PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
FEDERICA DAGA, legge il processo verbale della seduta del 21 settembre 2018.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
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PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Benvenuto, Bitonci, Bonafede, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, Corneli, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Formentini, Fraccaro, Fugatti, Galli, Gallinella, Gallo, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Guerini, Guidesi, Liuzzi, Lorefice, Losacco, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Picchi, Quartapelle Procopio, Rampelli, Rixi, Ruocco, Scoma, Carlo Sibilia, Spadafora, Tofalo, Vacca, Valente, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto della seduta odierna .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.
PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza all'ordine del giorno Germanà n. 2-00043 .
Chiedo al deputato Antonio Germanà se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
ANTONINO GERMANA'(FI). Grazie, Presidente, illustro l'interpellanza sulla “buona scuola” di Renzi.
La legge n. 107 del 2015 ha definito un piano straordinario di mobilità strutturato in quattro fasi, che ha coinvolto circa 100.000 persone e determinato gravissimi disagi per i docenti assunti nell'anno scolastico 2015-2016 su sedi provvisorie. La mobilità 2016-2017, definita sulla base di un sistema di priorità previsto dal contratto collettivo nazionale, ha determinato una situazione di disparità che ha visto docenti ottenere il trasferimento richiesto anche con punteggi pari a zero, a danno di docenti con punteggi più elevati e, in alcuni casi, addirittura anche titolari di diritti di precedenza.
In seguito alle irregolarità riscontrate sono stati avviati numerosi contenziosi, molti dei quali si sono conclusi con la condanna del Ministero dell'istruzione. Il Ministero ovviamente è stato condannato ed è stato imposto al Ministero di annullare i trasferimenti, che erroneamente erano stati effettuati, e riassegnare al docente ricorrente la sede spettante.
Le operazioni di mobilità del 2018-2019 sono state solo apparentemente ridotte a due fasi del procedimento, provinciale e interprovinciale, in quanto il contratto collettivo nazionale integrato 2017 ha previsto una fase propedeutica alle operazioni, costituita da otto sotto-fasi, e ha suddiviso la procedura di mobilità provinciale e interprovinciale in ben 36 ulteriori sotto-fasi. La correttezza dei relativi esiti è, a mio avviso, dubbia e di poca trasparenza.
Ogni anno i docenti che presentano la domanda di trasferimento o di mobilità professionale non accedono alle necessarie informazioni circa l'effettiva disponibilità di posti e la conseguenza è l'incertezza in merito alla destinazione. Sulla base del contratto collettivo nazionale 2017, in sede di assegnazione del posto, i docenti, che, nel tentativo di superare la mancanza di informazione sui posti effettivamente disponibili, indicano la provincia vengono penalizzati rispetto a coloro che, indicando scuole o ambiti, ottengono il trasferimento prioritariamente - sì, è vero - ma anche con punteggio inferiore, se individuano la sede con posti disponibili.
I trasferimenti sono determinati attraverso un algoritmo che definisce una graduatoria per ogni scelta, sulla base di alcuni criteri ovviamente: dal posizionamento numerico della scelta effettuata nella domanda di mobilità al punteggio posseduto dagli stessi, al diritto di precedenza posseduto, se riconosciuto dalla contrattazione, o dalla priorità della scelta puntuale rispetto a quella più ampia. Le procedure di mobilità dovrebbero avvenire senza distinzioni tra quelle provinciali e quelle interprovinciali e comunque precedentemente alle immissioni in ruolo. Il diritto di precedenza, di cui sono beneficiari i docenti, figli e familiari che assistono un disabile genitore e quindi agevolati dalla legge n. 104, non viene loro riconosciuto nelle operazioni di mobilità tra province diverse.
I tribunali italiani hanno costantemente censurato l'azione del Ministero, sia in merito ai criteri di valutazione del punteggio ai fini della mobilità, sia per il mancato rispetto del diritto di precedenza, che non può essere negato nelle operazioni di mobilità tra province diverse. Quindi, il Ministero è stato condannato più volte al pagamento delle spese di giudizio, che derivavano da questi contenziosi che si erano instaurati, per procedure errate di mobilità, con conseguenti danni all'erario.
Il trasferimento di migliaia di docenti a centinaia chilometri di distanza dalle proprie case ha determinato una disgregazione dei nuclei familiari e il gravoso carico - è naturale - sui familiari stessi e sui docenti dei costi di vitto, alloggio, viaggio e altre spese per coloro che venivano assunti lontano da casa.
Questa situazione di profondo disagio ha colpito particolarmente i docenti meridionali: io in Sicilia l'ho vissuta con tanti amici che sono stati assunti nell'anno scolastico 2015-2016 dalle graduatorie ad esaurimento, però poi sono stati costretti al trasferimento su tutto il territorio nazionale italiano per ottenere una sede di titolarità definitiva, che spesso è appunto localizzata nel centro o nel nord, in quanto le sedi più vicine e disponibili al sud erano state assegnate nelle fasi precedenti anche a docenti con punteggi inferiori.
Quindi, per quanto qui illustrato, chiedo al Governo quali iniziative intenda intraprendere.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca, Lorenzo Fioramonti, ha facoltà di rispondere.
LORENZO FIORAMONTI, . Grazie, Presidente. Saluto l'onorevole Germanà.
L'interpellanza in questione fa riferimento agli effetti del piano straordinario di mobilità adottato ai sensi dell'articolo 1, comma 108, della legge n. 107 del 2015, declinato con la relativa contrattazione integrativa per gli anni scolastici 2016-2017, 2017-2018, 2018-2019.
A seguito del piano straordinario di assunzioni, previsto dalla legge n. 107, infatti, sono stati assunti nell'anno scolastico 2015-2016 circa 86.000 docenti, ma la medesima legge ha anche avviato per l'anno scolastico 2016-2017 un piano straordinario di mobilità territoriale e professionale, rivolto anche ai docenti assunti a tempo indeterminato entro l'anno scolastico 2014-2015, su tutti i posti vacanti e disponibili dell'organico dell'autonomia, inclusi quelli assegnati in via provvisoria agli assunti nell'anno scolastico 2015-2016.
In altre parole, numerosi docenti assunti su sede provvisoria nel 2015-2016 con la cosiddetta buona scuola, nelle province di residenza o limitrofe sono stati, a seguito delle operazioni di mobilità dell'anno successivo, pretermessi nel loro posto da docenti che avevano già acquisito di ruolo entro il 2014-2015. Pertanto, gli assunti nel 2015-2016 sono stati costretti ad abbandonare le sedi provvisoriamente assegnate per ricollocarsi successivamente sul territorio nazionale.
La complessa procedura di mobilità, contestata anche - come è stato sottolineato - nelle sedi giudiziarie per alcuni effetti distorti, ha comportato pertanto la permanenza nelle regioni settentrionali di numerosi docenti residenti in altre parti d'Italia.
Occorre a tal fine anche considerare che il sistema scolastico della scuola statale ha fatto registrare, specialmente negli ultimi decenni, un sensibile disallineamento a livello territoriale tra la domanda, cioè l'offerta formativa scolastica, e l'offerta, cioè il corpo insegnante presente in un determinato territorio. Questa disomogeneità è risultata particolarmente elevata tra le regioni del sud e quelle del nord, registrandosi un forte decremento della popolazione scolastica nel Meridione, a fronte di un incremento di questa nelle scuole statali del nord.
Va chiarito che, per l'anno scolastico 2018-2019, come per gli anni precedenti, la mobilità si svolge in due distinti momenti: mobilità territoriale e professionale, ai sensi del relativo contratto 2017-2018, così come prorogato per il 2018-2019, e utilizzazioni e assegnazioni provvisorie.
Con riferimento all'iter di mobilità territoriale e professionale, risulta che la presentazione delle istanze avvenga in parallelo rispetto alla determinazione dell'organico di riferimento. La progressiva definizione delle disponibilità avviene, inoltre, in base alle cessazioni convalidate dall'INPS per la maturazione del diritto a pensione o a vario titolo.
C'è, quindi, un'evidente complessità dettata anche dalla concomitanza tra presentazione delle istanze e definizione dell'organico, che tuttavia è necessaria per garantire il regolare avvio dell'anno scolastico. Far slittare le domande di mobilità ad un momento successivo sarebbe evidentemente incompatibile con il regolare avvio dell'anno scolastico. Comunque, i docenti, una volta effettuata la valutazione della domanda dai competenti uffici periferici e ricevuta la notifica del punteggio attribuito, possono esercitare specifico reclamo entro dieci giorni, in conformità a quanto previsto dall'articolo 32.
Ad ogni modo, l'esito dei movimenti viene pubblicato secondo le modalità e il calendario indicato nell'ordinanza ministeriale n. 207. La pubblicazione consente al docente, con i rituali istituti di accesso agli atti, di verificare la propria posizione in relazione al quadro delle disponibilità.
Quanto alle precedenze per docenti nei movimenti interprovinciali - e cito -, per “figli e familiari, che assistono un genitore, parente o affine entro il secondo grado in condizione di gravità” (mi riferisco all'articolo 4, comma 3, della legge n. 104 del 1992), si applica l'articolo 8 punto IV del CCNI sulle assegnazioni provvisorie.
Ciò premesso, occorre evidenziare che l'intervento del nuovo Governo per risolvere la situazione pregressa si snoda lungo due direttrici. La prima, già attuata nell'immediatezza, ha riguardato la mobilità annuale del personale scolastico in sede di contratto collettivo integrativo relativo alle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie. Proprio al fine di favorire maggiori possibilità di rientro, sono state introdotte innovazioni ampliative sia in merito alla platea dei docenti, sia per quanto attiene alle disponibilità dei posti, con apposita ipotesi sottoscritta in data 28 giugno 2018 per l'anno scolastico 2018-2019.
L'amministrazione, in accordo con le parti sociali, ha consentito, con il comma 16 dell'articolo 7, la possibilità di richiedere l'assegnazione provvisoria per posti di sostegno anche da parte dei docenti privi del titolo di specializzazione, purché stiano per concludere il percorso di specializzazione stessa sul sostegno o, in subordine, abbiano prestato almeno un anno di servizio, anche a tempo determinato, sul posto di sostegno.
Con il comma 1 dell'articolo 7 si è consentito il ricongiungimento al genitore senza richiedere l'ulteriore requisito della convivenza, come prescritto nella precedente contrattazione collettiva. Si tratta, nel caso di specie, di interventi resi possibili compatibilmente con il quadro normativo vigente.
In conclusione, voglio sottolineare che, detto tutto ciò, il MIUR ha comunque in programma di attivare prossimamente percorsi di specializzazione sul sostegno per tutti i gradi di istruzione. Tali misure amplieranno in modo consistente, rispetto alla situazione attuale, la possibilità di ottenere un rientro presso la regione di residenza da parte di numerosi docenti.
PRESIDENTE. Il deputato Antonino Germanà ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
ANTONINO GERMANA'(FI). Presidente, sottosegretario, nel ringraziarla per il cortese saluto, che ricambio, non posso però dichiararmi soddisfatto per come lei ha esposto la replica alla mia interpellanza, perché anche in questa occasione noi abbiamo assistito a un vero e proprio fallimento delle vostre proposte elettorali. Ciò perché mi aspettavo una risposta più precisa e puntuale, mentre ho ascoltato che lei in parte ha confermato le perplessità della mia interpellanza e, nella restante parte della sua risposta, mi ha illustrato anche brillantemente quella che è stata la riforma della “buona scuola” di Renzi.
Voi, il MoVimento 5 Stelle, come ha fatto Forza Italia, in campagna elettorale avete giustamente censurato la riforma Renzi della buona scuola, che ha distrutto tante famiglie, come abbiamo detto, però il problema è che voi adesso siete al Governo, noi no, purtroppo; siete al Governo da un po' di mesi e purtroppo non avete fatto nulla per cambiare quella riforma che tanto abbiamo criticato.
Ma non solo: voi avete reiterato gli stessi errori della precedente legislatura. Infatti, per le procedure di mobilità dell'anno 2018-2019 avete utilizzato lo stesso contratto nazionale; addirittura, si sono registrati ritardi superiori a quelli degli anni precedenti e tutto ciò ha portato enormi disagi per i docenti, per gli alunni, per il tutto il mondo scolastico e per le famiglie dei docenti, come abbiamo già detto.
Avete continuato a violare anche i criteri della legge n. 104 del 1992, limitandola solo alla mobilità provinciale, e non avete riconosciuto il sacrosanto diritto dei docenti ad avere lo stesso trattamento per chi ha svolto servizio presso istituti paritari. Avete quindi contribuito a mantenere una situazione di grande disagio per la classe docente.
Presidente, non utilizzerò i dieci minuti che ho a disposizione, perché credo, in pochi minuti, di avere già detto cosa penso. Ringrazio, da cittadino, i tanti avvocati che hanno difeso i diritti dei docenti in questi mesi e mi auguro che, a seguito delle cose che ci siamo detti, vogliate fare qualcosa di più in futuro, perché la necessità di un intervento importante è urgente. Il Governo, il vostro Governo del cambiamento, dovrebbe porre fine a questa vergogna e io mi auguro che possa farlo in fretta.
PRESIDENTE. In attesa del sottosegretario Durigon, passiamo all'interpellanza Elvira Savino n. 2-00071 . Chiedo alla collega Elvira Savino se intenda illustrare la sua interpellanza.
ELVIRA SAVINO(FI). Sì, Presidente, la illustro brevemente. Signor sottosegretario, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, i bambini in eccesso ponderale, nel mondo, sono 44 milioni. In Italia il fenomeno dell'obesità infantile sta assumendo dimensioni preoccupanti: si stima che i bambini tra i 6 e gli 11 anni con problemi di eccesso ponderale in Italia siano ben 1 milione e 100 mila; il 12 per cento dei bambini risulta obeso, mentre il 24 per cento è in sovrappeso; più di un bambino su tre, quindi, ha un peso superiore a quello che dovrebbe avere per la sua età.
L'aumento dell'obesità ha cause diverse che interagiscono tra loro, tra le quali si possono individuare, in via principale, sedentarietà, cattiva alimentazione e fattori genetici. In Italia, il tasso di sedentarietà è tre volte superiore a quello degli altri Paesi europei; il dato allarmante riguarda in particolare i sedentari assoluti, ovvero coloro che non praticano né sport né qualsiasi tipo di attività fisica; i bambini tendono ormai a muoversi sempre meno, mentre l'esercizio fisico è, al contrario, per i bambini di fondamentale importanza.
Nelle abitudini alimentari di bambini si registra un aumento della quantità e varietà degli alimenti grassi ed energetici, la frequenza nell'uso di per pranzare e cenare, un incremento dell'uso di bibite analcoliche dolci e gasate come sostituto dell'acqua.
A livello internazionale si discute sulla cosiddetta , ossia la tassa sulle bevande zuccherate, che, dal 6 aprile 2018, nel Regno Unito è già in vigore e che ha la finalità di spingere i produttori di queste bevande, attraverso la leva fiscale, a ridurre il contenuto di zucchero nelle bevande zuccherine. Una sana e corretta alimentazione e un corretto rapporto con il cibo, a partire già dall'età infantile, producono i loro effetti in età adulta. L'iperalimentazione nei primi due anni di vita, infatti, oltre a causare un aumento di volume delle cellule adipose, determina anche un aumento del loro numero; da adulti, pertanto si avrà una maggiore predisposizione all'obesità e una difficoltà a scendere di peso, perché sarà possibile ridurre le dimensioni di queste cellule, ma non sarà possibile eliminarle.
Vi sono poi conseguenze più gravi cui è associata l'obesità infantile, alcune delle quali ad insorgenza precoce: problemi di tipo respiratorio e articolare, disturbi dell'apparato digerente e disturbi di carattere evidentemente psicologico, come la perdita di autostima e la non accettazione di sé; altre sono di insorgenza tardiva, come le disfunzioni di natura cardiocircolatoria, muscolo-scheletrica e metabolica.
Intervenire, dunque, durante l'età evolutiva è di fondamentale importanza. Le buone abitudini, in famiglia , devono contribuire al formarsi di un'adeguata coscienza alimentare e anche la scuola, nell'ambito del suo ruolo istituzionale, deve assumere il compito di sensibilizzare verso le tematiche della salute, della sana alimentazione, della riduzione degli sprechi e adottare iniziative volte alla valorizzazione delle tradizioni culinarie del nostro Paese.
Un ruolo importante, nel momento informativo e formativo, lo rivestono la famiglia, la scuola e anche i servizi sanitari presenti sul territorio, ma non si può ignorare il ruolo fondamentale dei e della comunicazione, tanto più nell'epoca dei .
Per questo, per quanto riguarda la pubblicità, è inconfutabile che i bambini e gli adolescenti sono costantemente esposti a un numero considerevole di tecniche nascoste di , che promuovono cibi grassi e zuccherini. Quindi, mi domando se non si intenda promuovere campagne di rilevazione e prevenzione del rischio di obesità infantile mediante l'avvio di procedure di rivolte ai bambini da zero a tre anni, nonché indagini volte a verificare le abitudini alimentari delle donne in stato di gravidanza e dei bambini in età prescolare, al fine di promuovere un consumo alimentare sano e consapevole; se non si ritenga necessario avviare efficaci campagne di informazione e sensibilizzazione nelle scuole, per promuovere iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione maggiormente equilibrata nella fase in cui si formano le abitudini alimentari dei ragazzi, anche prevedendo programmi di formazione e aggiornamento dei docenti in materia di educazione alimentare e garantendo un approfondimento nel campo delle scienze alimentari e della pedagogia alimentare, un approccio integrato tra alimentazione, ambiente e dieta mediterranea; se non si intendano assumere iniziative per prevedere, seguendo l'esempio britannico, l'introduzione anche nel nostro Paese della cosiddetta sulle bevande zuccherate; se non si reputi necessario avviare un piano nazionale per la prevenzione e la cura dell'obesità, che preveda attività di controllo della pubblicità rivolta ai bambini, il divieto di vendita di merendine e bevande zuccherate negli istituti scolastici e campagne di comunicazione sociale che promuovano la dieta mediterranea .
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Salute, Armando Bartolazzi, ha facoltà di rispondere.
ARMANDO BARTOLAZZI, Signor Presidente, signori deputati, onorevole Savino, il Ministero della salute è pienamente consapevole, già da anni, delle importanti implicazioni in termini di sanità pubblica determinate dal fenomeno dell'obesità infantile; fenomeno, peraltro, ben descritto nell'atto ispettivo dell'onorevole Savino, e che, pertanto, posso evitare di illustrare nei dettagli.
Mi limiterò a dire, dunque, che l'obesità infantile rappresenta un importante fattore di rischio di malattie croniche, in grado di associarsi ad una più precoce insorgenza di patologie tipiche dell'età adulta, quali il diabete di tipo 2, l'ipertensione e l'iperlipidemia.
L'obesità è di certo la risultante dell'interazione tra componenti comportamentali, sociali e metaboliche, alcune geneticamente determinate, altre riconducibili a fenomeni ambientali.
Muovendo da tale consapevolezza, non vi è dubbio che, come evidenziato nell'interpellanza odierna, si debba intervenire innanzitutto nell'attività di promozione di corretti stili di vita.
Una sana alimentazione, associata ad uno stile di vita attivo, è infatti il migliore strumento per la prevenzione, la gestione e il trattamento di molte malattie: il regime dietetico adeguato ed equilibrato, infatti, non solo garantisce un apporto di nutrienti ottimale, in grado di soddisfare il fabbisogno dell'organismo, ma permette anche l'apporto di sostanze che svolgono un ruolo protettivo e/o preventivo nei confronti di determinate condizioni patologiche.
Per agire efficacemente contro sovrappeso e obesità il Ministero della salute non può agire da solo, essendo necessario il coinvolgimento attivo di settori della società esterni al sistema sanitario attraverso mirate politiche intersettoriali.
Tale coinvolgimento è perseguito dal Ministero della salute innanzitutto attraverso il programma nominato “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari”, attivo già dal 2007, che ha consentito di attivare numerose iniziative finalizzate alla prevenzione dell'obesità grazie alla stipula di protocolli con attori appartenenti al mondo della scuola, dell'agricoltura, dell'economia, dell'industria, dello sport e della società civile.
Il Ministero della salute, in particolare, mantiene un dialogo costruttivo anche con l'industria alimentare: già dal 2009, grazie ad accordi volontari con il Ministero, alcune società di produzione e distribuzione alimentare ed associazioni nazionali di produttori industriali e di panificatori artigianali hanno, ad esempio, ridotto il contenuto di sale in taluni alimenti, partendo dal pane, che è la prima fonte alimentare di sale in Italia, e intervenendo in seguito su altre tipologie di prodotti disponibili sul mercato.
Particolarmente strategico risulta, inoltre, il raccordo con il Ministero dell'istruzione: la scuola, infatti, svolge un ruolo educativo molto importante nel supportare e stimolare comportamenti salutari a partire dall'infanzia, coinvolgendo le famiglie e l'intera comunità scolastica.
In tutto il territorio nazionale sono stati attivati molteplici interventi educativi rivolti ai bambini della scuola primaria e secondaria per fornire, in maniera piacevole e coinvolgente, informazioni e suggerimenti in tema di sana alimentazione e importanza dell'attività motoria, anche attraverso il coinvolgimento dei genitori e delle famiglie.
Devo sottolineare come, in questo quadro, anche la partecipazione delle regioni costituisca un elemento strategico nelle politiche nazionali di prevenzione. L'approccio strategico intersettoriale del progetto “Guadagnare salute” è infatti funzionale anche alla realizzazione da parte delle regioni del Piano nazionale della prevenzione 2014-2018.
Il Piano contempla, infatti, la promozione di corretti stili di vita nella popolazione e nei soggetti a rischio. A tal proposito, sono identificati come obiettivi centrali l'aumento del consumo di frutta e verdura negli adulti e nei bambini, la riduzione del consumo di sale e la promozione dell'allattamento al seno.
Attraverso i propri piani regionali della prevenzione, le regioni hanno attivato programmi volti a promuovere e sostenere la corretta alimentazione, privilegiando in particolare la scuola e i luoghi di lavoro, e puntando a migliorare la qualità nutrizionale sia nella ristorazione collettiva sia nella distribuzione automatica, con interventi in cui alla qualità igienica degli alimenti si associ un buon livello nutrizionale dei pasti.
Il Ministero della salute ha, inoltre, ritenuto necessario anche avvalersi di uno specifico sistema di sorveglianza, denominato “OKkio alla Salute, attraverso il quale è oramai possibile disporre di dati aggiornati e confrontabili sulla prevalenza di sovrappeso e obesità in età infantile, sullo stile di vita dei bambini e sulle attività scolastiche di promozione della salute.
Tale sistema viene coordinato dall'Istituto superiore di sanità ed è condotto in collaborazione con tutte le regioni italiane e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Il sistema di sorveglianza “OKkio alla Salute” non ha solamente contribuito alla conoscenza dell'eccesso ponderale dei bambini italiani, ma ha anche incentivato lo sviluppo e la presa di coscienza del problema, favorendo lo sviluppo di azioni atte a promuovere la salute e contrastare l'eccesso di peso dei bambini attraverso programmi che hanno coinvolto i diversi professionisti della salute e il settore scolastico in tutto il territorio nazionale.
Un'ulteriore linea di attività del Ministero è, inoltre, quella finalizzata a promuovere in ogni sede, anche internazionale, la dieta mediterranea, la quale è universalmente riconosciuta tra le più complete ed equilibrate.
Peraltro, in linea con i più consolidati orientamenti scientifici, il Ministero ha sempre considerato fondamentale analizzare la totalità della dieta, e non il singolo alimento, evitando di classificare gli alimenti in buoni e cattivi, poiché tali alimenti devono essere commisurati alle esigenze del singolo individuo e non giudicati nell'ambito di una semplice valutazione standardizzata.
La promozione della dieta mediterranea, dunque, costituisce non solo un importante obiettivo di protezione degli interessi economici del nostro Paese, ma anche e soprattutto la conferma di un'impostazione scientifica prevalente che non condivide la crescente tendenza a demonizzare i singoli ingredienti, come grassi o zucchero, senza considerare, ad esempio, che talune tecniche di cottura possono incidere sulla composizione degli alimenti e modificarne le qualità nutrizionali.
Tale tendenza potrebbe, infatti, indurre ad eliminare alcuni alimenti che fanno parte della dieta mediterranea e che sono oramai apprezzati in tutto il mondo, provocando pericolosi squilibri nutrizionali.
In questo contesto, per rispondere allo specifico quesito posto, l'eventuale introduzione della cosiddetta dovrà essere valutata con estrema cura. Essa, peraltro, è stata già sottoposta ad un'attenta valutazione preliminare in merito ai suoi potenziali effetti, per quanto, come riferito dall'Istituto superiore di sanità, le evidenze scientifiche oggi disponibili siano ancora limitate.
Un importante elemento di riflessione ci viene però già fornito da un'accurata analisi dell'effetto della tassa sulle bevande zuccherate in Cile, dopo un anno dalla sua introduzione: essa, infatti, è risultata efficace nel ridurre il consumo di bibite con zuccheri aggiunti nella fascia di popolazione con un alto reddito, ma non nella popolazione più svantaggiata da un punto di vista socioeconomico, che è quella che presenta una maggiore prevalenza di obesità infantile e appare più suscettibile alle patologie a questa correlata.
Questo stesso studio, così come altri lavori scientifici, pur correlando l'introduzione della tassa ad una parziale riduzione dei consumi di bevande con zuccheri aggiunti, non ha riscontrato nessun effetto diretto delle politiche di tassazione sulla prevalenza di obesità infantile. Forti perplessità sussistono inoltre, più in generale, sull'applicazione di tassazioni maggiorate, poiché tale approccio è privo di componenti educative verso sane abitudini alimentari e può determinare un possibile spostamento dei consumi verso prodotti di scarsa qualità nutrizionale, in particolare nell'età infantile ed evolutiva e nei soggetti con minore grado di istruzione.
In coerenza con gli orientamenti suggeriti dall'Unione europea, che ha sollecitato gli Stati membri ad impegnarsi per un approccio globale ai fini della riduzione di grassi saturi, grassi trans, zuccheri aggiunti nelle bevande zuccherate e nei cibi solidi, il Ministero della salute ha, dunque, redatto due documenti, finalizzati, da un lato, a regolamentare la promozione di alimenti per l'infanzia e, dall'altro, a condividere alcuni obiettivi di miglioramento della qualità nutrizionale dei prodotti consumati dai bambini dai 3 ai 12 anni.
Detti documenti sono il risultato di una collaborazione tra Ministero della salute e le associazioni di categoria del settore alimentare: tale strategia - lo dico con soddisfazione - sta evidenziando risultati molto favorevoli, così come dimostrano i dati di monitoraggio disponibili fino al dicembre 2017, in termini di riduzione di zuccheri, grassi saturi, sale e porzioni.
Concludo informando che, per il prossimo futuro, questo Ministero intende sviluppare ulteriori modalità operative per stabilire percorsi programmati sinergici in materia di nutrizione, al fine di superare il proliferare di iniziative autonome e di pervenire ad una strategia di politica nutrizionale condivisa e attiva. Particolare cura verrà, inoltre, di certo dedicata alla promozione, tramite iniziative di comunicazione rivolte soprattutto ai soggetti più vulnerabili, di una dieta sana per tutti i vari periodi della vita, nonché di una intensa e idonea attività sportiva.
Con l'implementazione di questi strumenti si ritiene, infatti, che si potrà proseguire nel di lenta ma costante diminuzione della diffusione del sovrappeso e dell'obesità tra i bambini, un che ci viene certificato dalle rilevazioni effettuate dal sistema di sorveglianza “OKkio alla salute”, per le quali, in meno di dieci anni, l'eccesso ponderale dei bambini è diminuito del 13 per cento, passando dal 35,2 per cento del 2008 al 30,6 per cento nel 2016.
Dati più recenti dell'Organizzazione mondiale della sanità vedono il 25 per cento dei bambini con età inferiore ai 15 anni in sovrappeso. L'adozione di strategie rivolte a ridurre l'obesità infantile è attualmente uno dei pilastri programmatici dell'OMS, la cui riunione è terminata da qualche giorno, e posso dire che l'Italia, quindi il nostro Paese, ha pienamente aderito a queste direttive.
PRESIDENTE. La deputata Elvira Savino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
ELVIRA SAVINO(FI). Grazie, Presidente. Io la ringrazio, sottosegretario, perché lei è stato molto esaustivo: questo, evidentemente, è un tema che ci vede tutti d'accordo nell'impegno a contrastare questo fenomeno, che ha assunto ormai dimensioni epidemiche e che non può essere trattato soltanto, come spesso si fa, da un punto di vista sanitario, ma che necessita di approcci diversi, che sono appunto culturali, sociali e di varia natura.
Sono parzialmente soddisfatta, nel senso che altri aspetti si sarebbero potuti approfondire, perché c'è la necessità di sensibilizzare su questi temi; però, lo si può fare da un punto di vista informativo, ma anche con azioni mirate.
Lei ha sottolineato un aspetto, che è quello della differenza di effetti delle campagne pubblicitarie o delle campagne di sensibilizzazione in base alle fasce della popolazione, cioè svantaggiate o meno. È stato rilevato dall'OMS che, per esempio, paradossalmente, i livelli più alti di obesità si riscontrano nelle regioni dell'Europa meridionale, che sono quelle che, in linea teorica, dovrebbero disporre di varietà agroalimentari, stile di vita, alimentazione più favorevoli rispetto all'utilizzo di cibi sani: la dieta mediterranea è universalmente riconosciuta come la più equilibrata, la più corretta.
Invece dagli anni Cinquanta, per esempio, si registrano nei Paesi del Nord Europa un'attenzione molto maggiore a queste tematiche e livelli di obesità infantile decisamente inferiori: evidentemente perché, come dicevo, appunto dagli anni Cinquanta vi è quasi stata una tendenza ad una modernità sbagliata, ad adottare stili di vita e utilizzo di cibi che, evidentemente, sono cibi spazzatura e che derivano dalle sollecitazioni della comunicazione e della pubblicità.
In Italia questo si registra in particolar modo, e c'è un dato, secondo me, sul quale bisogna lavorare molto, che è quello appunto dei messaggi pubblicitari: bisognerebbe approfondire questo tema, perché io ho rilevato che, per esempio in Svezia, per fare l'esempio di un Paese di riferimento dove i livelli di obesità infantile sono decisamente inferiori, i messaggi pubblicitari che vengono veicolati ai bambini di questa natura, cioè relativi al cibo spazzatura, sono pochissimi, e c'è un'associazione diretta tra la quantità di stimolazioni di questo tipo che arrivano ai bambini e l'utilizzo di questo tipo di prodotti. In Italia, invece, la metà della raccolta pubblicitaria riguarda i cibi spazzatura, e quindi su questo bisognerebbe approfondire: incentiviamo la possibilità di promuovere messaggi e campagne culturali che in generale raccomandino l'utilizzo di questi cibi.
O ancora, per esempio, incoraggiare le industrie alimentari ad introdurre sul mercato questo tipo di cibi, magari tassare quelle che producono cibo spazzatura e sussidiare quelle che producono cibi sani e nutrienti. Ancora, per esempio, si può pensare di promuovere e rendere organica la possibilità di formulare menu equilibrati all'interno delle scuole, l'idea della frutta nelle scuole dev'essere strutturata. Io credo che ci sia un'associazione tra le due cose, perché anche in Italia c'è una differenza nei livelli di obesità infantile tra le regioni del Nord e le regioni del Sud: quelle del Sud hanno livelli di obesità maggiore rispetto a quelle del Nord. Al di là di tutti gli aspetti che sono fondamentali della conoscenza, della sensibilizzazione delle famiglie - perché anche i genitori, le mamme, la mamma del Sud tende a chiedere continuamente al bambino: hai mangiato? Non hai mangiato? -, vi è cioè la convinzione che l'iper-alimentazione sia salutare, invece spesso si eccede nella quantità di calorie di cui il bambino ha bisogno.
Allora, tutti questi aspetti culturali si associano anche al fatto che spesso si tende a far assumere ai bambini una vita sedentaria: un aspetto fondamentale è quello della sedentarietà. Qui mi viene in mente la parola “sport”, perché lo sport ha una funzione fondamentale nella vita dei bambini, degli adolescenti, non solo da un punto di vista della salute in sé, ma anche da un punto di vista etico, della formazione, perché lo sport insegna il sacrificio, il gioco di squadra, il raggiungimento degli obiettivi, una sana competizione, e tiene anche lontani dagli stili di vita sbagliati, il fumo, le droghe, l'alcol. E poi ovviamente, se vuoi essere uno sportivo competitivo, sei quasi obbligatoriamente indotto ad avvalerti di un'alimentazione corretta.
E c'è per esempio il dato, su quale secondo me bisogna anche lavorare, degli impianti sportivi: perché adesso le città sono meno sicure, i bambini stanno meno per strada, si muovono di meno, hanno meno possibilità di correre e di stare all'aperto. Il 20 per cento delle scuole del Sud dispone di impianti sportivi, contro il 70 per cento del Nord. Probabilmente, anche questo è un aspetto che stimola ad avere stili di vita sani e ad assumere un'alimentazione sana, per cui credo che si debba lavorare anche su questo: migliorare gli impianti sportivi, incentivarli, aumentare le ore di attività fisica nelle scuole. Il livello delle attività fisiche fatte a scuola, nella scuola pubblica, è bassissimo: bisognerebbe renderlo di maggiore qualità, aumentare il numero di ore, proprio per indurre a fare sport, e quindi a vivere una vita sana, e di conseguenza un'alimentazione sana; occorre alzare questi livelli.
Questo lo dobbiamo fare non solo per il benessere dei nostri figli, ma anche perché, come lei ha detto, queste problematiche hanno un'incidenza enorme sui nostri sistemi sanitari. Io ho alcuni dati, per esempio: la World Obesity Federation, nell'occasione dell'ultimo Word Obesity Day, ha evidenziato - stabilendolo per alcuni Paesi in particolare, tra cui l'Italia - che nel 2025 ci sarà il 19 per cento di bambini in sovrappeso, il che significa che avremo fino al 2025 un aumento esponenziale di tutta una serie di malattie, come l'intolleranza al glucosio, il diabete di tipo 2, l'ipertensione, la steatosi epatica. Tutto questo incide sui nostri sistemi sanitari per una dimensione pari all'1,8 per cento della nostra spesa sanitaria: quindi, è importante non solo parlare di questi temi, ma adottare iniziative specifiche di prevenzione, perché questo è nell'interesse dei nostri figli, ma anche nell'interesse dei nostri sistemi sanitari e della nostra economia.
PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione D'Incà n. 3-00082 .
Il sottosegretario di Stato per la Salute, Armando Bartolazzi, in sostituzione del sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali, Claudio Durigon, ha facoltà di rispondere.
ARMANDO BARTOLAZZI,. Grazie, Presidente. Con riferimento all'interrogazione parlamentare in oggetto, relativa alla presunta chiusura dell'agenzia di Agordo, in provincia di Belluno, e alla sua successiva trasformazione in Punto INPS, posso affermare che, per il momento, trattasi di una proposta avanzata dalla direzione regionale veneta dell'Istituto previdenziale, adesso sottoposta al vaglio della direzione generale per le valutazioni di competenza. La prospettata rimodulazione dell'agenzia in Punto INPS dovrà comunque avvenire nel rispetto del regolamento di attuazione del decentramento territoriale, di cui si è dotato l'Istituto di previdenza e, pertanto, dovrà essere supportata, oltre che da valutazioni inerenti il contenimento della spesa pubblica, dalla garanzia di non arrecare disservizio al bacino di utenza di riferimento.
Non vi è dubbio che tali processi di trasformazione delle agenzie siano ispirati dalla finalità di garantire un miglioramento qualitativo dei servizi resi, ma ciò che non deve essere in alcun modo pregiudicato è la garanzia di presidio del territorio e la prossimità delle strutture al cittadino fruitore del servizio.
Al momento l'INPS ha reso noto che l'agenzia di Agordo sconta una grave carenza di personale, pari a sole tre unità, che già ne condiziona l'operatività e che, per tale motivo, l'eventuale riconversione della medesima in una struttura organizzativa più snella, quale il Punto INPS, consentirà, comunque, di assicurare la presenza dell'Istituto sul territorio. Il Punto INPS garantirebbe, quindi, un servizio qualitativamente adeguato alle esigenze dell'utenza, sia in termini di accessibilità, che di funzionalità, ma con costi inferiori rispetto a quelli di un'agenzia. Verrebbe, quindi, mantenuto un rapporto diretto con l'utenza, assicurando non solo l'erogazione di servizi di prima accoglienza, ma anche di consulenza specialistica su appuntamento.
PRESIDENTE. L'onorevole D'Incà ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interrogazione.
FEDERICO D'INCA'(M5S). Grazie, Presidente, ringrazio anche il sottosegretario per la risposta che soltanto in parte soddisfa i requisiti della domanda. Chiaramente, la possibilità che l'agenzia, in questo momento presente ad Agordo, possa trasformarsi soltanto in un Punto, aperto forse tre giorni alla settimana, è un problema per quel tipo di territorio.
Voglio, quindi, anche inquadrare un po' le caratteristiche del territorio; noi parliamo di alcune vallate delle Alpi che sono soggette a uno spopolamento molto grave, tra le più isolate che ci sono all'interno delle Alpi, dove, tra l'altro, è presente una multinazionale tra le più famose del nostro Paese, come la Luxottica, che però hanno una distanza rispetto all'Agenzia successiva, quindi, al servizio per il territorio dell'INPS, di circa 40 chilometri, che, in condizioni invernali, che inizieranno presto - anzi, sono già iniziate oggi, perché oggi già le temperature erano molto basse - e tra un mese potrebbero già esserci delle condizioni meteorologiche peggiori, impediscono di fatto alle persone di poter ragionare e andare da questo Punto fino al capoluogo Belluno, dove è presente l'Agenzia provinciale.
Ecco perché, con questa trasformazione - di quella che oggi è un'agenzia sul territorio che avrà, sì, delle carenze di personale, ma credo che sia possibile, anche all'interno dell'INPS, valutare un trasferimento delle persone - secondo me, di fatto, andrà a mancare un altro servizio così importante per quel tipo di territorio.
Io ricordo a tutti che la provincia di Belluno, che conta 200 mila abitanti su 5 milioni di veneti, quindi, molto pochi, ricopre, però, un quinto del territorio veneto; si tratta di un territorio aspro, montano, bellissimo: le Dolomiti sono bellissime; io invito lei, sottosegretario, invito lei, Presidente, a poter vivere le Dolomiti. Sono bellissime in qualsiasi stagione, ma, di fatto, non sono così facilmente abitabili e, per questo motivo, in quelle zone abbiamo uno spopolamento così grave. In quella vallata 16 comuni fanno riferimento a quell'agenzia di cui parliamo oggi, nei quali vivono 20 mila abitanti.
Tra l'altro, Agordo è il Punto Inps più vicino a Belluno e poi a distanza, fino ad arrivare a Livinallongo del Col di Lana e agli altri paesi di montagna. Ecco perché l'Agenzia è, come gli altri servizi, come l'ospedale, come il pronto soccorso, come gli uffici comunali chiaramente, il nucleo forte del territorio, con il quale si permette alle persone di poter rimanere in vita e di poter vivere quel territorio, altrimenti assisteremmo ancor di più ad uno spopolamento che già è gravissimo.
Io ricordo i numeri: in quelle vallate abbiamo meno di un figlio per donna e, quando nasce un ragazzo, questo probabilmente vorrà andarsene a cercare non soltanto fortuna, ma anche servizi migliori in grandi città e in centri diversi.
Se vogliamo far sì che l'Italia non diventi un aggregato attorno ad alcuni centri urbani - noi vediamo lungo l'Appennino e lungo le Alpi una fase di spopolamento di dimensioni mai vista fino ad oggi - dobbiamo creare servizi sul territorio. Ecco perché porto l'esempio pratico di quella vallata, che è di fatto confinante col Trentino-Alto Adige; abbiamo, da una parte, meno di un figlio per donna e, dall'altra parte, in Alto Adige, addirittura 1,76 figli per donna; quest'ultimo è tra i luoghi d'Italia dove c'è l'andamento demografico migliore.
Lo ripeto, in chiusura di tutto, non voglio assolutamente fermare i lavori dell'Aula, però io lo ripeto, quel punto, quell'agenzia deve restare aperta e io vi chiedo cortesemente di poter, in qualche maniera, influenzare la scelta futura e, quello che oggi potrebbe diventare soltanto un punto INPS, farlo rimanere agenzia per permettere alle persone di poter continuare a vivere quel territorio che, altrimenti, diventerà, come spesso capita in alcune zone d'Italia, una landa desolata. E un po' alla volta, tra quaranta o cinquant'anni, al termine della nostra vita, vedremo con dispiacere alcune delle zone più belle d'Italia essere vissute soltanto in alcune parti dell'anno, nella parte invernale e nella parte estiva, perdendo cultura del territorio e la vita delle persone stesse.
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Benamati ed altri n. 2-00085 e all'interrogazione Benamati n. 3-00187 .
L'interpellanza e l'interrogazione, vertendo sullo stesso argomento, verranno svolte congiuntamente.
Il deputato De Maria ha facoltà di illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario.
ANDREA DE MARIA(PD). Grazie, Presidente. Come già veniva accennato, questa interpellanza riguarda la situazione dell'Industria Italiana Autobus e della crisi molto grave che sta vivendo. È un'azienda nata nel 2015 attraverso il raggruppamento dell'ex BredaMenarini di Bologna e dell'Irisbus di Avellino, la cui proprietà risulta partecipata all'80 per cento da Tever Spa, ex King Long Italia, e al 20 per cento da Leonardo, come sappiamo, ex Finmeccanica.
Voglio ricordare che questa impresa raccoglie l'eredità di una lunga tradizione di presenza dell'imprenditoria italiana, del lavoro italiano in un settore così importante come quello della produzione degli autobus, che ha sviluppato negli anni e conferma oggi un'alta qualità professionale dei lavoratori che sono impegnati in questa impresa che, poi, copre un settore produttivo preziosissimo per il Paese. Infatti, parliamo, appunto, della realizzazione di autobus e, quindi, di quegli interventi per il trasporto collettivo che sono molto importanti per la qualità urbana e per la qualità ambientale delle nostre città. Appunto, è un settore dell'economia coperto da imprese italiane che lavorano in Italia e che è importante possano continuare a svolgere la loro attività.
L'azienda versa in una grave crisi, prima di tutto, finanziaria e, stante questa crisi, ha chiesto l'intervento del Ministero dello Sviluppo economico per cercare delle soluzioni che consentano la ristrutturazione degli stabilimenti e la ripresa dell'attività produttiva, anche alla luce della scadenza, a dicembre 2018, degli ammortizzatori sociali attualmente erogati.
Particolarmente urgente rispetto al tipo di crisi che è in atto, risulta la ricapitalizzazione finanziaria della società, perché, appunto, siamo, prima di tutto, di fronte a una situazione finanziaria particolarmente critica.
Nell'incontro che si è svolto il 6 luglio 2018, il Governo aveva indicato la disponibilità ad agire per favorire l'ingresso di Invitalia nella compagnia della società, attraverso le risorse del Fondo imprese Sud stanziate dal precedente Governo nella legge di bilancio 2018, insieme a un nuovo socio privato, con l'obiettivo di arrivare a una soluzione definitiva che consentisse il proseguimento dell'attività aziendale e la stabilità occupazionale dei lavoratori per gli stabilimenti di Bologna e in provincia di Avellino e lo sblocco degli investimenti per far ripartire la produzione sul territorio nazionale con le commesse affidate all'azienda.
C'è stato poi un nuovo incontro il 2 agosto 2018, presso il Ministero dello Sviluppo economico, che è stato, invece, più negativo, dove è sembrato che queste disponibilità, questo percorso possibile venisse rallentato e messo in discussione e, poi, la situazione si è ulteriormente aggravata con la corresponsione ridotta degli stipendi dei lavoratori.
In data 29 agosto 2018, il presidente della regione Emilia Romagna, nel sollecitare l'iniziativa del Governo, aveva indicato la disponibilità della regione stessa a collaborare al percorso di salvaguardia dell'azienda e dei suoi stabilimenti, essendo in Emilia Romagna, a partire da quello di Bologna, e dell'occupazione.
Lo stesso comune di Bologna è fortemente impegnato a sostegno dei lavoratori di questa vertenza, così come lo sono la regione Campania e gli enti locali, a partire dalla realtà di Avellino, che è l'altro presidio del nostro Paese interessato da questa vicenda.
Quella era la data in cui avevamo predisposto quest'interpellanza. Da allora sono accaduti alcuni fatti nuovi, anche perché i lavoratori e le organizzazioni sindacali, col supporto delle istituzioni locali, hanno messo in campo una mobilitazione molto forte; c'è stato anche il 4 settembre un presidio, presso il Ministero dello Sviluppo economico, dei lavoratori dell'azienda.
Il 13 settembre, il Vicepresidente del Consiglio, il Ministro interessato, Luigi Di Maio, ha informato di una disponibilità formale di Busitalia, e quindi di Ferrovie dello Stato, a entrare nella società e questo sarebbe ovviamente un risultato importante e significativo, perché potrebbe dare una prospettiva sicuramente interessante di continuità produttiva.
E poi, proprio in questi ultimi giorni, Start ha pagato una commessa per 519.476 euro, per otto autobus, e quindi sono arrivate finalmente un po' di risorse fresche e si spera si possano sbloccare gli stipendi dei lavoratori. Ricordo che, per il 30 per cento a luglio e per il 100 per cento ad agosto, questi stipendi non sono stati erogati.
Questi segnali positivi, per quanto ci riguarda, però, ovviamente non consentono di dire che i risultati sono stati portati a casa; noi, soprattutto, abbiamo la preoccupazione che ci sia il rischio di un vero e proprio stop alla prospettata soluzione per il bilancio di Industria Italiana Autobus e che questo stop possa comportare l'avvio della procedura fallimentare: una prospettiva che speriamo si stia allontanando, ma che purtroppo è ancora in campo, proprio perché la situazione finanziaria dell'azienda è molto critica.
Ricordo che parliamo di 154 lavoratori di Bologna, 290 di Avellino e, accanto al destino dei lavoratori, che è la prima importante preoccupazione, vi è, poi, la necessità di mantenere questo presidio imprenditoriale e industriale, anche, se possibile, con una partecipazione pubblica, in un settore così delicato e importante per l'economia del nostro Paese.
Voglio anche sottolineare che l'azienda vanta crediti verso le pubbliche amministrazioni per circa 30 milioni di euro, dei quali 20 milioni già scaduti, e si sta aggiudicando gare pubbliche per oltre 1.300 autobus, con ordini per circa 260 milioni di euro.
Per quanto riguarda noi, che siamo deputati del Partito Democratico e che abbiamo sottoscritto questa interpellanza, vogliamo dire questo: questa non è ovviamente una battaglia di parte, è una battaglia per l'economia del Paese, per i lavoratori, per le comunità in cui questi lavoratori vivono. Quindi, se il Governo metterà in campo un percorso forte e credibile, avrà davvero tutto il nostro sostegno, perché è una battaglia di interesse generale del Paese per il lavoro.
Ci permettiamo di dire che, magari, bisogna fare un po' meno comunicazione, un po' meno foto pubblicitarie e un po' meno annunci. Magari, la comunicazione fatela dopo che si sono portati a casa risultati concreti. Lavoriamo tutti per fatti concreti, perché questa crisi abbia uno sbocco positivo, perché alcune di queste prospettive che si sono aperte si concretizzino veramente e, allora, davvero potremo dire, tutti insieme, di avere fatto la nostra parte per il nostro sistema economico, in un settore così delicato per la qualità ambientale, per i trasporti, per i lavoratori e le famiglie interessate .
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico, Andrea Cioffi, ha facoltà di rispondere.
ANDREA CIOFFI,. Grazie, Presidente, grazie all'onorevole per l'illustrazione. Lei ha detto che è interesse di tutti, quindi al di là delle parti, risolvere questo problema e io penso che questo sia assolutamente giusto, perché la produzione di autobus in questo Paese sia ancora viva e, soprattutto, per tutelare i lavoratori.
Quindi, rispondiamo congiuntamente a questi due atti, visto che vertono sullo stesso tema, come è stato detto, e che riguardano la situazione di crisi di Industria Italiana Autobus.
Come c'è già stato modo di evidenziare, lo ha detto anche l'onorevole interrogante, in diverse occasioni - l'ultima volta nel del 13 settembre - la situazione è posta all'attenzione del Ministero dello Sviluppo economico, che la sta seguendo con particolare attenzione. A tale proposito, preme rilevare che, proprio presso il MISE, si stanno svolgendo una serie di incontri, durante i quali sono state richieste garanzie in merito al pagamento degli stipendi arretrati e dei contributi dei dipendenti, nonché il pagamento delle utenze. L'ultimo incontro su tale situazione, in particolare, si è svolto in data 10 settembre 2018.
In data 10 settembre, l'amministratore delegato di Invitalia, presente alla riunione, si è impegnato a valutare l'acquisizione di una partecipazione di minoranza, ai sensi del decreto ministeriale 23 marzo 2018, prevedendo l'apporto di risorse finanziarie da parte di investitori in misura economicamente rilevante, per un ammontare almeno pari al 50 per cento dell'operazione; circostanza, quest'ultima, che potrà verificarsi in relazione all'esistenza di un apposito contratto di sviluppo.
In tale occasione, la società Industria Italiana Autobus ha dato la propria disponibilità all'avvio di un accessibile per i prossimi sessanta giorni, al fine di consentire l'opportuna verifica dei dati dell'azienda; ha dato garanzie per il pagamento di tutti gli obblighi nei confronti della totalità dei dipendenti; ha informato che l'assemblea dei soci ha deliberato la riconvocazione a trenta giorni, tenuto conto del lavoro fatto da Invitalia e dal Ministro dello Sviluppo economico.
Il Ministero, inoltre, si è riservato di convocare ulteriori e ravvicinati incontri di monitoraggio, al fine di verificare quanto detto e di contribuire alla definizione della situazione patrimoniale della società Industria Italiana Autobus.
Su tale situazione, il Ministero del lavoro informa, inoltre, che, per la parte di competenza, proprio con decreto 26 giugno 2015 è stato approvato il programma di ristrutturazione aziendale della Industria Italiana Autobus (IIA), relativamente al periodo che va dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2016. A tale proposito, è stata autorizzata, per il periodo dal 1° gennaio al 30 giugno 2015, la corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale a favore dei 297 lavoratori presso l'unità di Flumeri.
Con successivo decreto del 3 febbraio 2016 è stata, altresì, autorizzata l'ulteriore corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore dei 297 lavoratori per la suddetta unità per il periodo dal 1° luglio al 31 dicembre 2015.
In seguito, con decreto 15 maggio 2017, è stata autorizzata la corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore dei 295 lavoratori presso la stesse unità, per il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016.
Infine, è stata autorizzata per il periodo dal 1° gennaio al 24 settembre 2017, l'ulteriore corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore dei 293 lavoratori presso l'unità di Flumeri.
La medesima amministrazione, inoltre, ai sensi dell'articolo 42, comma 3, del decreto legislativo n. 148 il 2015, ha autorizzato, nel limite massimo comprensivo di 5.423.941,14 euro, per il periodo dal 25 settembre 2017 al 31 dicembre 2018, la prosecuzione del trattamento di integrazione salariale in favore di un numero massimo di 203 unità lavorative presso l'unità di Flumeri.
Si comunica, altresì, come è noto agli interroganti, che è pervenuta al Ministero dello Sviluppo economico una manifestazione di interesse di Ferrovie dello Stato a entrare nella compagine societaria di Industria Italiana Autobus, attraverso la sua azienda Busitalia, che offre servizi di trasporto su gomma.
Concludendo, il Governo si sta impegnando prioritariamente al pagamento degli stipendi dei lavoratori, individuando anche un possibile percorso industriale che permetterà di far riprendere la costituzione di autobus in questo Paese.
PRESIDENTE. Il deputato Benamati ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza e alla sua interrogazione.
GIANLUCA BENAMATI(PD). Grazie, Presidente. Ringrazio il sottosegretario, ma temo che non mi potrò dire soddisfatto, non ci potremo dire soddisfatti di questa risposta, che è già estremamente simile alla risposta del in Commissione, che veniva ricordata poc'anzi, dei primi giorni di settembre.
Non siamo soddisfatti, signor sottosegretario, e non voglio ricordarle qui in dettaglio le dichiarazioni del Vicepresidente del Consiglio e Ministro dello Sviluppo economico in campagna elettorale, la questione della riunione del 6 luglio, di quella del 2 agosto.
È un problema che da diversi mesi mostra queste caratteristiche, su cui ci sono delle dichiarazioni che spesso si susseguono, come veniva prima detto, a mezzo stampa o sui Ma, nella realtà, in concreto, stentiamo a vedere la soluzione di questa partita, non improvvisa e, quindi, su cui da alcuni mesi vi state applicando.
È un tema importante. Come ha detto lei e il collega che mi ha preceduto, la scelta, che è stata fatta alcuni anni fa, quella di mantenere in Italia un polo di costruzione di dimensione di autobus di questo tipo, è stata una scelta strategica per il Paese, basata su esigenze di mercato.
I problemi: il problema degli ordini è stato superato (oggi l'azienda ha un portafoglio ordini importante); il problema della costruzione all'estero si deve superare in questa fase; la questione dei pagamenti, soprattutto i pagamenti verso l'azienda da altri enti pubblici e dell'azienda verso i dipendenti, invece ha ancora problemi.
Oggi abbiamo una buona notizia, che già il 13 settembre era annunciata, ma non è ancora divenuta un atto concreto. Il pagamento da parte di alcuni fornitori pubblici, la Start Romagna tra gli altri, mette in condizione l'azienda di fare fronte alle pendenze con i dipendenti, che sono gli stipendi di agosto e il 30 per cento degli stipendi di luglio. La regione Emilia Romagna si è detta disponibile a rendere immediatamente fruibili alcuni pagamenti. Ma il tema, signor sottosegretario, sugli stipendi e sulla sicurezza degli stipendi rimane.
Così come rimane importante il tema economico e abbiamo detto, del bilancio economico, trenta giorni di aggiornamento dell'assemblea sociale. Bene. Ma lei sa che quell'assemblea sociale ha degli obblighi legali, quindi, entro quella data, la soluzione va indicata, perché, al di là di quella data, vi sono gli obblighi sociali che fanno sì che si debba procedere a un possibile fallimento dell'azienda.
Allora, io sono contento dell'interesse, lo dico onestamente. Siamo contenti, perché, quando le cose vanno bene, come diceva giustamente il sottosegretario, Presidente, è interesse di tutti. Non siamo qui a fare della bieca propaganda politica o dello scontro ideologico, perché non è questo il momento, non è questo il caso, non è la situazione che riguarda il lavoro, i lavoratori e l'industria italiana. Però, queste indicazioni vanno tradotte in fatti concreti.
Noi, nella realtà, siamo a quindici giorni fa, all'interesse di Invitalia, che ci pare il più concreto. In campagna elettorale il Ministro aveva indicato nel ruolo del pubblico la garanzia per il futuro. Non c'è nessun tipo di prevenzione su questo, anzi. Però, bisogna correre, perché le dichiarazioni ai giornali e i su vanno bene, ma a un certo punto servono i fatti.
E qui c'è anche un problema di liquidità per le fideiussioni dell'azienda, che deve partecipare a gare, come i sindacati e i rappresentanti dei lavoratori hanno già fatto notare. Noi qui ci sentiamo di rappresentarli, quei lavoratori di Avellino, quei lavoratori di Bologna, che oggi chiedono di essere tutelati, tutelati contro i rischi concreti che questa azienda produce, che questa azienda soffre, che sono quelli ovviamente del fallimento, che sono quelli di non potere pagare gli stipendi e che sono quelli di ammortizzatori, come lei diceva, che hanno un termine nel prossimo futuro.
Allora, noi vi invitiamo veramente su questo a dare corso a tutte le promesse e a tutti gli impegni che avete assunto, non solo in quest'Aula, ma che direttamente con quelle persone, con quei lavoratori e con quell'azienda. Noi saremo qui a incalzarvi, perché questa, come lei diceva, è la seconda occasione in cui il Parlamento della Repubblica, in pochi giorni, si occupa di questa situazione. Questa, nello specifico, di oggi è una risposta a due atti di sindacato ispettivo, non solo uno e, quindi, il nostro ruolo in questo momento sarà quello di incalzarvi e tenere le vostre parole, le vostre promesse, i vostri progetti, attaccati il più possibile e collegati coi fatti, che veramente possono e si debbono produrre in favore di quest'azienda e di tutti i lavoratori.
PRESIDENTE. La Viceministra agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale, Emanuela Claudia Del Re, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Silli ed altri n. 3-00188 .
EMANUELA CLAUDIA DEL RE,Grazie, Presidente. Il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, naturalmente, continua a seguire con grande attenzione l'evolversi della crisi, scoppiata in Nicaragua lo scorso 18 aprile. Ringrazio naturalmente proprio chi ha predisposto l'interrogazione per avere ricordato questa importante questione.
Sappiamo che tale situazione è dovuta a una decisione del Presidente Ortega di riformare, in maniera repentina e non concertata, l'Istituto nazionale di previdenza sociale e il sistema previdenziale da esso gestito. La riforma, come sappiamo, ha suscitato crescenti contestazioni, rapidamente sfociate in manifestazioni di piazza, cui hanno preso parte soprattutto giovani, studenti universitari, sindacalisti e altri membri della società civile.
Le proteste si sono presto riorientate verso rivendicazioni di portata più generale, quali una maggiore democratizzazione delle istituzioni e della società nicaraguense, l'uscita di scena del Presidente Ortega e l'indizione di elezioni anticipate.
Questo ha scatenato una repressione sempre più brutale e ramificata, da parte delle forze dell'ordine e dei corpi paramilitari. Si calcola che, tra metà aprile e metà agosto, negli scontri di piazza, le vittime siano state circa 300 e i feriti un paio di migliaia. A centinaia si calcolano anche gli arresti arbitrari e i casi di tortura in carcere. Numerose si confermano anche le sparizioni forzate di persone collegate alle proteste, per quanto ancora oggi non sia possibile collegare e fare una stima precisa delle persone scomparse. A questo quadro deve aggiungersi il massiccio esodo dei nicaraguensi, che cercano rifugio nel vicino Paese della Costa Rica, per proteggersi sia da possibili persecuzioni politiche, sia dalla crescente crisi economica che colpisce il Nicaragua.
Cosa fa l'Italia? L'Italia si è fortemente impegnata, specie in ambito europeo, per affrontare in maniera congiunta la crisi nicaraguense e per condannare ogni forma di violenza e di repressione perpetrata dagli apparati di sicurezza statale e dalle forze paramilitari contro esponenti della società civile, nonché, in particolare, contro membri della comunità cattolica del Paese. Abbiamo, inoltre, espresso ripetutamente il nostro sostegno al dialogo nazionale, promosso dalla Conferenza episcopale nicaraguense, menzionata dagli onorevoli interroganti, con l'intento di rintracciare una soluzione politica duratura alla crisi, mediando tra le posizioni del Governo Ortega e quelle dell'opposizione, riunita sotto il nome di Alianza Civica.
Attualmente il dialogo si trova in una fase di stallo e riteniamo, pertanto, fondamentale, in questa situazione così critica per il Nicaragua, il ruolo di facilitatore che possono svolgere le più importanti istanze della comunità internazionale. In questo senso abbiamo da subito espresso il nostro convinto sostegno all'attivismo, molto costruttivo, dell'Organizzazione degli Stati americani (OSA) e della Commissione interamericana dei diritti dell'uomo.
In tale contesto, l'Italia ha contribuito anche economicamente, con l'erogazione di un finanziamento di 80 mila dollari, a valere sui fondi del “decreto missioni 2018”, al funzionamento del gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (GIEI), creato tramite un accordo di assistenza tecnica tra il segretariato generale dell'OSA, la Commissione interamericana dei diritti dell'uomo e il Governo del Nicaragua.
Tale organismo, costituito da quattro personalità di elevatissimo profilo professionale e di indiscussa integrità, opera in Nicaragua dallo scorso mese di luglio. Il suo mandato è di coadiuvare le autorità nicaraguensi nell'investigazione degli atti repressivi e di violenza verificatisi nel Paese tra aprile e maggio scorsi e di sviluppare un piano di attenzione alle vittime.
Non mancano le difficoltà frapposte dagli apparati nicaraguensi al buon funzionamento di questo gruppo, stando a quanto abbiamo appreso da un colloquio avvenuto ad inizio settembre presso la Farnesina con il funzionario di origine italiana delle Nazioni Unite e membro del GIEI Amerigo Incalcaterra.
D'altro canto, riteniamo indispensabile che il gruppo di esperti possa continuare a godere della fiducia e dell'appoggio della comunità internazionale, ora che anche l'ufficio dell'Alto commissario ONU per i diritti umani è stato costretto dal Governo Ortega, a fine agosto, ad interrompere le proprie attività e ad abbandonare rapidamente il Paese, una misura che ha provocato forte reazione durante la 39° sessione del Consiglio diritti umani tenutasi a Ginevra lo scorso 11 settembre, e sostanziatasi in un intervento congiunto letto dal rappresentante dell'Argentina al quale l'Italia si è associata.
Il giorno seguente, anche il Consiglio permanente dell'OSA, riunito in sessione straordinaria, ha approvato una nuova risoluzione in cui si condanna la decisione di allontanare dal Paese i funzionari dell'ufficio dell'Alto Commissariato dell'ONU e si esortano le autorità nicaraguensi ad assicurare la massima collaborazione ai membri del GIEI nello svolgimento del loro mandato.
Vorrei terminare riaffermando il costante impegno della Farnesina a continuare a monitorare attentamente l'evoluzione della situazione sul terreno e a sostenere attivamente, in ogni foro internazionale, la ripresa del dialogo nazionale e il raggiungimento di una soluzione pacifica, negoziata e duratura, della crisi in atto, nell'interesse del popolo nicaraguense nonché della pace e della stabilità del Nicaragua e della regione centroamericana.
PRESIDENTE. Il deputato Giorgio Silli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interrogazione.
GIORGIO SILLI(FI). Presidente, ringrazio il signor Viceministro: ho ascoltato attentamente e devo ringraziare oltremodo, anche perché mi ha fornito un punto di osservazione un pochino più diverso, più approfondito rispetto a quello dei comuni mortali che apprendono le notizie dalla stampa.
Presidente, mi perdoni, ho cinque minuti, vero? Sì. Credo che ne utilizzerò una buona parte, perché credo sia giusto che il Parlamento italiano se ne interessi, il Parlamento di un Paese che è simbolo del progresso sociale e culturale e del benessere a livello mondiale, anche se, per un certo periodo storico anche il nostro Paese ha subìto una certa forma di governo totalitaria o, comunque sia, portato avanti perpetrando anche la violenza.
Mi sono interessato a questo fatto alla fine del mese di luglio forse perché noi italiani credenti abbiamo una sensibilità particolare allorquando si sente parlare di persecuzioni, oltre che dei popoli, anche di chi cerca di dare una mano ai cittadini; e in Nicaragua, nel mese di luglio, abbiamo sentito parlare di spari nei confronti di sacerdoti.
Lo stesso presidente della Conferenza episcopale nicaraguense ha denunciato una persecuzione vera e propria non solo verso i cittadini oppositori del “regime” - lo dico tra virgolette perché fino a pochi mesi o anni fa non era considerato tale in Occidente -, ed è indubbio che un'interrogazione per appurare quale posizione il nostro Governo avesse nei confronti di questa situazione era legittima se non indispensabile.
Daniel José Ortega Saavedra, il Presidente del Nicaragua, insomma, sebbene sia stato eletto con la maggioranza assoluta dei voti poco tempo fa, è una figura un po' particolare, come figure particolari hanno costellato la politica di tutti gli Stati del Sud America.
Il Viceministro è una professoressa universitaria, saprà bene che esiste addirittura un esame che si chiama “Storia delle rivoluzioni dell'America Latina”, proprio perché l'America Latina nel periodo post-coloniale è stata costellata di rivoluzioni che non sono mai terminate sostanzialmente. E Daniel Ortega è un seguace, neppure tanto nascosto, delle politiche di Fidel Castro, piuttosto che delle politiche del dittatore venezuelano precedente all'attuale, che è Maduro.
Non nego che sono andato a fare delle ricerche su Internet e ho trovato che alcuni esponenti di movimenti che sostengono questo Governo, quindi componenti della maggioranza di Governo, in passato avevano quasi quasi definito non proprio condannabile il regime venezuelano, ed è per questo che ho voluto che un rappresentante del Governo testimoniasse in Aula la condanna non certo per il Governo Ortega ma per il comportamento che questo Governo sta portando avanti.
Mi perdoni, ma, al di là di chi può avere ragione o torto, perché sappiamo bene che non conoscendo i fatti in maniera approfondita, soprattutto se si apprende che Daniel Ortega è Presidente con il 72 per cento dei voti ottenuti nel 2016, è indubbio che, mettendomi anche nei panni del Governo, penso sia difficile condannare aprioristicamente un Governo straniero o bollarlo come dittatura; è chiaro però che, anche al di là dei disordini, che credo siano legittimi soprattutto in caso di rivoluzioni come quella che il Governo Ortega stava cercando di fare nel sistema dell'assistenza sanitaria eccetera, di fronte a delle contestazioni così accese nessun Governo – nessun Governo! - può permettersi di fare centinaia di morti e, soprattutto, perseguitare chi cerca di dare una mano al popolo.
Quindi, ringrazio tanto il Viceministro, perché mi ha dato la possibilità di esporre anche un mio punto di vista, e mi ritengo soddisfatto e della risposta e della posizione del Governo in questo frangente.
Se si convocasse anche l'ambasciatore, per capire in maniera un pochino più approfondita che cosa sta succedendo, anche in maniera informale, mi piacerebbe sapere che cosa succede.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni all'ordine del giorno.
PRESIDENTE. Invito la deputata segretaria a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.
FEDERICA DAGA, legge:
Bruno Corniglia, da Marentino (Torino), chiede la modifica dei commi 853 e 855 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017, concernenti l'attribuzione ai comuni di contributi per interventi riferiti a opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio (80) - ;
Francesco Di Pasquale, da Cancello ed Arnone (Caserta), chiede: interventi diversi volti ad aumentare la sicurezza della circolazione stradale (81) - ;
iniziative per assicurare l'uniformità dei premi dell'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli in tutto il territorio nazionale (82) - ;
l'istituzione della Giornata della buona educazione (83) - ;
la soppressione del criterio del massimo ribasso nell'aggiudicazione degli appalti pubblici (84) - ;
Giacomo Pierini, da Firenze, chiede modifiche alle norme in materia di determinazione delle tariffe per la fornitura di energia elettrica e gas, con l'eliminazione degli oneri generali di sistema (85) - ;
Francesco De Ghantuz Cubbe, da Roma, chiede che siano riammessi in servizio i vigili volontari ex ausiliari di leva, cancellati dall'elenco del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per raggiungimento dei limiti di età (86) - ;
Michele Vecchione, da Alatri (Frosinone), chiede l'ampliamento dei poteri del Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione in tema di nomina dei propri collaboratori (87) - ;
l'estensione al personale della Polizia di Stato dei benefìci previdenziali previsti dal decreto legislativo n. 66 del 2010 per gli appartenenti alle Forze armate (88) - ;
Roberto Di Gaetano, da Migliarino (Pisa), chiede la ridefinizione delle competenze riservate ai quadri non direttivi delle Forze armate e delle denominazioni dei ruoli e delle categorie dei sottufficiali (89) - ;
Antonino Marsala, da Palermo, chiede iniziative per la revisione delle direttive ministeriali in materia di potenziamento dell'insegnamento delle materie "Accoglienza turistica" e "Sala e vendita" negli istituti per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera (90) - ;
Simon Baraldi, da Bologna, chiede l'introduzione di controlli ematici obbligatori a tutela della salute di coloro che praticano attività sportive (91) - ;
che tutti i cittadini di età inferiore a 30 anni possano accedere gratuitamente ai siti culturali (92) - ;
l'istituzione, a bordo degli aerei, di un servizio di assistenza sanitaria (93) - ;
la riduzione dell'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto relativa ai prodotti igienici destinati alle donne, agli anziani e ai neonati (94) - ;
Luciano Cecchin, da Torino, e numerosissimi altri cittadini chiedono l'abrogazione delle norme in tema di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita (95) - ;
Pasqualina Mollicone, da Arce (Frosinone), chiede iniziative per promuovere il consumo di vitamina D (96) - ;
Ivan Catalano, da Busto Arsizio (Varese), chiede l'istituzione di un Fondo di assistenza sanitaria integrativa per i militari che hanno contratto patologie nel periodo di servizio ;
Dario Bossi, da Montegrino Valtravaglia (Varese), chiede:
la modifica dell'articolo 3 della Costituzione, in materia di partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese -;
modifiche all'articolo 414 del codice di procedura penale, in materia di riapertura delle indagini su richiesta della parte offesa -;
nuove norme in materia di accesso dei cittadini al registro degli atti non costituenti notizia di reato tenuto presso le procure della Repubblica -;
l'istituzione di un registro pubblico dei diplomi di laurea conferiti -;
Valerio D'alessio, da Ardea (Roma), chiede:
modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per garantire la certezza della pena ;
nuove norme per ridurre la produzione e il consumo di prodotti usa e getta in plastica e per la tutela dell'ambiente marino ;
disposizioni in materia di compravendite immobiliari per la tutela del contribuente nei rapporti con l'Agenzia delle entrate ;
Vincenzo Crea, da Motta San Giovanni (Reggio Calabria), chiede iniziative per la messa in sicurezza del tratto finale della strada statale n. 106 Jonica -;
Massimiliano Valdannini, da Roma, chiede:
misure per garantire l'identificabilità del personale delle forze di Polizia impiegato in attività di ordine pubblico -;
interventi per regolamentare la circolazione nel territorio italiano di veicoli immatricolati all'estero -;
che il personale di pubblica sicurezza possa farsi assistere in sede disciplinare da un avvocato estraneo all'Amministrazione ;
norme contro i ritardi amministrativi nella definizione dei procedimenti per la concessione di benefìci al personale delle Forze armate e di polizia (109) - ;
l'abolizione della quota riservata al personale delle Forze armate per l'accesso nelle forze di Polizia -;
Franco Esposito, da Roma, e numerosissimi altri cittadini chiedono l'introduzione dell'insegnamento obbligatorio dell'educazione civica e ambientale nelle scuole secondarie di primo e secondo grado -.
PRESIDENTE. Sospendo, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 15.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Giaccone è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente settantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Biancofiore ed altri n. 1-00030 e Lollobrigida ed altri n 1-00038, concernenti iniziative in relazione al prospettato riconoscimento della cittadinanza austriaca ai cittadini italiani di lingua tedesca e ladina residenti in Alto Adige.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 19 settembre 2018 .
Avverto che è stata altresì presentata la mozione Migliore ed altri n. 1-00039, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Roberto Novelli, che illustrerà anche la mozione n. 1-00030, di cui è cofirmatario.
ROBERTO NOVELLI(FI). Grazie, signor Presidente. Tra poco più di un mese, esattamente il 4 novembre prossimo, si celebrerà il centenario della fine della prima guerra mondiale, che, come sappiamo, è stato convenzionalmente fatto coincidere con l'entrata in vigore dell'armistizio di Villa Giusti tra l'Italia e l'Impero austro-ungarico. In quell'immane tragedia persero la vita oltre 1 milione e 700 mila soldati italiani e ungheresi. Voglio citare questo numero complessivo senza distinguere i morti per bandiera, perché gli eredi diretti o indiretti di quei ragazzi oggi sono cittadini europei, oltre che italiani e austriaci. La storia ci insegna che i rapporti tra questi due Paesi vicini sono stati sempre, possiamo dire, intensi, ma, fortunatamente, la vicenda è virata al meglio nel 1992, l'anno in cui ci fu la chiusura definitiva della questione altoatesina con la consegna della quietanza liberatoria alle Nazioni Unite.
Un accordo con il quale Vienna prese atto che l'Italia garantiva l'autonomia anche alle popolazioni altoatesine di lingua tedesca e che il presidente della provincia di Bolzano, che è evidentemente germanofono, ha recentemente definito con queste parole: come non si è verificata un'assimilazione della popolazione di lingua tedesca, non c'è stata nemmeno una netta separazione tra i gruppi linguistici nel senso delle tanto citate gabbie etniche. Anzi, si è dimostrato che i suindicati strumenti di tutela di tutti e tre i gruppi linguistici danno loro la necessaria certezza di non essere discriminati.
È bene ricordare che consistevano in 137 le misure a tutela della popolazione di lingua tedesca e ladina per l'autonomia della provincia di Bolzano, ma non una di queste contemplava il doppio passaporto per le popolazioni di lingua tedesca e ladina delle province autonome dell'Alto Adige. Invece oggi, dopo 26 anni, sono passati ben 26 anni, in una fase critica per le istituzioni europee, qualcuno, e per l'esattezza diciannove consiglieri provinciali altoatesini, tra cui un ex leghista e un 5 Stelle, hanno reputato opportuno avanzare una simile irragionevole richiesta al Governo austriaco. Qualcuno, naturalmente, a Vienna, ha reputato opportuno raccogliere la richiesta, decidendo deliberatamente di non lavorare per rinsaldare i legami tra i Paesi dell'Unione, ma, anzi, preferendo giocare con il fuoco delle tensioni internazionali, come se in questo periodo storico ce ne fosse bisogno.
E dispiace anche che qualcun altro al Governo del nostro Paese abbia fatto da spalla, avallando ora o minimizzando dopo la provocazione austriaca per meri interessi politici. Rinfocolare tensioni non è solo profondamente sbagliato, è pericoloso: significa gettare benzina sul fuoco che non senza difficoltà era stato spento; perlomeno era stato spento, ma inizialmente era solo stato sopito. Dicevo che i rapporti tra l'Austria e l'Italia sono sempre stati particolarmente complessi. Riportando una citazione storica, nel 1847 il cancelliere austriaco Metternich scrisse: la parola Italia è un'espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle.
Questa è una frase che è entrata nella storia per un suo apparente tono sprezzante nei confronti del nostro Paese; l'interpretazione era in realtà un'altra, ma, al di là delle mistificazioni, resta una riflessione: la lingua ha un valore politico? È sufficiente a definire un soggetto istituzionale? Fuor di retorica, mi sento di dire che non mi sognerei mai di affermare che l'Alto Adige è un'espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua. Sono, come tutti noi, un servitore dello Stato, e alle sue leggi mi attengo. Non siamo qui a discutere di rivedere le quote di autonomia riconosciute alla popolazione germanofona o ladina residente in Alto Adige: siamo qui perché il Governo austriaco ha lanciato una provocazione, quella di concedere il doppio passaporto. E ancora nei giorni nostri, il Ministro dei trasporti austriaco, assieme ad altri esponenti dell'FPO, si è recato a Bolzano per sostenere un partito politico indipendentista altoatesino in vista delle elezioni provinciali del 21 ottobre prossimo.
Un movimento questo, l'FPO, che val la pena ricordare, nato nel 1992 dalla scissione della SVP in una fase, e in quella fase era impegnato a chiudere la vertenza sull'Alto Adige, che da sempre mette al centro della sua piattaforma politica il distacco dell'Alto Adige dall'Italia e l'annessione all'Austria. La presenza di esponenti politici e istituzionali stranieri a iniziative elettive in Italia, come il caso del Cancelliere austriaco Kurz e del Ministro Hofer, si configura come un'ingerenza dell'Austria nella vita politica italiana, un'iniziativa inopportuna e sostanzialmente ostile: revanscismo anacronistico, per usare le parole del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Moavero Milanesi, parole che sono condivisibili. E come se non bastasse, è notizia degli ultimi giorni che i manuali di storia adottati nelle scuole austriache descrivono il Risorgimento italiano come una guerra di aggressione contro l'Impero asburgico, i moti esempi di nazionalismo e repressione nei confronti degli austriaci.
Ecco, a questo punto mi sento di dire che quasi mi duole, quasi mi dispiace intervenire nel dibattito di questa mozione che è stata presentata dalla collega Biancofiore, e di cui sono orgogliosamente firmatario insieme alla presidente Gelmini. Non è che debba sembrare un paradosso quello che ho appena detto: mi dispiace intervenire perché mai avrei immaginato che ci fosse il bisogno di ritornare su una questione chiusa, mai avrei voluto ci fosse la necessità di un simile atto di indirizzo. Ma la politica, come del resto la vita, impone di affrontare la realtà per quello che è, e non per quello che vorremmo che fosse. E quando un Governo straniero provoca e interferisce nella vita del nostro Paese, delle nostre istituzioni, noi abbiamo il dovere, il Parlamento, il Governo, di manifestare con forza e senza tentennamenti la nostra contrarietà, nel pieno rispetto dell'autonomia della provincia autonoma di Bolzano e del suo statuto, ma riaffermando il principio di unità nazionale del nostro Paese, la sovranità dello Stato; e non ultimo, vista la gravità delle rivendicazioni, prendere in considerazione iniziative volte a tutelare la minoranza italiana, che paradossalmente è diventata una minoranza che gode di minori diritti rispetto a quella tedesca.
Parlare la lingua italiana rischia diventare un limite, un ostacolo al riconoscimento dei diritti: stranieri in patria, praticamente! È questa la posizione a cui sono e saranno relegati agli italiani in Alto Adige? È una domanda che è giusto porsi. Forza Italia si è sempre spesa per tutelare i nostri connazionali in ogni occasione, Forza Italia è da sempre in prima fila nel difendere simbolicamente i confini e la sovranità nel nostro Paese: l'abbiamo fatto e lo faremo anche in questa occasione, se si procederà irresponsabilmente a questa provocazione.
Adesso non sto ad entrare nei contenuti del disegno di legge annunciato dal Governo austriaco, perché al momento le certezze sono poche o nulle, anche in relazione al punto centrale: chi avrà diritto al doppio passaporto? Qual è il discrimine, la lingua o forse l'etnia? Sono punti importanti questi, di cui ancora non abbiamo capito nulla. E come si dimostrerà tutto questo? Con un'autocertificazione? Un orrore non solo legislativo! Si parla di cittadinanza europea, e ci dobbiamo preoccupare della doppia cittadinanza italiana e austriaca.
Che peraltro la legge austriaca disciplina in modo preciso (parlo della cittadinanza austriaca): affinché Vienna conceda la cittadinanza, e di conseguenza il passaporto, è necessario che il cittadino risieda da almeno sei anni ininterrotti sul territorio austriaco, sia incensurato tanto in Austria quanto all'estero, dimostri di essere economicamente indipendente, attesti la conoscenza della lingua nazionale, il tedesco, e conosca la storia e la legislazione austriaca.
La cittadinanza diventa automatica, invece, se almeno uno dei due genitori è austriaco. In questa particolare, complessa e convulsa contingenza sociale ed economica, evidentemente il Governo austriaco non ha di meglio da fare che concentrare le risorse su una misura prioritaria come la concessione della cittadinanza agli italiani dell'Alto Adige. E allora, già che ci sono, mi si passi la provocazione: nell'occasione potrebbe anche rivedere, il Governo austriaco, la concessione di autonomia alla consistente minoranza slovena presente in Carinzia.
E, a proposito di ex Jugoslavia, qualcuno in passato ha impropriamente accostato la concessione del doppio passaporto agli abitanti germanofoni e ladini della provincia di Bolzano, al riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti, varata nel 1992, estesa una prima volta nel 1994 dal primo Governo Berlusconi e per l'ultima volta nel 2006. Ma il paragone non regge: non regge, perché la legge che ho citato concede il doppio passaporto a chi è stato cittadino italiano già residente nei territori facenti parte dello Stato italiano, successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava, e alle persone di lingua e cultura italiana figlie o discendenti in linea retta della prima categoria. Lo ribadisco in maniera più semplice: cittadini italiani o eredi di cittadini italiani. Ciò significa che, se esportassimo questi principi al caso altoatesino, potremmo chiedere la cittadinanza soltanto a coloro che fino al 1918 sono stati cittadini austriaci e avevano la residenza in Alto Adige, e naturalmente ai loro discendenti. E gli eredi italiani germanizzati? O i tedeschi della Germania naturalizzati? E i sudtirolesi i cui antenati nel 1918 non risiedevano in Sud Tirolo? Ecco che si creerebbe una discriminazione fra altoatesini di prima categoria e altoatesini di seconda categoria: bel risultato, non c'è che dire!
Ma stiamo parlando del nulla, perché ancora, in perfetto stile populista, siamo a livello della parola e degli annunci; e, quando sapremo i dettagli, controbatteremo con ancora più forza e convinzione, auspicando che il Governo intero faccia sua la nostra linea e quella del Ministro Moavero Milanesi, tenendo ferma la barra contro le provocazioni di un Paese che, peraltro, sulla gestione dei migranti ha tenuto una posizione niente affatto collaborativa con l'Italia, da un lato chiudendo i confini, dall'altro aprendo i consolati all'estero agli altoatesini: inaccettabile naturalmente la prima, e se possibile ancora più inaccettabile la seconda.
Quindi, noi con questa mozione, la cui prima firmataria è l'onorevole Biancofiore, chiediamo un ampio sostegno, perché significherebbe una posizione forte del nostro Paese e delle sue istituzioni nei confronti di chi dimostra di avere poca considerazione dell'Europa e dell'Italia .
PRESIDENTE. Collega… Collega, tolga la bandiera, grazie. Grazie, collega.
È iscritto a parlare il deputato Luca De Carlo, che illustrerà anche la mozione n. 1-00038, di cui è cofirmatario.
LUCA DE CARLO(FDI). “Ci fu un tuono secco però non pioveva,/ un lampo di fuoco da terra veniva./ E l'eco veloce si sparse lontano/ riempiendo di fumo le valli ed il piano./ Tornò dell'estate il rumore leggero,/ tornarono i falchi a volare nel cielo. Restarono i quattro che a terra straziati/ guardando quel cielo con gli occhi sbarrati”. Questa è una poesia di Guccini, dedicata ai martiri di Cima Vallona: quei martiri che hanno insanguinato la mia terra, il Bellunese, il Comelico, e che sono martiri di una guerra assurda, unilaterale, dichiarata da quattro delinquenti con il supporto dichiarato di molti e che ha condotto anche ad un'autonomia che oggi ci troviamo a discutere.
A distanza di tanti anni, non possiamo dimenticare il 25 giugno 1967, non possiamo dimenticare i quattro italiani uccisi dall'esplosivo messo dal BAS, il gruppo separatista altoatesino, quattro fra i tanti che la stagione terroristica colpì. E raccontiamo chi sono: il capitano Francesco Gentile, il sottotenente Mario Di Lecce, il sergente Olivo Dordi, l'alpino, come me, Armando Piva, che morì dopo dodici ore di agonia .
Speravamo che la quietanza liberatoria del 1992, l'autonomia e il rispetto per la minoranza di lingua tedesca potessero contribuire a far sì che l'Alto Adige potesse vivere in pace, eppure, a tanti anni di distanza, le sirene austriache tornano a farsi sentire. Scrivere nei testi di scuola che il nostro Risorgimento è stato l'espansione criminale di uno Stato e non la sacrosanta lotta di liberazione di un popolo intero, oppresso da un imperatore impiccatore, non è una strana tesi complottista, ma una falsità indegna e un uso vergognoso della menzogna come propaganda politica .
Così come proporre la doppia cittadinanza non è un atto di solidarietà e nemmeno uno spirito europeista che si evince dalle dichiarazioni di chi, oggi, ha un ruolo in Alto Adige, atto di solidarietà fra popoli che parlano la stessa lingua, ma è un vero e proprio atto ostile, soprattutto il viatico di quello che, evidentemente, davvero vogliono gli autonomisti, eredi di un periodo oscuro con l'aiuto di Vienna: trasformare gli italiani di questa parte d'Italia in profughi, annettere l'Alto Adige all'Austria e così cancellare 100 anni di storia. Questo noi non lo accetteremo mai !
I nostri alpini hanno proposto di mettere delle croci per ricordare tutti i caduti della Grande Guerra e hanno ospitato gli Schützen nella parata di quest'anno, così come - posso dirlo con orgoglio - io ho ospitato nel mio comune un incontro fra i pronipoti di chi combatté in quegli anni, i pronipoti di Sepp Innerkofler, guida alpina, e dell'alpino De Luca, perché noi siamo orgogliosi di essere italiani e possiamo confrontarci con chi è orgoglioso di essere se stesso, ma solo se il rispetto è reciproco.
Alle cerimonie per la strage di Cima Vallona, gli autonomisti, anche se con ruoli istituzionali, non vengono mai, come se quattro uomini delle nostre Forze armate sventrati dagli esplosivi non contassero nulla. D'altronde, le frasi di Magnago, prima, e di Durnwalder, dopo, la dicono lunga su quale sia l'orientamento generale e, anzi, l'Austria ha dato ospitalità e libertà agli assassini stragisti, condannati in Italia, senza mai chiedere scusa, come se l'Italia fosse la patria dell'ingiustizia, come se l'Italia fosse l'oppressore, come se l'Italia non contasse nulla e, invece, abbiamo già dato.
Abbiamo ceduto la sovranità che oggi reclamiamo per l'Italia in l'Europa, ma l'abbiamo ceduta all'interno del nostro Stato; ci sono ampie fasce e ampi spazi corrispondenti all'Alto Adige che oggi non sono a sovranità italiana, sono a sovranità loro; abbiamo ceduto economicamente il 90 per cento delle risorse che sono trattenute e la solidarietà per le spese del bilancio italiano a loro è sconosciuta. E non abbiamo ceduto solo perché un sindaco dà loro a disposizione il 78 per cento in più di risorse, ma solo e soprattutto perché la provincia di Bolzano investe il 730 per cento in più di quello che investe Belluno.
E, allora, noi chiediamo al Governo di mettere in atto tutte le azioni necessarie non solo per impedire la concessione del doppio passaporto, ma anche per salvaguardare la dignità di chi è italiano e italiano vuole continuare ad essere. E diciamo agli amici della minoranza tedesca: noi difenderemo la vostra lingua, la vostra cultura, il vostro vivere in Italia con tutte le tutele e le opportunità garantite dagli accordi del 1992, ma dovete far capire a chi non ascolta che l'Alto Adige non è una colonia, un protettorato, una provincia senza patria. L'Alto Adige è Italia e questa non è una considerazione, è un fatto immodificabile .
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
LUCA DE CARLO(FDI). Ma se questa solidarietà non c'è, se questo ricordo non c'è, se l'Austria continuerà sulla strada dell'offesa, allora noi vi ricorderemo che 100 anni fa noi ci siamo liberati dall'oppressore e che cento anni dopo difenderemo, ad ogni costo, il sacrificio dei nostri padri, l'indivisibilità della nostra patria e, soprattutto, la libertà dell'Alto Adige di essere quello che è: italiano !
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Ceccanti, che illustrerà la mozione n. 1-00039, di cui è cofirmatario.
STEFANO CECCANTI(PD). Grazie, Presidente. Registro, anzitutto, un'anomalia in questo dibattito; sembra che la maggioranza parlamentare, in termini di interventi, sia evaporata. Nessun esponente della maggioranza sembra interessato a intervenire; non so, io non ho mai visto un dibatto parlamentare di questo tipo. Inviterei gli esponenti della maggioranza a riflettere e a dirci qualcosa, quando credono, perché risultano, appunto, non pervenuti.
Faccio una breve premessa e articolo quattro punti. La breve premessa è questa: le mozioni che sono state presentate oggi, anche quelle degli altri gruppi, ci fanno riflettere su un problema molto serio e alcuni dati, anche della realtà, possono essere gli stessi presentati in tutte le mozioni.
Però, il problema è in quale attitudine noi ci poniamo. Questi problemi li segnaliamo per radicalizzare le ferite, per spargere sale sulle ferite o per cercare un modo condiviso per uscirne? Io penso che la nostra mozione, purtroppo, sia l'unica che si muove in questa seconda chiave. Si possono sottolineare le cose anche con toni persino più gravi di quelli delle altre mozioni, ma il problema è sempre se lo si fa per aumentare le distanze o per superarle. Se noi usiamo una retorica, dei linguaggi che sembrano riportarci quasi a cent'anni fa, ai momenti della guerra, noi non facciamo un lavoro positivo di chiarificazione della questione. Questa è la premessa e, quindi, io penso che la nostra mozione, a cui rinvio, poi, nel dettaglio, sia, purtroppo, l'unica che si muove su questo aspetto.
Ora, il primo punto che vorrei sottolineare è questo: è piuttosto paradossale che il tema della doppia cittadinanza sia tirato fuori per dividere, com'è con la improvvida iniziativa originata dal governo austriaco. Infatti, noi siamo abituati in Europa all'idea che la doppia cittadinanza è quella dei singoli Stati dell'Unione europea e che è fatta per unire, per avvicinare, senza omogeneizzare rigidamente. Qui, invece, purtroppo, il tema è posto per dividere.
Il secondo punto è che questa costruzione, la costruzione dell'Unione europea, ma anche dei sistemi autonomistici nazionali, è un sistema di cui dobbiamo avere la capacità di capire la grandezza. De Gasperi, Adenauer e Schuman erano tutti uomini di frontiera e hanno pensato a costruire sia una sovranità europea, sia un sistema di autonomie nei loro Stati - soprattutto l'Italia e la Germania - perché volevano uscire da una logica delle sovranità escludenti che aveva portato alla guerra. È in questa chiave che, appunto, l'apertura all'Unione europea e la costruzione di Stati autonomistici sono due elementi che sono assolutamente complementari tra di loro e in cui stanno le soluzioni dei nostri problemi; le soluzioni dei problemi delle cittadinanze stanno nel ridurre l'importanza dei confini, nel relativizzarli, non nell'aumentarne il rilievo.
Terzo punto: a cosa serve, allora, l'iniziativa annunciata? Perché è sbagliata questa iniziativa annunciata, anche se è giuridicamente un po' improbabile e difficile a realizzarsi? Il costituzionalista Francesco Palermo che è stato nostro collega, senatore, nella scorsa legislatura, ha scritto un bell'articolo sulla rivista , nella versione telematica, dove spiega perché è molto difficile anche nell'ordinamento austriaco riuscire, poi, effettivamente, a condurre in porto questa innovazione che, però, è negativa per il solo fatto di essere stata sollevata. Questa iniziativa del governo austriaco mira a rafforzare i diritti della minoranza tedesca in Italia? Non direi, perché questi diritti sono già ampiamente tutelati. Da quel banco, dal banco del Governo, quando l'Assemblea costituente approvò il disegno di legge sullo Statuto di autonomia, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il 29 gennaio del 1948, a tre giorni dalla fine dell'Assemblea costituente, sedendo in quel caso ai banchi del Governo, perché era un disegno di legge d'iniziativa governativa, ebbe a dire che il popolo austriaco doveva riconoscere che l'abitante, il cittadino italiano di lingua tedesca o, in generale, il tedesco non c'è nessun posto dove abbiano maggiori diritti e più garanzie di quelli che offriamo noi. E questo era già vero nel 1948 ed è stato ancora più vero nello sviluppo del disegno autonomistico.
Vuole forse, allora, il disegno del Governo austriaco rafforzare i rapporti con l'intera regione Trentino-Alto Adige o con la provincia di Bolzano? No, perché creerebbe un discrimine tra coloro ammessi alla doppia cittadinanza e coloro che non lo sono. Per di più, c'è una tradizione in Austria di largheggiamenti sulla doppia cittadinanza? No, perché non risulta che ci sia questa logica ampia della doppia cittadinanza, come c'è, invece, anche nel caso italiano, per cui sarebbe veramente un'eccezione rispetto alle linee di fondo che quell'ordinamento ha perseguito sino ad oggi.
Ora, però, e questo è il quarto e ultimo punto, che cosa ci dimostra questo caso particolare? Il Governo austriaco è un Governo a base sovranista che, peraltro, avrebbe vicinanze ideali con parte di coloro che oggi in quest'Aula con le mozioni attaccano quel Governo; questo ci rivela che il sovranismo colpisce non solo l'idea dell'Unione europea, ma anche la configurazione delle Autonomie e che è un gioco a somma zero. Non ci può essere una internazionale e un europeismo sovranazionale, un europeismo basato sul sovranismo, perché ogni sovranismo punta a dividere e a separarsi dai suoi vicini, anche se sovranisti sono i vicini immediati.
E quindi vorrei richiamare, alla fine, un ulteriore passaggio, sempre di Alcide De Gasperi, del 29 gennaio 1948: questo accordo è prezioso perché prova anche dinanzi all'opinione internazionale che l'Italia democratica è ben diversa dall'Italia fascista ed è una prova che diamo che il metodo di governo nostro, anche di fronte ai diritti delle minoranze delle altre nazionalità, è quello di fare appello alla fiducia dei popoli e alla libera cooperazione. Il disegno autonomistico con la minoranza tedesca e anche col Governo austriaco è sempre stato un disegno pattizio. L'errore di fondo dell'iniziativa del Governo austriaco è che è un'iniziativa unilaterale. L'unilateralità porta ad ampliare i conflitti, la logica pattizia di dialogo porta a relativizzare le frontiere, a relativizzare i confini ed è l'unico che sia di futuro. Questo vuol dire la nostra mozione e su questo chiediamo il voto di questa Camera .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Renate Gebhard. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha un minuto, collega.
RENATE GEBHARD(MISTO-MIN.LING.). Grazie, Presidente. Il tema della doppia cittadinanza è collegato strettamente alla mia terra, alla mia cultura e alla mia storia. Tocca i sentimenti della mia gente, che le mozioni presentate non tengono in considerazione. Di che cosa stiamo discutendo oggi? Su che cosa siamo chiamati a votare giovedì? Non c'è nessun documento, né ufficiale, né ufficioso, presentato, su cui poter discutere, solo posizioni riportate dalla stampa in una campagna elettorale che si chiude il 21 ottobre. Ci tengo che lo sappiate.
Sull'ipotesi di concessione della doppia cittadinanza, sia il Cancelliere Kurz, che il Presidente della provincia autonoma di Bolzano Kompatscher, e noi esponenti del Südtiroler Volkspartei abbiamo sin da subito precisato che un eventuale percorso verrebbe seguito unicamente se condiviso da entrambi i Governi, sempre in un quadro europeo di pace e convivenza; quadro alla cui costruzione ci siamo dedicati in tutti questi anni e che rischia di essere compromesso proprio da chi assume iniziative come quelle per le quali stiamo discutendo oggi .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Salvatore Deidda. Ne ha facoltà.
SALVATORE DEIDDA(FDI). Grazie, Presidente. Intervengo come deputato di Fratelli d'Italia, ma anche come sardo. Quando si parla di autonomia in Italia, quando si parla di specialità, ci viene un po' da sorridere in Sardegna, quando si rivendicano questi diritti di specialità, quando non c'è un mare che impedisce di avere autostrade, quando non ci sono ostacoli per andare da una parte all'altra dell'Europa. Guardiamo, sinceramente, a volte con disgusto chi sputa sull'Italia, quando proprio noi sardi veniamo da una terra che è separata da tutto il resto, quando i cittadini sardi, in quella terra, sono morti a migliaia.
Ci dispiace vedere che le regioni a statuto speciale sono trattate diversamente, perché anche noi sardi abbiamo una lingua, il sardo, anche noi sardi abbiamo un problema di ostacoli, però nessuno ce li risolve, abbiamo il mare che non si può scavare, si può solamente sorvolare, si può fare una traversata che dura quattordici ore da Roma a Civitavecchia.
Quindi, quando sentiamo lamentele, quando sentiamo adire insoddisfazione, ma i nostri dipendenti pubblici che lavorano in Sardegna quando si sono sognati di avere una doppia indennità perché parlano il sardo? Nessuno ce l'ha mai data.
E mi dispiace che - quando vado in quelle terre lontane che noi abbiamo sempre trattato con amicizia, con fraternità, con il popolo tedesco abbiamo sempre avuto un rapporto speciale, tra Sardegna e Germania, tra Sardegna e Austria, tra Sardegna e quelle terre - vediamo invece che si sputa sull'Italia.
Io ricordo - e concludo l'intervento, sarò breve - la frase di Attilio Deffenu, che era un sardista convinto, però cadde in quel fronte nella Brigata Sassari: il sardo ha molto vivo e profondo il senso dell'onore e della fierezza, sente in modo spiccato l'orgoglio di essere uomo e di essere sardo, per questo il soldato sardo non alza le braccia, non si arrende in combattimento e non conosce l'obbrobrio dello sbandamento.
Niente urta di più il sardo che l'essere tacciato e sospettato di vigliaccheria. Il vero figlio dell'isola vuole fare sempre bella figura, il soldato sardo combatte per l'Italia e per la Sardegna. Morì su quel fronte, nonostante potesse andare in licenza .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Emanuela Rossini. Ne ha facoltà. Anche lei ha un minuto, collega.
EMANUELA ROSSINI(MISTO-MIN.LING.). L'ultima modifica dello Statuto di autonomia delle due province autonome di Trento è stata quattro anni fa. Quel testo venne inviato dal nostro Paese al Governo austriaco. Perché? Perché l'Austria e l'Italia sono impegnate reciprocamente ad applicare l'accordo De Gasperi-Gruber, firmato nel 1946 davanti all'ONU e allegato al Trattato di pace della Seconda guerra mondiale, un accordo che ci impegna reciprocamente ad applicare e a tutelare con misure speciali le minoranze mistilingue della regione.
Questa attenzione dell'Austria verso questi territori, quindi, non è un'ingerenza, ma trova fondamento in questo accordo. Sono precisazioni doverose per comprendere quanto sia importante, per le questioni che riguardano i territori del Trentino Alto-Adige/Südtirol, la qualità delle relazioni tra il nostro Paese e l'Austria.
Trovo svilente che oggi si parli di una questione che non ha fondamento, perché non esiste nessun testo, nessuna bozza, su cui esprimere un parere, basandosi esclusivamente su notizie giornalistiche in tempi elettorali, che rischiano di riaprire ferite e atteggiamenti di ostilità tra le comunità dei nostri territori .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Augusta Montaruli. Ne ha facoltà.
AUGUSTA MONTARULI(FDI). Grazie, Presidente. L'Alto Adige, come lo conosciamo oggi, è il frutto di un lungo percorso di pacificazione, che, come ha detto in maniera esatta ed emozionante il mio precedente collega De Carlo, ha visto fin troppe vite cadere.
Oggi ci ritroviamo a parlare di un'infausta proposta - che è oggetto, infatti, delle mozioni -, come correttamente è stato detto prima, una proposta fatta in una campagna elettorale, però non, perché fatta in campagna elettorale, meno grave. Non meno grave perché, vedete, per noi l'Italia è sacra e nella sua sacralità toccare un argomento di questo tipo, che rischia di riportarci ad anni indietro, all'epoca dei tentativi, delle fughe di secessione, all'epoca del terrorismo, all'epoca dei tentativi di annessione da parte dello straniero, è qualcosa - per noi - di aberrante; e anche se fosse stata una , meriterebbe oggi la nostra presenza in quest'Aula per ribadire che noi, del Parlamento italiano, saremo sempre, prima di tutto, sempre italiani.
Lo dico perché tante volte, anche nelle nostre campagne elettorali, si sentono dei motti. Un motto a noi caro è quello: “prima gli italiani”. Prima gli italiani vale anche in Alto Adige per noi. Prima gli italiani vale anche in Alto Adige, vale in ogni angolo di questa meravigliosa nazione .
L'Italia è una, sola, indivisibile. Anche oggi le minoranze stiano al loro posto, perché quello che è stato detto in riferimento anche agli accordi passati - ecco, io lo vorrei ricordare all'ultima collega che è intervenuta - prevedevano che non ci fosse più nessun tentativo di annessione. E invece questa è una proposta che vuole trasformare gli italiani in profughi in casa loro.
Ebbene, noi non saremo mai profughi nella nostra patria. Non accetteremo mai che gli italiani, anche in Alto Adige, siano profughi nella nostra patria e, semmai qualcuno si azzarderà a trasformare una proposta di una campagna elettorale in qualcosa di più concreto, chiederemo a questo Governo, il Governo di “prima gli italiani”, di togliere la cittadinanza italiana a coloro che accetteranno l'offerta sul piatto d'argento del Paese straniero , perché lo interpreteremo come un atto di ostilità verso la nostra nazione, un atto inaccettabile, che non ci vedrà mai piegarci .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Delmastro Delle Vedove? Ne ha facoltà.
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE(FDI). Grazie, Presidente. La mozione ha un fondamento che è di scottante attualità. Spiace, francamente, vedere che l'Aula sia così deserta, rispetto a una nazione che interviene sull'identità italiana, su uno sgarbo istituzionale incredibile, svolto nei confronti dell'Italia, sul tentativo di influenzare una campagna elettorale. Perché, vedete, l'Occidente ancora si chiede quanto Putin, forse, con e altre cose, abbia influenzato la campagna elettorale americana; qua abbiamo un Presidente di una Repubblica che la influenza soverchiamente, con notizie che hanno clamorosamente della .
Allora, spiace vedere che pure la collega Biancofiore non sia presente, pur avendo presentato una mozione a questo dibattito. E spiace vedere, come dire, una sonnolenza - lo debbo dire con grande amicizia - anche degli amici della Lega Nord. Della Lega, scusate, perché, quando la Lega Nord diventa Lega e si appropria del tema dell'italianità, non può tacere rispetto al tentativo di elevare a patria una piccola comunità linguistica che gode di straordinari diritti e, sotto certi aspetti, pure di specifici privilegi, per la cui strumentalizzazione oggi uno Stato estero interviene clamorosamente, a gamba tesa, nel contesto di una campagna elettorale.
Questo è un altro tema che noi indirettamente solleviamo con una mozione, con la quale ribadiamo che per noi, come ha sagacemente detto la mia collega Montaruli prima di me, “prima gli italiani” funziona in campagna elettorale certamente, ma poi funziona quando governiamo, funziona nei confronti delle altre nazioni, funziona anche in un'Aula sonnolenta, perché su un tema del genere noi pretenderemmo una maggiore partecipazione.
È un tema che, prima o poi, deve essere affrontato, ma con le dinamiche del 2018. Mi sembra che stiamo rievocando discussioni in bianco e nero, che non conducono da nessuna parte, se non a uno schiaffo all'italianità di quelle terre e a uno sgarbo istituzionale nei confronti dell'Italia.
Allora, “prima gli italiani”, se non è argomento retorico di campagna elettorale, ma, come dire, parola d'ordine che uno ha iscritto all'interno del suo DNA, è “prima gli italiani” anche quando si agitano presunte, sedicenti, asserite piccole patrie che godono di straordinari privilegi, per i quali dovrebbero probabilmente ringraziare l'Italia e respingere ogni tentativo di avere la doppia cittadinanza, che io, da piemontese, baratterei anche volentieri, per paradosso, con la fine di certi privilegi. Infatti, se fosse mai vera quella identità, la si difenderebbe anche a prescindere da determinati privilegi.
Allora, sotto questo profilo, credo che la mozione meritasse più attenzione.
Sono assolutamente convinto che gli amici al Governo della Lega - e non più Lega Nord - comprenderanno le ragioni della indissolubilità e della unità nazionale, che vengono, non dico frantumate, perché ci vuole ben altro, ma erose dalla strumentalizzazione che viene fatta di una minoranza linguistica, da parte di una persona che tenta di fare soverchiamente quello che forse ha fatto oscuramente Putin. E lo fa soverchiamente, entrando con delle clamorosamente nelle elezioni italiane, per influenzare le elezioni italiane .
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00032, concernente iniziative per Roma Capitale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 19 settembre 2018 .
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Fassina ed altri n. 1-00041, Barelli ed altri n. 1-00042 e Morassut ed altri n. 1-00043 , che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Fabio Rampelli, che illustrerà anche la mozione Meloni ed altri n. 1-00032, di cui è cofirmatario.
FABIO RAMPELLI(FDI). La ringrazio, Presidente. Sarebbe utile, preliminarmente rispetto a questo confronto d'Aula sul ruolo di Roma Capitale, che ciascuna forza politica una volta per tutte, anche consultandosi con le proprie anime regionali al proprio interno, rispondesse alla domanda se Roma debba o meno essere capitale d'Italia, per uscire fuori da ogni infingimento e per cercare, poi, di diventare operativi. Infatti, se la capitale d'Italia dovesse essere un'altra, unilateralmente per volontà espressa di qualche altra forza politica, conseguentemente uno Stato sovrano dovrebbe stringersi intorno alla propria capitale e, sia da un punto di vista culturale, sia da un punto di vista simbolico nell'immaginario generale collettivo, sia da un punto di vista economico, dovrebbe farla diventare un volano per il resto della nazione.
Infatti, questo accade - lo vorrei segnalare - in tutte le principali capitali europee e occidentali. Non ce n'è una che non abbia uno giuridico particolare. E noi, finalmente, un ventennio fa ormai, siamo riusciti a introdurre nella Costituzione italiana la dicitura “Roma Capitale”. Quindi, non si dovrebbe teoricamente più discutere, anche con la domanda provocatoria che ho posto al principio, perché il condizionale, appunto, è d'obbligo.
Ma, evidentemente, non è bastato introdurre questo dispositivo. C'è stata una legge ordinaria, che abbiamo pure approvato, che di fatto ha attribuito delle competenze e dei poteri, tra virgolette, “speciali” a Roma Capitale. Ma non ci sono state conseguenze, si sono fermati i decreti attuativi. Lo ha fatto lo Stato italiano nei confronti di Roma Capitale, creando comunque dei problemi notevoli, notevolissimi, ma lo ha fatto anche la regione Lazio, che si è trattenuta - e mi riferisco, in questo caso particolare, al governatore Zingaretti del Partito Democratico - alle petizioni di principio. Non c'è stato nessun decreto attuativo e i poteri sono rimasti esattamente lì, scritti sulla carta, senza nessuna conseguenza.
Non c'è stato alcun trasferimento di risorse, tranne l'elemosina che è stata riconosciuta dal precedente Governo nei confronti della Capitale d'Italia, pari a, mi pare, 100 milioni l'anno. Mentre le altre capitali europee si sono fatte approvare e riconoscere piani di sviluppo strategico, diventando quindi aree urbane a grande coefficiente attrattivo nei confronti del resto dei Paesi, di cui sono appunto apicale espressione.
Questo anche perché si è invertita un po' la tendenza. Negli anni Settanta-Ottanta, c'era una sorta di fuga dalle grandi realtà urbane verso i piccoli comuni dell' e oggi, a causa delle nuove tecnologie, della digitalizzazione, delle esigenze di comunicazione e trasporto, della velocità, che ha preso il sopravvento rispetto a qualunque altro valore in campo, c'è un fenomeno esattamente opposto, e quindi le altre nazioni del mondo occidentale, del mondo maggiormente evoluto hanno immaginato di potere, di dover esprimere una risposta rispetto a questa domanda di grande città.
Quindi, si viaggia altrove non a 100 milioni di euro, ma a decine di miliardi di euro di investimenti, proprio per rispondere a questa aspettativa. Qui capita, invece, che Roma sia capitale soltanto per editto, non per trasferimento di competenze, di poteri, di beni. Cito soltanto un esempio, che abbiamo sottoposto all'allora Ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, del Partito Democratico, nella scorsa legislatura, anche con confronti pubblici e in diretta televisiva: il più famoso monumento di Roma, forse anche d'Italia, che quindi rappresenta l'immagine di Roma nel mondo, l'anfiteatro Flavio, il Colosseo, per la capitale d'Italia è un costo, non una risorsa, perché quello che viene tratto dalla bigliettazione viene suddiviso tra un soggetto privato, la CoopCulture, che è un fritto misto tra una cooperativa rossa e una impresa di altra natura, anche da un punto di vista politico, e il Ministero dei beni culturali.
FABIO RAMPELLI(FDI). Quindi, Roma Capitale ci deve mettere il trasporto pubblico, la polizia municipale, la sorveglianza, la polizia in quanto tale, ma non partecipa alla condivisione dei risultati economici. Per questo, noi riteniamo che sia giunto il momento di rivedere la natura stessa di Roma Capitale, di conferire i poteri, di trasferire i beni oltre che le risorse, e di investire su una capitale che possa essere attrattiva nei confronti del resto della nazione .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Fassina, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00041. Ne ha facoltà.
STEFANO FASSINA(LEU). Presidente, ringrazio i colleghi che hanno preparato le altre mozioni su Roma Capitale. Considero la discussione di oggi importante, perché non discutiamo di una delle tante bellissime città d'Italia, discutiamo della capitale d'Italia, e confesso che mi preoccupa un po' la disattenzione diffusa rispetto all'oggetto della nostra discussione, perché dalla discussione delle mozioni che sono state presentate, e che a mio avviso mi pare abbiano tutte elementi assolutamente condivisibili in linea generale, emerga la necessità di avere una posizione politica condivisa da parte di questo Parlamento sulla capitale d'Italia. Ciò perché a me pare che l'atteggiamento prevalente sia un atteggiamento che non riconosce fino in fondo, come avviene in ogni altro Paese, da parte innanzitutto delle classi dirigenti nazionali, la legittimità della capitale del proprio Paese a svolgere il ruolo di capitale.
Abbiamo un problema storico - anche se, evidentemente, questa non è la sede per approfondire - nel rapporto tra l'istituzione dello Stato nazionale e la sua capitale, che, come sapete, non è avvenuta contestualmente. Non credo vi siano tante realtà, in Europa almeno, nelle quali la capitale del Paese si aggiunge dieci anni dopo l'unità di quel Paese, e che, come sapete tutti, non è stato un caso; la storia lascia i segni.
Credo che questa discussione sia importante per dare piena consapevolezza a tutti della necessità che, per la ripresa più generale del nostro Paese, è importante riqualificare, ridefinire il rapporto del resto del Paese e di tutte le sue classi dirigenti, non solo della politica, con la capitale d'Italia.
In un bel libro di qualche anno fa - lo voglio citare perché lo merita - l'ex senatore del Partito Democratico, Walter Tocci, definiva la capitale d'Italia come città coloniale. Un termine forte, un termine che ha utilizzato per sottolineare appunto il rapporto tra le classi dirigenti del Paese - almeno la parte prevalenti delle classi dirigenti del Paese - e la capitale d'Italia. Città coloniale, mai pienamente riconosciuta, legittimata sul piano morale, sul piano storico, sul piano politico a essere la capitale del Paese.
Allora, la discussione di oggi ha questo , che dobbiamo affrontare in modo serio e in modo consapevole, perché, altrimenti, poi, le singole soluzioni che possiamo proporre rischiano di avere davvero il fiato corto, di essere utilizzate per posizionamenti politici, di essere utilizzate per una battaglia che però non assume fino in fondo la portata della questione che stiamo affrontando, cioè Roma come grande questione nazionale nel momento in cui vogliamo lavorare tutti insieme al rilancio del nostro Paese, anche se, certo, ciascuno con la propria interpretazione e il proprio progetto. Quindi spero che, almeno nella fase di voto, vi sia più attenzione ai punti che vengono sollevati dalle mozioni che sono state presentate.
In questo contesto vengo agli impegni che abbiamo proposto come Liberi e Uguali nella nostra mozione, che in alcuni casi ritornano nelle mozioni degli altri gruppi, a cominciare dalla mozione di Fratelli d'Italia, che è stata prima illustrata dal collega Rampelli.
Non mi dilungo sull'iter legislativo, che ha portato, prima con la norma costituzionale, all'articolo 114, terzo comma, poi con la legge delega sul federalismo fiscale, all'articolo 24, e poi con il decreto legislativo nel 2010, a definire funzioni aggiuntive per Roma Capitale, che poi sono rimaste sostanzialmente sulla carta, anche perché il contesto politico e gli eventi che si sono succeduti hanno, in una fase, portato a un commissariamento della capitale d'Italia; un'iniziativa della regione Lazio che non ha svolto fino in fondo la funzione che doveva svolgere e, dall'altra parte, un'amministrazione capitolina che non ha scalpitato per rivendicare le funzioni aggiuntive che la legislazione vigente consente.
A me pare che, appunto, dobbiamo riprendere quel percorso e portarlo avanti in modo coerente e in modo conseguente. Vedo due questioni fondamentali - la mozione di Fratelli d'Italia ne sottolinea uno -, che chiamo di carattere costituente, ovviamente utilizzando questo termine in senso politico, non in senso tecnico. Sono due questioni di carattere costituente perché sono due questioni sulle quali tutte le forze politiche dovrebbero ritrovarsi, due questioni che fissano la cornice dentro la quale ciascuna forza politica può giocare la propria partita legittimamente, con i propri obiettivi; ma sono due questioni di quadro, che definiscono il terreno di gioco e che consentono un gioco produttivo e non un gioco frustrante, come da troppi anni avviene a Roma. Le due questioni sono l'assetto ordinamentale e quella delle risorse.
L'assetto ordinamentale: come sapete, prima la legge poi lo statuto di Roma capitale, della città metropolitana, hanno previsto l'elezione diretta del presidente della città metropolitana e dell'assemblea metropolitana. Questa disposizione non trova attuazione. È una disposizione importante, una disposizione importante, perché la sua attuazione consentirebbe di fare contestualmente l'altra operazione decisiva per la qualità amministrativa della capitale e, cioè, la trasformazione dei municipi in comuni metropolitani, dotati dell'autonomia, anche finanziaria, che hanno gli altri comuni italiani. Quindi, una doppia operazione che, da un lato, sarebbe relativa ai municipi, che, come immagino tutti sappiate in quest'Aula, hanno dimensioni di grandi città italiane, con 200 mila o 250 mila abitanti, e che hanno dei bilanci ridicoli, di qualche milione di euro, interamente dipendenti dai trasferimenti che vengono dal bilancio comunale.
Quindi, una doppia operazione istituzionale che, da un lato, appunto, dà più poteri e avvicina i poteri a livello territoriale e, dall'altro, legittima democraticamente - e non in via indiretta - la città metropolitana, che diventa l'organismo di area vasta che gestisce le funzioni fondamentali che hanno la dimensione di scala adeguata all'area vasta, a cominciare dal ciclo dei rifiuti, dai trasporti, dall'ambiente.
Quindi, un ente di area vasta che riceve delle funzioni legislative anche da parte della regione e fa grande amministrazione - le macrofunzioni - e poi lascia ai comuni metropolitani, a quelli che oggi sono municipi e che diventano comuni metropolitani, l'amministrazione di realtà che - ripeto - hanno la dimensione di grandi città italiane.
Quindi, questa è la prima grande questione, appunto, di portata costituzionale sulla quale credo tutti in quest'Aula dovremmo convenire, perché chiunque amministra oggi ha bisogno di quell'assetto se vuole produrre effetti amministrativi.
E poi la situazione è complicata e chi sta all'opposizione a Roma ne trae beneficio e spera di poterne trarre beneficio. Una volta c'era il MoVimento 5 Stelle all'opposizione e ne traeva beneficio, adesso ci sono altri all'opposizione e sperano di trarne beneficio, ma, complessivamente, la città non può essere amministrata nell'attuale assetto istituzionale.
A me hanno colpito - e lo voglio dire in quest'Aula, perché spero vi sia consapevolezza da parte di tutti - in un'intervista di qualche giorno ad uno dei più importanti quotidiani italiani, le parole del professor Cassese, che certamente non può essere - diciamo - sospettato di derive autoritarie. Come sapete tutti, è stato componente della Corte costituzionale, Ministro di importanti Governi e, di fronte all'insoddisfazione profonda che manifestava riguardo alla situazione della capitale, come proposta ha indicato “tre generali” per fare in modo che la situazione possa migliorare. Ecco, io credo che siamo arrivati ad un punto davvero critico.
Quindi, la discussione su queste mozioni dovrebbe aiutare questo Parlamento a fare un salto di qualità nell'attenzione politica per attrezzare la capitale a superare una situazione, che - ripeto - in via congiunturale può essere conveniente da utilizzare in chiave elettorale, ma che, alla fine, non giova a nessuno.
L'altra grande questione che, appunto, è presente nella mozione dei colleghi di Fratelli d'Italia, ma anche in altri mozioni e che verrà sicuramente ripresa, è quella relativa alle risorse.
Roma ha un drammatico deficit di risorse e c'è voluto un “Ministro” del Veneto - lasciamo stare le qualificazioni politiche -, e quindi, diciamo, insospettabile, di particolare simpatia per le cicale romane, a ricordare che Roma in termini , in termini di bilancio comunale, in termini di risorse comunali , ha la metà delle risorse di Milano. Poi, possiamo anche sottolineare che a Milano sono iperefficienti e iperqualificati nell'utilizzo delle risorse e a Roma non lo sono, ma il dato economico, il dato politico di partenza è che ciascun cittadino romano ha metà delle risorse del bilancio comunale rispetto a Milano e le funzioni che svolge non sono quelle potenziali che dovrebbero esserle attribuite, ma le funzioni che svolge Roma, in quanto capitale di uno Stato e città che ospita un altro Stato, lo Stato Vaticano, sono funzioni ovviamente incommensurabili rispetto alle funzioni delle altre grandi città e anche rispetto alle funzioni di Milano. Allora, c'è un problema di risorse, di risorse aggiuntive.
Lo ripeto: se noi lo vogliamo, se questo Parlamento, se la classe dirigente di questo Paese ritiene che Roma debba essere capitale, debba essere legittimata, deve poter svolgere fino in fondo e in modo dignitoso il suo ruolo, allora servono risorse aggiuntive. È un problema complicato, è un problema che si scontra con la malamministrazione che a Roma c'è stata e nessuno la vuole disconoscere o mettere da parte. Su questo non c'è dubbio, ma c'è un punto oggettivo. Guardate i dati di bilancio, del bilancio comunale, e confrontateli non con un'altra grande capitale europea ma confrontateli con Milano o con qualunque altra città italiana e verificate lo scarto rispetto alle risorse a disposizione. È un problema grande, perché le risorse che abbiamo a disposizione in generale sono poche (la coperta è corta, come sappiamo). Cominciamo almeno su un punto - e qui mi avvio rapidamente alla conclusione -, cioè dal debito storico di Roma capitale, dal debito storico, che è un capitolo che è stato già affrontato (lo so bene). È stato affrontato dal Governo Berlusconi quando in Campidoglio c'era il sindaco Alemanno, ma è stato affrontato - e ora non entro nei tecnicismi - in modo inadeguato e, soprattutto, le risorse che sono state rese disponibili, che - lo ricordo - sono 300 milioni all'anno del bilancio dello Stato per quarant'anni e sono 200 milioni di addizionale comunale che pagano tutti i cittadini romani, quindi 500 milioni all'anno per quarant'anni, sono un flusso che è stato utilizzato in modo improprio ed ha portato a mio avviso - ma ci sono valutazioni diverse che rispetto - ad anticipazioni, attraverso Cassa depositi e prestiti, realizzate con un tasso di interesse superiore al 5 per cento. Quindi, oggi Roma, così come tantissimi comuni italiani, perché è un punto che anche l'ANCI poi solleva ogni anno e nella mozione indichiamo una proposta di soluzione, Roma, dicevo, oggi paga, su un mutuo di 5 miliardi che è stato acceso per fare anticipazioni, per pagare creditori che poi in parte sono stati pagati e gran parte di quelle risorse giace in una tesoreria, oggi Roma paga su quel mutuo 250 milioni di euro all'anno che potrebbero essere ridotti - certo, non con la bacchetta magica - dato anche il livello noto dei tassi di interesse e dato che stiamo parlando di Cassa depositi e prestiti. Quindi, questa è l'altra strada per tamponare una domanda di risorse che va affrontata. Concludo, Presidente, con un appello ai colleghi che hanno sottoscritto le mozioni su Roma Capitale che discutiamo oggi. Costituiamo un intergruppo dedicato a Roma Capitale, un intergruppo di tutti i partiti rappresentati in Parlamento, dove possiamo mettere al centro delle proposte che diano seguito alle buone intenzioni che sono scritte nel dispositivo di tutte le mozioni che sono state presentate.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alessandro Battilocchio, che illustrerà anche la mozione n. 1-00042, di cui è cofirmatario.
ALESSANDRO BATTILOCCHIO(FI). Grazie, Presidente. Salutiamo positivamente questa discussione e, con la nostra mozione, vogliamo portare un contributo propositivo attento e puntuale ad un dibattito che verte su questioni nodali, quindi il ruolo, la funzione, le prerogative, i poteri, le risorse necessarie per la nostra Capitale.
Ho sentito, negli interventi che mi hanno ho preceduto, diversi spunti condivisibili e credo possa essere un buon avvio di questa discussione. Come è stato ricordato, l'articolo 114, terzo comma, stabilisce che Roma è la Capitale della Repubblica e che la legge dello Stato disciplina il suo ordinamento, quindi un principio importante, una cornice chiara sancita all'interno della nostra Carta. La costituzionalizzazione di Roma come Capitale d'Italia, va ricordato, è decisione piuttosto recente, perché la Costituzione del 1948 non aveva previsto alcuno speciale per Roma e solo nel 2001, la legge n. 3, di modifica del Titolo V, parte seconda, ha innovato l'articolo 114, e ha evidenziato la necessità di una normativa che disciplinasse la città di Roma sia come ente locale che rappresenta una vastissima comunità territoriale, sia appunto come Capitale della Repubblica. Tra l'altro, la qualifica di Capitale della Repubblica viene attribuita non al comune di Roma né ad altra istituzione territoriale, ma semplicemente a Roma, Roma che è stata la Capitale di un impero che si estendeva ben al di là dei nostri attuali confini nazionali, Capitale della cristianità, dal 1871 Capitale dell'Italia unita, ora anche formalmente Capitale della Repubblica.
Roma presenta delle caratteristiche e degli aspetti peculiari che la rendono unica in sé. Dal 1980 patrimonio dell'umanità Unesco, con una concentrazione enorme di eccellenze ed emergenze storico-archeologiche, è un comune vastissimo, secondo in Europa soltanto alla Greater London, che, in realtà, è assimilabile più ad una regione inglese che ad un ente locale; inoltre, è il solo comune ad avere uno Stato straniero, il Vaticano, al suo interno, è il comune agricolo europeo più esteso ed è il primo polo agroalimentare al mondo, per la presenza nel suo territorio delle tre grandi Agenzie delle Nazioni Unite, appunto la FAO, l'IFAD e il World Food Programme, che l'hanno scelta come quartier generale.
Anche dando uno sguardo comparativo agli ordinamenti degli altri Paesi dell'Unione europea, si comprende la che sta alla base della specialità e della riserva normativa; la disciplina delle funzioni e dell'ordinamento della Capitale della Repubblica va bene al di là della comunità territoriale rappresentata; in una capitale, di fatto, convivono interessi propri, al pari di ogni altro ente locale, nonché interessi squisitamente nazionali, per l'ospitalità data, per esempio, alle istituzioni politiche nazionali, alle sedi centrali dei ministeri, alle magistrature superiori, alle ambasciate. Quindi, un regime differenziato per regolare l'autonomia del territorio della Capitale nazionale è piuttosto frequente, si pensi a Berlino, che è tornata Capitale della Germania unita con il Trattato della riunificazione tedesca del 31 agosto 1990, definita dall'articolo 1, comma primo, della Costituzione allo stesso tempo una città ed un Länder federale che deve assolvere a funzioni statali e comunali, ha quattro voti nel Bundesrat, ed ha una diretta rappresentanza in seno al Comitato delle regioni, alla stregua degli altri 15 Länder, oppure a Madrid, che ha un regime speciale regolamentato da una legge approvata dalle Cortes, in questo caso la ley n. 22 del 2006, e ha un governo strutturato su due livelli: il livello municipale e livello regionale.
Oppure ancora a Bruxelles, che è diventata, nel Belgio federale, la terza al regione, al fianco di Vallonia e Fiandre, una regione che coincide con la città ed ha vocazione internazionale. E, a proposito di Bruxelles, il tema delle grandi aree urbane come Roma Capitale rappresenta ormai da qualche anno un aspetto centrale nel contesto delle politiche comunitarie. Su questo la Commissione, nella politica di coesione 2014-2020 ha molto investito e questa linea sarà confermata e corroborata anche nella prossima programmazione 2021-2027. A maggio del 2016, a seguito di un'articolata fase di formulazione, era stato sottoscritto dai rappresentanti dei Paesi dell'Unione il cosiddetto Patto di Amsterdam, promosso dalla Presidenza olandese di turno dell'Unione europea. Il documento, intitolato , arrivava a seguito di un percorso pluriennale passato attraverso il programma di Lille del 2000, la Carta di Lipsia del 2007, la dichiarazione di Riga del 2015, e fonda l'Agenda urbana europea su tre pilastri principali per le città: migliorare il finanziamento, migliorare le conoscenze, migliorare la regolazione. Tra l'altro, per volere allargare ancora di più il discorso, il contesto nel quale è stato sottoscritto il Patto di Amsterdam è lo stesso in cui l'ONU ha adottato una propria agenda urbana, a seguito della Conferenza Habitat III tenutasi a Quito nel mese di ottobre 2016. Quindi, in questo contesto, in questo scenario complessivo così dinamico e in costante celere evoluzione, la città fortunata, invincibile ed eterna è rimasta, ahimè, a lungo in un limbo normativo anche dopo l'introduzione della disposizione costituzionale sopra ricordata. Un passo decisivo, è stato già ricordato, e noi lo sottolineiamo all'interno della nostra mozione, è contenuto nella legge n. 42 del 5 maggio 2009, approvata durante il Governo Berlusconi, con una serie di disposizioni relative all'ordinamento istituzionale di Roma Capitale e con una disciplina transitoria dell'ente che si è visto attribuire numerose ulteriori funzioni amministrative; dopo diversi decenni di sterili annunci, una riforma storica, che ha assegnato poteri e risorse a Roma, finalmente una adeguata allo di Capitale europea. Senza entrare nel merito, in particolare l'articolo 24 contiene tutta una serie di funzioni che sono assegnate a Roma; l'articolo 24 ha, inoltre, stabilito che, con uno o più decreti legislativi, venisse disciplinato l'ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma Capitale secondo principi e criteri direttivi espressamente indicati. Sono seguiti il decreto legislativo n. 156 del 2010 e il decreto legislativo n. 62 del 2012. È in questa cornice che è stato approvato un altro atto basilare, ossia lo Statuto di Roma Capitale, delibera n. 9 del 7 marzo 2013, e vorrei sottolineare, con quarantasei voti favorevoli e solamente due voti contrari, a testimonianza del fatto che fu un lavoro di squadra composito, condiviso trasversalmente, quindi la nuova «Costituzione» del Campidoglio prevedeva tutta una serie di innovazioni importanti sul numero dei consiglieri, sul numero dei municipi, sulle «quote rosa», su alcune procedure, ma soprattutto, un punto di svolta decisivo per la definizione dell'assetto istituzionale della città di Roma, un percorso che va proseguito, perché è necessario raggiungere un'ulteriore armonizzazione dello stesso ordinamento. Purtroppo poi, nel tempo, sono seguite alcune scelte del legislatore a volte non condivisibili; negativo, per esempio, con la legge n. 56 del 2014, aver voluto schiacciare il possibile ruolo di Roma Capitale nella generica dimensione di una città metropolitana come le altre. A Roma non viene riconosciuta alcuna specifica identità, anzi, totale omogeneità con tutti gli altri soggetti dello stesso tipo. Pasticciata, in generale, è l'impostazione di fondo delle aree metropolitane, lo dico da ex sindaco, e molto deludente l'azione di questi enti, tra l'altro scelti attraverso un meccanismo macchinoso e cervellotico di voto ponderato. Non è un mistero, tra l'altro, che l'area metropolitana di Roma sia del tutto bloccata e paralizzata nella sua azione. Questo stato di cose impone una necessaria riflessione di fondo. La legge sopracitata, a nostro avviso, ha inoltre ulteriormente comportato un nuovo rallentamento nel processo di devoluzione dei poteri oggi esercitati dalla regione Lazio verso Roma Capitale.
Troppo lenti anche i passi in sede di Conferenza unificata. Urge un intervento, Roma si trova in estrema difficoltà e affanno e non possiamo far finta di nulla; è indispensabile che il Governo addotti le opportune iniziative per dare concreta attuazione al dettato costituzionale, prevedendo fondi speciali per Roma capitale, ma anche promuovendo e favorendo una più efficace interazione interistituzionale tra Roma e la regione Lazio. Prerogative, poteri, risorse, anche per recuperare i attuali in alcuni ambiti che rischiano di rappresentare il piombo nelle ali anche nella comparazione e competizione con le altre capitali. Ciò che più preoccupa è infatti la totale mancanza, a differenza di altre grandi capitali e di città europee, di un'idea di ciò che sarà nei prossimi venti anni Roma. Posso solo citare ad esempio e come raffronto Berlino 2030, , che parte da una visione fondata su concetti chiave su cui far crescere la città, con un piano strategico prodotto da un processo di consultazione pubblica in tutta la città, lo Stadtforum 2030. O ricordare il Progetto , idea nata nel 2012 con un orizzonte temporale 2040, per fare della capitale olandese un esempio virtuoso in materia di inclusività sociale e risparmio energetico, politiche ambientali e qualità della vita.
Capitali in cui i meccanismi di coinvolgimento e partecipazione hanno dato vita ad un lavoro sinergico, atto a delineare la per la città dei prossimi decenni; lo hanno potuto fare anche grazie a all'altezza, poteri conseguenti e risorse adeguate. Possiamo e dobbiamo stare al loro passo. Roma, recitavano le scritte sui sigilli dell'impero. La storia gloriosa del passato deve essere monito e insegnamento, ma bisogna ora impostare e costruire il futuro; per questo è necessario uno sforzo straordinario, un impegno efficace e concreto. Non solo i fasti del passato, ma soprattutto il rilancio in prospettiva dell'immagine di una capitale moderna, dinamica, pronta a percorrere, forte della propria storia, le rotte del futuro.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nobili, che illustrerà anche la mozione n. 1-00043, di cui è cofirmatario.
LUCIANO NOBILI(PD). Grazie, Presidente. Innanzitutto mi consentirà una premessa: sono qui da pochi mesi, ma ho già imparato che in quest'Aula e in questa legislatura è molto difficile, molto difficile, stare al merito delle questioni. Sono quattro mesi che proviamo, come Partito Democratico, a condurre un'opposizione severa, serrata, ma sempre rispettosa delle istituzioni e sempre sul merito delle questioni.
Ebbene, dal tribunale di Bari, dove siamo al punto di partenza, come dicevamo noi, al decreto Di Maio, avevamo previsto quello che sta accadendo, che avrebbe comportato la perdita di oltre mille posti di lavoro al giorno, dalla tragedia di Genova, dove dopo oltre 40 giorni non sappiamo cosa il Governo ha intenzione di fare, non si è fatto nulla, non sappiamo nulla, fino al “milleproroghe”, che ha comportato la vergogna sui vaccini, che ha comportato lo scippo alle periferie urbane, anche a quelle di Roma: strumenti e provvedimenti ai quali abbiamo provato a opporci con tutte le nostre forze, sempre cercando di mantenere la nostra opposizione sul merito delle questioni. E lo facciamo ancora oggi, presentando questa mozione, che è il nostro contributo su un tema cruciale per il Paese, la sua capitale; e lo facciamo consapevoli di una, immaginiamo, mancanza assoluta di sensibilità sul tema da parte di una maggioranza a trazione leghista; e lo facciamo anche sulla base della consapevolezza della clamorosa inadeguatezza della classe dirigente che guida oggi la capitale, a partire da una sindaca ormai debolissima, incapace di assicurare l'ordinaria amministrazione, figurarsi la progettazione del futuro.
Un'amministrazione, si badi bene, alla quale il PD, dal giorno dopo le elezioni amministrative, ha offerto la propria disponibilità e ha teso la mano in un'opposizione, anche lì, serrata, ma nella disponibilità totale a ridiscutere insieme gli strumenti di della capitale, il suo , il suo ordinamento, perché eravamo e siamo consapevoli che, al di là della inadeguatezza evidente di chi guida oggi la capitale, oggi gli strumenti legislativi a disposizione di chi è in Campidoglio non sono sufficienti e non sono all'altezza di una capitale internazionale. Lo ha fatto anche il nostro Governo nei cinque anni che abbiamo avuto a disposizione, anche con l'amministrazione 5 Stelle a Roma, anche, da ultimo, con il Governo che ha implementato, preparato e offerto alla città un piano per il rilancio economico della capitale, piano apprezzato dalle imprese e dai sindacati romani e rispedito al mittente dal Campidoglio.
Abbiamo ricevuto solo irridenti dinieghi e siamo ancora qui, ancora pronti a lavorare per la capitale. Quando parliamo di Roma, di cosa parliamo? Parliamo di una capitale che ha delle caratteristiche che conosciamo, importanti, fondamentali, ospita due Stati, ospita un'agenzia delle Nazioni Unite, tantissime rappresentanze diplomatiche. Parliamo dell'unica capitale europea, però, che non ha uno strumento legislativo, un ordinamento all'altezza delle sfide dei nostri tempi. Parliamo degli strumenti - Londra, Parigi, Bruxelles, Berlino: sono state richiamate molte esperienze negli interventi che mi hanno preceduto - che comportano speciali prerogative amministrative, che comportano elevati livelli di autonomia, poteri speciali, dotazioni finanziarie speciali, che arrivano in alcuni casi da contributi diretti dello Stato, in alcuni casi da deleghe particolari, adeguate, di autonomia fiscale; in alcuni casi, addirittura, potestà legislativa in alcuni settori.
Roma è, come sapete, un patrimonio dell'umanità, un bene mondiale per quello riguarda il livello impareggiabile dei suoi beni storici, archeologici, culturali, per il suo patrimonio ambientale e paesaggistico. E soprattutto parliamo, e anche questo è un tema speciale e specifico di Roma, di una capitale vastissima. Parliamo di 1.290 chilometri quadrati: è il più esteso comune europeo, è grande quanto le principali nove città italiane, questo è oggi Roma.
E Roma nel tempo ha avuto una crescita urbanistica anche molto disordinata. Questo comporta, come immaginate e come sapete, che la realizzazione, la gestione e la manutenzione di tutte le reti dei servizi fondamentali, dal trasporto alla motorizzazione urbana, dall'acqua ai rifiuti, e i servizi secondari, le scuole, le strutture sportive, la sanità, siano molto più costose e molto più difficili da garantire.
A questa estensione territoriale enorme si aggiungono le specificità che Roma ha acquisito con il suo nuovo di città metropolitana, con i comuni della sua cintura, con uno sviluppo urbanistico e degli insediamenti che sono aumentati molto anche nella sua periferia. Pensate che, negli ultimi trent'anni, i comuni della cerniera di Roma hanno visto incrementare di 600 mila unità la propria popolazione. Pensate che oggi i cittadini romani che vivono oltre i confini del Grande raccordo anulare sono quasi un milione. Cittadini che ricevono oggi da Roma servizi inadeguati, forse i peggiori in Italia, e tassazione altissima, forse la più alta d'Italia.
Per questo Roma è anche una capitale economica, ambirebbe ad esserlo, seppure affronta ormai un decennio di crisi profonda. I recenti dati della camera di commercio offrono questa fotografia, la fotografia di una città a metà, con elementi di vitalità oggettivi, l'aumento del numero delle imprese, e con una perdita, invece, di ricchezza altrettanto oggettiva, che ormai riguarda ogni zona della città, ogni quadrante, ogni quartiere, ogni classe sociale.
E anche il numero di imprese che nascono, sono in alcuni casi delle innovative, c'è un tessuto interessante a Roma: pochi sanno che Roma non è più la città dei Ministeri e della pubblica amministrazione, Roma è una città anche con grandi capacità di innovazione. Roma ospita il secondo incubatore per grandezza di innovative d'Europa; eravamo primi, ora siamo secondi perché Parigi ha fatto meglio.
In questo quadro, però, c'è la crescita di un'impresa, i numeri della camera di commercio parlano di un aumento delle imprese, ma sappiamo che in molti casi si tratta di piccole imprese di sopravvivenza, in settori a basso indice di innovazione e, appunto, con la possibilità di ricavi e di crescita limitatissimi.
E poi Roma, anche a causa dalla mancanza di poteri e di un ordinamento all'altezza del suo ruolo, perde grandi treni internazionali: oggi sappiamo che la competizione globale non è più fra Stati, è ormai fra città, fra grandi capitali, è dentro le aree urbane che si concentra la maggioranza della popolazione, che si concentra la maggioranza degli investimenti pubblici e privati, dai progetti e dai piani di investimento dell'Unione europea a quelli dei grandi investitori privati. C'è una tabella di McKinsey che censisce le 125 città che oggi si ripartiscono un terzo del PIL mondiale: lì Roma non c'è, non c'è perché non ha gli strumenti adeguati.
Parliamo, infine, di un dibattito, quello sull'ordinamento e sullo di Roma Capitale, ormai antichissimo, perché dalle prime sedute del Parlamento il tema della capitale e del suo ruolo è stato oggetto di una lunga discussione, anche se non ha mai portato ad un'organica riforma, che è quella che manca e che continua a mancare.
È stato detto, abbiamo riformulato l'articolo 114 della Costituzione, quindi riconoscendo a Roma, ancora meglio, ancora più solennemente in Costituzione il suo ruolo di capitale, ma a fianco di questo non sono mai maturate le condizioni perché il Parlamento, perché il Governo producessero degli strumenti legislativi che garantissero a Roma davvero questo .
Sono stati menzionati da chi mi ha preceduto alcuni degli interventi più recenti su Roma. Penso all'intervento del Governo Berlusconi nel 2008: un intervento che ha sì portato delle risorse, in quell'operazione spericolata e di dubbia riuscita come la gestione commissariale del debito, di cui forse sarebbe bene ragionare insieme. Quell'operazione ha portato delle risorse a Roma, oltre ad un aumento della pressione fiscale per i cittadini della capitale; quelle risorse non hanno prodotto i risultati sperati, perché quelle risorse, soprattutto negli anni dell'amministrazione Alemanno e negli anni dell'amministrazione Raggi, hanno portato soltanto ad aumenti di spesa corrente, e quasi mai invece ad investimenti in conto capitale e ad investimenti che sarebbero serviti a dotare Roma delle infrastrutture di cui ha bisogno.
Quell'intervento peraltro ha cancellato sostanzialmente la legge per Roma Capitale, quella del 1990, che rimaneva uno strumento importante, l'unico della storia repubblicana di garanzia di un finanziamento e di una dotazione annuale stabile per la capitale.
E poi nel 2014 - grazie anche ai Governi del Partito Democratico e a causa anche del fatto che quell'intervento del 2008 non aveva risolto i problemi del debito di Roma, perché, pur avendo accantonato tutto il debito storico, Roma ha continuato a produrre debito - siamo intervenuti con uno strumento importante, che è stato il piano di rientro dal debito della capitale, e con il finanziamento che noi abbiamo garantito a Roma, l'unico finanziamento che oggi riceve stabilmente, questi 110 milioni di extra-costi che vengono riconosciuti a Roma in qualità di capitale d'Italia. Che sono assolutamente insufficienti per quelle che sono le potenzialità e le necessità della capitale, ma all'interno di quel piano - lo hanno evidenziato i nostri Governi anche nell'ultima fase - il comune di Roma, soprattutto negli ultimi due anni, non ha rispettato i patti, perché il piano di rientro prevedeva, soprattutto sul piano del riassetto strategico delle aziende del comune di Roma, una serie di interventi che non sono stati realizzati: anche su questo vorremmo che il Governo intervenisse e monitorasse quello che è accaduto.
È importante farlo, occorre ripartire da quello che è accaduto a Roma in questi anni, dalla mole di interventi spesso disordinati che hanno interessato la capitale: perché flussi di risorse dal Governo nazionale sono arrivati spesso in occasioni di eventi importanti dal punto di vista culturale, sportivo, religioso, dalle Olimpiadi del 1960 al grande Giubileo del 2000, momenti che hanno aiutato la capitale ad essere protagonista del suo sviluppo e a rilanciarsi con forza.
Però tutto questo oggi non basta: c'è bisogno di uno sforzo comune per rilanciare un impegno per la capitale. Questo sforzo noi siamo disponibili a farlo, a partire da alcune consapevolezze, che ci sono dei problemi enormi che non vengono affrontati. Nella nostra mozione uno degli accenti più rilevanti lo mettiamo sulla condizione e sulla situazione di ATAC, l'azienda di trasporto pubblico del comune di Roma: un'azienda che ha prima visto il suo debito trasferito nella gestione commissariale durante la gestione Alemanno, poi questo debito è tornato a gravare nei bilanci dell'azienda stessa; in ogni caso oggi questa azienda è davanti al giudice fallimentare, e lo è anche a causa dell'irresponsabilità di chi guida il Campidoglio oggi. E oggi ci troviamo di fronte a un'amministrazione che non è in grado di garantire l'essenziale, non è in grado di garantire servizi di ordinaria amministrazione: il trasporto, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, la sicurezza delle nostre strade. Per questo, a fronte di un impegno che noi dobbiamo provare a raccogliere insieme… Anche se certo la maggioranza che oggi guida il Paese non è una maggioranza che ha mai indotto o favorito uno sforzo concorde e un'unità di intenti nell'interesse della capitale, non si vede perché dovrebbe farlo chi ha passato la propria carriera politica a gridare “Roma ladrona”.
Detto questo, nella nostra mozione chiediamo delle cose ben precise. Primo, di relazionare alle forze parlamentari rapidamente lo stato della situazione della gestione commissariale del debito, e contestualmente di relazionarci sullo stato della realizzazione degli obiettivi del piano di rientro 2014, perché a quello che ci compete sapere quegli obiettivi non sono stati raggiunti, e quindi il Campidoglio è carente da questo punto di vista. Allo stesso tempo, chiediamo al Governo di assumere interventi importanti e strategici per rilanciare il ruolo della capitale e per intervenire nei settori che ho menzionato, dal trasporto pubblico locale alla gestione dei rifiuti, dove i problemi in città sono esplosivi. Chiediamo al Governo e alle forze parlamentari di intraprendere in questo sforzo comune un lavoro per la produzione, per la realizzazione di una legge speciale per Roma: una legge che può avere questa forma, oppure la forma di qualsiasi altra iniziativa di riforma dell'assetto istituzionale di Roma, ma che proceda una volta per tutte al riconoscimento e al conferimento a Roma dei necessari poteri e delle necessarie attribuzioni per svolgere pienamente il suo ruolo di capitale. Infine chiediamo al Governo di assumere un'iniziativa affinché, all'interno della spoliazione e dello scippo avvenuti nel “milleproroghe” dei fondi per le periferie, i 40 milioni di euro destinati a Roma… Sto chiedendo io di ripristinare soldi per un'amministrazione a 5 Stelle, perché per noi Roma viene prima della bandiera politica; e quei 40 milioni a Roma servono, servono a Roma e servono ai comuni del suo , servono per opere strategiche nelle nostre periferie.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LUCIANO NOBILI(PD). Ed è importante che quei fondi vengano restituiti, perché senza il minimo necessario è inutile ragionare di grandi progetti.
Ci siamo, avanziamo queste proposte, siamo pronti a raccogliere i contributi di tutti e siamo pronti a partecipare, qualora ve ne fossero le condizioni, a uno sforzo concorde nell'interesse di Roma. Lo facciamo con una consapevolezza e con una paura: con la consapevolezza che ogni sforzo, ogni sforzo che quest'Aula, che il Governo possono destinare alla capitale del nostro Paese è uno sforzo destinato all'intero Paese e a tutta la comunità nazionale; e anche con la paura che però ci troviamo di fronte all'ennesimo dibattito inutile di questa legislatura, perché Roma non potrà salvarsi finché non avrà una classe dirigente…
LUCIANO NOBILI(PD). …all'altezza delle sfide che la attendono. Una classe dirigente che non abdichi in maniera plateale al ruolo di capitale di Roma, come ha fatto l'amministrazione Raggi con la rinuncia a una candidatura olimpica praticamente già ottenuta…
PRESIDENTE. Grazie, collega. Grazie.
LUCIANO NOBILI(PD). …che ha significato perdere risorse importantissime, e che ha significato rinunciare anche a livello globale al ruolo di capitale. Ha detto una volta Flaiano: vivere a Roma …
PRESIDENTE. Grazie collega, ha esaurito il suo tempo. Grazie. È iscritta a parlare la deputata Francesca Gerardi. Ne ha facoltà.
FRANCESCA GERARDI(LEGA). Signora Presidente, onorevoli colleghi, quest'oggi siamo chiamati ad esaminare, tra l'altro, le mozioni concernenti le iniziative per Roma Capitale, un tema molto importante, perché attiene all'organizzazione della nostra capitale, la quale deve essere messa in condizione di competere con le altre capitali dei Paesi vicini e, a noi, meno vicini. L'attenzione verso questo tema, come sapete, è tutto sommato recente, poiché è solo da alcuni anni che la nostra Costituzione dedica una norma specifica all'ordinamento della capitale. Dopo la riforma del Titolo V della Parte II, la nota riforma del 2011, l'articolo 114 prevede che la legge dello Stato debba disciplinare l'ordinamento di Roma in quanto capitale d'Italia. La collocazione della norma è significativa; l'articolo 114 specifica che la Repubblica è costituita da una serie di enti, i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato; Roma, in quanto capitale, non è, quindi, una semplice città, non è un semplice capoluogo, pur essendo naturalmente il capoluogo della regione Lazio, nonché una città metropolitana. A tal proposito, la legge n. 42 del 2009 contiene apposite norme volte a dare attuazione, quanto meno in parte, alla novella costituzionale.
L'articolo 24 della legge contiene una disciplina puramente transitoria, di prima applicazione, stabilendo che Roma sia un ente territoriale i cui confini sono quelli del comune capitolino. A Roma viene attribuita una speciale autonomia statuaria, amministrativa e finanziaria, al fine di consentire alla città di garantire l'assetto più adeguato ad un contesto che deve ospitare, tra l'altro, gli organi costituzionali, con tutte le peculiarità che ne conseguono, come ben sappiamo noi che ne siamo componenti, ma anche le rappresentanze diplomatiche degli altri Paesi e le istituzioni internazionali. Insomma, la capitale necessita di norme ad hoc non potendo essere accomunata a nessuna delle altre realtà, pur rilevanti, del nostro Paese.
È stato, poi, approvato un decreto legislativo volto a dare attuazione alle norme della legge appena citata. Il decreto legislativo del 17 settembre 2010, n. 156 recante disposizioni di attuazione dell'articolo 24, della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale, ridisegna completamente l'apparato amministrativo e di governo della nostra capitale. Il successivo decreto legislativo n. 61 del 2012, poi, si occupa delle funzioni amministrative già attribuite al nuovo ente dall'articolo 24, comma 3, della già citata legge n. 42 del 2009.
Il disegno riformatore non è, però, completo. La nostra capitale registra notevoli criticità; ciò è senza dubbio dovuto all'assetto normativo, ormai in gran parte superato. Lo stesso contratto di Governo che è all'origine dell'attuale Esecutivo si sofferma su tale aspetto, mettendo in evidenza l'obiettivo di rilanciare il disegno attuativo delle disposizioni costituzionali su Roma Capitale, approvando una legge generale che si faccia carico di tale esigenza. La finalità, forse ambiziosa, ma da perseguire senza alcun dubbio, è quella di sancire un nuovo patto tra la Repubblica e la sua capitale, restituendole nuova e definitiva dignità, cito testualmente il contratto di Governa che ispira la nostra azione.
Sono, quindi, certamente condivisibili gli obiettivi della mozione predisposta dalla maggioranza che, per l'appunto, si prefigge di impegnare il Governo ad adottare tutte le iniziative necessarie per garantire un rafforzamento dell'ordinamento di Roma Capitale, in modo da dare concreta e definitiva attuazione all'articolo 114, ormai vigente da molti anni, nel quadro di un decentramento amministrativo coerente e funzionale, anche attraverso il ruolo dei municipi che, in una città di dimensioni come queste, e date le importanti attribuzioni conferite dalla legge, sono un aspetto chiave dell'intero apparato amministrativo.
Un intervento su Roma Capitale, quindi, è ineludibile, ma non basta. Nel quadro del decentramento su cui si fonda la nostra Repubblica, e lo dice anche l'articolo 5 della Costituzione, molte, ancora, sono le sfide da compiere, molti sono gli obiettivi da realizzare e il decentramento amministrativo e il regionalismo sono comunque due facce della stessa medaglia.
Accennavo, poco fa, al Titolo V, il quale ha dato dignità e rilevanza alla capitale, diversificandola dalle altre città e dagli altri capoluoghi. La riforma del 2001 è, però, anche quella del nuovo regionalismo, la riforma che ha voluto arricchire le competenze, soprattutto legislative, delle quindici regioni a statuto ordinario, eccessivamente sacrificate dal disegno originario del costituente.
Sebbene detta riforma abbia approfondito le competenze delle regioni, sebbene essa abbia dato maggiore centralità anche agli enti regionali, nondimeno si è discostata dal modello del 1948 in cui le 15 regioni sono state poste su un piano di sostanziale parità. Medesima la struttura istituzionale, medesimi i poteri. Tuttavia, molte regioni hanno sempre dimostrato di essere in possesso di enormi potenzialità, le quali possono essere sfruttate a patto di incrementare gli ambiti di intervento. Si è fatto poco, purtroppo, sinora. L'articolo 116 della Costituzione, va detto, consente un ulteriore approfondimento delle competenze regionali, consente, quindi, di attribuire alle regioni potestà attualmente spettanti allo Stato; è necessaria una legge, ma si può fare. Questo, comunque, va detto con chiarezza, non è sufficiente.
Molte regioni hanno anche evidenziato l'esigenza di avere una maggiore autonomia, i referendum svolti di recente in alcune regioni, come ad esempio la Lombardia e il Veneto, dimostrano che i cittadini sono di questo avviso. Le trattative avviate hanno anche condotto l'approvazione di un accordo sulla cosiddetta autonomia differenziata, accordo stipulato a febbraio a Palazzo Chigi, tra il Governo e le regioni appena citate, tra le quali, ultimamente, si è aggiunta anche l'Emilia Romagna.
Il regionalismo rigido e indifferenziato non è confacente alla realtà italiana. Ci sono diversi esempi di regionalismo differenziato - per esempio, pensiamo alla Spagna - nel quale le competenze assegnate a un ente sono commisurate all'ente stesso, alla sua storia, alle sue tradizioni e alla sua peculiarità. D'altra parte, l'esistenza di cinque regioni a statuto speciale non è la dimostrazione che, in fondo, in fondo, in Italia abbiamo praticato comunque, già, questo modello? La differenziazione tra cinque regioni dotate di autonomia particolare che si è differenza dalle restanti 15 non è già l'applicazione del principio del regionalismo differenziato? Questo modello si è rivelato molto vincente e probabilmente è necessario che si adotti, comunque, su larga scala ed è esattamente l'obiettivo che le diverse regioni, oggi, si stanno comunque proponendo.
Ancora, le recenti vicende hanno dimostrato che la politica, sinora, ha avuto una visione di prospettiva in questa materia di enti locali e soprattutto di ordinamento delle province. Si voleva abolirle, ma non si poteva fare con una legge costituzionale, si è quindi pensato di ridurne le competenze, di svuotarle di fondi e di personale, facendo in modo che l'elezione degli stessi organi rappresentativi fosse riservata a una piccola cerchia di amministratori politici. Ricordiamo il referendum sulla riforma Renzi-Boschi, però, che è stato bocciato comunque dal voto popolare, con la conseguenza che ci ritroviamo di fronte una realtà sulla quale le province continuano ad esistere, ad operare, ma sono disciplinate da norme pensate come provvisorie, nell'ottica di un superamento di tale livello da parte del Governo.
Ebbene, su questo punto bisogna assumere decisioni definitive e coerenti. Se le province vengono mantenute è evidente che esse debbano godere comunque di una disciplina chiara e di competenze precise, di fondi idonei a consentirne l'adempimento e la funzionalità. Serve in altri termini un ripensamento generale degli enti di area vasta. È necessario, comunque, che ci sia un ordinamento di province che sia pensato, non sulla base di una contingenza, ma tenuto conto quali sono i veri obiettivi, cioè offrire servizi ai cittadini. Gli enti locali non devono essere una struttura per garantire posti al personale del politico di turno, devono essere funzionali e offrire servizi in materia di scuola, di viabilità e, soprattutto, di sicurezza sui territori . Siamo consapevoli che questo Governo avrà bisogno, comunque, di tempo e dovrà mettere mano ad una serie di riforme per regolamentare questi enti. Un primo passo potrebbe essere proprio quello di muoversi in questa direzione e far sì che si possa potenziare e, soprattutto, ripristinare il sistema delle autonomie locali nell'ottica di potenziare finalmente quei servizi adatti ai cittadini .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Federico Mollicone. Ne ha facoltà.
FEDERICO MOLLICONE(FDI). Grazie. I poteri speciali a Roma Capitale sono una battaglia storica di Fratelli d'Italia e della destra italiana. Nonostante le prescrizioni della legge n. 42 del 2009, lo Stato e la regione Lazio, invece di aumentare i poteri e i fondi, hanno mancato di concederli o tolto all'amministrazione di Roma Capitale alcuni di questi in materia di mobilità, utilizzo dei beni storici e archeologici, senza considerare la gestione assunta dal Ministero dei beni culturali e del famigerato e disastroso appalto del Parco del Colosseo indetto da Franceschini, di cui parleremo dopo.
Roma è la sede, oltre che dell'Amministrazione centrale dello Stato e delle rappresentanze politiche, anche di tre rappresentanze diplomatiche: presso la Repubblica italiana, presso lo Stato del Vaticano e presso le istituzioni internazionali aventi sede a Roma come la FAO, collegata con l'ONU.
Roma Capitale in quanto tale è la sede prescelta per imponenti manifestazioni politiche e sociali, per incontri internazionali, per gare sportive e internazionali quali quelle del tennis, il concorso ippico di Villa Borghese, la Longines Challenge e così via.
Roma Capitale rappresenta temi strategici per la nazione: la rigenerazione urbana invece del consumo ulteriore di territorio, il tema della navigabilità e riqualificazione del Tevere, la sostenibilità ambientale in ogni aspetto del nostro quotidiano, dalla mobilità, ai rifiuti, al riuso. E su questo un gran lavoro abbiamo fatto fino al 2013, nell'IBAC che è il Consiglio internazionale sul futuro di Roma.
Chi vi parla è stato anche tra i consiglieri che hanno scritto e approvato, il 7 marzo 2013, con delibera n. 8, il nuovo Statuto di Roma Capitale. Crediamo quindi di saperne qualcosa al riguardo, in particolare dalla meravigliosa e proficua esperienza di Presidente della Commissione cultura, inserimmo e sancimmo il concetto fondamentale della sussidiarietà.
L'articolo 2, comma 2, dello Statuto recita: “L'azione amministrativa, improntata al rispetto del principio di sussidiarietà, è svolta secondo criteri di trasparenza, imparzialità, efficacia, efficienza, economicità, rapidità e semplicità nelle procedure per soddisfare le esigenze della collettività e degli utenti dei servizi, nell'assoluta distinzione dei compiti degli Organi e degli Uffici e attribuendo responsabilità pubbliche ai Municipi in quanto territorialmente e funzionalmente più vicini ai cittadini.”
Il comma 13 dello Statuto reca: “Roma Capitale tutela il patrimonio artistico, storico, monumentale e archeologico anche promuovendo e favorendo il coinvolgimento di soggetti privati finalizzato al recupero, alla conservazione, alla valorizzazione e alla più idonea fruizione di tale patrimonio nonché al sostegno delle attività culturali della Città.”
Articoli che rappresentano due temi fondamentali nel dibattito sulla rivendicazione dei poteri di Roma Capitale.
Il primo, quello sulla sussidiarietà, riguarda la possibilità e necessità di coinvolgere il privato sociale nella gestione di servizi fondamentali per i cittadini; averlo inserito nello Statuto favorisce questa dinamica fondamentale, non ultima quella del mecenatismo, che deve sempre essere legato ad una politica di defiscalizzazione degli interventi privati a favore del pubblico. Articoli che si sono salvati anche dalle proposte di riforma in corso in Campidoglio, alcune anche curiose dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, come quella del contro referendum popolare: il popolo propone un referendum e la giunta, invece di fare le delibere, ne fa uno contrario. Avete inventato la prima consultazione antipopolare!
Il secondo, il comma 13, definisce uno dei temi centrali, insieme alla mobilità e al decentramento realizzato, quello della gestione delle aree archeologiche, monumentali e museali da parte della capitale. L'errore storico, anche del centrodestra, è stato quello di andare in concorrenza tra le sovrintendenze statali e la sovrintendenza comunale. Non è più accettabile che la fonte di reddito maggiore in ambito culturale di Roma, il Colosseo, con 6 milioni e mezzo di visitatori per anno, venga gestita solo a livello nazionale, nonostante gli oneri siano tutti a danno della Capitale. Il caso su cui con Fabio Rampelli ci battiamo da anni può essere il simbolo più evidente e macroscopico del furto di competenze e risorse che avviene ai danni di Roma: la gestione della biglietteria dei servizi culturali da parte di Coop Culture ed Electa Mondadori è stato un fallimento per lo Stato italiano. Noi, che pur siamo a favore della sussidiarietà, ma quella sana, in questo caso abbiamo denunciato con atti pubblici, anche in quest'Aula, lo scandaloso regime di proroga fuori da ogni gara europea, che ha permesso a due privati di incassare in un decennio più di mezzo miliardo di euro, dando allo Stato realmente solo 74 milioni di euro. Franceschini ci ha messo la mano, ma era meglio non lo facesse, con lo sciagurato bando di appalto Consip, che ancora oggi è impugnato dalla magistratura ed è, comunque, sotto analisi e ancora non ha portato a nessun risultato .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Roberto Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI(PD). La ringrazio, Presidente. Governo, colleghi, chi si occupa e segue un po' Roma e le vicende di Roma, e qui ne vedo sicuramente qualcuno, vedo il collega Rampelli col quale da tantissimo tempo abbiamo lavorato insieme fin dai municipi, ma anche il collega Mollicone, il collega Lollobrigida, il collega Nobili, ci sono colleghi che seguono le vicende di Roma e che sanno perfettamente che in quest'Aula ciclicamente si pone il problema di fare in modo che a Roma venga, non restituita, ma data la capacità di poter essere effettivamente la Capitale d'Italia, di poterla rappresentare in tutte le sue funzioni. Io ho lavorato nell'Amministrazione comunale per più di dieci anni e sono diciassette anni che sono in Parlamento e posso assicurare che questo è un tema - l'hanno richiamato molti colleghi - che puntualmente ritorna.
Ora, mi rivolgo in particolare a coloro che conoscono la storia della vicenda dei poteri di Roma Capitale. Il collega Nobili ha chiaramente illustrato la nostra mozione e anche la nostra disponibilità, ovviamente, a venire incontro a tutte quelle richieste che condividiamo e che vanno esattamente a centrare l'obiettivo di restituire e anzi di dare a Roma i poteri che le spettano, però io vorrei dire molto sinceramente - e lo dico a tutti - che noi forse dobbiamo andare oltre. Infatti, non c'è dubbio che il passo in avanti che è stato fatto con la modifica dell'articolo 114 della Costituzione, che fissa e individua chiaramente le funzioni di Roma Capitale e l'esigenza che esse siano disciplinate attraverso una legge ordinaria, ha dimostrato che, al di là delle buone o delle cattive intenzioni… e vorrei in questo caso tralasciare qualunque tipo di valutazione, sul presente noto soltanto che sento ripetere la sindaca Raggi che il problema a Roma è quello di avere poteri aggiuntivi e poteri speciali. Può darsi pure, diciamo che a chiederlo dovrebbe essere chi, magari, ha dimostrato di saper utilizzare e amministrare almeno quelli ordinari, è abbastanza singolare sentire queste affermazioni, ma lo dico anche a coloro… sentivo adesso il collega Mollicone, che se la prendeva con Franceschini, io non voglio ricordare il “patto della pajata”, colleghi di Fratelli d'Italia, il sindaco Alemanno, quello che è successo sui concorsi, lasciamo perdere: non occupiamoci del presente e non occupiamoci del passato, ma sul problema che abbiamo dinanzi a noi e che ha la nostra città.
Io mi sono candidato per le elezioni romane e sono stato sconfitto dalla sindaca Raggi, erano con me candidati anche altri colleghi che sono in quest'Aula. Penso che ciascuno di noi, almeno di coloro che avevano un minimo di conoscenza di questa città, sapevano perfettamente che anche il migliore che fosse andato a guidare questa città, se non si fossero cambiate molte delle regole e delle articolazioni che sono appunto a regolare la vita di questa città, non avrebbe sicuramente potuto realizzare il disegno di riforma, il disegno di rilancio della città, che era necessario.
Allora parliamoci molto chiaro: noi possiamo anche immaginare di riprovare il percorso di una legge speciale, ma se prima non vi è - da parte di tutte le forze politiche, vorrei dire di tutte le categorie, vorrei dire degli intellettuali, vorrei dire delle forze sindacali, vorrei dire di tutti coloro che partecipano direttamente alla vita della città - la disponibilità a una tregua, a una a qualcosa che consenta di mettere insieme un lavoro che ci porti a fare effettivamente una legge per Roma Capitale che sia organica e che sia in grado di farle fare quel passo in avanti che vogliamo, purtroppo temo che accadrà quello che è accaduto in tutti questi anni: e cioè che ognuno cercherà di portare un pezzettino, attraverso la legge speciale per Roma Capitale, dalla propria parte, magari dalla parte del sindaco che in quel momento amministra e Roma, purtroppo, non uscirà dalla situazione nella quale siamo.
Io penso che questa città vada in qualche modo ridisegnata, ne vadano ridisegnate le competenze, ne vadano ridisegnati i regolamenti, ne vada ridisegnato lo statuto. Addirittura ne deve essere ridisegnata, come è del tutto evidente, la rete viaria, se pensiamo - con tutto il ragionamento che è stato fatto da molti, anche dal collega Nobili - su qual è ovviamente adesso l'incidenza dell'area metropolitana, rispetto a quelle che dovrebbero essere le funzioni della città. Va ridisegnata nei suoi servizi, va ridisegnata nelle infrastrutture. Dobbiamo ripensarla, dobbiamo rilanciarla e dobbiamo inevitabilmente prendere atto dei cambiamenti che ci sono stati.
La collega della Lega ricordava qual è la forza dal punto di vista territoriale e della densità abitativa dei municipi, che spesso e volentieri rappresentano aree più grandi di alcuni capoluoghi del nostro Paese. Eppure, i poteri, le risorse e il personale che vengono dati a questi municipi è del tutto irrilevante.
Allora, semplicemente, mi fa piacere che torniamo su questo. Ha ragione il collega Nobili quando dice che noi ci siamo messi a disposizione della città e, ovviamente, a disposizione anche di chi amministra questa città già da tempo.
Io un anno fa, esattamente un anno fa, signora Presidente e colleghi, avevo fatto una proposta, che si è materializzata anche attraverso un'iniziativa politica, un convegno, che abbiamo fatto su questo, per dire che per questa città abbiamo bisogno di una costituente. Abbiamo bisogno di persone ovviamente rappresentative di ogni tipo di categoria, come dicevo prima, della politica, della cultura, del sindacato, dell'imprenditoria e di tutte le forze vive di questa città, che si mettano intorno a un tavolo e ridisegnino il futuro di questa città. Solo se si riesce a fare un lavoro comune, esattamente con lo stesso spirito con il quale è stata fatta la Costituzione di questo Paese, noi potremo mettere in campo delle soluzioni normative, che effettivamente rispondano alle esigenze della città. Rispondere alle esigenze della città, vedendo le condizioni nelle quali siamo, significa essere in grado di mettere in campo un movimento che riesca a coinvolgere i suoi cittadini, a rendere tutta la città partecipe di un rilancio, di una rinascita, di un cambiamento, attraverso un lavoro condiviso. Per questo dico che non mi occupo del presente e non mi occupo dell'immediato: guardo al futuro.
Questo lavoro può essere fatto, se davvero a tutti sta a cuore il bene della nostra città - prima di segnare un pezzetto, che magari sia di convenienza a chi in questo momento amministra una o l'altra amministrazione -, che sia il mettersi insieme per disegnare il futuro della città, da consegnare, atteso che si voterà nella nostra città tra due anni e passa, che consegni a chi sarà, e non sappiamo chi sarà, e questa è la forza anche di questa proposta: lavorare insieme per creare le condizioni, a chiunque sarà il prossimo sindaco di Roma, di potere misurare le proprie capacità, la propria responsabilità e la propria forza, a partire da condizioni che siano condizioni possibili, che siano condizioni che intervengano strutturalmente sui problemi strutturali che ha questa città, sui cambiamenti strutturali che sono necessari a questa città.
Non possiamo pensare di risolvere il problema dell'assetto, per esempio, della rete viaria di questa città, nella sua intersezione tra la mobilità su gomma e le metropolitane - non vorrei usare un eufemismo -, tra l'hinterland e la città. C'è un disegno che deve essere un disegno organico, fatto con il tempo necessario, ma che fornisca dei cambiamenti che siano effettivamente cambiamenti che risolvano, non solo nell'immediato, ma in prospettiva, quelle che sono le esigenze e anche le potenzialità di questa città.
Allora, io penso che ci voglia una costituente e penso che ci vogliano delle risorse aggiuntive. Ma non bastano le risorse aggiuntive - e mi avvio alla conclusione, signora Presidente -: noi dobbiamo avere il dovere di richiedere un intervento diretto dello Stato sulla capitale, diretto esattamente come esiste in tante altre capitali. Diretto vuol dire che probabilmente è necessario anche che ci sia un impegno diretto dal punto di vista della struttura governativa. C'è stato, ci sono stati in passato, sottosegretario - ho finito Presidente - con una competenza diretta per la parte di investimenti statali sulla città, da aggiungere a quelli ordinari.
Insomma, in conclusione, signora Presidente, bisogna avere un'idea, bisogna avere una speranza che questa città possa cambiare. Bisogna lavorare insieme, se davvero ci si crede, perché questo sia realizzabile
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Marco Silvestroni. Ne ha facoltà.
MARCO SILVESTRONI(FDI). Grazie Presidente. Roma: statuto speciale, funzioni speciali, Roma Capitale, Città metropolitana di Roma Capitale. Ma io credo che questa bella grande città sia la capitale del Nordafrica e la colpa di essere la capitale del Nordafrica ritengo che debba essere imputata a due concause: una è la famigerata, non pensata, legge Delrio; l'altra è il governo Cinquestelle, il governo Raggi, che l'hanno vilipesa e oltraggiata oltremodo.
Roma non può essere pensata solamente come diceva il collega che ha appena parlato. Sì deve essere ripensata, vogliamo metterci anche nella rete fognaria, ripensata totalmente nei municipi, ma deve essere ripensata, come è stato detto, anche come qualcosa di più grande, come area vasta, ad esempio. Roma ha l'aeroporto di Fiumicino, che è un comune a sé stante, fa parte della città metropolitana di Roma Capitale, ma non fa parte del comune di Roma. Ha il più importante porto del Lazio, che è il porto di Civitavecchia, che è un comune della provincia di Roma, della città metropolitana di Roma Capitale, che non fa parte, però, di Roma Capitale. Sembra un giro di parole.
Allora, il motivo per cui Fratelli d'Italia ha voluto presentare questa mozione, primo firmatario Giorgia Meloni, è proprio perché intende fornire un'occasione, per pensare di elevare Roma Capitale, città sì metropolitana, come ho detto, ma soprattutto capitale della nazione, ad ente territoriale dotato di uno statuto di autonomia differenziata, per l'innegabile esigenza sul territorio della capitale di interessi e di istanze peculiari, rispetto ad altre città ed aree metropolitane, che la differenziano e ne motivano ragionevolmente il fatto di essere speciale.
In ogni capitale europea, Presidente, ma ancor di più a Roma, convivono interessi propri, nonché interessi squisitamente nazionali, come già è stato detto, per l'ospitalità data alle istituzioni rappresentative nazionali, alle sedi centrali dei ministeri, alle ambasciate, alle magistrature superiori e, come tutti sappiamo, alla sede dello Stato Pontificio.
Per cui Fratelli d'Italia, Presidente, come dicevo prima, vuole offrire un'occasione, ma anche segnalare che Roma Capitale non può continuare ad inseguire le altre capitali europee. È il momento che la capitale d'Italia diventi modello e non continuare ad inseguire altri modelli di altre capitali. Non poniamo motivazioni storiche nella mozione, ma solo un'esigenza, che è quella di garantire efficienza, tempestività e adeguatezza delle decisioni, per trasformarle in servizi, che è quello che manca. Lo abbiamo visto con il governo, in questo caso della città metropolitana di Roma Capitale, della Raggi, che non sa dove sono i comuni della città metropolitana. E la capitale d'Italia non è un normale comune d'Italia, perché è la capitale della Repubblica ed è - tutti dobbiamo ricordarcelo - la città di tutti gli italiani.
Per questo chiederemo di votare la mozione presentata all'unanimità
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Maria Spena. Ne ha facoltà.
MARIA SPENA(FI). Presidente, se partiamo dalla nostra Costituzione, dall'articolo 114, terzo comma, è facile dedurre la specialità del trattamento di cui avrebbe bisogno Roma Capitale per funzionare bene e dignitosamente. La specialità dell'ordinamento della capitale deve rispondere a un generale criterio di razionalità, nel senso di differenziarsi dall'ordinamento delle altre istituzioni territoriali, a partire dalle città metropolitane, in ragione delle assolute peculiarità della città di Roma: ricordiamo la presenza degli organi costituzionali, della Santa Sede, delle più importanti istituzioni internazionali, ma soprattutto del patrimonio storico, culturale ed artistico che rende Roma città unica. Il tema delle grandi aree urbane come Roma Capitale è un punto di vista privilegiato anche all'interno di un contesto europeo, occorre capire perciò come sia necessario adeguare di più le politiche europee alle dimensione della città e soprattutto far sì che le donne e gli uomini dei Paesi dell'Unione europea si sentano liberi di essere cittadini d'Europa.
Per giungere al traguardo di questa maggiore funzionalità della città di Roma dobbiamo lavorare tutti quanti insieme, per accelerare il processo verso l'agenda urbana europea e porre al centro i temi fondamentali per la vita delle persone, a partire dalla mobilità, dalla coesione sociale, dalle politiche dell'immigrazione e quelle dell'accoglienza. Inoltre bisogna guardare anche agli obiettivi della nuova Agenda territoriale 2020, al fine di sviluppare quei progetti regionali e settoriali che permettono di valorizzare tutte le peculiarità locali e territoriali. Come è stato detto da tutti quelli che mi hanno anticipato, il primo Governo ad occuparsi dell'ordinamento istituzionale e speciale di Roma Capitale è stato il Governo Berlusconi, con la legge n. 42 del 2009, in materia di federalismo fiscale, seguita poi dai decreti legislativi del 2010 e del 2012; l'approvazione poi dello statuto di Roma Capitale, con una delibera del 2013, seguita poi da quelle successive del 2018, hanno sicuramente rappresentato un punto di svolta per l'assetto istituzionale della città di Roma. Il processo di federalismo però deve andare avanti certamente con scelte appropriate e coraggiose, che non abbiamo invece ritrovato con la “legge Delrio”, che ha scelto di schiacciare il ruolo di Roma Capitale nella generica dimensione di una città metropolitana così come le altre. La legge non ha attribuito a Roma Capitale una specifica identità, ribadendo piuttosto la linea di omogeneità e trattamento riservati ad altre città metropolitane.
Vorrei ricordare che fu proprio nel giugno 2016 che i cittadini romani hanno riposto tutte le speranze per un cambiamento, ma ad oggi si parla ancora di una bacchetta magica che non c'è. Sono mancati quei segnali forti per far capire che qualcosa stesse cambiando, a partire dal turismo, che dovrebbe rappresentare il polmone finanziario di una città, una città che deve proporre eventi capaci di richiamare un gran numero di visitatori; i grandi eventi, che sappiamo quanto rappresentino un volano per l'economia e di immagine nazionale ed internazionale, e Milano, ahimè, Presidente, in tal senso ci sta insegnando qualcosa.
C'è stato senz'altro un accanimento mediatico senza precedenti verso la città di Roma, ma noi vogliamo che la cartolina della capitale nel mondo torni ad essere quella delle sue bellezze storico ed artistiche; bisogna avere perciò più coraggio per varare una prospettiva di cambiamenti concreti. In questi anni a Roma, e non solo in questi recenti, un po' alla volta perso i pezzetti del proprio volto. È una città che sta registrando un tracollo e un tramonto socio-economico, e tutti quanti noi abbiamo il dovere di dare quella spinta per far riprendere a Roma il posto che orgogliosamente gli compete, ossia quella di capitale d'Italia e capitale del mondo.
Roma non è solo la nostra città, come diceva poc'anzi il mio collega di Fratelli d'Italia: è la città di tutto il mondo, dovremmo sempre ricordare a noi stessi quanto Roma sia unica, e noi stessi dovremmo portare rispetto tutti i giorni che la viviamo. Concludo, Presidente. Chiediamo perciò al Governo di aprire un'ampia riflessione sull'approccio inadeguato che si sta dando alla capitale, istituire così una cabina di regia che permetta di ascoltare tutte le parti istituzionali coinvolte, approfondire le singole problematiche e portare Roma capitale verso una completa autonomia normativa e organizzativa, con stanziamenti di fondi e risorse speciali che le permettano di capovolgere uno stato di degrado in cui versa da tanto tempo .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Vittoria Baldino. Ne ha facoltà.
VITTORIA BALDINO(M5S). Presidente, ascoltando il dibattito che si sta svolgendo in quest'Aula non posso che condividere alcune considerazioni esternate dai colleghi che mi hanno preceduto: Roma è l'unica grande capitale europea priva di un sistema istituzionale e di un ordinamento amministrativo speciale in grado di garantire un livello di prestazioni adeguate ai bisogni della città; è vero. Guardando infatti il quadro normativo di riferimento, ci rendiamo conto che Roma ha bisogno che si sviluppi un dibattito costruttivo in tutte le sedi deputate a contribuire alla creazione della città del futuro. La previsione di quell'articolo 114, comma 3, della Costituzione ha segnato senza dubbio un passo in avanti rispetto al sistema previgente, ma ad essa non sono seguiti dei seri interventi normativi in grado di condurre ad una sostanziale evoluzione. Il legislatore non ha accompagnato la città di Roma nella trasformazione istituzionale sperata e forse immaginata dal legislatore costituzionale, e tale da renderla al passo delle altre capitali europee. Quindi mi pare di capire che siamo tutti d'accordo, indipendentemente dal colore politico: dobbiamo prevedere una riforma di Roma Capitale che rilanci il ruolo della città di Roma - e quindi, permettetemi, dell'Italia tutta - fino a farla diventare il fiore all'occhiello dell'Europa e del mondo. Allora bisogna chiederci: qual è la strada da intraprendere? Qual è l'obiettivo? E come vogliamo raggiungerlo questo obiettivo? L'obiettivo sicuramente è quello di garantire un rafforzamento dell'ordinamento di Roma Capitale, proprio in attuazione dell'articolo 114, comma 3, della Costituzione, a partire dal decentramento amministrativo e dal ruolo dei municipi, che sono quindici. Roma ha quindici municipi, quindici piccole città, anzi grandissime città; quindici municipi, ciascuno con la propria peculiarità territoriale, sociale, economica, culturale e strutturale, ciascuno necessitante di specifiche competenze e di specifiche risorse, ciascuno necessitante di specifica attenzione. Quindi bisogna realizzare un progetto di rilancio di Roma Capitale e della macchina amministrativa capitolina mediante nuove ed ulteriori risorse, finanziarie e umane, nonché promuovere un'azione normativa idonea a rafforzare il ruolo della città quale capitale della Repubblica. Dobbiamo rendere Roma una dobbiamo rendere Roma la città del futuro. Ma per arrivare a questo occorre avere attenzione al percorso che dobbiamo intraprendere: come arrivare a questo obiettivo? A questo obiettivo ci arriviamo soltanto se Roma la conosciamo bene e la conosciamo a fondo. Se vogliamo veramente aiutare Roma a diventare la città del futuro, dobbiamo innanzitutto verificare l'effettivo stato della morfologia urbana della città e l'effettivo stato di attuazione del suo assetto istituzionale, tenuto conto, come dicevo, dell'estrema complessità ed eterogeneità del territorio, uno dei più estesi rispetto alle altre capitali europee. Quindi, approfondire ed esaminare per poter fornire a Roma un assetto adeguato alle esigenze del suo territorio. Questo l'abbiamo anche previsto nel contratto di Governo, che ha recepito le criticità della capitale, dovute principalmente all'obsolescenza dell'attuale assetto normativo, e per tale ragione ha deciso di riformare il disegno attuativo delle disposizioni costituzionali su Roma Capitale anche attraverso un nuovo patto tra la Repubblica e la sua capitale - leggo testualmente -, restituendole nuova e definitiva dignità.
Allora, colleghi, appare necessario e urgente far partire un dibattito serio nelle sedi istituzionali nazionali sul futuro della capitale d'Italia, un dibattito costruttivo e non dettato dal carattere emergenziale, come è accaduto negli ultimi anni quando si è parlato di Roma, un dibattito che prosegua anche nel solco tracciato dall'attuale programma capitolino e che tenga conto anche delle specifiche criticità che si rilevano nel complesso tessuto economico e sociale della capitale. Solo così possiamo far rinascere la Città eterna .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Francesco Lollobrigida. Ne ha facoltà.
FRANCESCO LOLLOBRIGIDA(FDI). Grazie, Presidente, e grazie ai colleghi tutti. Intervengo non tanto per argomentare ulteriormente perché lo hanno già fatto, in maniera puntuale, i miei colleghi di partito e anche, devo dire, i colleghi che siedono sui banchi dei partiti con i quali su tanti temi non riusciamo spesso a trovare convergenze e non riusciamo spesso a trovare medesime opinioni. Ebbene, ascoltare invece la discussione in quest'Aula grazie a una mozione di Giorgia Meloni - la prima che è stata presentata, già approvata all'unanimità dal consiglio comunale di Roma il giorno 13 settembre - è un fatto importante perché subito dopo l'approvazione della mozione il sindaco Raggi si è recato dal Presidente Conte avendo già da lui alcune rassicurazioni su quello che sarebbe stato un processo che avrebbe portato al rafforzamento della nostra Capitale, la Capitale d'Italia, il punto di riferimento, il faro della civiltà per tanti e che oggi sembra diventare uno dei pochi elementi unificanti di questa legislatura.
Ebbene, che cosa avviene, però, quando si è d'accordo su tutto? Che uno dimentica le premesse e passa agli impegni. E, allora, noi abbiamo riportato in quest'Aula una mozione semplice, abbiamo riportato una mozione schematica, senza entrare nei dettagli che dividono, ma abbiamo portato una mozione che chiede più poteri alla Capitale, più soldi alla Capitale, per arrivare alla soluzione dei problemi concreti della stessa che oggi non è governata da Fratelli d'Italia. Siamo fieramente all'opposizione di un sindaco inefficace e incapace come il sindaco Raggi. Abbiamo avuto momenti di governo sbagliando anche a livello nazionale, probabilmente condizionati da partiti - anche nell'ambito della nostra alleanza - che avevano opinioni ben diverse da quelle che oggi sembrano avere negli interventi d'Aula. Anche dalla Lega, per esempio, oggi ho sentito che è diventato importantissimo intervenire sulla Capitale e intervenire su Roma.
Però, dopo le parole iniziano i fatti e noi i fatti li vedremo da qui a poco. Da qui a poco, infatti, inizieremo a discutere il disegno di legge di bilancio e immagino che da parte nostra, come da parte degli altri partiti, si entrerà con interventi che saranno valutabili in termini di proposte, soluzioni e coperture economiche per risolvere. Quindi, noi auspichiamo che in questo momento vi sia attenzione su questo tema, da qui al prossimo disegno di legge di bilancio. È per questo che abbiamo insistito in Conferenza dei presidenti di gruppo ottenendo dal Presidente e dagli altri colleghi la calendarizzazione di questa mozione, perché si arrivasse, prima del disegno di legge di bilancio, a prendere in quest'Aula impegni chiari, condivisi, omogenei e unitari, al di là delle premesse (per questo nella nostra mozione non c'è una premessa politica che divide).
Quindi, auspichiamo che ci sia una conseguenza a quanto oggi ci siamo detti e che queste risorse arrivino e siano immediatamente visibili per risolvere i problemi inderogabili oppure si risparmi il tempo anche sul lavoro. Noi spesso contestiamo la decretazione d'urgenza, però invitiamo il Governo a fare un “decreto Roma” che rafforzi subito la centralità della nostra capitale, così come dai banchi di tutti i partiti vi è pervenuto appello. Fatelo perché così avremo finalmente quella Roma forte - non più ladrona, perché una città non può essere definita in questo modo, condizionando le scelte e magari mettendo in condizione di trovarci così come ci siamo trovati – e potremo rilanciare insieme la capitale. Oggi governate, governa Roma il sindaco Raggi, governa il Presidente Conte, ha dei partiti di riferimento. Da parte nostra troverà tutta la solidarietà e tutto l'impegno. Quindi, ringrazio per la discussione. Ci facciamo carico di sensibilizzare, come l'abbiamo fatto in questa sede, gli altri colleghi raccogliendo anche l'eventuale disponibilità a costruire una fase costituente o a ragionare su un intergruppo. In ogni luogo dove si discute del rafforzamento della capitale e, quindi, del rafforzamento di tutta l'Italia, Fratelli d'Italia sarà presente .
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Delrio ed altri n. 1-00036 sulla posizione da sostenere in sede europea circa l'applicazione nei confronti dell'Ungheria dell'articolo 7, paragrafo 1 del Trattato UE, in relazione alla risoluzione adottata dal Parlamento europeo .
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 19 settembre 2018 .
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00040 e Molinari e D'Uva n. 1-00044 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Ivan Scalfarotto, che illustrerà la mozione Delrio ed altri n. 1-00036, di cui è cofirmatario.
IVAN SCALFAROTTO(PD). Grazie, signora Presidente. È una mozione alla quale teniamo molto noi del Partito Democratico. È a prima firma di Graziano Delrio che è il nostro capogruppo, a significare che, al di là delle firme apposte da tutti noi parlamentari, c'è una condivisione particolarmente forte dovuta al fatto che questa mozione riguarda gli aspetti più profondi, più importanti, più fondamentali di quello che vogliamo essere e che siamo, direi, non soltanto come Europa e Unione Europea ma anche come Italia. Riguarda il nostro assetto costituzionale, riguarda il nostro senso e il nostro amore per la libertà, la concezione della democrazia, tutti argomenti molto importanti che spesso nelle Aule parlamentari passano in secondo piano perché, naturalmente, siamo spesso presi da questioni più mondane e, invece, avere il tempo e prenderci qualche minuto per riflettere su quali siano le cose che davvero ci tengono insieme penso che sia estremamente importante. Quindi, ringrazio anche il gruppo per avermi dato questa possibilità.
L'antefatto è che il 12 settembre di quest'anno il Parlamento europeo ha preso una decisione a suo modo storica, estremamente importante, attivando, per la prima volta nella sua storia, l'articolo 7 dei trattati dell'Unione europea. Cosa dice l'articolo 7 (e questo sarà importante anche nel prosieguo della mia illustrazione)? L'articolo 7 dà la possibilità all'Unione Europea di rilevare il rischio di violazioni o violazioni persistenti e gravi legate ai valori fondamentali dell'Unione e al tipo di società che l'Unione europea vuole essere e che promuove. In questo senso si fa riferimento all'articolo 2 che, appunto, descrive che cos'è una democrazia per l'Unione europea e quali sono i requisiti che uno Stato, che volesse aderire all'Unione Europea, deve rispettare. Sono parole altissime che, secondo me, vale la pena di leggere in quest'Aula, perché poi sono parte integrante del nostro patrimonio democratico perché i valori dell'Unione europea sono i valori della Repubblica italiana, gli stessi: il rispetto della dignità umana, il rispetto della libertà, il rispetto della democrazia, il rispetto dell'uguaglianza, il rispetto dello Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani compresi quelli delle minoranze. Sono parole nelle quali tutto il popolo italiano si riconosce, non soltanto come componente e come membro dell'Unione europea ma come cittadini della nostra Repubblica che nasce su questi valori.
E che società ci immaginiamo di essere? Società caratterizzate - dice l'articolo 2 dei trattati - dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà, dalla parità tra uomini e donne. Parole, appunto, che ci appartengono profondamente e che sentiamo parte integrante del nostro essere cittadini. Eppure, il Parlamento europeo a grandissima maggioranza, con 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astenuti, dichiara che c'è un Paese dei 28 - forse 27 tra poco - che suscita gravi preoccupazioni per la possibilità di una violazione di questi valori. Questo Paese è l'Ungheria ed è l'Ungheria di Viktor Orbàn. Sono preoccupazioni che investono, a parere della vastissima maggioranza del Parlamento europeo, parti integranti della vita di un Paese democratico ed è una lista lunga. Io mi permetto, signora Presidente, di leggerle, perché vale la pena di soffermarsi a pensare a quanto gravi, approfondite e capillari siano le preoccupazioni del Parlamento europeo, che dice che in Ungheria esistono preoccupazioni quanto ai valori di cui parlavo, circa il funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale, l'indipendenza della magistratura e di altre istituzioni e i diritti dei giudici, la corruzione e i conflitti di interesse, la tutela della vita privata e la protezione dei dati, la libertà di espressione, la libertà accademica, la libertà di religione, la libertà di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle persone appartenenti a minoranze, compresi i rom e gli ebrei, e la protezione da dichiarazioni di odio contro tali minoranze, i diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati, e i diritti economici e sociali.
Possiamo dire, una devastazione quanto ai diritti democratici che ci sono in Ungheria ed è, in realtà, una preoccupazione che non nasce da una osservazione peregrina dei fatti o parziale, perché è lo stesso Primo ministro Orbàn a definire l'Ungheria una democrazia illiberale, un'espressione che ha fatto storcere il naso, aggrottare il sopracciglio a molti studiosi, perché si dice: ma come può essere illiberale una democrazia? Sembra una contraddizione in termini e, invece, il diavolo sta nei dettagli si dice, perché si ritiene che possa essere illiberale una democrazia per un semplice motivo, perché quando il popolo lo vuole, cioè quando la maggioranza del popolo decide qualcosa quella maggioranza ha la possibilità sostanzialmente di schiacciare chiunque non sia d'accordo con essa, e se ci pensiamo bene, l'essenza delle democrazie sta, signora Presidente, esattamente in questo. Per usare un paradosso, potremmo dire che si riconosce una democrazia non tanto e non solo dall'efficacia con la quale consente alle maggioranze di esprimere il proprio parere e di esercitare la propria volontà, ma in quanto riesca, con questa Costituzione a fare in modo che i principi di democrazia e quindi quei valori di cui parlavo prima, l'alternanza il rispetto delle minoranze, eccetera, siano tuttora rispettati, che sia per esempio rispettata l'alternanza al Governo, che quindi le regole del gioco consentano a chi governa di mettersi, in un certo senso a rischio, e a chi è all'opposizione di poter aspirare ad andare al Governo, perché se, nell'esercizio del proprio potere di maggioranza, si cambiano le regole al punto in cui di fatto diventa impossibile per chi è opposizione diventare maggioranza, è chiaro che la parola illiberale finisce col prevalere sulla parola democrazia, e questo è esattamente quello che sta succedendo in Ungheria, diciamolo con tutta chiarezza.
Noi italiani comprendiamo che cosa voglia dire tutto questo perché è la nostra stessa Carta costituzionale che ci spiega, in modo altissimo, in modo conciso e perfettamente puntato come un laser, quale sia il bilanciamento necessario, e la nostra Costituzione lo fa, signora Presidente, nell'articolo 1, quando dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, che la sovranità appartiene al popolo e quindi, per principio democratico, la maggioranza del popolo, ma tale sovranità viene esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione, nei limiti, quella è la parola chiave, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita con principio democratico e quindi con principio di maggioranza, ma con dei limiti.
Lo dico e lo ripeto, perché purtroppo anche la cronaca politica del nostro Paese, anche la cronaca recente qualche volta ha visto taluni partiti, in particolare dalla maggioranza, delle volte anche esponenti di prestigio della maggioranza, dimenticare che la sovranità appartiene al popolo, che però la esercita con dei limiti. Ricordiamo tutti, durante le fasi concitate e lunghe della formazione del Governo, l'idea che serpeggiava nella maggioranza, che l'avere una maggioranza parlamentare consentisse di sganciare da qualsiasi procedimento costituzionale la formazione del Governo, che non vi fossero organi d'autorità preposti al presidio di valori costituzionali non disponibili dalla maggioranza, signor Presidente, perché in questo consiste la democrazia.
E, allora, la nostra mozione chiede di capire come il Governo e, quindi la nostra maggioranza, si comporterà davanti a questa deliberazione del Parlamento europeo, perché, si badi bene, i partiti che formano la maggioranza si sono divisi, il MoVimento 5 Stelle ha votato a favore di questa mozione, la Lega ha votato contro.
Ora, l'articolo 7 ha due commi, che prevedono due meccanismi diversi, è importante, chiedo scusa se scendo nel tecnico, ma è fondamentale perché si legge sui giornali che di questa mozione non si farà niente, perché per dare sanzioni all'Ungheria è richiesta l'unanimità. Ebbene, questa è una imperfezione piccola, ma sostanziale, perché l'articolo 7, signor Presidente, prevede due meccanismi: un meccanismo al comma 1 dell'articolo 7, che è quello attivato dal Parlamento europeo, che dice che si può rilevare, constatare un evidente rischio di violazione grave dei valori, evidente rischio, e l'articolo 7, comma 2 che, invece, prevede l'esistenza di una violazione grave. Ora, il Parlamento europeo non si è addentrato nell'esistenza, ha parlato del rischio e sul rischio non c'è bisogno dell'unanimità, è necessario che ci siano i quattro quinti del Consiglio europeo, dal che si deduce che la posizione italiana sarà fondamentale, perché il Presidente Conte, che dovrà votare in questo Consiglio voterà come vorrebbe il Vicepremier Salvini, opponendosi e quindi unendosi agli Stati governati da maggioranze sovraniste che hanno votato contro, o votando a favore, come preferirebbe il MoVimento 5 Stelle? Perché quella decisione sarà una decisione determinante, perché potrebbe essere il voto decisivo per raggiungere i quattro quinti. Non siamo nel secondo comma, dove si dice: vabbè, c'è la Polonia che vota contro e, quindi, il nostro voto non conta comunque; no, attenzione.
E, quindi, la nostra mozione chiede proprio al Presidente Conte di votare in ossequio, in accordo con la maggioranza del Parlamento europeo e per questo chiediamo che l'Aula voti impegnando il Governo in questa direzione. Questo ci dirà molto della natura di questo Governo e di quali sono le opinioni di questo Governo per davvero, di cosa pensa, per esempio, della corruzione il MoVimento 5 Stelle, perché il MoVimento 5 Stelle fa una battaglia per combattere la corruzione sappiamo che è in arrivo anche un provvedimento importante in queste Aule, ma sappiamo bene che nell'Ungheria di Orbán sono fioriti oligarchi che spesso sono compagni di scuola, amici, famigli, persone che sicuramente hanno, come in altri Paesi di quel tipo, approfittato di una certa situazione, devo dire approfittato anche dell'Unione europea. Ricordo che l'Ungheria contribuisce per meno di un miliardo di euro al bilancio dell'Unione e prende più di quattro miliardi dal bilancio dell'Unione, quindi si parla malissimo dell'Unione europea fintanto che non si va a battere cassa perché in quel momento l'Unione europea diventa simpatica anche a Orbán.
IVAN SCALFAROTTO(PD). E, quindi, ci interesserebbe moltissimo capire che cosa succederà, perché, vedete, quando vedo nei banchi di altri partiti parlare di solidarietà al popolo ungherese ricordo che la solidarietà al popolo ungherese non si può esprimere rispetto alla maggioranza del popolo ungherese, la solidarietà si esprime a tutto il popolo ungherese, anche a chi non la pensa come Orbán, perché esprimere la solidarietà soltanto a una maggioranza di un Paese è dimenticare che magari esistono importanti minoranze, è una solidarietà piuttosto pelosa. Allora, quando mi è capitato di vedere un video dell'attuale Vicepremier Salvini dell'aprile del 2017 - tra l'altro, accanto a lui era seduto l'attuale Ministro Fontana, quindi due autorevoli rappresentanti del Governo - in cui Salvini diceva: cosa facciamo? Gli mandiamo i carri armati agli ungheresi? Ma assolutamente no, però dobbiamo ricordare che per entrare nell'Unione europea bisogna rispettare dei requisiti e dei parametri. E quei requisiti e quei parametri devono essere rispettati anche, come si dice, in costanza di rapporto di lavoro. Non si può iscriversi a un club avendo dei requisiti e poi, in corso d'opera, dimenticarsene. Per tutte queste ragioni, per l'amore che abbiamo per la democrazia e per la sua essenza più vera, quindi, a nome del Partito Democratico, annuncio la presentazione di una mozione che impegna il Governo a proseguire nell'applicazione dell'articolo 7, comma 1, del Trattato dell'Unione europea, e ad affermare, a nome della Repubblica italiana, il sostanziale, storico, identitario amore per le istituzioni democratiche che ci contraddistingue .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Delmastro Delle Vedove, che illustrerà la mozione n. 1-00040, di cui è cofirmatario.
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE(FDI). Presidente, onorevoli colleghi, Fratelli d'Italia certamente non poteva far mancare la sua voce in un dibattito che si preannuncia così importante in ordine al futuro stesso dell'Europa. Il 12 settembre, come tutti noi sappiamo, il Parlamento europeo in seduta plenaria ha approvato una risoluzione per l'avvio di una procedura sanzionatoria nei confronti dell'Ungheria per presunte e non dimostrate violazioni dei diritti fondamentali. Presunte e non dimostrate violazioni dei diritti fondamentali che sono state non argomentate, ma apoditticamente annunciate, come in quest'Aula dal PD, che ha fatto un lungo elenco di presunte violazioni, senza spiegare come, quando, dove e perché si sarebbero realizzate. Ma noi non vogliamo entrare nel merito di queste presunte violazioni, che tali rimangono, perché ci è sufficiente raccogliere il grido di giubilo del presidente del gruppo dei liberaldemocratici in Europa, che, un secondo dopo che è stata approvata questa risoluzione, che costituisce un pericolosissimo precedente per le identità dei popoli, un pericolosissimo precedente che gli stessi palazzi della europea definiscono “opzione nucleare”, ebbene, un secondo dopo il voto, il presidente del gruppo dei liberaldemocratici in Europa ha detto: affronteremo chiunque voglia distruggere il progetto europeo.
Questo è il messaggio; questa è l'intimidazione, non è il messaggio. A questa gente che ha distrutto il sogno europeo noi non vogliamo permettere che parli di progetto europeo, a meno che non dica qual è il vero progetto europeo, che è quello di una oggi rantolante che mostra i denti e affila le lame contro chiunque avanzi un progetto alternativo, un sogno alternativo, che è quello di una europea che stupra le identità nazionali e oggi pretende di processare le idee. La europea oggi costruisce un giuridico che è una gabbia per i popoli. La europea costruisce un universo concentrazionario “psico-fianesco”, per cui si processano le idee e le intenzioni. I prossimi appuntamenti processuali di questa tristissima vicenda si svolgeranno in seno al Consiglio europeo, con voti che saranno sia qualificanti che all'unanimità, ed è noto che in Consiglio europeo voti, ahimè, quell'ectoplasma che risponde al nome del Presidente del Consiglio, che fatalmente, per la prima volta nella sua vita, forse dovrà esprimere un'opinione, un sì o un no, perché l'Europa su questo è incredibilmente un po' più seria di noi, non crede in quell'Italietta giolittiana in cui tutto si dice, tutto si afferma, tutto e il contrario di tutto, per non affermare nulla.
Rappresentare tutto per non rappresentare niente e nessuno. I blocchi in Europa si evidenziano sempre con maggiore nitidezza: da una parte coloro che difendono le identità dei popoli, i diritti dei popoli a determinarsi liberamente, soprattutto su materie, ed è tema che non è stato significativamente affrontato dal PD, che sono sottratte alla competenza concorrente, perché tutte le materie per le quali si tende a processare le idee del popolo ungherese sono tutte materie che sono sottratte dalla concorrenza delle norme europee.
E dovranno dire un sì o un no. Debbo precisare: prima Scalfarotto, illustrando la sua mozione, diceva: vogliamo sapere qualcosa da questo Governo. Ahimè, lo sappiamo già, perché la risposta equivoca - termino -, cerchiobottista e leguleia è arrivata con la mozione di oggi. Ci chiedevamo se Conte sarebbe stato il mister Hyde che perseguita chi si oppone a questa Europa o il dottor Jekyll che avrebbe difeso le identità europea, se avrebbe seguito la linea di Salvini primo tempo, perché già è arrivato Salvini secondo tempo, che difendeva Orban, o degli amici pentastellati, che, diventati scendiletto della europea, hanno votato per le sanzioni ad Orban. O ancora, se, più prosaicamente, sarebbe stato il solito Conte evanescente, prosaicamente assente ingiustificato da tutte le partite, silente, convitato di pietra incapace di balbettare un sì o balbettare un no. Il miglior rappresentante della peggiore Italia che non prende posizione su niente.
E la risposta ce l'abbiamo, e cito quella fantastica commedia italiana, , che tanto conosce il mio collega Donzelli: eccola qua la “supercazzola” della mozione del Governo, dove non si dice niente. Si dice: andiamo avanti e vediamo un po' cosa capita. Ecco, quell'Italietta lì, che se non è giolittiana è figlia della peggiore…è un'Italietta che non vogliamo più vedere noi, che non vuole vedere l'Italia, non vogliono vedere gli italiani, non vogliono vedere quelli che credevano, assieme a noi e assieme alla Lega primo tempo, che avremmo dovuto difendere le identità nazionali contro la europea.
PRESIDENTE. Deve concludere.
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE(FDI). Allora, concludo e le chiedo scusa, abbiamo l'impressione che si disegnino dei blocchi in Europa e abbiamo l'impressione che questo Governo, passando o no per il comitato di conciliazione, la nostra politica estera credo passerà da quell'aberrante comitato di conciliazione…
PRESIDENTE. Concluda, per favore.
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE…abbiamo l'impressione, e termino, che l'Italia sia in mezzo al guado. E in mezzo al guado si muore, ma ciò che è peggio è che in mezzo al guado si muore in termini disonorevoli. Voi ve lo meritate, gli italiani che rappresentate non se lo meritano .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Maggioni. Ne ha facoltà.
MARCO MAGGIONI(LEGA). Presidente, colleghi, Governo, il tema che trattiamo con queste mozioni è senza dubbio un tema estremamente delicato, perché tocca l'articolo 2 del Trattato dell'Unione europea e perché tocca l'interpretazione che si vuol dare e che si può dare dei contenuti di questo articolo, un'interpretazione che rischia di essere particolarmente restrittiva o addirittura diventare, dio non voglia, un'interpretazione politica. Prendere l'articolo 2 e tirarlo a seconda di quelle che sono le convenienze di chi oggi governa le istituzioni europee. Abbiamo avuto due casi: il caso dell'Ungheria, di cui parlerò tra poco, e, proprio in questi giorni, il caso della Polonia. Due Stati che hanno apportato al loro interno delle riforme importanti, che hanno portato anche a dei risultati economici che poi vedremo più avanti, ma che, evidentemente, non in linea con quanto qualcuno pensava in sede europea, sono stati sanzionati, o comunque c'è l'intenzione di richiedere nel loro caso delle sanzioni.
MARCO MAGGIONI(LEGA). Essendo quella di oggi la discussione sulle linee generali, cercherò di rimanere sul tecnico, voglio dare volutamente un taglio tecnico a quelli che sono i contenuti della mozione di maggioranza che abbiamo sottoscritto, a cui abbiamo lavorato e che abbiamo sostenuto insieme ai colleghi del MoVimento 5 Stelle, maggioranza di Governo. Le valutazioni politiche credo che verranno più avanti in quella che sarà la dichiarazione di voto di giovedì. E quindi, attenendomi a quelli che sono i passaggi tecnici, ho voluto andare a vedere quelle che sono le preoccupazioni che sono emerse dal testo votato dal Parlamento europeo, e francamente sono preoccupazioni su questioni estremamente delicate.
Vado a leggere quanto è presente nel sito del Parlamento europeo, quindi un documento che tutti possono facilmente trovare. Le preoccupazioni del Parlamento sono in merito, riguardo all'Ungheria, al funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale, all'indipendenza della magistratura e di altre istituzioni e ai diritti dei giudici, alla corruzione, al conflitto di interesse, tutela della vita privata, libertà di espressione, libertà accademica, libertà di religione, libertà di associazione, diritti alla parità di trattamento, diritti delle persone appartenenti a minoranze, diritti fondamentali dei migranti, diritti economici e sociali. Io francamente credo che, se fosse vero, allora avremmo un Paese che potrebbe tranquillamente cambiare continente, visto che queste mancanze, queste gravi questioni sono tipiche purtroppo di Stati presenti in altri continenti.
Noi quindi a questo punto vogliamo ricordare quanto decenni di letteratura economica hanno sottolineato, e cioè che normalmente uno Stato che non ha libertà, che non ha libertà personali, che non ha libertà di impresa, che non ha diritti, evidentemente genera - così c'è sempre stato detto - danni alla propria economia, non può generare sviluppo: perché se i cittadini non vivono secondo il benessere portato dai diritti comunemente presenti in Europa, è evidente che non possono fare impresa e creare sviluppo.
Vado allora a vedere i dati economici dell'Ungheria, dati presenti sul sito del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, quindi non sono dati che credo possano essere accusati di partigianeria. Ebbene, il PIL è in costante ripresa dal 2014, nel 2017 si è attestato attorno al 4 per cento. I consumi delle famiglie sono cresciuti più del 4 per cento. La spesa pubblica è calata dello 0,4. Gli investimenti fissi sono cresciuti nel 2017 del 17 per cento. L' è aumentato più dell'8 per cento, la disoccupazione è calata del 4, l'occupazione si è incrementata dell'1,6, l'inflazione si attesta attorno al 2,4 per cento, quindi vicino a quel livello del 2 per cento che la Banca centrale europea definisce come il livello ottimale per l'euro. Il rapporto debito-PIL si attesta al 74 per cento, e la previsione è che possa arrivare attorno al 60 per cento, quindi con un drastico calo nel 2022. Si è operata tutto una politica di controllo dei confini, che è politica indispensabile per uno Stato che voglia dirsi sovrano.
E come ci è arrivata l'Ungheria a questi risultati? Con una serie di riforme. L'Ungheria ha introdotto la , ha rafforzato il ruolo della Banca centrale ungherese, non essendo notoriamente l'Ungheria nella moneta unica, ha riformato i fondi pensione; e c'è stata una riforma costituzionale importante, che ha riportato alla centralità in Ungheria il ruolo della famiglia e delle tradizioni.
Bene: queste sono state le politiche che hanno portato a questi risultati. Allora delle due l'una: o siamo dinanzi ad un fatto più unico che raro, dove, se fosse vero, la limitazione delle libertà ha generato un incremento esponenziale dei dati economici in senso positivo; oppure evidentemente, circa le preoccupazioni che sono state espresse legittimamente dal Parlamento europeo, ma che devono essere verificate dal Consiglio europeo, ecco, forse qualche dubbio è legittimo, e anche più di qualche dubbio è legittimo averlo.
Quindi noi a livello di mozione abbiamo presentato un testo che da un lato sottolinea l'importanza dell'articolo 2, ma tenendo presente quello che è il rispetto dell'autonomia istituzionale e costituzionale di ogni Paese membro, che è sovrano rispetto al futuro che vuole delinearsi. E il secondo passaggio su cui impegniamo con la nostra mozione il Governo è a fare in modo che il Consiglio d'Europa faccia quello che deve fare, secondo l'articolo 7 che è stato attivato con il voto del Parlamento europeo del 12 settembre scorso; ma qualora si accertasse che non sussistono quelle preoccupazioni indicate dal Parlamento europeo, ebbene, questa procedura si chiuda in modo celere, dichiarando quindi infondati i presupposti che hanno portato al voto del 12 settembre. Credo quindi che il tema trattato sia di grande importanza, e sono certo che ancora una volta il Governo saprà operare secondo quelli che sono i dettami della libertà e della coscienza europea .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Daniela Torto. Ne ha facoltà.
DANIELA TORTO(M5S). Presidente, il Parlamento europeo ha deciso di raccomandare al Consiglio l'apertura della procedura prevista dall'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea nei confronti dell'Ungheria, come del resto ha fatto verso la Polonia. La procedura, come è noto, prevede delle sanzioni per i Paesi che violano lo stato di diritto: in particolare l'Aula, con la maggioranza dei due terzi, ha votato a favore del rapporto elaborato dall'europarlamentare olandese Sargentini.
In estrema sintesi, il documento redatto dalla Sargentini rimprovera al Governo Orbán di non aver rispettato i valori fondanti dell'Unione. L'Unione si fonda sui valori espressi all'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea, valori che sono comuni agli Stati membri e che includono il rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Come ricordato in occasione del voto da parte del Parlamento europeo, inoltre, la Commissione di Venezia, e cioè l'organo consultivo del Consiglio d'Europa che fornisce consulenze giuridiche volte a consentire migliori armonizzazioni in termini di diritti umani, di democrazia e pubblica amministrazione, ha espresso preoccupazione in diverse occasioni in merito al processo di stesura della Costituzione in Ungheria, sia per quanto riguarda la Legge fondamentale sia le sue modifiche. Se da una parte - e cito testualmente - la Commissione di Venezia ha valutato positivamente il fatto che la Legge fondamentale introduca un ordinamento costituzionale fondato sui principi essenziali della democrazia, dello stato di diritto e della protezione dei diritti fondamentali, e ha riconosciuto gli sforzi profusi per introdurre un ordinamento costituzionale in linea con i valori e le norme democratiche europee comuni, in conformità degli strumenti internazionali vincolanti, dall'altra non ha potuto non rilevare alcune criticità. Le critiche nello specifico riguardavano l'insufficiente coinvolgimento della società civile, la mancanza di una vera consultazione, la mancanza di trasparenza del processo, dubbi sulla separazione dei poteri e la probabilità di un indebolimento del sistema nazionale di bilanciamento dei poteri.
Detto questo, il 12 settembre 2018 il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, ha appunto approvato una risoluzione nella quale si chiede al Consiglio europeo di valutare, a norma dell'articolo 7, paragrafo 1 del Trattato sull'Unione europea, se esista un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria dei valori di cui all'articolo 2, e a rivolgere all'Ungheria raccomandazioni adeguate al riguardo.
Dal punto di vista procedurale, però, considerando che il Governo ungherese è comunque intenzionato ad impugnare la risoluzione del Parlamento europeo dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione, è ragionevole ipotizzare che l'iter al quale il Parlamento europeo ha dato il via si svilupperà in successivi passaggi che, probabilmente, dureranno mesi. Ecco, perché pensiamo sia fondamentale che il Governo verifichi in maniera precisa e puntuale che il Consiglio accerti che i motivi all'origine della procedura di cui all'articolo 7, nei confronti del Governo ungherese, non vengano meno nel corso del tempo.
Ad ogni modo, e concludo, Presidente, non possiamo esimerci dal chiedere all'Esecutivo di promuovere, nel rispetto dell'autonomia e della sovranità di ogni Stato membro, prerogative del Governo ungherese incluse, la protezione e la promozione dei diritti e dei valori fondamentali su cui si fonda l'Unione europea .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Stefano Ceccanti. Ne ha facoltà.
STEFANO CECCANTI(PD). Grazie, Presidente. Io sono un po' sconcertato di questi due interventi degli esponenti della maggioranza; capisco che loro hanno il problema di dover conciliare l'inconciliabile, cioè la Lega che ha votato contro la risoluzione del Parlamento europeo, con i suoi motivi, e il MoVimento 5 Stelle che ha votato a favore. Ora, purtroppo, però, il principio di non contraddizione vale anche nella vita politica e come si fa a scrivere una mozione in cui di due casi se ne regola uno solo? Qui si dice, sì, che bisogna dialogare, e va bene, siamo tutti d'accordo, si dice: se non ci saranno più i motivi, il Consiglio europeo deve lasciar cadere la cosa; e l'altro caso, se ci fossero i motivi? Colleghi del MoVimento 5 Stelle, i vostri europarlamentari hanno detto che i motivi ci sono. Allora, se fatte una mozione e cercate un intento dilatorio, dovete scrivere tutte e due le cose, perché se ne scrivete una sola, vuol dire che voi vi arrendete alla Lega, perché voi qui dite solo: speriamo che i motivi non ci siano più e facciamola finita. Ma l'altro caso? Escludete l'altro caso, quello che hanno compreso i vostri europarlamentari? Cioè che i motivi, al momento, ci sono? Ecco, questo è un compromesso sbilanciato sul lato della Lega che non sta letteralmente in piedi.
Detto questo che, però, mi sembra il dato politico rilevante della giornata - cioè un cedimento, una contraddizione nella mozione di maggioranza rispetto a quello che hanno sostenuto i loro europarlamentari del MoVimento 5 Stelle -, riepilogo alcune questioni; alcune sono state già segnalate dall'intervento del collega Scalfarotto. Noi stiamo discutendo di una cosa serissima, di un parametro che è enunciato all'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea: “L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. Non stiamo discutendo dei decimali dell'1,6 o dell'1,8, pur importanti; stiamo discutendo di quel principio chiave che l'articolo 16 della dichiarazione rivoluzionaria francese dei diritti sostiene; quell'articolo, che è il pilastro del costituzionalismo moderno, dice: non c'è Costituzione se non sono garantite la libertà e la separazione dei poteri. Nient'altro che di questo stiamo discutendo.
Allora, dal punto di vista procedurale, lo ha già detto bene il collega Scalfarotto, in questo caso, quando il Consiglio europeo voterà - perché voi potete sperare di perdere dei mesi, ma prima o poi si vota, e per quanto si possa tardare, si voterà prima delle elezioni europee, e quindi avremo il Consiglio europeo che voterà, col Presidente del Consiglio Conte che voterà, chissà cosa gli consiglierà Casalino, comunque voterà in ogni caso, al di là di come ce la rivenderà Casalino, dovrà votare -, siccome questa non è una votazione all'unanimità, è una votazione a tre quarti e i Paesi del gruppo di Visegrád voteranno contro, il voto dell'Italia potrebbe essere il voto decisivo. Quindi, non stiamo affrontando un dibatto qualsiasi, stiamo affrontando un voto, un impegno per cui il voto del Presidente Conte, potrebbe essere decisivo; potrebbe essere auspicabile o meno questa eventualità, però è un dato di fatto che potrebbe essere così.
Allora, la risoluzione del Parlamento europeo è molto motivata e spiega bene le cose. Perché è preoccupante in questo caso? Perché in Ungheria la transizione aveva dato l'impressione di una transizione irreversibile da una forma di Stato non democratica a una democratica. È proprio questa apparente irreversibilità che, oggi, ci turba, perché se fossimo in un caso come quello della Russia, che pure piace a qualcuno di voi, lì, i principi del costituzionalismo liberale non hanno mai attecchito fino in fondo e, quindi, non potevamo pensare a un'irreversibilità. Invece, nel caso ungherese, la cosa che preoccupa è che una transizione, che sembrava irreversibile, sembra non esserlo più. Inoltre, l'elemento preoccupante è che è avvenuta per via incrementale, progressiva, a piccoli colpi, quasi impercettibile; per questo qualcuno, forse anche in buona fede, non la riconosce, ma proprio per questi suoi caratteri di impercettibilità, di incrementalità, di apparente irreversibilità che viene meno, rischia di essere un esempio, un esempio contagioso negativo per altri Paesi e, infatti, quello che l'Ungheria fa in modo esplicito, per esempio, cambiando la Costituzione e snaturandola - i rivoluzionari francesi avrebbe detto che non c'è più Costituzione, perché non c'è più soprattutto la separazione dei diritti - la Polonia lo sta facendo aggirando la Costituzione, non la cambia, ma la aggira e la svuota, con alcuni provvedimenti, in particolare sull'ordine giudiziario.
Oltretutto queste cose, le spiega benissimo un contributo costituzionalistico della professoressa Angela Di Gregorio, sul sito della rivista Diritto pubblico comparato ed europeo, una rivista di studi comparatistici, che prende i discorsi di Orbán in cui questa idea della democrazia illiberale, in cui la libertà non è più un pilastro, è rivendicata come un valore. Ci sono proprio le frasi esplicite di Orbán, tradotte in italiano, che sono note: dobbiamo dichiarare che una democrazia non necessariamente deve essere liberale; il nuovo Stato che stiamo costruendo in Ungheria è uno Stato illiberale, esso non rigetta valori fondamentali del liberalismo come la libertà, ma non fa di questa ideologia l'elemento centrale dell'organizzazione statale, viceversa include un approccio diverso, speciale, nazionale. Ma se volete stare a casa vostra è un conto, se volete stare nell'Unione europea, l'articolo 2 dice che questo approccio speciale di democrazia illiberale non è compatibile.
Allora, io questo lo vorrei dire anche ai colleghi di Forza Italia, che si trovano in un paradosso, perché il gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo a cui aderiscono, a cominciare dal loro candidato per la presidenza della Commissione, ha votato a favore della risoluzione, per motivi vari, anche di opportunità; su iniziare la procedura, la delegazione italiana ha votato contro, ma ormai la procedura c'è e anche il gruppo di Forza Italia deve esprimersi.
È possibile che un gruppo che si richiama al liberalismo e che sta all'opposizione di questo Governo, anche in nome di alcune caratteristiche illiberali delle forze di maggioranza, in questo Parlamento, voti pedissequamente a favore di Orbán? Non c'è nessuno che sia in dissenso: conosco molti colleghi di cultura liberale, che voglia esprimere un dissenso, non rispetto all'asse destra-sinistra, a collocazioni del Governo, ma rispetto a questo punto fondamentale che una democrazia illiberale non può stare in Europa? Ora, nei giorni scorsi, per altri motivi, la collega deputata di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, ha detto che in Europa dobbiamo cacciare i mercanti dal tempio. Scusate, ma chi prende i fondi europei, come fa l'Ungheria, e contemporaneamente nega i principi dello Stato di diritto, non sono quelli i mercanti nel tempio, non è Orbán il primo dei mercanti nel tempio? Poi noi crediamo anche alla conversione politica per cui Orbán che era partito da posizioni liberali è diventato illiberale, forse può anche tornare indietro, ma torna indietro se noi gli facciamo sentire la forza di chi crede nell'articolo 2 del Trattato dell'Unione europea. Quindi, fuori i mercanti dal tempio, se non si convertono !
PRESIDENTE. Ricordo a tutti i colleghi di rivolgersi alla Presidenza, durante il dibattito. È iscritto a parlare il collega Guido Pettarin. Ne ha facoltà.
GUIDO GERMANO PETTARIN(FI). Presidente, colleghe, colleghi, Governo, è indubitabile che il momento che l'Unione europea vive ora è un momento di grave crisi. L'Unione europea a cui noi, oggi, guardiamo ogni giorno non è certamente l'Unione europea di Ventotene.
Le difficoltà in cui ci stiamo dibattendo sono tali da aver motivato un Ministro del Governo, il Ministro Savona, a stilare un documento che si intitola “”, nel quale, condivisibile o meno, si evidenzia l'esigenza di andare a ridiscutere alcuni canoni fondanti, di carattere sostanzialmente economico-finanziario, dell'Unione europea, ma non solamente fondanti della struttura economico-finanziaria, dei cardini di funzionamento dell'Unione europea, l'architettura istituzionale, la politica monetaria, la politica fiscale, le regole della competizione, gli aiuti di Stato: tutti elementi che hanno certamente ripercussioni di carattere finanziario, che però si collegano al momento di crisi economica che l'Unione europea dei ventotto, che sta diventando dei ventisette, sta vivendo con grandissima difficoltà delle sue popolazioni.
Nella seduta plenaria del 12 settembre 2018 - i colleghi lo hanno già ripetuto più volte, ma ricordiamolo, perché il dato procedurale è estremamente importante - il Parlamento europeo, con 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astenuti, ha approvato una risoluzione su una proposta che reca l'invito al Consiglio europeo a constatare, a norma dell'articolo 7, primo paragrafo, del Trattato sull'Unione europea, l'esistenza o meno di un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria dei valori su cui si fonda l'Unione.
Come sappiamo, l'articolo 7 stabilisce che, su proposta motivata di un terzo degli Stati membri del Parlamento europeo o della Commissione, il Consiglio può constatare che sussista un evidente rischio di violazione grave o che esista una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2 del medesimo Trattato. La procedura dell'articolo 7 però - e un collega che mi ha preceduto lo ha anticipato - prevede due diversi meccanismi: uno vale per le misure preventive, quando vi sia un chiaro rischio di violazione dei valori dell'Unione europea - un chiaro rischio di violazione -, e uno per le sanzioni, qualora la violazione sia già avvenuta. Le sanzioni, che nei trattati non sono definite chiaramente, possono giungere anche alla sospensione del diritto di voto a livello del Consiglio dell'Unione europea e del Consiglio europeo. In entrambi i casi, la decisione finale spetta ai rappresentanti degli Stati membri del Consiglio europeo, con dei quorum diversificati a seconda della situazione: per quanto riguarda il meccanismo preventivo viene richiesta la maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri, mentre in caso di violazione è necessaria una decisione all'unanimità dei Capi di Stato e di Governo.
Ricordo che c'è stato un periodo storico in cui quello che poi è stato un grande Presidente della Repubblica italiana, il Presidente Ciampi, ha avuto modo di evidenziare che l'Unione Europea è evidentemente affetta da zoppia istituzionale, perché i meccanismi che prevedono una funzione di co-legislazione e dei caratteri di vero il proprio unanimismo, forse più che di unanimità, hanno certamente fatto il proprio tempo e non sono più adeguati a quello che l'Unione europea oggi vorrebbe o forse dovrebbe essere.
La risoluzione approvata dal Parlamento europeo afferma che in Ungheria vi è il rischio di violazioni gravi dei valori comuni e che le preoccupazioni si riferiscono a molteplici funzioni: viene ricordato il funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale, l'indipendenza della magistratura e delle altre istituzioni di diritti dei magistrati, la corruzione e i conflitti di interesse, la tutela della vita privata e la protezione dei dati, la libertà di espressione, la libertà accademica, la libertà di religione, quella di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle persone appartenenti a minoranze e la protezione delle dichiarazioni da odio contro tali minoranze, diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo, dei rifugiati, diritti economici e diritti sociali.
Si ritiene che i fatti e le tendenze che sono riportate nell'allegato della risoluzione stessa - lo cito virgolettato - “rappresentino nel complesso una minaccia sistemica per i valori di cui all'articolo 2 del testo del Trattato dell'Unione europea ed un evidente rischio di violazione grave dei suddetti valori.”
Si stabilisce di trasmettere, a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, del Trattato, la proposta motivata in allegato alla risoluzione stessa al Consiglio, sempre virgolettato, invitandolo a “stabilire se esista un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria”.
L'8 aprile del 2018 - va ricordato - si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Parlamento magiaro, nelle quali il Premier, Orbàn, ha conquistato il suo terzo mandato consecutivo dal 2010. L'affluenza alle urne non è stata di poca cosa, il 68,13 per cento, e il 49 per cento dei consensi ha assegnato il successo elettorale all'attuale Premier ungherese.
Nella sua relazione, la missione di osservazione elettorale limitata dell'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'OSCE, intervenuta come osservatore necessario alle funzioni elettorali, ha dichiarato che il modo in cui le elezioni sono state amministrate dal punto di vista tecnico è stato professionale e trasparente e che nel complesso i diritti e le libertà fondamentali sono stati rispettati.
Nell'allegato alla risoluzione votata dal Parlamento europeo viene dato atto che le autorità ungheresi sono sempre state disposte e disponibili a discutere la legalità di qualsiasi misura specifica, riportando numerosi casi in cui le autorità di Budapest hanno modificato le proprie norme, tenendo conto delle sentenze e dei suggerimenti delle diverse istituzioni ed organismi europei, contestando tuttavia la lenta od omessa adozione di ulteriori azioni raccomandate.
È compito di ogni Stato membro dare concreta attuazione a quanto contenuto nell'articolo 2 del Trattato, in merito al rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze, valori comuni a tutti gli Stati membri in una società che non può essere che caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.
Attivare la procedura dell'articolo 7 in questa fase storica deve essere traguardato con senso pragmatico, farlo rischia di essere oggi un'arma pericolosissima e controproducente per chi vuole affermare nel concreto il rispetto dei principi comunitari.
Colleghi, queste questioni, soprattutto in momenti di difficoltà come quelle che viviamo, non vanno trattati ideologicamente, ma vanno trattati con una altissima dose di pragmatismo e buonsenso. Ricordo che chi più di noi è esperto in diplomazia, sa che la diplomazia non si tratta con i princìpi, ma con il pragmatismo del buonsenso. Eventuali sanzioni potrebbero senza dubbio oggi trasformarsi in un per l'Europa, proprio alla vigilia delle elezioni europee del 2019. Paradossalmente - e lo vediamo tutti ogni giorno, leggendo i giornali - tutto ciò che l'Europa condanna oggi, attrae paradossalmente consenso. E sanzionare chi, soprattutto dal suo voto, con le percentuali di affermazione elettorale che vi ho appena citato, come un portatore di legittimi interessi nazionali, rischia non solo di irrigidire le posizioni, rafforzando sentimenti anti-europei, ma di non portare ad alcuna positiva risoluzione dei problemi.
Nel mese di settembre di quest'anno, un importante istituto di sociologia che ha sede nel nord-est d'Italia ha condotto, per il Consiglio d'Europa, vari corsi di formazione, indirizzati a rappresentanti eletti e dirigenti delle autorità locali in Serbia, in Croazia, in Bosnia, in Ungheria ed in Romania. Tali corsi vertevano sui temi della efficienza dell'amministrazione pubblica, sulla istituzionale, sul coinvolgimento dei cittadini nella locale, sulla progettazione. Durante tali incontri è emerso con grandissima chiarezza che gli amministratori di questi Paesi di recente ingresso nell'Unione europea o addirittura non ancora membri, guardano all'Unione europea con un interesse grandissimo e non solo per le opportunità di finanziamento e supporto allo sviluppo regionale, infatti l'assetto istituzionale europeo, lo sforzo di armonizzazione e la normalizzazione dei rapporti a cavallo dei confini sono aspetti di grandissima rilevanza per questi amministratori, che auspicano di potere presto prendere parte a questo importantissimo progetto europeo. Se le opportunità legate a regolamenti, quale il gruppo europeo di cooperazione territoriale o il nuovo meccanismo per superare gli ostacoli legali e amministrativi nei contesti transfrontalieri - ricordo il documento della comunità COM(2018)373 - e anche il terzo protocollo alla Convenzione quadro di Madrid sono interpretati come funzionali allo sviluppo regionale, è l'adesione stessa all'intera architettura istituzionale europea, che risulta essere ancora più sentita e auspicata.
In questa prospettiva, più volte, questi funzionari dei Paesi neo-aderenti e in adesione hanno posto agli esperti dell'istituto di sociologia questa domanda semplicissima: ma perché Stati membri o addirittura fondatori dell'Unione europea stanno mettendo in dubbio la loro partecipazione all'Unione? E noi, in un momento storico come questo, abbandoniamo il pragmatismo e, per questioni meramente ideologiche, puntiamo a delle sanzioni, che avranno come effetto l'unico effetto di danneggiare ulteriormente l'Unione europea?
Noi crediamo che la strada maestra non sia questa e che la strada maestra continui ad essere quella del dialogo e della ragionevolezza, ad ogni livello e con ogni sforzo, abbandonando ogni posizione ideologica ed evitando di commettere quegli errori che hanno portato, purtroppo fino ad oggi, questa Europa a non comprendere più porzioni sempre più ampie della propria popolazione, che, anche grazie ai ritardi nella costruzione della casa comune, vede purtroppo l'Unione sempre più lontana.
Tutto ciò premesso, noi chiediamo con forza che il Governo si impegni con grandissima determinazione ad attivarsi in seno al consiglio dell'Unione europea, affinché prosegua, e prosegua, e prosegua, il dialogo con il Governo ungherese, lasciando a chi di competenza, gli organi giurisdizionali preposti, ogni valutazione e decisione, in merito a qualsiasi lesione del diritto comunitario.
Non è questione legata al liberismo o al liberalismo. È questione legata al pragmatismo. Stamani, colloquiando con il Ministro Savona si è, a un certo punto, avuto modo di dire che si spera che “politeia” non diventi politeismo e che l'eccesso di serene voci, che cercano di trarre dalle proprie parti le popolazioni europee al di là dei propri principi, non abbiano successo. In un momento delicatissimo, le elezioni europee del maggio 2019, colleghi, saranno molto probabilmente, purtroppo, non delle elezioni, ma un referendum, un referendum pro o contro questa Europa. E noi non vorremmo vedere vincere movimenti antieuropeisti, che sono assolutamente contrari al nostro modo di vedere e che non comprendono che l'Unione europea è ciò che oggi ci dà ragion d'essere
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Mollicone. Ne ha facoltà.
FEDERICO MOLLICONE(FDI). Grazie Presidente. Prima di iniziare l'intervento volevo fare i complimenti ai colleghi della maggioranza, che sono riusciti nel difficilissimo compito di presentare una mozione reversibile, ovvero che va bene, nei due impegni, sia per i sostenitori dell'Unione europea, sia per i sostenitori dell'Ungheria, un po' come Zelig, il personaggio di Woody Allen, che, a seconda delle persone a cui si affiancava, ne prendeva le fattezze. E penso, Presidente, che sia anche questo un merito e una capacità.
La nostra mozione, invece, tratta dell'articolo 7, della cosiddetta opzione nucleare del Trattato europeo, cui fa riferimento il voto espresso dal Parlamento, che è un'ulteriore dimostrazione della necessità di revisione dei trattati. Infatti, non è ammissibile, dal punto di vista giuridico, che nell'Unione europea, una libera associazione di Stati sovrani, possano revocare l'adesione, come ha fatto già la Gran Bretagna, e, al contrario, qualcuno possa interferire con la libera autodeterminazione di uno Stato membro. L'Unione europea non è ancora un'Unione sovietica, come qualcuno a volte l'ha definita, e neanche abbiamo gli Stati Uniti d'Europa, che abbiano un potere centrale di controllo.
Ciò non è ammesso neanche negli attuali Stati Uniti d'America, la cui unità, vecchia di quasi 250 anni, è confermata da una lunga e sanguinosa guerra civile e sempre basata sul principio del diritto degli Stati, , i quali, infatti, hanno regole elettorali diverse, codici civili e penali diversi.
Nel merito, le accuse formulate nei confronti del Governo ungherese, che - lo ricordiamo - esercita il potere in base ad un voto popolare ed ha la fiducia del Parlamento eletto, sono contraddittorie, se confrontate anche con le situazioni recenti italiane. Pensate voi, si mette sotto accusa il funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale. Ma in Italia non abbiamo avuto un progetto di radicale riforma costituzionale? Certo, respinto da un referendum, ma se fosse stato attuato, non si sarebbe allora potuto accusare questo Governo, in base all'articolo 7?
Lo stesso dicasi con il sistema elettorale. Quante volte in Italia è stato cambiato? Quante volte ha dovuto essere modificato dalla Corte costituzionale? Ed è tuttora pendente un ricorso per la soglia di sbarramento dell'elezione del Parlamento europeo delle passate elezioni. Che facciamo? Chiediamo l'applicazione dell'articolo 7?
Indipendenza della magistratura. Sappiamo tutti bene che l'indipendenza della magistratura è applicata in ogni Stato su misura diversa.
Corruzione e conflitti di interesse. Il Parlamento italiano dovrebbe avere il buon gusto di non sollevare questa accusa , visti i tanti e quotidiani episodi, coinvolgenti governi e partiti politici.
Tutela della vita privata e protezione dei dati. Anche qui, colleghi, in un Paese come l'Italia in cui è stata autorizzata di fatto l'eutanasia con il caso Englaro, in cui qualsiasi intercettazione, contenente anche fatti personali, viene pubblicata , in cui telecamere fotografano ad ogni passo, l'accusa si può ritorcere contro di noi.
La libertà di espressione è accademica. Ma c'è veramente in Italia? Qualcuno può insegnare la critica al sistema dell'euro e della Banca centrale europea? Sappiamo tutti come si assegnano e distribuiscono le cattedre nelle università italiane, quindi, per cortesia, arriviamo al vero nodo del problema, del perché è stata fatto approvare dal Parlamento europeo, sotto una rigida disciplina di partito, che contraddice, per quei parlamentari, il diritto alla libertà di espressione, quello dei diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
A parte che non esiste la categoria sociale del migrante - questo neologismo, che rientra nella neo-lingua, teorizzata acutamente da George Orwell nel 1984, inventato per nascondere quella che nei secoli è sempre stata la figura dell'immigrato clandestino o dello schiavo, appunto per questo furono inventati i passaporti e i visti di ingresso - ci sembra che l'Ungheria non rifiuti l'asilo ai rifugiati da guerre e discriminazioni personali o collettive, notoriamente esistenti e conclamate. Quel Governo intende solo impedire l'accesso sul suo territorio a persone che non rientrano in quei requisiti. Questo l'Ungheria non lo vuol fare, ma sembra che non lo faccia neanche la Francia nei suoi porti, che sono altrettanto sicuri di quelli italiani, e sulla frontiera terrestre di Ventimiglia ! Perché allora non si fa una mozione per richiedere l'applicazione dell'articolo 7 anche contro la Francia, Presidente ? Non è libero un Governo europeo di stabilire regole per l'ingresso nel suo territorio ?
Ma, oltre a questa posizione politica, vi sono anche degli aspetti storici da tener presente, che ci inducono a dire di no. L'Ungheria è un Paese che ha molto sofferto. Nella storia è stato sempre un antemurale, un baluardo dell'Europa occidentale. Nel 1242 si è liberata dall'invasione mongola. Nel 1526 ha lottato contro l'invasione turca, perdendo parte del suo territorio. Nel 1848 una rivolta popolare contro l'Impero asburgico, insieme a quelle contemporanee in Italia, venne stroncata con la forza e nel sangue; la guidava Luigi Kossuth, che venne esule in Italia, morendo a Torino, dove è sepolto. Nel 1956, colleghi del Partito Democratico, un'analoga rivolta popolare, contro l'invasione militare sovietica, venne duramente combattuta con migliaia di morti e di esuli e sostenuta da gran parte dell'allora PCI, i cui epigoni sono seduti qui davanti a noi e, tragica ironia della sorte, ancora oggi sostengono un'unione. Corsi e ricorsi della storia. Uno di questi è anche divenuto Presidente della Repubblica. E ha dovuto chiedere scusa, qualche decennio dopo, per le sue ignobili giustificazioni dei carri armati sovietici che schiacciavano gli ungheresi in rivolta . Andateci a Budapest, al museo della rivolta. Ci si commuove a vedere la fierezza e il coraggio del popolo ungherese. Nel 1989, infine, l'Ungheria fu il Paese che dette inizio alla caduta del muro di Berlino e dell'Unione Sovietica, perché consentì l'uscita dei suoi cittadini, ma anche dei turisti, tra virgolette, tedesco-orientali, dal Paese verso l'Europa occidentale.
Ci sono sempre stati, inoltre, ottimi rapporti culturali con l'Italia. Perché, allora, si deve punire uno Stato che cerca di migliorare le condizioni dei suoi concittadini?
È poi non superfluo, infine, ricordare la buona situazione economica dell'Ungheria, dove la disoccupazione è al 3,8 per cento, la crescita annua è del 3,2, il rapporto del debito pubblico sul PIL del 73 per cento, e il reddito della popolazione è raddoppiato dal 1997.
Ma l'Ungheria non ha aderito all'euro, forse questa per Bruxelles è la sua vera colpa, e il motivo dell'applicazione dell'articolo 7. Concludo, Presidente. Questo attacco all'Ungheria è un attacco all'Europa, quella delle patrie e dei popoli e non quella delle multinazionali e dei nani della finanza. Fratelli d'Italia è un partito nazionalista, non “filo questo” o “filo quello”, difendiamo la sovranità dei popoli. Vedete, lo cantavamo nelle piazze contro l'Unione Sovietica e lo ribadiamo oggi qui, contro l'Unione europea delle banche, ora come allora: avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest, studenti, braccianti, operai, il sole non sorge più a Bruxelles !
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Fabio Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI(FDI). Presidente, intanto mi fa particolarmente piacere poter constatare che il gruppo di Fratelli d'Italia non solo è presente fisicamente in Aula, ma su ogni materia che viene discussa partecipa con cognizione di causa, spero che se ne accorgano anche i cittadini che ci ascoltano o che ci possono vedere attraverso i circuiti televisivi. È una partecipazione spesso anche appassionata, comunque certamente è una partecipazione che non passa inosservata. Siamo stati chiamati dalla mozione capostipite del Partito Democratico a discutere di questa assurda, paradossale decisione del Parlamento europeo avvenuta il 12 settembre, che dovrà essere ratificata, se mai, dal Consiglio d'Europa in due passaggi successivi; una decisione paradossale perché si chiede, come è stato ampiamente riportato dai colleghi che mi hanno preceduto, l'applicazione dell'articolo 7 del Trattato di Lisbona contro una nazione sovrana, l'Ungheria, con tanto di sospensione di alcuni diritti fondamentali che appartengono al Trattato europeo.
Si tratta di uno Stato membro, si tratta di una nazione, di un popolo che ha sofferto, e sofferto molto, perché ha subito dopo la seconda guerra mondiale la dominazione sovietica, ha dovuto rinunciare a libertà fondamentali senza aver avuto particolari responsabilità anche nel corso della seconda guerra mondiale. Una divisione che fu sancita a Yalta in un trattato che ha visto per protagonisti fior fior di statisti, tra questi ricordo il dittatore Stalin. Il mondo venne spartito in due blocchi di influenza, l'Ungheria ebbe semplicemente la sfortuna di capitare geograficamente, anzi direi come punti cardinali di riferimento, dalla parte sbagliata: era ad est, e tutto quello che era collocato ad est del muro di Berlino non poteva accedere alle libertà fondamentali.
La cosa curiosa è che gli artefici di questa mozione, evidentemente imparentati con la deputata rosso-verde olandese che è stata protagonista di questa proposta, sono esattamente i nipoti di quella dominazione; sono coloro i quali per anni, anzi per decenni, hanno portato sugli scudi, nelle piazze, nelle fabbriche, nelle scuole, negli atenei, le bandiere rosse che comunque venivano impugnate anche a Mosca. È incredibile come ci si possa dimenticare così sfrontatamente che persino il Presidente emerito Giorgio Napolitano ha avuto, come citava Federico Mollicone poco fa, un ruolo importante e decisivo nell'approvazione sostanziale dell'invasione, da parte dei carrarmati sovietici, di buona parte dei Paesi dell'Est europeo. Questa votazione del Parlamento europeo è significativa, la dovremmo memorizzare, perché penso che non ci sarà mai più una votazione di questo tipo. Quindi, per coloro che ci sono particolarmente affezionati, lo dico al collega Scalfarotto, lo dico agli altri colleghi sopravvissuti a questa discussione parlamentare del Partito Democratico: 448 voti a favore (memorizzate, non ne avrete più di 448 voti a disposizione dalle prossime elezioni europee), 197 - solo 197 - sono stati i contrari, anche a causa dell'atteggiamento pilatesco di alcuni europarlamentari, anche italiani, ahimè.
Questa decisione è stata paradossale, perché è collocata in un momento fondamentale, non sfuggirà a nessuno, riguardo la fiducia da parte dei popoli europei verso l'Unione europea. Ricordiamo che l'Unione europea non precede il continente europeo, con la sua cultura, le sue tradizioni, il suo sapere, la sua capacità di parlare al mondo e di diffondere nel mondo, nel corso dei secoli, una civiltà occidentale che ancora oggi resiste con difficoltà all'impetuoso avvento del mercato globale, dei poteri finanziari, di quella logica che sta al di sopra appunto dei diritti degli individui, delle famiglie, dei popoli, dei lavoratori.
Dunque è una decisione assurda perché è calata in un momento storico sbagliato, in cui semmai ci sarebbe bisogno di aprire le braccia e di accogliere le sensibilità che stanno sfuggendo alla logica continentale, alla logica degli ordinamenti sovraordinati rispetto a quelli nazionali. Invece, siccome la sinistra è ancora fortemente animata da dogmi, da uno spirito divisivo, da uno spirito ideologico, ci troviamo di tanto in tanto a dover combattere con queste - come le abbiamo definite, e lo confermo - assurdità.
L'Ungheria è un popolo sovrano, che si è conquistato la democrazia con le unghie e con i denti, che è stato dominato in virtù di una spartizione utile e comunque confermata e condivisa dalla sinistra, anche dalla sinistra italiana. Forse, prima di immaginare di poter impugnare la decisione adottata in base all'articolo 7 del Trattato di Lisbona per discriminare un popolo che ha così tanto sofferto, bisognerebbe pensarci lungamente sopra , cosa che non hanno fatto i colleghi del PD.
Concludo - perché non la voglio tirare per le lunghe - ricordando che si tratta di una censura odiosa e che non si può rimproverare a nessuno di voler difendere la propria identità, le proprie tradizioni, i propri confini; che la destra italiana si trova vicino alla sensibilità rappresentata da Orbàn e dal popolo ungherese, perché è il popolo ungherese che ha scelto Orbàn, non è che si è manifestato autonomamente e si è imposto ai cittadini ungheresi. La destra italiana è differenzialista, il che significa che tiene alle differenze che esistono tra i popoli tutti del pianeta, nessuno escluso. E questa volontà di scendere in campo a difesa dell'identità, che non è assolutamente riscontrabile in altri schieramenti politici, risponde a un amore profondo verso queste sensibilità che animano il pianeta. Non ci stiamo ad essere assimilati, ad essere massificati, ad essere livellati, ad essere fagocitati da una cultura dominante, da un pensiero unico. L'importante è che tutto si faccia attraverso la pratica del consenso, con le regole della democrazia e della libertà, con il rispetto dei diritti fondamentali, e noi riteniamo che l'Ungheria lo stia facendo e che - e concludo davvero, Presidente - se c'è una sorta di solerzia nell'applicare un filtro verso flussi migratori eccezionali è anche perché l'Unione europea non riesce, ormai con un decennio di distanza dai primi vagiti di questi flussi migratori, a trovare una soluzione efficace e convincente; e nessuno, se non riesce a convincere, può imporre.
PRESIDENTE. Collega, deve concludere.
FABIO RAMPELLI(FDI). Quindi, coloro i quali voi vorreste punire, colleghi del Partito Democratico, invece dovrebbero stare lì a indicarvi che c'è qualcosa che non funziona, se l'Unione europea cerca di sanzionare e di intervenire con interventi appunto dall'alto, verticistici, e che vanno al di sopra delle coscienze dei popoli .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Comunico che in data 24 settembre 2018 è pervenuta alla Presidenza la seguente lettera del deputato David Ermini: “Illustrissimo signor Presidente, in conseguenza della mia elezione a componente del Consiglio superiore della magistratura, venendomi a trovare in condizioni di incompatibilità, comunico la mia opzione per il Consiglio superiore della magistratura. Con osservanza. Firmato: onorevole David Ermini”.
Trattandosi di un caso di incompatibilità, la Camera prende atto, a norma l'articolo 17-, comma 2, del Regolamento, di questa comunicazione e della conseguente cessazione del deputato Ermini dal mandato parlamentare.
PRESIDENTE. Dovendosi procedere alla proclamazione di un deputato, a seguito della presa d'atto, nella seduta odierna, delle dimissioni del deputato David Ermini, comunico che la Giunta delle elezioni ha proceduto all'accertamento del subentrante.
Constatato, infatti, che nell'ambito del collegio plurinominale 03, all'interno della XII circoscrizione Toscana, la lista n. 15 - Partito Democratico non presenta candidati disponibili, e che occorre pertanto procedere ai sensi dell'articolo 84, comma 2, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, la Giunta delle elezioni ha accertato, ai sensi dell'articolo 86, comma 1, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, che nell'ambito del collegio plurinominale 01, all'interno della XII circoscrizione Toscana, il candidato che segue immediatamente l'ultimo degli eletti nell'ordine progressivo della lista n. 15 - Partito Democratico risulta essere Umberto Buratti.
Do atto alla Giunta di questa accertamento e proclamo deputato, a norma dell'articolo 17-, comma 3, del Regolamento, per la XII circoscrizione Toscana, nell'ambito del collegio plurinominale 01, Umberto Buratti.
Si intende che da oggi decorre il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali ricorsi.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'INCE i deputati Stefania Ascari, Marco Maggioni, Raphael Raduzzi e Debora Serracchiani.
La Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della medesima delegazione i Luigi Cesaro, Giovanbattista Fazzolari e Patty L'Abbate.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'OSCE i deputati Alex Bazzaro, Mauro Del Barba, Paolo Grimoldi, Niccolò Invidia, Emanuele Scagliusi, Valentino Valentini.
La Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della medesima delegazione i senatori Luigi Augussori, Gianluca Castaldi, Gianluca Ferrara, Renato Schifani, Paola Taverna, Achille Totaro, Vito Vattuone.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'UPM i deputati Giulio Centemero e Yana Chiara Ehm.
La Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della medesima delegazione il senatore Giuseppe Moles.
PRESIDENTE. Passiamo, quindi, agli interventi di fine seduta.
Ha chiesto di parlare la collega Sara Moretto. Ne ha facoltà.
SARA MORETTO(PD). Grazie, Presidente. Il movimento politico Forza Nuova di Venezia ha comunicato, attraverso una nota stampa pubblicata anche sulla pagina di aver avviato, venerdì 21 settembre scorso, delle passeggiate di sicurezza su alcune linee di autobus pubblici della città. L'intenzione espressa dai militanti è quella di ripetere queste azioni di vigilanza fai da te estendendole a corse più a rischio. Si tratta di un'iniziativa inaccettabile e al di fuori della legge. Le cosiddette “ronde” sono infatti normate dalla legge n. 94 del 2009, che vieta iniziative autorganizzate e impone un coordinamento con sindaci e prefetture. In questo caso un partito politico di estrema destra - e non nuovo a iniziative provocatorie in grado di determinare situazioni di forti tensioni per l'ordine pubblico - sembrerebbe così volersi sostituire al serio e quotidiano lavoro delle forze dell'ordine. La possibile legittima percezione di insicurezza dei cittadini viene così strumentalmente utilizzata a fini di propaganda politica, con il rischio di creare tensioni e possibili occasioni di scontro a bordo di automezzi del servizio di trasporto pubblico.
Ritengo che questi fatti non possano essere sottovalutati e per questo ho depositato, in queste ore, un'interrogazione parlamentare per chiedere al Governo, che del tema della sicurezza ne ha fatto una bandiera, di preoccuparsi di rafforzare, in termini di uomini e mezzi, le forze dell'ordine in servizio a Venezia e nell'area metropolitana, interrompendo, al contempo, pericolose iniziative provocatorie fuori dalla legge.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la collega Ilaria Fontana. Ne ha facoltà.
ILARIA FONTANA(M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, è notizia di ieri che l'ex candidato sindaco della città di Piedimonte San Germano, nella provincia di Frosinone, noto esponente del PD ed attuale primario del Santa Scolastica di Cassino, attuale consigliere comunale, ex consigliere della regione Lazio, ex presidente dell'ATER di Frosinone, ex assessore provinciale, arrivato secondo alle elezioni dell'11 giugno 2017 per una manciata di voti, sia stato posto agli arresti domiciliari.
La misura cautelare personale è stata emessa per i gravi indizi di colpevolezza. Infatti, dalle cronache locali si evince che lo stesso avrebbe ordinato ai suoi uomini di aggiungere dei particolari segni, tipo geroglifici geometrici, su alcune schede, poi effettivamente rinvenuti su almeno 54 schede, alterazione avvenuta dopo le operazioni di voto. Una vicenda che fa davvero indignare e lascia senza parole: la democrazia sbeffeggiata da quanti credono sia tutto riducibile a una stretta di mano mentre si partecipa ad una semplice riffa nel mercato. Un voto comprato, una campagna elettorale falsata, un popolo defraudato del diritto di scegliere i suoi amministratori, una serie di fatti commessi contro i concetti sanciti dalla Costituzione cancellati in virtù della corsa al potere.
Basta avere paesi ostaggio del voto di scambio. Voto di scambio, dunque, che è una triste realtà che opprime ancora la mia terra e tante altre realtà. Le disposizioni normative del titolo VII del testo unico delle leggi elettorali riguardano proprio i casi dei quali stiamo parlando. Esse sanciscono la punibilità della condotta dei soggetti che agiscono alterando i risultati elettorali, sia dall'interno delle istituzioni sia come esterni. Eppure, nonostante questo chiaro presidio di legalità…
PRESIDENTE. Deve concludere.
ILARIA FONTANA(M5S). …ancora troppo di frequente - concludo, Presidente - assistiamo a nuovi reati contro la democrazia. Lottiamo sempre al fianco dei cittadini onesti e dell'autorità competente affinché i concetti di lotta, trasparenza e legalità diventino ovunque realtà. Non lasceremo intentata alcuna strada per ottenere che la giustizia venga garantita e resteremo vigili sull'evoluzione degli avvenimenti…
PRESIDENTE. Collega, deve concludere.
ILARIA FONTANA(M5S). …affinché la democrazia venga rispettata sempre e affinché la legalità e l'onestà siano gli unici fari da seguire .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il collega Stefano Ceccanti. Ne ha facoltà.
STEFANO CECCANTI(PD). Scusi, Presidente. Nella serata di ieri un incendio, presumibilmente doloso, è stato appiccato nella zona del comune di Calci, in provincia di Pisa, incendio che è tuttora in corso e che riguarda anche i comuni limitrofi. Nella giornata di oggi il Ministro dell'agricoltura e il sottosegretario all'interno sono già andati lì molto opportunamente, anche se sarebbe stato ancora più opportuno concertarsi e preavvisare il presidente della giunta regionale, cosa che invece purtroppo non è stata fatta, ledendo il principio di leale cooperazione.
Noi ci attendiamo - e parlo anche a nome soprattutto delle colleghe Cenni e Ciampi - che nei prossimi giorni il Governo venga a riferire non solo sulle misure straordinarie di aiuto alle persone, dato che abbiamo alcune centinaia di sfollati, ma anche per stimare i danni e per vedere i possibili interventi riparatori per le persone, come hanno già detto, in una presa di posizione stamani, le colleghe Cenni e Gadda. Grazie, Presidente. Faccia sapere al Governo che ci attendiamo che venga qui a riferire.
PRESIDENTE. La Presidenza ovviamente riferirà. Ha chiesto di parlare il collega Enrico Borghi. Ne ha facoltà.
ENRICO BORGHI(PD). Grazie, signora Presidente. Pochi minuti fa l'ANSA ha reso noto che volantini di solidarietà con le Brigate Rosse sono stati diffusi e affissi a Sesto San Giovanni e in questi drammatici volantini si è manifestata solidarietà in particolare agli assassini di Marco Biagi e di Massimo D'Antona. Signora Presidente, questa vicenda, per un singolare scherzo del destino, arriva il giorno dopo in cui il nostro gruppo e i nostri leader politici sono stati accusati dal Vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, di essere degli assassini politici. Ecco, noi vorremmo fare appello a lei affinché venisse emendata definitivamente dalla dialettica di quest'Aula e dalla dialettica tra le forze politiche il richiamo a queste macabre metafore, perché purtroppo nella storia italiana ci sono state delle croci e dei lutti attorno ai temi del lavoro e della riforma del mercato del lavoro che non consentono a nessuno di poter usare similitudini di questa natura.
E vorrei ricordare al Ministro Di Maio, che è il Ministro del lavoro, che il nostro Paese è stato già costellato da cattivi maestri che hanno aperto una stagione di lutti a questo proposito e, quindi, che si fermi in tempo, perché la storia in questo senso andrebbe riletta ed è una maestra che parla da sola .
EMANUELE FIANO(PD). Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
EMANUELE FIANO(PD). La ringrazio, Presidente. Giunge notizia, dalle fonti di agenzia e anche da tutti i principali quotidiani di stampa, che un decreto atteso da quaranta giorni oggi, cioè il decreto che riguarda l'emergenza di Genova per il dramma del crollo del ponte, la sua ricostruzione, la nomina di uno o più commissari straordinari sarebbe bloccato, così le notizie apparse, presso la Ragioneria generale dello Stato. Ora la Ragioneria generale dello Stato ha dichiarato, leggo attraverso le virgolette che sono uscite sulle agenzie, che non sta affatto bloccando il decreto, ma lo sta sbloccando…
PRESIDENTE. Collega, mi scusi, ma questo non è sull'ordine dei lavori.
EMANUELE FIANO(PD). Se può attendere la conclusione della mia interpretazione, le spiegherò perché è sull'ordine dei lavori.
EMANUELE FIANO(PD). La Ragioneria generale dello Stato, dicevo, ha fatto sapere che non ha affatto bloccato il decreto, ma che lo sta sbloccando, nel senso che il decreto è arrivato, per la vidimazione della Ragioneria generale dello Stato, privo della copertura necessaria alle previsioni di spesa.
Io le chiedo, ai sensi dell'organizzazione dell'ordine dei lavori, di chiedere, a nome del gruppo del Partito Democratico, che il Governo venga a riferire in quest'Aula circa lo stato di attuazione di questo fondamentale, importantissimo decreto, proclamato, propagandato da settimane, non giunto e di cui oggi si ha notizia, a cui, dopo 40 giorni, i residui funzionari dello Stato che lavorano al MEF, quelli che ancora non hanno subito le purghe casaline, stanno cercando di rimediare, trovando le coperture necessarie. Su un fatto così grave, Presidente io credo che debba venire a riferire ai parlamentari della Repubblica il Governo, perché forse si possono prendere in giro gli italiani, ma non i deputati della Repubblica. La ringrazio .
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
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