del loro stipendio senza alcuna indennità aggiuntiva, va incontro anche alle richieste di una riduzione dei costi della politica. Non dovrei aggiungere molto per dire che, in questo dibattito sui costi della politica e, quindi, sull'organizzazione della stessa, ci sono ragioni di superficialità che sono a tutti molto evidenti, anche a quelli che fingono di non capirle.
Quindi, anche in questo caso, si sarebbe potuto fare forse di più, ma anche di meno. Personalmente, ad esempio, ho qualche dubbio che le regioni, ormai da troppi anni connotate da un presidenzialismo estremo e, quindi, con assemblee elettive del tutto depotenziate, siano in grado di esprimere una classe dirigente all'altezza. Però, vedete, questo punto del presidenzialismo estremo delle assemblee regionali è un elemento sul quale una parte rilevante della classe dirigente di questo Paese dovrebbe interrogarsi e anche il pensiero della sinistra che ha dato un contributo decisivo nell'aumentare elementi di confusione. A me è capitato, ormai in un tempo molto lontano, di presiedere una giunta regionale, quella della Lombardia, in un contesto nel quale il presidente della giunta era eletto dal consiglio regionale e ricordo i doverosi sforzi di interagire con l'assemblea legislativa, al punto tale che non era possibile avere nessuna pausa, si doveva essere in presa diretta, in un rapporto continuo con l'assemblea legislativa, nella quale originava non solo il potere legislativo, ma anche l'indirizzo politico.
Ora, ho sempre immaginato che fosse un eccesso avere scimmiottato i governatori nell'idea che si poteva introdurre un elemento di presidenzialismo dentro una democrazia parlamentare. Poi sono arrivati i governatori e qual è l'impressione che ricaviamo oggi ? Che quelle assemblee legislative stanno affondando negli scontrini e c’è la perdita di senso, la perdita di qualità e forse anche la possibilità di essere in condizione di costruire una classe dirigente che fosse all'altezza. Infatti, il passaggio dal consiglio regionale al Parlamento appariva come un passaggio che era il risultato di una maturazione. Oggi tutte queste intenzioni sono del tutto capovolte.
Quindi, se arrivo a ritenere, pure non nascondendovi punti critici, che gli elementi positivi siano comunque prevalenti, anche su questo punto, mi chiedo come non possano farlo forze che hanno usato toni anche molto accesi e sopra le righe per chiedere le modifiche alla nostra Costituzione, che in questa riforma sono effettivamente contenute.
Un altro elemento, a mio avviso, centrale da valutare è il superamento della riforma del Titolo V. Nel 2006 mi schierai apertamente contro la cosiddetta dei saggi di Lorenzago – allora io facevo parte di quella maggioranza parlamentare –, perché, anziché correggere i guasti creati dalla riforma del Titolo V, approvata sul finire degli anni Duemila, in base ad un malinteso federalismo, avrebbe finito con il renderli ancora più profondi. Allora, in quell'occasione, essendo parte della maggioranza, esercitai il diritto-dovere di un parlamentare senza vincolo di mandato. Ho visto che, nella confusione che ci sta aggredendo, da diverse parti, si sarebbe voluto togliere anche questo, che è un istituto decisivo, perché se al parlamentare si toglie la libertà e si immagina che il voto parlamentare sulle leggi sia un voto attribuito ai gruppi parlamentari, come si è tentato di fare nel passato – ricordo che il presidente Berlusconi nel tempo disse che il Parlamento doveva funzionare come una società per azioni, dove l'azionista di riferimento parlava per conto di tutti –, questo non corrisponde esattamente alla concezione di una democrazia moderna come, in realtà, noi tentiamo di interpretare.
Per venti anni circa la politica e la società italiane sono state condizionate dal messaggio urlato, anche in questo caso, come si conviene a chi punta a vellicare le proprie tifoserie, non all'interesse generale, del cosiddetto federalismo leghista, che poi si traduceva in un messaggio molto più semplice: moltiplichiamo i centri di spesa e riduciamo le responsabilità. Infatti, non è che il federalismo di cui parlavano si reggeva sulla forza dei doveri e delle responsabilità; si reggeva sull'idea che si dovessero moltiplicare i centri di spesa, i quali venivano esercitati senza alcuna responsabilità e spesso senza il senso del dovere. Stiamo pagando ancora i guasti di quel messaggio e la riforma del Titolo V, voluta dal centrosinistra alla fine degli anni Duemila, per inseguire il consenso leghista. Questo ha creato drammatici problemi istituzionali, creando una confusione assoluta e miriadi di contenziosi tra i diversi livelli di governo. E oggi Salvini, l'onorevole Salvini, vorrebbe saldare quella storia con xenofobia e antieuropeismo e, magari, aggiungendo anche un pizzico di vilipendio etilico del Capo dello Stato.
Voi capite che queste cose non possono stare insieme, ma c’è bisogno che lo si evidenzi con un discorso politico che abbia una sua logica.
Con la del 2006, il centrodestra – chiamiamolo così, ma in realtà era la destra –, trainato ancora dalla coppia Berlusconi-Bossi, tentò di approfondire quei solchi istituzionali, puntando allo sfascio definitivo della macchina dello Stato, con l'obiettivo di arrivare di fatto alla secessione. Gli italiani compresero quel rischio e dissero «no» al referendum costituzionale.
Oggi la riforma, che porta il nome del Ministro Boschi, interviene in direzione esattamente opposta, proponendosi finalmente di superare la riforma del Titolo V e i guasti da essa prodotti e di ripristinare le condizioni affinché lo Stato e le sue articolazioni istituzionali possano dialogare e non scontrarsi ogni giorno e offrire ai cittadini certezze, anziché ragioni per sollevare pesanti contenziosi
Vorrei dire, pensando ai temi della cosiddetta politica energetica, che avremmo bisogno di una politica energetica unitaria e, invece, in questi anni abbiamo perso terreno; abbiamo immaginato di inseguire dei modelli di politica energetica che assumevano addirittura una dimensione provinciale: approviamo il piano energetico provinciale, nel quale si faceva l'elenco di quanta energia si produceva e di quanta se ne consumava. Ma voi capite di cosa stiamo parlando ? Qual è il livello di dissoluzione, di rottura dello schema istituzionale cui siamo arrivati ? Quando la frammentazione delle competenze ha, di fatto, azzerato le possibilità di realizzare una coerente strategia nazionale in un ambito decisivo per lo sviluppo del Paese, io vedo che se l'Europa c’è e batte un colpo, quella dimensione è quella propria. Una politica energetica non può che avere una dimensione sovranazionale e noi la vogliamo ridurre e rimpicciolire dentro questioni localistiche, e si sappia che la frammentazione spinge per il referendum sulle cosiddette trivelle, ma spinge in maniera abnorme, perché c’è la dissimulazione del dovere e della responsabilità. Quando mi è capitato – oggi ho un po’ più di tempo – di ragionare in quest'Aula in un giorno non propriamente bellissimo in cui si diede vita a un dibattito parlamentare su questi temi, con trenta secondi mi venne di rivolgere un pensiero grato ad Enrico Mattei; forse molti degli interlocutori non sapevano neppure chi fosse: senza quest'uomo di Stato, che ha trivellato la Valle Padana da Torino fino a Venezia, non ci sarebbero state le condizioni per porre le basi dello sviluppo del Paese.
Però, noi siamo dimentichi anche delle cose della nostra storia e, quindi, abbiamo immaginato che ci fosse una legislazione concorrente in materia di energia; e così c'era una legislazione concorrente in materia di turismo e abbiamo assistito al fatto che andavano in giro per il mondo le delegazioni dei comuni o delle frazioni dei comuni, magari se uno rivendicava di avere una chiesa con dentro una pala, andava a presentarla in Giappone, come se l'Italia non avesse il dovere di presentarsi per il patrimonio che esprime nella sua unitarietà. Quindi c'erano le processioni per il turismo in giro per il mondo, le delegazioni del turismo in giro per il mondo.
E che dire dei trasporti ? Penso alle autorizzazioni di trasporti eccezionali che devono essere convalidate da regione a regione, esattamente come accadeva al tempo delle signorie, quindi torniamo indietro nei secoli. Un trasporto eccezionale che parte da Treviso o che parte da Trieste per arrivare a Palermo ha bisogno di autorizzazioni sulla dimensione dei confini regionali. Ora capite che quel Titolo V era perverso e il fatto di correggerlo rappresenta, secondo me, un'assunzione di responsabilità assolutamente doverosa.
La cancellazione poi dalla Costituzione delle province non fa venir meno il tema dell'organizzazione dei servizi sulla base più adatta, perché i rifiuti possono avere una loro collocazione, il trasporto sicuramente un'altra, ma non si può immaginare che ci fosse un sovraccarico di livelli istituzionali. E questo non significa che ora l'interpretazione che abbiamo dato con la «Delrio» sia quella del disimpegno e del disinteresse, che sarebbe gravissimo, però occorre tener conto che non abbiamo bisogno di più livelli di governo, abbiamo bisogno che quelli che ci sono funzionino in maniera esemplare.
Non parliamo poi della cancellazione del CNEL, che andava incontro ad un'esigenza di semplificazione e di razionalizzazione del nostro impianto istituzionale e che non può non essere apprezzata da tutti, soprattutto se non si è persa la memoria, dal momento che non c’è forza politica presente in questo Parlamento che non abbia chiesto di cancellare sprechi ed enti inutili. Così come ancora una volta ricordo un coro unanime, ormai da molti anni, nel richiedere un rafforzamento dei percorsi di democrazia diretta. Anche in questo caso la riforma in esame interviene prevedendo l'introduzione del referendum propositivo o di indirizzo. Questi sono gli elementi da soppesare e io penso che, andando verso il voto conclusivo e dovendo preparare poi il referendum dell'autunno, noi dovremmo far soppesare ai cittadini italiani questi elementi.
Schierarsi per il «no» in vista del referendum confermativo di fine anno significa scegliere ancora una volta di mantenere lo il bicameralismo perfetto, il Titolo V di cui ho parlato con esemplificazioni adeguate e con le sue evidenti storture.
Il numero complessivo dei parlamentari è una scelta legittima, ma poiché ogni forza politica presente in quest'Aula ha chiesto, nel corso degli ultimi anni, un intervento proprio nella direzione in cui va questa riforma, sarebbe una scelta incomprensibile per i cittadini.
Inoltre, poiché il solco tra i cittadini e la politica è già molto ampio, ritengo sarebbe estremamente pericoloso approfondirlo ulteriormente, a meno che non si voglia fare il gioco delle forze che puntano al tanto peggio, tanto meglio, e anche questo ha una sua logica, ma non ha una logica che va nella direzione dei cittadini.
Spesso abbiamo sentito che c’è un'evocazione continua dei cittadini, come se qualcuno rappresentasse i cittadini, avesse un titolo che viene codificato per la rappresentanza degli interessi dei cittadini. Quanta presunzione c’è in questa impostazione ! Io credo che un po’ di modestia dovrebbe far riflettere sul fatto che noi tendiamo a tentare di rappresentare gli interessi dei cittadini, che dentro a quel concetto di parlamentare eletto senza vincolo di mandato, questo sì, ha la pretesa di rappresentarli ed è davvero un gioco a specchi contrapposti, gioco a cui personalmente non mi presto e neanche il gruppo parlamentare che rappresento, che intende quindi dare voto favorevole alla riforma della Costituzione, però impegnandosi fin d'ora nella costituzione dei comitati per il «sì» in vista dell'ultimo passaggio referendario.
Ovviamente questo passaggio referendario non deve essere vissuto come l'ordalia sul Capo del Governo, questo sarebbe un errore politico. Fatto in questi termini, evoca una concentrazione del dissenso che rischia di mischiare i termini politici della riforma costituzionale, perché è evidente che, se gli elementi che portano ad una saldatura sono di natura diversa e nulla hanno a che fare con i contenuti specifici che qui ho evocato, possono creare qualche brutto scherzo.
Quindi, allora il «sì» sul passaggio referendario va vissuto come il tentativo di costruire nel Paese una salda maggioranza equilibrata e riformatrice, dentro l'Europa e non contro l'Europa, che non può però esaurirsi nell'illusione di un Partito Democratico autosufficiente. Questo è un tema sul quale mi rivolgo ai colleghi del Partito Democratico: è bene che stiate molto attenti, perché, vedete, la storia delle leggi elettorali è stata così perversa nel corso di questi decenni che ha dimostrato come, quando le leggi elettorali vengono approvate con un intento di favorire qualcuno, esse alla prima prova smentiscono quell'effetto e decretano il contrario. È accaduto con il Mattarellum – così veniva chiamato, anche se impropriamente, ma perché era stato Sergio Mattarella il relatore di quel progetto di legge del 1993 – che avrebbe dovuto perpetuare la continuità di un potere, di fronte alla morte della Democrazia Cristiana e al fatto che il Partito Popolare, che era nascente, avrebbe voluto realizzare quella continuità. Voi sapete com’è andata a finire, nel 1994 si votò e vinse Berlusconi. E che dire del Porcellum ? Fu approvato qui e sembrava fosse un gioco elettorale scontato, ma le elezioni del 2006 portarono al successo di Prodi.
Allora, poiché non c’è due senza tre, ma questa potrebbe essere una battuta alla popolana, io dico, invece, che, poiché l'intelligenza politica ci richiede di valutare gli effetti fino in fondo, bisogna considerare il tema della riforma elettorale nella sua interpretazione politica. Se noi non siamo in condizione di realizzare una maggioranza sul terreno dell'opinione pubblica con riferimento al referendum confermativo, va da sé che la legge elettorale com’è impostata, che prevede l'autosufficienza del PD, rischia di non bastare.
Quindi, è bene che ci pensiate molto, perché il punto è di assoluta delicatezza, a meno che quella legge non venga interpretata nel senso che la lista non è più la lista di un partito, ma è la lista della coalizione che vince. La coalizione che vince il referendum può esprimersi come tale. Questo ha una sua logica che, diciamo, è rispettabile. Quindi, come vedete le cose sono tra di loro molto interconnesse.
Il nostro è un voto favorevole, perché finalmente si porta a compimento una riforma che era attesa da tempo, ne ho spiegato anche i limiti, ho anche detto che forse il tempo per fare qualcosa di diverso alla fine degli anni Ottanta poteva esserci, ma che non fu colto e così morì la Prima Repubblica, poi arrivò la seconda e sarebbe stato meglio che neppure l'avessimo attraversata. Oggi siamo su un terreno del tutto nuovo, i cui effetti sono tutti da vedere.
Ora io penso che noi la votiamo, ma siamo anche convinti che la interpretazione di quella riforma costituzionale dovrà essere il lievito che farà nascere nel nostro Paese una nuova qualità della politica, perché si è andata disperdendo e c’è rimasto ben poco, tra l'altro con un distacco crescente tra quello che esprimiamo e quello che pensa la generalità dei cittadini. Pensate solo al tema degli emolumenti dei parlamentari: ma secondo voi sarebbe stato possibile che nella democrazia italiana qualcuno obiettasse per lo stipendio del parlamentare Moro, oppure del parlamentare Almirante o del parlamentare Malagodi o del parlamentare Togliatti ? Sarebbe stato possibile questo ? E come fate a non vedere che c’è una caduta pesante, un discredito forte che interpella ognuno di noi e rispetto al quale c’è chi dice «ma tanto questo è un argomento che conviene cavalcare», come se cavalcare un argomento di questa natura fosse una soluzione delle problematiche che abbiamo di fronte ! Io vedo un Parlamento che si dequalifica sempre di più, che, invece di cogliere le professionalità più adeguate e più forti, va nella direzione opposta !
Vorrei ricordare che nel 1946, quando per la prima volta votarono le donne e furono eletti quei 555 costituzionalisti, che rappresentavano la rinascita dell'Italia repubblicana, quel voto fu un voto intelligente anche per un Paese che era per metà analfabeta ! Come hanno fatto a scegliere i migliori tra gli italiani, se erano addirittura degli analfabeti ? Probabilmente operava lo Spirito Santo, ma non vi è dubbio che anche quel popolo analfabeta aveva un senso civico robustissimo, se riuscì a mandare in Parlamento una composizione delle rappresentanze che era per tre quarti laureata, ma poi con lauree che erano quelle vere, erano lauree pesanti, e l'altro 25 per cento magari non era laureato, ma veniva dalla rappresentanza dei contadini e degli operai e rappresentava il Paese nella sua unità, pur con divisioni radicalmente più profonde di quelle di oggi !
Se facciamo una statistica sul Parlamento del 2008, non penso che quella del 2013 sia migliore, la percentuale di laureati si è ridotta al 56-57 per cento e, invece della rappresentanza senza vincolo di mandato, abbiamo spesso degli allineati, i quali sono arrivati qui senza aver fatto quel corso delle responsabilità, non degli onori, che dà spazio e sostanza alla rappresentanza parlamentare.
Ecco, io penso che queste cose dobbiamo tenerle presenti. Chiedo scusa al Presidente se l'ho fatta lunga, ma in realtà, grazie al fatto che nessun altro del mio gruppo oggi intendeva intervenire, mi hanno lasciato campo libero, ma ho ritenuto almeno che restasse una testimonianza di fronte ad un dibattito così impegnativo .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mucci. Ne ha facoltà.
MARA MUCCI. Grazie, Presidente. Con oggi si chiude l'iter sulle riforme costituzionali. Con il referendum che verrà chiesto su questa riforma, ovvero su trentanove articoli modificati, trentanove articoli in votazione in un unico quesito, si palesa una violazione dello stato di diritto sulla libertà di scelta del cittadino !
Vengo a spiegare brevemente perché. La riforma costituzionale, per le profonde modifiche che apporta e che incidono in modo strutturale sulla Carta, non può essere un nodo gordiano da schiantare o tenere come tale. Questa riforma, che tocca, ribadisco, trentanove articoli, ovvero il 35 per cento del totale e il 58 per cento degli articoli della sola parte seconda, è una riforma importante in termini di quantità del contenuto, che non può essere affrontata con un sì o con un no, altrimenti si chiamerebbe plebiscito, tra l'altro sulla persona del Presidente del Consiglio e non sulla Costituzione. Unire in un unico quesito i diversi temi oggetto di riforma, in prima analisi è improprio già alla luce della loro eterogeneità. In seconda istanza, più importante poiché attiene allo stato di diritto, un secco sì o no sulla totalità delle modifiche viola la libertà di scelta.
Immaginiamo, colleghi, se per un attimo potessimo mettere a votazione referendaria il Senato delle regioni. Tutti noi sappiamo quale sarebbe l'esito, i cittadini vorrebbero e voterebbero a stragrande maggioranza contro un Senato di consiglieri regionali, o nel caso in cui potessimo chiedere di esprimersi sulla doppia lettura Camera e Senato, che, da strumento di garanzia, nel tempo si è palesato anche come arma ad uso e consumo di maggioranze diverse o a giochi di potere all'interno dei partiti. Immaginiamo se potessimo chiedere cosa pensa il cittadino del taglio al numero dei parlamentari. L'ha detto prima il collega Bruno Tabacci, ormai è oggetto di campagna elettorale per tutti i gruppi politici. La disomogeneità del quesito referendario, così come attualmente vuole essere posto, mina anche la capacità di una corretta informazione, che sta alla base del successo di un referendum che punta ad un voto consapevole, ed è materia sicuramente attuale anche oggi con il referendum, che presto voteremo, sulle trivellazioni.
Non nascondo di essere io per prima in difficoltà davanti alla scelta del voto, trovandomi favorevole ad alcuni passaggi, ma contraria ad altri; non si può chiedere di agire con un bilancino davanti ad un voto così delicato. La compressione della libertà di espressione è evidente in un referendum che dicotomizza in un solo voto il futuro di trentanove articoli della nostra Carta. Il referendum, lo dice la legge e lo ripetono le sentenze, lo avallano i trattati internazionali e le convenzioni, come quella di Venezia del 2007 (Codice di buona condotta sui referendum), deve essere caratterizzato da quesiti puntuali, omogenei e categorici. Queste peculiarità, oltre che oggettivamente imprescindibili, sono garantite dalla legge, sono capisaldi dello stato di diritto, sono garanti della libertà !
Chiedo, quindi, insieme agli amici dei Radicali italiani, che non sono qui in queste Aule, ma che porteranno avanti questo quesito assieme a me, che i promotori del referendum definiscano una consultazione a quesiti parziali; quesiti che portino a giudizio del popolo italiano i vari temi che affronta questa riforma. In autunno non andiamo a distribuire le pagelle del Governo, ma definiamo il futuro della nazione, futuro che avrà bisogno di basi solide anche per quando non saranno più i vostri i nomi che siederanno tra i banchi del Governo. Futuro che, oltre alle nuove regole che la riforma vuole apportare, dovrà fare i conti con la violazione dello stato di diritto, che ora, forte di un'ampia zona franca legislativa, si vuole perpetrare con questo quesito, inopportuno e illiberale, alla luce della complessità ed eterogeneità nel suo insieme.
Torno così a chiedere al Presidente del Consiglio, che a breve sarà in queste Aule, di valutare seriamente di concedere ai cittadini la libertà di scelta con un referendum per parti separate o parziale. Questo è il referendum: ascoltare il volere dei cittadini, mettendoli però nella condizione di decidere. Questo è, secondo noi, il referendum !
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bosco. Ne ha facoltà.
ANTONINO BOSCO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, dopo vari tentativi di riformare la nostra Carta costituzionale, iniziati nel 1983, con la Commissione di studio dell'onorevole Bozzi, e proseguiti con la Commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema, oggi il Parlamento italiano è chiamato ad esprimersi su un testo costituzionale definitivo, che sarà sottoposto a referendum costituzionale nel prossimo ottobre.
Il testo approvato affronta, in primo luogo, il tema centrale della riforma, ovvero quello del bicameralismo paritario, sopprimendo il Senato della Repubblica così come concepito dai nostri padri costituenti, per giungere ad un sistema più semplice ed anche meno oneroso. Infatti, ci si dimentica con troppa facilità della crisi costituzionale emersa drammaticamente a seguito delle elezioni politiche del febbraio del 2013, quando la legislatura sembrava nata morta; quando, proprio a causa del bicameralismo paritario e della crisi del bipolarismo, non vi era una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, non si riusciva a formare un Governo né ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Uno stallo istituzionale dal quale si è usciti solo grazie alla rielezione di Giorgio Napolitano e alla formazione di un Governo di grande coalizione, con l'obiettivo fondamentale di realizzare le riforme della Costituzione e del sistema elettorale; legislatura che è stata poi salvata, nell'ottobre del 2013, quando il Presidente Berlusconi rinnegò la scelta del Governo di grande coalizione, solo grazie alla nascita del Nuovo Centrodestra.
Le riforme, pertanto, signor Presidente, non sono solo necessarie, ma imprescindibili per evitare che si ripeta nuovamente quanto accaduto tre anni fa, cioè che si debba ricorrere a Governi di grande coalizione, non per scelta, ma per costrizione.
In particolare, il nuovo Senato sarà costituito da cento senatori, di cui novantacinque rappresentanti delle istituzioni territoriali e cinque senatori nominati dal Presidente della Repubblica. I novantacinque rappresentanti delle istituzioni territoriali saranno eletti con metodo proporzionale, sulla base di una legge che ne garantisce l'elettività. Si tratta di una modifica che, di fatto, permette di avere una seconda Camera espressione delle autonomie territoriali e, quindi, facilita il raccordo tra lo Stato centrale e le autonomie territoriali. I senatori, come è noto, non usufruiranno di alcun compenso.
Il progetto di legge, pertanto, faciliterà il procedimento legislativo che, con un'adeguata riforma dei Regolamenti parlamentari, diventerà più semplice e più snello. Allo stato attuale, infatti, il procedimento legislativo risulta particolarmente complicato e non permette quella rapidità che risulta, invece, necessaria in uno Stato moderno. Oggi le decisioni, soprattutto di natura economica, devono essere assunte velocemente; il potere legislativo deve operare con rapidità ed in tempi certi.
Il progetto di legge costituzionale, inoltre, rafforza i poteri della Corte costituzionale, che potrà giudicare, in via preventiva, anche sulle leggi elettorali.
Per potere velocizzare il procedimento legislativo e dare maggiore autonomia propulsiva all'Esecutivo sono stabiliti tempi certi per l'approvazione dei disegni di legge governativi. In tal modo si consentirà un'azione più concreta del Governo, favorendo, allo stesso tempo, un adeguato controllo parlamentare da parte delle opposizioni.
Si tratta, pertanto, di un progetto di legge equo ed equilibrato, con i giusti contrappesi, e che permetterà di raggiungere, come abbiamo già detto, obiettivi politici e legislativi in tempi certi.
Sotto questo profilo si segnala l'articolo 12, ai sensi del quale il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di Governo sia iscritto con priorità all'ordine del giorno della Camera stessa, entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. In tali casi i termini di cui all'articolo 70, terzo comma, sono ridotti della metà.
Altro punto qualificante del progetto di legge costituzionale è quello dell'abrogazione definitiva delle province e del CNEL, organi ritenuti superflui; decisione che indica la precisa volontà di questo Governo di ridurre in modo serio e coerente gli eccessivi costi che gravano sul bilancio pubblico.
All'approvazione della riforma costituzionale è, inoltre, legata la nuova legge elettorale maggioritaria, già approvata. Una legge elettorale a doppio turno, che permetterà di avere, alla proclamazione dei risultati elettorali, un vincitore certo e che, grazie al premio di maggioranza, permetterà di garantire la stabilità dell'Esecutivo che, pertanto, potrà programmare in modo certo la propria attività politica e legislativa, in modo da consentire in tempi rapidi l'attuazione del programma.
Un ulteriore punto importante della riforma è quello della modifica del Titolo V della Costituzione, che corregge e rende più equilibrata la modifica del 2001. Con questo progetto di legge costituzionale, infatti, si supera la riforma che aveva prodotto numerosi conflitti costituzionali, proprio perché aveva ripartito in modo rigido le competenze tra Stato e regioni, con un'area molto estesa di competenze concorrenti.
In questa sede è stato, anche, affrontato il problema dei costi della politica, con la riduzione dei parlamentari e la riduzione delle spese dei consigli regionali, perché rilanciare il Paese significa semplicemente consentire uno sviluppo omogeneo e pari opportunità per l'intero territorio nazionale e crediamo che anche a questo contribuisca il testo che oggi è in discussione.
In tale contesto, desidero, signor Presidente, riprendere un intervento del mio capogruppo su questa materia, è una citazione alla quale annetto grande importanza quando cita il Presidente Napolitano che in quest'Aula disse: «Imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate e, peraltro, mai giunte ad infrangere il tabù del bicameralismo paritario. (...) Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana»
Area Popolare ha fatto una scelta coraggiosa e difficile proprio per rispondere a questo dovere, un dovere che avvertiva con forza, in un momento estremamente difficile, in cui il nostro Paese rischiava di finire nel caos.
Quella decisone, che Area Popolare assunse nel novembre del 2013, impedì una tale situazione e la legislatura poté proseguire. È nel segno di quella scelta anche il progetto che ora sta per giungere a compimento, perché abbiamo conseguito con coerenza e fermezza l'impegno di decretare la fine di un bicameralismo antistorico, assurdo e ingombrante, lo snellimento del procedimento legislativo, la certezza dei tempi di approvazione delle leggi, il rafforzamento del potere dell'Esecutivo all'interno di una più robusta forma di Governo parlamentare e di un solido sistema di garanzie. Con questa riforma costituzionale, pertanto, si introdurranno importanti cambiamenti alla Carta costituzionale; cambiamenti decisivi voluti dalla maggioranza che sostiene il Governo, Governo al quale Area Popolare partecipa e che sostiene fin dalla sua nomina, con lo scopo di modernizzare il Paese, appunto, di farlo ripartire e di introdurre quelle riforme necessarie per migliorarlo. Area Popolare, come ho detto in precedenza, ha lavorato con impegno prima alla nascita del Governo Letta, quindi, a quella del Governo attuale, lo ha fatto con sacrificio, ma con convinzione ferma e forte. Noi sosteniamo, dunque, e lo facciamo con forza e con convinzione, questa riforma che, certamente, è figlia di forze politiche alternative, autonome, ma complementari, forze che vogliono far progredire il Paese, attraverso una decisa, risoluta volontà riformatrice. Oggi siamo a metà del lavoro che questo Esecutivo si è ripromesso di portare a compimento; molte cose sono state fatte, altre occorre fare e sono già state poste in cantiere. Sappiamo di avere di fronte difficoltà di diversa natura, ma la volontà è ferma, la sicurezza che si tratta di un lavoro che va compiuto e completato non vacilla di sicuro e questa riforma significa molto per tutti noi e per il Paese intero. Siamo convinti delle buone ragioni che ci animano e del valore di un provvedimento figlio di un lungo dibattito e finalmente in dirittura di arrivo. Per tutte queste ragioni, signor Presidente, noi di Area Popolare non possiamo che esprimere un volto favorevole a questa riforma, convinti che sia una riforma storica, una riforma che va nella direzione di rendere i processi politici e legislativi più snelli e di far sì che l'Italia diventi un Paese più moderno.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Meloni. Ne ha facoltà.
MARCO MELONI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, nell'indicare la logica da seguire per dar vita ai processi di riforma costituzionale, Roberto Ruffilli, in un volume pubblicato poche settimane prima della sua morte per mano brigatista, richiamava quella indicata da La Pira alla Costituente, che fa della Costituzione della Repubblica la casa comune della società italiana e, dunque, da ciò, da questa riflessione, traeva la necessità di superare la tentazione delle riforme partigiane, volte ad avvantaggiare un partito o un'istituzione a scapito delle altre, puntando invece alle riforme sistemiche, quelle volte a mettere tutti i partiti e tutte le istituzioni in grado di fare la propria parte al servizio dei cittadini. Noi nel Parlamento italiano una cosa del genere non siamo in grado di farla da molti decenni, con qualche eccezione, la più recente è la fondamentale riforma dell'articolo 81 sul pareggio di bilancio che fu approvata nel 2012 da tutti i principali partiti e con l'astensione della Lega, sebbene ora molti fingano di aver approvato quella norma in stato di ipnosi; fin dagli anni Ottanta i progetti di riforma o sono naufragati all'ultimo miglio – penso alla Commissione Bozzi o alle bicamerali De Mita, Iotti e D'Alema – oppure sono stati approvati con i soli voti della maggioranza, tanto da essere sottoposti a un referendum ex articolo 138 della Costituzione; così accadde nel 2001, con l'esito referendario positivo che conosciamo, e la stessa cosa accadde nel 2005, ma l'anno seguente la riforma fu bocciata in sede referendaria.
Esistono delle responsabilità perché siamo, anche in questa legislatura, nella medesima condizione ? Io credo di sì e le principali credo che siano molto chiare. Non possiamo non tener conto del fatto che la seconda forza politica per numero di parlamentari, il MoVimento 5 Stelle, ha deciso fin da principio di non confondersi con nessuno in progetti di riforma, condannando all'irrilevanza parlamentare oltre otto milioni di voti. La terza forza per numero di parlamentari, Forza Italia, ha invece deciso se e come aderire al processo riformatore a seconda delle convenienze del momento, «sì» all'inizio della legislatura, quando eleggemmo il Presidente Napolitano, con l'esplicito obiettivo di assegnare a questa legislatura essenzialmente una funzione costituente; «no» quando il tribunale, applicando la legge che – è giusto ribadirlo, in ogni circostanza – è uguale per tutti, come sta scritto nelle aule di giustizia e nell'articolo 3 della Costituzione, il leader subì una condanna, dopo averne evitate molte altre in modo rocambolesco in seguito alle famigerate leggi approvate quando era al Governo; di nuovo «sì» quando si trovò nelle condizioni di poter stringere un patto, un accordo politico volto a estromettere dalla guida del Governo chi lo aveva messo ai margini del sistema politico. E, infine, «no» quando si è reso conto di non poter incidere quanto avrebbe voluto sulle dinamiche politiche e parlamentari, per esempio quando eleggemmo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Insomma, l'abituale comportamento da statista, animato da un sacro interesse per la Repubblica e le sue istituzioni democratiche, cui Silvio Berlusconi ci ha abituato per oltre vent'anni.
Per parte nostra, il Partito Democratico è entrato in questo Parlamento con l'obiettivo di riformare la Costituzione, e ci sta riuscendo. Lo dico anche perché ho letto sorprendenti affermazioni di eminenti costituzionalisti che animano il comitato per il «no» a un referendum che, peraltro, non è stato ancora indetto, secondo le quali, virgolette, la presentazione di un disegno di legge costituzionale per la revisione della Costituzione, ancorché non presente nel programma elettorale del PD, era esplicitamente previsto nel programma del Governo Renzi.
Niente di più contrario alla verità ! Anzitutto, il programma allegato alle liste della coalizione dei democratici e dei progressisti, che, mi permetto di affermare, dovrebbe vincolare anche i parlamentari di SEL e dell'attuale Sinistra Italiana, afferma testualmente: «sulla riforma dell'assetto istituzionale siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e rafforzato, con un ruolo incisivo del Governo e la tutela delle funzioni di equilibro assegnate al Presidente della Repubblica. (...) Daremo vita a un percorso riformatore che assicuri concretezza e certezza di tempi alla funzione costituente nella prossima legislatura».
Nel programma più dettagliato sulle riforme istituzionali, che si trova ancora nel sito Internet del Partito Democratico, si afferma la necessità di rendere il sistema decisionale più rapido, più efficiente e più controllabile, di potenziare gli strumenti di partecipazione dei cittadini. Questo avrebbe dovuto significare restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento attraverso la riforma della legge elettorale, con una netta differenziazione tra il sistema elettorale della Camera, che deve favorire la costruzione nelle urne di una maggioranza di Governo, e il sistema elettorale del Senato, che deve favorire la rappresentanza dei territori. È il virgolettato del programma con il quale siamo entrati in questo Parlamento, in questa Camera dei deputati.
Quanto, appunto, al potenziamento degli strumenti di partecipazione, si citano molto esplicitamente il rafforzamento dell'istituto referendario, con l'abbassamento del quorum richiesto per la validità della consultazione, e il rafforzamento delle proposte di legge d'iniziativa popolare. E, ancora, si afferma che, oltre che con una nuova legge elettorale, riqualificare il Parlamento come ruolo della rappresentanza politica della nazione alla Camera e dei territori al Senato si sarebbe dovuto fare, sarebbe dovuto avvenire, attraverso il dimezzamento del numero dei parlamentari, il potenziamento delle funzioni di controllo, il superamento del bicameralismo paritario, con funzioni e competenze differenziate tra Camera e Senato, attribuendo alla Camera dei deputati, alla sola Camera dei deputati, la titolarità del rapporto fiduciario, mentre il Senato avrebbe dovuto avere il potere di richiamare tutte le proposte di legge approvate dalla Camera, entro i limiti e le condizioni fissate dalla Costituzione, e di governare il rapporto tra Stato, regioni e autonomie locali.
Quanto alla forma di Governo, il programma era certamente più deciso rispetto al testo che ci accingiamo ad approvare circa il rafforzamento dell'Esecutivo. Ci si proponeva, infatti, di razionalizzare l'azione dell'Esecutivo, preservando la natura parlamentare della forma di Governo, ma anche di sviluppare le indicazioni contenute nella Costituzione secondo le quali il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Si proponeva, quindi, che il Presidente del Consiglio dei ministri ricevesse direttamente la fiducia, nominasse e revocasse i ministri, potesse richiedere al Presidente della Repubblica, dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri, lo scioglimento delle Camere.
Quanto alla forma di Stato, limitatamente al rapporto Stato-regioni, il programma affermava la necessità di completare e ottimizzare, alla luce dell'esperienza, la riforma attuata con il nuovo Titolo V, per giungere a un sistema di regionalismo cooperativo e solidale, riducendo le sfere di competenza concorrente e introducendo la clausola di sovranità.
Questo, dunque, il programma della coalizione di centrosinistra e del Partito Democratico. Ebbene, cosa stiamo facendo dal giorno dopo le elezioni del febbraio 2013, nonostante le difficoltà determinate dal loro esito, prima con il lavoro dei saggi nominati dal Presidente Napolitano, per passare, poi, all'azione del Governo Letta e, infine, del Governo Renzi, in questi ultimi due anni, se non attuare quel programma ?
Gli esempi sono quasi superflui per chi conosca il testo sottoposto in ultima lettura all'approvazione di questa Camera e l'attività legislativa già completata o in via di realizzazione. Li cito molto brevemente: abbiamo approvato la legge elettorale, autentica architrave del funzionamento della democrazia e del sistema politico. Ovviamente, per chi, come me, ne ha contestato e ne contesta radicalmente strutture e contenuto, tanto da non averla votata, questa non è necessariamente una buona notizia. Del resto, è proprio la legge elettorale approvata lo scorso anno a condizionare il giudizio di molti sulla stessa riforma costituzionale. Tornerò tra poco sul punto.
Abbiamo approvato una legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti, con la conversione di un decreto-legge, approvato dal Governo Letta, per superare l'inerzia parlamentare. Faccio presente che quel decreto-legge – lo dico al MoVimento 5 Stelle, che ha aperto una polemica sul punto – prevedeva la pubblicità e la tracciabilità dei finanziamenti privati di non lieve entità e che fu il Parlamento a modificare la norma, anche in seguito a una richiesta del Garante per la .
Sono sottoposti all'esame parlamentare le leggi sul conflitto di interessi e di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione sulla democraticità dei partiti. La prima, in particolare, è stata già approvata dalla Camera e il Governo si è impegnato a una sua rapida approvazione.
Dunque, le ragioni del voto favorevole sono abbastanza chiare. Io capisco che da parte di tutti gli attori politici si compia un salto logico, che, per quanto improprio, può essere considerato inevitabile: giudicare la riforma in base a chi la propone e la vota, in base alla contingenza politica del momento.
Dunque, se si pensa ai poteri del Governo, si pensa al Presidente del Consiglio ; se si pensa allo statuto dell'opposizione, si pensa a chi attualmente è all'opposizione e così via. Rileggere il dibattito che nel Parlamento e nel Paese si svolse intorno alla riforma del 2005, ben riassunto nel volume di Elia è, in questo senso, assai istruttivo. Da un lato, le parti erano totalmente invertite, come è noto; dall'altro, se la responsabilità di una deliberazione referendaria nella quale si vota sulla Costituzione, ma, in realtà, il criterio di scelta rischia di essere il favore o l'ostilità al Presidente del Consiglio, è da attribuire, come affermava Elia, a chi «non avesse saputo produrre riforme rispettose dei princìpi supremi dell'ordinamento costituzionale», diciamo chiaramente che la portata e il contenuto di questa riforma che stiamo approvando e di quella del 2005, rispetto all'eventuale alterazione della forma di Governo e della stessa forma di Stato, non sono minimamente comparabili.
Tuttavia, dobbiamo tutti ammettere che a questa sovrapposizione possono aver condotto errori che nel dibattito politico parlamentare sono stati commessi sia dalle opposizioni sia dal Governo e da noi della maggioranza. La domanda che mi pongo e che vorrei porre a quest'Aula è questa: possiamo fare qualcosa per evitare questo rischio, questo destino ? Io credo di sì, credo che tutti dobbiamo distinguere i problemi e riportare il dibattito sulla riforma costituzionale al suo contenuto. Non un voto pro o contro il PD o il suo segretario, che è anche il Presidente del Consiglio, non un voto sulla legge elettorale, che pure ha una sua rilevanza centrale, ma un giudizio sul contenuto di questa riforma.
E, se guardiamo al contenuto della riforma, ci possono anche essere delle sbavature e delle imprecisioni, ma è giusto dire la verità. Ho detto la mia posizione rispetto alla forma di Governo, ho detto ciò che penso rispetto all'attuazione di una revisione del regionalismo, ovvero del Titolo V, che era necessaria dopo l'esperienza di quindici anni. È una discussione, quella su questi temi, come quello del rafforzamento della che neppure abbiamo fatto, o come quello sulla revisione del regionalismo, che era matura e che è stata elaborata in decenni anche dalla cultura politica democratica e di centrosinistra.
Allo stesso tempo, è assolutamente condivisibile il superamento del bicameralismo paritario, con la giusta differenziazione della fonte di legittimazione, e dunque della modalità di elezione tra senatori e deputati, così come la rivisitazione delle competenze regionali, e anche la capacità, da un lato, di limitare la legislazione concorrente e di riprendere l'intuizione dossettiana di introdurre la competenza legislativa esclusiva dello Stato quando lo richiede la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero l'interesse nazionale, e anche di introdurre una distinzione più netta tra regioni ordinarie e speciali, senza la quale, effettivamente, come sostengono molti, queste ultime avrebbero poca ragione di esistere, mentre le peculiari condizioni territoriali e storiche che le caratterizzano rendono del tutto opportuna la loro valorizzazione e il rafforzamento della loro autonomia.
Infine, gli interventi rivolti alla partecipazione popolare e all'abbassamento della soglia di validità dei referendum propositivi e di indirizzo sono elementi che cercano di affrontare il tema della disaffezione dei cittadini e degli elettori rispetto alla politica e alle istituzioni. Si tratta di elementi che, unitamente al fatto che questa riforma porta a compimento la missione con la quale siamo entrati – almeno la maggioranza di noi lo ha fatto – in questo Parlamento e alla quale abbiamo legato il senso di questa legislatura, mi fanno pensare che sia giusto esprimere un voto favorevole al disegno di legge di riforma della Costituzione sottoposto al nostro esame.
Non va, però, tutto bene, come si potrebbe anche pensare. Se andasse tutto bene, ci sarebbe un dibattito sereno nel Parlamento, tra gli studiosi, nel Paese, e non questo clima da battaglia in campo aperto. Siamo sicuri che sia nell'interesse di qualunque parte politica qui rappresentata e, soprattutto, del Paese approvare una riforma in un clima di ostilità reciproca così profonda e affrontare con questo spirito un eventuale confronto referendario ? Io penso di no e penso che si debba far di tutto perché si determinino condizioni di maggiore serenità, di dialogo e ascolto, di riconoscimento reciproco delle ragioni altrui. Sono, fra l'altro, le sole condizioni perché una riforma, se anche approvata con questa maggioranza, resista all'usura del tempo, produca i suoi effetti nei tempi lunghi e non costituisca, invece, da parte di chi non l'ha approvata, l'oggetto di un'immediata volontà di abrogazione o di revisione profonda.
Vi sono alcuni aspetti che meritano in conclusione di essere sottolineati, e che riguardano una serie di impegni che secondo me potremmo assumere tutti solennemente, a partire da chi approva la riforma, e dunque ha maggiori responsabilità, e anche interesse al successo di questo percorso; ne propongo alcuni. Il primo, ristabilire un dialogo con l'intera comunità degli studiosi, anche quelli molto critici, ad esempio rispettando, anche quando non lo si dovesse condividere, il punto di vista di chi – penso ad esempio a De Siervo – contesta non certo la legittimità giuridica, ma certamente l'opportunità di un referendum promosso dalla maggioranza che approva la riforma. Ad esempio anche evitando personalizzazioni e confronti muscolari su un tema che riguarda la Carta che regola la convivenza civile degli italiani, e non un conflitto politico contingente.
In secondo luogo, effettuare ogni tentativo per abbassare il livello del conflitto tra i poteri dello Stato e per connettersi con lo stato d'animo dei cittadini. Per questo, in quanto la questione attiene anzitutto la sua responsabilità, ho apprezzato molto il fatto che il Presidente del Consiglio abbia compreso che in questo momento la priorità degli italiani e dell'Italia è contrastare e sconfiggere la corruzione, che appare ai cittadini sempre più dilagante (un sondaggio compiuto dall'organo di stampa finanziato dal PD lo dimostra in modo allarmante), chiarendo che non vi è nessuna intenzione da parte del Governo di approvare leggi che testimonino la volontà di contrastare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARCO MELONI. Vado a terminare. Diciamolo ancor più chiaramente: i politici sono sottoposti all'azione della magistratura almeno quanto i cittadini che non hanno responsabilità politico-istituzionali, e i magistrati che indagano sul malaffare, che sembra aggredire sempre più voracemente le istituzioni minandone la credibilità, sono i principali alleati della politica e delle istituzioni medesime.
In terzo luogo – un minuto e concludo –, abbiamo mantenuto su proposta dell'Esecutivo l'attuale forma di Governo con riferimento ai poteri del Premier, alle prerogative dei ministri, alla collegialità del Consiglio dei ministri: si deve vigilare perché questo equilibrio sia rispettato, perché sia sempre chiaro chi decide che cosa. Occorre assumere l'impegno di approvare rapidamente la legge costituzionale che rende effettivi gli strumenti di partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche.
E infine, il punto più importante. Questa riforma costituzionale non susciterebbe dubbi e obiezioni così forti se non si accompagnasse ad una legge elettorale che rischia di determinare un mutamento sostanziale della forma di Governo: una legge che in conseguenza dei meccanismi di elezione dei deputati rende debole il Parlamento anziché rafforzarlo, che mantiene limitata la capacità di cittadini di scegliere i propri rappresentanti, che alterando la rappresentanza e forzando la struttura del sistema politico non è affatto detto che porti ad una maggiore stabilità di Governo, se solo abbiamo presenti le mutevoli composizioni dei gruppi parlamentari e il ritorno in auge del trasformismo, che pensavamo confinato nei manuali di storia. Una legge sulla quale pendono forti dubbi di legittimità costituzionale, e che dunque penso sia interesse di tutti chiedere che sia sottoposta al vaglio preventivo dalla Consulta con i nuovi strumenti introdotti da questa riforma, cosa che personalmente farò. Una legge che dev'essere corretta, come minimo con riferimento al rafforzamento del potere dei cittadini di scegliere direttamente i deputati, correggendo l'abnorme percentuale di posti in lista bloccati.
PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.
MARCO MELONI. Ho terminato. O introducendo, come prevede una proposta di legge presentata da molti parlamentari del PD, le elezioni primarie per le posizioni in lista bloccate.
In sintesi, stiamo approvando una buona riforma: sta ora alla responsabilità della politica farne uno strumento stabile e duraturo di miglioramento dell'efficienza e della capacità di decidere della nostra democrazia, senza che siano compressi gli spazi di rappresentanza ed il pluralismo vitali per la libertà e la democrazia in Italia e per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scotto. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, avremmo voluto che questi giorni fossero giorni da ricordare: in anni lunghissimi di sofferenze per il Paese – siamo al nono anno dall'inizio della grande crisi – avremmo voluto che questi fossero i giorni che avremmo ricordato per la capacità del Parlamento e del Governo di mettere fine ad una lunga transizione della democrazia italiana, alle sue lacerazioni e alle sue debolezze. Oggi abbiamo appreso dal Presidente del Consiglio che sarà una giornata storica; tuttavia mi sembra più un tributo alla commedia dell'arte, piuttosto che la definizione di una seria e approfondita riflessione sullo stato del quadro politico-istituzionale di questo Paese.
Commedia dell'arte perché, come è noto a tutti, questa Costituzione sarà approvata con metà del Parlamento da un'altra parte; come è noto a tutti questa Costituzione è stata affrontata con il bastone del comando di un continuo e rinnovato ricatto nei confronti del Parlamento di scioglimento anticipato.
Come si ricordava questa mattina, in tutte le democrazie liberali il Governo sta sotto la Costituzione, non sopra: e questo vale anche per Matteo Renzi, non vale esclusivamente per quelli che lui presume di aver rottamato.
Sono giorni diversi, invece: non quelli del lancio di una nuova Repubblica, ma i giorni di un epilogo, l'epilogo di una stagione cominciata sotto le stelle della carica retorica del rinnovamento, ma finita ahimè nella tempesta degli scandali, delle telefonate, degli emendamenti notturni, degli interessi privati che irrompono nella vita pubblica e la condizionano, come in tante fasi oscure della storia repubblicana. L'epilogo di un Governo che sembra passato dalla al Monopoli, signor Presidente: con tanto di pedine e tiri di dadi, con Palazzo Chigi come plancia di gioco per fare rendita e per costruire rendite di posizione, con lo scopo di rimanere l'ultimo in campo, mandando in fallimento tutti gli altri, tutto il resto, il Paese intero. L'epilogo di una chiamata a risollevare l'Italia dalla crisi economica, e che ha risposto a quella chiamata associando a quella crisi altre crisi, quella democratica e quella morale.
Io sono cresciuto in una scuola dove l'articolo 48 conta qualcosa; e mi rincuora che oggi il Presidente della Corte costituzionale lo abbia ricordato: il voto è un esercizio, e l'esercizio del voto è un dovere civico. Pensare che il Presidente del Consiglio faccia apertamente campagna per l'astensione è un fatto molto grave, e grave innanzitutto per la storia di questo Paese, che è nata dalla Resistenza, dal sangue, dai partigiani, da coloro che hanno scelto di sacrificarsi e di finire in carcere torturati per garantire il libero diritto del voto ai cittadini di questo Paese !
La Carta costituzionale dovrebbe essere il primo capitolo, non l'epilogo del racconto democratico di questo Paese. E invece è l'epilogo, signor Presidente: perché quello che esce fuori dalla revisione di un terzo della Costituzione è uno sbilanciamento troppo forte tra i poteri dell'Esecutivo e del Parlamento; e il fatto di limitare il potere del Parlamento rischia di produrre non oggi, non con questa maggioranza, ma con future maggioranze situazioni al limite, dove l'equilibrio democratico rischia di saltare definitivamente e dove l'arbitrio viene prima del dialogo e del consenso.
A me ha colpito molto lo slogan che è stato utilizzato : riduciamo i senatori, superando il bicameralismo paritario riduciamo i costi, costruendo però un meccanismo che mette il Senato nelle mani dei consiglieri regionali e però toglie poteri significativi alle regioni, avocando di nuovo a sé, allo Stato centrale, una vasta gamma di essi, mettendo al centro il tema del bastone di comando e non quello dei territori. Ho ascoltato molto bene, con molta attenzione, le parole dell'onorevole Meloni; e le ho anche apprezzate, perché ho visto dentro quella riflessione elementi molto forti di autocritica, e anche di preoccupazione, quando dice: «la legge elettorale con le liste bloccate rischia di riprodurre elementi di trasformismo». È vero, questo è il Parlamento dove il trasformismo è stato – come dire ? – uno dei tratti dominanti, dove questa Costituzione era partita con un accordo tra forze diverse ed è finita nelle mani di Verdini e di un pezzo del centrodestra.
Tuttavia, il trasformismo è il tratto principale di questa maggioranza, e da una Costituzione costruita con il trasformismo non può uscire una Costituzione che riproduce stabilità e allargamento delle maglie democratiche. Non funziona, perché i protagonisti sono quelli. Occorre quindi una svolta; quella svolta passerà per il referendum. Lo dico con molto rispetto: avrei voluto che queste parole le ascoltasse anche il Presidente del Consiglio, tuttavia, evidentemente lui è interessato soltanto a venire a concludere questa discussione, senza aver ascoltato nessuna parola di questo dibattito. Detto questo, lui arriva qui, sbarca qui dopo che, nel corso delle ore precedenti, ha sostenuto, in maniera molto forte, che l'opposizione, che voleva evitare questa riforma, era profondamente antidemocratica e ha dichiarato cose che in nessuna democrazia liberale sarebbe possibile dire. In queste ore si sta alimentando uno scontro fortissimo in Gran Bretagna, tra il leader conservatore e il leader laburista: Corbyn ha chiesto al Primo Ministro inglese di venire in Parlamento a riferire rispetto ai e al fatto che probabilmente quel Presidente del Consiglio, quel Primo Ministro aveva delle responsabilità e dei conti altrove; Cameron non si è mai permesso di dire a Corbyn che la sua richiesta e la sua domanda pressante di dimissioni era un gesto antidemocratico. Nei regimi le opposizioni sono definite antidemocratiche, in questa parte di Occidente, invece, le opposizioni sono considerate il sale del pluralismo, il sale della democrazia.
Quindi, abbiamo bisogno di ribaltare questo impianto. Per Matteo Renzi la democrazia è un duello costante, il confronto politico è uno scontro dove c’è qualcuno che sopravvive e qualcuno che soccombe; per me, invece, la democrazia è conflitto ma anche consenso, dialogo, tessitura, mediazione, confronto tra diversi. E il fatto che venga convocato un referendum dalla maggioranza, mentre la Costituzione parla chiaro e dice che il referendum è una prerogativa innanzitutto delle minoranze, dà il segno chiaro di un'operazione, di un esperimento che vuole essere plebiscitario: o con me o contro di me. Però, dovete sapere che probabilmente il Paese starà da un'altra parte, perché ai plebisciti questo Paese ha sempre risposto con la democrazia.
Sono giorni diversi, dunque, con ogni probabilità gli ultimi: ci appelliamo alla residua saggezza di cui siete capaci, per non lasciare questo Paese, al termine delle vostre funzioni, in balia di una revisione costituzionale lasciata a metà e di una legge elettorale costruita e imposta con la fiducia. Non lasciate che, tra le ultime vostre fatiche letterarie, vi sia una Costituzione riscritta con note a piè di pagina da poche mani, in un malinteso carattere di urgenza grazie al quale, in questo Paese, si sono commesse le peggiori nefandezze. Non ne avete l'autorevolezza, non ne avete la forza, non ne avete la legittimità. Non lasciate questo Paese, al termine delle vostre funzioni, nel caos, e non impedite che siano le prerogative costituzionali e la sovranità popolare ad avere nelle proprie mani il proprio destino. Oltre a questo Governo non c’è il salto nel vuoto, oltre di voi non c’è il caos; ciò a cui più teniamo è che questi ultimi giorni non siano un salto nel vuoto. Questo vostro epilogo non si traduca in caos: potete ancora fermarvi, con un atto di distensione e di saggezza di cui non faccio fatica a credere il Paese vi sarà riconoscente.
Avete ancora l'opportunità per arrestare questa tensione, questa spirale di divisione di cui siete a questo punto i primi responsabili. Se non ne sarete capaci, se a prevalere saranno i cattivi consigli di qualche gruppo di pressione, di qualche di qualche agenzia di comunicazione e non l'interesse dello Stato della Repubblica, non pretendete che noi staremo a guardare .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Presidente, la nostra Costituzione è stata scritta dopo una guerra, è stata scritta dopo un momento di grande divisione, di grande spaccatura, anche interna, dopo una sconfitta in una guerra (tra qualche giorno ricorre il 25 aprile, l'anniversario della Liberazione, avvenuta non solo ad opera dei partigiani ma anche delle truppe alleate, che tanto sangue hanno versato in nome e per la nostra libertà), e quella Costituzione, Presidente, ha visto dialogare intorno a un progetto di vita comune, di vita politica, sociale ed economica comune le principali forze politiche dell'Italia di allora. Era un'Italia in grande difficoltà, un'Italia che aveva il coraggio di guardare al futuro interrogandosi Presidente, sui valori che potevano diventare il terreno comune da cui partire per poi scrivere l'impalcatura, l'architettura di un ordinamento che dal 1948 ad oggi ancora è in vigore, ancora ha resistito, così come quei valori e l'attualità di quei valori hanno resistito sino ad oggi, superando il «secolo breve» e accompagnandoci fino a questa curiosa epoca politica di grandi dubbi, di grandi crisi, di grandi cambiamenti ahimè – qualcuno teme, forse non a torto – in peggio.
Presidente, io rimango convinto, dopo aver assistito a diversi tentativi di riforma della Costituzione, che sia difficile, forse impossibile, riformare una Costituzione partendo soltanto dalla Parte seconda, cioè soltanto dall'ordinamento, se prima non c’è una riflessione comune, seria, profonda e condivisa sui valori costituzionali che debbano essere alla base di questa Costituzione. Ed è forse per questo che i precedenti tentativi di riforma della Costituzione sono naufragati; alcuni addirittura hanno visto in culla morire il loro afflato, altri sono naufragati attraverso l'espressione di una contrarietà da parte dei cittadini chiamati a pronunciarsi democraticamente su quel tentativo di riforma. Mi riferisco, per esempio, al tentativo generoso fatto dal centrodestra, dal Governo Berlusconi che, nella legislatura dal 2001 al 2006, ha messo in campo, a maggioranza...
PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, le chiedo scusa. Onorevole Mazziotti di Celso, l'Aula purtroppo non è piena e quindi abbiamo il problema che se qualcuno parla si sente tutto, e questo ovviamente disturba chi parla. Prego, onorevole Baldelli.
SIMONE BALDELLI. L'Aula, l'Assemblea, la maggioranza di allora volle proporre e volle affrontare quella riforma. Ho ascoltato con simpatia e anche con un po’ di tenerezza l'intervento di qualche collega di maggioranza che tentava di difendere o di fare parallelismi tra la maggioranza del Governo Berlusconi di allora e la maggioranza che oggi sostiene il Governo Renzi, che avrebbero forse luogo se non vi fosse un'unica sostanziale differenza: quella maggioranza, colleghi, era una maggioranza che era passata dal via; era una maggioranza che aveva ottenuto il consenso dei cittadini su quel progetto di riforma . Certo, mediato in una coalizione, ma quella maggioranza, quella coalizione si era presentata agli elettori per proporre quella riforma; quella maggioranza addirittura non aveva avuto un premio di maggioranza giudicato incostituzionale. Quella maggioranza, qualcuno di voi ricorderà – penso al sottosegretario Amici, che era già deputato all'epoca ed anche perché esperta di leggi elettorali –, in quella legislatura ebbe meno seggi di quelli che gli sarebbero spettati, proprio perché la dirigenza di Forza Italia di allora fece un pasticcio sull'apparentamento dei collegi con i colleghi candidati nel proporzionale; Forza Italia era addirittura sottorappresentata, non sovrarappresentata !
Quindi c'era un passaggio, un consenso elettorale e addirittura una sottorappresentanza parlamentare. Quella legislatura non aveva il dei deputati perché non furono attribuiti tutti e 630 i seggi. Quindi, pensateci due volte prima di paragonare quella situazione a questa, che è tutt'altra cosa, colleghi. E per tornare alla riflessione iniziale, Presidente: quella legislatura, la prima legislatura costituente, fu la grande festa della democrazia, quell'Assemblea costituente fu la celebrazione e la sublimazione della democrazia; oggi noi siamo nella notte della democrazia. Voglio dire: ci pensate per un attimo, pochi colleghi quanti siamo, al di là del fatto che questo che abbiamo di fronte oggi è il clima costituente – insomma riflettiamoci – che c’è in questo momento, ma voi ci pensate che in questo momento noi non abbiamo una legge elettorale per la Camera deputati in vigore ? Il cosiddetto – di cui noi facciamo critica al Governo e alla maggioranza, tra l'altro di averlo approvato a colpi di fiducia in quest'Aula, con i numeri che avete – non è in vigore; per il Senato della Repubblica non c’è una legge elettorale in vigore, se non il con delle generiche indicazioni di proporzionale con preferenze – quante ? una, due, tre, quattro ? quante ? –: non c’è una legge elettorale, questo è un sequestro della democrazia ! Non c’è una legge elettorale ! In questo preciso istante, se si dovesse sciogliere il Parlamento, noi non abbiamo una legge elettorale per la Camera che non sia una legge che è stata abrogata con un referendum nel 1993 – ci siamo ? questa è la situazione attuale – e con un premio di maggioranza giudicato incostituzionale con una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne e con la quale la maggioranza che adesso sostiene il Governo, e in particolare il monopartito di maggioranza, che da solo fa la maggioranza con 310 e rotti deputati, e regge il Governo, e non quella maggioranza era uscita e aveva conseguito il premio con SEL e con altri, ma un'altra maggioranza fatta con gli eletti presi con i voti di Berlusconi. Questa maggioranza e il suo Presidente del Consiglio in maniera unilaterale decide di cambiare, non solo la Costituzione, che è la Carta principale che dovrebbe essere il terreno condiviso per tutti, ma anche la legge elettorale, ma anche i criteri di cittadinanza, ma anche il conflitto di interessi, che significa i criteri con i quali si accede alla rappresentanza e ai governi locali e nazionali, ma anche il concetto di famiglia, ma anche la del servizio pubblico radiotelevisivo. Ma allora, qual è il concetto di democrazia ? Il governo unilaterale delle cose ? Qual è il concetto di dibattito che il Presidente del Consiglio ha ? Il dibattito interno al PD ? Il dibattito interno alla maggioranza ? E poi tutto il resto non conta. Non venite a dirci – per cortesia, è patetico – che noi in questa prima fase avevamo sostenuto il processo di riforma; certo, abbiamo sempre sostenuto la necessità di apportare miglioramenti, di modernizzare il nostro sistema costituzionale e ci abbiamo creduto, lo abbiamo fatto, anche perché questo significava dialogare tra maggioranza e opposizione in un momento in cui si usciva da vent'anni di guerra civile – perché, al di là di quello che dice qualcuno, qui in questo Paese per vent'anni, in maniera strisciante, per fortuna non violenta, una guerra civile c’è stata tra centrodestra e centrosinistra – e quella era la possibilità di superare quel momento di conflitto e di . Poi qualcuno nel nostro partito ci ha creduto talmente tanto che ha preferito addirittura quella riforma al partito, tant’è vero che oggi sono quasi in maggioranza, o sono in maggioranza a seconda delle convenienze in entrata o in uscita. Questo è il punto: in maniera unilaterale, la maggioranza che sostiene il Presidente del Consiglio sta cambiando le regole principali della convivenza politica, civile ed economica del nostro Paese, in maniera unilaterale e se Forza Italia, se Fratelli d'Italia,. se la Lega, se il MoVimento 5 Stelle, se SEL e tutte le opposizioni vi dicono che state sbagliando, sottolineano alcune sfumature e ragioni di merito, insomma ci sarà una ragione di fondo per la quale c’è un grosso disagio in questo Paese, oppure pensate che le cose, purché sia, vadano fatte anche se vengono fatte male ?
Ma voi credete davvero, Presidente, che in un Paese con una crisi economica di questa portata, con una crisi internazionale – e non tocco neanche l'argomento del terrorismo che meriterebbe una parentesi a parte –, con le difficoltà che tutti i giorni la classe imprenditoriale e politica ha – e stendiamo un velo pietoso sul susseguirsi di scandali che in questo momento travolgono la compagine di Governo, e il Presidente del Consiglio, ovviamente facendo buon viso a cattivo gioco e di necessità fa virtù, per cui ogni Ministro che si dimette lo utilizza per acquisire lui, o i suoi uomini più stretti posizioni di potere –, ma, al di là di questo che mi interessa poco, io dico: vi sembra normale che in questo quadro noi ci mettiamo a sperimentare un regime di nuovo sistema costituzionale, con un rapporto tra Camera e Senato, in particolare dal punto di vista legislativo – lo vediamo e lo vedono anche i colleghi alla prima legislatura quanto sia complesso tutto questo – a geometrie variabili ? Ma vi sembra normale riscrivere la Carta costituzionale con questa superficialità ? Io credo che non sia normale, Presidente. Io credo che – l'ho detto nella scorsa discussione – a volte si può dare più spazio al principio di rappresentanza, sacrificando la funzionalità – è una scelta, magari è una scelta opinabile, ma è una scelta – a volte si può fare il contrario – è più pericoloso –: rendere più funzionale un ordinamento costituzionale riducendone in qualche modo i criteri e gli spazi di rappresentanza. Io credo che questa riforma sacrifichi sia la funzionalità, sia la rappresentanza, riuscendo in un capolavoro che nessuno fino ad oggi è riuscito a fare. Ma se volevamo fare una legge per «risparmiare», perché avete pensato, inseguendo la demagogia più bieca dell'antipolitica, a partire dal titolo di questa norma, che la riforma costituzionale debba essere un risparmio ? Allora, presentateci un disegno di legge dove si riduce di 100, 150, 200 deputati la Camera e di 100 componenti il Senato della Repubblica: il risparmio c’è lo stesso, ma almeno evitiamo di ficcarci in un tunnel di pasticcio sperimentale, che non sappiamo dove ci porterà. È più lineare, ha più senso. Io non amo le cose fatte così, un tanto al chilo, ma insomma almeno avrebbe una sua coerenza. Io credo che qualsiasi forza dell'opposizione potrebbe sfidarmi a fare questa cosa da domani e rinunciare a questo pastrocchio, con il quale condanniamo il sistema istituzionale di questo Paese all’, o alla sperimentazione giorno per giorno, andando così a tentoni, per vedere a caso che cosa succede. Guardatevi le competenze del Senato, la sovrapposizione, la divisione dei compiti, guardatevi i compiti del Senato, oltre che la composizione su cui ci sarebbe molto da dire: avete fatto tutta questa scienza per fare il Senato dei consiglieri regionali; ma vi sembra una cosa normale ? Un Senato dove – lo diceva qualcuno stamattina – ha già vinto il PD e quindi poi, chi vincerà alla Camera dovrà vedersela con... Io credo che siamo di fronte a una legislazione davvero singolare e, quando ascolto qualche collega della maggioranza dire: ma vi sembra normale che voi sostenete questa campagna referendaria contro la riforma costituzionale solo perché volete mandare a casa il Premier ? Ebbene, io a questi colleghi, Presidente, ho il dovere di rispondere che la campagna così impostata non l'hanno mica impostata le opposizioni; non sono state mica le opposizioni a dire che, se perdeva il referendum, il Premier doveva andare a casa. È stato il Presidente del Consiglio a sostenere questa tesi in maniera specifica, anzi dicendo che abbandonava la politica; e su questo voglio precisare, Presidente, che, dal punto di vista istituzionale, va bene che ormai siamo al delirio di onnipotenza, però insomma c’è un distinguo da fare: in questo Paese, così come le leggi le firma il Presidente Mattarella e non Renzi, malgrado si facciano queste pagliacciate a Palazzo Chigi, per cui il Presidente del Consiglio firma la legge – e non la firma, ma la controfirma –, alla stessa stregua, le Camere non le scioglie il Presidente del Consiglio, le Camere le scioglie il Presidente della Repubblica, una volta che ha verificato che non ci sono maggioranze in Parlamento.
Ho come la sensazione che se Renzi perdesse questo referendum e andasse a casa, qualcuno che sta in questo Parlamento, e che è disponibile a scrivere una legge elettorale come Dio comanda e a portare questa legislatura a termine, trovi 400 voti alla Camera e 200 voti al Senato, subito ! Non venite a raccontarci che la legislatura finisce perché si dimette Renzi. Questa legislatura è cominciata senza Matteo Renzi a Palazzo Chigi e può, Presidente, come lei sa benissimo (la Costituzione non ha scritto da nessuna parte cosa diversa) finire senza Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Questo è ! Non vi sono altre verità, se non questa.
E se tutte le forze di opposizione vi accusano di un comportamento unilaterale, di un comportamento sfacciato, di un comportamento antidemocratico, guardate che un motivo ci sarà. Ricordatevi quello che è successo anche più di recente su una legge molto importante che affrontavamo in questa Aula: io mi sono alzato in quest'Aula e vi ho detto: guardate che se tutti quanti vi diciamo «occhio perché qui c’è un problema», prendetevi una pausa, sospendete i lavori e cercate di capire se questa cosa è effettivamente così e se c’è spazio per modificarla. Siete voluti andare avanti e siete andati sotto. Io credo che con l'arroganza non si vada da nessuna parte, che ci sia un principio che prescinde anche dalle convinzioni di ciascuno: il principio del rispetto delle istituzioni e del rispetto degli equilibri che all'interno delle istituzioni si creano.
Allora, il fatto che il Presidente del Consiglio pensi di poter raccontare agli italiani che sul tema delle riforme, dopo vent'anni di chiacchiere, lui abbia messo il turbo e finalmente si è risolto il problema, è una colossale baggianata, perché queste riforme fatte col turbo, fatte con la velocità, fatte, posso dire, più che con la velocità con la fretta, rischiano di essere un pasticcio peggiore del non farle e soprattutto di trasformare questo referendum in un plebiscito su Matteo Renzi. È un errore gravissimo, perché trasformerà questa campagna elettorale in qualcosa di molto, molto diverso, non so se migliore o peggiore, ma questo ha innescato nella mente di molti italiani il principio che forse c’è un'opportunità che è quella di mandare a casa un Presidente del Consiglio non eletto, che in questo momento sta governando unilateralmente questo Paese, che è convinto di avere uno scettro del comando, ma non ha nessuna legittimazione democratica popolare per farlo. Ha una legittimazione di un Parlamento che però vive in base a un premio incostituzionale da un lato, e alla maggioranza garantita con gli eletti del centrodestra dall'altro. Se questa vi sembra democrazia, se questa vi sembra una situazione normale, godetevela pure, ma non ve la godrete in eterno
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferrari. Ne ha facoltà.
ALAN FERRARI. Grazie Presidente intervengo anch'io perché penso che il dibattito di questi giorni, in quest'ultimo passaggio parlamentare, della riforma costituzionale sia un dibattito importante e credo che sia una questione di rispetto verso quest'Aula, queste Aule, questa e quella del Senato, e verso gli italiani, arricchirlo e portare il punto di vista di chi l'ha vissuta questa riforma sulla propria pelle con tante ore di lavoro.
Ma prima di entrare nel merito, Presidente, mi consenta di rivolgere due messaggi a coloro che mi hanno preceduto, per primo rivolgendomi a chi siede alla destra di questo Parlamento. Ho sentito parlare poco fa di notte della democrazia, di modo unilaterale di governare la fase politica, di rispetto delle istituzioni. Ebbene, onorevole Baldelli, sempre per il suo tramite, signor Presidente, qui non si tratta di una curiosa fase politica. È curioso il fatto che venga dai banchi di Forza Italia questo richiamo. Allo stesso modo, è curioso che chi siede alla sinistra dei banchi del Partito Democratico abbia detto che noi con questa riforma lasciamo il Paese nel caos. Noi dal caos questo Paese lo abbiamo ereditato. E avremmo anche voluto che chi si siede alla sinistra del Partito Democratico contribuisse, caricandosi una parte di responsabilità, di farlo uscire da questo caos.
Detto questo, come è stato ricordato, siamo a un passo dalla storia. Siamo a un passo dalla storia – e lo dico senza presunzione perché, lo ripeto, stiamo parlando di una materia complessa e di un provvedimento che toccherà direttamente la vita dei cittadini, il cuore della nostra democrazia – perché per la prima volta nella storia della Repubblica, nel nostro Paese, questo Parlamento è in grado di portare a termine la doppia lettura e soprattutto di portare a termine un obiettivo su cui le tre bicamerali precedenti avevano fallito (lo ha ricordato questa mattina l'onorevole Fiano, quella Bozzi del 1983, De Mita-Iotti del 1992 e D'Alema 1997), ovvero l'obiettivo della fine, del superamento del bicameralismo perfetto.
E siamo a un passo dalla storia perché abbiamo immaginato, studiato, discusso, amato discuterne, che superare il bicameralismo perfetto era una delle condizioni per modernizzare questo Paese, a maggior ragione via, via, che è passato il tempo. L'appesantimento legislativo e procedurale del bicameralismo perfetto lo abbiamo interpretato come una delle condizioni limitanti della nostra capacità di rispondere rapidamente alle esigenze dei cittadini. E siamo a un passo dalla storia perché la storia aveva affidato tutto ciò a questa legislatura. Lo stiamo mantenendo perché è con questa condizione di partenza che ha accettato lo straordinario secondo mandato il nostro Presidente Napolitano. E siamo a un passo dalla storia, e mi fa piacere dirlo, mentre si apre il mese in cui celebreremo il 25 aprile, una parte di quella storia a cui tanti di noi, e io mi auguro tutto questo Parlamento, sono fortemente legati. Riprendo le parole del Presidente Mattarella lo scorso anno, nel corso delle celebrazioni per il 25 aprile, settantesimo del 25 aprile di Milano, quando disse: i nostri padri ci hanno dato moltissimo, onorarli comporta l'onere di compiere nuovi passi. Io credo che vada in questa direzione quello che stiamo per approvare: compiere nuovi passi, nel miglior modo possibile, senza avere la presunzione che siano passi perfetti, ma avendo la consapevolezza che è il miglior passo possibile in questa legislatura. Il richiamo al 25 aprile non è casuale e credo che non debba essere lasciato, quanto meno è nelle intenzioni del Partito Democratico, neanche un briciolo di spazio affinché si pensi che non sta a cuore di questa forza politica la difesa di quei valori e di quei principi scritti nella nostra Costituzione che non vengono toccati minimamente né intaccati da questa riscrittura, perché chi siede da questa parte del Parlamento quella storia, attraverso i propri padri, l'ha vissuta direttamente.
Tra l'altro, voglio anche rassicurare gli italiani rispetto a quella che sembra essere una deriva autoritaria che questo Paese sembra prendere guidato dal suo Governo e dal suo Presidente del Consiglio: l'Italia non si è macchiata neanche di una vittima del Mediterraneo e questo a testimonianza che quei valori sono ancora fortemente incarnati nei cittadini italiani a qualsiasi livello, siano essi persone che siedono nelle istituzioni, siano essi al servizio del Paese in altre forme.
Dicevo che con questo passaggio si chiude la seconda lettura e io credo che dobbiamo prestare attenzione a un aspetto: è da due anni che lavoriamo su questo provvedimento, ma la politica gioca delle trappole molto particolari, dà sensazione che tutto sia concentrato nel momento in cui accade un fatto e spesso porta a dimenticare quello che abbiamo alle spalle. Questi sono stati due anni molto lunghi e quando abbiamo iniziato, nell'autunno del 2014, la discussione in quest'Aula tanti di noi, io compreso, richiamavamo l'importanza di legare questa riforma della Costituzione con le altre riforme. Era vero perché è ovvio – è ovvio – che all'assetto istituzionale sono legate la riforma della pubblica amministrazione, della giustizia e quant'altro. Oggi però abbiamo un elemento che possiamo aggiungere perché nessuno, nessun cittadino italiano, deve dimenticare che se fosse fallito uno dei passaggi intermedi prima di arrivare qui oggi, le riforme che sono state fatte in questo anno e mezzo non sarebbero state fatte. Restando in un campo che la sinistra ha molto a cuore, di quei 10 miliardi investiti sulla scuola, per esempio, e sulla riduzione del cuneo fiscale, non ne avrebbero beneficiato i cittadini. Questa era la conseguenza, perché un passo falso in una delle quattro letture, o in una delle sei letture, a seconda da che parte la si prenda, avrebbe determinato l'instabilità di questo Paese, l'impossibilità per quel Governo – che in quel momento e in questi anni sta guidando questo Paese – di poter promuovere le altre riforme.
Venendo al merito, molto rapidamente, è già stato ricordato, noi promuoviamo un'ampia revisione della Parte II, in particolare chiudiamo la stagione, lunga stagione, del bicameralismo perfetto per aprirne una inedita, e sottolineo inedita, tutta da scrivere nei fatti, di bicameralismo differenziato. Si è detto già ampiamente, oggi, quale sia il significato di introdurre una procedura legislativa molto più snella e molto più capace di rispondere alle urgenze che un Paese come il nostro, una tra le principali potenze del mondo, presenta quotidianamente. A ciò si aggiunge il fatto che, per la prima volta, in Italia, si riesce a costituire quella Camera di rappresentanza delle autonomie locali di cui questo Paese sentiva il bisogno addirittura durante la seconda guerra mondiale e, poi, la scrittura della Costituzione.
Abbiamo detto che con questo provvedimento abbiamo rivisto il Titolo quinto e, al di là di una messa in ordine di quelle che erano le competenze che a mio avviso, e a avviso di tanti, hanno indubbiamente affaticato il modo di interagire, in particolare tra Stato e regioni, io credo che andiamo a toccare, nel cuore, uno degli aspetti su cui il nostro Paese, in questi settant'anni di storia repubblicana, ha mostrato più lacune.
C’è un dialogo molto illuminante tra Sturzo e Salvemini nell'estate del 1946, e cioè appena prima che la scrittura della Costituzione prendesse forma, ed è un dialogo in cui i due ragionano su tante cose, venendo da culture diverse, una cattolica e l'altra laica socialista, come si sa; ebbene, Sturzo dice a Salvemini che la nostra Costituzione avrebbe dovuto avere un cuore, avrebbe dovuto avere un grande obiettivo che era lo sviluppo della persona umana e che per garantire un reale sviluppo della persona umana l'ordinamento dello Stato non sarebbe stato irrilevante, ma che avrebbe dovuto prevedere una diffusione di potere e di responsabilità laddove il cittadino era più vicino. Ebbene, i due finiscono questo loro scambio dando per scontato che questo sarebbe avvenuto naturalmente, che l'Italia avrebbe avuto la forza, dopo aver fatto la battaglia per l'unità, dopo aver riconquistato la democrazia, dopo la fase fascista, avrebbe naturalmente avuto la capacità di diffondere potere e responsabilità politica. D'altra parte, dicono i due, se così non andrà, ci sarà al centro del Paese un'eccessiva concentrazione di potere e un inevitabile degrado della politica. Ahimè, rileggendo quei dialoghi sembra davvero di rileggere qualcosa di fortemente premonitore. Ma io cito questi dialoghi per dire che se abbiniamo questa parte, e cioè gli assetti istituzionali che sono stati formalizzati in questa Carta costituzionale – la maturità con cui si pensava a come dovesse evolvere l'assetto istituzionale era molto relativa all'ora ed è per quello che abbiamo pagato le conseguenze di quell'immaturità per tutti questi anni –, con altro, identifichiamo ciò che la storia ha assegnato anche a questa legislatura e cioè di trovare il modo di abbinare una riforma dell'assetto istituzionale alla riforma della pubblica amministrazione, di trovare il modo affinché quei diritti e quei principi che vengono mantenuti tali e quali nella nostra Costituzione siano agibili con un funzionamento dello Stato più in grado di garantirli di quanto non sia accaduto in tutto questo tempo.
Ebbene, concludendo Presidente, abbiamo ricevuto molte critiche e abbiamo anche cercato, nel nostro lavoro, di rispondere, in più di un'occasione, a queste critiche. Ci è stata rivolta la critica che il Governo aveva avuto un ruolo troppo significativo e io voglio ricordare a questo Parlamento e agli italiani che ci seguono – e che avranno l'onere, probabilmente, di rileggere questo dibattito, il dibattito in quest'ultimo passaggio – che non solo un ruolo significativo da parte del Governo non è inedito, ma, come è già stato ricordato prima, è un ruolo che noi riscontriamo anche recentemente nel passaggio del 2005 con il Governo Berlusconi, ma, aggiungo, che, senza, lo ripeto, quell'appoggio, quel sostegno, quel contributo che il Governo ha dato, questo Parlamento non avrebbe avuto la forza di portare a compimento quella riforma di cui stiamo parlando, che come conseguenza avrebbe avuto la impossibilità di produrre le altre riforme. Aggiungo a questo che, per quanto questo ruolo di accompagnamento sia stato significativo, il testo che esce da queste Camere è un testo che tiene fortemente conto del lavoro di queste Camere, ampiamente conto del lavoro di queste Camere.
Ci è stato detto che in questi lavori parlamentari non è stato possibile costituire o avere un clima costituente che accompagnasse la riscrittura di questa Costituzione e io devo dire che sarà solo la storia, con la sua capacità di lavorare su tempi più lunghi, ad indicare esattamente quali sono le motivazioni perché, anche questa volta, il clima costituente che dovrebbe essere alla base di una riscrittura della Costituzione non c’è stato. Io penso che, come ha ricordato l'onorevole Tabacci questa mattina, affinché ci possa essere un clima costituente serve che ognuno sia disposto a cedere una parte, una parte dei propri interessi, una parte di ciò che ha in gioco nel rappresentare una parte del Paese e questa disponibilità non c’è. Quello che agli italiani va ricordato è che le opposizioni che in questo momento criticano questo provvedimento non hanno mai mostrato, fin dall'inizio di questa vicenda, una minima disponibilità a scrivere qualsivoglia Costituzione; non era nella disponibilità di questo Parlamento e di questa maggioranza una collaborazione che portasse ad una riforma della Costituzione diversa da quella stiamo per approvare. E, infine, ci sono state rivolte molte critiche rispetto alle garanzie e rispetto ai ruoli di garanzia, in particolare, a quello del Presidente della Repubblica; io voglio dire, a questo proposito, in relazione alla legge elettorale che abbiamo approvato, che contano i numeri. Per eleggere il Presidente della Repubblica – e questa è una delle novità introdotte da questo ramo del Parlamento – nei primi tre scrutini servono 486 voti, ovvero, 146 voti in più, quindi, 40 voti in più del numero intero dei senatori, rispetto ai 340 che avrà il partito che vincerà le elezioni con l'Italicum. Dalla quarta alla sesta votazione ne serviranno 438, praticamente i 340 di chi vincerà con l'Italicum più l'intero Senato. Questo sta a dire che il principale ruolo di garanzia di questo nostro impianto democratico rimane esattamente con gli stessi poteri che la nostra Costituzione gli ha affidato fino ad oggi, senza nemmeno uno in meno.
ALAN FERRARI. Mi avvio a concludere, signor Presidente, rivolgendo un ultimo messaggio a chi mi sta a sinistra, non mi rivolgo esclusivamente a coloro che siedono alla sinistra del Parlamento, ma mi rivolgo anche a coloro che con me hanno condiviso una cultura politica e un pezzo di storia di questo Paese e lo dico senza presunzione, lo dico perché è corretto ribadire che quanto noi stiamo per approvare è profondamente nel solco di quanto maturato nella storia della sinistra di questo Paese. Era, infatti, il 10 dicembre del 1981 quando su a pagina 7, veniva presentata la proposta economica del Partito Comunista, era un documento molto ampio, un documento in cui si diceva che il bicameralismo perfetto era, ormai, da considerare un ostacolo ed un appesantimento dei lavori del Parlamento e che era inevitabile procedere verso un forte, significativo rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio. Ebbene, la forza di queste affermazioni va ben oltre l'assetto proporzionale che in quel momento sedeva in quel Parlamento e la prima firma di quel documento era quella di Enrico Berlinguer .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cecconi. Ne ha facoltà.
ANDREA CECCONI. Grazie, Presidente. Siamo a conclusione di un lungo iter che vorrei ricordare: l'8 agosto del 2014 questa riforma costituzionale è stata approvata per la prima volta in prima lettura al Senato della Repubblica, per poi passare, il 10 marzo 2015, con modifiche, qui alla Camera dei deputati, il 13 ottobre dello stesso anno con altre modifiche al Senato della Repubblica, poi, l'11 gennaio qui alla Camera dei deputati, senza modificazioni, il 20 gennaio, poco dopo, al Senato in seconda deliberazione e oggi i primi giorni di aprile per l'approvazione finale. Ma quello che lascia sempre sconcertati in tutto questo iter è che questa proposta di legge non è stata proposta da questo Parlamento, ma porta la firma di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi.
Matteo Renzi, Presidente del Consiglio non eletto da nessuno – certamente avrà la fiducia del Parlamento, della Camera e del Senato, ma non si è mai sottoposto a un voto popolare – e Maria Elena Boschi, certo parlamentare e deputata, qui, alla Camera dei deputati, ma oggi Ministro per i rapporti con il Parlamento, che dovrebbe avere rapporti con il Parlamento e non dire quello che il Parlamento deve fare.
Entrando velocemente nel merito di questa proposta di legge, di questa riforma costituzionale, che per voi è epocale, che per voi è una svolta storica, ma che per noi è un dramma che sta avvenendo nel nostro Paese – collegata, oltretutto, alla riforma elettorale, che va a scombinare completamente l'ordinamento democratico di questo Paese, perché non si sta semplicemente trattando di chiudere una Camera, che è il Senato, che, tra l'altro, non viene neanche chiusa – questa riforma costituzionale, semmai dovesse passare il vaglio dei cittadini, cosa che per voi è scontata, cosa che, francamente, per noi non è affatto scontata, e, anzi, crediamo che i cittadini siano molto più attenti di quello che voi credete e pensate, e alla fine diranno «no» a questa riforma costituzionale, cambia, sostanzialmente, buona parte di questa Costituzione, più volte dichiarata la più bella del mondo e che rischia di diventare una tra le più brutte, o, comunque, una tra le peggiori applicazioni che abbiamo mai avuto nella storia del nostro Paese.
Infatti, il Senato viene completamente trasformato e non chiuso: cambiano le modalità di elezione, rimangono, invece che 315 senatori, 100 senatori, ma nessuno li nomina, nessun cittadino li nomina. Si passa tutti per un'elezione di secondo grado, tra consiglieri regionali e comunali, ma quello che lascia francamente perplesso è che è chiaro che a voi questa cosa vi va bene, perché vi gestite tutto all'interno delle vostre porte chiuse, all'interno dei vostri comitati di partito e consigli regionali, e i cittadini vengono completamente esautorati nella scelta di rappresentanti nazionali che, è vero, non daranno la fiducia a questo Governo, al prossimo Governo che si siederà, ma certamente hanno dei compiti non poco fondamentali.
Per esempio, una successiva riforma costituzionale non può essere fatta senza l'avallo della seconda Camera del Senato. Come si possa pensare di fare una cosa del genere è veramente aberrante ! Persone elette al Senato, che provengono da consigli regionali e consigli comunali, possono decidere di bloccare una riforma costituzionale che dovesse venire dalla nuova Camera, con 630 persone elette direttamente dai cittadini e che sono le persone che danno la fiducia al Governo del Paese.
Ecco, questo è uno di quegli scandali di cui poco si è sentito parlare nell'opinione pubblica, ma che sarà veramente aberrante per il futuro democratico del nostro Paese. Si occupa di cose abbastanza vaghe e anche abbastanza inutili, alcune volte, ma la domanda che rimane sempre in sospeso e a cui non si riesce mai a dare una risposta è perché non si è voluto sopprimere il Senato, se dovevamo dargli una componente così risicata, tra l'altro, di persone che provengono dai consigli regionali, che sono degli organismi a cavallo tra una componente legislativa e una componente amministrativa, e quindi hanno tutt'altro compito e tutt'altra estrazione.
Perché non si è voluto chiudere questo Senato o perché non si è voluto ridurre sia il numero dei senatori sia il numero dei deputati ? Se per voi il problema era il bicameralismo perfetto, voi, con questa riforma costituzionale, non state risolvendo il problema del bicameralismo perfetto, e, anzi, state rendendo ancora più complicata e farraginosa la possibilità per un Parlamento di andare a legiferare su questioni altamente rilevanti.Cambiate completamente quello è che l'iter di approvazione delle leggi all'interno di questo Parlamento.
Esistevano, una volta, i decreti-legge, di cui certamente se ne è fatto un abuso, uno stra-abuso, ma, nonostante tutti i Presidenti della Repubblica e la Corte costituzionale abbiano più volte ribadito che l'utilizzo dei decreti-legge è stato erroneo da parte dei Governi che si sono succeduti, nonostante le opposizioni abbiano sempre detto che le leggi le deve fare il Parlamento e non le deve fare il Governo, voi date un nuovo potere di intervento al Governo, nonostante quelli che già ha, per non avere il disguido o il disturbo di avere una voce dell'opposizione o di un Presidente della Repubblica o della Corte Costituzionale che vi dice che quello che state facendo non è corretto.
E, quindi, inserite un nuovo procedimento legislativo con data certa. Come si possa pretendere di tutelare le minoranze e le opposizioni di un Parlamento provvedendo a presentare una serie di leggi di proposta governativa con voto in data certa, questa è una cosa che soltanto voi potete sapere o vi siete potuti immaginare ! Io sono stato qui ad ascoltare diversi interventi in sede di discussione sulle linee generali, e ne ho ascoltati anche fin troppi per il tenore di quelli che erano il contenuto e le motivazioni per cui il Partito Democratico e chi supporta questo Governo dice che quella che stiamo facendo è una buona riforma costituzionale.
Modificate completamente quelli che sono gli istituti della democrazia diretta in un Paese in cui i cittadini, per anni, sono stati chiamati solamente ogni cinque anni, o poco meno, se cadeva il Governo, ad eleggere i propri rappresentanti in Parlamento, e quindi anche il proprio Governo, per poi lasciarli in un limbo in cui nessun programma elettorale veniva rispettato, nessuna promessa in campagna elettorale veniva rispettata e l'unico strumento a disposizione dei cittadini era quello della proposta di legge popolare, cosa che, tra l'altro, è sempre stata accantonata e incassettata sia alla Camera che al Senato. Non si capisce qual è la motivazione per cui i cittadini facciano i banchetti, raccolgano le firme, depositino una proposta di legge in Parlamento, e il Parlamento non ne dia risposta.
È una cosa veramente scandalosa, che il MoVimento 5 Stelle ha più volte denunciato e che ha anche tentato di portare avanti, all'interno del Parlamento, nella passata legislatura, quando ancora non aveva rappresentanti a livello nazionale. E, comunque, anche in quel caso, le proposte di legge firmate da 300 mila cittadini sono state messe in un cassetto e ancora in quel cassetto giacciono, anche perché, poi, erano già passate due legislature, e quindi non c'era più la possibilità di riportarle in vita. E, cosa ancora più sconcertante, voi aumentate anche le firme per i referendum. Oggi, tra poco, la prossima domenica, si voterà per il referendum sulle trivelle, ma sta partendo anche una nuova campagna di referendum sociali, appoggiati da più forze politiche, ma, soprattutto, da associazioni di cittadini, di studenti, associazioni ambientaliste e culturali nel nostro Paese, che vedono nel referendum l'unica possibilità e l'unico strumento loro rimasto per far valere i loro diritti e per dire al Governo del Paese che in quel momento sta governando, ma anche per i Governi precedenti e successivi, che i cittadini certe cose non le tollerano, non le vogliono e le vogliono vedere modificate.
Anche in questo caso, voi impedite loro, impedite loro, di avere un accesso facile e veloce a questi strumenti di democrazia diretta. È chiaro che questa riforma costituzionale è andata avanti solo e semplicemente a colpi di maggioranza. Questa non è stata una riforma costituzionale voluta dal Parlamento italiano e voluta da tutti i cittadini italiani: questa è una riforma costituzionale voluta da Giorgio Napolitano e voluta dal Partito Democratico, e basta ! Non c’è stata alcuna discussione in merito, le modifiche apportate alla Costituzione le avete fatte voi nelle vostre stanze, se non qualche misero e piccolo emendamento per andare a modificare e dare qualche contentino alle opposizioni.
Vi siete giocati completamente solo voi questa partita e ne andate pure fieri, ed è questo il vero scandalo che avete portato avanti da due anni in questo Parlamento. Avete preso un disegno di legge del Governo, una riforma costituzionale abissale, gigantesca, l'avete portata nelle Aule parlamentari e non vi siete sottoposti a nessun confronto. Avete detto e continuate a dire che si è parlato, si è discusso, vi è piaciuto pure parlare, però avete fatto esattamente quello che vi pareva, e ne andate pure fieri, come se il MoVimento 5 Stelle, la Lega, Forza Italia, tutte le altre minoranze, qui, nel Parlamento, non abbiano nessun diritto di intervenire sulla riforma costituzionale.
Questa è la riforma costituzionale vostra, al referendum la portate come vostra e state certi che tutti i cittadini che non appoggiano il Partito Democratico, e credo anche molti cittadini che in passato hanno appoggiato il Partito Democratico, questa cosa non ve la lasceranno passare. Tra l'altro, questa è una riforma costituzionale che è viziata da un procedimento, anche mediatico, che a nostro parere è stato aberrante.
Come un Presidente del Consiglio si possa appropriare del più alto potere di cui questo Parlamento dispone, cioè quello di tutelare ed eventualmente modificare la Costituzione, è una cosa che ci lascia completamente esterrefatti !
In questo Paese la stampa si è piegata, evidentemente piegata ad una linea mediatica e di condotta di un Presidente del Consiglio, che si è appropriato di questa riforma costituzionale, come si sta appropriando anche del referendum costituzionale, come se non si dovesse votare sulla Costituzione ma per un plebiscito sulla sua persona. Questo è un altro grosso errore che state facendo; ma non è un grosso errore che state facendo ai fini elettorali o ai fini dei voti che potete raccogliere, che potranno essere pochi o molti, e questo lo decideranno i cittadini: state facendo un grosso errore per la tenuta democratica di questo Paese, perché i cittadini devono sapere su che cosa votano, e non devono sapere che votano a favore o contro il Premier che sta governando questo Paese.
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Cecconi. Gentilmente, per favore, i banchi del Governo. Onorevole Nicchi... Grazie.
ANDREA CECCONI. Perché questa cosa non c'entra assolutamente nulla con la riforma costituzionale.
Senza poi dimenticare che questo Parlamento è un Parlamento formato ed eletto con una legge che è stata dichiarata incostituzionale. Poi si può dire che la Corte costituzionale ha detto: il Parlamento ormai è stato eletto, continuate pure a svolgere la vostra legislatura; ma che questo Parlamento si arroghi anche il diritto di attuare una modifica totale di grande parte della nostra Costituzione, è una cosa che francamente ci potevamo risparmiare. Potevamo avere un Parlamento eletto con una legge democratica e non incostituzionale, con una componente che non prevedesse un abnorme premio di maggioranza, che inficia completamente tutto il lavoro che si sta facendo ed anche la tutela delle minoranze; e quando stiamo parlando di tutela delle minoranze, non stiamo parlando della tutela dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle o di SEL o di Forza Italia o della Lega: stiamo parlando di milioni di cittadini italiani che sono andati al voto e volevano essere rappresentati non dal partito di maggioranza, ma da altri partiti. Questa legge elettorale, che ha eletto questo Parlamento, non ha permesso una reale discussione, costituzionalmente corretta, per tutte le leggi, per tutte le riforme che si sono approvate durante questi tre anni, ormai tre anni e mezzo, e ciò vale ancor di più per la riforma costituzionale.
Ma veniamo poi al merito politico anche contingente in cui ci troviamo in questo momento. Voi sapete benissimo che il MoVimento 5 Stelle, insieme agli altri partiti di opposizione, ha presentato una mozione di sfiducia al Governo, che è al Senato e che verrà votata la prossima settimana, e che avevamo chiesto di anticipare il voto di sfiducia al Governo e poi eventualmente portare in votazione la riforma costituzionale: anche questa è una richiesta che la maggioranza non si è assolutamente sentita nelle condizioni di poter agevolare. Siamo ricorsi all'arbitro, alla persona che durante il suo insediamento in seduta comune in questa Camera ha dichiarato di voler essere semplicemente l'arbitro della partita politica in questo Paese. Abbiamo chiesto semplicemente all'arbitro: guardi, signor Presidente, c’è questo piccolo problema; ci potrebbe un attimo convocare, ascoltare, sentire le nostre ragioni e valutare la richiesta che le opposizioni le stanno sottoponendo ? Cioè, votiamo la mozione di sfiducia per dei fatti gravissimi che stanno attraversando il nostro Paese, perché non è possibile tenere in stallo una richiesta di sfiducia sapendo che contemporaneamente si sta approvando in ultima lettura e con l'ultimo voto una riforma costituzionale epocale. Il Presidente della Repubblica ancora non si è neanche degnato di risponderci ! Avere un arbitro che non ha il fischietto in questo Paese è faticoso, perché era sufficiente da parte del Presidente della Repubblica dire che non ci voleva incontrare, e non tenerci all'oscuro di tutto e lasciare in un limbo non tanto noi, ma tutti i cittadini che nella Presidenza della Repubblica ripongono un minimo di fiducia. Questo è un comportamento che francamente noi non riteniamo rispettoso per le opposizioni che hanno avanzato tale richiesta, perché chiedere è lecito, rispondere è cortesia.
Detto questo, gli scandali che stanno attraversando il nostro Paese sono abbastanza singolari e gravi.
Si è partiti con un ministro che aveva un rapporto con il suo compagno: come se nessuno avesse rapporti con il compagno, tutti hanno dei compagni, tutti hanno delle famiglie; ma non necessariamente regalano loro appalti da 2 o 3 milioni di euro ! Nel senso, anche io ho una famiglia, ma non mi sognerei mai di avanzare una proposta di legge o proporre degli emendamenti che possano favorire o agevolare la mia famiglia: faccio qualcosa per il popolo italiano, perché dal popolo italiano sono stato eletto.
Da questo piccolo punto, da questo piccolo particolare, è cominciata una valanga che sta investendo praticamente più della metà del Governo, che è anche parzialmente rappresentato oggi in quest'Aula: ogni giorno si sente il nome di un ministro, un sottosegretario aggiuntivo. De Vincenti, ogni volta che c’è un casino c’è la sua testa; la Boschi, che ogni volta che c’è un casino c’è la sua testa: protetta non si capisce per quale ragione dal Presidente del Consiglio, come se non fosse in grado di difendersi da sola, perché se si è difesa una volta per quelle che a nostro parere sono state delle agevolazioni, dei favori per il padre, poteva anche difendersi semplicemente, senza dover chiedere aiuto al Presidente del Consiglio.
Un Presidente del Consiglio che tra l'altro dichiara a mezzo stampa che tutti gli emendamenti sono i suoi, rivendica completamente tutti gli emendamenti che si sono inseriti sottobanco, nelle notti durante l'approvazione della legge di stabilità, per telefono, come se il Consiglio dei ministri non fosse un organo collegiale ! Noi sappiamo che la Presidenza del Consiglio, insieme a tutti i ministri, compone il Consiglio dei ministri e decide quella che è la linea del Governo: decide il provvedimento e cosa si vuole fare. Non mi sembra che collegialmente i ministri avessero deciso di dare alla Total la possibilità di avere un'agevolazione per costruire un oleodotto che da Tempa Rossa andasse a Taranto; ed avere contemporaneamente un favoritismo sul porto di Augusta, sulla nomina dall'autorità portuale, che viene effettuata sempre dal Consiglio dei ministri, e sulla legge navale. Non mi sembra che sia stata una discussione collegiale ! Questo Paese si fonda su un Governo e su di un Consiglio dei ministri che è collegiale: il telefono e i rapporti telefonici alle 4 di notte non sono una scelta collegiale !
Questo è il metodo con cui voi portate avanti il Governo del nostro Paese, portate avanti le riforme, avete portato avanti questa riforma costituzionale: perché le modifiche ve le siete fatte a porte chiuse, a mezzo telefono, con rapporti burrascosi intercorsi tra una parte della maggioranza o della minoranza all'interno dalla vostra maggioranza, e a volte chiedendo soccorso ad esponenti di altri partiti. Mai del MoVimento 5 Stelle, per chiedere quali fossero secondo noi le modifiche necessarie da apportare alla Carta costituzionale: infatti nessuna nostra modifica è stata inserita all'interno dalla riforma costituzionale. Questo è il vostro metodo: è un metodo aberrante, pericoloso per la democrazia italiana. Il nostro arbitro forse sarebbe il caso che facesse sentire almeno il fischio di una punizione, e dicesse: forse c’è qualcosa che non va in questo Paese, almeno parliamone. E questo Governo, al di là della richiesta di sfiducia che verrà votata la prossima settimana, dovrebbe almeno avere la dignità di andare a casa, o perlomeno sentire il dovere di allontanare quelle persone che stanno mettendo in ombra non il Governo, ma il nostro Paese agli occhi dei Paesi che sono i nostri vicini; e agli occhi dei cittadini, che non hanno più nessuna speranza, nessuna fiducia nella politica, nella democrazia, che invece dovrebbero essere l'arma più forte che dovremmo dare ai nostri cittadini, lo strumento più forte: la fiducia in quello che si sta facendo all'interno delle istituzioni. Per colpa vostra, per il vostro operato, per il vostro metodo indegno di portare avanti le riforme costituzionali – e tutte le altre riforme che avete approvato in questi tre anni –, noi ci troviamo un Paese disastrato, in ginocchio, con i cittadini sempre più indignati nei confronti di una politica che non è in grado di dare risposte serie e vere ai cittadini. Non siete in grado di darle; e un Governo che non è in grado di dare risposte ai cittadini è un Governo che deve andare a casa.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.
ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, il mio intervento oggi sulla riforma costituzionale è l'intervento di una semplice deputata che vuole ricordare che la Costituzione è rivolta – e deve esserlo – a tutte le cittadine e a tutti i cittadini del nostro Paese; deve essere viva e soprattutto deve essere comprensibile ai nostri cittadini. Forza Italia è sempre stata una forza riformista, per questo voglio fare una considerazione di carattere generale: non possiamo pensare di parlare della riforma costituzionale senza vedere il disegno complessivo nel quale si inserisce la riforma costituzionale, ossia l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, e senza considerare che la riforma costituzionale rende di fatto molto più complesso quello che è il procedimento legislativo e che non elimina la seconda Camera, cioè il Senato, ma ne fa una Camera delle regioni rispetto alla quale non sappiamo ancora bene con quale legge i senatori consiglieri regionali verranno eletti. Accanto a questi due aspetti, abbiamo la legge elettorale; una legge elettorale fortemente maggioritaria, che sicuramente garantisce la governabilità, ma a un partito solo. Accanto a questo ci sono altre due leggi che si devono leggere nello schema complessivo della più grande trasformazione della nostra Carta costituzionale dall'origine, ossia la legge sui partiti, sull'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, e accanto a questa la legge sul conflitto di interessi.
Considerare la riforma costituzionale all'interno di questo complesso di interventi ci fa chiedere una cosa: ancora oggi le democrazie sono il metodo, vengono considerate il procedimento migliore per governare un Paese ? E ci chiediamo se questo complesso di trasformazioni di provvedimenti – che di fatto consegnano il Paese nelle mani di un solo partito che esce dalle elezioni con la legge elettorale che noi conosciamo, con una sola Camera, con una legge probabilmente sull'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione che prevedrà che non possano partecipare alle elezioni politiche nazionali partiti che non abbiano dei requisiti molto stringenti –, di fronte a questo, quale sia il sistema istituzionale che avrà il nostro Paese e in che modo sarà attuata la democrazia nel nostro Paese. Avrei voluto soffermarmi su cinque punti, ma lo farò solo sui tre che ritengo più importanti, tra cui vi è sicuramente il tema dell'efficienza, dell'efficienza di un sistema politico, di un sistema legislativo, ma questo va considerato all'interno di quello che è il bilanciamento dei poteri, cosa sulla quale avremmo dovuto riflettere forse più a fondo, nel momento in cui abbiamo fatto il più grande intervento normativo di trasformazione – non di manutenzione ma di trasformazione – e di cambiamento della Costituzione. Poi, l'assenza di quella che è stata una condivisione unitaria del processo di riforma costituzionale, che credo che la Carta costituzionale di un Paese avrebbe meritato. Da ultimo, il tema delle autonomie locali, del regionalismo, del Titolo V, del neocentralismo che questa riforma costituzionale porta con sé. Per quanto riguarda appunto il tema dell'efficienza del nostro sistema legislativo, dico che sicuramente è un tema necessario, ma voglio guardarlo con uno sguardo non del contingente ma più prospettico, e voglio ricordare che quando le moderne Costituzioni vennero scritte questo va fatto per fissare i limiti di chi governa ma anche per definire le condizioni e i modi in cui l'autorità deve essere esercitata. Ricordo che l'articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino conteneva una frase molto indicativa, che dovrebbe farci riflettere proprio in questo momento: un uomo che non conosce i diritti dell'uomo e non attua la divisione dei poteri non ha Costituzione.
Ecco, la Costituzione si basa sulla divisione dei poteri e sul loro bilanciamento, sul loro equilibrio. Non si tratta di un concetto neutro di Costituzione, quello appunto affermato nelle prime Costituzioni, ma si volevano affermare proprio i diritti degli individui verso l'autorità e stabilire le regole in base alle quali le autorità avrebbero dovuto esercitare il loro potere, un potere regolato e suddiviso tra più autorità. Divisione dei poteri, bilanciamento tra i poteri dello Stato: forse su questo ci saremmo dovuti concentrare ed interrogare maggiormente; forse questo meritava un procedimento di riforma costituzionale che di fatto, in questi giorni, in questo dibattito, rispetto al quale non si è potuto poi modificare nulla in questo passaggio, rimane vuoto, senza considerazione. Limitare i poteri, riequilibrare i poteri era un punto fondamentale proprio per rendere più efficiente il nostro sistema.
In questa revisione è prevalso sicuramente il desiderio, la preoccupazione di assicurare una maggiore efficienza e una maggiore rapidità decisionale del sistema di Governo, ma a quale prezzo ? È prevalsa, infatti, la necessità di evitare eccessive concentrazioni di poteri e di assicurare un sistema di pesi e contrappesi, quindi l'efficienza ha prevalso sul sistema del bilanciamento e dell'eccesso di concentrazione di potere che questa riforma porta con sé. Poi, vorrei soffermarmi sul tema delle autonomie locali; non è una questione indifferente, il Titolo V è stato profondamente modificato, dopo il disastro della revisione antecedente che la sinistra aveva voluto. È stato sicuramente introdotto, nella revisione dell'articolo 116, il regionalismo differenziato, ma, nella riforma che stiamo ora affrontando, non abbiamo scelto con decisione di dar vita ad un ripensamento complessivo del sistema delle regioni. Cioè, ci troveremo ancora di fronte a un sistema nel quale abbiamo un regionalismo unitario, un regionalismo differenziato e regioni a statuto autonomo. Forse era questo l'intervento che avremmo dovuto fare: dar vita ad un sistema migliore di quello a cui abbiamo assistito in questi anni, e non perché abbia fallito il regionalismo in sé. Noi vediamo che, proprio nell'idea di regionalismo differenziato, le regioni virtuose saranno premiate, le regioni in equilibrio di bilancio saranno premiate, ma hanno fallito gli uomini e le donne che hanno governato quelle regioni, che hanno dato vita al malaffare, e per questo si va a modificare e a complicare ulteriormente un sistema in cui esisteranno queste tre tipologie senza un'effettiva semplificazione, sempre a danno e a costo dei servizi nei confronti dei cittadini.
In più, a che cosa si darà vita ? Si darà vita ad un forte centralismo che di fatto non andrà a risolvere il grandissimo contenzioso che abbiamo tra Stato e regioni, perché gli esperti hanno sottolineato proprio come il contenzioso regionale non derivi dalle leggi regionali ma come sia alimentato proprio da materie quasi tutte di competenza esclusiva dello Stato. Quindi, ci chiediamo che cosa questa riforma vada in realtà a modificare, a migliorare, a cambiare, per il nostro sistema Paese. Poi, voglio ricordarlo, è la cosa che dico per ultima ma che ritengo più importante: un intervento così ampio sulla nostra Costituzione, il primo così ampio sulla nostra Costituzione, avrebbe richiesto e avrebbe dovuto portare con sé un'unità di intenti, un'unità di azione: una riforma non portata avanti solo dalla maggioranza ma condivisa da tutte le forze politiche e condivisa soprattutto dal Paese. Questo è mancato, è mancato moltissimo, è mancato profondamente, non perché le opposizioni siano venute meno al loro compito, ma perché la maggioranza è andata avanti nonostante i punti sui quali le opposizioni hanno fatto notare che questa riforma costituzionale avrebbe dovuto avere dei momenti forti di riflessione e di condivisione.
Chiudo il mio intervento con una dichiarazione, la dichiarazione che le opposizioni, e quindi anche Forza Italia, non prenderanno parte all'intervento che il Presidente del Consiglio farà in quest'Aula tra pochi minuti – sto concludendo – e questo perché noi siamo qui in Aula, abbiamo parlato, abbiamo espresso i nostri punti critici, come abbiamo fatto sempre, all'interno della Commissione in quest'Aula, ma non vediamo qui tra noi il Presidente del Consiglio .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pollastrini. Ne ha facoltà.
BARBARA POLLASTRINI. Grazie, signor Presidente e signori del Governo. Sono pochi minuti e io dirò qualcosa con la modestia del caso. Non ho tutte le certezze del relatore Fiano, che ringrazio, e con lui ringrazio quante e quanti, a sostegno, ma anche in opposizione alla riforma, hanno tenuto vivo il confronto di merito, prima in Commissione e, ancora oggi, qui in Aula, perché alla fine si deve decidere; anch'io decido e voterò a favore. Nella mia scelta contano i decenni di successi alle spalle e la volontà di non bloccare un traguardo troppe volte annunciato e mai raggiunto.
BARBARA POLLASTRINI. Temo che un altro scacco alimenterebbe la distanza tra cittadini e istituzioni, in un Paese dove la politica è considerata sovente malattia e merita spesso giudizi severi. Ma forse, anche perché sono una donna, cerco nelle cose di vedere il buono che si può, sperando senza rassegnazione di correggere il resto domani, perché anche a me, come all'onorevole Scotto, sta a cuore rinnovare i principi e i valori della Resistenza e onorare ciò che tuttora rappresenta nella storia e nel futuro di questo Paese l'associazione nazionale Partigiani d'Italia. Io ho valutato le migliorie tra una lettura e l'altra come il tentativo di rendere più chiara la funzione del nuovo Senato e di allargare funzioni e contrappesi. Poi, certo, nella mia scelta ha pesato l'ascolto e pesano le regole dello stare insieme di un gruppo, nel mio caso il gruppo del Partito Democratico. Ma per le stesse ragioni non sarei sincera se non ribadissi che alla stretta finale vivo questa come una riforma dovuta, che raggiunge il suo traguardo, ma in parte incompiuta, come un obiettivo in parte sciupato, che non avrà quella portata storica e di longevità che avrebbe potuto avere. E credetemi lo sciupio fa rabbia a tutti, quando vediamo le difficoltà del Paese sul fronte dell'economia, della vita delle famiglie e delle imprese, quando ci misuriamo con una perdita di stima verso la democrazia da parte di milioni di persone, di giovani, qui e in un'Europa dove risorgono i muri e i fili spinati.
Per tutto questo, care colleghe e cari colleghi, io avrei osato di più nel coraggio e nell'innovazione: un modello simil Bundesrat, come alcuni di noi avevano sollecitato, un ridisegno delle regioni, con il superamento di alcune specialità, oppure – perché «no» ? anche questa sarebbe stata un'opzione più radicale – con l'abolizione del Senato. Forse, dobbiamo dircelo, per correggere dopo, l'ambizione all'inizio era più alta, innanzitutto perché pensavamo a un'intesa più larga in Parlamento, cosa che interessava a tutti. Inoltre, si discuteva – e stiamo discutendo – di un progetto organico, superamento del bicameralismo, Titolo V, regolamenti, legge elettorale, un progetto organico in grado di rispondere a un'esigenza di governabilità, ma insieme di rappresentanza dei cittadini, insomma di rispondere a una necessità di democrazia decidente, ma dentro un disegno rinnovato di partecipazione e di una cittadinanza attiva da stimolare. Lo so, ora va costruita la legge per l'elezione dei senatori, che nella formula bizantina trovata, allarghi la possibilità di scelta degli eletti.
Aggiungo che serviranno norme per ridurre i contenziosi futuri e servirà riprendere il tema dell'accorpamento delle regioni esistenti. Peraltro, la questione delle aree vaste e il decollo faticoso delle città metropolitane è lì a dirci che i nodi tornano al pettine con la conseguenza di generare ritardi e disfunzioni, se non sappiamo vederli per tempo.
Allora, care colleghe e cari colleghi, con sincerità dico che è capitato anche a me, come ad altre ed altri in questa legislatura, di esprimere un dissenso e votare talvolta in modo diverso dal mio gruppo e l'ho fatto con qualche sofferenza. È avvenuto sull'articolo 2, proprio di questa riforma; è avvenuto dopo, spingendomi, come altri, fino a negare la fiducia al Governo sulla legge elettorale. Poco prima, ero stata tra le colleghe e i colleghi sospesi dai lavori in Commissione, ma queste mie convinzioni sono poca cosa: a me interessa capire se ancora oggi ci sono i margini, non all'interno del gruppo del PD – cosa che ovviamente mi interessa moltissimo – ma in quest'Aula per recuperare insieme e rilanciare il senso profondo del progetto riformatore e se un punto critico – come ho cercato di dire – è nella rappresentanza, nella rappresentanza dei cittadini, ma anche nella rappresentanza di possibili coalizioni; su questo io credo si debba e si possa lavorare ancora e dunque lo chiedo nuovamente da qui: è davvero impossibile correggere e migliorare la legge elettorale nella direzione indicata poc'anzi in quest'Aula dal collega Meloni ? Io la riterrei una necessità, nell'interesse di tutti e sento il dispiacere e il limite personale nel non aver avuto la capacità di convincere, prima di tutto, la mia parte che un'altra via era possibile. Mi chiedo cos’è mancato: solo una ristrettezza di numeri al Senato ? Io penso di no; penso che siano mancate due parole: fiducia e in parte ambizione, più fiducia nel Parlamento e meno interventismo dell'Esecutivo proprio su una materia, rispetto alla quale i padri e le madri costituenti ritenevano che il Governo dovesse lasciare spazio alle Camere, più delega alla ricerca di mediazioni sagge. C’è stato un momento, quando il patto del Nazareno sfumava, che andava colto secondo me con quella prontezza che è l'arte della politica. Ma ecco, onestà per onestà, non tutto può essere lasciato sulle spalle del partito maggiore, che ora vuole tagliare il traguardo di questa riforma.
Colleghe e colleghi, la notte dell'abbandono dell'Aula, quella divisione del mondo tra chi attenterebbe alla Costituzione e chi vorrebbe salvarla è stata una frattura, che non ha aiutato e che potrebbe non aiutare in futuro. Soprattutto – vorrei dirlo all'onorevole Baldelli – non aiuta da parte di chi, fino al giorno prima, aveva difeso un accordo blindato.
Allora, signora Presidente, non le sembri fuori luogo che io termini il mio intervento con un appello: innanzitutto, io rivolgo questo appello al Presidente del Consiglio, che ha talenti e intelligenza – spero – per capirne il senso. Gli rivolgo un appello perché l'uso del referendum recuperi il suo significato costituzionale: non una conta sul Governo o sul ma una consultazione di merito, da incitare a svolgere in libertà, spirito aperto e senza il fardello di condizionamenti sull'Esecutivo. Chiediamoci tutte e tutti quale sarà il quel passaggio: l'esibizione di uno scalpo o la ripresa, come vorrei io, di un dialogo, con associazioni, studiosi costituzionalisti e quella parte contraria, che esiste anche nel popolo della sinistra, che noi abbiamo il dovere e l'onere di rincontrare.
Se si utilizza la spada comunque rimarranno le ferite. Questo vale per i favorevoli, ma vale anche per chi oggi si oppone senza riconoscere un tratto di verità nelle ragioni dell'altro. Ho ascoltato interventi acuti, anche ora, da colleghi che stimo, ma anche a loro chiedo di ascoltare noi, perché la battaglia delle idee resterà, sono il mondo e la crisi a dircelo. Io vorrei affrontare il tempo che tutti abbiamo davanti con un Partito Democratico ancorato al centrosinistra, alla solidarietà e vorrei farlo in un Paese meno frantumato, con qualche virtù civica in più, e una politica credibile, perché si metta alla testa di un'etica pubblica rigenerata e condivisa. Anche per questo, quando tutto sembra compiuto, io rinnovo da qui l'invito ostinato a pensare al giorno dopo, che vuole dire costruire ponti, riallacciare il dialogo e alzare lo sguardo verso una realtà che alla politica chiede riforme – certo – ma nel segno dei diritti e della giustizia sociale. Richiede la cosa oggi più difficile da dare: rispondere a una domanda di senso, perché poi, come la storia insegna, quando molto si è consumato, a parlare sono soprattutto le coerenze e gli esempi. Io credo che la grande forza di queste istituzioni sia nel riconoscere, nelle differenze, quella quota di verità che esiste e in nome di quella quota di verità, dopo l'asprezza del confronto politico, saperci rincontrare in nome di un'idea di bene comune e di valore di quella democrazia che credo sia la cosa più importante per la storia e per il futuro dell'Italia .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Attorre. Ne ha facoltà.
ALFREDO D'ATTORRE. Grazie, signora Presidente. Io credo che il modo in cui si conclude questo iter di riforma costituzionale, ovvero la giornata di oggi che era stata annunciata ieri dal Presidente del Consiglio come una giornata storica tale da generare commozione, e in cui si sarebbe tenuto l'ultimo confronto nell'aula di Montecitorio, per le modalità con cui si svolge, è la dimostrazione più lampante dei caratteri che hanno segnato questa procedura di revisione costituzionale: un Presidente del Consiglio che annuncia il suo intervento televisivo e che non si degna di ascoltare neppure un intervento in Aula. Non una sola voce dell'opposizione, di chi si oppone a questa riforma, oggi ha avuto l'onore di ricevere l'ascolto né dal Presidente del Consiglio, né dalla Ministra Boschi . Ci sono alcuni Ministri e sottosegretari che ringraziamo della presenza, forse avevano ricevuto una notizia errata sull'arrivo anticipato del Presidente del Consiglio, ma questo dibattito si concluderà con uno mediatico senza che il Governo, il Presidente del Consiglio abbia ascoltato un solo intervento di chi aveva da avanzare tesi di segno diverso. E d'altra parte, l'intera rappresentazione di questo confronto ha un segno profondamente caricaturale. Qui, chiariamoci su un punto, non ci stiamo, e lo voglio dire in particolare ai colleghi del Partito Democratico: il confronto non è tra chi è favorevole a una ragionevole manutenzione della Parte II della Costituzione e chi è contrario, non è tra innovatori e conservatori, non è tra difensori e avversari del bicameralismo; qui c'era un ampio arco di forze che sarebbe stato favorevole a una riforma razionale, equilibrata. Lo testimoniano posizioni assunte da tanti di noi, anche all'inizio di questo parlamentare. La situazione che si è determinata è il frutto di gravissimi errori di metodo nella conduzione della riforma che hanno prodotto, e sono la causa, dell'esito assolutamente pasticciato, inefficace e, per alcuni versi, pericoloso a cui i contenuti di questa riforma sono approdati. Questo di revisione costituzionale è stato segnato da un ruolo che io credo non sia esagerato definire esorbitante e prepotente del Governo.
Un ruolo che è andato ben al di là dell'impulso al processo riformatore. Un ruolo che ha espropriato in tutti i passaggi decisivi il Parlamento di una sua centralità su una materia che doveva e dovrebbe essere di stretta competenza parlamentare. Il collega Ferrari ci ha ricordato prima che questo ruolo del Governo non è un inedito e ha richiamato, devo dire con un atto di sincerità e di onestà intellettuale di cui gli va dato atto, il precedente del 2005, quando fu il centrodestra, con un metodo analogo, a imporre una revisione costituzionale a maggioranza, facendo coincidere la maggioranza costituzionale con la maggioranza di Governo. Si vada a rileggere il collega Ferrari ciò che dissero in quella occasione gli esponenti del centrosinistra su quel metodo. Si vada a rileggere il collega Ferrari ciò che disse in quest'Aula l'attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rispetto a quel modo di riformare la Costituzione. Si evitino, invece, richiami del tutto improvvidi a Enrico Berlinguer che non avrebbe mai immaginato questo modo di mettere le mani sulla Costituzione, questo modello di democrazia, questa squilibrio profondo nei poteri che emerge da questa riforma. Noi abbiamo avuto un'espropriazione del ruolo del Parlamento che è stata del tutto funzionale alla tutela di un accordo extraparlamentare. Qui non nascondiamocelo, queste riforme, la riforma costituzionale e la legge elettorale, nascono in questo modo blindate, perché frutto di un accordo tra Renzi e Berlusconi e la tutela di quell'accordo, in una prima fase, ha fatto sì che il Parlamento sia stato messo nella impossibilità di intervenire non sui pilastri della riforma, ma su ogni singolo dettaglio. Noi ci siamo trovati in presenza di un iter che ha trasformato il voto su ogni singolo emendamento in un voto di fiducia rispetto al Governo. Altri colleghi hanno raccontato la loro esperienza, mi sia consentito di farlo anch'io. Di fronte a emendamenti di buonsenso presentati su un modo diverso e più efficace, ad esempio, di fare la riduzione dei parlamentari, su un diverso modello del nuovo Senato, in direzione ad esempio di un'autentica Camera delle autonomie, quando questi emendamenti venivano presentati, eravamo di fronte alla impossibilità di un loro vero esame, di una discussione, e da parte dei miei interlocutori all'epoca, penso al capogruppo Fiano, alla Ministra Boschi, non c'era un'opposizione di merito, non mi veniva detto «questi emendamenti non migliorerebbero la riforma». La risposta era «caro D'Attorre, sai che abbiamo un accordo con Forza Italia, quell'accordo non lo possiamo modificare». Ora inviterei a riflettere sull'autentico capolavoro che è stato compiuto: noi non abbiamo migliorato le riforme come avremmo potuto fare, per tutelare una blindatura e un accordo extraparlamentare e ci troviamo con riforme, alla fine di questo iter, che vengono votate da una maggioranza più ristretta di quella di Governo. Io penso che un capolavoro del genere era difficile perfino da immaginare. Ciò è avvenuto sia sulla riforma costituzionale, sia sulla legge elettorale, ed è evidente il profondissimo nesso che esiste tra questi due temi. Sarebbe lungo e anche impressionante fare la lista delle forzature che hanno segnato l'iter di queste riforme, veniva ricordato da ultimo, anche dalla collega Pollastrini, la sostituzione in blocco nelle Commissioni parlamentari dei membri dissenzienti del partito di maggioranza relativa, fino all'imposizione del voto di fiducia sulla legge elettorale. L'imposizione del voto di fiducia sulla legge elettorale che resterà, signora Presidente, una pagina nera nella storia di questa legislatura. Senza contare il ripetuto uso dell'argomento principe che in tutti i momenti critici è stato utilizzato. Quando c'era la possibilità di determinare in seno al partito di maggioranza relativa e nel Parlamento un equilibrio più avanzato, di consentire alle Camere di incidere sulla riforma, calava il del Governo e l'argomento principe utilizzato era quello «o si fa così, oppure il Governo si dimette e si va tutti a casa».
Questa minaccia dello scioglimento anticipato della legislatura, con la quale, tra l'altro, il Presidente del Consiglio si è attribuito un potere che non aveva e non ha, è stata l'arma fondamentale con la quale una parte di questo Parlamento, recalcitrante, non convinto di tanti aspetti della riforma costituzionale e della riforma elettorale, è stato piegato all'approvazione. Ma mi sia consentito di dirlo con chiarezza: con questo argomento e con questa minaccia il Presidente del Consiglio, forse, è riuscito a piegare i singoli parlamentari, non riuscirà certo a spostare l'orientamento dei cittadini italiani nel referendum costituzionale . Si è portata avanti la riforma con una retorica impressionante; ci è stato detto, addirittura, che questo Paese aspettava di riformare la Costituzione da oltre settant'anni, lo ha detto il Premier Renzi, lo ha detto la Ministra Boschi, addirittura prima dell'entrata in vigore della Costituzione. Ora io non credo che questa sia una semplice credo che in questa frase si esprima qualcosa di più profondo che ha guidato quest'iter di revisione costituzionale e che le parole del Presidente Renzi e della Ministra Boschi hanno espresso, che è un senso di estraneità sostanziale allo spirito dell'intera Carta costituzionale. Per il vostro modello di governo la Costituzione repubblicana e antifascista è un ostacolo, è un inciampo, rispetto a una semplificazione decisionistica e verticistica che voi avete messo in atto con la vostra azione nel corso di questi anni. E non ha insegnato nulla l'esperienza di questi ultimi quindici anni. Si è detto: non ci sono state riforme della Costituzione; negli ultimi quindici anni è avvenuto esattamente l'opposto. La classe politica, nell'incapacità di autoriformarsi, di correggere i propri errori, di selezionare personale più onesto e competente, di rigenerare i partiti ha scaricato questa inadeguatezza sulla Costituzione e ha indicato l'orizzonte salvifico di un cambiamento della Carta costituzionale e questo ha prodotto pessime riforme della Costituzione. È avvenuto nel 2001, per responsabilità del centrosinistra, è avvenuto nel 2005, per responsabilità del centrodestra e tutti insieme, centrodestra e centrosinistra, hanno fatto un errore nel 2012 con la modifica dell'articolo 81. Questi precedenti, far coincidere la riforma della Costituzione con una convenienza politica contingente, avrebbero dovuto suggerire cautela, cura nel maneggiare questa materia e, invece, si è proceduto in maniera assolutamente opposta, con un metodo inaccettabile e sbagliato che oggi ci consegna un risultato pessimo, nel metodo, innanzitutto, sulla legge elettorale. Lo voglio dire anche ai colleghi della maggioranza, dei diversi gruppi della maggioranza che hanno avanzato riserve sulla legge elettorale; facciamo un esercizio di realismo e di onestà intellettuale, c’è una sola possibilità di rimettere in discussione questa pessima legge elettorale e non sono gli appelli, non sono i sospiri, non sono i desiderata, l'unica possibilità di mandare in soffitta l'Italicum è fermare questa riforma costituzionale. Non ce n’è un'altra, perché è evidente che la bocciatura di questa riforma costituzionale nel referendum di ottobre renderà inapplicabile l'Italicum che è stato pensato soltanto per la Camera dei deputati. Quindi, coerenza vorrebbe che chi si oppone alla legge elettorale, chi ha votato contro la legge elettorale prenda limpidamente una posizione contro l'iter di questa riforma e riconosca che nel referendum di ottobre una delle poste in gioco decisive e centrali sarà la conferma o meno dell'Italicum. Un Italicum che, come è stato ricordato, resuscita i due principali vizi del Porcellum: la reintroduzione di un abnorme premio di maggioranza e la sottrazione, di nuovo, ai cittadini della possibilità di scegliere la maggioranza dei parlamentari, oltre a un cambiamento sostanziale della forma di governo attraverso l'introduzione, di fatto, di un presidenzialismo privo di qualsiasi contrappeso.
Il Presidente del Consiglio ci aveva detto, nel corso dell'iter dell'approvazione: vedrete, fidatevi – ricordo parole di un anno e mezzo fa –, l'Italicum è una legge così bella che in giro per l'Europa ce la copieranno, c’è un interesse molto forte a studiare il nostro modello. Non mi risulta che nelle democrazie più avanzate si sia sviluppata questa spinta imitativa, emulativa nei confronti dalla nostra legge elettorale. Sulla riforma costituzionale i colleghi del gruppo di Sinistra Italiana, a partire dalla relazione dell'onorevole Quaranta, hanno illustrato bene quali sono nel merito i nostri punti di critica relativi a un nuovo Senato del tutto ibrido, privo di identità, di funzione, che non corrisponde né al modello di una Camera delle autonomie né al modello di un Senato delle garanzie. Dieci volte meglio – voglio dirlo – sarebbe stata, davvero, una riforma radicale e coraggiosa nel segno del monocameralismo qual era, sì, quella, davvero, sì, che proponeva all'epoca Enrico Berlinguer. Ribadisco il carattere assolutamente parziale e squilibrato della riduzione dei parlamentari, che poteva essere fatta in maniera migliore e più incisiva, il procedimento legislativo che diventa perfino più farraginoso, ma d'altra parte quando si parte da premesse sbagliate è chiaro che si arriva a errori ancora più gravi. Il problema del sistema istituzionale italiano non è questa barzelletta che si racconta sul fatto che non si fanno le leggi con sufficiente velocità, noi di leggi in Italia ne facciamo perfino troppe; guardiamo i dati comparativi rispetto agli altri Paesi, lo dico ai colleghi del Governo, studiamo, facciamo i confronti, non è vero che in Italia facciamo poche leggi, in Italia ne facciamo troppe; il problema italiano è la qualità del procedimento legislativo, qualità che sarà perfino peggiorata da un sistema pasticciato, confuso e farraginoso. Senza contare poi il Titolo V, dove il superamento della legislazione concorrente, in realtà, è una finta eliminazione che rischia di riprodurre davanti alla Corte costituzionale un nuovo contenzioso tra Stato e regioni. Inoltre, fatemi fare soltanto questa considerazione che può sembrare a qualcuno un fuor d'opera; leggiamolo insieme il testo di quello che voi sperate che sia, e io sono sicuro che i cittadini diranno di no, non sarà, il nuovo testo della Costituzione, leggiamo, leggiamone la lingua, perché la lingua è importante, le parole sono importanti, facciamo un confronto tra il testo originario, quello della Costituzione del Quarantotto e il testo che viene fuori dalla riforma, c’è da vergognarsi, innanzitutto per la qualità dell'italiano. Altro che bellezza e semplicità che il Premier indica come il sigillo della nuova Italia che dovremmo costruire, quella lingua, quella neo lingua è priva di qualsiasi bellezza, di qualsiasi semplicità ed è, soprattutto, priva del carattere che ha la lingua della Costituzione repubblicana del Quarantotto, che è una lingua che parla al popolo, che vuole essere capita da tutti, mentre il segno di questa deformazione costituzionale è quello di aumentare la distanza tra cittadini e istituzioni e di ridurre il modello democratico a modello fondato su una delega passivizzante. Qual è la vera posta in gioco del referendum costituzionale del prossimo ottobre ? È evidente che non è soltanto il dettaglio giuridico istituzionale della riforma, perché sarà evidente, lo sarà sempre di più nei prossimi mesi, che in realtà il tentativo di destrutturare, di smontare il modello di democrazia partecipata inscritto nella seconda parte della Costituzione è funzionale a un altro obiettivo, che è quello di disattivare la prima parte della Costituzione, un modello di società e di democrazia fondato sulla centralità del lavoro, su un'idea di eguaglianza in senso sostanziale, su un'idea di economia mista, sull'idea della scuola pubblica, del universalistico, della tutela pubblica del risparmio, tutti quegli aspetti che l'azione del Governo Renzi, a uno a uno, in questi due anni e più, sta cercando di mettere in discussione. D'altra parte anche le vicende di questi giorni ci aiutano a fare chiarezza rispetto a un Governo che ha sospeso la concertazione con i sindacati, con gli studenti, con le comunità locali e che, invece, ha scelto un altro tipo di concertazione.
Quello con un pezzo della grande impresa, con i banchieri, con i concessionari autostradali, a cui viene fatto su misura lo «sblocca Italia», con i petrolieri, come abbiamo visto. Rispetto a questo modello di democrazia, rispetto a questa pratica di Governo, è evidente che la partecipazione popolare è un intralcio, è un ostacolo, e quindi bisogna lavorare a un nuovo modello che la riduca il più possibile, un modello che provi a investire non sulla partecipazione, ma sull'allontanamento dei cittadini dal voto e dalla passione politica. Anche questo è stato teorizzato !
Non avevamo mai avuto, nella nostra storia, un Premier che dicesse testualmente: l'astensione è un problema secondario. Non abbiamo mai avuto, da parte di rappresentanti del Consiglio e del Presidente del Consiglio, un invito esplicito all'astensione in un referendum elettorale. Ascoltate ciò che ha detto oggi il Presidente della Corte costituzionale Grossi . Il voto è un dovere civico, lo dice la Costituzione. Questo è il modo di stare dalla parte della Costituzione e, prima di arrogarvi il diritto di stravolgere questa Costituzione, dovreste dimostrare di rispettarla e di applicarla, perché non rispettarla e non applicarla vi toglie il titolo di poterla cambiare .
E noi faremo in modo che già il voto del 17 aprile, la partecipazione, che ci auguriamo ci sarà, possa essere, oltre a una sacrosanta battaglia per la pulizia del mare e per un'altra politica energetica contro le contro lo strapotere dei poteri forti, anche il segno di una battaglia democratica che parte nel Paese. Infine, saremo impegnati, già in questi mesi che ci separano dal referendum, a promuovere una svolta politica in questo Paese. Abbiamo un Governo la cui autorevolezza e credibilità ormai è segnata, un Governo che ha reso chiari quali sono gli interessi di cui è al servizio e quali sono i suoi interlocutori, un Governo privo dell'appoggio di larga parte dei cittadini italiani e anche, a questo punto, di credibilità internazionale.
Se noi facessimo un calcolo cinico, come forza di opposizione, ci converrebbe favorire un processo di logoramento del Governo. Noi vogliamo pensare, innanzitutto, all'Italia, e pensiamo che non sia interesse dell'Italia prolungare questa agonia. Voglio dirlo anche ai colleghi delle altre forze di opposizione: la mozione di sfiducia non può essere soltanto un atto mediatico; deve contenere in sé l'assunzione di responsabilità per l'apertura di una fase diversa e nuova nella vita di questo Paese. Il MoVimento 5 Stelle, che ha presentato una mozione di sfiducia, riconsideri l'indisponibilità manifestata fin dall'inizio della legislatura a prendersi le proprie responsabilità.
A inizio legislatura abbiamo ragionato, senza successo, dell'ipotesi di un Governo del cambiamento, nel segno dell'onestà, della trasparenza, della legalità; un Governo fatto di persone perbene, che metta al primo posto una legge seria sul conflitto di interessi, una legge sulle e che consenta, poi, rapidamente, attraverso l'approvazione di una legge elettorale decente, di restituire la parola ai cittadini. Quella prospettiva, oggi, torna di attualità. Lo dico ai colleghi del MoVimento 5 Stelle e lo dico anche alle forze all'interno del Partito Democratico che quotidianamente manifestano inquietudine e disagio: è arrivato il momento, innanzitutto, per una responsabilità nei confronti dell'Italia di passare dalle parole ad atti conseguenti.
Se questo non accadrà, se prevarrà nel Parlamento uno spirito ancora di sopravvivenza e di acquiescenza, noi abbiamo, comunque, una sicurezza, che è anche un impegno che vogliamo rafforzare nei prossimi mesi: la certezza, cioè, che a ottobre, quando i cittadini saranno chiamati a pronunciarsi, di fronte alla scelta tra la Costituzione, le tutele costituzionali, il modello di democrazia e di società inscritto nella Costituzione, da un lato, e la smania smisurata di potere di Renzi e del suo Governo, noi siamo assolutamente convinti che i cittadini italiani sceglieranno la Costituzione .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Walter Rizzetto, che svolgerà un breve intervento. Ne ha facoltà.
WALTER RIZZETTO. Grazie, Presidente Boldrini, anche per la cortesia. Dunque, Presidente, il Primo Ministro Renzi parla e dice spesso che questa sarà ed è la più importante e corposa riforma di razionalizzazione delle istituzioni. Bene, io la vedo dall'esatto punto opposto, nel senso che è sì un'importante e corposa razionalizzazione delle istituzioni, ma completamente, Presidente, in senso negativo. Presidente, lo stesso Presidente Renzi, con un modo determinato, glielo riconosco, ma comunque sfrontato, vuole, di fatto, esautorare il Parlamento dalle sue principali prerogative, per porre il nostro Paese sotto il diretto controllo politico ed economico del capitale finanziario di cui l'Europa dell'unione monetaria, di fatto, è parte integrante.
Si avallano, quindi, e si consolidano le riforme impostate ed imposte all'Italia da parte dell'Unione europea, come e MES; questo è soltanto l'ultimo di questi tasselli. Politiche che vanno ad esautorare le politiche economiche nazionali e quel poco di sovranità che ancora ci è rimasta. La nostra Costituzione, Presidente, invece mirava – devo usare il tempo passato – ad una democrazia sociale, mirava ad un'economia mista, mirava ad una significativa presenza pubblica nei settori nevralgici del nostro Paese.
Tutto questo non ci sarà più. Si tratta, quindi, di riforme devastanti, poste in essere da un Parlamento delegittimato da una certificata incostituzionalità. Così facendo, Presidente, la tecnocrazia sovranazionale prenderà il sopravvento sulla monocrazia nazionale, ancor più vassalla, di fatto, delle oligarchie dell'Unione europea. Razionalizzare così i percorsi decisionali significa rovesciare, di fatto, la piramide democratica, considerando il Parlamento soltanto un intralcio, che sarà sempre umiliato, ove ci saranno occasioni che contano.
Il Presidente Renzi dirà, probabilmente, che noi siamo conservatori ciechi ed ottusi, però non siamo, in questo caso, conservatori che hanno paura del nuovo e delle trasformazioni, ma così questo tipo di passaggio non è. Queste, infatti, non sono riforme, ma considerazioni di ciò che nell'esistente ha in suo seno gravi istinti autoritari. La migliore delle Costituzioni, Presidente, è destinata a funzionare malissimo in mano ad una classe politica incapace, corrotta ed inadeguata.
Non accolliamo e non accollate tutte le colpe di questi anni alla Costituzione: le colpe sono vostre, in questo caso le colpe sono del Primo Ministro Renzi e sono della maggioranza che lo ha supportato. Presidente, il Primo Ministro Renzi dice che gli italiani aspettano da anni questa riforma, dimenticando che non cento anni fa, ma dieci anni fa gli italiani si sono già espressi, replicando negativamente al quesito. Complimenti: state, il Presidente Renzi sta riuscendo in quello che non fu lecito fare neppure a Licio Gelli. Ci dirà e ci diranno che serve governabilità. Governabile, come ricorda Zagrebelsky, è chi si lascia docilmente governare. Ebbene, serve Governo e non governabilità, così come ricordato, appunto, dal professor Zagrebelsky. Serve partecipazione democratica e serve Governo, non serve governabilità.
Si parlerà, Presidente, di decisione parlamentare da avallare con voto democratico del referendum. Referendum che è a fasi alterne: referendum democratico, dice il Primo Ministro Renzi, il referendum, appunto, di ottobre, ma referendum, in questo caso non democratico, quello di domenica prossima, dove il Presidente Renzi ci indica di andare ad astenerci dal voto, fondamentalmente. Quindi, ci sono due referendum differenti per quanto lo riguardano. E mi rivolgo, e vado a concludere, Presidente, anche ai parlamentari della maggioranza e dei partiti della filomaggioranza che hanno puntellato questo Governo: queste riforme non sono state volute da voi; sono state volute da quello che, per anni, è stato il vero capo dell'Esecutivo, ovvero l'ex Presidente della Repubblica, puntellato da un Parlamento sotto pressanti minacce di scioglimento e caratterizzato da continui passaggi delle opposizioni alla maggioranza, passando attraverso gli ormai settimanali, quasi settimanali, voti di fiducia.
La riforma sottoposta, Presidente, a giudizio popolare porta in sé il suo peccato originale di un Capo di Governo che, svilendola ancora ed ancora una volta, l'ha trasformata nel suo personale plebiscito, al pari di una campagna elettorale. Invece, avrebbe dovuto essere intesa, come era necessario fare, non così.
Concludo, Presidente, dicendo che custodirò la nostra attuale Carta costituzionale in modo geloso e orgoglioso, al fine di poterla tramandare a mio figlio, in qualità di Costituzione più bella del mondo; e non come carta straccia, piegata e modificata per il solo volere narcisistico di un Capo del Governo, che per di più non si è mai presentato ad una consultazione elettorale per entrare in Parlamento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Sanna. Ne ha facoltà.
FRANCESCO SANNA. Grazie Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi tutti, dal dibattito che abbiamo svolto e dalla rievocazione dei tanti tentativi di riformare la nostra Costituzione nelle parti che andavano riviste (quelle che, come alcuni hanno detto, avevano bisogno di manutenzione, mentre altri, magari in una maniera un pochino più elegante, hanno ritenuto di dover distinguere tra i principi fondamentali e tutto quello che è il cuore della cosiddetta forma di Governo – quindi il rapporto tra il Parlamento e il Governo nel nostro Paese –) da questo dibattito, dicevo, si è capito come probabilmente la revisione costituzionale si sia dimostrata più difficile della fase costituente stessa. Scrivere una Costituzione dopo che un Paese è raso al suolo, è più facile probabilmente – credo che la storia ci abbia dimostrato, ci stia dimostrando questo – che cambiarla, anche in parti non relative a princìpi supremi: perché le forze in campo si sono consolidate, si sono stratificate; perché i partiti e le forze politiche hanno in qualche modo assunto la difesa o la mutazione di una parte della Costituzione ad elemento del loro programma; perché nel nostro caso molto più banalmente siamo il frutto di una fase eccezionale della politica italiana, e siamo chiamati, come organi costituzionali deputati alla revisione, alla riforma della Costituzione, a dover dialogare tra Camere differenti.
La sorpresa nell'ascoltare gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto non è tanto per il rituale attacco al Governo, o per l'attribuzione generale e specifica di colpe al partito di maggioranza relativa: è per l'idea che il desiderio di una propria opinione sulla riforma della Costituzione possa facilmente realizzarsi con le regole della revisione della Costituzione. Ci sono colleghi che sono intervenuti alla Camera dei deputati fingendo che non esista nella modifica della Costituzione un doveroso confronto da parte della Camera con il Senato della Repubblica: nessuno ne ha parlato ! Che noi facciamo una revisione della Costituzione, che ridimensiona il sistema bicamerale perfetto o paritario, come si dice, con il consenso della Camera che perde completamente il potere di indirizzo politico, il Senato della Repubblica; con una trasformazione del suo potere, con una trasformazione della figura del senatore, con un richiamo forte ad una partecipazione ai processi legislativi di autonomie locali che sino ad oggi potevano semplicemente far battaglia al Parlamento e al Governo davanti alla Corte costituzionale: bene, di questo sembra che il nostro dibattito abbia smarrito traccia. E questo probabilmente perché un contenuto di il merito della riforma costituzionale ! È il merito che ci viene richiesto, e ci viene raccontato, nei vari tentativi che da oltre trent'anni vengono effettuati dalle Bicamerali, dalle iniziative del Governo; li richiamerò dopo, queste iniziative e questi precedenti dei Governi della Repubblica: legittime iniziative e legittimi precedenti, autorevoli precedenti, quanto, ahimè, scontratisi con la realtà dei fatti e la realtà di una politica che non ha consentito loro di compiere l'ultimo passo, l'ultimo miglio.
Ma prima di affrontarli, questi temi, vorrei dire una parola chi, in maniera esplicita o in maniera larvata, ci ha detto che non eravamo abilitati a svolgere la revisione costituzionale perché siamo un Parlamento viziato dal premio di maggioranza. Certo, c’è da vent'anni un più o meno forte premio di maggioranza nella determinazione del Parlamento, dei numeri del Parlamento; però la critica per cui questo Parlamento non potrebbe occuparsi di riforme della Costituzione perché, si dice, c’è il premio di maggioranza che intossica tutto, secondo me e paradossalmente si dimostra infondata proprio perché in questa legislatura straordinaria c’è stato anche un eccezionale rimescolamento delle carte, sin dai primi giorni della legislatura. Vorrei ricordarlo all'onorevole D'Attorre, e a tutti quei colleghi dell'opposizione al Governo che hanno parlato contro tutta o una determinata parte della riforma costituzionale: alcuni di costoro sono contro la riforma costituzionale, e sono qui grazie al fatto che, come il sottoscritto, esiste un premio di maggioranza; ma non sostengono la riforma costituzionale ! Ci sono partiti – penso a Scelta Civica – che non hanno goduto del premio di maggioranza, e sono a favore della riforma costituzionale. Ci sono persone che han fatto obiezione di coscienza ai partiti nei quali sono stati eletti, e sono a favore o contro la riforma della Costituzione. Io credo che da questo rimescolamento di carte, di persone che hanno assunto legittimamente una posizione politica diversa da quella che ha originato la loro presenza in Parlamento, l'obiezione per cui noi non possiamo farla, la riforma costituzionale cade del tutto ! E cade a maggior ragione se teniamo conto che questa legislatura è andata avanti al suo inizio, proprio perché ha avuto come obiettivo quello di farle, le riforme, non quello di girarsi dall'altra parte circa la loro necessità.
Circa l'intervento del Governo, vorrei citare non l'episodio dell'iniziativa del centrodestra nel 2005: ne conosciamo il contenuto, sappiamo anche che fu sconfitta nel referendum confermativo. Lo voglio dire alle persone che qui si sentono di rappresentare, il popolo del centrosinistra: come possiamo noi pensare e dire che questo tema non è stato negli ultimi vent'anni un'evocazione di doverosa iniziativa della politica del centrosinistra ? E anche del centrosinistra che guidava il Governo !
Faccio una citazione: «Questo Governo considera le riforme istituzionali un punto fondamentale del suo programma, e pertanto intende dare il suo contributo allo stesso processo di riforma del sistema elettorale, assumendo la responsabilità delle necessarie iniziative ai fini del dibattito parlamentare». È il febbraio 1999, Massimo D'Alema, Presidente del Consiglio dei ministri. «Se avrò – faccio un'altra citazione, più recente – una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare; in caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze». Enrico Letta, aprile 2013.
E allora la scelta che abbiamo fatto non è una scelta, colleghi, di cui vergognarsi: è una scelta realistica, è un'ispirazione al principio di realtà che ogni tanto deve anche riguardare la politica e il dibattito che si svolge in queste Aule. Abbiamo un complesso di riforme costituzionali in cui non tocchiamo né i principi fondamentali né la forma di Governo; e la scelta di non intervenire sulla forma di Governo – lo voglio dire a chi ha detto che noi la stavamo cambiando senza mandato elettorale – è stata una autolimitazione rispetto al programma della coalizione «Italia. Bene comune».
È stato ricordato qui: la coalizione «Italia. Bene comune» ha fatto la sua campagna elettorale dicendo che avrebbe cambiato la Costituzione e modificato la forma di Governo ispirandola ad un rapporto da mantenere tra Parlamento e Governo, ma rafforzando il potere del Presidente del Consiglio, facendo ricevere ad esso solo il voto di fiducia e dando al Presidente del Consiglio, secondo un modello che viene chiamato per similitudine «Westminster», il potere di chiedere lui e di ottenere dal Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere. Questo era scritto nel programma di «Italia. Bene comune». Per quanto ci riguarda sono stati affrontati tutti i temi...
ALFREDO D'ATTORRE. Quale programma ?
FRANCESCO SANNA. Quello che hai contribuito a scrivere anche tu e che ti sei dimenticato o che fingi di dimenticarti. È esattamente lo stesso programma !
PRESIDENTE. Deputato D'Attorre, per favore ! Prego deputato Sanna, vada avanti.
ALFREDO D'ATTORRE. Stai dicendo una cosa che non è vera !
PRESIDENTE. Deputato D'Attorre, per favore ! Deputato Sanna, continui.
FRANCESCO SANNA. C’è una connessione quindi inscindibile tra il tempo della politica che abbiamo vissuto negli anni, ma anche nel momento in cui c’è stato dato di chiedere agli elettori il consenso per intonare di contenuto questa legislatura, e quello che abbiamo fatto in questi mesi. Non pochi mesi, perché la discussione sulla riforma costituzionale arriverà, nel complesso della discussione dei progetti, dall'inizio sino al referendum costituzionale, a coprire circa tre anni e mezzo della nostra legislatura. Chi ha voluto immiserire il nostro lavoro dicendo che abbiamo fatto una cosa quasi di nascosto e frettolosa si confronti almeno con il calendario, se non vuole confrontarsi con le migliaia di interventi che abbiamo avuto in Commissione, le centinaia di emendamenti esaminati e le innumerevoli modifiche e impostazioni che le sei diverse letture hanno impegnato, sia alla Camera che al Senato, decine e decine di parlamentari nelle Commissioni di merito e quasi mille nelle votazioni in Aula.
Voglio rispondere ad alcuni accenti, però, che in quest'ultimo un tratto del nostro dibattito sono emersi in maniera più puntuale, alcuni di sicuro interesse: perché solo un quesito e non tanti quesiti, come alcuni ci avevano richiamato a fare, nell'eventuale referendum di conferma della riforma costituzionale? E perché dobbiamo trasformare questo referendum costituzionale in una prova della maggioranza. Inizierei da questo secondo punto. È una cattiva prova della maggioranza se il referendum confermativo verrà interpretato – come noi lo interpreteremo – come il doveroso porgere al popolo italiano il lavoro che abbiamo fatto, spiegarlo nelle piazze, non solo quelle mediatiche ma anche quelle vere, nei luoghi dove si svolge la discussione politica e nei luoghi dove questa discussione politica magari cercheremo di riattivare ? Perchè, questo sarà il senso del richiamo che la maggioranza che qui sostiene, in Parlamento, il testo di revisione della Costituzione farà al popolo e al proprio dovere di fare politica, assumendosi il rischio della proposta faccia, andando a spiegare il perché alcuni contenuti sarebbero potuti essere diversi ma sono quelli che invece ricevono il voto del Parlamento, andando a spiegare perché non abbiamo riformato altre parti della Costituzione, riportando insomma il nostro lavoro davanti al popolo italiano e chiedendo un voto di sostegno all'innovazione costituzionale, che non è travisamento e non è stravolgimento della Costituzione ma è una conferma dei suoi principi, è – non voglio usare la parola «manutenzione» – ridare alla democrazia quell'efficienza e quella capacità di rappresentare e decidere insieme, che, a mio avviso, è la cifra della nostra Carta costituzionale. Perché un unico quesito ? Perché c’è una connessione inscindibile tra la riforma del Senato, come si fanno le leggi quando il Senato non ha più un diritto di iniziativa e di deliberazione legislativa piena, di come queste leggi possono essere proposte o abrogate dal popolo e come queste riforme influenzano gli organi di garanzia.
Per questo ci sarà un solo quesito. Dobbiamo chiederlo noi, il referendum come maggioranza? Avremo i numeri per farlo, avremo i numeri anche tra la gente, perché non sono solo i deputati e i senatori che possono chiedere il referendum confermativo, ma ci sembra che questo sia un «non problema». Non chiediamo un plebiscito, non chiediamo una conferma dei numeri del Governo, chiediamo però che il Paese riconosca che in questa legislatura sta accadendo una cosa abbastanza eccezionale, cioè che una legislatura che doveva finire nel giro di poche settimane si sta trasformando in una legislatura di cambiamento. Perché, per quanto riguarda gli istituti della democrazia, ha affrontato il tema del finanziamento diretto ai partiti, ha reagito all'abrogazione, per via di sentenza della Corte costituzionale, della legge elettorale, ha approvato in questa Camera una legge sul conflitto di interessi, sta esaminando una legge sui partiti, dopo che se ne parla dal momento dopo che la Costituzione è stata approvata. Il Parlamento sta facendo il suo lavoro riformatore. Non credo sia né utile né vero descrivere questo lavoro come il ripudio di un'idea di partecipazione popolare alla vita del Paese. Anzi, se noi queste cose non le facciamo, nella finzione che tutto funzioni, abbandoniamo la democrazia ad una deriva a cui noi non possiamo permetterci di abbandonare.
Non siamo quelli della zattera, non siamo quelli che lasciano la democrazia italiana nel mare dell'inefficienza, delle carenze raccontateci e contestateci da decenni di dibattiti politici; non ci giriamo dall'altra parte, vogliamo liberare – e vado a concludere – alcuni organi costituzionali da alcuni importanti limiti che hanno avuto precedenti riforme. Si è detto che la riforma costituzionale del Titolo V del 2001 è stata un disastro, l'ha fatta il centrosinistra. Bisogna anche essere capaci di dire che non tutto era giusto e non tutto era sbagliato, ma sicuramente è stato sbagliato, definendo due tipi di competenze legislative, quelle dello Stato e quello delle regioni, e una competenza concorrente tra loro, fare della Corte costituzionale un ring tra le regioni e lo Stato. La metà del tempo del lavoro della Corte costituzionale è stato dedicato negli ultimi anni a fare da arbitro tra questi due pugili, che in alcuni momenti avevano perso probabilmente la ragione della leale cooperazione e collaborazione e volevano ciascuno tirare un po’ troppo la ragione solo dalla propria parte.
Noi, invece, vogliamo portare le autonomie in quanto tali, non solo quelle regionali, nel processo di formazione della legge statale, perché vogliamo renderle partecipi delle ragioni della unità dello Stato. Vogliamo evitare il conflitto perenne tra le realtà istituzionali rappresentative delle nostre comunità; vogliamo che le ragioni di questa Italia, diversa da area ad area del Paese, quindi differenziata nei poteri e nel loro esercizio, trovi uno spazio nella formazione della sintesi delle regole del Paese, che sono le leggi della Repubblica. C’è stato detto che non c’è equilibrio tra rappresentanza e Governo: noi crediamo che questo ci sia, perché non abbiamo toccato nulla degli elementi che fanno la forma di Governo italiano della Repubblica italiana; l'abbiamo fatto anche quando qualcuno ci diceva «spingete di più l'acceleratore» ma, per il rispetto che il contesto politico ci porta ad avere del potere di un Parlamento che fa la revisione della Costituzione e vuole limitarla alle cose più importanti, quelle che servono alla sopravvivenza – e anche oltre una bella sopravvivenza, direi – della democrazia italiana, ci siamo fermati. Abbiamo però mantenuto alta la possibilità che, uscendo da questa fase di revisione costituzionale, noi potessimo dire che l'impegno preso da ciascuno di noi alle elezioni, ma soprattutto da ciascuno di noi dopo le elezioni, sia stato un impegno che non ci ha fatto vergognare dal proseguire la vita della nostra legislatura.
Abbiamo la possibilità di fare il referendum a testa alta; abbiamo la possibilità di spiegare che valorizziamo ogni pezzo della nostra democrazia; abbiamo la possibilità – e lo dico a voi, colleghi di SEL –, avete la possibilità di dire che, per esempio – perché fu SEL a fare questa operazione diciamo di serio compromesso di lavoro costituzionale al Senato –, con un numero maggiore di firme, rispetto alle attuali con 800.000 firme, si indice un referendum abrogativo e quel referendum è valido se va a votare non la metà più uno degli elettori, ma la metà più uno degli elettori che hanno partecipato alle elezioni politiche. Quindi trasfomiamo radicalmente l'istituto del referendum abrogativo, ciò è merito di un lavoro che abbiamo fatto insieme. Possiamo dire a testa alta che è vero, può apparire più complicato il procedimento legislativo, ma in realtà non lo sarà perché il Senato sceglierà i temi su cui interloquire con la Camera politica e col Governo. Possiamo dire che le leggi di iniziativa popolare si arricchiscono di un nuovo sistema di proposta e di indirizzo, il referendum appunto, di indirizzo e propositivo, ma anche le leggi di iniziativa popolare, che hanno la possibilità, non solo di essere proposte ma di essere approvate entro termini certi. Tutte queste cose le abbiamo rese possibili noi, le ha rese possibili la nostra discussione, le ha rese possibili il nostro confronto. Lo diremo agli italiani, lo diremo nelle prossime ore con il nostro voto: non c’è nulla di cui vergognarci, c’è tanto di cui essere orgogliosi .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, il deputato Toninelli, ma non mi pare che sia in Aula.
ARTURO SCOTTO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Grazie, signora Presidente, signori Ministri, signor Presidente del Consiglio. Lo dico con estremo disappunto: abbiamo parlato senza essere ascoltati, una discussione anche lunga e appassionata, da punti di vista diversi. Non può chiedere, signor Presidente del Consiglio, che, dopo non aver ascoltato una parola delle forze dell'opposizione, l'opposizione l'ascolti in questo monologo degno più di un che di un'Aula parlamentare . Io le chiedo più rispetto per quest'Aula, glielo chiedo innanzitutto in nome di un passaggio così delicato e così drammatico come può essere la revisione di un terzo della Costituzione; più rispetto significa che il Governo dovrebbe stare sotto la Costituzione, non sopra, come lei e i suoi Ministri pretendete di stare. Dovrebbe forse ascoltare e rileggersi le parole di uno dei padri della nostra Costituzione, Piero Calamandrei, quando diceva che quando si parla di riforme costituzionali, il Governo, i banchi del Governo dovrebbero essere vuoti, perché è materia del Parlamento e non è materia di ricatto sul Parlamento di un Governo, anche di un Governo come quello vostro.
E allora, signora Presidente, non abbiamo altra scelta che abbandonare questa discussione che non si è fatta. Magari leggeremo il resoconto stenografico e faremo le nostre valutazioni.
RENATO BRUNETTA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENATO BRUNETTA. Signora Presidente, la ringrazio. Signor Presidente del Consiglio, Governo, avevamo chiesto questa mattina una riunione della Capigruppo per regolare con onestà e dignità questa discussione generale; non ci è stato consentito. La Capigruppo sarà dopo la replica del Presidente del Consiglio, a candele spente. Vede, signora Presidente, questa è una brutta pagina per la nostra democrazia, brutta. Il Governo è presente in massa: posti in piedi, direi, a significare l'esatto contrario di quello che chiedeva Calamandrei, posti in piedi, a calpestare la nostra democrazia parlamentare. Non è una posizione di forza, questa, signor Presidente, aver precettato Ministri e sottosegretari. Alla discussione generale hanno partecipato – glielo dico io, signor Presidente del Consiglio – più parlamentari dell'opposizione, rispetto a quelli della maggioranza. Lei non ha ascoltato nessuno, ha preferito stare alla in attesa che parlasse il suo ultimo relatore del Pd; non ha voluto ascoltare nessuno.
Vede, signor Presidente del Consiglio, la composizione di quest'Aula sembra più quella di una riunione di direzione del suo Partito Democratico, a questo siamo arrivati. Ora, visto che, né io, né tutti i miei colleghi del mio gruppo parlamentare, apparteniamo al Partito Democratico, lasciamo con grande dolore e con grande rammarico quest'Aula, lasciamo a lei, ai suoi Ministri, ai suoi sottosegretari, a quelli che hanno aggiunto una sedia e uno strapuntino per essere presenti qui e rispondere al suo precetto, lasciamo l'onore di calpestare la nostra democrazia.
Auguri, signor Presidente del Consiglio ancora per poco .
PRESIDENTE. Onorevole, Brunetta, vorrei solo specificare che la Conferenza dei Presidenti di gruppo è stata convocata immediatamente. Se è stato scelto l'orario di fine seduta è perché non c’è stata una disponibilità prima, quindi queste sono decisioni che prescindono dalla convocazione della Capigruppo.
DANIELE DEL GROSSO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DANIELE DEL GROSSO. Grazie Presidente, solo un minuto per dire che oggi il MoVimento 5 Stelle, dopo gli interventi sulla discussione generale, è rimasto fuori da quest'Aula, questo semplicemente perché è una settimana tracciata dagli scandali di Governo, ed è lo stesso Governo che oggi decide di cambiare la Costituzione. E siamo alle ultime battute di questa riforma, una riforma importante, una riforma alla quale partecipa forse solo un terzo del PD. Oggi, il Presidente Renzi è stato costretto a portarsi dietro il Governo per cercare di riempire qualche poltrona in quest'Aula.
Vede, Presidente, noi abbiamo scritto anche al Presidente Mattarella per cercare di avere un colloquio, per cercare di capire che cosa sta accadendo, per far capire al Presidente Mattarella che non è possibile che un Governo, un Governo che oggi è legittimo, votato con il con un Presidente Premier, Renzi, che non è stato eletto da nessuno, ma è stato scelto semplicemente dal suo partito, oggi possa andare a modificare la Costituzione, la Costituzione italiana. Questo è uno scempio per l'Italia, è uno scempio aver visto tutto quello che è accaduto la settimana scorsa su «trivellopoli», è uno scempio vedere quello che è accaduto sulle quattro banche, che ha visto coinvolto il Ministro Boschi, e nemmeno si è dimessa; questo è uno scempio perché stiamo vedendo un Governo, un Governo oggi illegittimo, oggi accusato gravemente di molte azioni, modificare la Costituzione con un'Aula semivuota.
Oggi noi abbiamo deciso di rimanere fuori, di manifestare qui fuori a Montecitorio, per mandare un segnale ai cittadini, per far capire ai nostri cittadini che c’è un'alternativa possibile e reale allo scempio che oggi governa l'Italia .
CRISTIAN INVERNIZZI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISTIAN INVERNIZZI. Grazie Presidente. Anche il gruppo della Lega Nord ritiene di non dovere partecipare a quello che è ormai il termine di una discussione che nulla aggiunge...sì in rappresentanza del gruppo Lega Nord ci sono io, vi piaccia o non vi piaccia...a una discussione che è stata lunga e che quindi non porterà nulla di nuovo. Quindi, abbandono l'Aula anch'io, rifiutandomi di ascoltare adesso la glorificazione di un Presidente dal Consiglio che utilizza la Costituzione probabilmente perché vuole entrare nella storia. Spiace soprattutto di non vedere presente, non dico in questa Aula, ma almeno nel pubblico, nei posti riservati in particolare ai senatori, colui al quale veramente dovete dire grazie, molte grazie, il senatore Verdini, il convitato di pietra che oggi mi spiace non sia presente a vedere l'immenso capolavoro politico frutto di dignità, integrità, abnegazione. Per cui lascio lei, signor Presidente, la sua maggioranza, si ricordi nel suo discorso di ringraziare il senatore Verdini, che ripeto è la persona – lui, non lei ! – senza la quale oggi voi non sareste qui a parlare di riforma costituzionale .
PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori non ritengono di replicare.
Ha facoltà di replicare il Presidente del Consiglio dei ministri.
MATTEO RENZI, Signora Presidente, onorevoli deputati, è con una certa emozione che intervengo qui, oggi, per rendere innanzitutto omaggio in modo formale e sostanziale a questo Parlamento, anche a quella parte di Parlamento che ha deciso di non partecipare a questo mio intervento, ma nulla toglie al valore di quello che essi, anche loro, hanno fatto, insieme naturalmente ai parlamentari, ai deputati in questo caso, della maggioranza delle riforme, che hanno lavorato con grande determinazione e con grande tenacia. Lo dico senza formalismi, lo dico con il cuore in mano: siamo a un passaggio straordinario. Io vorrei dire grazie a lei, signora Presidente, al suo Ufficio di Presidenza, alle collaboratrici e ai collaboratori che hanno reso possibile ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo. Vorrei dire grazie a tutti i capigruppo che si sono succeduti, i capigruppo che hanno lavorato, ai membri della Commissione affari costituzionali, e da parte del Governo, al Ministro e a tutti i sottosegretari che sono qua, perché quello che sta avvenendo in queste ore è un passaggio al quale non tutti credevano e in molti casi, anche noi, pensavamo di non credere più. È un passaggio storico per il nostro Paese. C’è un unico modo con il quale io posso essere minimamente in grado di restituire questo sentimento di riconoscenza e cioè quello di prendere, come ho fatto in queste settimane, riguardare, uno per uno i punti che sono venuti dalle opposizioni, e anche in alcuni casi dalla maggioranza, di critica e rispondere nel merito. Non abituatevi dunque a questo tipo di intervento, solitamente i miei discorsi in Parlamento sono molto diversi, ma questa volta mi sono preparato, uno per uno, sui singoli punti che sono venuti dalle minoranze, per poter esprimere le motivazioni di merito per le quali questo passaggio è un passaggio straordinario.
La storia parlamentare italiana parlerà a lungo di questa giornata ed ha ragione il deputato Invernizzi, che ha parlato qualche istante fa, c’è un senatore a cui dobbiamo tutto. È un senatore che non è qui, ha sbagliato il nome di quel senatore, ma è un senatore senza il quale tutto questo passaggio non sarebbe stato possibile. Vorrei che il primo pensiero di quest'Aula, in questo mio intervento, fosse per il senatore a vita Giorgio Napolitano e .
È stato il senatore Giorgio Napolitano, in un intervento che fu applaudito anche da una parte di coloro i quali non sono qua, fatto in questa stessa Aula, di fronte al Parlamento riunito in seduta comune per il giuramento del Presidente della Repubblica, nell'aprile del 2013, a utilizzare parole sferzanti, ma cariche di verità, nei confronti della classe politica, e a sfidare voi parlamentari della Repubblica a fare di questa legislatura la legislatura delle riforme, a dare un'ulteriore opportunità alla classe politica minata dall'incapacità di eleggere il Presidente della Repubblica, anche a costo di un sacrificio personale che vide quel Presidente della Repubblica dover cambiare posizione rispetto a quello che aveva espresso con grande determinazione e tenacia. Siamo qui perché il Presidente Napolitano ci ha stimolato e invitato, ma siamo qui anche perché finalmente la classe politica mostra il meglio di se stessa. Per la prima volta la politica riforma se stessa in modo compiuto e organico, non altrettanto hanno fatto altre parti delle classi dirigenti di questo Paese. Vorrei che dal Parlamento, dalla Camera dei Deputati, arrivasse forte il messaggio, e lo dico io, che non faccio parte della Camera dei deputati e che non faccio parte del Senato della Repubblica: le parlamentari, i parlamentari, hanno dato una grandissima lezione di dignità al resto della classe dirigente di questo Paese, dimostrandosi, certo con tutte le difficoltà e i limiti (io non mi nascondo che ci sono dei punti aperti di questa riforma), in grado di far vedere che la politica, quando è sfidata in positivo, è capace di far vedere la pagina più bella. È accaduto questo, noi non ce ne dimentichiamo e io sono qui a nome del Governo innanzitutto per rendervi omaggio e per esprimere la mia gratitudine. Oggi la classe politica dà una lezione a tanti.
Che cosa è questa riforma ? Lo sapete, c’è bisogno, forse soltanto per gli atti, di ridire quello che già tutti noi conosciamo in modo diffuso. Cambia la composizione del Senato, cambia finalmente il rapporto di fiducia tra le Camere e il Governo, che viene riservato alla sola Camera dei deputati; cambia lo di senatore, cambiamo le funzioni del Senato. Il bicameralismo paritario, che era stato un elemento di grande discussione e di compromesso, almeno in sede di Assemblea costituente, viene meno. Il bicameralismo paritario, che era stato unanimemente ritenuto un tabù da abbattere, da destra e da sinistra, in tutti i programmi elettorali, viene finalmente meno. Il procedimento legislativo viene reso più semplice. Ho molto apprezzato le considerazioni dell'onorevole Sanna, anche rispetto alle possibili problematiche, specie in una prima fase. Ma il fatto che si diano dei tempi certi, in particolar modo per l'istituto del voto a data certa, consente di superare un della storia costituzionale, cioè l'abuso della decretazione d'urgenza, abuso dal quale non possiamo ritenerci immuni neanche noi, voglio essere con molta franchezza trasparente nei vostri confronti. Non si toccano i sistemi di pesi e contrappesi che sono stati oggetto di grandi discussioni. Certo, viene modificata la norma sull'elezione del Capo dello Stato, è il Parlamento in seduta comune che elegge il Capo dello Stato, senza l'integrazione della composizione con i delegati regionali, ma sono modificati i per l'elezione. Si interviene pesantemente sul Titolo V, rendendo lo Stato responsabile maggiore, anche in considerazione di modifiche da apportare, da apporre, a una precedente riforma, i cui effetti hanno sicuramente delle luci e molte ombre. Viene soppressa la competenza legislativa concorrente, è introdotta una riserva alla legge statale per la definizione degli indicatori dei costi e fabbisogni standard, vengono modificati gli istituti di democrazia diretta e gli strumenti di partecipazione, con un lavoro, è stato ricordato prima, di grande partecipazione da parte delle opposizioni e anche di una parte significativa della maggioranza; si sopprimono alcuni enti.
Vorrei, prima di entrare nel merito delle 25 note di distinzione che vorrei rapidissimamente fare, sottolineare che si è lavorato in modo molto significativo. Si è lavorato per 173 sedute, al 7 aprile; erano state 170 quelle dell'Assemblea costituente. L'Assemblea costituente aveva avuto 606 votazioni, 292 approvazioni e 315 respingimenti, 5.271 sono state le votazioni in questo procedimento. In sede di Assemblea costituente vi erano stati 1.090 interventi, sono stati 4.776 in questo passaggio senza considerare quelli di oggi. Sono state presentate 1.663 proposte emendative in sede di Assemblea costituente, 83.322.708 in questo passaggio.
Si domandino, i signori del Parlamento, se l'utilizzo strumentale della discussione parlamentare è venuto da chi è stato pronto al dibattito e al dialogo in tutte le sedi e in tutte le forme o da chi ha proceduto a portare 83 milioni di emendamenti, con l'unico obiettivo di non discutere nel merito quelli su cui si poteva trovare un punto di convergenza. Sono state tante e numerose le modifiche che sono state introdotte da questo dibattito parlamentare; io non entro nel merito se queste siano migliori o peggiori rispetto alle nostre aspettative, sono le modifiche del Parlamento, e io, signori del Parlamento, mi inchino di fronte alla volontà popolare che, chi difende la Costituzione, dovrebbe sapere esprimere attraverso le indicazioni dei deputati e dei senatori. Chi oggi difende la volontà costituzionale o pensa di difendere la Costituzione e utilizza l'argomento del «caro Presidente del Consiglio chi ti ha eletto ?», semplicemente non si rende conto che ciò che viene detto dalla Costituzione è che il Presidente del Consiglio non è eletto dai cittadini, ma gode di un rapporto di fiducia con il Parlamento della Repubblica . La superficialità, l'improvvisazione di chi si trova a proprio agio fuori dalle Aule del Parlamento molto più che dentro, nel dibattito costituzionale, è un elemento sul quale i cittadini sapranno riflettere, anche perché in tanti dicono: andiamo fuori del Parlamento per chiedere che prima o poi si vada a votare. Quando andremo a votare, tanti di loro resteranno fuori dal Parlamento e non credo che sarà un problema per la stragrande maggioranza degli elettori medesimi .
Credo che ci sia bisogno di entrare nel merito della discussione sui 25 punti che le opposizioni hanno segnalato, non prima di aver tolto due elementi dal campo. Il primo: si dice che questa è la Costituzione più bella del mondo e che è intoccabile; sono valutazioni molto belle, molto suggestive, ci danno quel valore di appartenenza che io credo vada considerato un punto positivo. Non ci prendiamo in giro, perché qualcuno di noi – tutti voi meglio di me, ma qualcuno di noi lo ha fatto non perché doveva votare, ma perché ha studiato, come tutti gli altri, giurisprudenza o diritto costituzionale – ricorda che il dibattito in Assemblea costituente e negli anni immediatamente successivi non era un dibattito pieno di frasi modello «questa è la Costituzione più bella del mondo». Meuccio Ruini, 22 dicembre 1947, parla all'Assemblea costituente in qualità di relatore del testo e dice: la seconda parte della Costituzione, Ordinamento della Repubblica, ha presentato gravi difficoltà, non abbiamo risolto con piena soddisfazione tutti i problemi istituzionali, ad esempio per la composizione delle due Camere e per il sistema elettorale. Lo dice il 22 dicembre del 1947, qualche giorno prima della firma di De Nicola, il relatore di quel dibattito. Ma chi di noi ama, vorrei dire profondamente ama, il contributo di una parte – noi amiamo il contributo di tutti, ma in particolar modo della sinistra cattolica in quel dibattito – deve ricordare che non soltanto furono numerosi gli interventi dei professori, i professorini, come li chiamavano, in sede di Assemblea costituente, ma vi furono degli appuntamenti immediatamente successivi dei quali non posso darvi conto in modo compiuto, ma che sicuramente conoscete meglio di me, e che vorrei invitare ad andare a rileggere, ad esempio andando a prendere il convegno dell'Unione Giuristi Cattolici del 1951. Io ci sono affezionato, perché fu il primo intervento di La Pira da sindaco, e andò a parlare, però, nella sua veste, tornando per una volta a fare un dibattito nazionale, e dice delle cose meravigliose sul rapporto tra sogno, attese della povera gente e classe politica. Non ne parlo in questa sede. Vorrei, però, citare Giuseppe Dossetti. La sua relazione al convegno nazionale di studi dell'Unione Giuristi Cattolici del 1951 cita testualmente, parlando della crisi del sistema costituzionale italiano, tre anni dopo: è stato strutturalmente predisposto – si riferisce al sistema costituzionale italiano – sulla premessa di un contrappeso reciproco di poteri e quindi di un funzionamento complesso, lento e raro, come quello di uno Stato che non avesse da compiere che pochi e infrequenti atti sia normativi che esecutivi.
Quello su cui avete legiferato e vi accingete a legiferare in via definitiva è una parte della Costituzione che lo stesso costituente – quei costituenti che abbiamo come delle figurine e che dovremmo però imparare a leggere e a rileggere – già dopo pochi mesi considerava deficitaria per la realizzazione di una compiuta democrazia. Vado rapidissimo sui 25 punti, perché non voglio abusare della vostra pazienza. C’è un punto, però, che voglio sottolineare, l'onorevole Sanna ha già discusso di questo anche in polemica con l'onorevole Scotto: la riforma non doveva essere proposta dal Governo, le riforme costituzionali devono essere d'iniziativa strettamente parlamentare. Lo dico all'onorevole Scotto che mi ha accusato di non aver ascoltato le sue, e quelle di altri, considerazioni; è una critica che rispetto, come tutte le critiche vanno rispettate, ma è una critica profondamente ingiusta. Vorrei citare all'onorevole Scotto, se solo fosse qui presente, ma ha detto che leggerà gli atti, ciò che Umberto Terracini, non propriamente un pericoloso sovversivo, ebbe modo di dire nella seduta di Sottocommissione del 15 gennaio 1947, sto andando a braccio perché non trovo il foglio, ma credo che fosse il 15 gennaio 1947. Alla domanda di Piccioni che chiedeva se si potesse evitare l'iniziativa del Governo su questi temi, Terracini rispose in modo molto puntuale, contestando la dichiarazione di Piccioni e mettendo ai voti la possibilità che il Governo avesse l'iniziativa anche sui temi della revisione costituzionale. La Sottocommissione votò la proposta Terracini, approvandola. Dunque, il primo punto in discussione – le riforme non dovevano essere proposte dal Governo – è stato autorevolmente sciolto, non già dall'esempio, come pure Sanna ha spiegato in modo ineccepibile, di numerosi Governi che si sono succeduti e che hanno portato iniziative di revisione costituzionale con firma del Governo, ma addirittura dal presidente Terracini che, prendendo la parola, chiese il voto su questo e, quindi, dalla discussione dell'Assemblea costituente medesima. Si vuole difendere i lavori della Costituente, ma poi ci si scorda di leggerli.
Secondo punto: le riforme costituzionali si fanno tutti insieme. Lo dico in particolar modo a quella che è stata e che è una parte dell'accordo istituzionale e costituzionale: noi non abbiamo cambiato idea rispetto al testo che oggi andiamo, andate a votare, o comunque nelle prossime ore. L'argomento che ha portato una parte di questo Parlamento a venir meno alla parola data e all'impegno preso non ha a che vedere con il contenuto della revisione costituzionale, il che sarebbe comunque del tutto legittimo, ha a che vedere con il fatto che questo Parlamento in seduta comune, peraltro, con il voto a scrutinio segreto di molti di quello stesso gruppo, ha eletto Presidente della Repubblica quel galantuomo che risponde al nome di Sergio Mattarella, contro i desiderata del leader di quel partito medesimo . Noi abbiamo tentato di avere una maggioranza più ampia, ma messi al bivio di dover bloccare quell'intervento, perché qualcuno aveva cambiato idea sul nome del Presidente della Repubblica, e mantenersi fedeli all'impegno preso con il Presidente della Repubblica precedente e con la credibilità del sistema politico italiano non abbiamo avuto dubbi nello scegliere la dignità, la coerenza e l'uniformità di giudizio.
Terzo punto: nel varare le riforme sono state fatte, in Parlamento, forzature inaccettabili. Credo che l'unica forzatura realmente fatta sia stata presentare 83 milioni di emendamenti. Non avevamo alternative a quella di andare avanti anche utilizzando tutti gli strumenti del Regolamento per poter arrivare a conclusione, altrimenti sarebbe stato il blocco. Ricordo che in più di una circostanza i senatori e i deputati che fanno riferimento allo schieramento di una parte del centrodestra hanno più volte detto: non ci sono i numeri, li bloccheremo, l'ostruzionismo fermerà questi dilettanti improvvisati. Non è stata una previsione azzeccata.
Punto numero 4: la riforma è stata fatta in modo affrettato. Ho già mostrato i tempi e le sedute, più dei lavori dell'Assemblea costituente. Se il referendum andrà come io auspico che vada, saranno passati esattamente 30 mesi, sei letture parlamentari, esami e votazioni, prima in Commissione e poi in Aula, migliaia di emendamenti; non si ricorda nella storia costituzionale un dibattito così lungo e prolungato come quello avuto da questa revisione costituzionale.
In nessun argomento c’è stata una partecipazione di così tanti relatori e interventi come in questa discussione che il Parlamento di questa legislatura si accinge a concludere. Il punto numero 5 lo ha già spiegato il deputato Sanna: la riforma è illegittima perché votata da un Parlamento eletto sulla base di una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. Si fa riferimento alla sentenza n. 1 del 2014. In tale sentenza, la Corte costituzionale esprime in modo chiaro che l'illegittimità della legge – si chiama legge Calderoli, quella giudicata illegittima – non travolge la legittimazione giuridica né politica delle Camere della XVII legislatura. Questo è il dettato della sentenza della Corte costituzionale.
A questo si aggiunge non soltanto la volontà del Parlamento, perché il Parlamento avrebbe potuto prendere una decisione diversa nella sua sovranità, ma anche le considerazioni conformi dell'allora Presidente della Repubblica e dell'attuale Presidente della Repubblica. Ricordo, soltanto da ultimo, per citare il Presidente della Repubblica Mattarella, il suo intervento alla Columbia University dell'11 febbraio del 2016. La realtà è da una parte diversa da quella delle chiacchiere. Sesto punto: il Governo e la maggioranza non avrebbero dovuto chiedere o auspicare il referendum. Sì, è vero, la Costituzione permette, come garanzia democratica, a una minoranza parlamentare del 20 per cento di chiedere il referendum confermativo, ma questo non impone o non esclude che altri parlamentari possano chiedere che si vada a votare su questo.
Aggiungo: è stato frutto di un accordo politico. Il Governo è andato in Aula, in Senato, sulla base di una richiesta dei capigruppo della maggioranza, perché il lavoro che hanno fatto il Senato e la Camera per modificare questo testo è tutt'altro che banale. Allora i capigruppo ci chiesero di prendere un impegno solenne, come Governo e come maggioranza, per andare al referendum confermativo. Stiamo rispettando un impegno preso con i parlamentari. Settimo punto: non si doveva fare del referendum oggetto di una strumentalizzazione politica, legando a questo la vita del Governo. È una critica che è rivolta, in particolar modo, alla mia persona e alle dichiarazioni che ho fatto fin da qualche mese fa.
Vorrei confermarle e, se possibile, ribadirle. La nascita di questo Governo è dovuta al fatto che l'Esecutivo precedente si trovava in una condizione di stagnazione. L'accettazione dell'incarico di Presidente del Consiglio è stata subordinata all'impegno preso con il Presidente della Repubblica e con i deputati e i senatori a realizzare una serie di riforme, che possono piacere o meno. Nel momento in cui sulla più importante di queste riforme non vi fosse il consenso popolare tale da far cadere il castello della riforma stessa, è principio di serietà politica trarre le conseguenze. La Costituzione più bella del mondo non si tocca: sono almeno cinque gli articoli già cancellati, sono almeno 15 le modifiche già fatte. Numero nove: la riforma crea troppe incertezze, creerà contenzioso. Non vi è dubbio, perché mi piace essere sincero, che vi siano dei punti che dovranno essere chiariti. Qualsiasi riforma contiene dei margini di incertezza per definizione, non può che essere così: se tu metti a raffronto un testo che vige da quindici anni o da settant'anni e uno che è appena entrato in vigore, è giocoforza che vi siano delle valutazioni diverse, ma questa è una riforma che rende più chiaro e più semplice il nostro Paese.
Punto numero 10: avete fatto una riforma della Costituzione per risparmiare. Credo che chi ha seguito il dibattito degli ultimi vent'anni e non è stato ibernato o non è stato in vacanza su Marte sa che il problema della semplificazione delle regole del gioco democratico non deriva da un'esigenza di natura economicistica. Altre sono state le misure prese con finalità economica e/o economicistica: mi riferisco, ad esempio, alla modifica fatta dal Parlamento precedente, della legislatura precedente, sull'articolo 81 della Costituzione. Questa riforma, alla fine, farà risparmiare i cittadini ? Sì ! Non lo considero un elemento negativo, ma non è il motivo dal quale abbiamo preso le mosse.
Entro su punti un pochino più delicati. La riforma – critica numero 11 emersa dal dibattito parlamentare, che, come vedete, abbiamo ascoltato, studiato e valutato – mette le istituzioni in mano a una sola forza politica, in particolar modo in combinazione con l'approvazione di una nuova legge elettorale.
Come sapete, credo di essere uno dei più convinti della necessità della legge elettorale che abbiamo approvato, ma credo, contemporaneamente, che si debba essere molto chiari: questo non è un elemento che mette in discussione la riforma costituzionale, perché tutte le maggioranze qualificate o restano o sono rafforzate. Il Parlamento in seduta comune, un organo che pure è ridimensionato, consta sempre di 725 componenti. Chi ne controllasse 340, grazie al premio di maggioranza previsto dall'Italicum, resta sotto di 23 rispetto alla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune, resta sotto di 95 rispetto alla maggioranza dei due terzi, resta sotto di 142 rispetto a quella dei due terzi.
La realtà è diversa da quella che viene raccontata. Certo, c’è un obiettivo, che è reso più semplice dalla fiducia lasciata alla sola Camera dei deputati e dal premio di maggioranza dell'Italicum: ci accingiamo ad andare verso un modello di democrazia decidente. Mi spiace che si citi Calamandrei a giorni alterni. Sarebbe molto interessante che si leggesse ciò che Calamandrei scrive sui limiti di una democrazia che decide. Una democrazia che non decide è l'anticamera della dittatura, ma il punto centrale è che, se questo Paese in settant'anni ha avuto 63 Governi e se questo Governo, che è appena arrivato, è il sesto su 63 per longevità, c’è qualcosa che non torna nel sistema istituzionale del nostro Paese.
Il meccanismo del voto di fiducia di una sola Camera, con il premio di maggioranza al partito che vince le elezioni, auspicabilmente porta a dei Governi che durano in carica per cinque anni e consente alle opposizioni di non fare teatrini e sceneggiate, ma di stare a prepararsi per tornare al Governo, sempre che ne siano capaci. Punto numero 12: la riforma introduce una forma di premierato assoluto. A differenza delle proposte D'Alema e della riforma del centrodestra nella legislatura 2001-2006, questa riforma non tocca i poteri del Presidente del Consiglio, che è, in tutti i Paesi europei, soltanto in Italia non in condizione di nominare o di rimuovere i ministri.
Vorrei che questo fosse chiaro, per fare trasparenza: il nostro Paese è il Paese nel quale la possibilità per il Presidente del Consiglio di incidere è data innanzitutto dalla sua, presente o meno, autorevolezza che non dagli istituti normativi o dagli istituti costituzionali. Il Presidente della Repubblica nomina i ministri sulla base delle proposte del Presidente del Consiglio e non è dato al Presidente del Consiglio rimuovere alcun ministro, anche ove lo volesse. Modifica numero 13 (sono rapidissimo, perché non voglio sforare i tempi): il voto a data certa sulle proposte di legge del Governo dà a quest'ultimo poteri eccessivi. Questa proposta è l'antidoto all'abuso smodato di decretazione d'urgenza.
La riforma attenta alla democrazia e non assicura le necessarie garanzie: sono stati aumentati gli istituti di partecipazione, date precise indicazioni sulle garanzie per le minoranze e le opposizioni, che, naturalmente, dipendono in larga parte dai Regolamenti parlamentari, i quali dovranno recepire i principi ispiratori di questa riforma. La riforma responsabilizza davanti agli elettori chi governa e sana anche il deficit democratico – io lo chiamo così – del fatto che il Senato oggi pesi quanto la Camera nella fiducia, ma non sia eletto a suffragio universale, tagliando fuori circa 4 milioni di cittadini che stanno tra i diciotto e i venticinque anni, cosa di cui troppo spesso ci dimentichiamo.
Sarebbe molto interessante, peraltro, andare a rileggere ciò che in Assemblea costituente veniva detto a proposito dell'uguaglianza dei cittadini anche rispetto all'età, ad esempio, dall'onorevole Teresa Mattei. Punto numero 15: tutta la questione legata al Senato, alla sua composizione e al procedimento legislativo. Le proposte si sono qui sbizzarrite, io stesso avevo proposto, in partenza, una soluzione che è stata discussa e neanche è arrivata alla discussione parlamentare.
Per dire quanto ciascuno possa avere una propria valutazione, e quanto però poi sia il Parlamento sovrano su questo. Chi voleva il Bundesrat, chi avrebbe voluto il monocameralismo secco, chi sognava un Senato direttamente eletto a garanzia delle istituzioni, chi avrebbe voluto ridurre il numero dei deputati mantenendo dei senatori eletti direttamente, chi ha contestato, anche comprensibilmente dal mio punto di vista, i cinque senatori di nomina presidenziale, che è un argomento che ha più a che fare con il retaggio di una tradizione che non con una logica di paragone rispetto ad altri Paesi. Sono molte le considerazioni che si possono fare ! Io dico soltanto che il nuovo Senato è un organismo e un'istituzione che ha una sua funzione molto chiara, ma che finalmente non è più il doppione istituzionale della Camera, e questo garantisce la dignità del Senato e la capacità del Governo di poter lavorare assieme al Parlamento.
Vi è una sedicesima considerazione, che – perché no ? – potrebbe essere oggetto di una futura revisione: nel nuovo Senato si sarebbe dovuto votare per delegazione, hanno detto in tanti, prendendo ad esempio il modello del Bundesrat; si è fatta una scelta diversa. Perché ? Perché la sensibilità politica italiana è diversa rispetto a questo: non si è immaginato di fare del Senato il luogo nel quale si vota per delegazione, anziché per appartenenza politica o per valutazione personale. Non è detto, visto che questo è un tema che resterà nelle discussioni future, che non si possa modificare questo passaggio; ma credo che fosse più logico oggi trovare la soluzione che poi è stata individuata come compromesso.
Punto diciassettesimo, e vado a concludere: i procedimenti legislativi sono troppi, ma i procedimenti legislativi chiamano in causa il Senato nella sua scelta di una funzione e di un ruolo; toccherà al Senato decidere su quali argomenti chiedere alla Camera un supplemento di attenzione. Ma questo supplemento di attenzione non toglie alla Camera la centralità nel procedimento legislativo ! Vi è una questione, quella dell'articolo 80, che io reputo fondata: lo dico perché a mio giudizio bisogna essere molto chiari. L'articolo 80 pone una questione tecnica non irrilevante: le ratifiche dei Trattati internazionali sono di competenza della sola Camera; siccome in genere sono votati insieme alle norme interne che vi danno attuazione, queste potrebbero, pur toccando materie altrimenti affidate alla legge bicamerale, saltare il Senato. È un argomento vero, un argomento serio. È però anche, per chi ha studiato l'Assemblea costituente e poi la Carta costituzionale, esattamente l'articolo 80 com'era stato pensato dal Costituente. Infatti il modello costituzionale originario prevedeva la legge di autorizzazione alla ratifica solo per i Trattati di maggior rilievo, mentre la prassi parlamentare ha esteso questa modalità a tutti i Trattati: così che noi possiamo immaginare il nuovo articolo 80 in un certo modo, un ritorno alle origini volute dai Costituenti.
Rispetto alla valutazione politica per la quale il Titolo V (punto diciannovesimo) è una controriforma rispetto a quella del 2001, Sanna ha utilizzato parole molto più diplomatiche delle mie. Io credo che per alcuni aspetti effettivamente lo sia, perché il Titolo V nel 2000-2001 fu approvato, peraltro da una parte politica alla quale mi onoro di appartenere, più come un riflesso politico ad una situazione che si stava vivendo che non come maturata valutazione e scelta. Naturalmente è legge costituzionale: ottenne il consenso degli italiani, il 34 per cento degli italiani andò a votare per quel referendum, e una percentuale significativa si schierò per il sì. Come sapete il referendum costituzionale è l'unico referendum per il quale non è previsto il : l'unico fino all'approvazione di questa medesima riforma. Credo però che sia un fatto positivo che si dia chiarezza: per uscire dal dibattito tecnico e noioso credo che sia un dovere che i cittadini sappiano che le spese di promozione turistica non saranno affidate alle singole regioni, o che le questioni energetiche nazionali, in un mondo nel quale l'energia è questione di valore internazionale, non possano vedere scelte diverse tra una regione e l'altra. Io trovo che sia un fatto di serietà, che si intervenga in questa direzione. Ovviamente, anche questo è un testo profondamente modificato rispetto a come il Governo l'aveva presentato alla vostra attenzione.
Si dice che la clausola di supremazia prevista dal comma 4 del nuovo articolo 117, del 117 novellato, avvilisce l'autonomia regionale: io dico che ne costituisce elemento di garanzia. Si dice che i limiti alle regioni (punto ventunesimo) in materia di costi della politica umiliano l'autonomia delle regioni: credo che esaltino la dignità dell'essere consiglieri regionali, dopo tante pagine di scandalo alle quali abbiamo avuto modo di assistere. Si dice – lo fanno anche autorevoli professori, anche alcuni professori con i quali ho avuto la buona sorte di poter studiare da studente – che la scelta di abolire la legislazione concorrente costituisce un errore: io credo che sia stato un clamoroso errore aver impostato la concorrente come è stato fatto con la riforma del 2001. Si dice (punto ventitreesimo) che non sono state riformate le regioni a statuto speciale; e si dice una cosa vera: non sono state riformate. In parte perché, come sapete, in un caso vi è un Trattato di natura internazionale: mi riferisco alla provincia autonoma di Bolzano; ma anche perché non vi era in questo Parlamento una maggioranza sufficiente ad approfondire questa discussione; ed è bene dirlo con grande chiarezza: avendo anche molti opinioni diverse sul singolo punto.
Le ultime due questioni. Non è opportuno che il Senato elegga due giudici della Corte: è stata una discussione su cui Camera e Senato hanno vivacemente pugnato. Credo che si sia trovato un compromesso che assicura alla Corte costituzionale un livello di qualità indiscutibile. E infine, che l'elezione del Presidente della Repubblica non è ben disciplinata. Qui occorre mettersi d'accordo: se si vuole che nessuna forza politica da sola possa di norma eleggere il Presidente, salvo che conquisti una valanga di voti imprevedibile, occorrono dei alti. La riforma fa questa scelta, e prevede che non si possa mai scendere sotto i tre quinti dei votanti. Da questo punto di vista si introduce un elemento discutibile: io per esempio nella discussione in sede di Governo avevo un'opinione diversa; però che è un elemento di garanzia, perché è del tutto naturale e fisiologico che andare ad eleggere con i tre quinti dei votanti significa avere un numero importante di consenso. Naturalmente, l'esperienza dirà se questo è un punto sul quale il consenso che è stato raggiunto ha valore o meno.
Vi sono molte altre critiche, ma devo concludere per ragioni di tempo. Arrivo al punto politico – e torno all'amata politica, dopo 25 considerazioni di merito, che però potrebbero allargarsi e contenere tutte le modifiche proposte per i referendum e per la modifica di Sanna lo ha già spiegato; e anche la parte costituzionale in cui si affida ad una legge costituzionale la possibilità di disciplinare l'istituto referendario, che è un tema molto interessante: l'istituto referendario del referendum propositivo, costituendo con ciò un'innovazione significativa rispetto alla tradizione italiana. Ma c’è un punto politico sul quale vorrei davvero chiudere; e non è citando Dossetti o Calamandrei, la democrazia decidente o Terracini, vorrei chiudere ricordando a tutte e a tutti noi come siamo partiti con questo lavoro. Il 12 marzo 2014, 20 giorni dopo essere passati dal giuramento del Quirinale e qualche giorno dopo aver ottenuto la fiducia, noi abbiamo chiesto alle forze vive del Paese di esprimersi con il metodo del confronto. Abbiamo fatto seminari, incontri; poi abbiamo licenziato un testo in Consiglio dei ministri, in linea con ciò che il Governo era chiamato a fare dal punto di vista politico e costituzionalmente messo in condizione di fare per le valutazioni di Terracini e per il voto della sottocommissione dell'Assemblea costituente del 15 gennaio 1947. A quel punto è partito un dibattito, che è stato più corposo di quello dell'Assemblea costituente.
Si può essere d'accordo o meno con il lavoro al quale il Parlamento è arrivato, ma quello che deve essere chiaro è che oggi vince la democrazia. La democrazia non significa cercare di non far votare gli altri, la democrazia non si chiama ostruzionismo, la democrazia non si chiama fuga dall'Aula quando mi accorgo di non avere i voti: la democrazia si chiama confronto, discussione punto per punto sugli argomenti critici, e poi espressione libera e democratica di voto.
Sostenere che vi sia stata una lesione della democrazia perché oggi il Parlamento sceglie, sulla base del modello previsto dalla Costituzione italiana, di modificare la Costituzione, significa fare a pugni con la realtà; significa avere una visione della democrazia che è tipica di chi non ha letto la Costituzione e i lavori preparatori della medesima; significa pensare che gli italiani non siano in grado di valutare, non siano in grado di capire se questo tipo di percorso è corretto o no. Uno può dire che non è d'accordo su tutto, può dire che non è d'accordo su niente, può votare a favore o votare contro, ma scappare dal dibattito è indice di povertà sui contenuti. Lo dico qui – e termino – perché so che la campagna referendaria non discuterà soltanto di contenuti, devo essere franco con voi, signora Presidente, onorevoli deputati, anche per mia responsabilità, perché nel dibattito della campagna elettorale che questo Governo farà, io in prima persona, a viso aperto, come avrebbe detto padre Dante Alighieri, con determinazione, con convinzione, con tenacia e con tutta l'energia di cui sono capace non discuteremo soltanto di singole norme o di valutazioni giuridiche, non citeremo Mortati o La Pira, discuteremo anche di argomenti più demagogici, più popolari, spero non populisti; discuteremo anche di questo, perché anche di questo è fatto il confronto democratico. E io sarei ingiusto verso la signora Presidente, verso di voi e anche verso me stesso se non dicessi questo, ma quello che tenevo a fare oggi era sottolineare come tutte le obiezioni di merito – alcune delle quali possono trovare anche un accoglimento da parte di chi si accinge a votare «sì», perché questa è la bellezza del compromesso alto e nobile che fu alla base della Costituzione della Repubblica, che fu alla base di quel lavoro straordinario di donne e uomini che pure discutevano e litigavano su tutto ma che poi furono capaci di trovare un punto d'intesa –, ebbene, quel lavoro lì ha la necessità, alla fine, di trovare un compromesso alto, bello, nobile. Questa era l'attenzione che si doveva dare alla Carta costituzionale. Ho preso terribilmente sul serio le critiche che sono venute dalle opposizioni, che oggi sono scappate di fronte alla possibilità di confrontarsi nel merito.
Noi non pensiamo di aver fatto tutto bene, ma siamo certi che aver finalmente adempiuto a un obbligo morale, giuridico – perché su questo si giocava il voto di fiducia –, politico e culturale, che dimostra che la classe politica può cambiare se stessa, è stato l'unico modo con il quale noi oggi possiamo essere degni di rappresentare il popolo italiano. Saranno i deputati a decidere se questo modello di riforma costituzionale merita i 316 voti necessari per arrivare al passaggio finale; sarete voi, signori del Parlamento, a decidere se andare o no al referendum, come mi pare che sia stato deciso e come sarà comprovato dalla raccolta delle firme; saranno i cittadini italiani a decidere se finalmente l'Italia vuole entrare nel futuro, anche istituzionale.
Quello che io voglio dirvi con umiltà e rispetto è che finalmente, dopo molti anni, la classe politica dà una lezione di serietà e di civiltà. L'avete fatto voi, nessuno ci avrebbe scommesso in quell'aprile del 2013; io, a nome del Governo, non posso che darvene atto .
PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente del Consiglio. Colleghi, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta. Sospendo la seduta, che, come è noto, riprenderà al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.
PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con lettera pervenuta in data 9 aprile 2016, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 7, comma 2, lettera e 10 della legge 31 dicembre 2009 n. 196 e successive modificazioni, il Documento di economia e finanza 2016, . Alla sezione II del Documento è allegata la nota metodologica sui criteri di formulazione delle previsioni tendenziali, di cui all'articolo 10, comma 4, della legge n. 196 del 2009.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, con la medesima lettera, ha altresì trasmesso la relazione ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, . Al Documento sono allegati il rapporto sullo stato di attuazione della riforma della contabilità e finanza pubblica, di cui all'articolo 3 della legge n. 196 del 2009 il documento sulle spese dello Stato nelle regioni e nelle province autonome, di cui al comma 10, dell'articolo 10, della legge n. 196 del 2009 la relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, di cui al comma 9 dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 la relazione sui fabbisogni annuali dei beni e servizi della pubblica amministrazione e sui risparmi conseguiti con il sistema delle convenzioni Consip, di cui all'articolo 2, comma 576, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 la relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, di cui al comma 7 dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 e dell'articolo 7 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 un documento concernente strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica . Il Documento è assegnato, ai sensi dell'articolo 118-, comma 1, del Regolamento alla Commissione V (Bilancio), nonché, per il parere, a tutte le altre Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
PRESIDENTE. A seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo l'esame del Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4) avrà luogo mercoledì 27 aprile
Le Commissioni permanenti ne concluderanno l'esame entro giovedì 21 aprile e la V Commissione (bilancio) entro martedì 26 aprile.
Lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata previsto per mercoledì 27 aprile è differito a giovedì 28 aprile, sempre dalle ore 15.
Il termine per la presentazione delle interrogazioni a risposta immediata è fissato a mercoledì 27 aprile, entro le ore 12.
La proposta di legge n. 2214 – Modifiche alla disciplina in materia di diritto allo studio universitario e di tasse e contributi universitari, già prevista in programma nel mese di maggio con la formula ) è sostituita dalla proposta di legge n. 1159 e abbinata – Modifiche alla disciplina in materia di contributi universitari.
L'organizzazione dei tempi per l'esame del Documento di economia e finanza 2016 sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.
PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della richiesta pervenuta in data 4 aprile 2016, è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, del Regolamento la formazione di una componente politica denominata «Fare ! – Pri», nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, cui aderiscono i deputati Matteo Bragantini, Roberto Caon, Marco Marcolin ed Emanuele Prataviera. L'onorevole Matteo Bragantini è stato designato quale rappresentante della nuova componente.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.