PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
GILDA SPORTIELLO, legge il processo verbale della seduta del 6 dicembre 2024.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
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PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 79, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta odierna .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale n. 1917: “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare” e delle abbinate proposte di legge costituzionale nn. 23-434-806-824.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.
La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Saluto gli studenti e le studentesse dell'Istituto comprensivo Rosmini, plesso Corrado Alvaro, di Roma, che assistono ai nostri lavori dalle tribune. Grazie di essere qui .
Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Nazario Pagano.
NAZARIO PAGANO, . Grazie, Presidente. Ringrazio, ovviamente, anche il senatore Francesco Paolo Sisto, in rappresentanza del Governo, e saluto con cordialità la collega Simona Bordonali, che, con me, è relatrice oggi e prenderà anche lei la parola per la relazione introduttiva. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi la discussione del disegno di legge costituzionale n. 1917 - cui sono abbinate le proposte di legge costituzionale: Enrico Costa n. 23, Giachetti n. 434, Calderone ed altri n. 806 e Morrone ed altri n. 824 - recante “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”, nel testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali.
L'esame in sede referente del disegno di legge costituzionale ha avuto inizio l'11 luglio di quest'anno, quando ne è stato disposto l'abbinamento d'ufficio con le proposte di legge Enrico Costa n. 23, Giachetti n. 434, Calderone ed altri n. 806 e Morrone ed altri n. 824, sulle quali si era già svolto un ciclo di audizioni informali. A seguito dell'abbinamento del disegno di legge in discussione, che propone una diversa declinazione dei temi oggetto delle proposte di legge costituzionale già incardinate, si è svolta un'integrazione del ciclo di audizioni, nel corso del quale sono stati auditi professori universitari e magistrati, tra cui la prima presidente, il procuratore generale e il procuratore generale aggiunto della Corte di cassazione, rappresentanti di associazioni, tra cui l'Associazione nazionale magistrati nella figura del suo presidente, fondazioni e comitati interessati in ragione delle materie oggetto del provvedimento in esame.
Il 10 ottobre il disegno di legge costituzionale n. 1917 è stato, quindi, adottato come testo base per il prosieguo dell'esame. Al termine dell'esame preliminare, sono state presentate 262 proposte emendative. L'esame degli emendamenti, avviato nella seduta del 6 novembre, si è concluso, dopo un ampio e articolato dibattito, con il conferimento del mandato ai relatori lo scorso 3 dicembre.
Passando ad illustrare i contenuti del disegno di legge costituzionale, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, faccio presente - anche a nome dei relatori, almeno per la prima parte, poi passerò la parola all'onorevole Bordonali che con me e insieme all'onorevole Michelotti, oggi non presente, è stata relatrice di questo provvedimento - che questo provvedimento, nel prevedere la separazione delle carriere dei magistrati requirenti e giudicanti, prevede due distinti organi di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.
Rilevo che una delle principali innovazioni concernenti i due organi di autogoverno attiene alla composizione degli stessi. Nello specifico, la presidenza di entrambi gli organi è attribuita al Presidente della Repubblica, mentre sono membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura giudicante e del Consiglio superiore della magistratura requirente, rispettivamente, il primo Presidente della Corte di cassazione e il Procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti di ciascuno dei Consigli superiori sono estratti a sorte, per un terzo da un elenco di professori e avvocati, compilato dal Parlamento in seduta comune, e per i restanti due terzi rispettivamente tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti.
Si prevede inoltre che i vicepresidenti di ciascuno degli organi siano eletti fra i componenti sorteggiati dall'elenco compilato dal Parlamento. Evidenzio che un ulteriore elemento di novità attiene alla istituzione dell'Alta Corte disciplinare, cui è attribuita la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, tanto giudicanti che requirenti.
Il disegno di legge prevede quindi la possibilità di impugnare le sentenze dell'Alta Corte dinanzi all'Alta Corte medesima, che giudica in composizione differente rispetto al giudizio di prima istanza.
Le ulteriori disposizioni contenute nel disegno di legge recano modifiche alla Costituzione conseguenti all'istituzione dei sopra menzionati organi, nonché disposizioni transitorie.
Entriamo nel dettaglio dell'articolato. Come detto, sono 8 gli articoli. L'articolo 1 del disegno di legge costituzionale interviene sull'articolo 87, decimo comma, della Costituzione, che include tra i poteri del Presidente della Repubblica la presidenza del Consiglio superiore della magistratura. A seguito della modifica apportata dalla disposizione in commento, si prevede che il Presidente della Repubblica presieda tanto il Consiglio superiore della magistratura giudicante quanto quello della magistratura requirente. La modifica è collegata alla previsione della separazione della funzione giudicante da quella requirente e si connette alla scelta, operata dal disegno di legge in esame, di istituire due distinti organi di autogoverno.
L'articolo 2 modifica invece il primo comma dell'articolo 102 della Costituzione, al fine di precisare che le norme sull'ordinamento giudiziario, che regolano la funzione giurisdizionale esercitata dai magistrati ordinari, devono altresì disciplinare le distinte carriere dei magistrati requirenti e giudicanti.
Passiamo poi all'articolo 3, che sostituisce integralmente l'articolo 104 della Costituzione. Il primo comma del nuovo articolo 104 della Costituzione, dopo aver ribadito quanto previsto dal vigente articolo 104, ai sensi del quale la magistratura costituisce un organo autonomo e indipendente da ogni altro potere, sancisce la separazione delle carriere della magistratura specificando che l'ordine giudiziario è composto da magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente. Il secondo comma del nuovo articolo, dunque, istituisce i due nuovi organi di autogoverno della magistratura prima citati, cioè il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente, attribuendo la presidenza di entrambi al Presidente della Repubblica, ribadendo pertanto quanto già stabilito dall'articolo 87, decimo comma, della Costituzione, come risultante dalle modifiche apportate dal precedente articolo 1 del disegno di legge.
Ai sensi poi del terzo comma del nuovo articolo 104, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione, già membri di diritto del vigente CSM, sono membri di diritto rispettivamente del Consiglio superiore della magistratura giudicante e del Consiglio superiore della magistratura requirente. Per quanto poi concerne i membri non di diritto, tanto del Consiglio superiore della magistratura giudicante quanto del Consiglio superiore di quella requirente, il quarto comma del nuovo articolo 104 stabilisce una proporzione fra i membri cosiddetti laici e quelli cosiddetti togati, analoga a quella prevista dall'attuale quarto comma dell'articolo 104 della Costituzione, prevedendo, tuttavia, un innovativo sistema di sorteggio dei componenti di ciascun Consiglio superiore secondo il seguente meccanismo: un terzo dei componenti estratti a sorte da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall'insediamento, compila mediante elezione (la compilazione dell'elenco da parte del Parlamento in seduta comune avviene entro un intervallo di tempo definito, facendo sì che tale adempimento non sia concomitante all'effettiva necessità di selezionare i componenti laici); due terzi dei componenti estratti a sorte rispettivamente tra i magistrati giudicanti e tra quelli requirenti. La disposizione infine rinvia alla legge ordinaria per quanto riguarda la definizione delle procedure per il sorteggio, nonché per quanto attiene al numero di componenti da sorteggiare.
Il quinto comma del nuovo articolo 104 della Costituzione, analogamente alla disciplina vigente, prevede che ciascun Consiglio elegga il proprio vicepresidente fra i componenti designati mediante sorteggio dal Parlamento in seduta comune, mentre il sesto comma prevede la durata in carica di 4 anni per i membri non di diritto, specificando che questi non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva.
Infine, con riferimento al regime delle incompatibilità, il settimo comma del nuovo articolo 104 della Costituzione stabilisce che, finché sono in carica, i componenti tanto del Consiglio superiore della magistratura giudicante quanto del Consiglio superiore della magistratura requirente non possono essere iscritti negli albi professionali né far parte del Parlamento o di un consiglio regionale, analogamente a quanto previsto dalla vigente disposizione costituzionale.
Per il prosieguo, passo la parola all'onorevole Simona Bordonali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Simona Bordonali.
SIMONA BORDONALI, . Grazie, Presidente. Vice Ministro Sisto, onorevoli colleghi, prima di iniziare, soprattutto un ringraziamento al presidente Pagano per come ha gestito questo importantissimo provvedimento in Commissione.
Procedendo con l'analisi degli articoli, arriviamo all'articolo 4, che sostituisce integralmente l'articolo 105 della Costituzione al fine di ripartire tra i due neoistituiti Consigli superiori della magistratura, giudicante e requirente, le competenze che attualmente spettano al Consiglio superiore della magistratura, fatta eccezione per la competenza a decidere sull'azione disciplinare, con riferimento alla quale il medesimo articolo provvede ad istituire un'apposita Corte.
Il primo comma del nuovo articolo 105 della Costituzione attribuisce a ciascuno degli organi di autogoverno della magistratura la competenza ad assumere, in ossequio alle norme dell'ordinamento giudiziario, le determinazioni concernenti le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati. Nell'enunciare tali competenze si provvede altresì a sostituire con le espressioni “valutazioni di professionalità” e “conferimenti di funzioni” il riferimento attualmente recato dall'articolo 105 della Costituzione alle promozioni, in linea con la disciplina ordinamentale in materia.
Il secondo comma del nuovo articolo 105 della Costituzione affida la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, sia giudicanti sia requirenti, ad un organo collegiale di nuova istituzione, denominato Alta Corte disciplinare, e il terzo comma ne delinea la composizione. Si prevede che l'Alta Corte sia composta da 15 giudici, di cui 3 giudici sono nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno 20 anni di esercizio; 3 giudici sono estratti a sorte da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno 20 anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall'insediamento, compila mediante elezione; 6 giudici sono estratti a sorte tra i magistrati giudicanti con almeno 20 anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgono o hanno svolto funzioni di legittimità; 3 giudici sono estratti a sorte tra i magistrati requirenti con almeno 20 anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgono o hanno svolto funzioni di legittimità. Nella composizione dell'organo è quindi prevista la prevalenza della componente togata.
Il quarto comma del nuovo articolo 105 della Costituzione precisa che il presidente dell'Alta Corte viene eletto tra i componenti nominati dal Presidente della Repubblica e tra quelli estratti a sorte dall'elenco formato dal Parlamento in seduta comune, mentre il quinto comma prevede la durata in carica di 4 anni per i membri della Corte, specificando che l'incarico non può essere rinnovato. Il sesto comma enumera diverse cause di incompatibilità tra l'ufficio di giudice dell'Alta Corte e altri incarichi. Nel dettaglio, non possono rivestire il ruolo di giudici dell'Alta Corte membri del Parlamento, del Parlamento europeo, di un consiglio regionale e del Governo.
L'ufficio è altresì incompatibile con l'esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica e ufficio indicati dalla legge. Per quanto riguarda il procedimento disciplinare, il settimo comma del nuovo articolo 105 della Costituzione delinea un duplice grado di giudizio, stabilendo che le sentenze adottate in prima istanza dall'Alta Corte siano impugnabili, anche per motivi di merito, soltanto dinnanzi alla stessa Alta Corte. La disposizione specifica che al giudizio di impugnazione non possono partecipare i componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione in prima istanza.
L'ottavo comma del nuovo articolo 105 della Costituzione riserva, infine, alla legge ordinaria il compito di determinare gli illeciti disciplinari, le relative sanzioni, la composizione dei collegi e le forme del procedimento disciplinare, nonché di dettare le norme necessarie ad assicurare il funzionamento dell'Alta Corte, in modo che nel collegio siano rappresentati i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti. L'articolo 5 del disegno di legge interviene sull'articolo 106, terzo comma, della Costituzione, che disciplina la designazione a consigliere di Cassazione per meriti insigni di professori ed avvocati.
In virtù dell'istituzione di due distinti Consigli, uno per la magistratura giudicante e uno per la magistratura requirente, il disegno di legge del Governo specifica che la designazione a consigliere di Cassazione avvenga su designazione del Consiglio superiore della magistratura giudicante. Inoltre, prevede che anche i magistrati appartenenti alla magistratura requirente con almeno 15 anni di esercizio delle funzioni possano essere designati all'ufficio di consigliere di Cassazione per meriti insigni.
Gli articoli 6 e 7 del disegno di legge recano modifiche di coordinamento, rispettivamente, degli articoli 107, primo comma, e 110 della Costituzione, conseguenti all'istituzione dei due distinti Consigli superiori della magistratura requirente e giudicante. Infine, l'articolo 8 del disegno di legge reca disposizioni transitorie. In particolare, il comma 1 prevede che, entro un anno dall'entrata in vigore della legge costituzionale, siano conseguentemente adeguate le leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull'ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare.
Il comma 2 prevede che, fino all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di cui al comma 1, continuino a osservarsi, nelle materie ivi indicate, le norme vigenti alla data di entrata in vigore della legge costituzionale.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il Vice Ministro per la Giustizia, Francesco Paolo Sisto: si riserva.
È iscritto a parlare l'onorevole Gianassi. Ne ha facoltà.
FEDERICO GIANASSI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Le ragioni che muovono il Governo e la maggioranza ad approvare la proposta di riforma costituzionale di separazione delle carriere, che in realtà consiste nella separazione delle magistrature, sono tendenzialmente due: da un lato, l'intento punitivo del Governo nei confronti della magistratura e, dall'altro, un'ossessione ideologica, stabilita e consolidata nel tempo, da parte della destra italiana nei confronti dell'assetto complessivo del sistema della giustizia.
Sull'intento punitivo non c'è bisogno di investigare molto, basta leggere le parole del Vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, nonché segretario della Lega, il quale ha dichiarato: «Una parte della magistratura fa pesantemente politica di sinistra. […] Se a loro non piacciono le leggi sull'immigrazione, si candidino con Rifondazione Comunista. Ci vuole, per questo, la separazione delle carriere». O ancora: «Se uno degli immigrati lasciati liberi dalle sentenze dei giudici compie un reato, chi ne deve rispondere? I cittadini o chi lo ha lasciato libero?
È arrivato il momento di approvare la separazione delle carriere». Ecco, in queste frasi si coglie facilmente l'intendimento punitivo del Governo: si procede alla separazione delle carriere perché si vuole colpire la magistratura, che, per Costituzione, è autonoma e indipendente, e non è responsabile dell'attuazione politica del programma della maggioranza di turno. Ma, oltre all'intento punitivo, c'è senza dubbio un'ossessione ideologica. È da decenni che la destra italiana propone la separazione delle carriere.
Eppure, nel frattempo, molto è cambiato, tutto è cambiato: il mondo, l'Europa, il Paese. Basta vedere gli sconvolgimenti globali degli ultimi anni, degli ultimi mesi, delle ultime settimane e degli ultimi giorni. Ma no, per la destra italiana niente è cambiato, ciò che si diceva 40 anni fa o 30 anni fa deve essere attuale ancora oggi, anche se sono cambiati i divieti e i limiti sul passaggio di funzione da pubblico ministero a giudice, che 30 anni fa non esistevano, mentre oggi sono molto rigorosi. È cambiata, forse, anche la cultura di interpretazione del modello accusatorio, contrapposto al modello inquisitorio, non prevedendo necessariamente la trasformazione del pubblico ministero da organo di giustizia ad accusatore seriale.
Sono cambiate anche le norme nel nostro Paese: quelle costituzionali, con l'introduzione del giusto processo, e quelle costituzionalmente orientate. Così come è cambiata e si è arricchita la riflessione in Europa, anche in quei Paesi nei quali vige la separazione delle carriere, alcuni dei quali hanno introdotto iniziative legislative guardando con interesse anche al modello italiano. Ma niente di tutto questo è stato tenuto in considerazione.
Si opera in modo radicale sull'ordinamento giudiziario così come è stato scritto sapientemente dai Costituenti e, contestualmente, viene effettuata un'operazione di rimozione di tutto ciò che è successo politicamente e legislativamente in Italia e in Europa negli ultimi 30 anni. E tutto questo in presenza di una manovra di bilancio che sulla giustizia, dal 2025 al 2027, taglierà 500 milioni di euro; in un Paese nel quale le prime udienze del giudice di pace vengono fissate al 2030; in un Paese nel quale il processo telematico è in . Ci sono enormi questioni sul tema della giustizia che meriterebbero di essere affrontate con grande serietà, con grande determinazione.
Ma no, il Governo preferisce la bandiera ideologica, la battaglia ideologica, lo scalpo ideologico della separazione delle carriere. Il disegno di legge governativo è costituito, per quanto riguardi un'operazione costituzionale di radicale trasformazione, da una relazione di accompagnamento che è di una mezza paginetta; una mezza paginetta per giustificare un'operazione costituzionale che cambia radicalmente il quadro costruito dai Costituenti e, peraltro, una mezza paginetta improntata all'autodifesa. Più volte, in queste poche righe, il Governo dice di non volere attentare all'autonomia e all'indipendenza della magistratura.
Verrebbe da dire, come dicevano i latini: . Oltre a quello, qualche richiamo al principio contenuto nell'articolo 111 della Costituzione, del giusto processo, e al modello accusatorio, quasi che queste due questioni imponessero necessariamente la separazione delle carriere nel nostro Paese. Non è così e lo diremo tra poco. Cosa è previsto lo hanno detto i relatori: la separazione delle carriere requirenti e giudicanti, ossia, di fatto, la separazione delle magistrature; lo sdoppiamento dei Consigli superiori della magistratura; il sorteggio per la nomina dei membri togati dei CSM, con un colpo oggettivo, evidentissimo, all'autorevolezza della rappresentanza, con un'eccezione alla regola generale per cui le rappresentanze, nel nostro Paese, che è un Paese democratico, si scelgono mediante elezione.
Peraltro sul CSM, laddove, alcuni decenni fa, la Corte costituzionale ebbe a dire che era incostituzionale persino il sorteggio per i membri che si occupavano della sezione disciplinare che componevano il Consiglio superiore della magistratura; erano eletti e per quella sezione sorteggiati, ma persino quel sorteggio, limitato a quella condizione, fu dichiarato incostituzionale. Poi è prevista l'Alta Corte, che sarà competente per i procedimenti disciplinari, che vengono sottratti al Consiglio superiore della magistratura.
In questi mesi ci sono stati gli attacchi politici del Governo in un contesto del tutto evidente di ostilità verso la magistratura: gli attacchi della Lega per il processo per sequestro di persona che riguarda il segretario della Lega Salvini; gli attacchi contro i magistrati che, sul caso Albania, non hanno fatto altro che applicare un principio consolidato da decenni nel nostro ordinamento, cioè la disapplicazione, da parte del giudice, della norma nazionale incompatibile e contraria al diritto dell'Unione europea; la norma di cui si discute in questi giorni alla Camera, già approvata al Senato, che taglia come una mannaia le intercettazioni dopo 45 giorni anche per reati gravissimi, come il sequestro di persona o l'omicidio. Insomma, un contesto generale nel quale non manca, non è mancata la posizione del Governo di forte ostilità verso la magistratura.
In questo contesto si inserisce questo provvedimento, rispetto al quale la maggioranza ha utilizzato anche altre argomentazioni. Dicevamo prima che, secondo alcuni esponenti della destra, la separazione delle carriere sarebbe imposta dall'articolo 111, dal principio del giusto processo. Tuttavia, l'articolo 111 è una norma sulla giurisdizione, sul processo per l'appunto, non sull'ordinamento giudiziario. Insieme all'articolo 24 della Costituzione, è norma sul diritto inviolabile di difesa, è norma fondamentale del processo, ma non dell'assetto dell'ordine giudiziario.
A presidio dell'imparzialità del giudice, ci sono gli istituti dell'incompatibilità, dell'astensione, della ricusazione, della rimessione del processo e, a presidio della terzietà, c'è il principio dispositivo, che affida l'iniziativa del processo e la formazione delle prove alle parti, al punto tale che nessuno ha mai messo in questi decenni in discussione la costituzionalità delle norme processuali che regolano l'attività del PM. Non vi è, dunque, incompatibilità tra l'unicità della giurisdizione e delle carriere e l'articolo 111 della Costituzione, l'articolo sul giusto processo.
Ancora, si è detto, lo dicevamo prima, che a imporre la separazione delle carriere sarebbe il modello del rito accusatorio, a cui ha fatto ricorso il nostro Paese con la riforma del processo penale del 1988. È quel modello per cui la verità si ottiene nel confronto dialettico, perché la prova si forma nel confronto tra le parti dinanzi al giudice, e non più per iniziativa del giudice istruttore, come avviene nel rito inquisitorio. La verità è il prodotto del dibattito, non necessariamente lo specchio della realtà, della verità. Le parti si scontrano alla pari e la sentenza diviene il risultato dello scontro forense tra difesa e accusa.
Questo è il modello astratto accusatorio, ma accanto al modello astratto, poi, esistono gli ordinamenti concreti. Non esiste un modello unico per il rito accusatorio nei Paesi europei, anzi, è estremamente diverso da Paese a Paese, ed è difficile, dunque, negare che anche nel nostro Paese il rito accusatorio si è caratterizzato con elementi che, pur valorizzando la parità delle parti nella formazione della prova, sulla cui base poi decide il giudice, non ha rinunciato - e per fortuna - sino ad oggi a vedere nel pubblico ministero un organo di giustizia.
Questo è il punto decisivo: il pubblico ministero è, sì, una parte formale, ma per questa riforma diviene parte sostanziale, destinata a perseguire sempre l'interesse ad accusare e a condannare, perdendo, dunque, la natura di organo di giustizia e divenendo parte paritaria dello scontro forense. Oggi invece - ripeto, giustamente - il pubblico ministero deve, in base al nostro codice processuale, svolgere anche attività a favore della persona sottoposta alle indagini (articolo 358 del codice di procedura penale). Nella richiesta di misure cautelari deve presentare anche gli elementi a difesa, come deduzioni e memorie già depositate (articolo 291 del codice di procedura penale).
Insomma, l'esercizio dell'azione penale consegue ed è l'esito di un accertamento imparziale e neutrale rispetto all'ipotesi accusatoria. Questo deve essere, e, laddove questo non avvenga, siamo dinnanzi alla patologia del sistema. Sarebbe assai sorprendente che chi denuncia la patologia del sistema voglia, di fatto, istituzionalizzarla in Costituzione. Poi si dice che, dentro l'unico ordine giudiziario, il pubblico ministero esercita un'influenza enorme sul giudice, che è debole e indulgente verso il pubblico ministero e che cede alle posizioni del pubblico ministero.
Eppure noi abbiamo visto, anche dall'esame che si è svolto in Commissione giustizia, seppur talvolta frettoloso per volontà della maggioranza, che nelle aule giudiziarie le assoluzioni superano le condanne, cioè i giudici si discostano dal posizionamento del pubblico ministero e assolvono più di quanto non condannino. Questo dovrebbe essere un elemento, nella pratica quotidiana, che ci induce ad avere maggiore cautela, che dovrebbe indurre a maggiore cautela il Governo e la maggioranza quando dicono che il giudice è supino nei confronti del pubblico ministero.
Poi, se per il solo fatto di appartenere al medesimo ordine giudiziario non vi è più imparzialità, dovremmo separare anche gli ordini dei giudici di primo grado dai giudici di secondo grado, laddove il giudice di secondo grado esamina esclusivamente la sentenza del collega di primo grado. Ma, anche qui, assistiamo a molti casi di riforma delle sentenze di primo grado. L'altro elemento che non si è voluto considerare è che, di fatto, oggi esiste già la separazione delle carriere. Con le riforme della precedente legislatura, con l'intervento dell'allora Ministra Cartabia è possibile un solo passaggio in tutta la carriera, da effettuarsi nei primi 9 anni della carriera.
Infatti, i numeri ci dimostrano che meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passano alla funzione di giudice e meno dell'1 per cento dei giudici passano alla funzione di pubblico ministero. Dunque, i fatti, ciò che succede quotidianamente nelle aule giudiziarie smentisce la ricostruzione della maggioranza. Abbiamo sentito autorevoli esponenti della magistratura, dell'avvocatura, dell'accademia, anche in Commissione, o abbiamo letto interventi sulla stampa.
Penso a quello del professore avvocato Franco Coppi, laddove dice: “La separazione delle carriere… sarebbe un'enorme spendita di quattrini, di mezzi, (…). E a che servirebbe? Io non ho mai pensato di avere vinto o perso una causa perché il PM faceva parte della stessa famiglia del giudice. Se poi fosse vero che il giudice considera oggi il PM un fratello, quel giudice domani lo considererebbe un cugino, perché comunque continuerebbe a pensare che la visione del PM è imparziale e quella dell'avvocato, pagato dal cliente, no”.
In effetti, se davvero fosse questo il tema, come si può pensare di risolverlo? Solo indebolendo l'organizzazione della magistratura giudicante, come si farebbe con questa riforma, se fosse approvata, al cospetto della magistratura requirente. Altro tema di cui si è discusso è lo strapotere del pubblico ministero. Ora, questo tema meriterebbe un'analisi seria, anche comparatistica, che è stata un po' sfuggente nei lavori di Commissione. Questo perché c'è chi ci ha mostrato, penso all'intervento del professor Gialuz, che il tema riguarda moltissimi Paesi europei, tutti i Paesi europei, tutti i Paesi democratici, anche gli Stati Uniti d'America, che hanno un modello radicalmente diverso dal nostro.
In uno studio recente, si è riconosciuto che oggi il perno del sistema di giustizia penale è sempre più rappresentato dal pubblico ministero in gran parte del mondo. Dunque, la separazione delle carriere, all'interno di una sfida provinciale che il Governo e la destra muovono, è del tutto inadeguata a comprendere e spiegare un fenomeno che merita di essere analizzato in modo serio e non con le bandiere ideologiche.
Comunque, la maggioranza, la destra e il Governo hanno detto: non preoccupatevi, in molti Paesi europei il pubblico ministero è separato dai giudici. Beh, questo è vero. Si sono meno soffermati sul fatto che i Paesi che nel passato hanno subito le dittature sono stati più cauti nell'affermare una rigorosa separazione e, soprattutto, sono stati più cauti nel portare il pubblico ministero sotto il Governo e l'Esecutivo. Ma si è detto, penso, ad esempio, a Spataro, sempre in Commissione: ovunque il PM è separato dal giudice, esso è sottoposto all'Esecutivo, e, laddove questo avviene, c'è però un giudice istruttore, che da noi è stato soppresso da tempo, perché la conduzione delle indagini e la formazione della prova devono essere improntate all'indipendenza rispetto all'Esecutivo.
Laddove si è citato, qualcuno lo ha fatto, il caso portoghese, che sarebbe l'unico caso di un Paese europeo in cui vi è la separazione delle carriere e il PM non è sottoposto all'Esecutivo, mi permetto di ricordare il caso incredibile, avvenuto non più di un anno fa, un anno e mezzo fa, nel quale il Capo del Governo Costa si è dovuto dimettere per un errore di trascrizione sull'intercettazione, laddove il Costa a cui si faceva riferimento nelle intercettazioni non era il Primo Ministro.
Come si vede, i problemi che riguardano il rapporto tra magistratura e politica, il tema delle garanzie del giusto processo è un tema che riguarda tutte le democrazie e meriterebbe di essere affrontato con serietà, non con questo furore ideologico che anima la destra, mentre il comparto della giustizia va al collasso. Vi è di più, vi sono rischi che derivano da questa scelta, e sono stati esposti, affrontati, discussi pubblicamente. Penso all'intervento di Gaetano Silvestri di alcuni anni fa, laddove diceva: “spero vivamente di non dover ricordare, tra qualche anno, agli entusiasti sostenitori della separazione delle carriere che hanno volutamente rinunciato ad una parte delle loro garanzie, favorendo la formazione di una categoria di accusatori di professione sempre più avulsi dalla giurisdizione in senso stretto e sempre più animati dall'ansia di risultato”.
Ma sempre Gialuz, recentemente, in Commissione ci ha ricordato di fare molta attenzione alla creazione di una magistratura requirente, protetta e garantita dal suo nuovo CSM, perché questa magistratura acquisirà un nuovo ruolo, un nuovo peso, maggiore di adesso, e, prima o poi, sarà necessario intervenire di nuovo, magari per ricondurre la corporazione dei PM al potere esecutivo e ad esso sottoposta.
Oppure, abbiamo ascoltato le riflessioni di chi ci ha detto - penso a Scoditti - che la separazione delle carriere, giudicante e requirente, ha, nel contesto dell'ordinamento italiano, un effetto controintuitivo rispetto ai principi del costituzionalismo liberale, perché è in grado di creare l'effetto indesiderato di una concentrazione di potere con tendenze centrifughe rispetto all'integrazione di un sistema di potere plurale. Si pensa di disegnare un'istituzione coerente con la democrazia liberale ma, in realtà, si sta creando una struttura destinata a entrare in contraddizione con il principio liberale del potere limitato. La democrazia liberale - continua Scoditti - è a rischio quando si costruisce un'istituzione che non è governata dal principio di agire come organo di giustizia, ma dal principio funzionale della vittoria ad ogni costo nello scontro forense. Con la separazione delle carriere si dà dunque vita a una macchina istituzionale di pubblici ministeri la cui funzione è quella di ottenere la vittoria nella competizione forense. E chiude, Scoditti, con un appello ai liberali di casa nostra, affermando che un'autentica cultura liberale non insegue le sirene delle risposte semplici ed elementari, concependo ingenuamente a tavolino astratti disegni senza considerare la complessità dei processi storici ed istituzionali, senza un approccio realistico della natura umana, senza prudenza e lungimiranza, soprattutto quando in gioco è il contenimento della potenza.
Di questi interventi ne abbiamo ascoltati molti. Tutti interventi nei quali ci è stato segnalato che, in un Paese con tradizioni autoritarie come il nostro e anche con una cultura massmediatica del processo che valorizza il ruolo dell'accusa, la magistratura requirente con questa riforma avrà una crescita inevitabilmente autoreferenziale, una torsione verso il puro organo dell'accusa teso a incastrare l'imputato, soggetta ai richiami dell'allarme sociale e alle pressioni dell'opinione pubblica.
Oggi non è così e se succede oggi è - lo ripeto - una patologia, non la regola, che è stata sapientemente pensata per fare del pubblico ministero un organo di giustizia e quello, a nostro giudizio, deve rimanere. Peraltro, l'idea per la quale il migliore assetto della giustizia si ottiene nello scontro tra categorie è, a nostro giudizio, un grave errore: lo scontro tra la politica e la magistratura; lo scontro tra le parti del processo.
Piero Calamandrei nel lontano 1952, durante una conferenza a Città del Messico, sposando l'idea di un modello ordinamentale unico nella sua diversità e ribadendo l'importanza della leale collaborazione e della fiducia tra le parti della giurisdizione, nonché richiamando ad esempio la diversa esperienza giuridica inglese, ci ricordava che: “L'avvocato si fida dei giudici perché ieri furono avvocati come lui e il magistrato si fida dell'avvocato perché sa che domani salirà anche lui, dalla sbarra del difensore, al banco del giudice”. “Nel processo giudice e avvocati sono come specchi: ciascuno, guardando in faccia l'interlocutore, riconosce e saluta, rispecchiata in lui, la propria dignità”.
È diversissimo ovviamente quel modello, ma occorre comunque perseguire il principio per il quale dovremmo sforzarci di alimentare l'ibridazione dei sistemi, la contaminazione dei saperi e la contaminazione delle eccellenze. Questo è lo sforzo che dovremmo fare; voi, invece, state facendo l'esatto opposto: state andando ancora una volta a dividere gli attori della giurisdizione e lo fate per motivi ideologici e perché pensate, in questo modo, di punire la magistratura.
Qualcuno di voi forse non pensa che gli effetti saranno peggiori e, per l'eterogenesi dei fini, quell'organo oggi di giustizia, che domani diventa accusatore di professione, non aiuterà a garantire la qualità della giurisdizione. Ma altri hanno detto che un modello come quello che voi andate creando e che mette il pubblico ministero nelle condizioni di non essere più organo di giustizia ma accusatore seriale determinerà, in una traiettoria che oggi iniziate, la necessità di un nuovo intervento, ossia la sottoposizione al potere Esecutivo del pubblico ministero.
Il Ministro Nordio ha detto in questi giorni che la riforma andrà avanti e che poi ci sarà un referendum che confida di vincere perché - a suo dire - i sondaggi dicono che la magistratura italiana gode del consenso del 30 per cento degli italiani e il dissenso del 70 per cento. Casualmente, mentre lo diceva, è uscito un sondaggio relativo al gradimento dei Ministri e, per l'appunto, il gradimento del Ministro Nordio è del 30 per cento.
Utilizzando lo schema mentale di Nordio potremmo dire che il dissenso nei suoi confronti è del 70 per cento e, dunque, nessuno lo seguirà. Ma è un'argomentazione modesta e superficiale che non merita di essere nemmeno raccolta. Il tema non è chiedere agli italiani se sono o non sono contenti del lavoro della magistratura, la questione è stabilire se vogliamo costruire un Paese nel quale l'equilibrio tra i poteri, costruito sapientemente nel tempo con il lavoro dei costituenti, merita di essere stravolto per motivi ideologici e per intenti punitivi o se invece non sarebbe più corretto, più giusto, più nell'interesse del nostro Paese, fermarsi, mettersi intorno a un tavolo e valorizzare le migliori energie per costruire un buon modello di giustizia giusta nell'interesse dei cittadini e delle imprese italiane.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Enrico Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA(FI-PPE). Grazie, Presidente. Vorrei cercare di svolgere un ragionamento ampio per argomentare il nostro sostegno a questa riforma: un sostegno che è anche un impulso determinante alla discussione. Perciò, vorrei radicare il mio ragionamento sulla dinamica del procedimento penale. Noi abbiamo un procedimento penale che ha la sua conclusione con la sentenza e il suo inizio con le indagini. Nello spirito del codice il momento culminante è quindi la sentenza: il culmine formale di una serie di atti preparatori; le indagini, invece, sono atti preparatori nella misura in cui sono svolte sotto il controllo del giudice, sotto il controllo giurisdizionale.
Ma se quegli atti preparatori, quel materiale di indagine assurge a una funzione diversa, cioè alla funzione di sentenza anticipata, di sentenza sociale, noi vediamo una torsione, un capovolgimento del procedimento: non soltanto un capovolgimento di fasi del procedimento, in cui la sentenza vera viene pronunciata durante una fase preparatoria, genetica, iniziale del procedimento, ma un ribaltamento anche di ruoli, perché a pronunciare quella sentenza - che si imprime peraltro nell'opinione pubblica - non è un giudice ma è l'accusa, il pubblico ministero. L'accusa scambiata come sentenza.
Allora, leggendo il codice, vedo nella fase delle indagini un ruolo fondamentale: quello del giudice delle indagini preliminari e del giudice dell'udienza preliminare. Ora mi chiedo e vi chiedo: il ruolo del giudice, in questa fase, nei procedimenti, nei processi, durante le indagini, è un ruolo attivo? È un ruolo dinamico? È un ruolo di filtro? Ecco, non vorrei offendere nessuno ma vedo nel nostro procedimento penale, di fronte alla prepotenza, non solo giuridica ma anche mediatica dell'accusa, una paralisi del giudice. Io la chiamo “la tanatosi del GIP e del GUP”. L'immobilità tonica. Sapete qual è l'immobilità tonica? È quella di quegli animali che si fingono morti come strumento di difesa. Per difendersi dalla prepotenza giuridica e mediatica e per non ostacolare, perché capiscono di essere più deboli nella dinamica del processo, si fingono morti. Un comportamento difensivo, un'ultima possibilità di difesa. Noi vediamo che le proroghe delle indagini preliminari chieste al GIP vengono rilasciate praticamente al 100 per cento; che le richieste di autorizzazioni alle intercettazioni da parte del GIP vengono praticamente concesse al 100 per cento.
Noi vediamo che le ordinanze di custodia cautelare richieste al GIP vengono emesse con una grandissima, amplissima percentuale. Tutto questo determina uno stravolgimento del percorso. Ma perché il giudice è più debole? Perché il giudice è debole e paralizzato di fronte al pubblico ministero? Perché, quando leggiamo le notizie sui processi, molto spesso leggiamo che il pubblico ministero Tizio ha arrestato o che il pubblico ministero Caio ha sequestrato? Noi sappiamo che il PM può solo richiedere di arrestare o sequestrare e che è compito del giudice decidere se quelle richieste siano fondate e disporre di conseguenza. Ma è un'ignoranza di chi scrive o è una presa d'atto di quello che accade, cioè del ruolo del tutto marginale del giudice? Spesso quando si parla di copia-incolla, riferito alle ordinanze di custodia cautelare, delle richieste del pubblico ministero da parte del giudice, il copia-incolla, al di là del profilo formale, è un approccio di adesione, un approccio di non disturbo dell'accusa. Non voglio neanche parlare di pubblico ministero; io parlo dell'accusa che, nel corso degli anni, si consolida e si trasforma in sentenza.
Quando parliamo di questa prepotenza giuridica, dello strapotere e della forza schiacciante del pubblico ministero, ci si potrebbe chiedere perché avvenga questo. Avviene perché, oggi, c'è il giudiziario. Voi direte applicato alla giustizia, è un obbrobrio, un termine agghiacciante, ma, invece, è proprio così: c'è un'applicazione di tecniche commerciali alla fase delle indagini preliminari, per valorizzare l'inchiesta e le accuse; è un percorso, uno schema assolutamente consolidato. È una promozione dell'indagine all'esterno. È un , un legame con l'opinione pubblica.
Perché si crea il legame con l'opinione pubblica? Perché si cerca il consenso sull'indagine da parte dell'opinione pubblica, per mettere il giudice in un angolo, per rafforzare l'inchiesta, per valorizzare le alte sfere della Forze di Polizia e per rendere protagonisti quei pubblici ministeri che poi, nel momento in cui il legislatore prova a fare riforme garantiste, rispondono a interviste sui giornali, facendo passare coloro che vogliono portare alcune garanzie nel processo come collusi, come complici e come persone che vogliono favorire la criminalità. Questa è la stessa cosa che avviene tra pubblico ministero e giudice, tra accusa e giudice: quelle rarissime eccezioni in cui il giudice respinge o rigetta la richiesta del pubblico ministero vengono lette come una denegata giustizia, come un ostacolo alle indagini e come freno alla lotta alla criminalità e questo è uno stravolgimento del procedimento penale.
Quando parlo di della giustizia e di giudiziario da parte delle procure penso al modo con cui le inchieste sono comunicate all'esterno, mediaticamente, ossia con il nome. Mi dovete spiegare in quale articolo del codice è scritto che un'inchiesta debba avere un nome, un titolo, perché il nome dell'inchiesta è sempre teso a entrare nel titolo del giornale e non c'è mai un titolo in cui venga insinuato un dubbio, ma anzi, con graniticità, viene trasferita la forza dell'inchiesta. Quando c'è la conferenza stampa, c'è il : col logo delle Forze di Polizia, vedete le macchine che sgommano, le immagini delle perquisizioni, degli arresti e dei sequestri.
Ma dov'è scritto che le Forze di Polizia debbano montare da trasferire ai magistrati per rafforzare le loro indagini e le loro inchieste? Quando ci sono le ordinanze di custodia cautelare si butta dentro tutto, perché sappiamo che le intercettazioni durante le indagini non possono essere divulgate, però grazie, collega Gianassi, al suo collega Orlando, oggi, le intercettazioni, inserite dentro l'ordinanza di custodia cautelare, possono essere pubblicate alla lettera (speriamo ancora per poco); questa è una tecnica di coloritura dell'inchiesta attraverso la pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare, molto spesso fatta dal giudice con lo spirito che evidenziavo prima.
Tutto questo meccanismo di comunicazione vede un'assente: la difesa. Allora, non mi si parli di giusto processo scritto in Costituzione, quando, nella pratica, avviene che l'accusa schiaccia il giudice in assenza della difesa; questo è il meccanismo che accade. A me non interessa se il giudice e il pubblico ministero prendano il caffè insieme, a me interessa affrontare il tema della dinamica del procedimento. È molto grave il ruolo passivo dei giudici dell'udienza preliminare, una stazione in cui il treno non si ferma mai.
Allora, vi voglio leggere alcune frasi del presidente del tribunale di Torino di qualche anno fa, il presidente Terzi: facendo questo mestiere da un po' di anni ho sempre avuto la percezione che questo sistema non rispetti i diritti delle persone. Siccome sono anche un patito di numeri, mi sono procurato le statistiche e ne sono rimasto scandalizzato: ogni anno finiscono sotto processo 150.000 persone che poi verranno assolte.
Quindi, i casi davvero controversi, ossia quelli in cui la valutazione è soggettiva, sono così pochi da essere statisticamente insignificanti: il 50 per cento di assolti vuol dire semplicemente che le indagini sono state fatte male e che la procura ha portato in aula processi che non stanno in piedi. Allora, il giudice dell'udienza preliminare non fa alcun filtro: noi abbiamo il 50 per cento dei processi che finiscono in primo grado con un'assoluzione e forse ci dimentichiamo che, dietro questi numeri, ci sono persone in carne e ossa, persone per le quali il processo stesso è una pena.
Lo Stato dovrebbe garantire agli inquirenti le risorse, i mezzi e le strutture per svolgere le indagini, ma dovrebbe anche garantire che, se una persona viene chiamata a rispondere in un processo penale, quando esce da innocente ed assolta, sia la stessa persona che è entrata; invece, quel 50 per cento di assolti, uniti al giudiziario e all'assenza di filtro, è composto di persone che hanno la vita cambiata, che hanno una cicatrice che non si rimargina nel tempo.
Voglio fare una domanda al collega Gianassi, che è intervenuto prima: sarebbe, questo, il giusto processo? È un processo equilibrato, questo? O è un processo in cui c'è una parte preponderante e schiacciante su tutto, sul giudice? Ecco, in mezzo a questa esibizione muscolare, c'è la persona. Con qualche provvedimento, ho cercato di fare in modo che, se una persona esce dal procedimento o dal processo, sia la stessa persona, piccole cose: le spese legali agli assolti (se uno è assolto, perché lo Stato lo deve costringere a pagarsi le spese legali, quando l'ha chiamato in giudizio?); l'oblio per gli assolti, infatti, quando una persona, che è stata assolta o il cui procedimento è stato archiviato, va a cercare lavoro, la prima cosa che fa chi tiene il colloquio è andare in rete a cercare il nome e il cognome: perché deve apparire la notizia dell'indagine a suo carico, quell'indagine dalla quale lui è stato prosciolto o assolto?
È diventato legge anche questo. Ma è una battaglia continua. È una battaglia continua, devo dire anche per grandi responsabilità della politica perché la politica usa la giustizia come scorciatoia molto spesso. E la usa perché è una soluzione comoda infilare un reato, aumentare una pena, avere il titolo del giornale e dare l'idea al cittadino di essere stati rigorosi.
Ma la politica ha anche un'altra grande responsabilità: quella di usare la giustizia contro l'avversario di turno, quel giudiziario di alimentarlo, quando in mezzo ci è finito l'avversario di turno. E allora, forse, un passo indietro su queste tentazioni della politica ci vorrebbe. E dovremmo anche finirla di farci condizionare dall'esterno, farci condizionare dalla magistratura durante l'iter di approvazione delle leggi.
Ma cosa direbbe l'Associazione nazionale magistrati se il Sottosegretario alla Giustizia, il Vice Ministro della Giustizia, il Presidente della Commissione giustizia, il Presidente della Commissione affari costituzionali o un semplice deputato, mentre i giudici sono riuniti in camera di consiglio, dicessero: dovete fare così o dovete fare cosà, perché se fate così o fate cosà? Favorite la criminalità …? No, stia tranquillo, Presidente: tranquillo, può parlare, facciamo il dibattito io e Gianassi. Se lei ritiene, lo facciamo…
ENRICO COSTA…. e lo faccio volentieri, anche perché Gianassi ha cambiato idea: una volta erano per la separazione delle carriere, oggi hanno cambiato posizione, domani magari torneranno di nuovo sulla stessa posizione.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, ci saranno momenti diversi per il dibattito. Onorevole Gianassi, la prego . Onorevole Gianassi, la prego!
ENRICO COSTA(FI-PPE). Avete avuto delle mozioni congressuali, alle quali avete aderito, favorevoli alla separazione delle carriere.
PRESIDENTE. Onorevole Costa, si rivolga al Presidente, la prego.
ENRICO COSTA(FI-PPE). Io mi rivolgo al Presidente, ma Gianassi si rivolge a me. Se questa è la tecnica…
PRESIDENTE. Gliel'ho chiesto anch'io all'onorevole Gianassi. Prego.
ENRICO COSTA(FI-PPE). Ecco, grazie. Allora, ho parlato delle scorciatoie della politica e della magistratura che non dovrebbe intervenire nei procedimenti di approvazione delle norme perché, ripeto, cosa direbbe l'ANM se qualcuno di noi, prima di una sentenza, cercasse di interferire? Invece, noi vediamo alti magistrati, con “titoloni”, che intervengono sui procedimenti legislativi in corso, del tipo: “se passa questa legge, è un favore alla mafia, è un favore alla criminalità”. No, sono norme di garanzia. Sono norme perché un giorno quella persona chiamata a processo e sbandierata all'esterno come colpevole, solo nella fase delle indagini, potrebbe essere assolta e questa è anche una responsabilità e un compito dello Stato.
Poi, quando parliamo dell'Alta Corte, quando parliamo del Consiglio superiore della magistratura, quando parliamo delle correnti, penso ci sia una riforma fondamentale da porre in essere. E la riforma è quella di una seria valutazione dell'attività dei magistrati. Oggi noi abbiamo valutazioni dei magistrati positive al 99,6 per cento. Significa che è una valutazione burocratica: sono tutti bravi o bravissimi. Ma se sono tutti bravi o bravissimi, chi è che decide chi è il migliore che può ambire a un ruolo direttivo? Lo decidono le correnti. Se noi invece stabilissimo un criterio diverso di valutazione delle e anche degli esiti dell'attività… Perché mi dovete spiegare se un pubblico ministero continua a chiedere arresti, e ad ottenerli, di persone che poi vengono assolte e ottengono la riparazione per ingiusta detenzione, quindi un risarcimento dallo Stato, vogliamo mettere un asterisco sulla carriera di quel pubblico ministero? O nel caso di un giudice che si vede ribaltare tutte le sue sentenze, lo vogliamo mettere un asterisco? A quel punto, le correnti per promuovere quella persona dovrebbero fare delle forzature visibili agli occhi di tutti. Questo è il vero meccanismo per indebolire la presenza delle correnti. Ecco allora che il Consiglio superiore della magistratura avrebbe gli strumenti per intervenire in modo efficace.
La responsabilità dei magistrati oggi è completamente azzerata. È azzerata sotto il profilo disciplinare. Noi abbiamo il procuratore generale della Cassazione che riceve circa 1.800 segnalazioni l'anno. Di queste 1.800 segnalazioni l'anno ne archivia il 95 per cento. Addirittura il 72 per cento le archivia con un atto di segreteria, cioè passano direttamente dalla scrivania al cestino. Di quegli atti alcuni vanno al Consiglio superiore della magistratura che, tre volte su quattro, determina l'assoluzione.
Oggi, quindi, noi abbiamo una responsabilità che è assolutamente minimale. Faccio soltanto l'esempio sul tema delle ingiuste detenzioni. Dal 2018 al 2023 noi abbiamo avuto 4.368 persone che sono state risarcite per ingiusta detenzione: 4.368 persone arrestate e risarcite dallo Stato. Insomma, ci siamo sbagliati; 193 milioni di euro di spesa in cinque anni. Sapete quante sono le sanzioni disciplinari in questi anni? Nove; 4.368 errori, nove sanzioni disciplinari.
Passiamo al tema della responsabilità civile dei magistrati. Dal 2010 ad oggi sapete quante condanne ci sono state per responsabilità civile dei magistrati? Dodici; ripeto, dodici condanne. Lo Stato, nel 2015, quando si è fatta la riforma - l'ANM era sulle barricate, vi era la paura della firma del magistrato, con frasi del tipo: “non fate questo”, “ci intimidite” - aveva messo a bilancio per responsabilità civile dello Stato una cifra, prevedendo almeno dieci condanne l'anno, dal 2015. Noi ne abbiamo avute dodici dal 2010; quindi, immaginate.
È chiaro che è uno slalom; è uno slalom perché se tu non puoi intervenire sulla valutazione del fatto e della prova, se è insindacabile la valutazione del fatto e della prova, ditemi che cosa è sindacabile? Il lavoro del magistrato è la valutazione del fatto e della prova. Se prende un abbaglio sulla valutazione del fatto e della prova, una persona che viene danneggiata potrà avviare una causa per responsabilità civile? No, non lo puoi fare. È evidente che questi sono i meccanismi.
Se c'è un'ingiusta detenzione, lo Stato paga dei soldi perché il magistrato ha sbagliato, ma lo Stato è chiamato a rispondere, a pagare 100.000 euro, 200.000 euro, 300.000 euro alla persona, a seconda, fino a 516.000 euro massimo. Secondo voi, se capitasse a un sindaco, la Corte dei conti accenderebbe dei riflettori grossi come una casa e comincerebbe a dire: “c'è la colpa grave, qualcuno ha sbagliato? Lo Stato qua ha dovuto sborsare”. Sul magistrato, no. Perché no? Perché quel fascicolo del risarcimento non arriverà mai alla Corte dei conti, si blocca. Se tu provi a dire: mandiamolo alla Corte dei conti, mandiamolo al titolare dell'azione disciplinare, eh, no: si lede l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Ma autonomia e indipendenza non significa immunità, non significa assenza, carenza totale di responsabilità.
Perché faccio questo ragionamento? Perché l'Alta Corte prevista in questo provvedimento è un segnale importantissimo. Non so se rimedierà a tutti i mali, però è un elemento importantissimo. Perché oggi tutto avviene per i meccanismi normativi e per le correnti.
Poi, fatemi fare un accenno. Non lamentiamoci troppo dell'invadenza dei magistrati sui processi legislativi o sul tentativo di influenzare e di condizionarli perché nella pancia del Ministero della Giustizia ci sono 100 magistrati. E quando l'onorevole Costa presenta un emendamento, quell'emendamento viene guardato al microscopio dai magistrati dell'ufficio legislativo, i quali fanno una bella relazioncina e dicono: eh no, questo emendamento non può passare perché violerebbe l'autonomia e l'indipendenza. Tanto per fare un esempio, quello che prevede di trasmettere alla Corte dei conti le ordinanze di ingiusta detenzione, in cui lo Stato paga.
Ma ci credo che dicono di no, perché un giorno potranno essere loro quelli chiamati a rispondere davanti alla Corte dei conti. Allora, il tema dei magistrati fuori ruolo nella pancia dell'Esecutivo è un tema non soltanto personale, di Tizio o Caio, è un problema strutturale di separazione dei poteri. Penso che questi siano elementi importanti, che ci portano a stimolare il Parlamento ad approvare rapidamente questo percorso, che vedrà ovviamente un confronto con i cittadini attraverso una consultazione, però riteniamo di avere dei buoni argomenti.
Non è semplice spiegarli, non è semplice affrontarli in modo compiuto, ma penso che questo quadro, giorno per giorno, verrà percepito dai cittadini. Oggi, purtroppo, il tema della giustizia interessa a coloro che se ne occupano per lavoro e a coloro che, loro malgrado, sono finiti nell'ingranaggio giudiziario, però la giustizia è la garanzia che il più forte non calpesti il più debole. I cittadini dovrebbero percepire questo, dovrebbero percepire che rappresenta una colonna essenziale del nostro sistema democratico, e quello che siamo chiamati ad affrontare oggi è un passaggio essenziale, non soltanto della legislatura, ma del nostro assetto costituzionale .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dori. Ne ha facoltà.
DEVIS DORI(AVS). Grazie, Presidente. Inizia oggi, in Aula, la trattazione di questo disegno di legge costituzionale, finalizzato a modificare l'attuale impianto negli articoli 87, 102, 104, 105, 106, 107 e 110 della Costituzione. Una riforma costituzionale che, oltretutto, modifica ben 7 articoli della Costituzione, per sua natura necessiterebbe della più ampia condivisione politica; invece il Governo e la maggioranza non hanno provato ad avere una condivisione più ampia, almeno con le opposizioni, anche considerati i numerosi emendamenti che sono stati presentati e chiaramente rigettati.
Una condivisione sarebbe servita anche con i destinatari di quella norma, cioè la magistratura, una riforma con i magistrati e non contro i magistrati. Proprio da un ex magistrato, il Ministro Nordio, ci si aspettava ben altro e non una furia punitiva contro i magistrati, magistrati “colpevoli” di applicare la legge, cioè di fare ciò che la Costituzione gli attribuisce. Ed è un vero peccato, perché, come Alleanza Verdi e Sinistra, rispetto alla separazione delle carriere, con il mio ottimo collega Zaratti, non ci siamo mai approcciati in modo ideologico.
Eravamo anche pronti a valutare nel merito una riforma della separazione delle carriere, più nell'ottica della separazione netta delle funzioni. Non c'era una contrarietà preconcetta, ma - quello sì - dei paletti chiari. Avremmo, quindi, preso in considerazione una riforma rispettosa dell'indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato, e in particolare dall'Esecutivo, e dell'unitarietà della magistratura, cioè un PM che non perdesse progressivamente la sua natura giurisdizionale. Il problema è che anche lo strumento normativo, come qualsiasi altro strumento, in base a come lo si utilizza può sortire un effetto differente.
Pensiamo a un coltello, per fare un esempio: può essere utilizzato per tagliare il pane oppure, come un bisturi, può essere vitale per un'operazione chirurgica, ma può essere usato impropriamente anche per ferire un'altra persona; stesso strumento, ma, in base a come lo si usa e con quali intenzioni, da lì ne discendono degli effetti. Se l'articolato che approda qui, in Aula, non fosse stato accompagnato da una serie di dichiarazioni di intenti da parte di vari membri del Governo e della maggioranza, potrebbe ancora restarci qualche dubbio circa lo scopo di questa riforma, ma i continui attacchi alla magistratura, la volontà di delegittimarla, rende esplicita la finalità della norma.
La riforma, sotto la denominazione “separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri”, mira a qualcosa di diverso e anche a molto di più: è il tentativo di ridefinire in termini assai distanti dal modello costituzionale l'intero assetto del potere giudiziario, con ciò rischiando di compromettere in modo irreversibile il principio cardine della separazione dei poteri. È il progetto di riscrivere i complessivi rapporti tra i poteri dello Stato, depotenziando la magistratura e il suo governo autonomo, e limitando le prerogative e le garanzie forti del giudiziario e della giurisdizione volute dai Costituenti.
Del resto, che la separazione delle carriere sia divenuta un'etichetta apposta su una merce molto differente è ormai molto chiaro. Il tema tecnico, giuridico, istituzionale è diventato in realtà eminentemente politico. Anche la riforma Cartabia, che parlava, da un punto di vista dei termini, di separazione, non ha introdotto la separazione delle carriere, ma ha introdotto una separazione delle funzioni, anche se in modo non netto e definitivo, tra magistratura requirente e giudicante.
Nonostante alcune rassicurazioni del Ministro Nordio, che però abbiamo visto spesso cambiare idea su vari temi, la separazione delle carriere, la costituzione dell'Alta Corte, la costituzione dei due CSM può aprire la porta al tema della responsabilità del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo. E quindi, come potrebbe non incidere la direzione da parte del Ministro della Giustizia sull'iniziativa penale del pubblico ministero? Questo, a nostro parere, è solo il primo di un disegno più ampio.
Prima si distanziano fra loro la magistratura giudicante e la magistratura requirente, con questo provvedimento, poi si creerà un solco sempre più profondo fra le due magistrature; poi quella requirente, attraverso il concetto di responsabilità, riesumato dal passato, verrà ricondotta sotto il controllo dell'Esecutivo; a quel punto, con un PM svincolato dalla funzione giurisdizionale, si arriverà alla riforma delle riforme, che è evidentemente già nella testa di questo Governo, il vero obiettivo di cui questa riforma è solo il primo , cioè l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale, l'abrogazione dell'articolo 112 della Costituzione.
Un'abrogazione che la stessa maggioranza non ha avuto il coraggio di mettere in campo ora, perché siamo ancora dietro le dichiarazioni di facciata. Quante volte abbiamo sentito il Ministro Nordio dire che questa riforma è la necessaria evoluzione del sistema processuale penale italiano verso il modello accusatorio. Ma è solo questione di tempo, il Ministro Nordio punta a quello, all'abrogazione dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Almeno un favore, però, mi sento di chiederlo in realtà a tutti, non solo alla maggioranza e al Governo, ma anche a tutti i colleghi e anche al Ministro, qui, in Aula, ossia che nella trattazione di questo disegno di legge si abbia la decenza, però, di tenere fuori Giovanni Falcone dalle argomentazioni a supporto della separazione delle carriere. Ecco, non vengano storpiate alcune sue frasi dette in tempi e contesti ben diversi da quelli attuali, non tiriamolo per la giacchetta pur di giustificare questa riforma.
Piuttosto, di Giovanni Falcone vorrei invece ricordare un passaggio contenuto nell'ordinanza che avviò il maxiprocesso, un passaggio relativo all'omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie e dell'agente di scorta, una pagina che è stata recuperata in modo certosino da Vincenzo Ceruso, pubblicandola nel 2022 in un volume intitolato . Leggo dall'ordinanza: “Un noto scrittore siciliano” - e si riferiva chiaramente a Leonardo Sciascia - “a proposito degli omicidi di pubblici funzionari ha elaborato un'interessante teoria, secondo cui la mafia attacca e uccide quando la vittima, particolarmente distintasi per l'impegno profuso nella repressione del fenomeno mafioso, non appare assistita e circondata dall'appoggio e dal consenso delle istituzioni, per cui appare all'esterno come una monade isolata, impegnata in una sorta di crociata personale”.
Rileggo proprio l'ultima parte, dove si fa riferimento proprio al magistrato quando “non appare assistito e circondato dall'appoggio e dal consenso delle istituzioni”, e quindi “appare all'esterno come una monade isolata”. Ecco perché ritengo particolarmente importante questo passaggio, perché noi, nel nostro ruolo, abbiamo il dovere di fare quadrato attorno a chi serve lo Stato.
Lo state facendo con le Forze di Polizia (ad esempio, nel DDL Sicurezza abbiamo visto varie tutele, anche uno scudo legale); invece, non si comprende perché esporre la magistratura in un ruolo delicato che svolge ogni giorno, anche a rischio della propria incolumità fisica.
Ecco quindi che, in quest'ottica, trovo particolarmente grave quanto avvenuto qualche giorno fa, con le dimissioni della magistrata Iolanda Apostolico, che è stata esposta alla gogna mediatica, anche la sua vita personale, sui e sui , alla faccia del garantismo. Ed è grave che ciò sia stato alimentato proprio dalla politica, compreso qualche membro del Governo, perché, se si sdogana il fatto che appena qualcuno, nello svolgere il suo dovere, dà fastidio al politico di turno e si pensa di poterlo distruggere con la gogna mediatica, non esiste allora più alcuna regola democratica.
Per noi, su queste premesse, cioè sull'intento punitivo della maggioranza di Governo contro la magistratura, non si può nemmeno entrare nel merito, cosa che, tra l'altro, abbiamo provato a fare in Commissione, con vari emendamenti, ovviamente immancabilmente bocciati. È un peccato, perché - ribadisco -, come AVS, saremmo stati anche disponibili a ragionarci. Infatti, su questo tema non abbiamo un approccio ideologico, salvo che l'amore per i principi costituzionali sia considerato ideologia. Allora, a questo punto, non so in che Paese viviamo. Sfatiamo anche un mito attorno a questa riforma in parte - lo ammetto con rammarico - alimentata da una buona parte dell'avvocatura. La separazione delle magistrature contribuirà a realizzare, una volta per tutte, l'effettiva parità di accusa e difesa nel processo? A mio parere no, sono cose ben diverse. Se si vuole - e la vogliamo - l'effettiva parità di accusa e difesa, serve ben altro. La parità accusa-difesa dipende da dinamiche interne al procedimento, dalla disciplina della competenza, dal sistema dell'incompatibilità, dell'effettività del contraddittorio, dalla qualità della motivazione, dall'effettività dei controlli in sede di impugnazione: tutti aspetti che qui non vengono toccati. Inoltre, mi permetto di sottoporvi un quesito: ma siete davvero sicuri che la creazione di una magistratura requirente con un suo CSM non finirà davvero per rafforzare sensibilmente il ruolo del pubblico ministero, quindi, in direzione opposta rispetto ai vostri intendimenti?
Con il suo CSM, la magistratura requirente sarà destinata ad avere un ruolo centrale nello stesso dibattito pubblico. Non mi stupirei, quindi, se, tra qualche anno, gli entusiasti sostenitori di questa riforma, della separazione delle carriere, favorendo sostanzialmente la formazione di una categoria di accusa di professione, sempre più lontana dalla giurisdizione in senso stretto, farà poi il .
Questa magistratura requirente, garantita dal suo CSM, probabilmente, finirà per acquisire un ruolo e un peso nuovi, su questo, chiaramente contenti voi.
L'esito di questo provvedimento sarà la dipendenza purtroppo progressiva del PM dall'Esecutivo e questo non è né positivo né auspicabile, tanto che gli stessi promotori della riforma si affannano a negare che questo sia il risultato. In effetti, tale contrarietà appare ragionevole, se si guarda proprio al percorso seguito in tutti i Paesi nei quali il pubblico ministero dipende dall'Esecutivo, che in realtà stanno facendo sforzi enormi per assicurarne l'indipendenza. Noi, invece, già l'abbiamo, ma, con questa manovra, rischiamo di andare a perderla.
Va precisato che i passaggi di funzioni già oggi sono rari e limitati, sia concretamente, sia per legge, in ultimo anche con la riforma Cartabia.
Quindi, come Alleanza Verdi e Sinistra, noi avremmo voluto lavorare in quella direzione, senza toccare la Costituzione, ma ragionando soprattutto sui passaggi di funzione. Dunque, la separazione delle carriere, come l'avete impostata, è una necessità che vi siete inventati voi, fondata su miti fasulli.
Il tema della separazione delle carriere fra magistratura giudicante e requirente, da oltre trent'anni, agita il dibattito pubblico, ma poi, come dicevo poco fa, viene confusa con il tema della separazione delle funzioni. Invero, di fatto, questa separazione è confermata anche dai dati statistici che abbiamo: nel 2019, sono stati 5 i magistrati giudicanti trasferitisi al ruolo di inquirenti, mentre 19 PM sono diventati giudici; nel 2020, sono stati 10 i magistrati giudicanti che si sono trasferiti al ruolo di inquirenti, mentre 15 PM sono diventati giudici; nel 2021, sono stati 15 i magistrati giudicanti trasferitisi al ruolo di inquirenti, mentre 16 PM sono diventati giudici. Quindi, da questi dati, capiamo che la necessità di rompere questo modello costituzionale, attraverso la separazione, la divisione delle carriere e due CSM, in realtà, non ha alcun fondamento, e che, di fatto, la separazione, almeno quella delle funzioni, è già concretamente realizzata.
Inoltre, affermare che l'appartenenza del pubblico ministero alla stessa carriera del magistrato giudicante renderebbe il giudizio meno equo per difetto di imparzialità del giudice è veramente incredibile. Sostanzialmente, secondo voi, il giudice non sarebbe terzo, perché l'appartenenza alla stessa carriera lo renderebbe influenzabile dal pubblico ministero. Peccato che, allora, questa tesi - cioè del difetto di imparzialità del giudice dovuta all'appartenenza alla medesima carriera del PM - non sia suscettibile di dimostrazione, né da un punto di vista logico, né fattuale, si tratta proprio di un mito proposto come una verità di fede. L'imparzialità è una caratteristica strutturale del giudice e deriva da una serie di meccanismi che ne garantisce la libertà di coscienza. Nel giudicare, il giudice deve essere libero da vincoli con le parti, che ne potrebbero pregiudicare la sua libertà di coscienza. Per questo, esistono gli istituti dell'incompatibilità, dell'astensione e della ricusazione. In base all'ordinamento, il pubblico ministero non può effettuare alcun controllo sul giudice, non può determinarne avanzamenti, né ritardi della sua carriera, né prospettargli vantaggi o svantaggi di alcun tipo. Se l'appartenenza al medesimo ordine incidesse sull'imparzialità delle decisioni, allora bisognerebbe separare anche le carriere dei giudici d'appello da quelle dei giudici di primo grado, quelle dei giudici di legittimità da quelle dei giudici di merito e via di seguito. Pretendere che il giudizio non sia equo, perché il PM eserciterebbe un'influenza sul giudice, pregiudicandone l'imparzialità, è davvero una corbelleria stellare. Quanto all'argomento di tipo giuridico, secondo cui la separazione delle carriere sarebbe imposta dal nuovo articolo 111 della Costituzione, che prevede la parità delle parti davanti a un giudice terzo e imparziale, si tratta di una pretesa assurda, frutto di una lettura falsa e fuorviante dell'articolo 111 e prende spunto proprio dal secondo comma dell'articolo 111, che recita: “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”, quasi che, per questa parte, avesse introdotto nell'ordinamento un principio nuovo, mai conosciuto in precedenza, cioè anziché costituire una norma manifesto, enunciativa, invece, di un principio già presente e praticato nei nostri procedimenti; questo principio si riferisce al momento processuale del giudizio e del dibattimento in particolare, dove accusa e difesa si devono confrontare su un piano di assoluta parità, disponendo di poteri probatori perfettamente equivalenti. Quindi, la parità fra PM e difensore è di carattere endoprocessuale, e come tale deve essere pienamente assicurata dall'ordinamento. Tuttavia, non sussiste se riferita a un piano istituzionale, che vede i due ruoli completamente disomogenei. Il ruolo del difensore è fuori discussione, ma ciò non significa che sia identico a quello del PM, caratterizzato dalle stesse finalità. Anzi, lo lancio qui anche come appello, non come provocazione, ma come stimolo al Governo. Io stesso ho depositato ormai tempo fa una proposta di legge per l'avvocato in Costituzione. Bene, allora facciamolo subito, perché non lo facciamo o lo rinviamo? Visto che motivate il fatto che volete la parità accusa e difesa - e siano tutti d'accordo su questo -, benissimo, allora, andiamo subito anche in quella direzione, anziché andare a incidere, come state facendo adesso sulla magistratura.
Bene, allora mettiamo l'avvocato in Costituzione e da questo punto di vista diamo un ruolo che, anche a livello costituzionale, è paritetico, pur chiaramente nel rispetto delle differenze dei ruoli. Non mi addentro, quindi, nelle differenze ontologiche fra il ruolo del PM e quello del difensore, ad ogni modo l'articolo 111 della Costituzione nulla ha a che fare con la separazione delle carriere. La parità tra le parti, cui il secondo comma dell'articolo 111 si riferisce, è quella endoprocessuale, garantita dalle regole del processo.
La rottura del modello costituzionale di unicità della magistratura non può avere altro effetto che quello di spingere il PM fuori dalla cultura della giurisdizione e renderlo più prossimo alla funzione di polizia, al di là delle rassicurazioni che dà il Ministro Nordio. Vado a concludere, Presidente, precisando che, mentre noi siamo qui a discutere oggi di questa riforma, in realtà i cittadini non trarranno alcun beneficio da questa riforma, perché non si risolverà, in questo modo, il primo vero problema, che quello, sì, incide sui cittadini, sulle imprese e sulle tasche dei cittadini e delle imprese, che è la celerità dei processi, cioè di non vedersi rinviare le udienze di 6, 12, 18 mesi, e via di seguito.
A noi servirebbe una virata autenticamente garantista per la nostra giustizia, mentre qui non c'è nulla di garantista, e addirittura nell'azione del Governo abbiamo già visto, dall'inizio di questa legislatura - e siamo solo a metà -, circa 40 nuovi reati. Il Ministro non sa nemmeno che santo chiamare per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri, tema che avevamo portato qui in Aula e su cui c'era anche l'appoggio di una parte della maggioranza, salvo poi ritirarsi. Abbiamo il drammatico record storico di suicidi nelle carceri nel 2024.
Qui, invece, si vanno a mettere delle bandierine e si scambiano le riforme: chi il premierato, chi l'autonomia differenziata, chi la separazione delle carriere dei magistrati, a ognuno la sua. Basta, quindi, con questa delegittimazione della magistratura. Delegittimare la magistratura significa delegittimare lo Stato stesso. Non potremo noi, come Alleanza Verdi e Sinistra, sostenere questa riforma costituzionale .
PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti del liceo “Laura Bassi” di Bologna, che assistono ai nostri lavori dalle tribune .
È iscritto a parlare l'onorevole Maschio. Ne ha facoltà.
CIRO MASCHIO(FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, è un dato di fatto oggettivo che negli ultimi anni la magistratura abbia conosciuto una situazione di grave crisi e che sia anche crollata la fiducia degli italiani nei confronti di questo organo costituzionale. Oggi solo un italiano su tre, circa il 32 per cento, dichiara di avere fiducia nella magistratura, circa il 50 per cento non è d'accordo sulle decisioni e pensa che gran parte delle sentenze sui temi più delicati siano sentenze politiche. In sostanza, negli ultimi anni la magistratura ha raggiunto il livello più basso di sempre di fiducia e di credibilità da parte degli italiani e per circa il 70 per cento degli italiani la riforma della giustizia è una priorità.
In sostanza, sono molto lontani i tempi del 1992, in cui i magistrati di Mani Pulite erano rappresentati come degli eroi civili investiti di una missione civile, al punto tale da ritenersi anche legittimati a esercitare un potere sostitutivo nei confronti della politica, che era in profonda crisi e che era sostanzialmente delegittimata e sostituita da parte della magistratura, anche, indirettamente, nell'esercizio della funzione legislativa, mediante un'interpretazione o una disapplicazione delle norme.
Lo scandalo Palamara, esploso nel 2019, ha fatto emergere quello che era già a tutti noto, ma non ancora reso palese, cioè l'esistenza di un vero e proprio sistema di potere fondato e dominato dalle correnti politicizzate della magistratura, che determinano tutte le decisioni fondamentali sulle carriere dei magistrati e sulla scelta dei ruoli apicali, con logiche spartitorie che sono state, ahinoi, purtroppo più volte evidenziate e certificate.
Al punto che anche il Presidente della Repubblica, nel 2021, ha rivolto accorati appelli al CSM e ha invitato la politica a una riforma della magistratura per restituirle credibilità, tant'è vero che nel 2022 la riforma Cartabia ha tentato, con un provvedimento di riforma dell'ordinamento giudiziario, di porre rimedio ad alcune di queste problematiche, con soluzioni che, però, si sono rivelate, purtroppo, inadeguate e insufficienti.
È stata, in effetti, tentata una maggiore delimitazione delle funzioni all'interno della magistratura, con la possibilità di passare dalla funzione requirente a quella giudicante una sola volta nel corso della carriera, per cui si va, parzialmente, verso la direzione della separazione delle carriere, senza averle, però, coraggiosamente e formalmente distinte e separate.
Inoltre, la riforma Cartabia ha tentato una modifica del sistema elettorale del CSM, che era il vero bubbone della crisi di credibilità della magistratura, introducendo un sistema elettorale misto, maggioritario-proporzionale, che non solo non ha risolto il problema, ma addirittura lo ha aggravato, se è vero che nell'ultimo CSM, sui 20 togati eletti, 19 sono strettamente scelti e indicati dalle correnti politicizzate e solo uno su 20 è realmente autonomo e indipendente.
Il sistema descritto da Palamara non è stato smantellato con l'eliminazione di Palamara, con la sua radiazione dalla magistratura, perché quel sistema esiste ancora ed esercita ancora pienamente il proprio potere su tutta la magistratura. Allora è giusto e doveroso che la politica si faccia carico di riformare l'ordinamento giudiziario. Qualcuno, per il solo fatto che la politica abbia osato tentare di riformare la magistratura, parla di eversione, di allarme democratico, di attentato alla magistratura o di attentato alla democrazia.
Chi rivolge questi attacchi e queste critiche lo fa chiaramente in malafede, nel disperato tentativo di difendere quel sistema di potere fondato sulle correnti che stiamo cercando di riformare. C'è un Governo, c'è un Parlamento, eletto democraticamente, con un programma e un mandato chiaro da parte degli elettori, con una maggioranza coesa e ampia quanto basta per poter esercitare, nel corso di un'intera legislatura, le riforme che da 30 anni e più si tenta di fare, ma che non si è mai riusciti a fare. Quindi, abbiamo un'occasione storica per riformare veramente la giustizia dopo decenni di tentativi.
Su questo punto va dato un apprezzamento a tutto il Governo, al Ministro Nordio e alla Commissione affari costituzionali, che bene ha lavorato per andare in questa direzione. Questa riforma, che giustamente il Ministro Nordio ha definito la madre di tutte le riforme, interviene su tre obiettivi fondamentali: la separazione delle carriere, l'istituzione del sorteggio secco e l'istituzione dell'Alta Corte disciplinare. Per quanto riguarda la separazione delle carriere, a ormai quasi 35 anni dall'entrata in vigore della riforma Vassalli, che ha inserito nel nostro ordinamento un processo fondato sul modello accusatorio, dopo decenni di tentativi di adeguamento a questo sistema delle norme del nostro codice, si dovrebbe essere arrivati finalmente ad allineare la riforma costituzionale alla riforma del processo accusatorio e al modello accusatorio pensato da Vassalli.
Tale modello rappresenta il PM, l'accusa e la difesa come parti che, in pari condizioni, si trovano in contraddittorio di fronte a un giudice terzo ed imparziale. Questo è il modello accusatorio.
Anche qui, credo sia evidente a tutti la stortura dell'attuale sistema delle carriere unificate, una dinamica che, di fatto, ovviamente e inevitabilmente, mantiene un rapporto privilegiato tra il PM e il giudice che appartengono alla stessa carriera, che sono reciprocamente interconnessi in tutte le attività della vita quotidiana del magistrato, dai procedimenti disciplinari alla scelta dei ruoli apicali, alla condivisione dello e delle condizioni di magistrato appartenente alla stessa categoria, quindi, di fatto, senza una vera distinzione tra il magistrato requirente, che è una parte, e il giudice, che è un soggetto terzo. Perché è evidente - e questo è il modello stabilito dalla riforma Vassalli - che il pubblico ministero è una parte, è una parte pubblica, ma, comunque, parte rimane. Non è pensabile il concetto, quasi ossimorico, di una parte che è imparziale, una parte che sarebbe imparziale essendo magistrato. La parte è una parte e deve essere tale di fronte a un giudice terzo. Pertanto, il progetto di riforma costituzionale per la separazione delle carriere va nella direzione di rispettare i principi del modello accusatorio.
Qualcuno lamenta anche, a tale proposito, che vi sia un attacco, un attentato alla magistratura, un'azione che mina i principi cardine dello Stato liberale, dello Stato di diritto. Credo che anche questi allarmi siano non solo infondati, ma siano addirittura quasi patetici; basta guardare in tutta Europa e in tutto il mondo dove esiste la separazione delle carriere e dove esiste l'unificazione delle carriere. Di fatto, attualmente, l'Italia è in compagnia della Romania, della Bulgaria e della Turchia - che non è esattamente il modello di Stato liberale più illuminato che abbiamo di fronte agli occhi -, mentre Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi, tutti i Paesi europei sono già strutturati, con sfumature diverse, sul modello della separazione delle carriere. Pertanto, andare in questa direzione è assolutamente razionale, è assolutamente rispettoso di tutti i principi fondamentali dell'ordinamento internazionale, di quello europeo, oltre che della nostra Costituzione.
Analogamente, le altre soluzioni proposte con questa riforma vanno nella direzione corretta e, anzi, credo che il vero nucleo della riforma costituzionale della giustizia sia proprio quello dell'istituzione del sorteggio secco e dell'istituzione dell'Alta Corte disciplinare. È evidente a tutti come l'attuale sistema di elezione dei componenti del CSM abbia fallito completamente: non garantisce assolutamente autonomia e indipendenza dei giudici, ma è totalmente gestito, dominato e soccombente alla logica spartitoria delle correnti politicizzate.
Si è ragionato, si è discusso, si è tentato di fare parziali modifiche, con il sorteggio temperato, con il sistema maggioritario, ma queste soluzioni hanno fallito completamente e, come dicevo prima, hanno, anzi, aggravato il problema.
Pertanto, la soluzione più semplice ed essenziale è quella dell'istituzione del sorteggio secco, quindi il sorteggio tra tipologie di soggetti che abbiano e garantiscano elevati livelli di professionalità, di anzianità e di esperienza, per cui è evidente che c'è attenzione alla qualità massima dei soggetti che dovranno andare a far parte del CSM. La soluzione del sorteggio è l'unico strumento che consente di recidere quel legame perverso tra rappresentati e rappresentanti, dominato dalla logica spartitoria delle correnti.
Ed ancora, l'istituzione dell'Alta Corte disciplinare va in questa direzione; va, sostanzialmente, a sottrarre al Consiglio superiore della magistratura la competenza a decidere sull'azione disciplinare, istituendo un'apposita Corte. Con l'istituzione di un'autonoma Corte si ha anche una chiara distinzione tra la funzione disciplinare, da un lato, che è propriamente giurisdizionale, rispetto agli altri compiti dell'organo di autogoverno, che sono legati, quindi, alla valutazione professionale, alla promozione, alla scelta organizzativa nei ruoli apicali da ricoprire in tutto l'ordinamento giudiziario, che sono poteri organizzativi e non giurisdizionali.
Credo che vada sottolineato come entrambe queste soluzioni e la riforma dell'articolo 104 della Costituzione non mettano neanche lontanamente in discussione il principio fondamentale dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura da ogni altro potere. Questo principio è chiaramente ribadito e sostenuto: la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, anche nella nuova distinzione tra magistrati della carriera giudicante e magistrati della carriera requirente, che sono entrambi rappresentati a livello apicale, a garanzia di questo rispetto dell'assetto costituzionale, dal Presidente della Repubblica.
Mi avvio a concludere, Presidente, visto il poco tempo a disposizione, ricordando che questa riforma si fonda ed è animata dal pieno rispetto di alcuni principi cardine in materia di giustizia della nostra Costituzione: in primo luogo, l'articolo 111 della Costituzione, secondo il quale ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. Questo è l'obiettivo che intende realizzare questa riforma: garantire ai cittadini un giudice veramente terzo ed imparziale.
E, ancora, credo che vada fatta una riflessione sull'articolo 101 della Costituzione, che non viene modificato, ma che rimane un principio cardine. “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”: nell'articolo 101 non c'è scritto che i giudici sono soggetti alle correnti politicizzate della magistratura. Ogni singolo giudice non può essere soggetto al dominio delle correnti della magistratura, che ne determinano ogni speranza, possibilità o aspirazione di crescita professionale. I giudici devono tornare ad essere soggetti soltanto alla legge.
Pertanto, questa riforma epocale della giustizia - che è il primo passo, che sarà seguito dalle leggi ordinarie che dovranno applicare quello che viene stabilito da questa riforma - ha l'obiettivo fondamentale di liberare la magistratura, di liberare i singoli magistrati dal giogo delle correnti politicizzate, per restituire ai cittadini un giudice veramente libero, terzo, autonomo e imparziale, nel pieno rispetto, questo sì, dei principi della nostra Costituzione .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ascari. Ne ha facoltà.
STEFANIA ASCARI(M5S). Grazie, Presidente. Questo disegno di legge determina un vero e proprio sconvolgimento democratico, ponendosi in netto contrasto con i principi della Costituzione. Questa riforma si colloca in un quadro complessivo di riforme costituzionali volute dal Governo estremamente preoccupante, essendo tutte tese a minare, ripeto, l'assetto democratico dello Stato. Il Governo, con questo provvedimento, persegue l'obiettivo di porre sotto il proprio controllo la magistratura. Difatti, questa riforma avrà l'effetto di depotenziare il ruolo dei pubblici ministeri e di circoscriverne lo spazio operativo. Ciò determinerà inevitabilmente una riduzione della lotta alla mafia, conseguenza coerente con i continui attacchi della maggioranza contro coloro che si occupano quotidianamente di antimafia.
Il piano del Governo di delegittimare e intimidire i magistrati si è perseguito anche attraverso i recenti provvedimenti governativi, che hanno previsto il ricorso a procedure più stringenti per le valutazioni di professionalità e i test psicoattitudinali. Questi provvedimenti testimoniano chiaramente la volontà di avere dei magistrati obbedienti e sottoposti all'Esecutivo. Non sorprende, quindi, che lo stesso Ministro Nordio abbia manifestato la volontà di superare il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, che va esattamente in questa direzione, salvo poi, fortunatamente, avere fatto, per il momento, un passo indietro sul punto.
È ovviamente - e assolutamente, oserei dire - erroneo ritenere che i magistrati giudicanti, per il solo fatto di appartenere alla stessa categoria, assecondino i magistrati requirenti nelle loro richieste. E questo è dimostrato, come ben sa chi conosce le dinamiche processuali, dal fatto che siano prevalenti i casi di assoluzione, anche su richiesta del pubblico ministero, o di rigetto delle richieste formulate dalla magistratura requirente. L'unitarietà della magistratura costituisce, al contrario, la più grande forma di tutela dei diritti di coloro che sono sottoposti a processo e di tutti i cittadini e le cittadine.
Per questo, ovviamente, nessun suggerimento nelle Commissioni di competenza è stato ascoltato, soprattutto da magistrati che contrastano ogni giorno le mafie, e si ritiene estremamente grave che tra i magistrati venga citato Giovanni Falcone come un sostenitore della separazione delle carriere. Si tratta, purtroppo, di una strumentalizzazione delle sue parole, tese ad auspicare, invece, una maggiore specializzazione dei pubblici ministeri, anche alla luce dell'entrata in vigore del cosiddetto codice Vassalli.
Ed è qui importante ritornare alla linea guida che tutti noi, all'interno del Parlamento e fuori, dovremmo seguire, ossia la Costituzione, che è stata scritta a seguito di un ampio confronto fra tutte le forze politiche antifasciste del tempo in seno all'Assemblea costituente, le quali si sono adoperate al fine di prevedere un sistema di pesi e contrappesi adeguatamente bilanciato, cosa che non è questa riforma, dal momento che non ha accolto alcuno spunto di riflessione. Allora chiediamoci perché c'è stata quest'accelerazione, perché c'è stata questa fretta.
Perché la vostra accelerazione sulla separazione delle carriere dei magistrati porta avanti il matrimonio d'interesse che tiene insieme questo Governo Meloni: Forza Italia, in questo modo, va all'incasso sulle intercettazioni e su questa riforma costituzionale, dopo avere concesso a Fratelli d'Italia il premierato e alla Lega l'autonomia differenziata. Ovviamente, questa è una spartizione che non tutela e non guarda in nessun modo ai cittadini e alle cittadine.
Con la separazione delle carriere dei magistrati il centrodestra punta, evidentemente, a colpire, invece, l'autonomia e l'indipendenza del potere giudiziario, e, in particolare, a sterilizzare e a mettere sotto l'influenza della politica i pubblici ministeri, coronando il sogno di Silvio Berlusconi. Entriamo, poi, nel merito del capitolo sulla magistratura, perché c'è un lavoro che è in continua progressione. È una meta finale, quella della magistratura, che si muove su tre versanti, che sono tra loro interconnessi: la separazione delle carriere, l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale e la modifica della composizione del CSM, per portare il numero dei membri di nomina politica, ossia quelli scelti dal Parlamento, al 50 per cento.
Partiamo da ciò che ho citato anche prima, ossia la questione dell'obbligatorietà dell'azione penale, la quale, se non è più obbligatoria, è discrezionale, e dobbiamo chiederci a discrezione di chi. È evidente che diventa una scelta politica e che colui che ha questo potere, il pubblico ministero, a quel punto deve essere sottoposto a controllo politico, riportando indietro l'orologio, la storia, all'epoca pre-costituzionale, un'epoca nella quale gli scandali finanziari e bancari si concludevano tutti nello stesso modo, ossia con l'assoluzione di tutti gli imputati, proprio perché i pubblici ministeri erano condizionati dal potere esecutivo.
Anche la separazione delle carriere fa parte dello stesso disegno per sottrarre autonomia al pubblico ministero e sottoporlo al controllo dell'Esecutivo. Nella stessa direzione si muove la progettata abolizione dell'articolo 107, terzo comma, della Costituzione, il quale, nel prevedere la distinzione dei magistrati solo per funzioni, ne rappresenta la massima garanzia di indipendenza, impedendo derive gerarchiche e verticistiche all'interno degli uffici giudiziari.
Non solo, ma, se noi dovessimo ritenere che l'appartenenza alla medesima carriera condizioni la decisione dei giudici, allora dovremmo separare le carriere dei giudici di appello da quelle dei giudici di primo grado, perché i giudici di appello sono quelli che giudicano le sentenze di quelli di primo grado, e la stessa cosa dovremmo fare per quelli della Cassazione, che giudicano le sentenze dei gradi inferiori. Il carattere strumentale di tale argomento è palese.
Come si vede, il problema vero, celato dietro argomenti strumentali, non è affatto l'asserito appiattimento dei giudici sui PM, ma piuttosto l'intolleranza per l'indipendenza della magistratura e l'aspirazione a realizzare l'appiattimento delle decisioni dei giudici e dei pubblici ministeri sulla volontà della politica. È evidente che, se il Ministro o un'autorità politica, a seguito della separazione delle carriere, prenderà il controllo dei pubblici ministeri, si giungerà a una politicizzazione occulta dell'esercizio dell'azione penale, addomesticandola per quelli della propria parte politica e usandola come una clava per avversari e dissidenti.
Quello che è avvenuto in Polonia e in Ungheria, Paesi guardati non a caso con ammirazione dall'attuale Presidente del Consiglio Meloni. Invece, andiamo a vedere i dati che dovrebbero essere analizzati, per poi dare attuazione a una riforma. I magistrati in servizio in Italia sono circa 9.000. Dalla riforma Castelli-Mastella del 2006 sino al 2022, in media sono passati dalla funzione di giudice a quella di PM meno di 20 magistrati all'anno, mentre dalla funzione di PM a quella di giudice, in media, 28,5 magistrati. In sostanza, il passaggio dalla funzione giudicante alla funzione requirente ha coinvolto solo 2 magistrati su mille, quello inverso solo 3 su mille.
Nel 2021 i trasferimenti di funzione sono stati solo 21. Con tutti i gravissimi problemi che abbiamo nella giustizia, invece di occuparci di riforme che garantiscano ai cittadini una definizione celere dei processi, stiamo a discutere di poche decine di magistrati su 9.000: questo deve fare riflettere e porre delle domande.
Ed ancora, ci tengo a dire che il settore della giustizia è solo lo specchio e il laboratorio nel quale si declina un codice culturale e ideologico assolutamente distonico rispetto ai valori costituzionali, che per me è, in realtà, un progetto riformatore di stampo regressivo di ampio respiro, destinato a investire nel tempo l'intero ordinamento e l'assetto sociale. Il Governo ha ormai da tempo assorbito il potere legislativo, riducendo il Parlamento a Camera di registrazione notarile delle sue decisioni.
Si tratta - ripeto - di un fenomeno che è iniziato da subito, ma che il Governo Meloni sta accentuando in modo significativo, producendo una media di circa 4 decreti-legge al mese. Ha programmato riforme della Costituzione dirette a sottoporre la magistratura al controllo del Governo e ovviamente mira ad assumere il controllo egemonico dei media televisivi e dei giornali, per avere tutto sotto controllo, ed avere una censura totale.
Bene, io vorrei ricordare, in quest'Aula del Parlamento, che, indebolendo la magistratura, si indebolisce la nostra democrazia. La separazione delle carriere è qualcosa che va contro un sistema sano, perché dividere i pubblici ministeri e i giudici significa creare una spaccatura nell'ordine giudiziario. Fino a oggi l'ordine giudiziario è stato - ripeto - unico, il che significa che il pubblico ministero si muoverà e svilupperà la propria indagine secondo quelli che sono i parametri del giudice. Pubblici ministeri e giudici devono pensare allo stesso modo, ma, se pensano allo stesso modo, hanno la stessa formazione e, se hanno la stessa formazione, il cittadino è garantito, è protetto in ogni momento. Ecco, su questo dobbiamo ovviamente riflettere.
Arrivo quasi alla conclusione per dire che, purtroppo, l'intervento di questa maggioranza sulla giustizia, in ogni luogo, in ogni punto, ha riscontrato un indebolimento delle norme, un indebolimento della difesa dei cittadini e delle cittadine e sostanzialmente un via libera alla mafia e ai corrotti. Non c'è una norma che aumenti il contrasto alle mafie e alla corruzione; anzi abbiamo visto un indebolimento sotto tutti i profili. Ci tengo a ricordare, in un breve , il primo atto di questo Governo, il decreto , in cui si è letteralmente abbattuto l'ergastolo ostativo, in cui sono stati tolti i reati contro la pubblica amministrazione dall'elenco di quelli ostativi all'accesso ai benefici penitenziari, disincentivando la collaborazione con la giustizia dei condannati per reati ostativi, quando l'ergastolo ostativo è stata una misura cardine voluta da Falcone e Borsellino e oggi il messaggio è chiaro: non conviene veramente più collaborare. Mentre tra i 41- non ce n'è uno a norma, per cui la mafia manda messaggi da dentro a fuori veramente in un modo libero.
Penso agli interventi sulle intercettazioni, che sono state letteralmente sfregiate. Abbiamo addirittura sentito dire che i mafiosi non parlano al telefono, che le intercettazioni sono essenziali solo contro mafia e terrorismo e invece Matteo Messina Denaro è stato catturato proprio solo grazie alle intercettazioni. Sono poi impedite le intercettazioni a strascico sui reati contro la pubblica amministrazione, cioè quelle ordinate per indagare sul reato, che poi portano ad aprire inchieste su altre fattispecie di reato e questo è un altro indebolimento. È stato posto il limite a 45 giorni per le intercettazioni, provvedimento approvato in prima lettura al Senato, quando in Commissione giustizia la maggioranza ha vergognosamente bocciato gli emendamenti del MoVimento, a mia prima firma, che avrebbero consentito di utilizzare le intercettazioni anche per contrastare la pornografia minorile.
Ancora, è stato vietato di trascrivere, anche in maniera sommaria, nei verbali sintetici, le intercettazioni considerate irrilevanti. È stato proposto di vietare l'uso del nelle indagini per reati contro la pubblica amministrazione. La “norma bavaglio”, che vieta la pubblicazione integrale o per estratto dell'ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare: questo è nuovo gravissimo attacco al diritto dei cittadini e delle cittadine a essere informati, il diritto alla trasparenza, ma soprattutto è un bavaglio ai giornalisti e un danno - ripeto - ai cittadini.
Poi, ancora: pagelle ai magistrati e test psicoattitudinali, ma in questo caso la funzione è proprio quella di incidere sulle progressioni di carriera e sull'assegnazione degli incarichi direttivi; il ritorno alla prescrizione, con l'abbattimento della legge Spazzacorrotti; e vorrei ricordare che i processi devono avere una ragionevole durata - verissimo - ma chi ha sbagliato deve scontare una pena e non può restare impunito, solo perché è passato troppo tempo da quando ha commesso il reato.
Con le vostre modifiche la prescrizione ritornerà a essere uno strumento utilizzato esclusivamente per eludere la responsabilità penale e le vittime di reato saranno di nuovo fantasmi nelle aule dei tribunali, senza verità e senza giustizia.
Poi, ancora, l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio, con la legittimazione degli abusi di potere. Questo è un colpo devastante per la credibilità dello Stato e per i diritti fondamentali dei cittadini. Ancora, l'indebolimento del reato di traffico di influenze illecite; il PM poi non potrà più presentare appello contro le sentenze di assoluzione relative ai reati di contenuta gravità e per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio. Ancora, la custodia cautelare in carcere in caso di reati di corruzione contro la pubblica amministrazione non potrà mai essere disposta se non dopo aver interrogato o avvertito l'indagato almeno 5 giorni prima, quindi li avvisiamo in modo che così sappiamo già tutto e possono anche minacciare chi può riferire su di loro.
Poi ovviamente si sta scardinando tutto l'equilibrio tra i poteri costituzionali, con riforme - ripeto - come il premierato e l'abuso d'ufficio e, in tutto questo, si fanno continuamente tagli alle spese, senza capire che, se tu vuoi rafforzare la giustizia, devi mettere risorse, promuovere concorsi, potenziare i mezzi informatici e telematici, stabilizzare tutti gli assistenti per quanto riguarda l'ufficio per il processo, che hanno fatto veramente un lavoro straordinario.
Non c'è ancora oggi una legge sulle e sul conflitto di interessi. Questo è quello che manca, quando l'ultimo dell'associazione Transparency ha denunciato che oggi sono 97 i deputati e i senatori portatori di interessi privati, che hanno cioè partecipazioni in aziende o ruoli in consigli di amministrazione.
Contrasto alla mafia: c'è la mia PdL, ferma da due anni, per introdurre l'aggravante dell'istigazione o apologia del delitto mafioso, dal momento che ormai la mafia è di se stessa e tranquillamente su ogni sito e su ogni fa propaganda di se stessa. Ancora oggi manca una legge per introdurre percorsi di educazione affettiva e sessuale, dal momento che nel nostro Paese viene ammazzata una donna ogni tre giorni e tutto questo ovviamente prevede queste riforme scellerate.
Vorrei - e chiudo - ricordare una frase di Calamandrei, che dice che la libertà è come l'ossigeno: te ne accorgi quando ti manca, nei momenti in cui non riesci più a respirare. Questo stiamo facendo anche noi: a momenti ci mancherà l'ossigeno. In realtà, ci manca già .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Carmela Auriemma. Ne ha facoltà.
CARMELA AURIEMMA(M5S). Grazie, Presidente. “La separazione delle carriere sarebbe un'enorme spendita di quattrini, di mezzi, una cosa mostruosamente difficile. E a che servirebbe? Io non ho mai pensato di aver vinto o perso una causa perché il PM faceva parte della stessa famiglia del giudice”. Queste parole non sono state pronunciate da un magistrato, da un pubblico ministero o da un membro dell'opposizione, ma da colui che è senza dubbio riconosciuto come tra i più bravi, se non il più bravo avvocato penalista, il professor Coppi.
Queste poche parole esprimono perché la separazione delle carriere non risolve alcuno dei problemi che investono il mondo giudiziario, né tanto meno può essere uno strumento per ridimensionare eventuali abusi o sproporzioni tra le parti processuali, come appunto sostiene la maggioranza. Piuttosto, si tratta di una riforma ideologica che fa male alla giustizia, fa male alla magistratura e, in particolare, va a ledere la sua indipendenza. Quindi, di fatto, in ultima analisi, fa male alla nostra Repubblica che poggia su un assetto costituzionale, che ha fatto della separazione e dell'indipendenza della magistratura uno dei pilastri su cui è stata costruita la nostra Repubblica democratica.
Dobbiamo dire che cos'è questa riforma. Questa riforma non è altro che un , con qualche novità, rispetto a una riforma, che fu presentata nel 2011 dall'allora Guardasigilli, il Ministro Alfano, come una riforma epocale.
Iniziamo però da un preambolo. Nel nostro disegno costituzionale, i nostri Padri costituenti hanno fatto in modo che l'indipendenza della magistratura da ogni altro potere venisse assicurata, soprattutto, con l'autogoverno che, in base all'articolo 107 della Costituzione, viene attribuito a un organo di rilievo costituzionale, che è il Consiglio superiore della magistratura, al quale - secondo l'articolo 107 - spettano le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.
Il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica, che è una garanzia, e ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono invece eletti, per due terzi, da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e un terzo dal Parlamento. Dobbiamo dire che la prevalenza dei due terzi eletti dalla magistratura ordinaria è una garanzia, affinché quest'organo sia un organo di autogoverno e non si trasformi, invece, in un organo di etero-governo e, più precisamente, che la gestione del corpo dei magistrati non sia sottoposta al controllo politico.
Nell'allora riforma Alfano, la magistratura veniva divisa, anche in questo caso, in due corpi separati: i giudici e i pubblici ministeri. Venivano, quindi, istituiti due organi di governo, ossia il Consiglio superiore della magistratura giudicante e quello della magistratura requirente e, di fatto, veniva modificato il rapporto tra i componenti togati e quelli eletti dal Parlamento non più in due terzi e un terzo, bensì la metà dei componenti togati e l'altra metà eletti dal Parlamento, con un'evidente disfunzione dell'organo di autogoverno.
La scelta, anche in questo caso, dei togati non era libera, ma avveniva attraverso un sorteggio. Anche in quella riforma, ai due Consigli superiori veniva sottratta la competenza disciplinare e veniva affidata a un nuovo organo, la Corte di disciplina della magistratura giudicante e requirente, che, in quel caso, era di due sezioni e composta per la metà dei membri eletti dal Parlamento e per la metà dei membri scelti dai giudici e dai pubblici ministeri, sempre previo sorteggio.
In realtà, tale riforma, di fatto, andava ad addomesticare la magistratura, ma, soprattutto, puntava a degradare il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, perché la riforma Alfano prevedeva che l'ufficio del pubblico ministero - e non più il singolo pubblico ministero - esercitasse l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge.
Ebbene, dopo 15 anni, il disegno di riforma di cui si discute oggi si muove, sostanzialmente, nella stessa direzione della riforma di Alfano, insistendo, soprattutto, sul principio della separazione delle carriere, ma presentando anche alcune caratteristiche differenze. Anche in questo caso, però, al centro del progetto governativo, c'è la rottura del modello costituzionale dell'unicità della magistratura, con la conseguente creazione di due distinti Consigli superiori per amministrare i due corpi separati dei magistrati giudicanti e requirenti.
A differenza della precedente riforma Alfano, in questo caso viene lasciata inalterata la composizione dei membri elettivi del Consiglio superiore della magistratura (di due terzi togati contro un terzo dei membri di derivazione politica). La differenza, però, è nella modalità di scelta: anche in questo caso, i togati vengono scelti per sorteggio, mentre i membri laici vengono anch'essi scelti per sorteggio, però è un sorteggio mediato, cioè all'interno di una platea, scelti dal Parlamento in una seduta comune, mediante elezioni.
Anche in questo caso, il progetto Nordio sottrae ai due CSM la competenza disciplinare per affidarla ad un organo creato , denominato Alta Corte disciplinare, composto, sostanzialmente, da 6 membri laici e 9 membri togati; 3 membri laici sono nominati dal Presidente della Repubblica, 3 per sorteggio da un elenco compilato dal Parlamento.
Contro le sentenze disciplinari non è previsto il ricorso in Cassazione. Si tratta, quindi, di un appello dinanzi alla stessa Corte e, quindi, già su questo abbiamo più volte dibattuto in Commissione quanto sia scorretta la possibilità che il mezzo di gravame, il mezzo di appello, in realtà, venga proposto dinanzi allo stesso giudice della sentenza di primo grado, senza prevedere quella distinzione e quella alternanza tra il giudice di primo grado e il giudice di secondo grado.
In realtà, dobbiamo però subito dire una cosa. Questa riforma si basa su una clamorosa, anzi, su due clamorose menzogne: la prima è che la separazione della magistratura requirente da quella giudicante, o meglio, che l'unicità della magistratura requirente e giudicante determinano una contaminazione tale da determinare un effetto, un'incidenza sulla terzietà del giudice. In sostanza, l'argomento che utilizzano in maniera anche suggestiva questa maggioranza e il Governo è che la separazione delle carriere si giustifica attraverso l'attuazione del nuovo testo dell'articolo 111 della Costituzione.
Secondo il Ministro Nordio, secondo questa maggioranza, l'articolo 111 impone non soltanto che il giudice sia imparziale, ma anche terzo, e terzietà non può che significare appartenenza del giudice a un ordine diverso da quello del pubblico ministero; cioè la separazione delle carriere, secondo questa maggioranza, serve a rendere il processo penale più equo, perché assegna un giudice terzo a garanzia dell'imparzialità della decisione.
La seconda bugia, invece, è che i passaggi tra la magistratura requirente e la magistratura giudicante abbia determinato gravi problemi al mondo giudiziario. Ma non è così e lo dicono, a sbugiardare la maggioranza, proprio i dati: nel 2019, sono stati 5 i magistrati giudicanti che si sono trasferiti al ruolo di inquirenti, mentre 19 pubblici ministeri sono diventati giudici; nel 2020, soltanto 10 magistrati giudicanti si sono trasferiti nel ruolo di inquirenti, mentre 15 pubblici ministeri sono diventati giudici; nel 2021, sono stati soltanto 15 i magistrati giudicanti che si sono trasferiti al ruolo di inquirenti. Quindi, è evidente che i numeri sono talmente bassi che dire che questa riforma possa determinare una innovazione, effetti positivi rispetto ai problemi del settore giudiziario è una clamorosa bugia. E la verità è che la disciplina dei passaggi dei magistrati dalla funzione giudicante a quella requirente, e viceversa, è già stata oggetto di forti restrizioni, a partire dal 2006, con la riforma Castelli. In particolare, la riforma del decreto legislativo n. 160 del 2006, poi modificato nel 2017, ha determinato una forte restrizione. Infatti, le funzioni requirenti di primo grado potevano essere conferite solo a magistrati che avessero conseguito la prima valutazione di professionalità e, quindi, non prima dei 4 anni dalla nomina. La riforma, inoltre, aveva limitato il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa, sotto un profilo oggettivo, vietandolo in determinati casi, e anche sotto un profilo soggettivo. Il limite massimo, infatti, dei passaggi nel corso della complessiva carriera era limitato a 4. Questa riforma, già nei fatti, determinava una netta separazione delle funzioni giudicanti e requirenti, e restringeva notevolmente la possibilità per i magistrati di passare da una funzione all'altra. Ulteriore limitazione è stata fatta dalla Cartabia, che, infatti, è intervenuta sul punto ed ha ulteriormente posto limitazioni, prevedendo la regola generale che il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, e viceversa, possa essere effettuata una volta sola nel corso della carriera, entro 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni.
Quindi, tutti questi dati, tutte queste preoccupazioni della maggioranza sono completamente smontate da questi dati, da questi interventi normativi. In particolare, se per separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i ruoli professionali, allora bisogna dire che questo è già in atto, è già stato realizzato negli ultimi 20 anni con gli interventi nel 2006 e con la riforma Cartabia. Pertanto, anche questa argomentazione non trova fondamento.
Piuttosto, la riforma che questa maggioranza vuole portare avanti è un grimaldello per dare alla politica il controllo dell'azione penale e lo fa iniziando un processo di degrado e di limitazione dell'autonomia della magistratura. Infatti, l'altro perno principale di questa riforma è la totale riformulazione e rivisitazione dell'organo di autogoverno. La separazione delle carriere, quindi, effettua un intervento ancora più incisivo sul modello costituzionale, ridimensionando pesantemente il sistema dell'autogoverno della magistratura, concepito dai nostri Costituenti come un argine invalicabile per garantire il pluralismo istituzionale e l'indipendenza della magistratura da ogni altro potere.
È questo il vero intento della riforma Nordio. Quindi, per ottenere questo risultato, la riforma Nordio, a differenza delle altre proposte in campo, non punta alla modifica del rapporto tra membri togati e laici dei due Consigli superiori, i quali rimangono sostanzialmente identici, ma introduce un'innovazione, che sopprime di fatto l'autogoverno. La proposta governativa, infatti, va a scegliere la via più radicale nel contenuto e nella forma per cambiare la Costituzione, prevedendo una forma di sorteggio secco per l'individuazione dei membri togati del CSM, una sorta di sorteggio temperato per i membri laici.
Ebbene, il sorteggio introduce un vero e proprio aspetto discriminatorio nei confronti dei magistrati, ove si tenga presente che, per le altre categorie professionali, è prevista, invece, la possibilità per gli appartenenti di scegliere con un voto libero i propri rappresentanti negli ordini professionali o negli organismi disciplinari. Questo è un aspetto importantissimo, perché, in realtà, si crea una discriminazione chiara: i magistrati non possono, a differenza degli altri ordini, scegliersi liberamente i propri rappresentanti e scegliere liberamente i membri degli organismi disciplinari.
Il sorteggio, quindi, che cosa riflette? Riflette, come è stato detto giustamente in Commissione, una concezione della magistratura come una corporazione indifferenziata, dove non c'è una distinzione tra anche legittime posizioni di confronto sullo svolgimento della professione del magistrato. Tutto questo ci preoccupa tantissimo, perché - è stato detto molto bene dalla collega Ascari - questo Governo, dal primo momento, in realtà, ha voluto ridimensionare fortemente i poteri e gli strumenti che la magistratura ha per contrastare determinati reati, soprattutto i reati contro la pubblica amministrazione, per contrastare i reati di mafia.
Adesso, con questa riforma, di fatto, mette il primo tassello affinché l'autonomia e l'indipendenza della magistratura vengano fortemente incrinati. Per queste ragioni, il MoVimento 5 Stelle è fortemente contrario a questa riforma. Anche se non è avvenuto in Commissione, sappiamo bene che le riforme costituzionali, per sopravvivere, hanno bisogno di una larga maggioranza, e non soltanto della maggioranza che rappresenta questo Governo. È auspicabile che questo Governo e questa maggioranza lavorino con l'opposizione, affinché ci possano essere delle nostre proposte, dei nostri emendamenti che vengono accolti, perché le riforme costituzionali fatte a suon di maggioranza non hanno lunga vita.
Ce lo insegna la storia della nostra democrazia e ce lo insegnano le ultime riforme costituzionali, che nascono solo con il sostegno della maggioranza governativa e, in realtà, non hanno un sostegno successivo. Quindi, quello che auspichiamo, che non è successo fino adesso, è che questa riforma possa, innanzitutto, avere una possibilità anche per l'accoglimento degli emendamenti dell'opposizione, e, quindi, rivedere completamente questa impostazione, che non è condivisa proprio per le ragioni che abbiamo esplicitato .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Nazario Pagano.
NAZARIO PAGANO, . La ringrazio, Presidente. Non sono stati tantissimi i parlamentari intervenuti oggi, ma sono state dette cose significative, importanti. Poi, mi auguro che anche la mia collega, onorevole Bordonali, possa integrare con un suo intervento. Sono state fatte affermazioni che, oggettivamente, da relatore e da presidente della I Commissione, ritengo assolutamente fuori luogo, fuorvianti e certamente non rispondenti al vero. In particolare, l'onorevole Gianassi ha parlato di intento punitivo e ossessione ideologica.
Sono due dichiarazioni che spero lui abbia detto solo ed esclusivamente perché siamo in Aula, stiamo discutendo e parlava a nome del PD, ma, purtroppo, mi sento di dover criticare e, soprattutto, non confermare quanto affermato, perché questa è una riforma che non ha nessun intento punitivo, né emerge da una sorta di ostilità nei confronti della magistratura. È una lettura distorta e molti magistrati, alcuni anche auditi in Commissione, dimostrano che non vi è un approccio di tutta la magistratura contrario a questa riforma.
Anzi, se venisse fatto una sorta di sondaggio, una votazione all'interno della magistratura, non so come finirebbe. La verità è che non vi era più la possibilità di proseguire con un approccio che ha visto, negli ultimi anni, crollare il sentimento di fiducia nei confronti della magistratura. Come è stato richiamato anche dall'onorevole Maschio, che è intervenuto anch'egli, ormai soltanto un terzo degli italiani ha fiducia nella categoria dei magistrati.
Questo è un problema, quello sì, che mina la stabilità del nostro sistema democratico e non, come addirittura ha affermato la collega dei 5 Stelle Ascari, che questa riforma addirittura minerebbe l'assetto democratico dello Stato e tenderebbe a creare magistrati obbedienti e sottoposti all'Esecutivo. Queste sono le parole che ho trascritto e che sono state dette. Questa riforma non intende fare questo, non ha nessun tipo di approccio demagogico, ideologico, ma solo legato ad un sistema che, purtroppo, ormai esiste nella nostra magistratura e che ha minato, quello sì, la credibilità dell'intero corpo dei magistrati. È noto a tutti come, purtroppo, l'indebolimento del sistema della magistratura e della nostra giustizia non è quello che sarebbe provocato, come è stato pure affermato, da questa riforma, che indebolirebbe la figura del giudice e rafforzerebbe quella del pubblico ministero.
Ritengo e credo - e non lo dico soltanto a titolo personale - che, invece, questa riforma tenderà certamente a rafforzare la figura del giudice, anche perché, purtroppo, come è stato riferito anche dal collega Costa, la percezione che ha il cittadino italiano è che il processo avvenga già nella fase della sua formazione, nella fase introduttiva. La percezione è che l'attività del pubblico ministero, e non quella del giudice, sia già volta a destinare, comunque, colpevoli e non colpevoli, ma di fatto colpevoli, e, quindi, dei condannati prima ancora che il processo venga portato a conclusione.
Quindi, noi pensiamo che questa riforma sia necessaria, così come il secondo caposaldo, quello del sistema del sorteggio secco rispetto alla nomina dei componenti, dei membri dei due Consigli superiori della magistratura, nasce da un'assoluta esigenza: è l'unico sistema possibile che potrà sconfiggere o comunque mettere a forte rischio il sistema delle correnti in magistratura. Quello sì è un sistema che ha degenerato un andamento non più credibile nel Consiglio superiore della magistratura.
Ha ricordato correttamente l'onorevole Maschio che, anche soltanto nell'ultima elezione del Consiglio superiore della magistratura, addirittura, 19 su 20 dei giudici togati sono stati indicati dalle correnti politicizzate della magistratura. Questo, purtroppo, è un fenomeno che non è stato abbattuto, nemmeno dopo lo scandalo Palamara. Si è creato, di fatto, un capro espiatorio; si è pensato di accusare soltanto questo magistrato, radiandolo dalla magistratura per risolverne i problemi, ma, in realtà, le cose sono rimaste esattamente come prima e la degenerazione correntizia nella magistratura - quella sì - ha minato la credibilità della magistratura stessa.
Il terzo caposaldo di questa riforma è quello della creazione dell'Alta Corte disciplinare. Anche questa è un'esigenza necessaria, così come non era più accettabile che pubblici ministeri e giudici, insieme, potessero comporre la parte dei magistrati togati all'interno del Consiglio superiore della magistratura.
Allo stesso modo, non era più accettabile la questione relativa alle eventuali sanzioni disciplinari, irrogate in misura assolutamente inconsistente, com'è stato ricordato nel corso del dibattito. Non era possibile pensare e immaginare che questo aspetto, legato alle sanzioni, potesse continuare ad essere esercitato all'interno del Consiglio superiore della magistratura con numeri risibili e con evidente scarsa credibilità. Opportunamente, invece, questo aspetto viene posto, da questa riforma, al di fuori del Consiglio superiore della magistratura, che, appunto, si scinderà in due. Voglio ricordare - per chi lo avesse dimenticato - che, in realtà, la riforma della giustizia, la riforma della magistratura - come giustamente mi veniva ricordato - è un aspetto che, già in passato, è stato tenuto in considerazione.
Voglio ricordare che persino la Commissione D'Alema (istituita nella XIII legislatura con legge costituzionale n. 1/1997) si occupò di riformare la magistratura; la proposta della Commissione D'Alema già allora prevedeva differenze fra magistrati requirenti e magistrati giudicanti: prevedeva funzioni differenziate, così come la creazione di una Corte di giustizia della magistratura. Allo stesso modo, è noto che il Partito Democratico, anche in questa legislatura, sebbene con modalità diverse e con formazioni differenti, ha presentato una proposta che prevede la creazione di un'Alta Corte disciplinare, per far sì che le eventuali sanzioni possibili a magistrati che peccano nel loro operato, avendo agito con dolo o colpa grave, possano essere irrogate da una sezione terza, da altro organismo e non all'interno del Consiglio superiore di magistratura.
Ebbene, tutto questo fa credere - così come io stesso lo percepisco e non lo nascondo: per strada mi fermano persone e cittadini per dirmelo - che è arrivato il momento di riformare l'organizzazione della nostra magistratura, per ridare credibilità e fiducia ad un corpo - quello dei magistrati - e ad un ordinamento - quello giurisdizionale - che hanno assoluta necessità di ritrovare credibilità e fiducia nei cittadini.
PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto comprensivo statale “Bartolomeo Lorenzi”, plesso di Marano di Valpolicella in provincia di Verona, che assistono ai nostri lavori dalle tribune .
Ha facoltà di replicare la seconda relatrice, la deputata Simona Bordonali.
SIMONA BORDONALI, . Grazie, Presidente. Sarò breve anche perché condivido totalmente la replica del presidente Pagano. Però, anch'io ci tengo a ribadire che, negli interventi degli onorevoli colleghi dell'opposizione, sono state dette e sostenute alcune tesi, utilizzando termini molto gravi.
Per esempio, si è parlato di un intento punitivo, di una visione ideologica e di una furia punitiva: questo quanto detto dall'onorevole Gianassi e dall'onorevole Dori. Ma ancora peggio. L'onorevole Ascari ha parlato addirittura di sconvolgimento democratico, dove viene minato l'assetto democratico dello Stato.
Ritengo siano affermazioni molto pesanti e molto gravi, anche perché ci stupisce che, ancora oggi, dall'opposizione, arrivino queste dichiarazioni. Sembra che ciò che è accaduto con lo scandalo Palamara non sia realmente accaduto. Invece, anche in questo caso, come è stato già detto più volte, tanto negli interventi quanto nella replica del presidente Pagano, l'unico che ha pagato per questo scandalo è stato l'ex presidente dell'ANM, ma, di fatto, la situazione è rimasta pressoché intatta. Quindi, questa riforma è una grande occasione per restituire quella credibilità che oggi manca (anche i sondaggi, peraltro, lo certificano): oggi, manca credibilità alla magistratura e manca fiducia.
E, allora, è qui che veramente si mina l'assetto democratico dello Stato: nel momento in cui i cittadini non hanno più fiducia in questa magistratura, quindi è nostro dovere intervenire. E termino, Presidente. Visto che i colleghi, che sono intervenuti, hanno citato parecchi interventi di magistrati e di esponenti di qualsiasi livello, vorrei citare un intervento, comparso sugli organi di stampa, di Antonio Di Pietro. Voglio ricordare che si tratta di un ex PM del “Mani pulite”, nonché due volte Ministro nei Governi Prodi. Quindi, non stiamo parlando delle dichiarazioni del Ministro Salvini, più volte citato in questa discussione, ma di Antonio Di Pietro, che ha detto: “Meglio il sorteggio che il voto di scambio. (…). L'idea stessa che vi siano delle “correnti” nella magistratura fa a cazzotti con l'immagine di terzietà e indipendenza che la Costituzione ha assegnato ai magistrati”.
Presidente, penso che la dichiarazione resa da una persona come Antonio Di Pietro, che è stato uno dei massimi esponenti, sia in magistratura che in politica, riassuma le motivazioni che oggi ci hanno portato ad intervenire con questa riforma.
PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto di istruzione superiore “Acciaiuoli - Einaudi” di Ortona, in provincia di Chieti, che assistono ai nostri lavori dalle tribune .
Ha facoltà di replicare il Vice Ministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto.
FRANCESCO PAOLO SISTO,. Grazie, Presidente. Il compito del Governo è solo quello di difendere la perfetta linearità comportamentale nella proposizione del disegno di legge di riforma costituzionale e di respingere, molto garbatamente, le eventuali illazioni di retropensieri rispetto al testo stesso della riforma. Partirò dal merito, anziché dal metodo, perché il metodo, nella lettura conclusiva, ha certamente una sua grande rilevanza - addirittura, a mio avviso, decisiva - per il rispetto che noi dobbiamo al Parlamento e per il rispetto che dobbiamo alle procedure scandite dall'articolo 138 della Costituzione.
Bene, in questa proposta, vorrei che ci si fermasse semplicemente alla letteralità del testo, perché questa “ologrammofobia” (può essere un neologismo coniato ), che leggo negli interventi di coloro che hanno preso la parola in senso contrario a questo disegno di legge, ha un metodo che va immediatamente svelato: ossia il timore di quello che non c'è.
La proposta è molto chiara: non tocca minimamente il tema dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura; non tocca minimamente l'obbligatorietà dell'azione penale; non è un intervento - neanche a volerlo stressare - punitivo nei confronti di chicchessia e non ha una componente ideologica, se è vero che anche una parte delle opposizioni ha espresso favore verso questa scelta. Quindi, è una proposta che deve essere discussa in Parlamento, ma sia chiaro: va discussa nel rispetto puntuale di quello che è scritto nell'ambito di questa stessa proposta.
È una proposta che non cerca punizioni né conflittualità, ma esattamente il contrario: si affida, invece, al Parlamento, come oggi si è dimostrato, il compito di valutare e di dire la propria con un meccanismo rafforzato che tranquillizza tutti, come è accaduto già in altri frangenti, sulla possibilità che si possa e si debba riformare la Costituzione a particolari condizioni e con particolari forme di garanzia.
Mi tocca però necessariamente, Presidente, esorcizzare una sorta di fantasma che è stato agitato sull'interpretazione dell'articolo 111 della Costituzione perché, a fronte di illazioni che possono colpire il cuore della nostra democrazia e soprattutto della struttura del processo, una qualche osservazione è strettamente necessaria. L'articolo 111 non ammette delle “disinterpretazioni”: le parti compaiono, in condizioni di parità - le parti, lo ripeto -, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Io chiedo anche ad un bimbo di scuola elementare che cosa vuol dire che due parti, accusa e difesa, compaiono davanti a un giudice terzo ed imparziale. La diversità di quella persona davanti a cui si compare mi sembra evidente; addirittura, questa geometria costituzionale è perfettamente piana e percepibile, quindi, sostenere che l'articolo 111 ha un valore - ho ascoltato - endoprocedimentale e non istituzionale mi sembra davvero difficile da poter digerire, a fronte di una norma scritta in modo così chiaro, così netto e così preciso che dà l'idea di quel triangolo isoscele in cui sulla cima c'è il giudice e alla base, alla stessa distanza, l'accusa e la difesa. Non è difficile trarre un principio da tutto questo: la stessa distanza che ci deve essere fra il giudice e la difesa deve esserci tra il giudice e l'accusa.
La terzietà e imparzialità sono solo del giudice: l'articolo 111 dice che solo il giudice è terzo e imparziale, non gli altri magistrati. Allora, la terzietà si manifesta con la norma ordinamentale, che deve garantire la terzietà; l'imparzialità, invece, è propria dei provvedimenti del giudice, che deve dimostrare di essere imparziale attraverso i suoi provvedimenti. Questa descrizione semplice che l'articolo 111 opera, se noi volessimo tradurla in una metafora potremmo dire che anche nelle competizioni sportive l'arbitro non è mai della stessa città delle 2 squadre. È ovvio che chi giudica non può avere nessuna parentela con le altre 2 parti, neanche di genesi culturale. Qui, molte volte ho ascoltato che non ci sono i passaggi tra pubblici ministeri e giudici, ma non è questo il punto: il punto è la genesi; non deve esserci la stessa matrice né culturale né ordinamentale; si deve trattare di parti da un lato e di un giudice dall'altro. Qualsiasi cittadino vorrebbe essere giudicato da chi sa non avere parentele né con chi lo difende né con chi lo accusa. Se noi ci mettessimo, come dovremmo fare, nei panni di quel cittadino che entra in un'aula di giustizia, dovremmo vedere un giudice che è ontologicamente diverso da coloro che sono al suo fianco, perché gli imputati siedono a fianco del proprio difensore e il pubblico ministero, dopo la riforma Pisapia-Vassalli, è sulla stessa linea; mentre ricordo che prima era, invece, vicino al collegio e al giudice. Ora, il PM ha un banco ed avrà un valore il fatto di stare davanti e sulla stessa linea, no? Davanti ad un giudice terzo la linea, infatti, è identica e il giudice è diverso ed anche lontano rispetto alle parti.
Quando dell'articolo 111 si vuole fare invece uno strumento per dire il contrario, mi sarà consentito ribadire, sotto il principio della letteralità e della formulazione, un'idea diversa. Quindi è un Governo che non ha nessun retropensiero nell'ambito di questa riforma, che si ispira anche a degli interventi: poi su quest'intervista di Giovanni Falcone del 1991 tanto si dice, ma io dico che basta ascoltarla e leggerla letteralmente e ognuno poi si fa l'idea che vuole, come per l'intervento di Matteotti sul punto. Ribadisco, Presidente, che nessuno intende dare al pubblico ministero il ruolo di gigante e al giudice il ruolo di nano, è esattamente il contrario: noi riteniamo che dividere il pubblico ministero dal giudice potenzi il giudice notevolissimamente - fatemi passare questa enfasi della crescita del giudice, che noi riteniamo centrale nell'ambito del sistema giudiziario -, e comunque, anche se il pubblico ministero dovesse crescere, la crescita del giudice sarà nettamente superiore e darà quell'idea di terzietà e di imparzialità che l'articolo 111 ribadisce.
Allora, io credo che il dibattito convinca ancor più della necessità - e qui vado al metodo - di andare in fondo alla scansione procedimentale dell'articolo 138, molto garantita e molto garantista: credo che tutto si possa dire, ma si tratta di un metodo estremamente articolato con i 4 passaggi e quell'intervallo.
Io credo che se, come molto auspicabile - e su questo condivido il pensiero del Ministro Nordio -, questa riforma dovesse essere sottoposta al vaglio del popolo mediante l'esercizio della democrazia diretta, questa sarebbe la migliore tranquillità per tutti e ognuno di noi potrà affidarsi a quello che sarà il giudizio degli strumenti di democrazia diretta, cari a tutti. Qui, infatti, non ci sono appartenenze e credo che nessuno possa dirsi contrario alla democrazia diretta: quindi, penso che tutto passerà attraverso un giudizio che, come in altri casi, sarà di promozione o bocciatura. Questo credo che debba tranquillizzare tutti quanti noi sul rispetto delle procedure e sulla possibilità che, poi, ci possa essere un giudizio più ampio su questa riforma: se queste norme meriteranno o meno di entrare nella nostra amata, amatissima, Costituzione .
PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Alfonso Colucci ed altri n. 1 che sarà esaminata e posta in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Andrea Quartini. Ne ha facoltà.
ANDREA QUARTINI(M5S). Grazie, Presidente. È di qualche ora fa, purtroppo, una notizia che credo addolori tutti quanti: a Firenze, a Calenzano per l'esattezza, è esploso uno scarico di materiale infiammabile. Si tratta, in particolare, di una raffineria dell'ENI dove petrolio, cherosene ed altri prodotti di combustione hanno fatto un danno importante: al momento si parla di 2 morti, di 4 dispersi e di 8 feriti. Ci sono ospedali che sono tutti quanti allertati, come Careggi, e l'elisoccorso. Quindi, è una situazione particolarmente critica, ma non solo: entro 5 chilometri dall'area in cui si è realizzata questa esplosione, è richiesto ai cittadini di non uscire e di rimanere chiusi in casa. Il problema è che l'esplosione ha anche abbattuto le finestre. Quindi, è un'esplosione di dimensioni gigantesche in un luogo, peraltro, che ancora oggi noi ci chiediamo come possa essere messo al centro di un'area così nevralgica a livello nazionale. Voglio ricordare che lì vicino - e senz'altro molto più vicino dei 5 chilometri - passano l'autostrada e la linea ferroviaria tra Firenze e Bologna, oltre che l'aeroporto lì presente.
Chiaramente la situazione si sta evolvendo, minuto dopo minuto, con forti elementi di disagio rispetto a questa circostanza. Naturalmente il dolore per le vittime, così come per i feriti, è fortissimo, è un dolore di dimensioni enormi. Del resto, molti di questi feriti sono sia al Centro grandi ustioni di Pisa sia a Careggi e, quindi, esprimiamo la nostra vicinanza totale rispetto a questa situazione.
Credo sia importante che vengano a riferire qui, alla Camera, sia il Ministro Calderone, perché si tratta di qualcosa che ha a che fare con un incidente sul lavoro, l'ennesimo in questo ultimo anno, ma anche il Ministro Pichetto Fratin rispetto al disastro ambientale che si potrebbe essere verificato. Sicuramente non è il momento delle polemiche rispetto a questo tema, ma è il momento di stare vicini alle famiglie e cercare di capire come sta evolvendo la situazione, minuto dopo minuto. Grazie, Presidente .
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Quartini. Ovviamente, anche la Presidenza si unisce al dolore per questo incidente o quello che sarà.
Ha chiesto di parlare, sul medesimo argomento, l'onorevole Furfaro. Ne ha facoltà.
MARCO FURFARO(PD-IDP). Grazie, Presidente. Un botto enorme, come se a esplodere fosse stata una bomba: così raccontavano l'esplosione di questa mattina. Un botto enorme che si è sentito lontano chilometri, anche nei paesi più vicini. Un botto enorme che ha frantumato vetri, ha spostato oggetti. Un botto enorme che, purtroppo, è costato la vita a due persone e ha causato nove feriti, e ci sono ancora tre dispersi. È il bilancio dell'esplosione del deposito di carburanti di Calenzano, nella provincia di Firenze.
Oggi, intanto, immediatamente vorremmo far pervenire il nostro più sentito e commosso cordoglio, quello del Partito Democratico, del gruppo parlamentare dei deputati e dei senatori, della nostra comunità alle famiglie delle vittime e alle vittime stesse, sperando e augurando una pronta guarigione a quei feriti e di ritrovare quei dispersi che in questo momento, purtroppo, non si trovano. È l'ennesima strage sul lavoro, è un anno nero: 200 morti in Italia, 35 in Toscana.
E vanno ringraziati per questo, se le vittime non sono così numerose, anche se sono troppe, i Vigili del fuoco, che sono riusciti a domare in maniera tempestiva ed efficace l'incendio; il sistema toscano di allerta, che si è attivato immediatamente; gli ospedali, gli operatori sanitari, i dottori, tutti coloro che in questo momento si stanno prodigando; il sistema di avvertimento della Protezione Civile, che ha chiesto di chiudere le case entro 5 chilometri e di rimanere in casa, perché, oltre al danno, ai feriti, ai morti, c'è anche il rischio di un danno ambientale.
Stasera qualche padre e qualche madre, purtroppo, non ritroveranno i propri figli, perché morti sul lavoro; altri non rivedranno più, purtroppo, magari il proprio padre o la propria madre. È l'ennesima strage e chiediamo al Governo di intervenire e di venire a riferire immediatamente, per accertare, ovviamente, le responsabilità, ma soprattutto chiediamo, una volta ancora, di fermare questa insopportabile strage che dura non solo da giorni, non solo da settimane, ma da anni. Una volta ancora accade nella nostra Toscana, che si stringerà attorno ai familiari delle vittime, perché la nostra comunità è una comunità che oggi, in questo momento, soccorrerà le persone e si prodigherà in aiuto, ma ci starà anche vicina perché siamo una comunità che non lascia indietro nessuno.
Ma chiediamo al Governo di intervenire immediatamente in Aula non per un elemento di polemica, ma perché vogliamo accertare le responsabilità, e non solo per giustizia verso le vittime, ma perché abbiamo un compito, tutti noi, classe dirigente, che nel 2024 non accadano mai più episodi come questi. Perché le persone che si alzano la mattina per andare al lavoro hanno il diritto di tornare a casa dai propri familiari. Grazie .
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Furfaro.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Quartini ed altri n. 1-00369 e Grimaldi ed altri n. 1-00373 concernenti iniziative in materia di legalizzazione della cannabis per finalità di carattere terapeutico e ricreativo .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Quartini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00369. Ne ha facoltà.
ANDREA QUARTINI(M5S). Grazie, Presidente. Quando si parla di questo tema, che è un tema divisivo, come si dice, ci si trova sempre a dover fare una riflessione sul significato che hanno queste parole, proibizionismo e antiproibizionismo, sul significato che noi vogliamo dargli. Su questo tema c'è stato uno scontro ideologico per anni, uno scontro ideologico molto forte, molto significativo. Uno scontro ideologico che ha portato una parte del Paese a pensare che la soluzione rispetto ai problemi correlati alla droga fosse la repressione, mentre un'altra parte del Paese pensava che fosse, invece, importante intervenire con la prevenzione.
Credo che lo scontro ideologico tra proibizionisti e antiproibizionisti sia un falso problema. Nessuno di noi, Presidente, vorrebbe convertire le coltivazioni di tabacco o le vigne a grano, che pure sono alcol e tabacco le vere droghe di passaggio. Non è vero che la cannabis è una droga di passaggio, ma sono soprattutto le droghe legali le droghe di passaggio. Pensi, Presidente, che il 67 per cento degli italiani ha bevuto nell'ultimo anno, il 25 per cento degli italiani ha fumato nell'ultimo anno, il 35 per cento degli italiani ha usato cannabis, giusto per dare un ordine di grandezza, contro poco più del 5 per cento per quanto riguarda la cocaina e altre sostanze psichedeliche.
Cosa vuole dire questo? Vuole dire che alcol, tabacco e cannabis sono, più o meno, allo stesso livello epidemiologico e di contestualizzazione di un uso diffuso. Questo è un dato di fatto, che si voglia o che non si voglia, questo è lo stato attuale dei fatti. Quindi, il problema in realtà diventa non tanto quello di proibire una sostanza o di promuoverla, assolutamente. Il problema è trovare sobriamente una posizione, il problema è che si riesca a dare una corretta informazione, il problema è limitare la commercializzazione, semplicemente questo.
Allora, in questa logica di limitazione della commercializzazione, che vuol dire anche limitare il consumo di tabacco, di alcol e di cannabis, in questo contesto, ecco la nostra proposta. È una proposta che farebbe un gran bene a diversi aspetti del nostro contesto di riferimento. Pensi, Presidente, che sono state commesse violazioni per 34.679 eventi e hanno riguardato 32.000 persone. Sono state denunciate all'autorità giudiziaria 27.674 persone nel 2023.
Il 76 per cento delle sostanze riportate nelle segnalazioni riguarda la cannabis e raggiunge il 97 per cento tra i minorenni e il 78 per cento fra le persone straniere. Cioè, giusto per dare un ordine di grandezza, legalizzando la cannabis, si decongestionerebbero le carceri immediatamente, perché si sta parlando di 27.674 persone che hanno a che fare con l'uso illecito della cannabis e che si trovano a ingolfare tutto il sistema giudiziario, e non solo, congestionano anche le carceri.
La cannabis risulta la minor causa dei trattamenti sanitari, con il 12 per cento di utenza nei SerD, il 6 per cento dell'utenza presso le strutture private, il 5 per cento dei ricoveri in pronto soccorso. Da sola, alla cannabis è riconducibile il 40 per cento degli oltre 16 miliardi di valore del mercato delle droghe illecite, pari a 6,5 miliardi. I numeri lo dicono in maniera molto chiara, molto significativa: siamo di fronte a un fenomeno diffuso, che crea disagio, dal punto di vista dei reati, problemi dal punto di vista carcerario, generando 6,5 miliardi almeno alla criminalità organizzata. Questo è un dato di fatto.
Noi pensiamo che a mafiosi, 'ndranghetisti, camorristi facciano paura due cose. Due cose oggi fanno paura: il carcere duro, che purtroppo questa maggioranza ha reso meno duro - ma questo è un altro discorso che non rientra nella logica della trattazione di questo problema - e la legalizzazione della cannabis. Noi sappiamo che se lo spacciatore, oltre alla cannabis, ha altre sostanze, c'è anche questo passaggio da una sostanza meno dannosa, meno significativamente pericolosa a quella più pericolosa, perché lo spacciatore è sempre lo stesso, è quello che va a spacciare anche sostanze più dannose.
Eppure, nonostante questi numeri, nonostante questo fenomeno, siamo in un quadro normativo estremamente punitivo. La legislazione è tutta incentrata sulla repressione penale, che non consente, tuttavia, di arginare un fenomeno ampiamente diffuso e con forti radicamenti sociali e culturali, la cui rilevanza richiede che siano disciplinati e regolamentati - questo è il tema - piuttosto che vietati o puniti.
Nel 1993 fu approvato un referendum popolare: era un referendum in cui oltre 19 milioni di cittadini, il 55,3 per cento, si espressero contro la repressione penale del consumo di cannabis.
Io credo non sia accaduto da nessuna parte che non si sia dato luogo a quello che i cittadini volevano; sulla cannabis questo è successo. Questo è successo; è dal 1993, trent'anni, che si aspetta un'operazione virtuosa da questo punto di vista. Ci ha provato la Corte di cassazione; nel 2022 la Corte di Cassazione ha detto che, ai fini della configurabilità del reato, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica. Allora, cosa vuol dire questo? Vuol dire che c'è, di fatto, un vuoto legislativo, assolutamente significativo, che mantiene fermo il reato, l'articolo 73 del testo unico degli stupefacenti; e noi vorremmo, con questa mozione, suggerire al Governo di modificarlo, ossia di sottrarre all'azione penale sia la coltivazione di cannabis a uso domestico, sia la cessione di modeste quantità per uso di gruppo, oltre che diverse misure di depenalizzazione.
È necessario che il legislatore intervenga per armonizzare le istanze sociali, ben tradotte nei consensi giurisdizionali e, tuttavia, rimaste disattese dalle norme vigenti al fine di garantire il diritto di accedere ai benefici terapeutici della cannabis per tutti i pazienti che lo richiedano e per escludere la criminalizzazione di una condotta che contempla l'uso ricreativo della cannabis, che non viene sentita o ritenuta illecita dalla maggioranza dei cittadini e che non è lesiva della salute pubblica.
Da questo punto di vista, sia in Italia che in Europa, le attività repressive sul traffico, lo spaccio e la detenzione di cannabis ci dicono che un numero significativo di appartenenti alle Forze di polizia giudiziaria, di magistrati - che è un multiplo di quello impegnato nelle azioni di contrasto all'eroina, ovvero alla cocaina, che sono ben più micidiali - ne trarrebbe un vantaggio importante.
Mi avvio rapidamente alla conclusione. Noi sappiamo che, a livello europeo, già altre Nazioni sono andate avanti in questo ambito. Sappiamo che in Paesi come la Germania, Malta, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Francia e Regno Unito, negli stessi Stati Uniti, in Colorado, Washington, Oregon, Alaska, nel Distretto di Columbia, in Uruguay non si è visto da nessuna parte che, con la legalizzazione della cannabis, ci sia stato un incremento nel suo consumo. Non si è visto da nessuna parte. Questo è un dato di fatto. Mi soffermo molto rapidamente Presidente - perché mi rendo conto di essere già fuori dai tempi - su due fenomeni.
Il primo, abbiamo un problema di cannabis medicale, che andrebbe assolutamente sostenuto. Abbiamo uno stabilimento chimico farmaceutico militare, a Firenze, che può risolvere il problema che molti pazienti hanno rispetto a tante patologie, per le quali la cannabis terapeutica può essere efficace e andrebbe sostenuto. Abbiamo un problema di filiera della canapa industriale; con il decreto Sicurezza si sta creando un problema enorme a 3.000 aziende e 30.000 persone impiegate in questo contesto. L'OMS dice che il cannabidiolo - che non ha effetti “drogastici”, non ha effetti significativi sul sistema nervoso centrale - è una sostanza sicura, tranquilla; l'importante è che il THC non sia al di sopra di 0,5 grammi per chilo. Allora, in questo senso, invito il Governo (anche nella mozione è presente) a cercare di risolvere il problema dell'approvvigionamento di THC - per le persone che sono affette da problemi importanti, come il dolore cronico, come il dolore post-operatorio, come una serie di patologie per le quali la cannabis è riconosciuta come efficace - nonché quello della filiera della canapa industriale, che rischia di essere assolutamente compressa da una posizione ideologica che questo Governo ha assunto
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mari, che illustrerà anche la mozione n. 1-00373 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MARI(AVS). Grazie, Presidente. Se dovessimo cercare un caso di scuola, diciamo così, una lezione di educazione civica, nella quale spiegare come in Parlamento si fanno leggi - o non si fanno - contrarie all'esperienza concreta, ripetuta nel tempo, incapaci di guardare all'evidenza scientifica, sorde rispetto alla direzione che prendono altri Paesi in una determinata materia, quello dell'uso della cannabis cadrebbe, come si dice, a pennello, perché questo è veramente un caso di scuola.
Ciò che accade ancora nel nostro Paese rispetto alla produzione, all'uso - diciamo così -, allo sguardo esclusivamente repressivo dello Stato e a ogni forma di divieto che le nostre leggi adoperano, prescrivono, è davvero qualcosa che non è spiegabile con l'ideologia, ma con l'ideologismo, ossia con la degenerazione delle idee che a forza, a qualsiasi costo, vengono utilizzate nel produrre le leggi.
Anche quest'anno, il XV Libro Bianco sulle droghe, quello prodotto da autorevoli soggetti (la Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, la CGIL, l'Associazione Luca Coscioni, l'Arci e ancora il Gruppo Abele, potrei continuare) ci dice per l'ennesima volta la stessa cosa, ossia che siamo in una situazione drammatica, per quanto riguarda gli effetti della legislazione in materia di droga, a ormai 34 anni dal testo unico, soprattutto dal punto di vista degli effetti penali. Infatti, in particolare, l'articolo 73 della legge Jervolino-Vassalli continua, in questo Paese, a rappresentare il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri di questo Paese.
Non è una forzatura affermare che, se non vi fosse questa impostazione normativa, non avremmo neanche il problema del sovraffollamento. I numeri sono là, chiari, netti, precisi. Nel 2023, su 40.661 ingressi nelle carceri italiane, 10.697 (il 26,3 per cento) erano dovuti alla violazione dell'articolo 73 della legge sulle droghe e 15.492 erano le persone detenute classificate come tossicodipendenti.
Le segnalazioni ai prefetti per la detenzione di sostanze per uso personale continuano a crescere implacabilmente e producono più di 13.000 sanzioni l'anno, il 76 per cento di queste sanzioni si riferisce all'uso della cannabis.
La repressione continua ad abbattersi in particolare sui minori; il dato è in aumento costantemente nel 2023 rispetto al 2022. Non sono a disposizione i dati del 2024 ma è presumibile che ci diranno la stessa cosa. Il percorso, a cui vanno incontro i minori, in particolare, è definito da tutte le evidenze scientifiche desocializzante e controproducente. Quindi, questa legislazione è accertato abbia perduranti effetti insalubri e criminogeni e questo Governo, se possibile, continua a usare la stessa logica e a peggiorare la situazione. Lo ha fatto con il decreto Caivano, nel quale la cosiddetta lieve entità, che era punita da sei mesi a quattro anni, è diventata punibile da sei mesi a cinque anni.
Nel decreto Sicurezza, in discussione in Parlamento, addirittura la cannabis viene equiparata alla cannabis, con alto contenuto di THC, per capacità drogante: un assurdo anche qui, anche in questo caso, contrario ad ogni evidenza scientifica.
Bene, tutto questo caratterizza il nostro Paese, mentre in tutto il mondo - come ha detto il collega Quartini prima - si va nella direzione esattamente opposta. Negli Stati Uniti, 25 Stati hanno legalizzato la cannabis. In Canada la legalizzazione è avvenuta con il Canadian Cannabis Survey del 2023; qui il 73 per cento dei consumatori acquista la cannabis nel mercato legale - sottolineo questa parola -, il 15 per cento nel mercato sociale. Ancora, in Sudafrica, è avvenuta la stessa cosa. In Europa si assiste, in molti Paesi, a un cambio di passo e ai primi passi positivi, addirittura in Germania, dopo che hanno fatto questa scelta Malta e il Lussemburgo. Dal 1° aprile in Germania è in vigore il primo pilastro di un progetto di riforma complessiva del regime legale della cannabis. Quindi, si assiste in Europa e nel mondo a un processo generale e ineludibile di riforma delle politiche sulle droghe. Ciò sarebbe - è quasi superfluo dirlo - particolarmente utile nel nostro Paese che, ahimè, è, come tutti sanno, contrassegnato da una presenza significativa delle organizzazioni criminali. Quindi, avremmo un vantaggio sul nostro sistema giudiziario, un vantaggio nella lotta alle organizzazioni criminali che si alimentano, sostanzialmente, del mercato della droga e, legalizzando la cannabis, verrebbe sottratto uno degli elementi di forza di questa organizzazione, di questo controllo sociale; avremmo addirittura anche un significativo vantaggio dal punto di vista finanziario.
Infatti, diversi studi di economisti sostengono la superiorità degli strumenti fiscali per contenere, anche volendo, il consumo delle droghe rispetto all'applicazione di una normativa proibizionista come la nostra. Il professore Rossi ha stimato che le imposte che si potrebbero ricavare, come già avviene in molti Paesi, dalla vendita legale della cannabis porterebbero a una cifra compresa tra i 5 e i 6 miliardi di euro l'anno. Ecco, la politica antiproibizionista fallisce su tutti i fronti: quello dei nostri giovani, quello del controllo sociale, quello della giustizia, quello della salute, quello della lotta alle mafie. Cosa possa servire di più per convincere chi si ostina a tenere in piedi questo sistema è davvero un mistero.
La nostra mozione, come quella di altre forze politiche in Parlamento, chiede al Governo di procedere, con un apposito provvedimento legislativo, alla depenalizzazione e alla decriminalizzazione dei derivati della cannabis per uso personale e terapeutico; di consentire, con apposite iniziative di carattere normativo, la regolamentazione legale della coltivazione della cannabis, definendo il numero di piante e di grammi del prodotto, la cui detenzione per uso personale sia consentita, escludendo una ricaduta penale e l'eventualità di una sanzione amministrativa; infine, come è stato detto e come tutti sanno, di favorire l'accesso alla cannabis terapeutica al fine di consentire ai pazienti, che necessitano di trattamenti a base di tale sostanza, di ottenere facilmente i prodotti prescritti.
Presidente, la situazione credo sia abbastanza chiara; solo l'ostinazione, solo l'ideologismo, solo la necessità di fare propaganda anche su questo tema, di rimarcare la rincorsa a politiche securitarie - che poi, in questo caso, con la sicurezza non hanno niente a che fare - ci consegnano questo ruolo, diciamo così, di ultima fila rispetto alle politiche relative alle droghe, alle droghe in generale, ma in particolare alle sostanze, come la cannabis, che vere e proprie droghe non sono. Il momento di depenalizzare e sottrarre la produzione e il commercio della cannabis alle mafie da questo punto di vista era già ieri.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vaccari. Ne ha facoltà.
STEFANO VACCARI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Intervengo, a nome del Partito Democratico, su una mozione, che anche noi presenteremo nelle prossime ore, che tratterà diversi aspetti del tema, che anche i colleghi hanno già citato, e, in particolare, la legalizzazione della cannabis, la cannabis la cannabis terapeutica e la canapa industriale, insomma i diversi aspetti che hanno a che fare con questo tema. Questo Parlamento, in passato, si è già occupato della legalizzazione della cannabis, anche in occasione dei diversi tentativi di referendum che sono stati promossi a partire dal 1981, poi nel 1993, nel 1997 e, da ultimo, nel 2022, e delle proposte di legge che, nelle varie legislature - e anche in questa -, sono state presentate dai colleghi.
È, quindi, opportuno che questo Parlamento lo faccia anche ora, perché è un tema sentito, in particolare, dalle giovani generazioni. È un tema che ha prodotto mobilitazioni molto significative e di massa, con riferimento al quale - che lo vogliano o meno i detrattori -, a nostro avviso - è necessario che questo Parlamento prenda un orientamento, in modo chiaro e senza rimanere in mezzo al guado di logiche proibizioniste, securitarie e ideologiche che sono risultate fallimentari non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Già nel 2016, la Commissione giustizia di questa Camera svolse alcune audizioni proprio in relazione alle proposte di legge che erano state depositate. Tra quelle audizioni, voglio citare quelle dell'allora procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, di cui voglio riproporre, in questo mio intervento, alcune sue riflessioni, perché le ritengo ancora utili alla nostra discussione. Condivido, infatti, con lui che qualunque ipotesi di legalizzazione delle droghe leggere andrebbe inquadrata in una strategia di potenziamento della complessiva azione di contrasto al narcotraffico nei termini che la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo ha costantemente indicato nelle relazioni annuali trasmesse al Parlamento. Per questo, proverò a sviluppare, nel mio intervento, una riflessione su questi aspetti che legano la cannabis al mercato delle droghe, nel suo complesso, e alla criminalità organizzata, che lo gestisce, perché, su questo tema, la Direzione nazionale antimafia ha fornito un contributo a più riprese di natura pragmatica, scevro da pregiudizi politici e ideologici ed esclusivamente fondato su fatti e circostanze documentati. Ed è a questo che la nostra discussione credo dovrebbe cominciare a fare riferimento, con la finalità di trovare soluzioni concrete ai complessi e numerosi problemi della materia, molti dei quali, da troppo tempo, si ripropongono reiteratamente uguali a se stessi, senza che vi sia una risposta di sistema davvero efficace.
È chiaro che parliamo di un tema di cui bisogna fare un'analisi in tutti i suoi aspetti, quali le dimensioni quantitative e qualitative del narcotraffico, l'entità del mercato, il numero dei consumatori, le dinamiche criminali che muovono il sistema del narcotraffico, le grandi organizzazioni che le governano, la quantità di risorse finanziarie che il fenomeno muove, la direzione verso cui tali risorse vengono indirizzate e, infine, in senso dinamico, i dei profili evolutivi sia del traffico, sia del consumo. Poi ci sono, ovviamente, i risultati raggiunti dall'azione di contrasto. Infine, ci sono gli elementi che la DNA, in particolare, ha sempre rappresentato, individuando le criticità dell'azione di contrasto ed esprimendo una valutazione onesta sulla sua adeguatezza, svolta sulla base dei dati e delle circostanze di fatto acquisite.
La relazione del 2024, con i dati del 2023, ci racconta che il mercato delle droghe è stato gestito da gruppi criminali che non pongono limiti ai confini geografici della loro attività, dimostrando di essere in grado di superare qualsiasi difficoltà di comunicazione, trasporto e occultamento della droga. In aggiunta al coinvolgimento di sodalizi mafiosi più volte riscontrato, le indagini condotte dalle Forze di Polizia hanno documentato l'operatività di gruppi misti, costituiti da persone di diverse nazionalità, così come le interazioni tra le componenti straniere e i gruppi italiani. Si tratta, a volte, di soggetti che, pur non essendo stabilmente inseriti in strutture criminali organizzate, hanno capacità relazionali, logistiche, finanziarie e di comunicazione tipiche delle associazioni di tipo mafioso.
Allora, l'osservazione dei fenomeni criminali e l'analisi degli indicatori offerti dalle attività antidroga concluse nel 2023 dalle Forze di Polizia, sotto il coordinamento della Direzione centrale per i servizi antidroga, avvalorano la costante presenza di due aspetti: il primo è il crescente impiego della tecnologia crittografica, vero e proprio ostacolo allo sviluppo delle indagini per il contrasto al traffico; il secondo è la contiguità in ambito portuale, che agevola le movimentazione di nei quali è occultato lo stupefacente.
Dunque, in base ai luoghi di produzione, le principali rotte mondiali della marijuana sono: la rotta latino-americana, la rotta adriatica, la rotta balcanica, la rotta africana, dentro alla quale si inserisce il rapporto con il nostro Paese. In Italia, la marijuana arriva principalmente dall'Albania via mare, come attestano i sequestri nelle acque antistanti le aree portuali. L'hashish trafficato in Europa proviene soprattutto dal Marocco, mentre l'hashish proveniente dall'Asia è estradato sulle rotte terrestri che portano in Europa e, poiché la produzione della marijuana è diffusa in varie aree del pianeta le organizzazioni criminali coinvolte nel traffico sono numerose. Dunque, è estremamente complesso fare una stima dei livelli globali di produzione illecita di cannabis, non solo a causa delle immaginabili difficoltà di monitoraggio e segnalazione, ma, soprattutto, perché la sua coltivazione è presente in tutte le regioni del mondo, sia in dimensioni diverse, dalle piccole colture per uso personale alle coltivazioni su vasta scala in piantagioni, sia negli ambienti più disparati, e .
Ciò non toglie che la cannabis sia di gran lunga la droga più consumata a livello mondiale. Si stima che, nel 2021, abbiano fatto uso di cannabis 219 milioni di persone nel mondo, pari al 4,3 della popolazione globale adulta, con un aumento, nell'ultimo decennio, del 21 per cento, sebbene i dati sui sequestri mondiali nel 2021 siano risultati in diminuzione. Una conferma della diffusione mondiale del consumo di cannabis viene anche dai dati sui sequestri nell'Unione europea, che, durante il COVID-19, sono calati, ma sono risaliti nel 2021 e hanno raggiunto livelli record, pari a 256 tonnellate di marijuana e circa 816 tonnellate di hashish.
In questo complesso scenario, si rafforza il ruolo egemone della calabrese, che continua a rappresentare l'organizzazione mafiosa italiana più insidiosa e pervasiva, caratterizzata da una pronunciata tendenza all'espansione, su scala sia nazionale sia internazionale, e una delle più potenti e pericolose organizzazioni criminali del mondo.
La disponibilità di ingenti capitali di provenienza illecita e una spiccata capacità di gestione dei diversi segmenti e snodi del traffico le hanno permesso, nel tempo, di consolidare un ruolo rilevante nel narcotraffico.
Anche la camorra ha proseguito nelle attività di importazione di stupefacenti, soprattutto hashish e cocaina, sfruttando, per un verso, le proprie proiezioni operative in Spagna, nei Paesi del Sud America, in Africa e nella penisola arabica e, per l'altro, la stretta collaborazione con le cosche calabresi. Quindi, emergono dalle indagini accordi e alleanze intrecciati, sia con i trafficanti sudamericani, sia con quelli olandesi di origine marocchina, attivi nei porti di Rotterdam e di Anversa.
Ma prima di tutto, vogliamo sottolineare che l'azione di contrasto efficace che questi dati ci confermano non è quella che tende solo al mero contenimento del fenomeno, bensì quella che è in grado di invertire il in continua crescita del narcotraffico e che, nel corso degli ultimi trent'anni, ha aumentato a dismisura il potere criminale finanziato dai narcotrafficanti e che, attualmente, costituisce una preziosa risorsa anche per i terroristi.
È già stato evidenziato in passato come il crimine organizzato si sia rafforzato negli anni, sia nel nostro Paese, sia nel mondo intero, grazie proprio al controllo di un mercato che vale annualmente 560 miliardi di euro a livello globale e circa 30 miliardi di euro in Italia, pari circa al 2 per cento del PIL nazionale, ricchezza illecita inevitabilmente destinata a rifluire in gran parte sul mercato finanziario ed economico legale, alterando le regole essenziali e, fra queste, la più importante, che è quella che, in un sistema liberaldemocratico, assicura giustizia, equità e progresso sociale, ossia la parità di partenza tra i diversi operatori economici.
Quindi, negli ultimi 20-25 anni, in concreto, è stato stimato che, anche oggi, le narcomafie dispongano, al netto, di un patrimonio ripulito presente sui mercati finanziari, di una cifra pari a circa 8.300 miliardi di euro e di circa 400 miliardi nel nostro Paese, patrimonio che, come testimonia la UNODC, la più prestigiosa agenzia internazionale che si occupa di crimine organizzato, di anno in anno si incrementa di circa 20 miliardi di euro.
Pensiamo a quanta corruzione può essere alimentata da soggetti criminali che dispongono di queste entrate e di questi patrimoni. Da qui nasce la priorità dell'azione di contrasto al narcotraffico e proprio su questo terreno la sua efficacia deve essere misurata, verificando, cioè, la sua capacità di superare un inaccettabile e di invertire una rotta che ha portato, negli ultimi 30 anni, a concentrare in mani criminali rilevantissime risorse illecite, che rischiano di condizionare l'economia legale e lo sviluppo del Paese. Questo non lo dicono soltanto il semplice deputato Vaccari o il Partito Democratico, ma lo hanno detto procuratori nazionali antimafia, magistrati, procuratori della Repubblica impegnati nella lotta al narcotraffico, che hanno toccato con mano il problema.
E se, come crediamo, il cuore del problema è rappresentato dalla capacità del narcotraffico di creare e concentrare ricchezze illecite, allora l'azione di contrasto deve essere sviluppata in modo diverso e in tale direzione. In sostanza, dovrebbero essere impiegate in modo più incisivo le risorse, assai rilevanti, che pure vengono spese su questo fronte. In questa prospettiva va osservato che, sul fronte delle droghe pesanti, pur non conseguendo lo sperato risultato di inversione del , si è, tuttavia, ottenuto un sensibile contenimento del fenomeno.
Gli stessi risultati, però, non si sono ottenuti, nonostante lo stesso impegno, nel settore del contrasto al traffico della cannabis, sempre più fiorente grazie al consumo incontrollato di massa. Allora, quello che bisogna chiedersi è quante migliaia di ufficiali di Polizia giudiziaria impegniamo complessivamente nel settore della repressione del traffico di cannabis, considerando, prima, il numero degli agenti impegnati ad effettuare sul territorio questi interventi, poi quello degli ufficiali di PG impegnati a redigere le relative informative e verbali e, infine, quello di Carabinieri, finanzieri, poliziotti quotidianamente impegnati nei tribunali per deporre in udienza?
Quanti magistrati, cancellieri, agenti della Polizia penitenziaria, funzionari di prefettura, assistenti sociali impieghiamo per dare corso alle denunce, ai processi, alle segnalazioni di natura amministrativa per lo spaccio, il traffico o per la mera detenzione di tale sostanza? E con quali risultati? Le risposte, anche qui, ce le forniscono in modo agevole i dati. Sul fronte repressivo, impegniamo circa la metà delle forze che abbiamo a disposizione sul campo per contrastare complessivamente il narcotraffico e il conseguente e gravissimo fenomeno del riciclaggio.
Quindi non sarebbe pensabile impiegare più uomini e mezzi nella repressione del fenomeno, perché ciò sottrarrebbe le residue risorse all'azione di contrasto contro fenomeni che lo stesso legislatore ritiene più gravi, come le droghe pesanti, il riciclaggio, la corruzione, il contrasto delle mafie e del terrorismo, ma sarebbe necessario dirottare risorse ed energie dalla repressione di fenomeni meno gravi verso quelli ben più gravi che abbiamo indicato. La verità è che, di fronte a 80 milioni di consumatori presenti nella sola Europa, di fronte a un mercato che ormai ha l'ampiezza di quello della Coca Cola, dei tabacchi e degli alcolici, lo strumento penale diviene in sé inadeguato, e lo è ancora di più quando la pericolosità del fenomeno è sempre meno avvertita.
Allora ecco una parte delle ragioni che ci ha motivato a presentare la nostra mozione. La legalizzazione, se correttamente attuata, potrebbe portare a una rilevante liberazione di risorse umane e finanziarie in diversi comparti della pubblica amministrazione, ad una ancora più importante liberazione di risorse nel settore della giustizia, dove sono decine di migliaia i procedimenti penali che richiedono l'impegno di magistrati e cancellieri, con risultati spesso del tutto inconcludenti, ad una perdita secca di importanti risorse finanziarie per le mafie e per il sottobosco criminale che, ad oggi, hanno il monopolio del traffico, ad una contestuale acquisizione di risorse finanziarie per lo Stato attraverso la riscossione delle accise e, infine, al prosciugamento di una più ampia prospettiva di legalizzazione a livello europeo di risorse economiche e finanziarie per il terrorismo integralista, che controlla la produzione afgana di cannabis.
In conclusione porterebbe a un vero rilancio, attraverso la liberalizzazione e l'acquisizione delle predette risorse, dell'azione strategica di contrasto che deve mirare ad incidere sugli aspetti davvero intollerabili di aggressione e minaccia che il narcotraffico porta sia alla salute pubblica, attraverso la diffusione di droghe pesanti e sintetiche, che all'economia e alla libera concorrenza.
Ecco perché abbiamo chiesto e chiederemo con questa mozione e ci aspettiamo dal Governo un cambio di passo concreto ed efficace, segnali importanti, in particolare, a partire dalle proposte di mozioni che sono state presentate, per poter aprire una discussione vera, libera da pregiudizi ideologici, ma anche sulla base di dati e rilievi scientifici, come quelli che abbiamo riportato, che dovrebbero, contestualmente, dare il segno di questo rinnovato sforzo dello Stato contro le narcomafie per aggredire uno degli aspetti fondamentali .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lancellotta. Ne ha facoltà.
ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA(FDI). Grazie, Presidente. Vice Ministro, onorevoli colleghi, sono anni che Fratelli d'Italia cerca di scuotere le istituzioni da una pressoché totale indifferenza rispetto alle politiche antidroga. Sono anni che denunciamo la situazione drammatica che vede l'Italia ai primi posti in Europa per utilizzo di cannabis e al quarto posto per l'utilizzo di cocaina. Sono anni che cerchiamo di sottolineare che la situazione della diffusione delle droghe sintetiche in Italia è diventata drammatica. Il Sistema nazionale di allerta precoce (SNAP) ha identificato 70 nuove sostanze psicoattive circolanti sul territorio nazionale, con danni incredibili, con rischi di overdose che aumentano in maniera eccezionale e drammatica.
Lo stato della diffusione delle droghe tra i più giovani non è frutto del caso. Nella nostra Italia, nel 2023, almeno una volta nell'anno, ne hanno fatto uso 550.000 ragazzi tra i 15 e i 19 anni, pari al 22 per cento dell'intera popolazione studentesca, e 70.000 giovanissimi, il 2,8 per cento, hanno riferito di farne un uso pressoché quotidiano, 20 o più volte nel mese. Aumenta tra i giovani anche il consumo di cocaina: quasi 50.000 ragazzi, tra i 15 e i 19 anni, riferiscono di avere fatto uso di cocaina nel 2023, quota che, rispetto al totale della popolazione studentesca, sale in un anno dall'1,8 al 2,2 per cento.
In crescita anche il numero di studenti che hanno utilizzato la sostanza prima dei 15 anni. In particolare, tra gli studenti che hanno utilizzato cocaina, la metà circa riferisce un primo utilizzo tra i 15 e i 17 anni, mentre il 39 per cento si è approcciato a questa sostanza prima dei 15 anni. Nel complesso, il 2023 ha fatto contare 8.596 accessi in pronto soccorso per droga, il 10 per cento erano minorenni. I decessi sono stati 227. Questo lo dice la Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia 2024. Un quadro allarmante, che vede i giovani sempre più coinvolti.
A fronte di tutto questo, però, il MoVimento 5 Stelle e le opposizioni hanno voluto portare in quest'Aula una mozione che chiede a questo Governo, tra le altre cose, di adottare iniziative normative volte a legalizzare la cannabis per uso ricreativo. Un nuovo, ennesimo tentativo di promuovere la legalizzazione e la liberalizzazione della cannabis. Sembra che per il MoVimento 5 Stelle e le opposizioni sia così importante far trovare cannabis nelle strade, nelle nostre case, in ogni farmacia, in ogni piazza, in ogni negozio, che non perdono occasione per provare, anche attraverso la mozione di oggi, a raggiungere il loro scopo.
Invece abbiamo cercato di spiegarvelo mille volte, di sottolinearvi i dati scientifici, i danni che provoca al cervello; danni che, poi, cagionano deficit cognitivi, alla memoria, al coordinamento motorio e anche alla possibilità di pensare con la propria testa. Vi abbiamo spiegato quanto, oltre ai danni organici, ci sia una problematica di carattere educativo. La cultura dello sballo, la cultura della normalizzazione dell'uso di sostanze stupefacenti non è frutto del caso, ma è il frutto di una volontà, della vostra volontà. Le dipendenze patologiche in Italia si diffondono perché la cultura dello sballo e della normalizzazione delle droghe si diffonde, perché c'è chi passa tempo e ore a spiegare che drogarsi non fa male, che esistono delle droghe leggere, innocue, e che per questo non fanno male. Ebbene, le droghe fanno sempre male, senza se e senza ma, perché, come dicono alcuni medici e alcuni farmacologi, i farmaci sono veleni e i veleni uccidono.
Le droghe sono veleni e i veleni uccidono. Gli appellativi “leggero” e “pesante” devono essere sempre riconosciuti con un sostantivo iniziale, che è droga, e la droga fa male. Su questo servono determinazione, coraggio, sincerità e onestà, e non fare cassa sulla pelle degli italiani. Quello che, invece, abbiamo visto in questi anni, dal 2011 al 2022, è una serie di Governi che si sono succeduti - Monti, Letta, Renzi, “Conte 1”, “Conte 2” - che hanno visto una totale inerzia rispetto alle politiche antidroga. E sono i fatti a dirlo: avete azzerato il Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga.
C'è voluto il Governo Meloni per trovare il coraggio di dire basta anche al subdolo tentativo di commercializzare, nei cosiddetti cannabis , stupefacenti impropriamente ritenuti non dannosi, ma in realtà estratti dalle infiorescenze della canapa, con conseguenti effetti psicotropi che espongono a rischio la sicurezza e l'incolumità pubblica, ovvero la sicurezza stradale. L'acceso dibattito alla Camera ha portato le opposizioni in netto corto circuito, tanto da far loro sostenere che la nuova norma avrebbe minato la filiera industriale di riferimento e vieterebbe la produzione di cannabis .
In realtà, la sinistra ha strumentalizzato il tema, manifestando, peraltro, una profonda non conoscenza in materia. La novella non criminalizza, né incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa, in quanto non vieta, né limita la produzione della cannabis sativa, così come previsto dalla legge n. 242 del 2016, e non crea contrasti normativi e giuridici con altri Paesi dell'Unione europea, essendo in linea con la normativa europea, e con la Convenzione unica sugli stupefacenti di New York del 1961, che annovera tra le sostanze stupefacenti la pianta della cannabis e la resina di cannabis, consentendo la possibilità di utilizzare i semi e il fusto della pianta, parti non contenenti princìpi psicoattivi, solo per scopi industriali.
Resta, pertanto, perfettamente lecita la coltivazione e la trasformazione della cannabis sativa solo al fine di ottenere i seguenti prodotti: alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori; semilavorati quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico; materiale destinato alla pratica del sovescio; materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia; materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati; coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative, nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati; coltivazioni destinate al florovivaismo.
Non è un caso se la droga è un problema in Italia: avete lasciato assolutamente scoperta la delega alle politiche antidroga, salvo una breve parentesi nel primo Governo Conte, che non ha fatto assolutamente nulla di efficace per affrontare la problematica in maniera sistemica e sistematica. Noi, rispetto a questo, rispetto alla totale assenza e alla totale indifferenza verso il fenomeno della droga, vissuto soltanto come un interesse economico speculativo sulla pelle degli italiani e dei più fragili, abbiamo risposto affidando al Sottosegretario Mantovano la delega alle politiche antidroga, potenziando le operazioni di contrasto alla droga e i sequestri da parte delle Forze di Polizia (rispettivamente, più 6 per cento e più 17 per cento, con 89 tonnellate di sostanze stupefacenti confiscate in Italia e nelle acque internazionali limitrofe), aumentando i progetti di prevenzione - per questo motivo il Ministero della Salute ha istituito un gruppo di lavoro per definire linee di indirizzo sull'identificazione precoce delle dipendenze patologiche - e lavorando su corretta informazione, comunicazione e sensibilizzazione anche nelle scuole, con il coinvolgimento di operatori pubblici, principalmente amministrazioni regionali e dipartimenti delle dipendenze, e privati, associazioni ed enti del Terzo settore.
È necessario agire in un'ottica di rete, come il Ministero della Salute ha fatto, ad esempio, con il Piano contro l'uso improprio di Fentanyl, un Piano che mette insieme tutte le istituzioni coinvolte e attraverso il quale si è intervenuti in chiave preventiva. Sono state definite le procedure, le azioni di contrasto da mettere in campo e le attività di informazione, rivolte specialmente ai giovani, affinché siano consapevoli dei rischi, anche letali, a cui si esporrebbero se cadessero nella trappola del Fentanyl. Bisogna rafforzare le attività di prevenzione, ma anche quelle di presa in carico, per aiutare quanti si rivolgono ai servizi pubblici per le dipendenze a riabilitarsi, accompagnandoli, insieme alle loro famiglie, in un percorso di fuoriuscita dalla dipendenza.
Il consumo improprio e la dipendenza da sostanze stupefacenti sono un problema sociale e di salute pubblica, cui dobbiamo tutti noi porre la massima attenzione. I numeri ci dicono che non dobbiamo abbassare la guardia, e mi avvio a concludere, Presidente. Il Governo Meloni e Fratelli d'Italia non lasceranno soli i più giovani e le famiglie ad affrontare un dramma che oggi, in Italia, riguarda tutti, nessuno escluso .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Baldino. Ne ha facoltà.
VITTORIA BALDINO(M5S). Signor Presidente, oggi il MoVimento 5 Stelle riporta nell'Aula di Montecitorio il dibattito sulla legalizzazione della cannabis. Oggi vogliamo tornare ad affiancare l'aggettivo “legale” vicino alla parola “cannabis”. Lo vogliamo fare perché ce lo hanno chiesto gli italiani: ce lo hanno chiesto gli italiani nel 1993, come diceva il mio collega Quartini; ce lo hanno chiesto gli italiani con oltre 600.000 firme raccolte per un referendum per la legalizzazione dell'autocoltivazione della cannabis nel 2021; ce lo chiedono ogni giorno. Lo vediamo, e lo facciamo perché osserviamo i dati e perché vogliamo fare un dibattito serio su questo tema, perché per una volta dobbiamo dire ai cittadini come stanno le cose, dobbiamo informarli dati alla mano, ascoltando la comunità scientifica e gli esperti, e non facendo soltanto propaganda su questo tema.
Colleghi di Fratelli d'Italia, non fate un favore ai giovani se li lasciate in balia del mercato nero della cannabis, perché quella è la vera droga di passaggio. Non è la cannabis la vera droga di passaggio, la vera droga di passaggio è lo spacciatore. Perché, se tu dici a un cittadino italiano “tu puoi fare un uso ricreativo della cannabis”, perché lo dice la nostra legge, non è vietato farlo, ma contemporaneamente e parallelamente gli dici “però devi comprarla sul mercato nero, perché coltivarla e autocoltivarla è un reato”, allora gli stai dicendo “vai dallo spacciatore”.
Stai ponendo un giovane di 16 anni - che va a comprare in qualunque piazza d'Italia, davanti a qualunque scuola, una dose di cannabis - in balia dello spacciatore che gli dice “questa volta prova questo, invece della cannabis, che ti dà un effetto migliore”. E un ragazzo che non è informato, ci casca, quella è la vera droga di passaggio. Quindi, questo è il servizio che noi da legislatori dovremmo fare: osservare la realtà. Perché, cari colleghi e care colleghe, proibire un fenomeno che è radicato socialmente non vuol dire abolirlo.
Ce lo dicono i dati, ce lo dicono i numeri: 6 milioni di consumatori in Italia all'anno - una stima, tra l'altro, sottovalutata, sottostimata - di cannabis. Ripeto, 6 milioni. Questo che cosa ci dice? Ci dice quanto è facile reperire questa sostanza nel mercato nero. Legalizzare la cannabis ce lo chiede - collega, forse lei non è aggiornata - l'Organizzazione mondiale della sanità, che ha pubblicato 6 raccomandazioni relative alla cannabis in cui raccomanda la rimozione della cannabis dalla tabella 4 della Convenzione unica sugli stupefacenti, e l'ONU ne ha preso atto.
Legalizzare la cannabis ce lo chiede la DDA, perché parte da un'osservazione molto semplice. Partiamo anche da un altro numero: in Italia ci sono 260.000 fascicoli nei tribunali che riguardano il traffico di sostanze stupefacenti, 1 persona su 3 è in carcere per avere violato l'articolo 73 del Testo unico per gli stupefacenti e, in quasi il 50 per cento dei casi, si tratta di cannabis, quindi di una cosiddetta droga leggera, perché, sì, c'è differenza tra droghe pesanti e droghe leggere. La DDA ci dice che il mercato nero della cannabis vale il 40 per cento dell'intero mercato della criminalità organizzata sugli stupefacenti.
Se legalizzassimo la cannabis, riusciremmo a sottrarre 6 miliardi e mezzo di profitti alla criminalità organizzata. Ce lo dice la DDA, non lo diciamo noi.
Allora, perché non ascoltiamo gli esperti, quando facciamo le leggi, quando ci mettiamo, da legislatori, a scrivere le leggi? Non ascoltiamo le sirene della propaganda, perché non facciamo un servizio al Paese. Ascoltiamo gli esperti, che ci dicono in quale direzione andare. Andiamo nella direzione di razionalizzare, regolamentare un fenomeno, di fare un servizio al Paese e non soltanto di fare un servizio a noi stessi, con slogan - che ho sentito poc'anzi - che veramente lasciano il tempo che trovano. La cultura dello sballo: ma che significa cultura dello sballo?
Poi, cosa sta facendo questo Governo contro le tossicodipendenze? Voglio ricordare che, nel 2021, la Ministra Dadone, che aveva la delega alle tossicodipendenze, ha messo in piedi la sesta Conferenza nazionale sulle dipendenze, che non si teneva dal 2009. Voi cosa avete fatto, oltre a peggiorare la situazione delle nostre imprese che operano nella filiera agroindustriale del settore della canapa? Cosa avete fatto, oltre a rendere più difficile la vita ai pazienti che si curano attraverso la cannabis terapeutica, che, nel nostro Paese - diciamolo - è legale? Cosa state facendo per migliorare la loro vita, per consentire loro di reperire la cannabis terapeutica nelle farmacie, per consentire al nostro stabilimento di Firenze di produrre nella quantità richiesta?
Bisogna partire dai dati e, a proposito di cannabis terapeutica, vorrei darvi alcuni numeri. Il fabbisogno è fortemente sottostimato: si stimano 1.200 kg l'anno di fabbisogno per una popolazione di 60 milioni, mentre in Germania, con 70 milioni di abitanti, il fabbisogno è di 9.000 chili. Com'è possibile che in Germania, su 70 milioni di persone, il fabbisogno sia 9.000 chili e in Italia, con 60 milioni di persone, il fabbisogno sia di 1.200 chili? Sapete cosa succede? Succede che questo divario costringe molti pazienti a coltivare in casa, rischiando di commettere un reato, rischiando un processo penale per potersi garantire le cure, che lo Stato, benché dica loro che sono legali, non riesce a garantire.
Qui, a proposito della quarta Conferenza nazionale sulle dipendenze della Ministra Dadone, a proposito di questa storia della cannabis terapeutica, voglio ricordare Walter De Benedetto, che purtroppo non c'è più. Walter era affetto da una grave forma di artrite reumatoide, era in cura con la cannabis e fu mandato a processo per aver coltivato quella sostanza che lo Stato non riusciva a garantirgli.
L'uso terapeutico è legale dal 2007. Che cosa sta facendo questo Governo per consentire a tutte queste persone di curarsi? Che cosa sta facendo per poter garantire loro un diritto? Nulla. Ma a peggiorare il quadro sono le recenti misure adottate dal DDL sicurezza, contro il quale c'è una forte mobilitazione nel Paese, per tanti motivi e uno riguarda proprio la criminalizzazione della filiera che opera nella canapa.
Queste misure rischiano di infliggere un colpo devastante non soltanto ai consumatori, ma anche all'intera filiera agroindustriale, dovreste saperlo. La proposta di vietare la coltivazione e la vendita di infiorescenze, resine, oli e derivati dalla canapa, usati in erboristeria, cosmetica e nell'industria alimentare, è un attacco a un intero settore. È un attacco diretto a un settore che è in crescita, che è in espansione, che si è fidato delle leggi dello Stato.
Si parla, colleghe e colleghi, Sottosegretario, di circa 3.000 aziende agricole che occupano 30.000 posti di lavoro, che oggi sono a rischio, per essersi fidati dello Stato. Un settore che aveva trovato nella canapa una risorsa sostenibile e competitiva grazie anche alla legge che ne consentiva la coltivazione per uso industriale. Invece, questo tira e molla legislativo ha creato incertezza e instabilità, ostacolando lo sviluppo di un'intera filiera industriale, che, invece, poteva rappresentare un'eccellenza per il nostro Paese.
Quindi, tirando le somme di tutti gli aspetti di questa mozione - molto completa e argomentata attraverso anche un normativo e non solo di giurisprudenza, rappresentando i dati e le evidenze scientifiche di cui ho parlato -, perché stiamo discutendo della legalizzazione della cannabis? Perché ci sarebbero benefici enormi dalla sua regolamentazione.
Anche perché - mi permetta un inciso Presidente -, se parliamo di proibire le sostanze dannose, allora dovremmo proibire l'utilizzo di alcol, su cui lo Stato lucra, dovremmo proibire l'utilizzo del tabacco, su cui lo Stato lucra, dovremmo proibire il gioco d'azzardo, su cui lo Stato lucra ! Perché non avete il coraggio di farlo? Fatelo, se ci tenete così tanto alla salute dei cittadini e soprattutto dei giovani. Perché no? Perché voi fate solo propaganda sulla pelle dei cittadini e soprattutto sulla pelle dei giovani.
Legalizzare la cannabis attraverso l'autocoltivazione, come proponiamo noi in questa mozione e in una proposta di legge alla quale stiamo lavorando, vuol dire ridurre il potere nelle mani della criminalità organizzata, vuol dire aumentare le entrate fiscali, vuol dire sicurezza per i consumatori, attraverso l'uso di sostanze che sono regolamentate e di cui si sappia cosa c'è dentro e che non siano tagliate dallo spacciatore di turno, vuol dire sviluppo di un'intera filiera industriale.
Legalizzare la cannabis vuol dire tutte queste cose. Tutto il resto è propaganda, tutto il resto - Presidente, mi consenta di dirlo - è solo ignoranza.
È, quindi, un atto di responsabilità arrivare a questa conclusione, da parte di un legislatore che sia lungimirante. Serve coraggio e serve visione. Questa mozione rappresenta un passo verso un futuro più sicuro per tutti. Non possiamo permettere che il proibizionismo continui a danneggiare i cittadini, le imprese, le istituzioni, l'economia e anche le persone che vorrebbero curarsi attraverso questa sostanza, che - ripeto - è lecita.
Quindi, caro Presidente, cari colleghi, concludo dicendo che è ora di accendere una luce, un faro in questa lunga, pericolosa, ipocrita, dannosa e inefficace notte di proibizionismo .
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Chiedo al Governo se intenda intervenire o si riservi di farlo successivamente? Si riserva.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15,30 con gli altri provvedimenti all'ordine del giorno.
La seduta è sospesa e riprende alle 15,30.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 79, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'al resoconto stenografico della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Fratoianni ed altri n. 1-00370 e Riccardo Ricciardi ed altri n. 1-00375 concernenti iniziative in merito al conflitto in corso a Gaza e agli obblighi di cooperazione e assistenza giudiziaria nei confronti della Corte penale internazionale .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Francesco Mari, che illustrerà anche la mozione n. 1-00370, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MARI(AVS). Grazie, Presidente. La Corte penale internazionale ha emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e per l'Ministro della Difesa, Gallant. Le motivazioni sono crimini di guerra e crimini contro l'umanità commessi nell'ambito di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile di Gaza tra l'8 ottobre 2023, che è il giorno successivo all'attacco terroristico di Hamas nel sud di Israele, e, almeno, fino al 20 maggio 2024, che è il giorno nel quale la procura ha depositato le richieste di arresto.
Il procedimento nei confronti di esponenti del Governo israeliano è fondato sul ricorso presentato, come si sa, dal Sudafrica. Mentre, sempre come si sa, il 26 gennaio 2024 questo ricorso presentato dal Sudafrica aveva ad oggetto il rispetto della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. La Corte non si è ancora espressa sul ricorso e si è limitata, per il momento, ad emettere, appunto, questo provvedimento di urgenza sulla base - dice il pronunciamento - di sufficienti indizi per proseguire ulteriormente sull'istruttoria sul crimine di genocidio.
Ad oggi, almeno dal punto di vista dei pronunciamenti della Corte, non siamo in grado di dire se si tratta di genocidio, questo lo deciderà la Corte. Su questo si è aperto un dibattito di grandi dimensioni in tutto il mondo. Però, quello che sappiamo ad oggi, è che il provvedimento nei confronti di Netanyahu e di Gallant riguarda la responsabilità per crimini di guerra e per crimini contro l'umanità per aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, per aver causato intenzionalmente grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo e alla salute e trattamenti crudeli. Insomma, almeno da questo punto di vista, per fortuna, esiste la Corte penale internazionale, ed abbiamo degli elementi di certezza sugli ulteriori aspetti da approfondire con il metodo che la Corte conosce. Ci saranno ulteriori approfondimenti e ulteriori pronunciamenti da parte della Corte quando saranno raccolte prove sufficienti a dire di cosa si tratta a Gaza, in Palestina.
Però, purtroppo, il mandato d'arresto per Netanyahu e Gallant ha aperto una discussione - come dicevo - in tutto il mondo. Ci sono stati giudizi sprezzanti, e su quel pronunciamento è stata raccolta, addirittura, l'accusa di antisemitismo. Ma cosa è avvenuto in Italia, a fronte di un pronunciamento che è, appunto, della Corte penale internazionale, e cioè della prima istituzione giudiziaria penale permanente di carattere universale, che è, tra l'altro, riconosciuta dall'Italia in adeguamento allo Statuto di Roma?
Qui in Italia abbiamo avuto tre posizioni diverse da parte del Governo: il Vice Presidente del Consiglio dei ministri, Tajani, ha dichiarato: noi sosteniamo la Corte penale internazionale, ricordando sempre che la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non politico. E poi, a seguire, valuteremo, insieme ai nostri alleati, come interpretare, come se il pronunciamento di una Corte dovesse essere interpretato. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha detto: approfondirò le motivazioni, che dovrebbero essere, anche qui, sempre di natura oggettiva, mai di natura politica. Infine, in questo strano elenco, il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, il Vice Presidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha adottato una posizione apertamente favorevole a Netanyahu, dicendo che sarebbe stato il benvenuto in Italia.
Ecco, è conosciuta, signor Presidente, la relazione di amicizia che esiste tra Italia e Israele, ma noi ci chiediamo se davvero questa relazione di amicizia che, tra l'altro, non è con il Governo, ma è con il popolo di quel Paese, possa giustificare valutazioni di questo tipo. La Corte penale internazionale è un soggetto che valuta in autonomia, non fa scelte, non adotta decisioni di natura politica; ha acquisito prove, elementi di certezza che, fra l'altro, sono sotto gli occhi del mondo ed è arrivata - credo - non a cuor leggero, a chiedere il mandato di arresto per Netanyahu.
Poi, qui, come in altre parti del mondo, invece di attuare, invece di dichiararsi immediatamente disponibili ad attuare il pronunciamento della Corte, si apre questa strana discussione che, ancora una volta, purtroppo, non tiene conto adeguatamente di quello che, ahimè, sta accadendo in Palestina. Eppure, qui ci riempiamo la bocca ogni giorno della nostra civiltà giudaico-cristiana, che non è solo giudaica, non è solo cristiana, perché ovviamente è araba, è pagana; la nostra civiltà è molto di più che giudaico- cristiana, ma, soprattutto, a questo punto, sembra non sia neanche civiltà.
A Gaza, signor Presidente, sono morte oltre 40.000 persone. Quella terra è devastata, non esistono più infrastrutture civili, non esistono scuole, non esistono ospedali; uomini, donne e bambini vagano tra la polvere alla ricerca di un pezzo di pane, di un po' di cibo. Sono morti 11.000 bambini, sono stati uccisi 11.000 bambini a causa della reazione di Israele.
Ve lo immaginate un tragico evento in cui muoiono non 11.000, ma 11 dei nostri bambini? Immaginate le lacrime, l'indignazione, le inchieste, i dibattiti e la ricerca delle responsabilità per 11 bambini. Lì ne sono morti 11.000.
La reazione di Israele che il nostro Governo, per bocca della Presidente del Consiglio e dei due Vicepresidenti del Consiglio, deve valutare se è adeguata o no, se giustifica o meno il mandato di arresto per Netanyahu, quella reazione ha portato allo sterminio di decine di migliaia di persone, e tra queste donne e 11.000 bambini. E noi ci fermiamo, colpevoli, a valutare se il mandato di arresto è un atto conforme al mandato della Corte oppure è un atto di natura politica. È vergognoso!
Noi, a marzo dell'anno scorso, siamo stati al Cairo. In quell'occasione il rappresentante dell'OMS disse che l'unico modo di definire quella situazione - ripeto, quasi un anno fa, a marzo sarà un anno -, quello che stava accadendo a Gaza, l'unica parola che trovava adatta era la parola “apocalisse”. È passato quasi un anno e lì è continuato l'eccidio, la strage di uomini, di donne e di bambini. L'ho detto all'inizio: se è genocidio o meno lo valuterà la Corte, ma quella in atto è sicuramente una cosa inaccettabile per qualsiasi civiltà, per l'umanità. Netanyahu è sicuramente un criminale di guerra e, a nostro avviso, come chiediamo in questa mozione, l'Italia dovrebbe fare tutti gli atti conseguenti alla decisione della Corte.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ascari, che illustrerà anche la mozione n. 1-00375, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
STEFANIA ASCARI(M5S). Grazie, Presidente. Chiudete tutti gli occhi e immaginate di tornare a casa e scoprire che la casa è stata rasa al suolo. Tutti i vostri ricordi, i sacrifici di una vita, spazzati via. Immaginate che non trovate più la vostra famiglia e non sapete se vostro figlio è vivo o morto. Immaginate solo per un secondo che vostro figlio sia morto. Immaginate insieme a me che i quattro arti di vostra figlia siano stati amputati senza anestesia. Immaginate insieme a me le persone dentro alle tende, sedute al freddo, senza cibo, senza acqua, senza riscaldamento, senza i servizi igienici, senza elettricità, il tutto mentre i bombardamenti non cessano mai. Immaginate che vostro figlio vi chieda di mangiare, ma non sapete come trovare il cibo.
Tutte queste richieste sono state presentate da un bambino, un bambino piccolissimo, che, invece di giocare con i suoi coetanei, si trova su una sedia a rotelle, con entrambe le gambe amputate, e non potrà mai più camminare. Questi inviti li faccio all'interno dell'Aula del Parlamento italiano, perché quello che sta descrivendo questo bambino è l'apocalisse, l'inferno sulla terra, un genocidio, perché non dobbiamo avere paura di usare i termini corretti: un genocidio che sta a poche centinaia di chilometri in linea d'aria dalle nostre coste, sul nostro Mar Mediterraneo.
Allora, voglio approfondire questo aspetto, perché non è solo Ascari che utilizza il termine genocidio, ma soprattutto ne parla la Corte internazionale di giustizia, che ritiene plausibile che Israele stia commettendo un genocidio ai danni della popolazione palestinese, soprattutto anche alla luce delle dichiarazioni che i ministri israeliani hanno fatto. C'è chi parla di lanciare la bomba atomica su Gaza, di radere al suolo Gaza, e, soprattutto, è bene che noi ricordiamo che la Corte internazionale di giustizia parla di plausibile genocidio ai negazionisti, ai giustificazionisti, per ricordare che Israele è sul banco degli imputati per genocidio.
La denuncia l'ha fatta per primo il Sudafrica, che conosce bene la segregazione, la discriminazione razziale, il razzismo, la violazione dei diritti umani. Mandela conosceva bene l'oppressione razzista a danno del suo popolo, Mandela, che è sempre stato un grande amico della causa palestinese. Ancora, vorrei ricordare Papa Francesco, il Vaticano, che ha detto che bisogna indagare se vi è genocidio e che si sta diventando disumani, e, ovviamente, gli diamo il massimo della ragione. Ancora, vorrei ricordare Amnesty International, che nel suo rapporto dice che le autorità israeliane devono essere chiamate a rendere conto del crimine di contro i palestinesi.
Si parla di sistema che costituisce e si basa sulla violazione dei diritti umani, che qualificano l' come crimine contro l'umanità, per le massicce requisizioni di terre di proprietà, per le uccisioni illegali, per gli omicidi illegali, per i trasferimenti forzati, le drastiche limitazioni del movimento e il diniego di nazionalità e di cittadinanza a danno dei palestinesi. Sapete quando è stata scritta questa relazione? Questa relazione è stata pubblicata il 1° febbraio 2022, quindi ben prima del 7 ottobre 2023.
Quindi, non facciamo, per favore, finta di non saperlo. Lo sappiamo benissimo che tutta la storia non è iniziata il 7 ottobre, visto che il popolo palestinese è da oltre 70 anni perseguitato e profugo in casa propria. Si parla di massacri su massacri, con l'intento di cacciare i palestinesi, praticando pulizia etnica.
Sempre Amnesty International, nel suo ultimo rapporto di pochi giorni fa, ha pubblicato un rapporto, una relazione che dice che Israele ha già commesso genocidio a danno della popolazione palestinese e sta continuando a commetterlo, realizzando azioni che hanno come obiettivo la distruzione totale della popolazione di Gaza.
Dice questo sulla base di indagini condotte negli ultimi mesi, a partire da ottobre fino a luglio 2024. Israele ha deliberatamente ostacolato, negato l'arrivo di aiuti umanitari, e, quindi, il messaggio è chiaro: dovete morire di fame e di sete. Ha provocato il collasso del sistema idrico, igienico, sanitario per annientare la popolazione; ha sottoposto centinaia, se non migliaia, di palestinesi a detenzione arbitraria, ad atti di tortura, a trattamenti disumani e degradanti, e coloro che sono sopravvissuti sono devastati, sono indeboliti, affamati, traumatizzati, con danni permanenti sulla loro salute mentale e fisica.
Sono stati previsti ordini di evacuazione spesso incomprensibili, forzati, per creare terrore, panico, destabilizzazione in una popolazione già sofferente. La relazione di Amnesty International parla espressamente di intento genocidario specifico per i ripetuti attacchi deliberati sui civili inermi. Si è bombardato su una popolazione di 2.200.000 abitanti indistintamente, senza distinguere tra civili e militari, provocando l'uccisione di oltre 45.000 persone, di cui l'80 per cento donne e bambini, senza contare il numero dei feriti, dei bambini amputati, tra l'altro senza anestesia.
Sono stati distrutti tutti i terreni agricoli per evitare che potessero mangiare, distrutti i siti culturali e religiosi per cancellare la memoria storica della cultura palestinese. Si parla di malnutrizione acuta, che è diventata 10 volte più alta a Gaza rispetto a prima dell'offensiva. Ripeto: bambini, che potrebbero essere i nostri figli, che muoiono di fame, con camion fermi al di fuori.
Questo lo voglio testimoniare in quest'Aula del Parlamento, perché con l'Intergruppo per la pace tra Israele e Palestina, con le ONG, con la stampa e con gli accademici, siamo stati al valico di Rafah, al confine con Gaza, nella parte egiziana, e abbiamo visto oltre 1.500 camion fermi, pieni di cibo, di medicine e di aiuti umanitari, bloccati dai controlli israeliani. Camion che venivano scartati perché magari un bancale aveva un legno che non era gradito a Israele o perché magari all'interno di questi bancali enormi c'erano merendine al cioccolato o datteri che erano considerati cibo di lusso e per questo motivo, quindi, l'intero bancale veniva scartato, con il cibo che, ovviamente, marciva e veniva buttato via. Abbiamo visto capannoni nel deserto del Sinai - interi capannoni - con carrozzine, stampelle, generatori di corrente, bombole di ossigeno e incubatrici: tutti beni che sono considerati beni pericolosi da parte di Israele. Ovviamente, chi credono di prendere in giro?
Io lo ripeto anche a voi, colleghi e colleghe: abbiamo visto la volontà piena e perfetta di usare il cibo come arma da guerra e di commettere un genocidio; abbiamo visto, di fianco al valico di Rafah, una città fantasma, una intera costruzione di edifici nuovi. Chi l'ha costruita quella città? Chi l'ha finanziata quella città? Chi l'ha voluta questa città? Nessuno ci ha mai risposto, nessuno. Ma molto probabilmente la volontà era di deportare la popolazione palestinese in un nuovo carcere a cielo aperto, dove non c'è niente e dove si può nuovamente rinchiudere dal momento che intorno c'è tutto un muro: questo perché il popolo palestinese non viene considerato, non esiste. E ovviamente è messo lì, se sopravvive alle bombe, alla fame, alla sete, alle infezioni, alle epidemie e alle malattie.
Tutto questo l'abbiamo visto e l'abbiamo documentato dentro le aule del Parlamento, così come abbiamo visto, all'ospedale Umberto I, un bambino di quattro anni senza una gamba, mutilato, con una madre che ha altri tre figli a Gaza. La disperazione totale abbiamo toccato. Era un bambino che non faceva altro che guardare un muro, un muro! Invece di giocare con gli altri bambini. Tutto questo è un orrore che non può essere consentito, soprattutto dalle istituzioni !
Ed ancora, il 21 novembre scorso la Corte penale internazionale, dopo oltre sei mesi dalla richiesta del procuratore Karim Khan, ha emesso i mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della difesa Yoav Gallant, nonché per il comandante dell'ala militare di Hamas, Mohammed Deif, il cui decesso è ancora incerto. Netanyahu e Gallant sono accusati di crimini di guerra e contro l'umanità, tra cui - lo ripeto ancora - l'uso della fame come metodo di guerra, l'omicidio, la persecuzione e altri atti disumani compiuti per rendere impossibile la sopravvivenza dei palestinesi a Gaza.
E allora cosa abbiamo deciso come Intergruppo per la pace tra Palestina e Israele? C'è qui anche la collega Carmela Auriemma. Abbiamo deciso di andare con gli europarlamentari, con le ONG e con gli accademici a L'Aia, alla Corte penale internazionale, per manifestare la nostra solidarietà e il nostro sostegno verso la Corte per gli attacchi che sta ricevendo: soprattutto attacchi di antisemitismo, che è l'accusa che Israele rivolge a tutte le persone che contrastano la politica criminale, contro l'umanità, di Netanyahu. E noi saremo lì. Inoltre, a gennaio e a febbraio andremo in Cisgiordania per poter testimoniare di persona quello che sta succedendo, dal momento che la stampa italiana - salvo rare eccezioni - non riporta le notizie in modo trasparente e corretto.
Ed ancora, ci tengo a ricordare quello che ha dichiarato il Segretario generale dell'ONU, Antonio Guterres: “Gaza conta il maggior numero di bambini amputati per abitante al mondo”. E allora io vi chiedo: cosa ne sarà di questi bambini e di tutti gli innumerevoli orfani, dal momento che a Gaza i bambini nascono già orfani? Tutta questa condotta, tutta questa violenza genera odio. L'odio genera odio. Non è così che si contrasta il terrorismo. Il terrorismo si contrasta - e lo ripeto ancora una volta, l'avevo già detto - andando alle cause e la principale causa è - e lo ripeto - l'occupazione illegale e criminale di territori altrui da parte di Israele e l'assenza totale di diritti riconosciuti in capo al popolo palestinese . Non sono riconosciuti il diritto di esistere e il diritto alla vita. A Gaza si sta consumando veramente un'apocalisse, una catastrofe umanitaria senza precedenti.
Questo, peraltro, sta accadendo anche nella Cisgiordania occupata, dove la situazione è diventata sempre più grave: gli insediamenti israeliani (che la Corte internazionale di giustizia ha definito illegali) si stanno espandendo in un dichiarato tentativo di annessione del territorio palestinese.
E non è solo un'occupazione belligerante, è una vera e propria occupazione coloniale: significa che, oltre a sfruttare le risorse del territorio per gli interessi della potenza occupante, porta anche la popolazione occupante a sostituire la popolazione indigena, quindi, sostituzione etnica. Sostituire ed eliminare la popolazione palestinese. E per sostituire cosa bisogna fare? Bisogna prima eliminare il popolo che è già lì.
Lo stesso Ministro delle Finanze israeliano, Smotrich, ha annunciato che il 2025 sarà l'anno in cui Israele annetterà la Cisgiordania. Quindi il piano è chiaro. Gli Stati, tra cui l'Italia, hanno l'obbligo di non riconoscere e di non aiutare la situazione illegale derivante dall'occupazione israeliana.
Israele è, agli occhi di tutti, una potenza occupante che sta sputando sul diritto internazionale, con l'obiettivo di cancellare completamente il popolo palestinese da una terra che vuole occupare per intero. E tutto il mondo resta a guardare nell'indifferenza più totale; una parte, addirittura, sostiene pure questi criminali al Governo.
Io vorrei ricordare che la decisione della Corte è vincolante e quindi tutti gli Stati che fanno parte della Corte sono vincolati ad attuare la decisione. Questo non lo dico io, lo dice Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri.
Poi, la cosa ancora più aberrante è che, se le violazioni israeliane continueranno, come sta accadendo, si assisterà al disfacimento totale dell'ordine internazionale legale come lo conosciamo: questo è proprio uno degli obiettivi di Netanyahu. Lo dimostrano gli attacchi che l'esercito israeliano ha fatto al nostro contingente ONU Unifil e le leggi approvate dal parlamento israeliano contro l'UNRWA, che ha annunciato di essere stata costretta a sospendere la consegna degli aiuti, attraverso il valico di Kerem Shalom, tra Israele e Gaza, a causa dei saccheggi da parte di bande armate.
E allora io dico: Israele ha bombardato un'ambasciata iraniana in Siria; ha invaso il Libano; ha sparato contro i nostri soldati italiani; ha messo al bando l'UNRWA, negando addirittura i visti; ha continuato a bombardare dal 7 ottobre ad oggi ininterrottamente, uccidendo oltre 45.000 persone. Cos'altro bisogna fare per fermare questo Stato terrorista? Cos'altro bisogna fare ?
Se crolla il sistema multilaterale che ci siamo dati per il mantenimento della pace, prevarrà soltanto, colleghi e colleghe, la legge del più forte, in uno scenario di guerra perenne. Questo è un po' quello che ci diceva Julian Assange, un uomo, un giornalista che per 14 anni è stato privato della propria libertà per aver detto la verità su quelli che sono i reali scopi delle guerre.
Con riferimento, per esempio, alla guerra in Afghanistan - ma, parallelamente, è applicabile anche qui -, ci ha detto che l'obiettivo non è una guerra di successo, ma una guerra perenne, duratura e infinita, perché dietro ci sono interessi: il delle armi e l'alimentazione del complesso militare industriale. Se guardiamo le statistiche ufficiali sull' italiano, l'Italia ha continuato ad esportare materiale militare verso Israele per una spesa di 7,8 milioni di euro di tra ottobre e luglio 2024, continuando ad avere relazioni economiche e commerciali e a mandare armi al criminale di guerra e contro l'umanità, Netanyahu, e questo è veramente aberrante.
Quindi, chiediamo che ci sia un momento per fermarsi, perché abbiamo sentito affermazioni molto gravi da parte di Ministri della Repubblica. Abbiamo sentito il Ministro Salvini che, con tentativi di delegittimazione della Corte, considera Netanyahu un ospite benvenuto in Italia; ma anche le dichiarazioni del Ministro Tajani su come interpretare la decisione della Corte. Tutte queste sono affermazioni che si commentano da sole e che sono gravissime.
Ripeto: fermiamoci un attimo, perché abbiamo una persona, un assassino, che sta uccidendo i bambini in fila per prendere il pane e dargli immunità e protezione politica è pura follia, perché significa essere corresponsabili del crimine che è fatto di bombardamenti, massacri e persone bruciate vive, torturate e violentate. Di questo stiamo parlando. Fermiamoci un attimo, perché questo è veramente aberrante. Chiediamo, quindi, che si compia ogni sforzo, a tutti i livelli, per giungere a un immediato cessate il fuoco definitivo: questo lo chiediamo sempre. Ci deve essere un impegno, soprattutto da parte del Governo italiano. È veramente vigliacco il fatto che nelle sedi internazionali, per due volte, non si siano firmate le risoluzioni ONU, che prevedevano il cessate il fuoco e il riconoscimento dello Stato della Palestina all'interno dei membri dell'ONU. Quindi: cessate il fuoco! Stop ai massacri di innocenti! Che vengano forniti subito aiuti umanitari via mare, via terra, via aria, basta che vengano mandati. Non è possibile vedere questi bambini che stanno letteralmente morendo. Apertura di corridoi umanitari. La soluzione 2 popoli 2 Stati, di cui il Governo parla sempre, deve essere realmente fattiva: ci deve essere il riconoscimento dello Stato di Palestina e, soprattutto, la fine dell'occupazione illegale di territori altrui da parte di Israele, perché pace e occupazione insieme, ovviamente, non vanno d'accordo.
Devono essere adottate, inoltre, sanzioni contro Israele, come è stato fatto con la Russia: non ci può essere un doppio e, in merito alle sanzioni stesse, bisogna partire da un embargo totale di armi ad Israele, anche perché l'ambigua posizione del nostro Governo che, in modo poco trasparente, come ho ricordato, continua ad autorizzare il trasferimento di armi a Israele, viola chiaramente il diritto internazionale e potrebbe comportare anche una responsabilità nei confronti dell'Italia per complicità in commissione di atti genocidari.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
STEFANIA ASCARI(M5S). Arrivo alla fine, Presidente, dicendo che le atrocità perpetrate e il genocidio perpetrato contro la popolazione civile palestinese non possono restare senza conseguenze. Nessuno Stato può essere considerato al di sopra della legge o violare impunemente il diritto umanitario internazionale. Questo vale anche per Israele; i bambini, le donne e gli uomini palestinesi hanno la stessa dignità e gli stessi diritti di tutti gli altri esseri umani, tra cui quelli a una Patria indipendente e sovrana e a una vita dignitosa. È ora di fare i conti con la propria coscienza, di smettere con i silenzi colpevoli e di schierarsi dalla parte della giustizia, ma soprattutto dalla parte dell'umanità.
Ritorniamo a essere umani. Stop al genocidio. Palestina libera .
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ascari. Vi prego di abbassare i cartelli. Prego gli assistenti d'Aula di intervenire, cortesemente, per recuperare i cartelli . Grazie.
È iscritto a parlare l'onorevole Maullu. Ne ha facoltà.
STEFANO GIOVANNI MAULLU(FDI). Grazie, Presidente. Prendo spunto dai precedenti interventi, perché sono passati 428 giorni da quando Israele ha subito un vile attacco da parte del movimento terroristico di Hamas che, dal 2007, governa la striscia di Gaza, sottoponendo a indicibili tormenti la popolazione. Quattrocentoventotto giorni fa 1.200 persone sono state massacrate, hanno subìto violenza e sono morte lì, dove cercavano svago e felicità: sono 1.200 persone che hanno subito stupri, mutilazioni; tutto ciò che noi consideriamo aberrante e inumano è stato fatto in quel contesto. Ancora oggi, altri 101 ostaggi sono nei corridoi sotterranei della rete clandestina di Hamas, sono nelle mani di questo movimento terrorista, che continua a usarli come leva di trattativa, una leva di trattativa ormai spenta, ormai smunta e che non può essere più considerata attuale. Nonostante la morte del - morto, peraltro, in condizioni non gloriose, questo va detto per chi, come coloro che credono nel martirio, se lo aspetta -, abbiamo ancora 101 persone, bambini e donne, in attesa della libertà, che non viene concessa da parte di Hamas. Questo accade nonostante il cessate il fuoco, nonostante le tante condizioni di richiamo internazionale e nonostante siano cadute le ultime barriere rispetto alla possibilità di fare questo gesto, proprio perché quella rete che partiva da un grande Paese con una nobile tradizione e che condivideva con il movimento sciita anche la lotta contro Israele nelle ultime ore è stata smantellata. È stata smantellata perché non c'erano più né la sostanza, né le condizioni, affinché questo potesse continuare, grazie soprattutto a un'azione molto incisiva sviluppata non semplicemente dal Governo israeliano, ma dallo Stato di Israele, che era circondato, da una parte, da Hamas, e, dall'altra parte, da Hezbollah nel Libano e poi, ancora, dagli Houthi nello Yemen e da tutta la rete logistica in Siria. Tutto questo era ciò che circondava Israele, che si è difesa in condizioni difficilissime: in 12 mesi, dalla Striscia di Gaza sono partiti oltre 13.200 missili verso il territorio israeliano; 12.800 sono partiti dalla striscia libanese, controllata da Hezbollah. Io credo che tutto questo debba far riflettere su ciò che ha subito Israele e su ciò che noi oggi siamo tenuti a discutere con molta serenità. Mentre si parla di ciò che la Corte penale internazionale ha emesso come giudizio di sospensione, chiedendo l'arresto, penso che invece vada tenuto in grande considerazione ciò che la Corte internazionale di giustizia, di fronte allo stesso ricorso fatto dal Sudafrica, ha detto, ossia ha garantito a Israele la possibilità di difendersi - ci mancherebbe altro che un aggredito non possa farlo -, non ha imposto il cessate il fuoco, non ha creato le condizioni perché si potesse ravvisare l'azione di genocidio (proprio perché sono tanti e tali gli elementi oggettivi, per cui questo possa essere configurato, che non ne ha rilevato la consistenza) e ha incluso l'ordine di sospendere le operazioni militari che potessero creare evidentemente nocumento alla popolazione civile.
Ma questo non è stato reso possibile per una semplice regola di ingaggio che i terroristi hanno sinora continuato a sviluppare: hanno creato le condizioni perché in scuole, chiese e posti dove si doveva smistare il cibo ci fosse la presenza di postazioni militari dalle quali poter continuare a colpire Israele. Sono le condizioni nelle quali Hamas ha costretto il proprio popolo che hanno creato un vero e proprio martirio per la popolazione civile. Il cessate il fuoco mi pare che abbia portato una condizione oggettivamente di calma, ma tutto ciò non è bastato a rilasciare gli ostaggi, che crediamo debbano essere la principale priorità per la società civile e per il mondo che guarda con attenzione alla salvaguardia del popolo palestinese.
Credo anche che vada dato atto al Governo italiano, con tutte le iniziative che sono state sviluppate, a cominciare da Food for Gaza all'approccio che il Governo nella sua interezza e con il Ministro degli Affari esteri ha avuto nei confronti del Governo israeliano con continui richiami e con chi rappresenta l'Autorità nazionale palestinese, di avere scelto la strada che ha sempre contraddistinto la politica estera del nostro Paese. Dico questo per un motivo semplicissimo, perché le mozioni che ho ascoltato partono oggettivamente da una serie di rilievi che poi non trovano neanche corrispondenza con la realtà.
Sono, come dire, iniziative come quella della Corte penale internazionale, alla quale peraltro Israele non appartiene, che devono essere rimodulate. È notizia di qualche settimana fa che il portavoce della Corte penale internazionale ha affermato che il provvedimento potrà essere rivisto di fronte a una richiesta da parte del Primo Ministro Netanyahu, cosa che puntualmente è avvenuta. E credo, quindi, che la mozione, per come è stata strutturata, che vede questo punto come se fosse inamovibile - ma così non è - debba essere rivista, anche rispetto agli sviluppi che ci sono stati in queste ore, in questi giorni, ma soprattutto rispetto a ciò che si vuole mandare come messaggio di pace e di coabitazione tra questi due popoli sulla stessa area, sullo stesso territorio, perché credo che sia questa la maniera migliore per onorare le 1.200 vittime e le tante, purtroppo, tante vittime palestinesi che sono state ostaggio di un movimento terroristico che le ha usate come bersaglio .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ferrari. Ne ha facoltà.
SARA FERRARI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Per evitare di dire cose che non conosciamo, come ho sentito pochi minuti fa dall'unico rappresentante di maggioranza che è intervenuto oggi, siamo stati, nel marzo scorso, con una delegazione di deputate e deputati di questo Parlamento, insieme anche a rappresentanti delle organizzazioni non governative, a docenti delle università italiane in grado di aiutarci a capire, nonché insieme a giornalisti delle principali testate televisive e dei quotidiani italiani, per documentare quello che volevamo sentire, capire, vedere con i nostri occhi al confine tra l'Egitto e la Striscia di Gaza, al valico di Rafah.
Ebbene, noi lì abbiamo visto, capito, toccato con mano quale fosse davvero la situazione. Una situazione nella quale ci è stato impossibile negare che ci fosse una volontà assoluta del Governo Netanyahu di uccidere quanti più civili possibile; non, colleghi, di stanare i terroristi, ma di bloccare acqua, cibo, medicine, beni salvavita. La decisione di bloccare lì, al confine, centinaia di camion degli aiuti umanitari, provenienti da tutto il mondo. Perché? Per scelta, per decisione insindacabile, per libero arbitrio, diretto a sopprimere quante più vite possibile. E ce l'hanno fatta. Fino ad oggi sono arrivati a quasi 45.000 persone che hanno perso la vita dentro la Striscia di Gaza.
Ebbene, proprio per capire e comprendere, non parlare a vuoto, abbiamo deciso, il giorno 13 di questo mese, di recarci all'Aja, presso la Corte penale internazionale. Una nuova delegazione dell'Intergruppo parlamentare per la pace tra Palestina e Israele, europarlamentari italiani e rappresentanti delle ONG ci recheremo all'Aja per una serie di incontri presso la Corte penale internazionale. Questa visita, che è stata prevista da tempo e che avviene dopo l'emissione dei mandati di arresto, ha per obiettivo quello di prendere atto del lavoro della Corte, delle difficoltà e degli ostacoli che sta incontrando nello svolgimento delle proprie attività, oltre ad esprimere pieno sostegno alla Corte, che opera al solo scopo di affermare la legalità internazionale, nonostante pressioni e circostanze molto difficili.
È fondamentale che l'Italia, il Paese in cui fu firmato lo Statuto di Roma che ha istituito quella stessa Corte, dia un chiaro e inequivocabile segnale di vicinanza alla Corte stessa. Il suo lavoro va rispettato in tutti i suoi passaggi: indagini, mandato di arresto e sentenza. Il nostro Governo non può sottrarsi ai suoi obblighi internazionali. Per evitare ogni complicità con chi è ricercato per crimini di guerra e crimini contro l'umanità, è necessario che prenda chiaramente le distanze dall'operato del Governo israeliano, dando piena attuazione al mandato di arresto della Corte, che rappresenta, ricordo, un obbligo per ciascuno Stato parte.
Ebbene, che cosa ha fatto la Corte penale internazionale il 21 novembre scorso? Ha emesso mandati di arresto, sia per Benjamin Netanyahu, Primo Ministro israeliano, e Yoav Gallant, ex Ministro della Difesa, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, sia contro Deif, il delle Brigate al-Qassam, mentre altre figure di Hamas sono state escluse per la conferma della loro morte. La Corte opera secondo principi di diritto internazionale ed è un tribunale di ultima istanza che supplisce le giurisdizioni nazionali, qualora queste omettano di perseguire i crimini previsti dallo Statuto di Roma. Ma, nonostante questo, la decisione su Netanyahu ha generato forti reazioni politiche da parte di alcuni Stati.
Il israeliano ha definito la mossa antisemita e motivata politicamente, nonostante la Corte accusi singoli individui, cioè lui, e non lo Stato di Israele. Sul fronte legale, Israele potrebbe ancora avviare indagini interne per evitare ulteriori interventi della Corte, ma finora non ha adottato alcuna misura significativa. La decisione rappresenta un passo importante per la giustizia internazionale, ponendo sfide politiche e diplomatiche complesse, ad affrontare le quali anche il nostro Governo dovrebbe dimostrare di essere all'altezza. Ahinoi, finora non lo ha fatto.
Anche l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Borrell ha più volte ribadito in questi giorni che le decisioni della Corte sono vincolanti per gli Stati membri dell'Unione europea e si è detto anche allarmato dall'estrema politicizzazione delle reazioni a quella decisione, ribadendo che la Corte penale internazionale non ha nulla a che fare con l'antisemitismo e la sua non è una decisione politica. Tutto ciò in uno scenario internazionale di grande preoccupazione, nel momento in cui l'incendio sta ancora fortemente divampando in Medio Oriente, a partire da quanto accaduto in Siria nelle ore scorse.
E su questo ci aspettiamo ancora che il Ministro Tajani venga con urgenza a riferire in Parlamento, come abbiamo chiesto nella nostra interrogazione sulla situazione siriana. In questo contesto, la tregua in Libano ha dimostrato che la diplomazia può essere incisiva e ottenere reali risultati, ed è un primo spiraglio, ma il Governo italiano non ha svolto nessun ruolo su questo obiettivo, dobbiamo dircelo. L'accordo è frutto del lavoro di Francia e Stati Uniti, anche se lì noi abbiamo ben 2.000 nostri soldati. Anche per questa ragione, noi dovremmo riaffermare la dignità del nostro intervento e nei prossimi passi riacquisire quel ruolo che l'Italia finora non ha avuto.
A partire da Gaza, dove non c'è stato certamente lo stesso risultato rispetto all'impegno portato avanti in Libano. A tutt'oggi non è stato perseguito con la stessa forza il cessate il fuoco a Gaza, dove oltre 100.000 civili sono feriti senza alcuna cura e oltre 44.000 persone hanno perso la vita, di cui buona parte bambini; dove da oltre un anno vengono bloccati cibo e medicinali, provocando carestie ed epidemie.
Noi ribadiamo, invece, ancora una volta, che serve un impegno altrettanto incisivo per chiedere quel cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, l'ingresso degli aiuti umanitari, un'iniziativa di pace e il riconoscimento dello Stato di Palestina, come abbiamo chiesto più volte con più atti in quest'Aula e come fatto da altri Paesi europei, per perseguire la via dei “due popoli e due Stati”, che invece il Governo Netanyahu nega. La Striscia di Gaza è ancora oggi un luogo infernale, ci sono solo macerie, carestia, vittime, malattia e morte.
A Nord vi è il disegno dell'espulsione e dell'annientamento della popolazione, inseguendo l'idea di pulizia etnica invocata dai ministri estremisti. In Cisgiordania, invece, il disegno è quello dell'annessione di fatto, che prosegue da anni nel silenzio di tanta parte della comunità internazionale, violando i diritti del popolo palestinese e le risoluzioni delle Nazioni Unite. In questi mesi, in Medio Oriente, sono stati commessi sotto i nostri occhi di spettatori crimini contro l'umanità e crimini di guerra, i cui responsabili sono ben precisi e individuati, appunto, dalla Corte penale internazionale.
Con riferimento a quanto ha stabilito quella Corte, il Ministro Tajani, in risposta al nostro che abbiamo tempestivamente presentato in quell'aula, ci ha detto che rispetta la Corte; purtroppo, però, è nelle omissioni del Governo italiano che questo organismo viene di fatto delegittimato. Un Paese come l'Italia non se lo può permettere, però, perché quella è un'acquisizione fondamentale del diritto internazionale che abbiamo voluto soprattutto noi. Parliamo, non a caso, dello Statuto di Roma. Purtroppo, invece, abbiamo assistito nei giorni scorsi a una posizione clamorosamente ambigua e reticente, con una clamorosa spaccatura tra i massimi esponenti del Governo, tenuta dal nostro Paese proprio riguardo alla pronuncia della Corte penale internazionale, anche rispetto ad altri Stati del G7 e dell'Unione europea.
Mentre Tajani affermava che l'Italia rispetta e sostiene la Corte internazionale, “ma siamo convinti che quello che deve svolgere sia un ruolo giuridico e non politico. Esamineremo” - ha detto - “inoltre le carte per capire quali sono le motivazioni che hanno portato la Corte a fare questa scelta”, addirittura, nei giorni precedenti, lo stesso Ministro aveva dovuto specificare che la posizione dell'Italia su questo punto è quella espressa dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.
Perché? Perché un altro Ministro, un altro Vicepresidente del Consiglio, il Ministro Salvini, aveva dichiarato, invece, che il Premier israeliano sarebbe il benvenuto se venisse in Italia. A questo si aggiunga che il primo commento della Premier Meloni è stato il seguente: “Approfondirò le motivazioni che hanno portato alla sentenza della Corte penale internazionale, motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive, non di natura politica”. E poi ha detto che aveva intenzione di porre il tema al G7, alla riunione ministeriale esteri. Queste parole non solo hanno messo in dubbio che ci siano motivazioni oggettive da parte dei giudici dell'Aja, ma hanno anche introdotto proprio quell'elemento di natura politica, spostando il tema in una sede che è politica, come quella ministeriale del G7, e compiendo così proprio quella strumentalizzazione di tipo politico che invece intendeva contestare alla Corte.
Nulla di nuovo, possiamo dire, siamo nuovamente di fronte a quell'approccio di negazione del potere giudiziario che il Governo mette in atto nei confronti anche della magistratura italiana, negandole la competenza, ad esempio, sul tema delle deportazioni di migranti in Albania e sminuendone il ruolo, mentre tende a non riconoscere il carattere sovraordinato delle norme europee e internazionali. E così arriva a mettere in discussione anche l'oggettività delle sentenze della Corte penale internazionale.
Queste posizioni diverse dentro il Governo italiano, aggiunte alla sua ambiguità e alla sua poca chiarezza, rischiano di minare l'autorevolezza internazionale del nostro Paese, mentre mettono in discussione un organismo internazionale di garanzia dei diritti umani, e invece le sentenze dei giudici andrebbero sempre semplicemente rispettate e applicate. Ci auguriamo, almeno, che questo posizionamento così sbilanciato verso Netanyahu possa precostituire una maggiore capacità di influenza sul Governo israeliano per il cessate il fuoco a Gaza e per porre fine a questo martirio, isolando le posizioni estremiste dei ministri israeliani.
Ma il Ministro, tutti i rappresentanti del Governo dovrebbero sapere che il riconoscimento delle decisioni non ha a che fare con posizioni politiche, ma giuridiche, non è una facoltà, è un obbligo. Netanyahu è un criminale per la giustizia internazionale e la Corte si occupa non di politica, ma di responsabilità penali individuali. La politica a Gaza, in Israele e in Palestina non può essere invocata solo dopo che arriva la decisione della Corte penale internazionale. Se siamo arrivati a quei crimini di guerra e a quei crimini contro l'umanità, è proprio perché la politica è mancata.
Ha detto parole più chiare il Papa, chiedendo di verificare se a Gaza ci sia genocidio, di quanto abbia fatto il nostro Governo. Sono stati commessi crimini di guerra e crimini contro l'umanità in questi mesi, e ci sono dei responsabili, che sono sotto gli occhi di tutti: Hamas per il 7 ottobre, Netanyahu per tutto quello che è avvenuto dopo. Ed è proprio quanto ha stabilito anche la Corte. Netanyahu è un criminale per la giustizia internazionale e attuare questa decisione non è una facoltà, ripeto, è un dovere.
Adesso il Governo deve fare tutto quello che è nelle sue disponibilità per arrivare, ripeto, al cessate il fuoco, alla pace, a liberare gli ostaggi, a salvare le vite umane e a riaffermare la legalità internazionale. Il Governo italiano non può continuare a negare la giustizia, perché questa sarebbe una gravissima complicità. I giudici emettono sentenze in base a dati oggettivi e non politici. Le valutazioni del Governo italiano su cosa fare e come comportarsi, attaccando la Corte e cercando di minarne l'autorevolezza, sono un grave rischio.
Questo istituto di garanzia internazionale dei diritti umani, come la Corte internazionale di giustizia, come l'ONU stessa, sono stati istituiti per assicurare un minimo comune denominatore di rispetto dei diritti umani nel mondo. Indebolirne la forza è un ennesimo attacco al diritto umanitario internazionale e rischia di favorire nelle relazioni geopolitiche la logica del più forte militarmente, lasciando i civili, in tutto il mondo, senza più alcuna forma di difesa e protezione. Lo dimostrano i comportamenti di Russia e Israele, con attacchi a infrastrutture e ospedali, e negando l'ingresso degli aiuti e l'operatività degli operatori umanitari dell'ONU, per non dire dell'attacco, della negazione del ruolo degli organismi collegati all'ONU stessa, come l'UNHCR o addirittura l'UNRWA in Palestina.
Nella stessa logica dell'erosione del diritto umanitario internazionale vanno anche gli attacchi alle ONG, così come il rischio della militarizzazione della quotidianità. Voglio qui rilevare anche il chiaro doppio standard con cui la comunità europea e il nostro Paese, senza eccezione, si rapportano nei confronti del conflitto russo-ucraino e di quello israelo-palestinese. Nei confronti di Putin, che ha invaso militarmente l'Ucraina, per il quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto nel marzo 2023 per crimini di guerra, in particolare per la deportazione e il rapimento di centinaia di bambini ucraini, il nostro Paese ha sostenuto l'emissione di sanzioni insieme agli altri Paesi dell'Unione europea, mentre nei confronti di Netanyahu, che occupa i territori palestinesi da 50 anni e nei confronti del quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di cattura per crimini contro l'umanità, per genocidio nei confronti della popolazione palestinese, il nostro Paese balbetta.
Se gli Stati Uniti non hanno aderito allo Statuto di Roma, che riconosce la Corte, e se Orbán addirittura ha invitato Netanyahu nel suo Paese, noi ricordiamo all'Italia, ancora una volta, le parole di Borrell, che rappresenta tutti quei Paesi europei che invece lo hanno sottoscritto: offrire protezione a un ricercato dalla giustizia internazionale non solo costituirebbe un'ostruzione alla giustizia stessa, ma (…) diventerebbe complice nel garantire impunità per alcuni dei crimini più gravi previsti dal diritto internazionale.
Il portavoce della Corte ha chiarito, nei giorni scorsi, che l'articolo 27 dello Statuto di Roma è chiaro: non c'è l'immunità dalle accuse per nessuno. È un principio del diritto internazionale. Se gli Stati ritengono che ci possa essere conflitto con l'immunità diplomatica, devono portare la questione ai giudici, che decideranno, altrimenti deve essere prevista un'eventuale sanzione per la mancata cooperazione nei confronti di uno Stato che non ottemperi.
I mandati di arresto sono validi a vita, possono volerci anche 10 o 15 anni; gli ordini di arresto possono essere ostacolo per le trattative di pace? La Corte penale internazionale non fa valutazioni politiche, ha detto il membro della Corte. Noi crediamo che non ci sia pace duratura senza giustizia e ricordo, tra me e me e a voi, che cosa è successo nei Balcani dopo la guerra. Se ci sono in corso negoziati di pace può essere utile sospendere i casi, lo si può fare per 12 mesi, ma il mandato di cattura rimane valido. Mettere in discussione la legittimazione degli organismi internazionali è un attacco al multilateralismo.
Ci aspettiamo che il Governo italiano sia conseguente alle parole del Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Tajani sul rispetto delle decisioni della Corte. Ci aspettiamo che non isoli il nostro Paese e non lo umili agli occhi del mondo, indebolendo il ruolo della Corte, di cui siamo stati noi stessi promotori. Aderiamo all'ONU e ne dobbiamo rispettare le risoluzioni, aderiamo ai trattati e agli accordi internazionali per una giustizia penale che garantisca protezione ai più deboli. Dobbiamo rispettarli. Ci auguriamo, infine, che anche il Governo italiano, insieme ai parlamentari italiani, si adoperi affinché l'Unione europea faccia quello scatto in avanti verso il completamento dell'unificazione in materia di politica estera unitaria, altrimenti continueremo ad essere ininfluenti sul piano internazionale. A decidere le sorti continueranno ad essere le potenze militari, a scapito dei più deboli e di un vecchio continente diviso nelle sue gelosie e nei suoi nazionalismi .
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione Orlando ed altri n. 1-00374 in materia di politiche industriali .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell' al resoconto stenografico della seduta del 6 dicembre 2024 .
Avverto che, in data odierna, è stata presentata la mozione Pavanelli ed altri n. 1-00376 , che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Christian Diego Di Sanzo, che illustrerà anche la mozione n. 1-00374, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
CHRISTIAN DIEGO DI SANZO(PD-IDP). Grazie, Presidente. Come Partito Democratico, abbiamo deciso di portare questa mozione in discussione oggi, perché nel contesto geopolitico globale è necessario dotare questo Paese di una linea chiara sulle politiche industriali, di una visione di sviluppo per la crescita e l'industria, per creare e proteggere il lavoro. Oggi, purtroppo, osserviamo un'azione di Governo che manca di una vera visione, manca di strategia, manca di un'idea di quello che debba essere il futuro della nostra industria. Nel frattempo, però, una vera e propria riorganizzazione dell'economia globale è in corso. Le trasformazioni in corso coinvolgono tutte le economie del pianeta, investono catene di valore, flussi di investimento, commercio internazionale, sotto la spinta del cambiamento climatico, di fattori geopolitici e degli effetti della pandemia. In questo contesto, le politiche pubbliche sono chiamate a dare una risposta adeguata, con l'obiettivo di promuovere, oltre che l'innovazione e la crescita dei sistemi economici, anche la coesione, la sostenibilità e la resistenza agli . La sfida consiste nel favorire la doppia transizione digitale ed ecologica, nel diversificare e proteggere le catene di fornitura, in particolare di tecnologie avanzate, cercando di preservare i benefici dell'integrazione dei mercati particolarmente rilevanti per un'economia aperta agli scambi internazionali, come quella italiana, dove l' ha un peso significativo e importante. Le politiche industriali di cui abbiamo bisogno devono essere orientate al futuro, all'innovazione, ai settori e alle tecnologie il cui sviluppo trova troppo spesso ostacoli. Devono essere strettamente connesse alla doppia transizione e favorire la creazione di lavoro di qualità, stabile e qualificato, cercando una nuova complementarità tra intervento pubblico e iniziativa privata.
Cambiare marcia vuol dire non limitarsi a dettare regole e tempi, ma costruire una vera politica industriale comune. I tempi, infatti, ci chiedono di intervenire con urgenza: i salari sono fermi da trent'anni, la diffusione del lavoro povero e dequalificato e la stagnazione della produttività sono sintomi di un malessere profondo dell'economia italiana. Parliamo di forza lavoro e imprenditoriale sempre più anziana e poco istruita, di un mercato dei capitali asfittico, di un capitalismo familiare troppo chiuso in se stesso. Emergono i limiti del nostro modello di capitalismo, basato su milioni di microimprese che, in molti casi, arrancano, schiacciate dalla burocrazia e dalla difficoltà di accesso al credito.
È tempo di migliorare questo modello, di rendere il sistema più dimensionato, resiliente e sostenibile. Il riflesso delle difficoltà del sistema industriale italiano si ripercuote sul mondo del lavoro, dove sarebbero oltre 120.000 i lavoratori a rischio, 70.000 solo nell', più di 25.000 nella siderurgia e tanti in altri settori industriali importanti. Vi sono anche segnali di come l'Italia stia perdendo il treno sulle nuove evoluzioni tecnologiche. Come rilevato nell'indagine conoscitiva che abbiamo svolto nella X Commissione, nonostante le sue potenzialità, l'intelligenza artificiale rimane ancora scarsamente utilizzata dalle imprese italiane, soprattutto se poste a confronto con i Paesi del Nord Europa, del Nord America e con la Cina. Stando ai dati raccolti nel corso dell'indagine, infatti, il 61 per cento delle grandi imprese ha all'attivo almeno un livello di sperimentazione sull'intelligenza artificiale, ma il dato scende al 18 per cento tra le piccole e medie imprese. Una delle ragioni della stagnazione economica dell'Italia, infatti, è però dovuta alla scarsa crescita della produttività e colmare il ritardo e sfruttare le potenzialità dell'intelligenza artificiale sono, quindi, ritenuti una straordinaria opportunità per il nostro Paese.
Nel nostro Paese infatti, l'IA generativa potrebbe giocare un ruolo chiave, anche per mantenere alto il livello di produttività e benessere, in un contesto generale di invecchiamento della popolazione. Tuttavia, l'Italia non potrà capitalizzare le opportunità fornite dal settore dell'intelligenza artificiale senza un impegno attivo e proattivo, senza di esso rischieremmo di rimanere indietro nella gara internazionale. È difficile, infatti, immaginare che le imprese di piccole dimensioni siano in grado di rispondere alla concorrenza di multinazionali in grado di investire enormi capitali in questo ambito. La risposta a questa inedita trasformazione deve essere sistemica, con politiche industriali dirette a ridurre, in questo ambito, la concorrenza tra imprese europee, per facilitare lo sviluppo di tecnologie continentali e ridurre i costi, realizzando un riequilibrio dello sviluppo tecnologico dell'intelligenza artificiale.
L'importanza di politiche industriali, con relative risorse da investire, rappresenta un nodo cruciale, anche in relazione alle politiche introdotte recentemente negli Stati Uniti, attraverso l'Inflation Reduction Act, e dalla Cina attraverso la strategia “ 2025”, ampliamente sovvenzionata con risorse statali. La risposta europea, in assenza di adeguati spazi di bilancio, è stata affidata a un rallentamento delle regole sugli aiuti di Stato, alimentando gli squilibri diversi tra i Paesi. Se si guarda agli aiuti di Stato autorizzati dalla Commissione europea, da marzo 2022 a gennaio 2023, il 53 per cento degli aiuti è stato notificato dalla Germania, il 24 per cento dalla Francia e solo il 7 per cento dall'Italia, che ha spazi fiscali limitati. Gli aiuti notificati, infatti, dalla Francia e dalla Germania sono stati rispettivamente pari a 356 miliardi e a 162 miliardi di euro. Il sostegno al sistema produttivo autorizzato per l'Italia è stato più limitato e pari a soli 51 miliardi di euro. In questo contesto, l'Italia rimane comunque la seconda potenza manifatturiera d'Europa, dopo la Germania. Nel 2023 la nostra industria manifatturiera ha generato un valore aggiunto di 328 miliardi di euro, il 17,5 per cento del totale, e ha dato lavoro a 4 milioni di persone, il 15 per cento del totale. Sono numeri ridimensionati rispetto a quelli del 2007, prima della grande crisi finanziaria, ma importanti e la vocazione manifatturiera dall'Italia è un patrimonio da difendere e sostenere, perché non ci sarà una nuova stagione di sviluppo, se l'Italia si arrenderà alla deindustrializzazione.
Negli anni Novanta abbiamo privatizzato gran parte delle aziende pubbliche e abbandonato le politiche industriali. È stato merito del centrosinistra averle riproposte prima con Industria 2015 di Bersani e poi con Industria 4.0, che ha prodotto risultati positivi nella parte relativa ai crediti d'imposta per l'acquisto di macchinari innovativi. Purtroppo, oggi la linea del Governo è carente da questo punto di vista. Le leggi di bilancio sono prive di ambizione, sono prive di una visione strategica e mancano dei veri e propri aiuti d'intervento. Avete cancellato il Fondo da 4,6 miliardi nel momento più buio per l'industria automobilistica in Italia. È una scelta assurda e gravissima per l'industria e per i lavoratori del settore . Si tratta di un Fondo che era stato istituito con lungimiranza dal Governo Draghi per il sostegno e la promozione della transizione verde, della ricerca e degli investimenti, a cui ora viene lasciato un finanziamento residuo complessivo di soli 1,2 miliardi per il periodo 2025-2030, praticamente un azzeramento delle possibilità di affrontare le sfide estremamente impegnative della transizione ecologica e digitale e della crescente competizione globale, che invece, hanno bisogno di rilevanti politiche di sostegno.
Il Piano Transizione 5.0 ha poi subito rallentamenti e vincoli burocratici che ne stanno minando l'impatto e l'efficienza. È complicatissimo accedere agli incentivi dei 6,3 miliardi - ne sono stati chiesti 100 milioni - e si rischia di far perdere un'importante occasione all'industria italiana per innovarsi, rischiando che le risorse rimangano in gran parte inutilizzate. La legge sulle , recentemente approvata, è ancora poco ambiziosa per quella che doveva essere la spinta necessaria di cui questo Paese ha bisogno. In legge di bilancio, avete esteso la a tutte le imprese, a prescindere dalla loro dimensione, col risultato di andare a penalizzare le piccole imprese, le digitali italiane. Quindi, una scelta insensata che vi stiamo chiedendo di ritirare dalla legge di bilancio.
Proprio per questa mancanza di visione del Governo e per l'incapacità di offrire una politica industriale utile per il Paese, presentiamo questa mozione, per proporre linee di intervento serie e concrete, per dare una visione al futuro industriale di questo Paese, una visione che stenta ad apparire nelle azioni di questo Governo.
Riteniamo, quindi, necessario che si intervenga principalmente su quattro versanti: , quello della delle politiche industriali, attraverso la creazione di un Ministero per lo sviluppo sostenibile, di un permanente per le politiche industriali, con la trasformazione di Invitalia in un soggetto attuatore delle politiche industriali e con la creazione di un'agenzia che coordini le partecipazioni pubbliche. Si devono, in sostanza, realizzare gli strumenti per allineare la politica industriale italiana agli obiettivi europei, promuovendo una visione continentale che stimoli il rafforzamento e l'integrazione tra imprese transfrontaliere. Chiediamo, quindi, al Governo di farsi promotore, nel corso della nuova legislatura europea, di iniziative volte a mettere in campo politiche finalizzate a recuperare competitività, produttività e livelli di reddito dell'Unione europea, per garantire il benessere dei cittadini e il mantenimento del modello sociale europeo mediante un maggior coordinamento delle politiche industriali, commerciali e fiscali e la riduzione del divario di innovazione nei settori trainanti, intervenendo sul piano finanziario per rispondere al fabbisogno di investimenti, favorendo l'emissione di strumenti di debito comune per progetti europei congiunti e, proprio per questo, cercare di dare un programma europeo aggiornato per le competenze dei lavoratori, che perseguono l'aggiornamento di queste competenze, e di sostegno temporaneo al reddito per i lavoratori coinvolti nelle due transizioni, ecologica e digitale.
Si deve intervenire anche sul fronte dell'economia digitale e proponiamo la creazione di un ministero dell'innovazione e dello sviluppo tecnologico, con la previsione di una legge annuale per il digitale e il potenziamento e il coordinamento del dell'innovazione. Chiediamo un impegno per favorire la digitalizzazione e l'autonomia energetica delle PMI e dare concreto sostegno al tessuto delle PMI, prevedendo agevolazioni per investimenti e intelligenza artificiale. Ciò è finalizzato alla crescita e alla maturazione di soggetti nazionali in grado di competere in un settore per definizione globalizzato, prevedendo, altresì, per PMI e , un accesso privilegiato alla futura rete delle fabbriche di intelligenza artificiale, ecosistemi costruiti intorno ai supercomputer pubblici europei, cui verranno destinati talenti e risorse tecnologiche, beneficiando di dati, algoritmi e di potenza di calcolo difficilmente reperibili altrove.
Proprio per questo chiediamo la creazione di un tavolo istituzionale, con il coinvolgimento delle parti sociali, per una valutazione generale sul fenomeno dell'intelligenza artificiale sul lavoro, proprio per non perdere il treno dell'intelligenza artificiale e, allo stesso tempo, per dare una valutazione seria sul suo impatto nel mondo del lavoro.
Il secondo versante riguarda, invece, gli incentivi pubblici, che vanno riorganizzati secondo criteri di selettività, condizionalità ambientali e sociali, con un orizzonte temporale almeno decennale e con grande attenzione alla riduzione dei divari territoriali, a partire da quello tra il Nord e il Sud Italia. Le misure di incentivazione fiscale, attraverso crediti d'imposta agli investimenti delle imprese, si sono rivelate efficaci per stimolare la crescita, l'ammodernamento del capitale produttivo e l'attività innovativa. Oggi, la sfida è quella di riorganizzare il sistema di incentivazione pubblica per missioni in cui siano chiaramente identificate le intersezioni con gli strumenti europei di politica industriale (aiuti di Stato, IPCEI, ) obiettivi e da raggiungere, una politica, cioè, seria in cui siano identificati gli incentivi che aiutano determinate missioni che ci vogliamo dare come Paese.
Oltre alla selettività, è importante inserire il requisito di condizionalità. L'erogazione di risorse pubbliche, nella forma di agevolazione fiscale o nelle forme di o , deve essere condizionata all'impegno, da parte delle imprese beneficiarie, del rispetto di condizionalità legate al rispetto dei contratti di lavoro e delle condizioni di sicurezza sul lavoro, al rispetto dei principi di parità di genere e di non discriminazione e legate al comportamento specifico che si intende sostenere come obiettivo di sistema Paese.
Va introdotto, altresì, il sistema della sostenibilità, con l'introduzione del vincolo per le risorse pubbliche di sostenere progetti coerenti con la tassonomia europea sugli investimenti sostenibili e di valutazione della .
Va sostenuta la compartecipazione dei finanziamenti pubblici alla ricerca, al rischio d'impresa, promuovendo l'utilizzo di modalità di rimborso progressivo delle risorse pubbliche investite nelle forme tecniche delle , del mantenimento della dei diritti di proprietà industriale e dell'utilizzo di prestiti vincolanti al reddito o al contenimento dei prezzi.
Il terzo versante riguarda, invece, il ruolo dello Stato nell'economia, per affermare la necessità di una nuova complementarità tra intervento pubblico e iniziativa privata. Nel contesto economico internazionale, non sembra, infatti, sufficiente un aggiustamento spontaneo guidato dalle sole forze del mercato, così come appaiono del tutto inadeguate politiche di carattere protezionistico tendenti a difendere l'attuale specializzazione dimensionale e produttiva. Gli investimenti pubblici, se bene indirizzati, non spiazzano gli investimenti privati, ma, al contrario, costituiscono un volano per la competitività. Per realizzare queste condizioni, serve non solo uno Stato che privilegi investimenti di lungo periodo e la spesa corrente, ma anche uno Stato che sia in grado di individuare grandi missioni su cui orientare i fondi pubblici e promuovere l'attività delle imprese.
L'individuazione delle missioni consente di connettere la politica industriale alla risoluzione delle grandi questioni sociali e ambientali del pianeta, restituendo alla scienza e alle imprese il compito di soddisfare i nuovi fabbisogni della società, avanzate e legate a globali: il cambiamento climatico, l'invecchiamento della popolazione, la qualità della vita e la concentrazione delle persone nei grandi centri urbani. Quindi, un ruolo dello Stato differente da come lo sta interpretando il Governo Meloni, il cui programma di privatizzazioni è una scelta discutibile e totalmente slegata da una visione industriale. Serve solo per far cassa e va contrastato con forza. Bisogna andare, invece, in una direzione totalmente diversa, definendo una serie di missioni strategiche, guardando, quindi, al lungo termine e razionalizzando il sistema delle partecipate, istituendo un'agenzia per coordinarle.
Il quarto e ultimo versante riguarda le risorse da mettere in campo: quelle pubbliche, innanzitutto indirizzando verso le nuove politiche industriali le risorse liberate dalla riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi e dalla riorganizzazione degli incentivi per le imprese; quelle private, mobilitando verso l'economia reale una parte dei 1.200 miliardi fermi sui conti correnti delle famiglie e una quota maggiore dei 300 miliardi gestiti dai fondi pensione, fondazioni di origine bancaria, casse privatizzate e liberi professionisti.
Come già ribadito, va garantita, però, la selettività degli interventi, riorganizzando il sistema di incentivazione pubblica. Proprio in questo contesto proponiamo di istituire un fondo nazionale, con una dotazione di almeno 5 miliardi annui, fino al 2035, per accompagnare e sostenere l'industria manifatturiera nella trasformazione digitale e nella conversione ecologica, cercando di legare in modo sinergico le due transizioni, a partire dai settori e dell'Si tratta, cioè, di mettere in moto risorse consistenti e concrete per sviluppare politiche industriali che abbiano impatto reale sul lavoro e sul tessuto produttivo.
Il rilancio delle politiche industriali, infine, deve naturalmente riguardare in primo luogo il Sud, in un'ottica di rafforzamento e qualificazione delle politiche di coesione. Non si tratta solo di individuare meccanismi premianti per gli investimenti al Sud, ma di costruire una strategia industriale in grado di valorizzare il ruolo del Mezzogiorno nell'ambito delle nuove filiere di innovazione, a partire da quelle legate alla e alla transizione digitale. Nel quadro di una rinnovata politica industriale, infatti, un ruolo importante deve essere svolto dalle aziende a partecipazione pubblica, superando l'attuale frammentazione dei modelli di , dando, quindi, un'ottica di sviluppo al Sud, che può diventare una ricchezza per questo Paese.
In conclusione, siamo convinti che il nostro Paese possa fare molto di più nell'ambito delle politiche industriali, adottando una visione di lungo periodo per affrontare la doppia transizione in modo serio a vantaggio del nostro sistema Paese. Proprio per questo, chiediamo un impegno serio e concreto del Governo per l'adozione di vere politiche di crescita industriale, un impegno che sia per preservare il nostro sistema Paese, un impegno che guardi al futuro, alle nuove generazioni, all'innovazione, perché l'Italia deve recepire i globali e non esserne vittima.
Ma questo può avvenire solo se il Governo ha una visione strategica della nostra industria e se è in grado di portare avanti politiche di lungo termine, invece di una visione anno per anno o, addirittura, mese per mese. Come Partito Democratico, non mancheremo, quindi, di far sentire la nostra voce, perché crediamo che solo con un'azione strategica e una visione di lungo periodo dell'industria possiamo far crescere, come Paese, l'economia e cogliere le sfide che ci lancia l'economia globale .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cappelletti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00376, di cui è cofirmatario.
ENRICO CAPPELLETTI(M5S). Grazie, Presidente. Considerato che sono, ormai, 25-26 mesi di Governo e non abbiamo avuto occasione di conoscere le idee e le proposte di politica industriale di questo Governo, credo che non ci sia discussione più opportuna di una discussione su queste tematiche, proprio con l'obiettivo di andare a colmare un vuoto.
Non più di qualche giorno fa, ho presentato un in Commissione attività produttive, chiedendo al Sottosegretario Bitonci, alla luce dei 20 mesi consecutivi di calo della produzione industriale e del probabile arrivo di nuove difficoltà, questa volta esogene - sappiamo che dagli Stati Uniti potrebbero essere innalzati dei dazi, quindi ulteriori difficoltà per le nostre imprese -, se il Governo avesse pronte delle contromisure per ribaltare questo negativo. Sa, Presidente, che cosa mi è stato risposto?
Stiamo monitorando la situazione, monitoriamo in particolare l'energia, monitoriamo efficacemente, l' lo monitoriamo grazie al tavolo permanente. E ancora: adotteremo un Libro verde, che, poi, forse potrebbe diventare un Libro bianco, dal quale potrebbero nascere delle iniziative del Governo, dei provvedimenti. Insomma, non un'idea, non una proposta, non una soluzione, non un impegno per far ripartire l'economia di questo Paese, niente di niente, lo zero assoluto.
Eppure ce ne sarebbe un gran bisogno. Praticamente, dall'entrata in vigore del primo provvedimento di questo Governo, la manifattura in Italia non si è più ripresa. Come dicevo, sono 20 mesi consecutivi di calo della produzione industriale, e questo , purtroppo, non pare fermarsi. Nel frattempo, nelle aziende sono esplose le ore di cassa integrazione, abbiamo raggiunto il record di povertà assoluta, con 5,7 milioni di cittadini in stato di povertà. La crescita del Paese è di fatto azzerata: se non fosse per i 209 miliardi di PNRR che il Governo Conte ha lasciato in eredità, saremmo in profonda recessione.
L'Istat ha appena dimezzato le previsioni della crescita 2025, portandole dall'1 per cento - previsione del Governo - allo 0,5 per cento, quindi una riduzione del 50 per cento della previsione di crescita. Per inciso, il vice capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, Gardini, ha commentato questo disastro, dicendo: “I dati Istat di ottobre confermano il successo delle politiche del Governo Meloni (…)”. E meno male che il crollo delle previsioni di crescita del PIL è un successo!
Continuate a fare disastri e a dire agli italiani di non preoccuparsi, che va tutto bene, ma prima o poi, come è già avvenuto con il blocco navale, con il “toglieremo le accise sulla benzina”, con la costosissima campagna d'Albania, i nodi vengono al pettine, specialmente se sono nodi economici. Infatti, il debito pubblico, ad esempio, è pericolosamente in aumento sotto la spinta di decine di condoni e sanatorie in odore di voto di scambio. Praticamente ne avete fatta una al mese, ma il debito aumenta anche a causa del blocco della crescita e dell'aumento esponenziale della spesa in armamenti. I redditi reali dei lavoratori sono crollati sotto il peso dell'inflazione.
In un quadro economico così negativo, ci saremmo aspettati dal Ministero e dal Ministro, che sarebbe il Ministro per le Imprese, iniziative coraggiose e anticicliche per sostenere le imprese, per sostenere i lavoratori, per far ripartire la crescita. Ma non è stato fatto nulla, anzi, i provvedimenti adottati hanno aggravato il quadro, e vi spiego perché, anche se, stante queste considerazioni, al primo punto della mozione in discussione forse avremmo dovuto prevedere le dimissioni del Ministro per fallimento dei suoi obiettivi.
Anzi, di fronte a questo risultato, non dovremmo neppure chiedere le dimissioni; le dimissioni dovrebbero arrivare spontaneamente per presa d'atto di un proprio fallimento, della propria incapacità, della propria incompetenza. Il Ministro si dovrebbe occupare dello sviluppo economico del Paese e si sta occupando del suo contrario. Venti mesi di calo della produzione non dipendono, se non limitatamente, da fattori esogeni; dipendono da chi ha commesso errori su errori, adottando provvedimenti uno più sbagliato dell'altro, che non hanno creato occasioni di sviluppo, hanno ottenuto l'effetto contrario, cioè quello di bloccare lo sviluppo. Vediamone alcuni.
Questo Governo è partito con l'introduzione dell'accisa sui carburanti, che la Presidente Meloni voleva eliminare. A seguito dell'introduzione dell'accisa, sono ovviamente aumentati i prezzi. E che cosa ha fatto, allora, il Ministro Urso? Ha forse chiesto al Governo di congelare l'accisa per ridare fiato alle imprese e alle famiglie, che, peraltro, erano già duramente colpite dall'aumento delle bollette? Ovviamente no. Insieme al Ministro Salvini, ha dato la colpa dell'aumento dei costi dalla benzina ai benzinai, che di colpa non ne avevano nessuna.
E, come se non bastasse, al danno ha aggiunto una beffa: li hanno obbligati a esporre un inutile cartello dei prezzi medi, con la conseguenza di aumentare ulteriormente i costi. Poi c'è stata la volta del “carrello tricolore”, un totale fallimento. Il crollo dei redditi reali degli italiani sta lì a ricordarcelo ogni minuto. Le scuse del Ministro nei confronti dei cittadini e dei consumatori non sono pervenute. Aspettiamo.
Terzo: è stato lanciato in pompa magna il liceo del , come se fosse la soluzione a tutti i problemi delle aziende italiane, ma non l'ha attivato quasi nessuno, non lo voleva nessuno, non si è iscritto nessuno, insomma è stato un ulteriore fallimento che si aggiunge ai precedenti. Eppure, tantissimi docenti e dirigenti scolastici avevano messo in guardia il Governo rispetto a questa iniziativa, che evidentemente era destinata a fallire già prima di venire alla luce.
Quarto: è arrivato il fallimento di Transizione 5.0. Questo è un fallimento eclatante, perché, mentre molte misure precedenti sono rimaste prive di effetti, perché realizzate senza risorse, questo provvedimento di risorse ne poteva vantare molte, grazie al Presidente Conte e ai contributi del PNRR. Eppure, neanche a Transizione 5.0 ha aderito nessuno, un autentico disastro. Perché? Perché questo provvedimento è nato tardi. È stato preannunciato almeno una dozzina di volte dal Ministro, che di fatto ha bloccato per un anno gli investimenti delle imprese. Peggio di così non si poteva fare. Dilettanti è forse la sola definizione che si può dare a chi ha voluto un provvedimento con ben 16 adempimenti burocratici in grado di demotivare anche le imprese più determinate. Il risultato si è visto: avrebbe dovuto spingere l'economia, ma in realtà non vi ha aderito quasi nessuno: un buco nell'acqua.
Eppure non era difficile, sarebbe bastato guardare al successo del provvedimento precedente - Transizione 4.0 - e fare esattamente nello stesso modo, ma qui non si riesce neppure a copiare, siamo oltre. Cosa vi hanno fatto di male, Sottosegretario, le imprese italiane per meritarsi questi provvedimenti?
Come non citare poi il fallimento forse più eclatante di tutti, quello sull'. Chi ha promesso che nel nostro Paese si sarebbero realizzate quest'anno un milione di vetture? Chi l'ha promesso? Chi ha più volte annunciato che si sarebbe affiancato a Stellantis un secondo o, forse, addirittura, un terzo produttore? Non l'ho annunciato io, non l'abbiamo annunciato noi come opposizione, l'ha annunciato il Ministro Urso. Chi ha preso l'impegno della realizzazione della italiana per la produzione di batterie? Tutti impegni assunti e regolarmente disattesi. Tutti tradimenti nei confronti dei cittadini e delle imprese dell'indotto.
L'unica certezza è questa: lo scippo di 4,6 miliardi di euro dal Fondo per la transizione energetica, destinati ora all'industria degli armamenti, ovvero ad altri Paesi, peraltro. Tra i molti tagli che hanno riguardato le imprese, questo è il più eclatante di tutti, perché parliamo di una filiera di oltre 270.000 addetti e di un fatturato di oltre 100 miliardi di euro. Parliamo di un taglio di oltre 500 milioni di euro solo nel 2025, ma poi per cosa? Per essere destinati al bilancio della Difesa. Una domanda - per inciso - sorge spontanea: se non avessimo un ex capo lobbista nella vendita delle armi ai vertici del Ministero della Difesa, questo scippo di 4,6 miliardi al fondo per l' sarebbe avvenuto? Si tratta di una scelta molto grave e incomprensibile, che mette a rischio l'intera filiera proprio nel bel mezzo della sua crisi più grave. Per non parlare, poi, delle conseguenze ambientali. Governo e maggioranza stanno firmando la condanna a morte del più importante settore industriale italiano. Questo è un suicidio economico.
Sesto: un autentico disastro sono stati anche i provvedimenti che avrebbero dovuto favorire la transizione energetica, ma che nei fatti hanno solo introdotto nuovi vincoli e barriere per le fonti rinnovabili, viste come fumo negli occhi dal Governo Meloni. Il testo unico sulle rinnovabili, ad esempio, anziché semplificare e ridurre i tempi - cosa che avrebbe dovuto fare - fa l'opposto: complica e rende più difficoltosi i processi autorizzativi. Il decreto ministeriale Aree idonee da solo vieta la realizzazione di impianti FER nel 96 per cento del territorio nazionale. Il decreto-legge Agricoltura vieta gli impianti in tutte le zone agricole, benché abbandonate e incolte da decenni. Il decreto-legge Energia addirittura aveva introdotto una tassa di 10.000 euro al megawattora sugli impianti rinnovabili, quale strumento di incentivo per la loro realizzazione. È una follia.
Elettricità Futura, che è la principale associazione nel mondo elettrico italiano di Confindustria, ha sintetizzato efficacemente la sua critica al Governo Meloni con questo appello: fermatevi, ogni volta che approvate qualcosa peggiorate la situazione. Lo dice Confindustria. Eppure l'Italia è un Paese straordinariamente ricco di acqua, di vento e di sole. In Italia ci sono già quasi due milioni di produttori di energia rinnovabile, un'autentica rivoluzione. Governo e maggioranza dichiarano, da una parte, di essere per la neutralità tecnologica e, dall'altra, agiscono per bloccare le fonti rinnovabili, la cui unica colpa è quella di fornire energia a basso costo per imprese e famiglie, facendo concorrenza agli amici della del fossile. È questo il problema!
Il Governo, dunque, se da una parte continua a investire nel fossile, dall'altra invoca il nucleare come la soluzione di tutti i problemi. Sembra la stessa logica del blocco navale: si vuole spacciare ai cittadini che esiste una soluzione facile per tutto. In questo caso, il problema qual è? Quello di abbattere il costo delle bollette? Allora facciamo il nucleare. Eppure, si propone il nucleare sapendo benissimo che nei prossimi decenni non sarà attuabile. I tempi del nucleare non sono infatti compatibili con la transizione energetica, che impone tra 25 anni le emissioni zero, non l'avvio di un programma per la loro riduzione.
I costi, così come i rischi del nucleare, sono inoltre altissimi e ovviamente, per il Governo Meloni, dovrebbero essere tutti a carico dello Stato. Chiedo scusa: un Governo, che in 25 mesi non è neppure riuscito a individuare dove fare un deposito di scorie e che ha rimandato questa decisione al prossimo Governo, come farà a decidere dove realizzare decine di centrali nucleari? Peraltro - è bene che si sappia -, il costo dell'energia nucleare è molto più elevato rispetto al costo dell'energia da fonti rinnovabili. Insomma, il Governo propone una soluzione che, nel migliore dei casi - tra 20 o 30 anni - farà pagare di più l'energia a famiglie e imprese. Meno male che, contraddicendo Urso e Pichetto Fratin, almeno il Vicepresidente Rampelli, di Fratelli d'Italia, che voglio citare, ha dichiarato che il nucleare in Italia non si farà mai. Mi congratulo per l'onestà intellettuale.
Tutto ciò premesso, si rende necessaria - come mai prima d'ora - l'adozione di misure di politica industriale in grado di coprire il nulla realizzato fino ad ora. Per questo motivo, il MoVimento 5 Stelle, con la presente mozione, impegna il Governo a promuovere e a non contrastare la transizione verde digitale; a sostenere la proposta di trasformare il programma in uno strumento permanente finalizzato a sostenere l'impegno comune per il rafforzamento di salute, istruzione, ricerca e innovazione; a intraprendere con urgenza tutte quelle misure necessarie per contrastare i paradisi fiscali all'interno dell'Unione; a non intraprendere iniziative tese a promuovere l'impiego dell'energia nucleare a tecnologie attuali, in quanto ciò espone il Paese a rischi enormi e soprattutto sarebbe il caso di aumento dei costi energetici per famiglie e imprese; a rimuovere le barriere territoriali, legislative e regolatorie che ostacolano un'adeguata diffusione delle comunità energetiche rinnovabili; e ancora, a potenziare il piano Transizione 4.0, che è stato irresponsabilmente ridimensionato dal Governo Meloni; a differire il termine per gli investimenti del piano Transizione 5.0, che si è rivelato fino ad ora inefficace, nonché naturalmente ad intervenire per renderne possibile l'utilizzo alle imprese; e ancora, a valorizzare le imprese partecipate dallo Stato, promuovendo l'introduzione di un nuovo modello di , che favorisca il dialogo su temi comuni, quali l'energia, il digitale, le tecnologie, la logistica, i trasporti; a favorire interventi che facilitino le reti di impresa e i processi di aggregazione; a ripristinare l'aiuto alla crescita economica (cosiddetto ACE), per sostenere la crescita e la patrimonializzazione delle imprese; ad estendere il ristrutturazioni edilizie, per rilanciare un settore che è strategico per la crescita del nostro Paese; a costituire un Osservatorio sull'applicazione dell'intelligenza artificiale per le piccole e medie imprese.
E ancora, a ripristinare con urgenza la dotazione del Fondo ; a condizionare le concessioni di contributi alle imprese al mantenimento della produzione sul territorio nazionale; a promuovere interventi di riqualificazione produttiva e diversificazione industriale, mediante la progressiva decarbonizzazione del processo produttivo dell'acciaio; e, non da ultimo, a incentivare tecnologie per la produzione e lo stoccaggio dell'idrogeno, prodotto, naturalmente, da fonti rinnovabili. Il Paese - e concludo, Presidente - ha bisogno di una politica industriale che faccia ripartire l'economia. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. Ci chiediamo se il Governo e il Ministro delle Imprese siano pronti a fare la loro.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Colombo. Ne ha facoltà.
BEATRIZ COLOMBO(FDI). Grazie, signor Presidente. Mi rivolgo a lei perché, appena ho letto questa mozione, non ho potuto fare a meno di fare una riflessione, e devo ringraziare l'onorevole Orlando e l'onorevole Di Sanzo, persona che stimo, perché non avrei saputo fare di meglio, ha realizzato un elenco dettagliato di ogni fallimento dei precedenti Governi. Perfino lui, nelle premesse, ammette per ben due volte che le politiche industriali passate sono state inefficaci e inefficienti. Gli impegni presentati sono, praticamente, una lista della spesa, tra l'altro, anche qui, incompleta e volta a ripercorrere certe politiche che oggi mostrano tutti i loro danni.
Non basta elencare proposte generiche o buone intenzioni: serve visione, concretezza e, soprattutto, coraggio. Questa mozione, invece, pretende di insegnarci cosa fare, dimenticando che molti dei problemi attuali derivano proprio da quelle politiche miopi che la sinistra ha imposto per anni. Guardi, signor Presidente, faccio anche appello al senso di responsabilità di certi politici, anche capi di partito, che remano contro gli stessi interessi di questo Paese. Vi prego, basta, basta andare contro il vostro stesso Paese, sia nelle piazze, sia in Europa.
Il momento storico che viviamo, con due guerre alle porte e un'instabilità generale in Medio Oriente che rischia di ripercuotersi su tutti i Paesi del Mediterraneo, non ce lo permette. Serve unità, serietà e senso di responsabilità per portare avanti con coraggio una politica industriale in un contesto così precario. Questa mozione ci invita a promuovere l'uso dell'intelligenza artificiale per affrontare le sfide economiche e industriali del nostro tempo. È un invito che possiamo anche condividere, ma mi chiedo: chi ha redatto questa mozione si è mai preso la briga di chiedere all'intelligenza artificiale cosa sarebbe successo al settore dell' con le imposizioni che loro stessi hanno sostenuto?
Se lo avessero fatto, avrebbero ottenuto una risposta chiara e inequivocabile: un disastro annunciato. Un comparto produttivo strategico per il nostro Paese, che dà lavoro a decine di migliaia di italiani, è stato sacrificato sull'altare di un'ideologia ecologica disconnessa dalla realtà; un'ideologia che non ha tenuto conto delle infrastrutture insufficienti e delle tempistiche irrealistiche imposte alle imprese. Eppure, oggi siamo qui a discutere una mozione sull'industrializzazione che pretende di insegnarci quali linee industriali seguire, dimenticando che molti dei problemi che affrontiamo sono stati causati proprio da quelle politiche miopi.
Chi oggi si lamenta della crisi del settore dell' è lo stesso che ieri ha sostenuto politiche che hanno imposto scadenze insostenibili e vincoli irrealistici. La propaganda , sventolata senza criterio, ha creato incertezza e disincentivato gli investimenti. È questa la responsabilità che la sinistra non vuole riconoscere. Le crisi del settore industriale energivoro affondano le proprie radici proprio nella scelta folle di una transizione mono-tecnologica, che ha portato a scelte industriali sbagliate, di cui, oggi, rischiano di pagare il conto salatissimo decine di migliaia di lavoratori.
Contestiamo alla radice l'idea secondo la quale il costo sociale della transizione elettrica sarebbe soltanto dovuto a un effetto collaterale, magari spiacevole, e comunque ineluttabile, di fronte al quale l'unica prospettiva sia quella di spendere maggiori risorse pubbliche per pagare la cassa integrazione, sussidi di disoccupazione e corsi di formazione agli addetti ai lavori che verranno espulsi dal ciclo produttivo. La soluzione sta nel rilanciare la competitività della nostra industria, rivedere irraggiungibili, rinviare le multe che stanno portando alla chiusura anticipata degli stabilimenti, aprire finalmente alla vera neutralità tecnologica e a tutte le tecnologie e a tutti i carburanti che possono contribuire a diminuire le emissioni inquinanti, senza per questo distruggere le filiere industriali collegate al motore endotermico. E guardate, Volkswagen ha già annunciato la chiusura di 3 stabilimenti in Germania, lo stesso hanno fatto Audi, Nissan e Ford, con il licenziamento di decine di migliaia di dipendenti, e ancora di più saranno quelli della filiera della componentistica, come dimostrano gli annunci dei tagli da Bosch e, ad esempio, anche Michelin.
Quindi, l'Italia che cosa ha fatto in tutto questo? Ha proposto il cosiddetto per evitare un disastro industriale annunciato. Le nostre proposte hanno già il sostegno di 15 Paesi, e saranno presentate anche misure finanziarie di sostegno al settore, che dal 2025, contrariamente a quello che ho sentito, saranno nel complesso superiori a quanto originariamente previsto. È questo l'impegno europeo del Governo Meloni e di Fratelli d'Italia, e la sinistra italiana ed europea e la sua ideologia anti-industriale, che ha causato tali danni, abbia almeno il buon gusto di risparmiarci le prediche, perché noi stiamo dando risposte concrete a quello che rischiava di diventare il nulla industriale, come ha detto lei, Cappelletti. Altro che nulla industriale, stava per diventare lo zero assoluto, e riprendo le sue parole.
Quindi, inutile nasconderci dietro a un dito, cari colleghi: il vero problema italiano e delle piccole e medie imprese, compresi gli artigiani, è il costo dell'energia. Il realismo di questo Governo tiene conto del fatto che il PIL globale raddoppierà nel prossimo decennio, inevitabilmente implicando un aumento del consumo di energia, anche con il crescente fabbisogno richiesto dall'uso di Internet e dell'intelligenza artificiale. L'unico modo per mettere in campo una transizione realistica e sostenibile è avere un energetico equilibrato, che utilizzi tutte le tecnologie a disposizione senza pregiudizi ideologici.
L'Italia ha la seconda industria manifatturiera in Europa, l'ho sentito dire anche prima; è il Paese con la terza economia a livello di PIL; i costi per raggiungere gli obiettivi ambiziosi dell'industria pulita, che dovrebbe portarci a ridurre del 90 per cento le emissioni entro il 2040, sono altissimi. Certo, non potrà gravare sulle imprese, che condanneremmo al fallimento, né solamente sui Governi. Quindi occorre agire, quando si evoca il termine transizione verde, con equilibrio, intelligenza e, come ho detto prima, senso di responsabilità, al posto di aprire la bocca e dare fiato, senza pensare alle conseguenze di queste azioni e di queste parole. In gioco c'è la tenuta occupazionale e, dunque, sociale della Nazione.
Abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi del PNRR, siamo pienamente in linea con il cronoprogramma europeo. L'OCSE, nel suo recente rapporto, promuove la manovra del Governo, pur evidenziando deboli prospettive economiche, viste le incognite, ovviamente, legate ai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, di cui sembrano essersi totalmente dimenticati, nella loro mozione, l'onorevole Orlando e colleghi. E non hanno considerato i rischi legati all'intensificazione delle tensioni commerciali del protezionismo.
Ciò nonostante - e non lo dico io, ma sempre l'OCSE - definisce positiva la situazione per l'Italia. Infatti in Italia dovrebbe esserci una crescita del PIL dello 0,5 per cento nel 2024, dello 0,9 per cento nel 2025 e dell'1,2 per cento nel 2026, aggiungendo che in Italia le cose stanno andando piuttosto bene in vari settori, in particolare nel settore turistico, settore trainante di cui la sinistra non si è mai occupata e che ha perennemente trascurato, tanto che non esiste neanche in questa mozione, dove si parla di politiche industriali.
Inoltre, dopo 10 anni, grazie al Governo Meloni e a Fratelli d'Italia, lo è tornato a 110 punti, altro che il superbonus di Conte e del PD; il loro 110 ha causato un superbuco, pesando sulle famiglie e sulle imprese per ben due leggi di bilancio. L'Italia è finalmente tornata seria e affidabile, questo è un fattore non da poco per le politiche industriali, perché la stabilità di questo Governo e di questo Paese riporta a casa persone, riporta a casa menti, riporta a casa investimenti.
Questo Governo ha scelto la via del pragmatismo e dell'azione concreta. Attraverso i contratti di sviluppo abbiamo mobilitato 13,8 miliardi di euro di investimenti produttivi, garantendo risorse per sostenere le imprese in questa difficile transizione. In Europa abbiamo negoziato con fermezza, ottenendo modifiche sostanziali al regolamento Euro 7, garantendo tempi congrui e limiti più realistici per le missioni. Queste azioni non solo proteggono l'industria italiana, ma salvaguardano migliaia di posti di lavoro. Con il Piano Transizione 5.0 abbiamo messo a disposizione 6,3 miliardi di euro per sostenere la digitalizzazione e la transizione verde delle imprese. Abbiamo investito nell'efficienza energetica, nell'autoproduzione di energia da fonti rinnovabili e nella formazione del personale. Questo è il nostro approccio: accompagnare le imprese verso un futuro più sostenibile, senza paralizzarle con normative impossibili da rispettare o abbandonarle a loro stesse.
La mozione insiste sull'importanza dell'innovazione, ma si limita a vaghi proclami. Noi abbiamo dimostrato di saper agire con determinazione. Con il fondo per importanti progetti di comune interesse europeo abbiamo investito 3,1 miliardi di euro in progetti strategici, come le materie prime critiche. Abbiamo investito dai chip all'idrogeno alla sanità, alla mobilità sostenibile. Abbiamo creato l'AI per lo sviluppo sostenibile, che posiziona l'Italia al centro della nell'intelligenza artificiale e abbiamo rafforzato il di fondazioni per l'innovazione dei settori delle biotecnologie nella transizione e digitale. L'innovazione non è solo un concetto, è il motore della nostra competitività. Questo Governo ha dimostrato di saper trasformare le idee in risultati concreti.
La mozione denuncia la dipendenza dalle materie prime critiche, ma si ferma lì. Noi abbiamo adottato, con il decreto-legge n. 84, di cui, tra l'altro, sempre io ero relatrice, che introduce misure concrete per garantire l'approvvigionamento strategico, semplificando le procedure autorizzative per il riciclo e le estrazioni, creando un Registro nazionale per monitorare i fabbisogni delle imprese e avviando un programma di esplorazione geologica.
La mozione accenna anche al valore del , ma manca di proposte concrete per proteggerlo e per valorizzarlo. Ricordo la legge del : abbiamo destinato un miliardo di euro al Fondo strategico nazionale. Con la legge sul abbiamo sostenuto le filiere, come l'arredo, la moda, la nautica e tante altre; abbiamo introdotto il riconoscimento dell'IGP per i prodotti artigianali e industriali, garantendo una tutela unica in Europa; con il liceo del abbiamo creato un percorso formativo che prepara i giovani a guidare le nostre eccellenze nel mondo, caro onorevole Cappelletti, sempre per suo tramite, signor Presidente.
Un altro grave limite nella mozione è l'assenza totale di riferimento al settore spaziale, in cui abbiamo allocato 7,3 miliardi di euro tra progetti nazionali e collaborazioni con l'Agenzia spaziale europea, con la prima legge quadro sulla , in cui sarà regolamentato l'accesso allo spazio per i privati, promuovendo anche la crescita delle piccole e medie imprese, contribuendo a rendere il nostro Paese il in questo settore strategico.
Comunque - e mi avvio a concludere - non possiamo permetterci di tornare a politiche che soffocano l'industria e sacrificano il futuro dell'Italia sull'altare di utopie irrealizzabili. Questo Governo ha scelto un'altra strada: quella del pragmatismo, del senso di responsabilità nella fiducia nella straordinaria capacità del nostro popolo. Quindi, continueremo a lavorare, perché, è ovvio, si può sempre fare di meglio e continueremo anche a costruire un'Italia forte, innovativa e competitiva. Io credo che siamo veramente sulla strada giusta .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mari. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MARI(AVS). Grazie, Presidente. Anche l'ultimo intervento mi aiuta a dare un contributo a questa discussione. Questo Governo ha grandi responsabilità per le cose che fa, ma alle responsabilità per le cose che fa se ne aggiunge una sullo sfondo, drammatica. Questo Governo non dice la verità agli italiani. Lo fa per fare propaganda, lo fa per costruirsi un po' di consenso, ma è un errore gravissimo, a prescindere, è molto grave. È un errore che paga il Governo, paga la maggioranza, ma, poi, paga il Paese, questo è il punto.
Il Prodotto interno lordo dell'Italia si fermerà allo 0,5, nel 2025 allo 0,9, nel 2026 all'1,2, nonostante il PNRR. Il PIL del terzo trimestre 2024 è rimasto stabile: venti mesi consecutivi di calo della produzione industriale, riduzione di potere d'acquisto degli stipendi e un calo significativo della domanda di beni e servizi. Le spese per consumo delle famiglie sono diminuite in termini reali ed è, purtroppo, aumentata la distanza tra le famiglie più abbienti e quelle meno abbienti, primo e l'ultimo quintile.
A settembre 2024, la produzione industriale in Italia ha registrato una flessione annua del 4 per cento. Da novembre 2022 ad agosto 2024 il fatturato manufatturiero è sceso dell'8 per cento. Si contano in questo momento 35 vertenze nel settore dell'industria, per un totale di oltre 30.000 lavoratori coinvolti. Potremmo fare un elenco infinito: dall'ex-Ilva a Portovesme, da Conbipel a Jabil, da Beko ad Almaviva Contact e potremmo continuare.
Tutto il Paese è fatto di crisi e cassa integrazione. Tutti i dati sono sottostimati, perché ci sono almeno, tra l'altro, 120.000 lavoratori a rischio a causa delle trasformazioni: di questi 70.000 solo nell', 25.000 in siderurgia, 8.000 nell'energia, 2.000 nel settore elettrico, più di 4.000 nella chimica di base, 3.500 nel petrolchimico e potrei continuare.
L', che è il settore più forte di questo Paese, il principale settore manufatturiero (conta oltre 270.000 addetti) è in crisi quotidiana e, quotidianamente, copre, tra l'altro, anche il dibattito pubblico. Sento dire che sono stati fatti errori, che ci sono state scelte politiche miopi, dettate dalla propaganda , che sono stati fatti investimenti e scelte industriali sbagliati. Ma non ci sono stati investimenti e scelte industriali! Quali sono? Noi siamo in questa condizione perché non ci sono investimenti e scelte industriali.
Questa mozione parla di politiche industriali. Le politiche industriali sono le scelte di indirizzo e gli investimenti: noi siamo di fronte ad anni e anni di assenza di politiche industriali, che questo Governo continua. Questo Governo ha cancellato il Fondo per 4,6 miliardi. Andiamo praticamente contromano rispetto alla strada che hanno scelto tutte le grandi potenze industriali. Stiamo andando contromano. Quello che voi criticate non c'è altrove. Si sta mantenendo la barra dritta della trasformazione e della transizione ecologica e digitale e l'Italia, invece, continua ad andare contromano e Stellantis sta là, Pomigliano sta là e le lettere di licenziamento stanno là e sono il frutto delle vostre politiche.
Avete drammatizzato una situazione, che era già difficile, e avete tolto risorse e indirizzo allo sviluppo industriale di questo Paese. Lo sta pagando in primo luogo il Mezzogiorno e continuerà a pagarlo se non saranno cambiate queste politiche. Sì, abbiamo bisogno di politiche industriali che, però, non ci sono, non ce n'è neanche l'ombra.
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Il Governo si riserva.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Prima di passare al prossimo punto dell'ordine del giorno, sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 17,40. La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Richetti ed altri n. 1-00371 e Scutellà ed altri n. 1-00372 concernenti iniziative per il rilancio della competitività europea, in relazione al “Rapporto Draghi” .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori
Avverto che in data odierna è stata presentata la mozione Della Vedova ed altri n. 1-00377 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritta a parlare la deputata Valentina Grippo, che illustrerà anche la mozione n. 1-00371, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
VALENTINA GRIPPO(AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Signor Presidente ed onorevoli colleghi, la mozione che sto per illustrare prosegue, idealmente, la discussione che ci ha preceduto in merito a un tema cruciale per il futuro del nostro Paese, che è il rilancio del sistema industriale italiano.
La mozione che presentiamo nasce da un'analisi rigorosa delle sfide che l'Italia dovrà affrontare e delle opportunità che possiamo cogliere, se agiamo con determinazione. Alcuni elementi appaiono così evidenti e così ampiamente condivisi, ma, al contempo, così non presi in carico e non affrontati, motivo per il quale abbiamo sentito il bisogno di proporre questa mozione che, astrattamente, non dovrebbe che incontrare l'unanimità dell'Aula. Infatti, la mozione rappresenta principi rispetto ai quali, a più riprese, le forze politiche si sono dichiarate interessate e volenterose di agire, salvo poi regolarmente sottrarsi a decisioni forti in questo senso.
Secondo i dati Istat, la produzione industriale italiana è in calo da circa 6 trimestri consecutivi. I numeri preoccupano: dal gennaio 2023 al settembre 2024, l'indice ha registrato una contrazione complessiva del 5,6 per cento. Settori chiave - ne abbiamo parlato lungamente -, come l', che un tempo era un fiore all'occhiello della nostra economia, stanno attraversando una crisi strutturale. Stellantis - come abbiamo avuto modo di dire, non più tardi di qualche ora fa, in quest'Aula, ma ne parliamo a più riprese -, è passata da un picco produttivo di un milione di veicoli nel 2017 a meno della metà oggi.
Questa non è solo una perdita di numeri, ma di posti di lavoro, di competenze e di capacità di innovazione. Ovviamente - abbiamo avuto modo di dirlo -, il taglio dell'80 per cento del Fondo , operato dal Governo Meloni, rappresenta un errore strategico grave, a nostro avviso, perché questo Fondo, che inizialmente era dotato di un miliardo di euro all'anno fino al 2030, era stato concepito per sostenere la transizione ecologica e per rilanciare la competitività del settore. Oggi, con appena 200 milioni di euro annui, diventa un investimento a perdere, perché non si possono affrontare le sfide della trasformazione digitale, dell'innovazione ecologica e della transizione con queste risorse.
Qualche mese fa - avevamo avuto modo di parlarne -, il rapporto sul futuro della competitività europea, presentato da Mario Draghi, aveva acceso un faro su un aspetto, ovvero che questa crisi non è solo italiana, ma anche europea e globale. I dati contenuti nel rapporto Draghi avrebbero dovuto fermare il dibattito pubblico, che invece era così distratto da chiacchiericci e discussioni di basso profilo, per levare un grido d'allarme da tutti i Governi dell'Unione europea, a partire dal nostro. In quel rapporto, c'è una descrizione plastica del declino della produttività, come la sfida essenziale dell'Unione europea. Negli ultimi 20 anni, il divario di produttività con gli Stati Uniti - illustra il rapporto - è passato da un vantaggio del 4 per cento, nel 2002, a un ritardo del 12 per cento nel 2023; sono solo 20 anni nei quali siamo passati dall'essere i primi della fila su tantissimi aspetti della produttività all'essere fanalino di coda. Draghi ci ha ricordato, nel suo rapporto, che, senza un aumento della produttività, l'Europa non può garantire, né il benessere dei cittadini, né la sicurezza economica: quindi questi due pilastri dell'Unione, il da una parte e il progresso economico comune dall'altra, saranno messi profondamente a rischio, se non ci saranno rapidi interventi.
Nel rapporto Draghi, ci sono 170 proposte concrete per rafforzare la competitività industriale europea e, tra queste, ne cito alcune: ridurre i costi energetici, aumentare l'indipendenza nelle materie prime, rilanciare l'.
Abbiamo portato questa mozione in Aula, perché riteniamo ineludibile che questi principi, questi obiettivi, che vengono illustrati dal rapporto Draghi, diventino gli obiettivi dell'Italia: è una responsabilità ineludibile, lo dobbiamo ai nostri figli, non possiamo più ritardare.
Per questo, nella mozione, riprendendo, in qualche modo gli aspetti chiave delle 170 proposte, abbiamo impegnato il Governo in questo senso. Prima di tutto, ovviamente, c'è il tema, a più riprese citato, dell'. Riguardo a questo, dobbiamo riportare il Fondo a un miliardo di euro, come previsto dal Governo Draghi, per sostenere la transizione verde, la riconversione e la competitività della filiera. In secondo luogo, c'è il tema del nucleare, che, da sempre, è una battaglia che Azione porta avanti in modo inequivoco, a differenza di altre forze politiche, a partire dal Governo Meloni, che si dichiara pro nucleare, ma poi non fa passaggi concreti in questa direzione. Noi chiediamo di autorizzare gli impianti con tecnologie di terza generazione e sottolineiamo come questo passaggio sia essenziale per garantire la sicurezza energetica e ridurre le emissioni, ma, al contempo, come ha sottolineato Mario Draghi, sosteniamo che una politica industriale ambiziosa richiede energia sicura, accessibile e sostenibile e il nucleare è l'unica risposta in questo senso. Il terzo punto è la necessità di semplificare l'accesso e riformare il Piano Transizione 5.0. Sulla falsariga dell'efficace e dell'efficiente funzionamento dell'allora Piano Industria 4.0, voluto dal Ministro Calenda, riteniamo che si debba semplificare l'accesso agli incentivi, rendendoli automatici e cumulabili con altre misure strategiche; questo, evidentemente, è un passaggio chiave per permettere alle imprese di affrontare con maggiore efficacia la transizione ecologica. Proponiamo di introdurre una per prevenire delocalizzazioni e ambientale, quindi con l'obiettivo di tassare le importazioni da Paesi che non rispettano gli europei. Questa misura, peraltro, è già in discussione a livello dell'Unione europea ed è fondamentale per proteggere le nostre imprese e l'ambiente; ci piacerebbe che, dall'Italia, partisse una spinta in questo senso. Un altro tema, su cui la mozione impegna, è quello di promuovere il debito comune europeo: è necessario sostenere un Piano di investimenti condivisi a livello europeo, in linea con il modello del , che possa aiutare a continuare a finanziare le infrastrutture necessarie alla transizione. Altro aspetto collegato al tema di cui ho parlato - cioè il nucleare - è quello legato al energetico. Noi proponiamo di favorire tecnologie stabili e programmabili, incluso il nucleare di nuova generazione, con l'obiettivo evidente di essere sempre meno dipendenti da fonti esterne e di garantire prezzi competitivi. Abbiamo visto qual è stato il peso dei costi energetici nelle fasi complesse, come quelli pandemiche o quelle di conflitto, ed è evidente che questo è un altro aspetto cruciale per l'Unione europea e per l'Italia. Un altro tema importante è quello della riduzione delle emissioni, che deve essere fatta in modo sostenibile: chiediamo al Governo di proporre un calendario europeo che tenga conto delle specificità economiche italiane, evitando penalizzazioni ingiustificate per le nostre imprese rispetto ai internazionali. Il Governo ha dichiarato più volte - noi su questo siamo ottimisti - la volontà di coniugare le esigenze del rispetto e della tutela dell'ambiente con quelle dell'impresa italiana. Ci aspettiamo, però, da questo punto di vista, passi concreti.
Proponiamo, inoltre, di rafforzare la europea e questo, dal punto di vista degli strumenti, può avvenire solo con il superamento del criterio dell'unanimità nel Consiglio dell'Unione europea e un passaggio al voto a maggioranza qualificata per le decisioni strategiche, come suggerisce il rapporto Draghi, per non essere ostaggio di veti incrociati ed essere condannati all'immobilismo.
Da ultimo, l'agenda elettorale mondiale ci obbliga a un dialogo e ad una collaborazione con la nuova amministrazione degli Stati Uniti per evitare dazi e politiche protezionistiche attraverso un dialogo costruttivo che evidenzi l'interdipendenza economica fra Europa e Stati Uniti. Presidente, mi accingo a concludere. Inoltre, per noi un tema strategico - Azione su questo ha fatto moltissime proposte in Aula - è quello del sostegno alla formazione e alla riqualificazione per investire nelle competenze dei lavoratori italiani e per affrontare con successo la transizione industriale, a partire dall'intelligenza umana e dalle persone.
Quindi, Presidente, concludo. Non credo che si possa non essere d'accordo con i principi e gli impegni di questa mozione e speriamo che sia accompagnata dall'effettiva volontà di darle seguito. Voglio solo dire che questa mozione non è un esercizio teorico, è una chiamata all'azione che facciamo a tutta l'Aula. Come ha affermato Mario Draghi, il futuro della nostra economia dipende dalla capacità di fare scelte coraggiose oggi. Questo è il momento di fare queste scelte, sottoponendo all'Aula questa mozione. Auspichiamo che tutti insieme troviamo il coraggio di farle.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cappelletti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00372, che ha sottoscritto in data odierna. Ne ha facoltà.
ENRICO CAPPELLETTI(M5S). Grazie, Presidente. Il 9 settembre 2024 Mario Draghi ha presentato in una conferenza stampa congiunta con la Presidente della Commissione europea il rapporto strategico “Il futuro della competitività in Europa”. Tale rapporto contiene un'analisi delle sfide economiche e geopolitiche che l'Europa è richiamata ad affrontare in un contesto globale sempre più frammentato e in rapido mutamento. Il tema della competitività era stato già in precedenza affrontato nel corso del Consiglio europeo dell'ottobre 2024, riunione in cui i dei Paesi membri hanno chiesto maggiori sforzi per rafforzare la competitività dell'Unione, per potenziare la resilienza economica, per assicurare il rinnovamento industriale e per realizzare a pieno il potenziale del mercato unico.
La Presidente von der Leyen ha confermato la volontà di seguire le raccomandazioni del rapporto Draghi nel prossimo mandato della Commissione. Mi consenta, Presidente, di fare un inciso rispetto a una questione che può sembrare di minore rilevanza all'interno del rapporto che andiamo qui a commentare, ma che sicuramente lei conosce molto bene, ed è la questione dei PFAS. Il Presidente Draghi nel suo rapporto dichiara anche che non ci sono alternative ai PFAS. I PFAS, per chi non lo sapesse, sono delle sostanze chimiche utilizzate sostanzialmente per l'impermeabilizzazione dei tessuti, ma anche per tanti altri utilizzi.
In Veneto, la mia regione, c'è stata una contaminazione da PFAS che ha coinvolto oltre 300.000 persone. Sono stati stimati nel corso degli anni, ahimè, dei decenni, trattandosi di sostanze soggette a bioaccumulo, quindi si accumulano all'interno degli organismi, oltre 4.000 decessi solo nelle cosiddette aree rosse di contaminazione della provincia di Vicenza e poche altre province del Veneto. Ripeto, 4.000 decessi riferibili a questo vero e proprio disastro ambientale. Il MoVimento 5 Stelle ha preso l'iniziativa di presentare un esposto in procura, all'epoca.
A seguito di quell'esposto e dell'attivazione della procura, si è giunti alla chiusura dell'azienda che aveva la responsabilità per questo disastro ed è in corso attualmente quello che è probabilmente il più importante processo in Italia per disastro ambientale. Il fatto è che non è vero quanto afferma Draghi, ossia che non ci sono alternative a queste sostanze. I PFAS sono sostituibili eccome, almeno nella stragrande maggioranza dei settori industriali. Questo non perché lo afferma il MoVimento 5 Stelle, ma perché lo afferma, tra gli altri, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche.
Insomma, questa dichiarazione di Draghi sembra più che altro un tentativo per tutelare gli interessi di poche aziende piuttosto che la salute di tanti cittadini. L'auspicio è che, almeno su questo fronte, possa intervenire decisamente un cambio di prospettiva politica. Passando ad altra questione, alla base della nuova strategia industriale dell'Unione europea viene posto l'accento sull'esigenza di rafforzare l'industria della difesa.
La difesa viene vista, dunque, come uno dei settori strategici per il futuro dell'Europa. In particolare, il rapporto Draghi evidenzia come, negli ultimi anni, il radicale mutamento dello scenario geopolitico innescato dalla guerra in Ucraina e, più in generale, dall'instabilità globale abbia fatto emergere molte vulnerabilità del sistema europeo. A queste vulnerabilità, secondo il rapporto, occorre rispondere in via prioritaria aumentando la produttività, preservando, al contempo, il modello sociale europeo mediante un coordinamento forte di tutte le politiche europee, ossia quelle industriali, quelle commerciali, quelle fiscali, quelle estere.
Per raggiungere questi obiettivi, il rapporto stima necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui. Da un'analisi complessiva del rapporto emerge come lo stesso non risponda in maniera adeguata e sufficiente alle sfide future che attendono l'Unione europea nei prossimi anni. L'accento posto, poi, sul rafforzamento della difesa europea lascia presagire la volontà di trasformare un'Europa che nasce come continente di pace verso, invece, una vera e propria economia di guerra. Preoccupa, poi, anche l'assenza di riferimenti sulla necessità di politiche fiscali più efficaci per contrastare l'elusione e l'evasione fiscale, in particolar modo da parte dei giganti del . Inoltre, con la rimozione dei limiti della BEI (Banca europea degli investimenti) agli investimenti militari, si asseconda uno stravolgimento del quadro regolatorio europeo, in direzione di una transizione che non sarà più , ma militare.
Ciò premesso, queste sono le nostre proposte. Impegniamo il Governo a promuovere un modello sociale ed economico europeo che funga da stimolo alla transizione verde e digitale; impegniamo il Governo a sostenere la proposta di trasformare il programma in uno strumento permanente da finanziare attraverso il bilancio europeo, con la previsione e l'inclusione dell'emissione di debito comune finalizzato a sostenere gli investimenti nella produzione di beni pubblici europei considerati prioritari, che sono la salute, che sono l'istruzione, che sono la ricerca, che è l'innovazione, che è la transizione energetica, scongiurando, al contempo, l'ipotesi di un eventuale ricorso all'emissione di eurobond per finanziare invece la capacità di difesa; impegniamo il Governo a scongiurare qualsiasi tentativo di aumentare i finanziamenti di beni a scopo militare quali armi e munizioni.
Noi lo invitiamo a intraprendere tutte le necessarie iniziative di contrasto nei confronti dei paradisi fiscali e lo invitiamo, infine, a sostenere la proposta istitutiva di una tassa unica sul capitale quale strumento di una nuova fiscalità europea improntata a criteri di comune e a promuovere l'adozione di iniziative volte a introdurre forme straordinarie di tassazione per il settore dell'industria della difesa, considerato il fatto che ha avuto utili eccezionali negli ultimi anni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00377. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA(MISTO-+EUROPA). Signor Presidente, il rapporto di cui stiamo discutendo in relazione alle mozioni presentate, il rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea, segue di qualche mese un altrettanto importante rapporto presentato da un altro ex Primo Ministro italiano, Enrico Letta, sul futuro del mercato unico. È un'agenda importantissima e politica sul futuro dell'Europa, che parte da un richiamo molto forte, Draghi l'ha detto presentandolo: qui, dobbiamo capire se vogliamo prendere il nostro destino nelle nostre mani oppure - questo lo aggiungo io - avviarci a un lento e inesorabile declino dal punto di vista della rilevanza internazionale, dal punto di vista dell'efficacia al nostro interno. Ci sono i punti, che in parte sono stati richiamati, di un'attività politica, di un'agenda politica comune europea, che sono probabilmente la parte anche più qualificante, sull'energia, sulla transizione ecologica, sulla transizione digitale, sulla necessità di portare a un livello adeguato la difesa europea in una situazione in cui ai confini dell'Europa ci sono minacce vitali, oggi, per l'Ucraina, domani magari per Paesi europei, le minacce messe in campo da Trump; non ci si può sottrarre alla responsabilità europea di avere autonomamente una capacità difensiva.
Draghi dice: per tutto questo, fermo tutto quello che serve, c'è bisogno di un piano di investimenti che possa arrivare a 750-800 miliardi di euro all'anno, un multiplo del Piano Marshall. Ecco, la nostra mozione insiste su un punto, che viene certamente a valle di tutte le decisioni che devono essere prese, e che è un punto qualificante del rapporto Draghi, mi riferisco all'evocazione, anzi direi alla richiesta, alla necessità di un debito comune europeo, di strumenti di debito comune europeo. Ecco, noi vogliamo, in questa mozione, impegnare il Governo, nel quadro delineato dalle premesse di questa mozione, a sostenere la necessità di individuare strumenti di debito comune per finanziare la crescita e la competitività europea e promuovere effettivamente le riforme e gli accordi necessari per raggiungere questo obiettivo nel più breve tempo possibile. Draghi ci dice che siamo in ritardo, ma il settore dell', che era un settore, forse l'unico o l'ultimo in cui l'Europa aveva una supremazia, è un campanello d'allarme fortissimo, perché se perdiamo anche in quel settore una posizione di rilevanza - che non abbiamo nell', che non abbiamo nello spazio - rischiamo di diventare un Paese, un continente - non un Paese, magari fossimo un Paese - totalmente dipendente dall'estero e senza nessuna capacità strategica di operare sui mercati e sullo scenario politico internazionale.
Ovviamente, si tratta di debito che non può sommarsi ai debiti nazionali e che non può essere un modo per venir meno agli impegni del nuovo Patto di stabilità e di crescita; anzi, andare nella direzione di un debito europeo comune - poi vengo brevemente alla tipologia - implica necessariamente, per Paesi fragili da questo punto di vista, come l'Italia, casomai, rafforzare l'impegno al contenimento del debito nazionale per non avere effetti negativi. Oggi noi, realisticamente, possiamo pensare di replicare il modello del , cioè di strumenti di finanziamento senza, per il momento, arrivare a un'unione fiscale europea, a una politica delle finanze e dei trasferimenti comuni. Su questo c'è un punto che è decisivo per l'Unione, che è il pronunciamento della Corte costituzionale tedesca nel 2021, che ha dato il via libera al , che è un debito comune, quindi che pesa anche sulle spalle dei contribuenti tedeschi oltre che di quelli italiani, spagnoli, francesi, eccetera, intendendo quel via libera come eccezionale, legato a specifiche circostanze. Quindi, finché non cambia il quadro normativo - e noi saremmo per mettere mano alla riforma dei trattati, in modo radicale, verso gli Stati Uniti d'Europa - è evidente che quel meccanismo può essere replicato, anche per finanziare capitoli, da implementare, dell'agenda Draghi. Su questo tema si sono espressi il Governatore della Banca d'Italia, che ha detto che serve un , un programma di spesa comune per finanziare investimenti indispensabili attraverso l'emissione di un titolo pubblico europeo, privo di rischio, e anche la Presidente della BCE, Lagarde, che ha definito auspicabile uno strumento di finanziamento comune; anche perché questo darebbe un contributo. Un titolo privo di rischio, di fatto, emesso con debito comune europeo in euro, sarebbe un fattore di stabilità macroeconomica e sarebbe importante anche per la moneta unica in sé stessa, una sorta di cugino dei americani. Questo è un punto - ripeto - non è l'agenda Draghi, ma è un punto qualificante, un punto molto politico.
La Presidente Meloni, nelle sue ultime dichiarazioni in vista del Consiglio europeo - lo dico al rappresentante del Governo -, era proprio intervenuta aprendo al tema del debito comune europeo - poi una mozione, una risoluzione che avevamo presentato ebbe il parere negativo, contraddittoriamente, del Governo stesso - però questo è un tema, è un tema politico. E noi, nella nostra mozione, abbiamo inserito questo punto specifico: l'impegno sull'agenda Draghi in generale, che è l'agenda del futuro, possibile e migliore per l'Europa, riforme e investimenti accelerati per provare a recuperare il di produttività che l'Europa ha, innanzitutto, nei confronti - per ragioni diverse - degli Stati Uniti, ma anche ormai della Cina e strumenti di debito comune, anche a trattati vigenti.
Su questo, noi vorremmo impegnare il Governo, che certamente non è arrivato a Palazzo Chigi con un'agenda europeista - però eurobond - ma che ha sterzato su molti temi per non scontrarsi fragorosamente con la realtà, quindi, ha accettato la realtà e tanti temi. Pensiamo che abbiamo un Primo Ministro che ha fatto campagna elettorale fino a due o tre anni fa contro l'euro, ma va benissimo, siamo in una stagione diversa. Vogliamo impegnare il Governo, tutto il Governo e la maggioranza, a operare in sede europea, da una parte - come hanno detto i colleghi - per l'implementazione dell'agenda Draghi, dall'altra per spingere nella direzione di un debito comune da definire, ovviamente un debito che riguardi piani e progetti specifici, ma che garantisca quel volume di fuoco di cui ha parlato Draghi, 750-800 miliardi di euro di investimenti all'anno, necessari per cercare di recuperare il terreno perduto e garantire una prospettiva, nella libertà, di prosperità attraverso la competitività, all'Unione europea, cioè in fondo ai cittadini, alle imprese e ai lavoratori europei.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Matteoni. Ne ha facoltà.
NICOLE MATTEONI(FDI). Presidente e onorevoli colleghi, ringrazio l'opposizione, perché con queste due mozioni possiamo ricordare alla Nazione che, sì, ancora una volta Fratelli d'Italia aveva ragione. Senza demagogia alcuna, senza pretese di avere la verità in tasca sempre e comunque, banalmente, basterebbe avere del buon senso pratico e una visione lungimirante e, forse, più di qualche forza politica sarebbe arrivata ad ammettere prima come il tempo fosse scaduto, che bisognasse intervenire subito, senza esitazioni, nelle linee guida delle politiche europee. E perché dico questo? Perché il cosiddetto rapporto Draghi, su cui si basano i testi delle due mozioni in discussione, anzi tre, mette nero su bianco quella fotografia sul pessimo stato di salute dell'Unione europea, che noi, come novelle Cassandre, andavamo da tempo a raccontare; un'Unione europea debole, che affronta una sfida esistenziale e questo è il livello di allerta lanciato dal Presidente Draghi.
Citando ancora le sue parole: “Se l'Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni”. Infine giunge alla seguente conclusione: “(…) l'unico modo per diventare più produttivi è che l'Europa cambi radicalmente”.
È finito, dunque, il tempo di quell'Unione europea ideologica, burocratica e lontana dalla sua ragion d'essere, ovvero quella comunità di Nazione che persegue l'obiettivo comune di creare quel sistema di relazioni utili a difendere gli interessi nazionali e comuni a tutti. La nuova legislatura europea ci permetterà di cambiare la rotta e lanciare quella sfida al mondo globalizzato, per rideterminare il ruolo centrale dell'Europa e dell'Italia.
Analizziamo il tema che è rimasto più a lungo nel dibattito pubblico anche perché diretto a cambiare non solo il nostro stile di vita, ma tutto un segmento del settore produttivo nazionale e richiamato più volte nei testi in esame. Parliamo di transizione verde, il cosiddetto . Per difendere il nostro ecosistema le vie sono molteplici e l'approccio decisamente ideologico adottato finora non ha permesso al nostro sistema produttivo di essere competitivo. Sono stati messi a rischio pezzi interi del nostro sistema industriale e i relativi posti di lavoro diretti e indiretti, per raggiungere obiettivi irragionevoli. La decarbonizzazione va guidata e le nostre industrie vanno appoggiate in questo processo di cambiamento, che non può avere l'orizzonte temporale del 2035. Non possono essere lasciati soli a competere, senza armi, in un mercato globalizzato dove potenze economiche, come Cina e Stati Uniti, hanno già fatto passi da gigante in questo settore e nello sviluppo dell'innovazione tecnologica. Su questo tema, il Governo Meloni, con il lavoro del Ministro Urso, ha portato in sede europea la discussione sullo sviluppo del comparto dell', con il che, tra i vari obiettivi, si pone il riesame delle modalità che porteranno allo stop ai motori endotermici, adottando il principio della neutralità tecnologica. Sono necessarie, infatti, risorse comuni per riportare la competitività europea sul piano globale e questo tema, questo è stato anche adottato da tantissimi altri Stati europei e continua a ricevere numerose adesioni.
Sul fronte della neutralità tecnologica, vorrei sottolineare, inoltre, come sia stato firmato pochi giorni fa il decreto Sostegno per l'autoproduzione di energia da fonti rinnovabili nelle piccole e medie imprese, che prevede un regime di agevolazioni, con una dotazione finanziaria di ben 320 milioni di euro, che concede sotto forma di contributo in conto impianti per i programmi di investimento delle piccole e medie imprese finalizzati all'autoproduzione di energia elettrica, ricavati da impianti solari fotovoltaici, mini-eolici, per l'autoconsumo immediato e per sistemi di accumulo e stoccaggio dell'energia dietro il contatore per autoconsumo differito. In aggiunta, il Ministro Urso ha dichiarato che, con questa legge di bilancio, saranno destinati dei fondi alle aziende dell', con sostegni specifici destinati a tutta la filiera. Per sostenere un'autonomia strategica, devono essere messi in campo importanti investimenti pubblici e privati. Gli strumenti finanziari da impiegare devono essere messi in discussione senza preclusioni, anche quelli sul debito comune europeo, ponderando attentamente tutti gli elementi.
Sugli investimenti per la difesa, è inutile ribadire che l'impegno di raggiungere il 2 per cento del PIL per tale spesa è obiettivo arduo, se non si rivedono le regole del Patto di stabilità. Il Governo Meloni ha ribadito che tale spesa sarà possibile se gli Stati membri saranno sostenuti, perché le priorità rimangono gli investimenti per i cittadini e i lavoratori italiani. Infine, le priorità evidenziate nel “Rapporto Draghi” sulle sfide che ci aspettano sono condivisibili e si rivedono anche nel lavoro portato avanti dal Governo Meloni in Italia e in Europa. Non ci sottrarremo alla sfida epocale che abbiamo davanti a tutti noi e, anche forti del consenso ottenuto alle ultime elezioni europee, combatteremo senza esitazione per difendere e lanciare il nostro futuro economico e sociale .
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Prendo atto che si riserva di farlo successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1305: Istituzione della Giornata nazionale per la prevenzione veterinaria.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
La XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, l'onorevole Massimiliano Panizzut.
MASSIMILIANO PANIZZUTGrazie, Presidente. Colleghi, la proposta di legge in esame, recante l'istituzione della Giornata nazionale per la prevenzione veterinaria, è stata approvata dal Senato in prima lettura il 12 luglio 2023. La proposta è connessa all'esigenza di promuovere a livello culturale la diffusione dell'approccio integrato per la salute delle persone, degli animali e dell'ambiente, che è alla base della sanità del futuro, poiché punta ad aumentare la speranza di vita in buona salute tramite una capillare azione di coinvolgimento proattivo dei cittadini anche sul versante della valorizzazione della prevenzione veterinaria. Si tratta di una problematica di primaria importanza nel contesto sanitario globale attuale, posto che il 70 per cento delle malattie infettive emergenti ha una connessione eziologica diretta o, comunque, trae origine da un serbatoio animale. In un quadro come questo la prevenzione e i controlli si configurano come una precondizione per evitare il possibile insorgere di future situazioni critiche, come quella che abbiamo vissuto in occasione della pandemia da COVID-19.
Il provvedimento si compone di cinque articoli. L'articolo 1 prevede che la Repubblica riconosca il 25 gennaio di ciascun anno quale Giornata nazionale per la prevenzione veterinaria e che sostenga ogni iniziativa utile a sensibilizzare i cittadini sull'importanza della prevenzione veterinaria e della medicina preventiva veterinaria secondo l'approccio integrato , al fine di promuovere salute e benessere degli animali, nonché benessere e longevità sana della popolazione. La visione olistica , ossia il modello sanitario basato sull'integrazione di discipline diverse, è antica e al contempo attuale e si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell'ecosistema sono legate indissolubilmente. Viene poi stabilito che la Giornata non determini effetti civili ai sensi della legge n. 260 del 1949.
L'articolo 2 prevede e disciplina le iniziative per la celebrazione della Giornata nazionale. Esso dispone che in occasione della predetta giornata possono essere previste iniziative nel settore privato e presso gli enti e le strutture del Servizio sanitario nazionale per sostenere l'importanza della prevenzione veterinaria per la salute delle persone, degli animali e dell'ambiente e possono essere organizzati incontri, dibattiti, conferenze e altri momenti di informazione e comunicazione, anche di carattere internazionale, promossi dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, dalle province, dalle città metropolitane, dai comuni e dagli altri enti pubblici e privati interessati. Viene stabilito che, in particolare, possono essere valorizzate le attività professionali veterinarie e le iniziative di prevenzione veterinaria e promozione della salute umana e degli animali rivolte alle giovani generazioni e di contrasto alle malattie infettive a rilevanza endemica e pandemica a carattere zoonotico, al fine di orientare i comportamenti del benessere individuale e collettivo alla salute e al benessere degli animali e al raggiungimento di una longevità sana nella popolazione.
L'articolo 3 detta disposizioni specifiche sulla celebrazione della Giornata negli istituti scolastici, prevedendo che per l'occasione le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado possono promuovere, nel rispetto dell'autonomia scolastica e nel quadro delle indicazioni nazionali e delle linee guida specifiche per i diversi gradi di istruzione, l'importanza dell'appropriata alimentazione e della prevenzione e del contrasto alle malattie infettive a rilevanza endemica e pandemica a carattere zoonotico, in collaborazione con le aziende sanitarie locali territorialmente competenti ed anche coinvolgendo l'ordine dei medici veterinari e le organizzazioni dei medesimi maggiormente rappresentative a livello territoriale. Le istituzioni medesime possono, inoltre, promuovere iniziative civiche, percorsi di studio ed eventi dedicati alla comprensione e all'apprendimento dei principi fondanti la prevenzione veterinaria nell'ambito , al fine di educare alla prevenzione e al contrasto dei rischi sanitari interdipendenti su cui possono incidere i comportamenti e le azioni degli individui e della collettività.
L'articolo 4 dispone che in tema di informazione radiofonica, televisiva e multimediale nella Giornata nazionale si prevede che la società concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, secondo le disposizioni previste dal contratto di servizio e d'intesa con il Ministero della Salute, possa dedicare adeguati spazi ai temi connessi alla Giornata nazionale nell'ambito della programmazione televisiva pubblica nazionale e regionale.
In particolare, possono essere previste iniziative di informazione che possono prevedere il coinvolgimento di medici veterinari di provata esperienza e competenza, anche in collaborazione con l'Ordine dei medici veterinari e le organizzazioni dei medesimi maggiormente rappresentative a livello territoriale, finalizzate a sensibilizzare la popolazione in tema di prevenzione veterinaria, sicurezza alimentare, educazione e promozione della salute, con particolare riferimento ai rischi relativi alla diffusione degli agenti zoonotici e dei microrganismi antibiotico-resistenti e alle azioni e misure di marginalizzazione e contrasto dei medesimi rischi a cura dei singoli e della collettività.
L'ultimo articolo, l'articolo 5, prevede la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che le amministrazioni interessate provvedano all'attuazione della legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Intendendo, quindi, promuovere l'evoluzione della scienza e lo sviluppo delle nuove tecnologie, applichiamo il principio di precauzione in chiave preventiva. Dobbiamo evitare di intervenire, a problemi conclamati, investendo adeguatamente in risorse umane e strumentali, anche di tipo educativo e informativo, per una sanità pubblica veterinaria con la giusta autorevolezza, dettata dai risultati e dall'esperienza, partendo dalla prevenzione, dalla vigilanza e dalla sorveglianza, per fronteggiare l'insorgenza di malattie animali e, soprattutto, per prevenirle.
Ricordo che il 25 gennaio 1924 venne sottoscritto l'Accordo internazionale costitutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità animale e l'Italia fu uno dei 28 Stati fondatori. Istituendo questa Giornata, quindi, ci prepariamo anche a ricordare degnamente l'evento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, Sottosegretario Marcello Gemmato.
MARCELLO GEMMATO,. Grazie, Presidente. Vorrei ringraziare il relatore Panizzut per l'esposizione e la sensibilità, dimostrata anche dalla collega Cantù che, in Senato, ha immaginato di incardinare questo provvedimento di istituzione della Giornata nazionale di prevenzione veterinaria. Ringrazio l'onorevole Panizzut, ovviamente la senatrice Cantù e i parlamentari che interverranno a sostegno di questo importante momento, perché voglio ricordare a me stesso, prima ancora che all'Aula, l'importanza dell'approccio della salute unica rispetto alla gestione sanitaria globale. Parlare di sanità umana, sanità animale e sanità ambientale - che non sono più tre ambiti distinti, ma che concorrono tutti e tre alla determinazione del concetto di salute - è fondamentale se, in questo momento, vogliamo declinare in profondità una sanità che sia performante, una sanità che sia sostenibile, lo si ricordava poc'anzi, e una sanità che non si faccia più trovare impreparata di fronte ad eventi ed azioni di patogeni esterni.
Voglio ricordare l'importanza della veterinaria, dei veterinari pubblici italiani che sono un fiore all'occhiello del nostro sistema sanitario nazionale. Non più tardi del 28 e del 29 novembre scorsi, a Bari, si è celebrato un evento satellite del G7, incardinato sull'antibiotico-resistenza - in verità, l'ultimo evento del G7 a Presidenza italiana - e, proprio lì, abbiamo avuto modo di apprezzare come il sistema veterinario italiano sia fra i più performanti del mondo.
Affrontando e approcciando il tema dell'antibiotico-resistenza, l'antibiotico-resistenza viene determinata dall'uso improprio di antibiotici, che hanno selezionato i ceppi resistenti, per cui oggi non abbiamo un'alternativa terapeutica rispetto a determinate infezioni; ci arriva dall'assunzione non parametrata, non regolamentata dai medici, che sono gli unici prescrittori dell'antibiotico, ma anche dall'assunzione che viene fatta, dalla filiera alimentare. Ebbene, la nostra filiera zootecnica, negli ultimi anni, ha ridotto del 46,7 per cento l'assunzione di antibiotici proprio perché il sistema veterinario ha funzionato, perché ha funzionato sicuramente una filiera importante, qual è quella zootecnica italiana, che è un fiore all'occhiello, governata e controllata dal Ministero della Salute - e, quindi, ancora una volta dai veterinari pubblici -, che è riuscita ad abbattere enormemente l'assunzione degli antibiotici e, quindi, il consumo degli antibiotici da parte degli animali, contribuendo alla riduzione enorme degli stessi, impattando positivamente sulla tematica dell'antibiotico-resistenza, insieme al sistema , che andava a premiare, va a premiare quelle filiere zootecniche, quegli allevamenti che non utilizzano, che abbattono l'utilizzo degli antibiotici. La PAC prevede la possibilità di avere 350 milioni di euro di finanziamento per questa filiera. Tutto questo ci racconta di un sistema veterinario italiano che funziona.
Immaginare di poter celebrare una Giornata specifica significa avere contezza di tutto questo; significa andare a stressare, evidenziare quella che è una specificità tutta italiana. Voglio infatti ricordare che siamo primi in Europa per abbattimento di quello che vi dicevo, dell'assunzione degli antibiotici; siamo stati i primi in Europa a tracciare in maniera telematica il consumo degli antibiotici anche nella filiera zootecnica, attraverso la ricetta elettronica; quindi siamo primi in Europa. Di questo siamo testimoni e interpreti autentici tutti quanti, partendo dal Ministero, dal Ministro Schillaci, da noi, ma soprattutto la cosiddetta messa a terra avviene grazie ai nostri sistemi veterinari e alla collaborazione proficua e profonda che c'è con la filiera zootecnica.
Quindi, ritengo che questo sia uno di quei provvedimenti che passerà, sarà - immagino - accolto all'unanimità da tutto il Parlamento, quindi anche dalla Camera dei deputati, così ci potremmo ritrovare il 25 gennaio a celebrare una Giornata dell'impegno veterinario, dei veterinari, nella quale potremo declinare in positivo tutto ciò che vi ho detto; e ciò perché, quando ci sono positività - e in tema di veterinaria in Italia ce ne sono -, vanno evidenziate, vanno stressate, vanno portate a fattore comune per lanciare anche un messaggio, da un lato, distensivo nei confronti degli italiani, per dire che il Ministero c'è - il Ministero c'è - ma, dall'altro, anche a livello europeo e mondiale, per far capire ciò che evidentemente è noto, ovvero, nella fattispecie, parlando proprio delle carni, che quelle italiane sono carni genuine, che hanno abbattuto il consumo degli antibiotici. Questo grazie al fatto che il controllo alimentare è in capo al Ministero della Salute, che si dota anche - e lo voglio ricordare in Aula - dello straordinario apporto dei Carabinieri dei NAS, e tutto questo mira ad evidenziare e difendere una filiera tutta italiana, di qualità, che può essere ascritta al , ovvero la nostra carne che, con i nostri servizi sanitari e veterinari e con la supervisione del nostro Ministero, porta a fattore comune e a beneficio comune di tutti gli italiani quella che è una positività. Raccontiamola e decliniamola in positivo.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Imma Vietri. Ne ha facoltà.
IMMA VIETRI(FDI). Grazie, Presidente. Sottosegretario Gemmato, onorevoli colleghi, dopo l'approvazione al Senato in prima lettura, oggi la Camera si appresta a riconoscere il 25 gennaio di ciascun anno quale Giornata nazionale per la prevenzione veterinaria al fine di sostenere ogni iniziativa utile e di sensibilizzare i cittadini sull'importanza della prevenzione veterinaria e della medicina preventiva veterinaria, secondo l'approccio integrato per la salute delle persone, degli animali e dell'ambiente.
L'interazione tra la salute umana, animale e dell'ambiente ci pone di fronte a sfide che dobbiamo essere in grado di affrontare e gestire in modo sempre più coeso. L'Organizzazione mondiale della sanità animale in tutti questi anni ha contribuito in maniera significativa al passaggio da una visione della salute centrata sull'uomo a quella e l'Italia, che è tra i fondatori di questa importante organizzazione, continuerà a garantire il proprio supporto.
L'Italia, grazie al lavoro del Ministero della Salute, è stata un precursore dell'approccio . Basti considerare che il Servizio veterinario italiano è parte integrante del Servizio sanitario nazionale. Proprio per potenziare questa visione nell'ambito della riorganizzazione del Ministero, il Ministro Schillaci, insieme al Sottosegretario Gemmato, ha voluto istituire un apposito Dipartimento , sulla salute umana, animale e dell'ecosistema.
Il Dipartimento è strutturato in modo da rafforzare le attività che richiedono competenze trasversali, anche in un'ottica di sostenibilità, per rendere il nostro sistema sanitario pronto a reagire alle nuove sfide degli anni a venire e rinnovare la già proficua collaborazione scientifica dell'Italia con l'Organizzazione mondiale della sanità animale, attraverso la rete degli Istituti zooprofilattici, che rappresentano il cuore pulsante della ricerca veterinaria nella nostra Nazione.
La data scelta vuole ricordare il 25 gennaio 1924, quando venne firmato l'Accordo internazionale istitutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità animale. Proprio il 25 gennaio 2024, prima Giornata nazionale per la prevenzione veterinaria, ricorrerà il centenario dell'istituzione dell'Organizzazione mondiale della sanità animale, oggi WOAH. Potranno essere previste specifiche iniziative, quali incontri, dibattiti, conferenze e altri momenti di informazione e comunicazione, anche a carattere internazionale presso gli enti e le strutture del Servizio sanitario nazionale, al fine di promuovere, come detto, l'approccio .
Anche le istituzioni scolastiche e il servizio pubblico televisivo, radiofonico e multimediale potranno partecipare alla giornata con iniziative di formazione, comunicazione e sensibilizzazione, con il coinvolgimento dell'Ordine dei medici veterinari e delle organizzazioni maggiormente rappresentative, nell'ambito sia dell'educazione e promozione della salute, sia dell'importanza dell'appropriata alimentazione e della prevenzione e contrasto delle malattie infettive a rilevanza endemica e pandemica a carattere zoonotico. In particolare, come previsto dall'articolo 2, potranno essere valorizzate le attività professionali veterinarie e le iniziative di prevenzione veterinaria e di promozione della salute umana e degli animali rivolte alle giovani generazioni e di contrasto alle malattie infettive a rilevanza endemica e pandemica e a carattere zoonotico.
I grandi cambiamenti di paradigma hanno bisogno di volontà politica e, soprattutto, di un contesto culturale maturo e consapevole, che sia pronto ad accogliere e a tradurre in azioni e comportamenti le nuove indicazioni e, contestualmente, sia in grado di rappresentare le nuove esigenze alle istituzioni nazionali e locali.
L'istituzione di questa giornata è un ulteriore importante passo verso una maggiore consapevolezza del ruolo dei medici veterinari. Più volte, il Ministero dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, guidato dal Ministro Lollobrigida, ha spinto sulla specificità dei nostri prodotti e sul fatto che esista una qualità riconosciuta a livello internazionale della nostra filiera agricola, e non solo. Tutto questo viene mantenuto anche grazie ai servizi di prevenzione e alle figure fondamentali dei veterinari pubblici, che svolgono puntualmente e con onore il proprio dovere.
Riconoscere la Giornata nazionale della prevenzione veterinaria significa promuovere salute e benessere degli animali, nonché benessere e longevità sana nella popolazione, ma significa anche rendere omaggio a una delle figure storiche di controllo della filiera di qualità della nostra Nazione .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Panizzut, che vi rinuncia. Ha facoltà di replicare il Sottosegretario di Stato per la Salute, onorevole Gemmato.
MARCELLO GEMMATO,. Grazie, Presidente. Solo per ringraziare l'onorevole Vietri per l'intervento e per aver sottolineato una cosa che avevo dimenticato, ovvero che il nostro Ministero crede tanto in ciò che poi è scritto nell'articolato della proposta, e che ha istituito un Dipartimento apposito che si occupa di ; quindi, uno dei 4 dipartimenti, che governano le 12 direzioni, è dedicato proprio a questo, a significare il nostro impegno e il fatto che si creda nell'approccio di salute unica al governo della salute.
Per questo. volevo ringraziare l'onorevole Vietri per averlo ricordato - ho dimenticato io e, quindi, questo è positivo -, peraltro, alimentando un dibattito che io immagino, spero e mi auguro avrà - lo voglio ripetere - l'unanimità di quest'Aula nella condivisione di una giornata meritata per il nostro sistema sanitario e per i dirigenti, medici, veterinari pubblici.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Ricordo che domani, martedì 10 dicembre alle ore 11, è convocato il Parlamento in seduta comune per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale (dodicesimo scrutinio) e per l'elezione di tre giudici della Corte costituzionale (terzo scrutinio). La chiama avrà inizio dai deputati.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
1.
S. 1272 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 ottobre 2024, n. 153, recante disposizioni urgenti per la tutela ambientale del Paese, la razionalizzazione dei procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, la promozione dell'economia circolare, l'attuazione di interventi in materia di bonifiche di siti contaminati e dissesto idrogeologico (Approvato dal Senato). (C. 2164)
: LAMPIS.
2.
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 ottobre 2024, n. 160, recante disposizioni urgenti in materia di lavoro, università, ricerca e istruzione per una migliore attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. (C. 2119)