PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
MARIA CAROLINA VARCHI, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
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PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 92, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta odierna .
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di 5 e 20 minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1666: Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina.
Ricordo che nella seduta di ieri si è concluso l'esame degli ordini del giorno.
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA(MISTO-+EUROPA). Grazie, Presidente. Siamo ormai alla vigilia del secondo, tragico anniversario, due anni, dall'inizio delle operazioni brutali del regime putiniano contro l'Ucraina. Sui giornali di oggi vengono riportate le parole dell'ambasciatore russo in Italia, Paramonov, riprese da una lunga intervista che l'ambasciatore ha rilasciato all'agenzia russa TASS, in cui c'è un salto di livello nell'aggressività assertiva della Russia contro l'Italia. È un tema che, io credo, anche in quest'Aula, andrà affrontato.
Certo, non rimpiango il precedente ambasciatore russo a Roma, ma queste parole segnano un salto di qualità: «Le vostre autorità sono sgarbate, relazioni come nel 1941-1943». Sono parole durissime, ovviamente meditate. La diplomazia russa, a partire dal Ministro Lavrov, ha tante caratteristiche di cattiveria, di cinismo ma, certamente, non di impreparazione. L'ambasciatore lancia anche un attacco netto all'Italia come Presidente del G7: «Con l'inizio della sua Presidenza del G7, l'Italia sta attivamente rivendicando il ruolo di “capo coordinatore” di questo quartier generale anti-russo dell'Occidente».
Sono parole molto gravi, che individuano in modo esplicito l'Italia come un bersaglio. Ricordiamo che la guerra ibrida russa ha nel suo arsenale una potenza di fuoco in termini di , di hackeraggio e di possibilità di destabilizzare, attraverso la pirateria, con i sabotaggi in rete. Per cui, io sono certo che chi di dovere avrà preso nota di questo grave attacco.
Siamo a due anni dall'inizio della guerra, la Russia non vuole considerare - forse comprensibilmente - per sé il ruolo di aggressore e Putin non ha mai spiegato le ragioni di quest'aggressione brutale. Mentre noi parliamo, sull'Ucraina ancora arrivano missili che distruggono obiettivi civili e scuole e, quando io sento anche in quest'Aula parlare di un processo di pace - che, ovviamente, come e più di tutti i colleghi auspico -, ascoltiamo però anche le parole dell'ambasciatore. In realtà, può non essere bello, può essere una fatica ormai ripeterlo, ma c'è un solo interlocutore per chi voglia aprire un processo di pace significativamente e ragionevolmente sostenibile nel conflitto ucraino e l'unico interlocutore è Putin. Non ci sono altri interlocutori, non si può pensare che l'interlocutore di un processo di pace sia chi cerca faticosamente di difendere i propri cittadini, la propria terra e le proprie istituzioni da un'aggressione immotivata contro il diritto internazionale.
Lo so che è faticoso - l'ha detto anche la Presidente del Consiglio nella famosa telefonata -, c'è una fatica che è esattamente quello su cui scommette Putin, che manda messaggi minacciosi all'Italia attraverso l'ambasciatore. Putin scommette sul fatto che in Occidente si cominci a dire: “ancora armi dopo due anni. Non vi basta quello che è successo”? A noi forse può bastare perché siamo lontani, ancora siamo lontani dal fronte - ancora -, ma a chi è sotto le bombe non può bastare il fatto che, siccome per due anni lo hanno bombardato, deve arrendersi e cedere all'aggressione e preparare l'aggressore a nuove aggressioni. Infatti, questa non è una congettura, questo è quello che è accaduto nella storia del regime putiniano dalla seconda guerra di Cecenia in poi.
Voglio toccare solo in chiusura un altro punto e rinvio, come ho detto in discussione generale, alla bella intervista che il direttore del TG1, Chiocci, ha fatto a Zelensky: chi guarda con passione questa vicenda credo debba vedere questa intervista nella sua semplicità e nella sua drammaticità per capire perché non possiamo chiedere a Zelensky semplicemente di arrendersi, di stare un mese a prendere i missili senza rispondere con la contraerea per poi arrendersi e fare la fine, se va bene (ma non andrebbe così bene), della Bielorussia, cioè diventare un protettorato putiniano, con la cancellazione di qualsiasi autonomia istituzionale e di qualsiasi libertà per i cittadini. L'ambasciatore russo entra anche in un dettaglio a proposito del G7: “Non è da escludere che, su pressione dell'ala anglosassone, l'enfasi sia posta sull'elaborazione di misure antirusse, tra cui l'inasprimento delle sanzioni e la ricerca di una formalizzazione giuridica del sequestro illegale dei beni sovrani russi”. Hanno capito che forse ci stiamo muovendo in una direzione importante, che è quella che chiedono gli ucraini e che noi, come +Europa, sosteniamo, cioè la confisca delle riserve - ci sono 200 miliardi nella sola Banca centrale del Belgio, se ho letto bene - con la confisca di questi finanziari. Il diritto internazionale consente di farlo - i giuristi sono in grande prevalenza a favore di questo - e vogliono farlo anche gli Stati Uniti con Biden, anche per superare il ricatto trumpiano di legare il sostegno all'Ucraina alle politiche migratorie, che segnano il cinismo della politica trumpiana.
Biden ha cominciato a dire che ci sono 61 miliardi che possono essere utilizzati e ripeto che noi, nella mozione comune di Azione, Italia Viva e +Europa, abbiamo inserito questo punto, che è stato recepito dal Governo ed io mi auguro che l'Italia - come paventa l'ambasciatore russo in Italia -, nella sua del G7, sappia portare sul tavolo questo tema.
Ciò vale anche per gli bielorussi, che potrebbero essere utilizzati per sostenere il Governo bielorusso libero e democratico in esilio.
Mi auguro che il G7, sotto la Presidenza italiana, ponga questo tema. Sembrava impossibile ma oggi è un tema sul tavolo negli Stati Uniti e in Europa, dove ci sono le reticenze della Banca centrale europea, che sono comprensibili dal suo punto di vista, volte a porre l'attenzione sul fatto che, se Stati Uniti ed Europa non agiscono insieme, c'è un rischio di sbilanciamento. Biden si sta muovendo in questo senso e mi auguro che, nell'ambito del G7, venga posta questa questione del : usiamo le risorse finanziarie russe nei forzieri, nelle banche e nelle istituzioni finanziarie europee per garantire uno sforzo e un sostegno all'Ucraina, che è stata devastata deliberatamente da un regime che non sopporta ai propri confini una democrazia che guarda all'Europa.
Di questo si tratta e, senza nessuna volontà bellicista, ma semplicemente perché è un dovere etico-politico, noi voteremo a favore di questo provvedimento, cioè della prosecuzione del sostegno, non nonostante siano passati due anni, ma proprio perché sono passati due anni. Proprio per questo, è ancora più importante garantire agli ucraini la possibilità di difendersi dall'aggressione russa, perché Putin scommette esattamente sulla nostra fatica .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Faraone. Ne ha facoltà.
DAVIDE FARAONE(IV-C-RE). Grazie, Presidente, signor Sottosegretario e onorevoli colleghi. Io credo che subiamo un paradosso in questo Paese, perché la definizione di pacifista è abbastanza surreale. Secondo la definizione di pacifista di questo Paese, Trump sarebbe un figlio dei fiori e si appresterebbe a partecipare alla marcia di Assisi, perché sta contrastando l'invio delle armi in Ucraina - lo sta facendo strenuamente - e si batte proprio per evitare che al popolo ucraino venga data una fornitura di armi che gli consenta di potersi difendere. Ma per fortuna, per questo pacifismo, non è il solo: si sta formando proprio una sorta di Internazionale pacifista, signor Sottosegretario, che naturalmente auspica il ritorno di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d'America. Un altro che può essere annoverato tra i componenti di questa Internazionale pacifista è sicuramente Orbán, che si è battuto per la pace qualche settimana fa, proprio perché non voleva che l'Europa destinasse le risorse economiche, che ha deciso per fortuna di destinare, all'Ucraina: ad Orbán va riconosciuto l'onore delle armi per essersi battuto fino all'ultimo per questa Internazionale pacifista. Anche Putin fa parte di questa internazionale pacifista, perché sta battendosi contro i nazisti e lo fa in nome della Internazionale, così come la destra israeliana, che auspica anch'essa il ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti d'America, perché si è rotta le scatole di Biden che gli ricorda i “due popoli in due Stati”.
E poi ci sono delle cellule di questo pacifismo anche in questo Paese: c'è Conte, che tiene alta la bandiera della pace, la bandiera arcobaleno, e che oggi voterà contro il decreto, con tutto il suo gruppo, e c'è Salvini, che vorrebbe votare contro ma non può, tutti Trump, tutti Trump perché ritorni alla Casa Bianca e, come diremmo qui, nel nostro Paese, “Donald, sta casa spetta te”. Poi, c'è invece un gruppo di facinorosi, quelli come me e come tutti i colleghi che, oggi, decideranno di votare “sì” al decreto che riempirà di armi la resistenza ucraina, che hanno giudicato positivamente l'allargamento della NATO, che pensano che bisogna rispettare gli impegni con la NATO per maggiori risorse per una difesa possibile. Sono quelli che, alla domanda “chi scegli fra Biden e Trump?”, rispondono “Biden” senza farfugliare. Naturalmente, questi facinorosi, come noi, hanno valutato positivamente l'invio di 50 miliardi che l'Unione europea ha deciso di destinare alla resistenza ucraina. Questi pazzi pensano che questo decreto che voteremo oggi - assolutamente sragionano - prevede risorse che servono più per la pace che per la guerra e naturalmente pensano che per sedersi a un tavolo eventuale per la pace con Putin bisogna essere in una posizione almeno di pari forza, altrimenti Putin punterà, più che a una mediazione, a ottenere la resa. Per questo mondo al contrario, noi siamo i guerrafondai e l'internazionale che tiene insieme Trump e i suoi tifosi rappresenta i pacifisti.
Naturalmente, i pacifisti di casa nostra a me sembrano un po' come quei personaggi del film - non so se lo ricorda, Sottosegretario - in cui, quando con l'astronave arrivarono gli UFO per distruggere il pianeta, 27 minuti, conto alla rovescia, c'erano quelli sui grattacieli coi cartelli che dicevano: portateci con voi. Io credo che questa sia un po' l'idea che hanno del pacifismo, perché mentre la Russia è diventata una fabbrica d'armi - ne producono in continuazione, giocano a scambiarsele pure con l'Iran e con la Nord Corea - noi dovremmo disarmarci e, naturalmente, mostrare il nostro volto umano e sperare che questi qui ci compatiscano.
Oltre a questo pacifismo un po' sterile, io non capisco neanche che pace venga proposta, perché quando si dice “sì, sediamoci al tavolo della pace e della trattativa”, cosa si propone? Di ritornare ai confini del 2014 in Ucraina e, quindi, che la pace si faccia sulla base del fatto che Putin riconosca che quell'invasione è stata illegittima, oppure di tornare ai confini di 2 anni fa e, quindi, di lasciare la Crimea? Tutti questi pacifisti che parlano di un tavolo per la pace cosa propongono in concreto per il popolo ucraino e per il rispetto del diritto internazionale? Perché se non fanno questo secondo passaggio, io non capisco che cosa voglia dire “tavolo per la pace”. Il problema è che questo secondo passaggio innesca un'ipocrisia, che sostanzialmente è presente in chi dice, in maniera sterile, soltanto “pace” e presenta emendamenti per sopprimere l'articolo che, di fatto, tiene in piedi l'intero decreto che oggi voteremo.
Dopo due anni da quando è iniziata la guerra, considerato che nelle trincee regna lo stallo, serve sicuramente una capacità politica che la stessa Europa - devo dire - ha dimostrato, perché quello che è stato fatto nei confronti di Orbán, e che viene sottovalutato, io lo reputo un fatto importantissimo. L'aver detto a Orbán, con forza politica “o tu fai questo, oppure io non ti trasferisco un euro” è una scelta politica e questa stessa intensità politica che abbiamo manifestato in quel passaggio dobbiamo manifestarla nella relazione che si mette in campo con la Russia. Va compreso, però, che tutto questo - la trattativa, la discussione - si può fare semplicemente a condizioni che però siano compatibili con il rispetto del nostro continente, perché c'è un aggressore che non mi sembra che abbia detto di volersi fermare. Tutti voi che dite “pace” avete sentito da Putin la volontà di rallentare la sua campagna nei confronti dell'Ucraina? Lo avete sentito dire “sediamoci per capire cosa dobbiamo mettere in campo”? Io non sottovaluterei le parole del Ministro tedesco Pistorius, quando dice che l'Europa potrebbe affrontare - io dico, sta già affrontando - in Ucraina i pericoli della Russia entro la fine del decennio. Putin minaccia la Finlandia, che ha aderito alla NATO, i Paesi baltici, la Moldavia, la Georgia. I Paesi europei non possono fischiettare rispetto a tutto questo, al mutato panorama geopolitico. Per questo serve l'Esercito europeo, anche perché gli Stati Uniti potrebbero cominciare - io dico che hanno già cominciato - ad allentare la loro presenza. Con il tema che ho posto poco fa, di Trump che bloccherebbe l'invio delle armi, di fatto sta allentando la sua presenza. Io credo che noi dobbiamo riuscire a comprendere come l'Europa acquisisca uno spazio autonomo. Ieri sentivo un collega del MoVimento 5 Stelle dire che, se oggi Biden dovesse dire “ritiriamoci tutti”, qui dentro tutti cambieremmo idea e ci ritireremmo. Io credo che si sia verificato l'esatto contrario, sempre nel famoso 1° febbraio, con i famosi 50 miliardi. L'Europa ha deciso di destinare all'Ucraina quelle risorse e lo ha fatto quando gli Stati Uniti d'America hanno invece deciso di allentare il loro impegno a difesa delle democrazie europee. Quindi, per la prima volta, credo, dopo tantissimi anni o forse nella storia, che l'Europa autonomamente, a prescindere da quello che ha fatto il “gendarme” americano, a prescindere da quello che hanno deciso al Congresso americano, abbia deciso di agire e io credo che questo sia un fatto storico importantissimo che va assolutamente valorizzato e credo che su questo noi dobbiamo improntare la nostra azione, perché credo che non possiamo arrenderci a Putin, non possiamo accettare che una Nazione sovrana venga invasa senza che l'Europa reagisca, quando a pochi chilometri da noi tutto questo sta accadendo.
DAVIDE FARAONE(IV-C-RE). Per questo voteremo a favore di questo decreto, perché crediamo che sia il miglior modo per lavorare per la pace .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bicchielli. Ne ha facoltà.
PINO BICCHIELLI(NM(N-C-U-I)-M). Presidente, onorevoli colleghi, signor Sottosegretario, la storia, molte volte, pone le Nazioni e i suoi governanti di fronte a scelte cruciali, dei veri e propri crinali dinnanzi ai quali prendere una posizione non è importante ma è necessario ed è fondamentale per poter recitare un ruolo centrale nel corso degli avvenimenti. Giustizia o ingiustizia, autodeterminazione dei popoli o legge del più forte, libertà e ideologia: ecco, la guerra russo-ucraina ha messo i Governi dinanzi a questi crinali, che sono crinali valoriali e politici. In tal caso, sia pure in un contesto brutale e disumano, il conflitto ha rappresentato l'occasione per l'Europa e per gli Stati europei per ribadire al mondo intero la scelta di fondo che è alla radice del processo di integrazione europea: no, alla guerra, sì, al dialogo, sì, alla pace, sì alla piena collaborazione tra Stati e popoli, anche di culture politiche e identitarie differenti.
Il sogno europeo, signor Presidente, è nato proprio dalle rovine prodotte dai conflitti mondiali, dalla Seconda guerra mondiale e dalle brutalità che hanno contraddistinto il secolo scorso. Proprio per questo, la posizione che l'Europa e l'Italia, in particolare, hanno assunto di fronte alla guerra in corso non ha sofferto da parte nostra tentennamenti di sorta.
Il Governo in carica, questa maggioranza e il gruppo che rappresento, quello di Noi Moderati, hanno sempre ribadito con forza la propria posizione di pieno sostegno all'Ucraina senza “se” e senza “ma”. In questi giorni, come ha ripetuto più volte il Sottosegretario Perego di Cremnago - che ringrazio per il lavoro svolto in Commissione anche in questa fase - ha più volte anch'egli ribadito che il Governo Meloni, sin dal suo insediamento, ha mantenuto una linea precisa e ferma in politica estera, decisa in sede di Alleanza atlantica e di Unione europea, ma cambiando di fatto approccio. L'Italia, infatti, ha assunto sempre più un ruolo guida, sia nel Mediterraneo, sul tema dell'immigrazione, con il Piano Mattei, sia in Medio Oriente, con la guida della missione in Mar Rosso.
È un tema, questo, che poi ci riguarda particolarmente da vicino. Il cambio di rotta delle navi merci comporta, come voi sapete, anche la scelta di porti diversi da quelli italiani, con impatti economici su tutta la filiera portuale e logistica. E quindi le tensioni internazionali stanno, di fatto, colpendo il sistema economico nei suoi punti nevralgici, ossia logistica ed energia. E quando uno o entrambi si inceppano, a cascata gli impatti negativi si riversano su tutte le fasi del processo economico e il peso maggiore, inevitabilmente, ricade sempre su coloro che sono già in difficoltà: famiglie e imprese. Lo abbiamo visto in questi anni di permacrisi, in cui più fattori endogeni al sistema economico hanno colpito il suo nucleo, ossia l'approvvigionamento di materie prime, merci ed energia.
Oggi, a contribuire in maniera sostanziale a creare un quadro di instabilità, sono le tensioni internazionali nel centro Europa e in Medio Oriente che, minando la sicurezza energetica, rischiano di produrre un effetto inflazionistico generalizzato, e la precisione chirurgica degli attacchi Houthi - che stiamo vedendo - alle navi mercantili dirette al canale di Suez e, dunque, nel Mediterraneo, che già hanno prodotto ritardi, così come l'aumento dei costi del traffico merci, ne sono, di fatto, la dimostrazione. Costi che, inevitabilmente, si riverseranno poi sui prezzi finali che dovremo pagare.
Signor Presidente, ho fatto questa escursione per dire che tentennare in situazioni come queste significherebbe non solo indebolire la nostra posizione sullo scenario internazionale ma, di conseguenza, indebolire anche tutta l'Europa. E quindi ringrazio il Presidente del Consiglio e il Governo per il lavoro che si sta portando avanti, su più livelli, su questo fronte.
Il provvedimento che ci apprestiamo a votare va esattamente in questa direzione. Infatti, il decreto-legge n. 200 del 2023 proroga fino al 31 dicembre di quest'anno l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, già prevista dall'articolo 2- del decreto-legge n. 14 del 25 febbraio 2022. Un provvedimento che è perfettamente in linea con altri assunti nei mesi precedenti ai soli fini di sostenere l'Ucraina su più livelli nel conflitto in atto.
Inoltre - e questo è un aspetto, a mio avviso, non del tutto secondario -, come si evince dalla relazione tecnica, dal provvedimento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministero della Difesa, mentre eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.
Signor Presidente, un Paese come il nostro, un'Italia che tiene la barra dritta sul fronte Ucraina rende ancora più forte l'Europa e il ruolo che quest'ultima sta giocando al fine di raggiungere il vero obiettivo di tutti: perseguire tutte le vie possibili per arrivare a una pace degna di questo nome. A tal proposito, ho ritrovato un discorso del 2001 dell'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi che, rivolgendosi a una platea di ragazzi così diceva, cito testualmente: “È indispensabile, per il mantenimento dell'equilibrio globale e di pace, che l'Europa sia un interlocutore in grado di affermare la democrazia, i diritti umani, la solidarietà: è essenziale che tutti lo riconoscano. Non potremo essere di esempio agli altri se non sapremo sollecitare noi stessi”.
Rileggendo questo passo, io ne vorrei sottolineare l'attualità, ma, soprattutto, credo sia importante mettere in evidenza il monito finale: sollecitare noi stessi sui valori fondanti della nostra Italia e della nostra Europa, per essere da esempio per le future generazioni e per le altre Nazioni. E credo che questo sia il punto del nostro agire politico. Il punto è questo. Il crinale che ci mette dinanzi la storia oggi è proprio questo: ribadire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato non è mai un esercizio fine a se stesso, è sempre un'azione valoriale, è sempre un'azione politica, volta a dare braccia e gambe a ciò che è stato messo nero su bianco nella nostra Costituzione e nei trattati europei.
Solo così, signor Presidente, si portano avanti i valori di un popolo, ossia mettendoli realmente in atto.
Pertanto, come già abbiamo ribadito più volte, oserei dire che quelle in esame non sono norme oggi, ma sono atti di civiltà, che fanno da evidente e assoluto contraltare alle barbarie commesse da chi, invece, ha deciso di invadere un territorio sovrano, seminare morte e distruzione e radere al suolo intere città, come se questo fosse un atto dovuto. E quindi, per tutte queste ragioni, annuncio un atto dovuto, ossia il voto favorevole del gruppo di Noi Moderati.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fratoianni. Ne ha facoltà.
NICOLA FRATOIANNI(AVS). Grazie, signor Presidente. Siamo tutti, chi più chi meno, abituati al ritmo del lavoro parlamentare. Sappiamo che, quando la discussione con le dichiarazioni di voto comincia la mattina presto e non ci sono emendamenti, né voti da fare, l'Aula è vuota. Però, me lo faccia dire, fa venire un poco di disperazione, l'Aula vuota, quando il Parlamento discute della guerra, delle armi, di un conflitto drammatico come quello in corso in Ucraina da ormai quasi due anni, dopo l'aggressione russa al territorio ucraino. Fa venire la disperazione perché ha il sapore della normalizzazione della guerra, della sua naturalizzazione. Dà fino in fondo la misura del senso di impotenza e, dunque, anche della distrazione che ne deriva, in un'Aula come quella del Parlamento, che, in Italia, come in ogni altra parte del mondo, dovrebbe, invece, sentirsi fino in fondo caricata di una responsabilità: quella di fare i conti, minuto dopo minuto, di fronte alla guerra, alle guerre, in Ucraina come a Gaza, ovunque si combattano guerre che producono tragedie, lutti e disperazione. Dovrebbe sentirsi caricata della responsabilità di costruire, passo dopo passo, la strada di una via d'uscita pacifica dall'inferno della guerra. Quando questo non avviene più, come accade ormai da troppo tempo anche nel nostro dibattito, quella normalizzazione si presenta davanti a noi come l'ineluttabile orizzonte del mondo che abbiamo davanti. E badate, questa questione ci dice molto di più di quanto non ci dica la fotografia di quest'Aula vuota. Ci dice del rapporto che una parte del mondo e delle sue classi dirigenti sta costruendo con l'orizzonte della guerra.
Qualche settimana fa, un signore non notissimo alla cronaca del grande pubblico, Rob Bauer, presidente del Comitato militare dell'Alleanza atlantica, in una riunione di quel Comitato, ha dichiarato, senza che questa dichiarazione avesse grande risalto, che, a differenza di qualche tempo fa, non è più affatto improbabile o impossibile immaginare una guerra totale con la Russia nei prossimi vent'anni e che, dunque, dobbiamo prepararci. Ora, se qualcuno pensa che ci sia il rischio di una guerra totale contro una potenza nucleare, fa bene a prepararsi.
Il punto è la frase successiva, e cioè la frase che descrive la modalità con cui si pensa di prepararsi all'ipotesi di una guerra totale con la Russia. Sapete qual è questa modalità? Non quella di lavorare senza sosta, notte e giorno, senza dormire, presi dalla disperazione di un orizzonte che potrebbe far sprofondare il mondo nella catastrofe nucleare, no, e dunque correre a cercare di sminare le ragioni possibili, costruire le condizioni diplomatiche, aumentare l'interlocuzione, sminare, incalzare, sanzionare, quel che volete, no! Produrre più armi - più armi! - più potenti, per prepararsi allo scontro, all'impatto militare.
È questa la naturalizzazione della guerra, lo dicevo ieri, è quella che ci fa guardare all'Indo-Pacifico con rassegnazione, pronti a contare i resti di un mondo in frantumi nella guerra tra Cina e Stati Uniti, in un mondo che va riorganizzando le sue aree di potere, di influenza, i suoi interessi economici, gli scambi di mercato. È quello che accade a Suez, oppure facciamo finta di non vedere che quello che accade a Suez ha a che fare con questa dimensione?
Non con i diritti, con le democrazie contro le autocrazie, con le balle che continuano a risuonare anche dentro quest'Aula, signor Presidente, a proposito della necessità di difendere valori liberali e democratici contro chi quei valori li calpesta nel suolo patrio e fuori dal suolo patrio, quando ne esce in armi per aggredire una Nazione sovrana. Già, giusto, è bene sempre difendere le Nazioni sovrane dalle invasioni altrui. Non lo abbiamo fatto, continueremo a non farlo con la Palestina , perché, me ne dimenticavo, non è uno Stato sovrano, non lo abbiamo ancora riconosciuto.
Primo, occorre ribellarsi a questa normalizzazione, occorre ribellarsi, non perché siamo pacifisti. Lo dico per suo tramite all'onorevole Faraone, era un po' che non sentivamo la caccia, l'elenco del pacifista cattivo con la doppia morale. Anche qui, siamo di fronte alle guerre, eviterei di fare della pace il problema, eviterei. Abbiamo un problema più grande, è la guerra. E allora, se ci ribelliamo alla normalizzazione, occorre provare a decostruire tutto ciò che si accompagna alla normalizzazione della guerra.
Primo, la retorica dei diritti, perché non si può essere fermi nella difesa del diritto internazionale lì e sordi e distratti nella difesa del diritto internazionale in uno, due, tre, cento altri luoghi del mondo. Non si può essere, con l'Alleanza atlantica, impegnati nella difesa del mondo libero senza vedere che uno degli eserciti più potenti di quell'Alleanza è quello della Turchia, di un signore, Erdogan, definito anche recentemente in questo Parlamento da un importante Premier, sostenuto allora da quasi tutto il Parlamento, tranne che da un gruppo allora di opposizione, oggi il primo gruppo di questo Parlamento, e dal sottoscritto e pochi altri, il Premier Draghi, che qui, in quest'Aula, più o meno da quel banco, nel lato posteriore, definì Erdogan un dittatore.
Non si può, non si può, perché non funziona, perché crolla miseramente, come un castello di carte mal costruito, tutto ciò che sa di retorica dei valori, quando quei valori non valgono sempre, in ogni contesto, anche quando a subirne la violazione sono i più deboli, sono coloro che hanno meno peso nella geopolitica, negli interessi commerciali, nella storia del sistema di alleanze al quale siamo legati da molti decenni. Dunque, primo, fateci il piacere, basta con la retorica, basta, basta con la retorica.
E, allora, torniamo alla dimensione più materiale, l'efficacia, perché anche qui, sempre per suo tramite, ho ascoltato il collega Faraone. Ci ha spiegato, ma è un argomento che molti altri colleghi e colleghe usano sempre, “diteci cos'è questa pace, perché voi dite pace, ma poi non sapete dirci nulla. Noi invece sì che abbiamo le idee chiare”. Poi i fatti, mi insegnò tanti anni fa un dirigente politico, hanno la testa più dura delle parole. Da due anni una strada abbiamo intrapreso e quella strada unica abbiamo seguito, quella delle armi, solo quella.
E l'abbiamo intrapresa sulla base di una tesi, ripetuta anche oggi più volte, da Della Vedova, Faraone, e immagino che la ascolteremo ancora, ancora e ancora: senza le armi, non ci saranno mai le condizioni di forza sul terreno per imporre una trattativa. Sono due anni, la guerra è impantanata, ho ritrovato anch'io alcuni appunti proprio nel mio banco, sono quelli che ho preso quando il Ministro Crosetto ha reso comunicazioni in quest'Aula sulla situazione in Ucraina, proprio per ricevere, con le risoluzioni, l'orientamento politico che ha dato vita a questo decreto.
Il Ministro Crosetto - arrivo rapidamente alla conclusione - diceva: dopo due anni la controffensiva è fallita, la guerra ha preso le caratteristiche di una guerra di posizione, ci sono 8 milioni di mine, l'Ucraina è devastata, l'obiettivo principale resta quello della liberazione di tutto il territorio, il ripristino dei confini, l'integrità territoriale piena, però - questo è il Ministro Crosetto, il “però” lo ha messo lui, non io - dobbiamo confrontarci con la realtà, è il momento di fare un'offensiva diplomatica decisa.
Dov'è questa offensiva? Non c'è, non c'è, non c'è . E con questo bisogna confrontarsi, perché altrimenti tutto quello che stiamo dicendo, altro che i pacifisti non hanno un'idea, noi, un'idea, ce l'abbiamo. Provate a fare qualcosa di diverso, poi fatelo voi, siete al Governo, voi e tutta la larga maggioranza che sostiene la follia dell' militare da due anni. Fatelo voi, ma fate qualcosa, perché quello che state facendo è soltanto la riproposizione dell' militare.
L'assenza, il mutismo, l'afonia di un'Europa incapace di costruire il proprio profilo, la propria autonomia sulla politica estera, sulla difesa, porterà l'Europa alla sua fine e il mondo sempre più sull'orlo, anzi, oltre l'orlo di un baratro, quello della guerra. Noi non ci stiamo e non ci rassegniamo .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO(AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Tra pochi giorni, saranno due anni dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, ed è vero, ho ascoltato con attenzione le parole del collega Fratoianni, di cui non condivido nulla, ma di cui apprezzo la chiarezza e la serietà, ci vuole coraggio per continuare questa guerra, ci vuole coraggio, ci vuole determinazione. È una guerra faticosa, che costa, costa vite umane, ma non è il nostro coraggio che serve, è il coraggio degli ucraini che serve.
Sono loro che pagano il prezzo, sono loro che sono sotto i bombardamenti, sono loro che vedono il loro Paese straziato da un invasore che, ricordiamo le violenze che abbiamo visto in quei giorni di due anni fa, ha devastato quel Paese, ha devastato quel popolo, ha esercitato una ferocia che non ricordiamo da più di mezzo secolo nel centro dell'Europa. A noi costa un euro al giorno, ai cittadini italiani costa un euro al giorno questa guerra. È vero, è pesante dal punto di vista dell'impegno che questo Paese sta mettendo, ma costa un euro al giorno.
A loro costa centinaia di vite al giorno. Gli ucraini oggi sono una barriera del diritto, oltre alla difesa del loro Paese. Non è solo solidarietà quello che ci spinge, l'Ucraina fa parte geograficamente e culturalmente dell'Europa. Chi ha girato per le città ucraine sa che fanno parte culturalmente dell'Europa. È vero, c'è anche un'Ucraina più rurale, ma c'è anche una Polonia più rurale, c'è anche una Romania più rurale e c'è anche un'Italia più rurale.
L'Ucraina è un pezzo dell'Europa che si integrerà con gli anni e con la fatica che dobbiamo avere davanti a noi. Dicevo che non è solo solidarietà, è un principio da tutelare, e, se non lo facciamo con la Russia, consentiremo che qualsiasi Paese abbia qualche carro armato in più del suo vicino possa pensare che la situazione si risolva invadendo quel Paese, e renderemo il mondo più insicuro, se non abbiamo la fermezza e la determinazione di sostenere un Paese che è aggredito.
Ed è vero che la difesa del diritto è faticosa e costosa. Ricordo un periodo nero del nostro Paese, il periodo della lotta alla mafia. È stato un periodo terribile, in cui sangue e violenza hanno devastato pezzi del nostro territorio, perché c'è stata la determinazione dello Stato di non consentire che quella presenza criminale potesse governare quei pezzi di terra. È un paragone forte? Ma è la stessa cosa. Si poteva tollerare la mafia? Si può tollerare un invasore? Sono i principi del diritto internazionale che ci motivano a tenere il punto.
La reazione dell'Europa, questa sì, almeno è stata forte e coesa, anche se attraversata dai ricatti, i ricatti non dell'Ungheria ma i ricatti del Governo ungherese - è una cosa diversa - che hanno costretto l'Unione europea a compromessi. Ma dobbiamo rivendicare la forza con cui l'Europa ha saputo reagire e lo dico perché in ballo c'è anche il tema della capacità di indipendenza e di autonomia dell'Europa. Non è solo una questione di Trump e Biden: in linea generale ormai gli Stati Uniti guardano con più interesse a quello che succede nell'Indo-Pacifico rispetto a quello che succede in Europa.
Chi segue queste cose dovrebbe avere la consapevolezza che sempre di più la difesa dell'Europa sarà un problema degli europei e deve essere un problema degli europei. Anche per questo è importante - e lo dico al Governo che ha e avrà anche la responsabilità di guidare il G7 in questo semestre - che l'Unione europea faccia passi avanti in questi ultimi mesi prima delle elezioni per rafforzare le sue istituzioni e, in particolare, quelle di politica estera e di politica della difesa. È un mandato che dobbiamo lasciare alla prossima legislatura del Parlamento europeo e lo vediamo proprio sul confine con l'Ucraina e forse ancora di più lo vediamo nella difesa degli interessi che abbiamo nel Mar Rosso.
Anche lì abbiamo bisogno degli Stati Uniti per tutelare i nostri interessi. C'è questo dibattito straordinario sul se dobbiamo andare o non dobbiamo andare a difendere i nostri interessi lì. E come facciamo a non difendere i nostri interessi lì? Provate a guardare la crisi delle nostre imprese e dei nostri porti a motivo di ciò che sta avvenendo.
Purtroppo, questo mondo è caratterizzato da alcuni Governi, che non sono Governi, ma vi sono dittatori, che hanno una caratteristica, ossia il dittatore per restare tale - e Putin ne è un esempio straordinario - ha bisogno di tre cose: ha bisogno della violenza nel suo Paese e, quindi, di piegare qualsiasi voce dissonante; ha bisogno di affamare il suo popolo; ha bisogno di un nemico esterno. Putin sta facendo esattamente questo e non è l'unico che sta facendo esattamente questo. Se l'Occidente non è capace di reagire e di reagire con una capacità di sintonia, noi resteremo schiavi di un sistema dove i dittatori saranno più forti delle democrazie e le democrazie devono dimostrare in questo la loro capacità di essere più forti e di saper reagire.
C'è qualcuno che pensa che ci si possa difendere a mani nude. Io non riesco veramente a capire come si possa pensare di non sostenere un popolo che si sta difendendo anche con le armi. Lo abbiamo vissuto nella nostra storia. Non voglio essere retorico ricordando la Resistenza, ma da sempre se fai la guerra hai bisogno di qualcuno che ti dia gli strumenti per fare la guerra.
Quella dell'Ucraina non è una guerra di aggressione; è una guerra di difesa. L'Europa si era impegnata a mandare un milione di munizioni - cito solo questo esempio - e ne ha mandate 300.000 anche per l'incapacità di questi Paesi di rappresentare all'opinione pubblica come sia importante mantenere gli impegni assunti con un Paese che è in guerra.
Io penso che, quando affrontiamo queste cose, non possiamo mai dimenticare quello che quel popolo oggi sta affrontando. Il collega Della Vedova ha letto le dichiarazioni che l'ambasciatore russo in Italia ha fatto. La minaccia russa aumenterà nel nostro Paese. Non è che Putin si accontenterà di continuare con il percorso dell'Ucraina. Aumenterà la tensione e il fatto di aumentare la tensione ha prodotto, a livello internazionale, che la sua alleanza con altri attori globali del terrorismo si sia incrementata e consolidata, a cominciare dall'Iran che ha tutto l'interesse a destabilizzare.
Allora, è vero: lavoriamo per la pace e lo dico al collega Fratoianni e lo dico ai colleghi che interverranno dopo annunciando politiche di pace, ma la pace si fa con qualcuno che la vuole fare. La pace la si fa con qualcuno che si vuole sedere. Con Hitler, nel 1942, non si poteva fare la pace. Con Hitler, nel 1942, bisognava combattere. Non vedo la disponibilità di Putin a fare la pace. Se Kiev decidesse di non sparare più un colpo di cannone stamattina, la Russia non si ferma; la Russia arriva al confine con la Polonia.
Noi possiamo pensare - lo pensa qui qualcuno - di disarmare gli ucraini, possiamo pensare di affamare gli ucraini, come pensa Orbán, possiamo rompere il loro senso di solidarietà, come tanti pensatori e tanti commentatori europei fanno, e ne abbiamo un grandissimo esempio in chi scrive libri, anche in questo Paese, in cui facciamo perdere il senso della solidarietà a quel popolo, ma non possiamo pensare di farli arrendere, perché non si arrenderanno.
Allora, noi continueremo a fare la nostra parte. Per quanto ci compete, continueremo a sostenere l'azione che questo Governo, in maniera coerente, sta portando avanti anche rispetto al percorso del Governo Draghi e lo faremo con la fermezza di chi pensa che abbiamo una responsabilità e dinanzi alle responsabilità non ci si può tirare indietro .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bagnasco. Ne ha facoltà.
ROBERTO BAGNASCO(FI-PPE). Grazie, Presidente. Presidente, colleghi, signor Sottosegretario, la ringrazio, all'inizio di questo mio intervento, per l'attenzione con la quale ha seguito questa situazione delicatissima in Commissione e ovviamente, come tutti avete potuto constatare, anche in Aula. Il confronto tra Governo e Parlamento è un fatto essenziale in democrazia e quando questo confronto si manifesta in maniera così chiara, così continua e così puntuale non possiamo non prenderne atto in maniera assolutamente positiva.
Colleghi, a quasi due anni dall'inizio del conflitto il dibattito politico sulla guerra tra Russia e Ucraina infuoca ancora gli animi di quest'Aula e questo sarebbe ben poca cosa perché, purtroppo, genera ogni giorno lutti. Qualcuno ha detto che agli italiani costa un euro al giorno, ma a quei popoli, purtroppo, costa qualcosa di più, qualcosa di drammaticamente grave che ogni giorno porta lutti nelle famiglie, anche quando ormai si pensava che questa situazione potesse essere superata.
L'invasione da parte della Russia ci ha obbligati a una riflessione rispetto alla concezione tradizionale di sicurezza e di difesa comune dell'Unione europea a cui eravamo abituati e, più in generale, al ruolo che l'Europa è chiamata a svolgere oggi e in futuro non solo per difendere la sicurezza dei suoi cittadini e dei suoi confini ma anche di fronte alle richieste di aiuto militare da parte dei Paesi vicini. Proprio di questi giorni e di queste ore è il dibattito nel nostro principale alleato, gli Stati Uniti d'America, sull'aiuto o meno al popolo ucraino e il fatto stesso che l'Europa stia prendendo una posizione chiara, decisa e determinata, indipendentemente evidentemente, pur guardando con grande attenzione a quello che succede oltreoceano, dagli Stati Uniti, è un fatto assolutamente positivo che deve essere puntualizzato e, in qualche modo, valorizzato, perché è un punto importante nella costruzione di quell'Europa di cui tanto parliamo ma che, purtroppo, in molti casi diventa solamente una chimera.
La deliberazione della fornitura di armi a uno Stato aggredito militarmente in Europa costituisce uno spartiacque rispetto al passato e si pone come un primo passo in avanti verso il futuro della difesa comune. La difesa comune, qual è l'alleanza tra Paesi democratici, è un progetto da realizzare necessariamente affinché l'Unione europea rafforzi la sua capacità di difesa e lo ha ricordato recentemente anche il nostro Ministro degli Affari esteri. Del resto, la difesa comune - lo dico, ovviamente, con soddisfazione, ma non con particolare enfasi - è stata per tanti anni uno dei cavalli di battaglia del presidente Berlusconi.
La difesa comune è un fatto fondamentale per il continente europeo. La differenza fra aggressore e aggredito, che più volte abbiamo ribadito, non lo dobbiamo mai dimenticare, non è un preambolo cerimoniale ma è il discrimine decisivo che giustifica totalmente il nostro sostegno incondizionato alla causa del popolo ucraino, un popolo invaso, e conferma il nostro impegno a difendere la libertà, i principi democratici e ad assicurare un futuro di pace a tutta l'Europa. L'invasione russa ha rappresentato una gravissima violazione della sovranità di uno Stato libero e democratico, dei trattati internazionali, dei più fondamentali valori europei e non riguarda soltanto l'Ucraina ma rappresenta un attacco alla nostra concezione dei rapporti tra Stati basati sul diritto. Del resto, l'Ucraina, lo sappiamo tutti, è geograficamente ma anche culturalmente legata totalmente alla nostra Europa. Certo, il conflitto si sta rivelando purtroppo anche più sanguinoso di quanto non fosse previsto, sta diventando una guerra di attrito, di posizione, con forte impegno anche di uomini senza, ad oggi, una soluzione in vista.
Qualcuno diceva: fateci il piacere, basta con la retorica della pace. Sì, lo dico anch'io, lo diciamo anche noi: basta con la retorica della pace. Senza un progetto, non si può parlare di pace, si può parlare di pace solamente quando tutti e due i contendenti, in qualche modo, vedono la pace come una soluzione possibile. Ad oggi, questo non succede e, quindi, parlare di pace è pura ed esclusiva retorica. Basta con la retorica della pace, lo diciamo noi e lo diciamo con grande chiarezza.
La pace che tutti ci auguriamo dovrà essere giusta ed equilibrata, si, giusta ed equilibrata. L'inviato del Santo Padre Francesco in Ucraina è il cardinale Zuppi che è anche il presidente della Conferenza episcopale italiana. Ebbene, il cardinale Zuppi - è chiaro, le posizioni della Santa Sede tutti noi le conosciamo con grande chiarezza, le rispettiamo e le condividiamo anche - ha parlato più volte di pace ma, parlando di pace, ha aggiunto anche due aggettivi importanti e significativi: giusta e sicura, la pace deve essere giusta e sicura. Dunque, non si parla di pace ma si parla solamente di una prevaricazione degli uni rispetto agli altri. La pace resta, ovviamente, la via maestra da seguire, la stella polare che ci deve orientare e va difesa e conquistata con la diplomazia e, se necessario, anche purtroppo, lo dico senza infingimenti, con la forza delle armi. Il presidente Zelensky e il popolo ucraino sanno che l'Italia è con loro e lo sarà in tutta questa lunga battaglia per la conservazione della sovranità, perché abbiamo il dovere di tutelare due princìpi essenziali della Carta delle Nazioni Unite: sovranità e integrità territoriale, ben riflesse nella recente dichiarazione finale dei del G20 a Nuova Delhi. Tuttavia, una riflessione sullo stato e le conseguenze della guerra deve essere fatta. Intanto, è lecito chiedersi a che punto sia la guerra. È difficilissimo dirlo e l'unica certezza è la probabilità di avvenimenti imprevisti. Le informazioni sicure sono poche e le dichiarazioni ufficiali, rispettive, di aggressori e aggrediti hanno in comune il proposito di cautelarsi rispetto a qualunque accusa di debolezza e\o cedimento. Di fronte a questa incertezza, anche dovuta al fatto che per lungo tempo si è parlato di una guerra lampo che invece si sta trascinando, è legittimo essere preoccupati, oggi più che mai, ed esprimere condanna nei confronti del Governo russo. Come già in passato ho avuto modo di ribadire, esprimiamo condanna, innanzitutto, per la situazione della sicurezza nella centrale nucleare di Zaporizhzhia e dobbiamo continuare a sostenere gli sforzi dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica che chiede di ispezionare - è di questi giorni - i nuclei dei reattori e i depositi di combustibile nucleare esausto. A tal proposito mi auguro che il capo dell'agenzia nucleare delle Nazioni Unite, Rafael Grossi, sia riuscito oggi a visitare la centrale finalmente, visita impedita per mesi dal Governo russo, proprio per verificare le condizioni dell'impianto dallo stesso definite come molto delicate. Il rischio è un'altra Chernobyl.
Ancora, l'Italia condanna la Russia per l'attacco ai siti religiosi e culturali e per questo la ricostruzione dell'Ucraina sarà una delle massime priorità della presidenza italiana del G7, abbiamo anche questa occasione. L'Italia sarà in prima linea nel progetto di ricostruzione che rappresenta il nucleo della rinascita sociale e spirituale di un popolo martoriato dalla guerra. Sono certo che il nostro Paese lotterà sempre per la pace e sarà pronto a fare quella vera, quella giusta, a fare la sua parte ovunque sia chiamato a farla, perché crediamo fortemente nella libertà che rappresenta il pilastro essenziale di una società che voglia definirsi davvero democratica.
Per questo esprimo a nome di Forza Italia parere favorevole al decreto oggi in votazione, che dispone la proroga della autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina
PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Pellegrini. Ne ha facoltà.
MARCO PELLEGRINI(M5S). Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, sono ormai passati due anni dalla folle aggressione di Putin nei confronti dell'Ucraina, due anni di guerra, devastazioni, dolore, perdita di centinaia di migliaia di vite umane. Nel 2022 è stato giusto e doveroso aiutare l'Ucraina, per permetterle di difendersi ai sensi dell'articolo 51 della Carta dell'ONU. Questo Parlamento aveva però sottolineato, in occasione dell'approvazione del primo invio di armi e aiuti umanitari, che parallelamente dovesse essere intrapresa una seria e coraggiosa azione diplomatica per giungere al termine del conflitto il prima possibile. Noi del MoVimento 5 Stelle auspicavamo, proprio ai sensi e per gli effetti di quel mandato parlamentare ed anche in virtù della storia dell'Italia e dei principi contenuti nell'articolo 11 della Costituzione, che l'Italia diventasse o tra i maggiori promotori dell'iniziativa diplomatica. Però, purtroppo, così non è stato. Anzi, l'unico tentativo negoziale tra Russia e Ucraina fu promosso nel marzo 2022 da Turchia e Israele. Le risultanze di quella bozza di accordo, che prevedevano tra l'altro il cessate il fuoco, non hanno avuto seguito anche o soprattutto per l'opposizione ferma del Presidente Biden e del Johnson ma anche per la debolezza estrema dell'Europa e di questo io sono certo che la storia chiederà conto. Per due anni si è andati avanti con un continuo invio di armi, sempre più letali. La propaganda bellicista ci raccontava che i russi erano a corto di armi e di proiettili, che combattevano a badilate, che, grazie alle sanzioni che erano state comminate, la Russia avrebbe fatto in poche settimane, che Putin aveva malattie gravi e che quindi la vittoria sarebbe arrivata in poco tempo. Bastava, secondo loro, inviare armi più potenti e letali per vincere subito. Ora avrei gioco facile a rileggere le fandonie - perché tali sono - di questo tenore propalate dai principali mezzi di informazione e da molti italiani, europei ed americani. Potrei citare gli insulti e gli attacchi forsennati contro tutti coloro che, come noi, esprimevano dubbi sull'utilità di puntare tutto sull'opzione militare e dubbi, tra l'altro, proprio riguardo al fatto che fosse la cosa giusta per l'interesse dell'Ucraina innanzitutto. Purtroppo, tutte le armi che abbiamo fornito insieme ad altri Paesi occidentali non sono state affatto decisive, perché la controffensiva del 2023 è stata, ahinoi, un fallimento e la linea del fronte è rimasta sostanzialmente immutata ed è ferma dal novembre 2022, da quando il generale Mark Milley, il capo di stato maggiore delle forze armate degli Stati Uniti, aveva avvisato che si stava andando verso una guerra di posizione, una guerra di trincea, e che quindi occorreva trovare una soluzione diplomatica al conflitto, sfruttando l'inverno che stava arrivando in quel momento.
Era il novembre del 2022, 14 mesi fa: quindi, sono stati 14 mesi di massacri e devastazioni che si sono rivelati, purtroppo, inutili. Analoghe valutazioni erano state fatte anche dal Capo di stato maggiore delle Forze ucraine, che parlava, anch'egli, di una guerra di trincea che può durare anni, “ma lo Stato ucraino, a differenza della Russia, non ha una riserva umana quasi illimitata”. Ho letto le parole testuali del Capo di stato maggiore ucraino.
Un realismo e un pragmatismo espressi dai due Capi di stato maggiore tipici di chi conosce la guerra, di chi sa come si fa, come si conduce, che conosce le forze in campo, i mezzi, la logistica, le possibilità di vittoria o di sconfitta. Un realismo che contrastava con le ferme convinzioni del Presidente Zelensky che, non a caso, vuole destituire il suo generale.
Il 26 gennaio, - ricordo a me stesso che è un giornale che ha una tradizione di inchieste: fece scoppiare lo scandalo Watergate e il caso Pentagon Papers, quindi non è certo un giornale propagandistico - ha rivelato che è in atto un radicale cambio di strategia dell'amministrazione Biden per l'Ucraina dopo il fallimento della controffensiva del 2023. Gli Stati Uniti - secondo - ritengono ormai impossibile riconquistare i territori occupati dalla Russia, ma vogliono puntare sulla difesa delle posizioni attuali. Non ne siamo felici, ovviamente, ma questo riporta questa inchiesta.
Al di là delle rivelazioni giornalistiche, il MoVimento 5 Stelle sostiene da sempre che la via di uscita non può essere militare, ma deve essere negoziale e, per averlo detto, in ogni occasione siamo stati derisi, accusati di disfattismo e, addirittura, di collaborazionismo con il nemico russo, forse per aver commesso il delitto di leso bellicismo del partito trasversale della guerra .
Non pretendiamo, certo, oggi che ci venga data ragione, ma pretenderemmo di essere ascoltati quando facciamo proposte alternative. Se ci ostinassimo ad alimentare con altre armi la prosecuzione di questa sanguinosa guerra di logoramento, con l'Ucraina che è in estrema difficoltà, la posizione militare e, quindi, negoziale di Kiev può solo peggiorare, anche perché si fa sempre più concreta la possibilità che gli Stati Uniti si defilino, quindi con il conseguente tracollo dell'Ucraina, come è già successo, per quanto riguarda gli Stati Uniti, poco tempo fa in Afghanistan e decenni fa in Vietnam. Sono cose già successe ed è abbastanza probabile che succedano ancora.
Chi vuole il bene dell'Ucraina deve provare a fermare a ogni costo questa guerra, prima che la situazione peggiori a vantaggio ulteriore della Russia. E l'unico modo di difendere l'Ucraina è risparmiare a essa altri mesi o anni di guerra, aiutandola diplomaticamente in tutti i modi, al fine di ottenere quanto più possibile dai negoziati con la Russia, ovviamente sostenendola nella ricostruzione. Non è mandando più armi che salveremo l'Ucraina, ma fermando questa guerra, che rischia di distruggerla.
I fautori dell'invio a oltranza delle armi sostengono che, se smettessimo di inviarle, faremmo vincere Putin, perché l'Ucraina presto non potrebbe più difendersi dagli attacchi e, quindi, le sue Forze armate sarebbero costrette a soccombere. Vero, anche se questo dipenderebbe più dalla carenza di uomini, visto che le Forze armate ucraine sono state decimate dagli attacchi russi, che non da carenza di armi e di munizioni.
Ma, comunque, chi critica la nostra posizione contraria all'invio delle armi e usa questa banale - perché tale è - argomentazione, cercando di farci passare per pazzi incoscienti, velleitari paci-finti o, peggio, come dei cinici filo-putiniani, ignora di proposito l'altra gamba su cui si regge la nostra proposta, cioè la richiesta di un cessate il fuoco immediato, di una tregua delle ostilità che impegni anche russi e ucraini, i quali, quindi, non avrebbero più bisogno di difendersi. Se le armi tacciono, non occorre inviarne altre. Giusto? Credo che possiamo essere d'accordo tutti su questo. Ma come arriviamo a un cessate il fuoco? Come convinciamo Putin e Zelensky a concordare una tregua? Certamente non continuando a mandare armi e a escludere ogni negoziato, ma, invece, proponendo a Ucraina e Russia una soluzione che soddisfi entrambe le parti, come diceva la Presidente Meloni al telefono pensando di parlare con un esponente africano e, invece, parlava con dei comici russi.
Le soluzioni concrete possono essere diverse: stop agli attacchi russi in cambio di ritiro di sanzioni, missioni di per monitorare la tregua composta da forze neutrali accettate da entrambe le parti, un tavolo negoziale permanente per discutere del futuro militare dell'Ucraina e del futuro dei territori oggi occupati. Sono tante le soluzioni, saranno le due parti, sostenute dalla comunità internazionale, a decidere durante il negoziato.
Mi avvio a concludere. È tempo che la politica italiana ed europea si tolga l'elmetto e discuta di questo orizzonte. La politica deve riprendere il suo spazio e il suo ruolo, che è quello di ragionare con pragmatismo sulle soluzioni più razionali e più convenienti per il bene degli ucraini e dei nostri popoli.
Fino ad oggi, l'Italia e l'Europa sono state timorose e passive, incapaci di proporre una soluzione diplomatica, ostinandosi a seguire la ricetta anglo-americana del supporto militare a oltranza e prefigurando, tra l'altro, anche uno scontro diretto con la Russia, come dicono in queste settimane alcuni esponenti, anche importanti, della NATO.
MARCO PELLEGRINI(M5S). Concludo, Presidente. Noi non vogliamo negare agli ucraini il diritto di difendersi, come scioccamente sostiene qualcuno. Noi, al contrario, vogliamo negare ai sostenitori della guerra a oltranza, ai bellicisti di professione il diritto di continuare a prendere in giro gli ucraini e tutti noi, sostenendo l'insostenibile e, cioè, che il terzo anno di guerra porterà vittorie militari impossibili da ottenere .
Per tutti questi motivi, Presidente, annuncio il voto contrario a questo provvedimento, che giudichiamo profondamente sbagliato e nefasto per l'Ucraina .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Formentini. Ne ha facoltà.
PAOLO FORMENTINI(LEGA). Grazie, Presidente. A distanza di un mese dall'ultimo dibattito dedicato al conflitto russo-ucraino, nulla purtroppo è cambiato. Come ci ha ricordato il Ministro della Difesa, l'aggressione russa all'Ucraina prosegue e la resistenza ucraina non ha possibilità di successo senza gli aiuti occidentali, anche quelli italiani. La situazione non accenna a migliorare, al punto che, per sopperire alle proprie accresciute necessità difensive, i vertici militari ucraini stanno considerando di reclutare mezzo milione di uomini per evitare che il riorganizzato dispositivo russo abbia la meglio.
Non è, quindi, il momento di cedere, i russi non si fermerebbero, ma procederebbero alla conquista totale dell'Ucraina, sradicandone la statualità. Non ci sono motivi per illudersi: Putin ha chiarito, nella conferenza stampa di fine anno, che gli obiettivi della Russia in Ucraina non sono mai cambiati. Mosca, quindi, non combatte per rettifiche territoriali o per la tutela delle minoranze russofone del Donbass, ma per denazificare, denuclearizzare e smilitarizzare l'Ucraina ovvero sopprimerne la sovranità, oggi come il 24 febbraio 2022.
I russi si stanno avvalendo della loro superiorità demografica e del successo di alcune misure militari di riassetto. Se non compensiamo con aiuti efficaci Kiev, la sconfitta sarà questione di tempo. Ecco perché non possiamo abbandonare l'Ucraina: avremmo una seconda Kabul, ma questa volta nel cuore dell'Europa.
Abbiamo già confermato la posizione della Lega-Salvini Premier a questo riguardo, lo faremo di nuovo oggi, votando a favore della conversione in legge del decreto-legge dello scorso 21 dicembre.
La comunità internazionale dovrà commisurare deterrenza e diplomazia, come ci ha detto in quest'Aula il Sottosegretario Perego Di Cremnago. Continueremo ad aiutare gli ucraini, senza che questo, peraltro, significhi rinunciare a profondere, con tutte le nostre energie, ulteriori sforzi diplomatici per arrivare alla cessazione delle ostilità. Proseguirà anche l'assistenza umanitaria alla popolazione ucraina e si assicurerà il supporto italiano a tutte le iniziative per la ricostruzione di un Paese martoriato dalla guerra, in piena sintonia con Unione europea e NATO. L'Ucraina ha ancora bisogno di noi, è necessario continuare a sostenerla.
Dopo quasi due anni dall'attacco russo all'Ucraina, non possiamo non notare che, dopo la Russia, anche l'Iran, tramite le milizie filoiraniane, sta destabilizzando il Medio Oriente, il canale di Suez, dove gli Houthi attaccano i mercantili occidentali, risparmiando i mercantili russi e cinesi. Ma la libertà di navigazione non è in pericolo solo in quell'area: è sempre più in pericolo anche nel Mar Cinese meridionale, dove la Cina mostra assertività nel rivendicare il controllo di quelle rotte fondamentali per il commercio globale. Non è più la sola integrità territoriale dell'Ucraina a essere messa in discussione, ma l'intero sistema di regole costruito dall'Occidente. Viva la libertà, viva la democrazia ! Non dobbiamo permettere alle autocrazie di distruggere il nostro futuro e di ledere l'interesse nazionale italiano da Suez, alla Libia, al Sahel, fino allo Stretto di Taiwan .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ascani. Ne ha facoltà.
ANNA ASCANI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, il nostro gruppo esprimerà voto favorevole al decreto che proroga l'autorizzazione al Governo a cedere materiali, mezzi ed equipaggiamenti militari all'Ucraina e lo farà tenendo fede all'impegno assunto in quest'Aula il 25 febbraio 2022, quando, a poche ore dall'aggressione criminale della Federazione Russa ai danni di un Paese libero, sovrano ed indipendente, dichiarammo insieme agli altri gruppi che non avremmo mai voltato le spalle al popolo ucraino e che, insieme ai nostri europei e dell'Alleanza atlantica, l'avremmo sostenuto nella resistenza e aiutato ad esercitare il legittimo diritto alla difesa.
Si trattava di un'invasione - è utile ricordarlo per chi sembra mancare di memoria - anche se, con sprezzo del ridicolo e protervia tipica dei regimi, veniva qualificata come “operazione militare speciale”. Una potenza nucleare invadeva con carri armati e mezzi blindati con migliaia di militari uno Stato confinante per annientare il Governo e le istituzioni democratiche, per annetterlo. Putin voleva cancellare l'Ucraina dalla cartina geografica con la menzogna della denazificazione: questa è la storia di questa vicenda e questa storia non può essere scritta che così.
Un folle disegno neoimperialista ha riportato qui, sul vecchio continente, fosche tenebre di guerra e morte che credevamo cancellate definitivamente, un tragico balzo nel passato, che neppure nelle più distopiche immaginazioni aveva trovato posto. Sotto attacco era l'Ucraina - certo - ma con essa i fondamenti delle nostre libere società e i pilastri su cui si sono poggiati decenni di pace, democrazia e giustizia nell'Europa riemersa dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale, quella nella quale tutti si erano impegnati affinché prevalesse la forza del diritto e non più - mai più - il diritto della forza . Ce lo ha ricordato di recente il Presidente Mattarella: “La libertà e l'indipendenza dell'Ucraina” - ha detto - “sono tutt'uno con i valori fondanti dell'Europa”.
Noi dunque decidevamo di aiutare il popolo ucraino a difendersi, ma nel contempo stavamo difendendo noi stessi e il modello di società che donne e uomini hanno conquistato, anche pagando con la vita, 80 anni fa, sconfiggendo totalitarismi e scellerate ideologie. Stavamo difendendo - ho detto - e stiamo difendendo, colleghe e colleghi, anche con il voto di oggi , anche due anni dopo, anche ora che la speranza di una rapida controffensiva si è scontrata con la complessità del campo di battaglia e un'innegabile stanchezza nelle nostre opinioni pubbliche comincia ad affiorare. Stanchezza che impallidisce, però, se si pensa alla fatica concreta del popolo ucraino, al desiderio che anima ogni cittadino in quel pezzo di Europa di vedersi restituita la pace. Una stanchezza diversa, la loro, che è conseguenza della lotta quotidiana per la libertà, non letta sui giornali, ma combattuta sulla propria pelle, vedendo morire persone care e allontanarsi, giorno dopo giorno, anche il ricordo dei tempi di quiete, cancellati dalla violenza immane di un invasore capace persino di deportare migliaia di bambini; bambini che abbiamo il dovere di riportare a casa, di restituire alle loro madri, alle loro famiglie e al loro Paese .
Nel nostro sistema di valori, colleghi e colleghe, è chiaro il ripudio della guerra. Tra questi banchi - ne sono convinta - in nessuno scranno di quest'Aula siede una donna o un uomo intossicato da spirito bellicista. Noi speriamo e vogliamo che questa guerra finisca, che cessi la sofferenza di un intero popolo, in cui in milioni non hanno più nulla: una famiglia su 3 ha dovuto lasciare la propria casa, 6 milioni di cittadini sono dovuti fuggire in altri Paesi e altrettanti non riescono a mangiare tutti i giorni. E poi ancora bombe, missili e droni continuano a piovere su obiettivi civili, mietendo nuove vittime, spesso bambini. Ieri, 44 missili, 20 droni e 4 morti anche oggi, ogni giorno. E vogliamo che si ponga fine anche alla morte di decine di migliaia di giovani in divisa, una strage mostruosa: non è retorica, è realtà.
Da subito abbiamo chiesto la fine del conflitto, abbiamo chiesto che tacessero le armi e vincesse la pace, abbiamo chiesto che venisse percorsa la via negoziale e noi oggi votiamo con quello stesso spirito, con quella stessa speranza e determinazione, perché una pace giusta e sicura sia possibile. Ed è per questo - lo abbiamo scritto esplicitamente nella risoluzione votata poco più di un mese fa - che riteniamo urgente uno sforzo diplomatico, rinnovato e incisivo dell'Unione europea e chiediamo al Governo di impegnarsi su questa linea e, sempre al Governo, di adoperarsi in ogni sede internazionale per una pace giusta, che si faccia carico delle ragioni dell'aggredito. Lo abbiamo chiesto a un Governo che - c'è da dire - non fa corrispondere a una narrazione baldanzosa sul proprio ruolo nei consessi internazionali altrettanta capacità di iniziativa ed orientamento e quest'assenza, questo vuoto pesano.
Dinanzi al bene supremo della pace, occorre muoversi sul sentiero della franchezza; per questo dobbiamo dire e riconoscere che anche la voce dell'Europa è stata debole. Non nelle prime ore, in realtà, quando la risposta, per quanto difficile, c'è stata, plasticamente rappresentata dalla fotografia dei tre Presidenti Draghi, Macron e Scholz, in viaggio verso Kiev; fotografia che, non a caso, ha infastidito molto la Presidente Meloni. Alla reazione forte e risoluta al tentativo di Putin di dividere l'Unione, non ha fatto seguito però nel tempo una linea altrettanto forte e risoluta che ponesse l'Europa tra gli attori protagonisti della costruzione di una via d'uscita negoziale e diplomatica dal conflitto. Non dobbiamo certo ridimensionare l'importanza della decisione assunta lo scorso dicembre di aprire le porte dell'Unione a Kiev con l'avvio del percorso di adesione, né tantomeno l'approvazione, nei giorni scorsi, del nuovo pacchetto d'aiuti - approvazione purtroppo, come sappiamo, ritardata dal veto ungherese -, ma l'Europa politica, l'Europa che sa tradurre la solidità dei suoi valori in azione coraggiosa e tenace non si è vista. Eppure è quella l'Europa che serve oggi, anche perché - è inutile nasconderlo - una direzione isolazionista degli Stati Uniti, legata all'eventuale infausta affermazione di Trump, non resterebbe senza effetti sul terreno degli equilibri e dei pesi internazionali e di questa guerra naturalmente.
Certo, la strada è impervia, anche perché in Europa esistono forze, come quella di Zemmour, e partiti di Governo, come quello di Viktor Orbán, entrambi prossimi aderenti al gruppo dei conservatori della Presidente Meloni, che la considerano luogo di mera contrattazione degli interessi nazionali e non casa comune di popoli affratellati da un destino condiviso e che in questa vicenda hanno assunto posizioni - per dirla con un eufemismo – “ambigue”. Ma se l'Europa non dovesse in questo tempo compiere un salto di qualità, comprendendo che siamo a un tornante della storia, ritrovando quel realismo profetico dei padri fondatori, allora il suo stesso futuro rischierebbe di essere condizionato, come quello di chi cammina verso una meta desiderata, frenato da pesanti catene.
Signor Presidente, colleghi e colleghe, troppe vite spezzate, troppe rovine, troppe sofferenze frutto di atroce disegno di conquista devono spingere tutti fino a togliere il sonno alla ricerca del cessate il fuoco, ma sapendo bene una cosa, ossia che non ci può essere pace se essa è disgiunta dalla parola sorella “libertà” . Non vive in pace un popolo se non è libero; in quel caso, c'è un altro nome: “schiavitù”.
Libertà e pace: questi sono i doni che abbiamo ricevuto da donne e uomini coraggiosi, saggi e illuminati all'indomani della Seconda guerra mondiale e su cui è nata l'Europa ed è questo quindi il destino che anche noi dobbiamo contribuire a restituire al popolo ucraino .
PRESIDENTE. Saluto una delegazione dell'Assemblea nazionale francese, che è in visita in Italia e che sta assistendo ai lavori dell'Aula dalle tribune del pubblico. Benvenuti .
Saluto anche i docenti e gli studenti dell'Istituto d'istruzione superiore Arturo Prever, di Pinerolo, Torino. Grazie e benvenuti .
Ha chiesto di parlare l'onorevole Gardini. Ne ha facoltà.
ELISABETTA GARDINI(FDI). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, oggi votiamo la conversione in legge del decreto-legge n. 200 del 21 dicembre 2023. È un atto, per Fratelli d'Italia, di particolare importanza, mentre ci avviciniamo al secondo tragico anniversario dell'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte della Federazione Russa. Sì, sono passati ormai due anni dal 24 febbraio 2022, quando la storia è tornata a bussare alle nostre porte e noi abbiamo il dovere di dimostrarci all'altezza delle sfide che ci vengono poste. Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia non hanno avuto esitazioni, hanno subito condannato l'invasione della Russia, si sono subito schierati dalla parte dell'Ucraina, dalla parte dell'aggredito, dalla parte di chi difende democrazia e libertà e questo abbiamo fatto dai banchi dell'opposizione come, coerentemente, dai banchi della maggioranza. Non possiamo dire lo stesso per altri che, a seconda degli scranni su cui siedono, cambiano orientamento o perdono la memoria . Signor Presidente, oggi siedono all'opposizione ma, allora, in maggioranza, dicevano: non si tratta di usare le armi per aggredire, si tratta di dare la possibilità a un popolo di difendersi e ha dell'incredibile l'appello che abbiamo ascoltato di nuovo ieri e ancora oggi a non sostenere l'Ucraina, a non inviare armi che permettano agli ucraini di difendersi e di così negoziare una pace giusta.
Oxana Pachlovska, docente di ucrainistica all'università Sapienza, ha scritto su , riferendosi proprio a questa specificità tutta italiana di marce per la pace, con l'appello a cessare l'invio di armi all'Ucraina, che una tal presa di posizione manca di visione strategica sulle sue conseguenze geopolitiche e mette sullo stesso piano aggressore e aggredito, per cui la violenza russa viene giustificata e il diritto all'autodifesa negato.
É interessante leggere anche quanto scrive, invece, la stessa docente del Presidente Meloni. Scrive, infatti, che la società ucraina ha guardato con timore alle ultime elezioni in Italia - chissà perché, chissà che cosa avevano letto, chissà che cosa avevano sentito, chissà quali becere insinuazioni e da parte di chi - ma che, poi, è avvenuto qualcosa di estremamente interessante, la ferma e decisa posizione della Premier italiana nei confronti dell'Ucraina che ha cambiato non solo l'immagine della politica ma dell'Italia tutta e, oserei dire, non solo agli occhi dell'Ucraina ma della parte più solida delle democrazie occidentali. Si può dire, senza esagerare, che la Meloni ha cambiato l'immagine dell'Italia, vista ora come uno Stato forte e coerente. Tantissime persone in Ucraina seguono con attenzione e ammirazione il Governo italiano.
Da quei banchi vedono e parlano solo di armi, di soldi e ancora di armi, ma non è così. Ieri, un altro autorevole giornale, , ha definito Giorgia Meloni credibile e influente e ha pubblicato un articolo nella sezione , dedicata alle più importanti notizie del panorama mondiale, nel quale sottolinea l'autorevolezza sempre maggiore di Giorgia Meloni in Europa, un lungo articolo nel quale si ricostruisce l'azione del Presidente Meloni per convincere Orbán sugli aiuti all'Ucraina. È stato un grande momento per l'Europa ma è stato anche un grande momento per Meloni, che ha suggellato la sua credibilità come persona in grado di svolgere un ruolo influente ai massimi livelli tra i europei.
Quindi, grazie proprio a questo lavoro di mediazione di Giorgia Meloni, si sono sbloccati i fondi europei per l'Ucraina per i prossimi quattro anni e, grazie al lavoro del Presidente del Consiglio italiano, l'altro ieri abbiamo letto il comunicato stampa del Consiglio europeo che annunciava proprio che Consiglio e Parlamento hanno trovato l'accordo sulla creazione di un nuovo strumento per sostenere la ripresa, la ricostruzione e la modernizzazione dell'Ucraina. Quindi, si tratta di 50 miliardi che non vanno alle armi, signor Presidente, lo riferisca all'opposizione. Lo strumento per l'Ucraina avrà un , appunto, di 50 miliardi di euro, per il periodo 2024-2027. Come vedete, si lavora su più fronti e da tempo.
Non può essere sfuggito a nessuno che il Presidente Meloni, lo scorso maggio, ha partecipato al 4° vertice del Consiglio d'Europa a Reykjavik, in Islanda. In quell'occasione è stata presa la storica decisione di istituire il registro dei danni causati dalla guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l'Ucraina, sotto l'egida del Consiglio d'Europa. Avrà sede all'Aja, con un ufficio satellite in Ucraina, e sarà la base per istituire un meccanismo di risarcimento per le vittime dell'aggressione russa. È già al lavoro, conformemente al diritto internazionale. Certo, la contabilità dei danni di guerra è sempre deprimente, ma necessaria. La guerra non è solo una immane tragedia umana ma fa anche danni giganteschi ed è proprio sul piano della ricostruzione che si vince la pace, ossia con la possibilità di dare un assetto il più possibile sicuro e stabile una volta terminata la guerra. Ci sarà molto da ricostruire, i danni arrecati alle infrastrutture fisiche, secondo la Banca Mondiale, sono stimati in 135 miliardi di dollari - anzi, sono stime già superate - concentrati soprattutto nelle dove si combatte di più, nomi che ci sono, ahimè, diventati familiari: Donetsk, Kharkiv, Kherson, Luhansk, Kiev.
Ricostruzione vuol dire anche rimozione delle macerie, bonifiche dei terreni, sminamento. A questo proposito, il Ministro Crosetto, nell'informativa del 10 gennaio scorso, ha già dato delle cifre, ha parlato di oltre 8 milioni di mine. Pensiamo a cosa vorrà dire liberare il territorio dalle mine che sono state disseminate, 8 milioni. Ma come potremo mai porre rimedio alla perdita di vite umane, al danno demografico, al mancato ritorno di una quota della massiccia emigrazione? L'Ucraina, oggi, dipende totalmente dall'estero, per questo l'aiutiamo. Tutti abbiamo sperato che non accadesse, anche contro gli avvertimenti che dicevano che sarebbe accaduto. Dice l'ambasciatore della Repubblica italiana in Ucraina che se le operazioni militari non hanno avuto successo bisogna dire che la Russia è riuscita a distruggere l'economia ucraina, che oramai dipende interamente dagli aiuti internazionali, siano questi provenienti dagli americani, dagli istituti finanziari internazionali o dalla stessa Unione europea.
Anche l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha agito su un altro tema, drammaticamente attuale: l'urgente necessità di affrontare la situazione dei bambini ucraini trasferiti con la forza nei territori temporaneamente occupati dell'Ucraina, della Federazione russa e della Bielorussia . Ad oggi, la piattaforma - ascoltate bene, Presidente, ascolti e riferisca perché è una cosa terribile - ha raccolto informazioni su quasi 20.000 bambini segnalati come trasferiti con la forza da varie località e di questi, ad oggi, solo 388 sono tornati a casa.
Tornando alle istituzioni dell'Unione europea, ieri, l'Alto rappresentante Borrell, in visita a Kiev, ha ribadito al Primo Ministro ucraino che per l'Unione europea l'Ucraina rimane una priorità assoluta, perché questa guerra influisce direttamente anche sulla nostra sicurezza. Ha dovuto, purtroppo, porgere le condoglianze al Primo Ministro, perché nella notte, come abbiamo appreso anche noi dai , c'erano state altre vittime civili, a seguito di altri attacchi indiscriminati da parte dei russi. L'Alto rappresentante ha, poi, fornito alcuni dati che smentiscono le cifre che vengono continuamente date dai banchi dell'opposizione. L'Unione europea - parole dell'Alto rappresentante - ha dato all'Ucraina un sostegno, negli ultimi due anni, di circa 88 miliardi di euro e, di questi 88 miliardi di euro, solo 28 miliardi sono stati dati in sostegno militare. A questi vanno aggiunti i 50 miliardi di cui abbiamo detto, che saranno probabilmente, anzi, sicuramente, votati definitivamente entro la fine del mese.
Ebbene, mi sembra chiaro, e concludo, che nostro dovere, anche, forse prima di tutto, verso noi stessi, sia sostenere l'Ucraina. Come ha detto il Ministro Crosetto, questo Governo prosegue nel solco del precedente Esecutivo e pone la classifica di segretezza sugli aiuti inviati a Kiev, ma il Governo ha confermato che anche questo ottavo pacchetto di aiuti militari è costituito da equipaggiamenti e sistemi d'arma volti a rafforzare, solo e soltanto, le capacità difensive delle Forze armate ucraine. E permettetemi proprio di chiudere con le parole del Ministro Crosetto, pronunciate in quest'Aula: “C'è una Nazione che ogni giorno, ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, è attaccata e si deve difendere da centinaia di bombe che cadono su obiettivi civili e militari e questo da quasi due anni.
Quando saranno passate 24 ore senza che questi attacchi partano e arrivino, potremo iniziare a parlare di pace. In attesa che questo accada, dobbiamo impedire a quelle bombe di cadere sui territori, di cadere sugli asili, sugli ospedali, sugli obiettivi civili ucraini . Ed è quello che abbiamo fatto in questi due anni, fornendo pacchetti che hanno salvato migliaia di vite ucraine da un attacco russo. Per questo, ringraziando il Governo e il Presidente Meloni per la ritrovata centralità dell'Italia negli scenari internazionali, annuncio il voto favorevole del gruppo di Fratelli d'Italia
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge n. 1666: S. 974 - "Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina" .
Dichiaro aperta la votazione.
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Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di una informativa urgente del Governo sulla vicenda di Ilaria Salis, detenuta in Ungheria.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi - per 7 minuti ciascuno - e delle componenti politiche del gruppo Misto - per un tempo aggiuntivo - in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani. Silenzio, per cortesia, grazie.
ANTONIO TAJANI,. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia è la culla del diritto, è la Patria di Cesare Beccaria e l'azione del Governo è sempre orientata al rispetto ed alla tutela del diritto nazionale, internazionale e comunitario. Il garantismo ispira il mio e il nostro agire per quanto riguarda il rispetto dei diritti dei detenuti. Pregiudicati o incensurati, in attesa di giudizio o condannati: per noi ciò che conta è sempre la tutela della dignità della persona . Questi i principi ed i valori che ci guidano.
La vicenda della signora Ilaria Salis rientra tra gli oltre 2.400 casi di connazionali detenuti all'estero. Per ognuno di essi, indipendentemente dal merito della loro situazione giudiziaria, ci adoperiamo per fornire assistenza e garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali. Così abbiamo fatto, fin dal primo giorno, per il caso Salis, ben prima che diventasse oggetto di polemiche politiche.
Partiamo, quindi, dai fatti. Il 13 febbraio 2023 la procura di Budapest ha informato l'ambasciata d'Italia che la signora Ilaria Salis era stata posta in stato di fermo due giorni prima, con l'accusa di violenza armata di gruppo. L'aggressione di cui la signora Salis è accusata sarebbe avvenuta al termine di una manifestazione politica di estrema destra. La connazionale, sempre secondo l'accusa, apparterrebbe a gruppi organizzati che avrebbero pianificato l'aggressione di alcuni militanti presenti alla manifestazione.
Un'indagine è in corso anche in Germania su soggetti di nazionalità tedesca, alcuni dei quali destinatari di mandati di cattura nazionali per reati commessi nella stessa circostanza.
La signora Salis è stata rinviata a giudizio e attualmente è detenuta in carcere a Budapest. La richiesta da parte della procura è di una pena detentiva di 11 anni.
L'ambasciata d'Italia si è attivata immediatamente per fornire ogni possibile assistenza alla signora Salis e ai suoi familiari, con cui ha intrattenuto un intenso dialogo. Ha effettuato frequenti visite consolari in carcere ed è intervenuta per venire incontro alle richieste della connazionale rispetto alle sue condizioni detentive.
Il giorno 14 febbraio 2023 si è svolta la prima udienza davanti al giudice per le indagini preliminari, a cui ha assistito anche un funzionario dell'ambasciata, che ha incontrato la signora Salis e il suo legale. Durante l'udienza è stata accolta la richiesta dell'accusa di custodia cautelare in carcere.
La signora Salis è stata, invece, prosciolta da una seconda imputazione per un'altra aggressione, poiché era stato comprovato che, al momento dello svolgimento dei fatti di questa seconda aggressione, non si trovava in Ungheria.
L'autorità giudiziaria ungherese ha poi, con successivi provvedimenti, prorogato la custodia cautelare della signora Salis, misura consentita dalla legge ungherese per indagini relative a reati di violenza di gruppo.
Il giorno dopo la prima udienza, il 15 febbraio 2023, l'ambasciata ha riferito al signor Roberto Salis del colloquio con la figlia, gli ha assicurato ogni collaborazione per inviarle beni e denaro e l'ha informato dell'assistenza consolare che le nostre sedi possono fornire ai detenuti italiani all'estero.
Il 19 febbraio, la signora Salis ha scritto all'ambasciata per descrivere le sue condizioni detentive, lamentando in particolare cimici nel letto. L'ambasciata ha contattato subito il legale della connazionale per una richiesta di cambio di cella. Richiesta poi accolta.
Il 3 marzo la signora Salis ha confermato all'ambasciata di essere stata trasferita in una cella senza cimici e ha riferito di altri problemi: la visita del medico non ancora ottenuta, la mancanza dell'ora d'aria e di strumenti per la pulizia della cella. L'ambasciata ha segnalato tempestivamente al penitenziario i vari problemi, chiedendone la soluzione.
Con provvedimento del 9 marzo 2023, la procura generale di Budapest ha inizialmente imposto alla connazionale un regime di detenzione fortemente restrittivo. Il provvedimento della procura proibiva i contatti della signora Salis con i genitori e non consentiva nemmeno quelli con due cittadini italiani indicati dalla signora Salis come persone di riferimento nella richiesta inoltrata tramite il proprio legale ungherese.
L'ordinanza non consentiva neppure i contatti richiesti con l'avvocato italiano. La possibilità di comunicazioni con l'esterno erano persone in un primo momento limitate al solo legale ungherese e all'ambasciata d'Italia a Budapest. Tale condizione è stata confermata anche da una lettera del 15 marzo 2023, con la quale la signora Salis informava del divieto di contattare i genitori e il legale italiano e chiedeva all'ambasciata di farlo, cosa che è avvenuta nella stessa giornata.
Sabato 16 marzo, l'ambasciata è riuscita ad ottenere per il successivo mercoledì l'autorizzazione ad effettuare la prima visita consolare in carcere, chiesta già a febbraio. La visita è stata, appunto, effettuata il giorno 20 marzo. In tale occasione, il personale dell'ambasciata ha consegnato alla signora Salis indumenti e altri generi di prima necessità e ha raccolto le istanze della connazionale in merito alle condizioni di detenzione e ai suoi contatti con l'esterno. La signora Salis ha lamentato il fatto che le fossero impediti contatti con i genitori, l'avvocato in Italia e le persone da lei indicate come punti di riferimento, nonché il fatto di trovarsi da sola in cella.
La signora Salis ha comunque confermato di disporre dei fondi necessari per il proprio sostentamento e di poter comunicare regolarmente con il proprio avvocato ungherese. Ha inoltre manifestato l'intenzione di chiedere il trasferimento in Italia e ha espresso il desiderio di sfruttare il tempo della detenzione per prepararsi a un concorso pubblico. L'ambasciata ha subito inviato alla madre la richiesta dei libri. Grazie all'azione di sensibilizzazione condotta dalla nostra sede nei confronti delle autorità ungheresi, la signora Salis ha ottenuto un miglioramento delle condizioni detentive, dalla concessione dell'ora d'aria alle condizioni igieniche, all'effettiva ricezione del denaro inviatole, come lei stessa ha confermato in una lettera del 24 marzo. Anche durante la seconda visita consolare in carcere, svoltasi il 5 aprile, il personale dell'ambasciata ha consegnato alla signora Salis un pacco di indumenti e generi di prima necessità e ha nuovamente parlato con lei del suo stato di salute e delle condizioni detentive. In una lettera del 19 aprile, la signora Salis ha informato l'ambasciata di essere stata spostata il giorno 13 aprile in una cella più spaziosa e condivisa con altre 2 detenute. Poiché la connazionale lamentava scarse condizioni igienico-sanitarie, l'ambasciata ha contattato il penitenziario, ottenendo di spostare nuovamente la signora Salis in un'altra cella. Il 26 aprile il vice capo missione e responsabile dell'ufficio consolare ha avuto una videoconferenza con i genitori della signora Salis, i legali ungheresi e italiani e le persone indicate dalla detenuta come punti di contatto. Il 9 maggio la detenuta ha chiesto all'ambasciata aiuto nel disbrigo di pratiche relative al concorso cui intende partecipare. L'ambasciata ha inoltrato la richiesta al contatto indicato dalla signora Salis. Il 18 maggio si è svolta la terza visita consolare in carcere e in tale occasione è stato possibile consegnare alla detenuta un pacco contenente libri e altro materiale didattico per la preparazione al concorso. In questa occasione la signora Salis ha confermato che le problematiche precedentemente sollevate erano state risolte. Ha riferito della sua partecipazione alle attività formative organizzate dalla struttura, mentre ha comunicato che il ricorso per poter avere contatti con i genitori era stato respinto. Il 9 giugno il vice capo missione ha assistito a un interrogatorio della detenuta. Il giorno 13 giugno 2023 lo stesso funzionario ha ricevuto in ambasciata il signor Roberto Salis, il compagno e 2 conoscenti della signora Salis. In tale occasione ha ribadito la piena disponibilità della rappresentanza ad attivarsi in qualsiasi momento per assistere la connazionale. Il 5 luglio il personale dell'ambasciata ha effettuato una quarta visita in carcere e ha consegnato un nuovo pacco con indumenti e libri richiesti. La detenuta ha lamentato il fatto che da quasi un mese non riceveva il consueto bonifico, con la conseguente impossibilità di acquistare beni di prima necessità. Terminata la visita, l'ambasciata si è attivata per risolvere il problema. Il 21 luglio ha inviato una nota verbale alla procura generale chiedendo un incontro con la procura generale per discutere del regime di detenzione della signora Salis. Il giorno 26 luglio il vice capo missione e l'addetto consolare hanno incontrato alti funzionari della procura generale, la direttrice generale per la supervisione delle indagini, il capo del dipartimento affari internazionali e del dipartimento monitoraggio della legislazione sull'applicazione delle leggi penitenziarie. L'intervento era stato concordato con il signor Roberto Salis e con i legali in vista della successiva udienza. Nel rimarcare la grande attenzione per il caso Salis, l'ambasciata è tornata a sensibilizzare le controparti ungheresi sulle condizioni detentive della signora. In particolare, ha evidenziato l'impossibilità per la connazionale di comunicare con l'esterno e le esigenze alimentari della detenuta. A questo intervento l'ambasciata ha fatto seguire, il giorno 3 agosto, un'apposita comunicazione all'istituto penitenziario per ribadire la necessità di attuare la dieta prescritta dal medico alla signora Salis. Il giorno 11 agosto si è svolta una nuova udienza davanti al giudice per le indagini preliminari, che ha ulteriormente esteso il fermo cautelare. Analogamente a quanto fatto in precedenza, l'addetto consolare dell'ambasciata ha partecipato all'udienza e ha incontrato la signora Salis e il suo legale. In una missiva del 29 agosto all'ambasciata, la signora Salis si è lamentata della mancanza d'aria nella cella a causa della scarsa apertura della finestra e dell'afa. A seguito della lettera, l'ambasciata ha contattato il penitenziario per richiedere un nuovo cambio di cella. La signora Salis ha informato l'ambasciata che la dieta veniva rispettata regolarmente e in una lettera del 1° settembre ha riferito che il regime di detenzione era stato significativamente allentato. Alla connazionale venivano, in particolare, consentiti contatti regolari con i genitori attraverso visite e chiamate via , passi in avanti ottenuti proprio grazie alla costante sensibilizzazione della nostra ambasciata. Il 12 ottobre i genitori della signora Salis sono stati nuovamente ricevuti in ambasciata insieme agli avvocati italiani, al compagno e a un'amica della connazionale. La quinta visita consolare si è svolta il 25 ottobre. Oltre alla consegna del pacco inviato dai genitori e dagli amici, i funzionari dell'ambasciata hanno avuto un nuovo colloquio con la signora Salis.
ANTONIO TAJANI,. Subito dopo la visita consolare, il vice capo missione e l'addetto consolare hanno incontrato il nuovo direttore degli istituti penitenziari di Budapest per ribadire la massima attenzione al caso e l'importanza di garantire condizioni carcerarie dignitose e rispettose dei diritti della detenuta. In particolare, hanno sollecitato, così come richiesto dalla signora Salis, che fosse effettuato un cambio di lenzuola regolare e che il regime dietetico venisse confermato ed esteso. L'udienza del 14 novembre ha confermato la proroga della custodia cautelare in carcere. Il 21 novembre i genitori della signora Salis sono stati ricevuti in ambasciata per un nuovo incontro sugli aggiornamenti processuali e difensivi. In quell'occasione hanno confermato la possibilità di contatti regolari con la figlia attraverso visite e chiamate . Il 13 dicembre l'ambasciata ha effettuato la sesta visita consolare presso il penitenziario. In questa occasione la signora Salis ha sottolineato la necessità di visionare gli atti del processo opportunamente tradotti e i video a suo carico. Il giorno 19 dicembre l'ambasciata ha sollevato entrambe le questioni con una nota verbale al Ministero degli Esteri ungherese. Il riscontro, ricevuto il 12 gennaio 2024, ha indicato le modalità di accesso ai fascicoli relativi ai procedimenti penali.
In vista della prima udienza processuale, e considerando quindi la chiusura delle indagini, il 22 gennaio 2024, in occasione del Consiglio Affari esteri dell'Unione europea, ho sollevato il caso con il Ministro degli Esteri ungherese durante un incontro bilaterale appositamente richiesto da me. A lui ho sottolineato che la signora Salis lamentava di avere difficoltà nell'accesso agli atti processuali tradotti e ai video prodotti come prova a suo carico. Ho ricordato che la detenuta era stata lungamente sottoposta a un regime di custodia cautelare che ne aveva limitato fortemente la possibilità di interazione con l'esterno e ho sottolineato che il Governo italiano esige il rispetto dei diritti e delle garanzie previste dalle norme europee, in sintonia con la nostra civiltà giuridica. Ho inoltre sottolineato l'auspicio di una revisione del regime di custodia cautelare, concedendo alla detenuta misure alternative. A tal fine ho consegnato al Ministro ungherese un documento scritto. Il 23 gennaio il Ministro Nordio ha ricevuto il signor Roberto Salis. Nel corso del colloquio, il nostro Ministro della Giustizia ha suggerito l'opportunità di avanzare domanda di arresti domiciliari in Ungheria. Si tratta di una questione giuridica dirimente perché la concessione di misure cautelari alternative alla detenzione, che deve essere richiesta dai legali e disposta dall'autorità giudiziaria ungherese, è condizione necessaria per invocare l'attivazione della decisione quadro n. 829 del 2009 che consente, testualmente, il reciproco riconoscimento fra i Paesi membri dell'Unione europea delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.
In tre circostanze l'avvocato della signora Salis aveva presentato istanza di misure cautelari alternative al carcere, ma in tutti e tre i casi era stato chiesto che la misura venisse applicata direttamente in Italia. Le istanze sono state respinte dal magistrato ungherese.
Il Ministro Nordio, invece, ha sottolineato al signor Salis come un'istanza di misure alternative in Ungheria abbia maggiore possibilità di essere accolta dall'autorità giudiziaria ungherese. Soltanto dopo la concessione di una misura alternativa in Ungheria, sarà possibile proporre un'ulteriore istanza per ottenere l'applicazione di tale misura in Italia, ai sensi della decisione quadro europea.
Il giorno 24 gennaio 2024 l'ambasciatore ha effettuato una visita consolare in carcere alla signora Salis, ha ribadito la massima attenzione con la quale l'ambasciata segue il suo caso e ha reiterato la disponibilità a sostenere future richieste inoltrate dalla difesa in merito alla richiesta di misure alternative al carcere.
Nel corso dell'udienza del 29 gennaio 2024, la signora Salis ha respinto le accuse dichiarandosi innocente. L'avvocato della signora Salis ha rilevato durante l'udienza la mancanza della traduzione degli atti di accusa in italiano e la mancata visione del video di sorveglianza, lamentando, dunque, una non piena informazione e comprensione da parte della signora Salis del capo di imputazione. Il suo legale non ha presentato domanda di misure cautelari alternative al carcere in Ungheria, contrariamente a quanto era stato suggerito dal Ministro Nordio. La prossima udienza è stata calendarizzata per il 24 maggio e in tale occasione sarà chiamata a testimoniare anche la parte lesa.
Le immagini della prima udienza processuale del 29 gennaio, con l'imputata condotta in aula in catene, hanno giustamente colpito tutti noi.
In una lettera al suo avvocato italiano, ricevuta pochi giorni prima dall'ambasciata, la signora Salis aveva fatto una serie di considerazioni sulla situazione processuale e sulle condizioni carcerarie e tra le numerose questioni aveva menzionato anche l'uso delle catene in udienza, ma, dal momento che è pratica purtroppo comune, prevista dalla normativa locale nel caso di reati più gravi connessi alla violenza, lo stesso avvocato ungherese della detenuta non aveva mai incentrato su questo specifico aspetto una richiesta di intervento da parte dell'ambasciata. L'esibizione delle catene in aula dell'imputata, con le immagini trasmesse in televisione, ha avuto un forte impatto sulle opinioni pubbliche. Essa non appare, infatti, in linea con lo spirito delle norme europee.
La direttiva n. 343 del 2016 prevede, infatti, che gli Stati membri adottino “misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso di misure di coercizione fisica”, chiusa la citazione, pur prevedendo che si possano, aperte virgolette, “adottare misure coercitive necessarie per ragioni di sicurezza legate al caso di specie”. Chiusa la citazione.
Proprio per questo motivo, ho immediatamente chiesto, con una dichiarazione pubblica al Governo ungherese, cito testualmente, di “vigilare e intervenire affinché vengano rispettati i diritti previsti dalla normativa comunitaria della cittadina italiana Ilaria Salis detenuta in attesa di giudizio”.
Sentito il Presidente del Consiglio, quindi, immediatamente ho dato disposizione di convocare l'ambasciatore ungherese e al nostro ambasciatore di fare un passo presso le autorità di Budapest.
Il 30 gennaio il segretario generale della Farnesina ha, quindi, incontrato l'incaricato d'affari dell'ambasciata ungherese - l'ambasciatore non era a Roma - per ribadire la grande attenzione con cui il Governo italiano segue la vicenda. L'ambasciatore Guariglia ha espresso la protesta del Governo italiano per le condizioni in cui la signora Ilaria Salis è stata detenuta e viene trattenuta durante l'udienza in tribunale a Budapest. Ha richiamato altresì i principi cardine previsti dalla normativa europea e internazionale, relativi al rispetto delle garanzie a tutela della dignità delle condizioni detentive, incluse le modalità con cui l'imputato viene condotto in tribunale, e delle garanzie di un equo processo. Il segretario generale si è inoltre soffermato sull'assoluta necessità che alla signora Salis e ai suoi legali siano garantiti l'accesso alla traduzione in italiano degli atti di accusa, come già richiesto dalla difesa, e la visione del video di sorveglianza, alla base dell'imputazione, per assicurare il pieno godimento del diritto alla difesa e un equo processo.
Nella stessa giornata del 30 gennaio 2024, il nostro ambasciatore ha ricevuto i genitori, il compagno e alcuni congiunti e legali della signora Salis. I genitori della signora Salis sono poi stati accolti dall'ambasciatore il giorno successivo.
Su mia istruzione l'ambasciatore Jacoangeli, nel pomeriggio del 30 gennaio, ha incontrato il Ministro della Giustizia ungherese per reiterare le rimostranze circa le condizioni di carcerazione della connazionale e il trattamento riservato alla signora Salis in aula. Il Ministro ha comunicato di aver richiesto al procuratore generale una relazione dettagliata sulla vicenda. In seguito a questo incontro, la signora Salis ha ricevuto la visita del procuratore capo, di una psicologa e di un'educatrice.
La nostra connazionale ha poi riferito in una successiva lettera, pervenuta all'ambasciata il giorno 1° febbraio, che il verbale dell'incontro propostole per la firma era solo in ungherese. L'ambasciata ha subito comunicato all'avvocato italiano il contenuto della lettera e ha inviato alle autorità ungheresi un'altra nota verbale con la richiesta di una copia del documento firmato dalla signora Salis.
Il Presidente del Consiglio Meloni ha affrontato il caso di Ilaria Salis con il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán in due occasioni: la prima al telefono il 30 gennaio; la seconda a margine dei lavori del Consiglio europeo il 2 febbraio. Nel rispetto dell'autonomia dei giudici, che ovviamente esiste anche in Ungheria, ha chiesto che venga riservato alla nostra connazionale un trattamento di dignità e rispetto e un giusto processo. Ho ribadito tale auspicio al Ministro degli Esteri ungherese, da me di nuovo incontrato a Bruxelles il 1° febbraio.
Il 5 febbraio il Ministro Nordio ed io abbiamo ricevuto, in due incontri successivi, il signor Roberto Salis, che ha fatto due richieste: una missiva del Governo italiano alla magistratura ungherese per favorire la concessione di una misura cautelare alternativa alla detenzione e l'ipotesi che tale misura possa essere eseguita presso l'ambasciata. Avevo detto al signor Salis che, qualora i Ministeri dell'Interno e della Giustizia avessero autorizzato tale ipotesi, non mi sarei opposto.
Il Ministro Nordio ha illustrato le ragioni di diritto e di fatto per cui la richiesta di sostituzione della misura cautelare presso l'ambasciata italiana non è possibile. L'ambasciata, infatti, non è un luogo idoneo all'esecuzione di misure coercitive, non ha né la struttura né la legittimazione a sostituirsi a un domicilio privato come luogo di detenzione. Servirebbero lavori all'interno dell'ambasciata per creare un'apposita area di detenzione e servirebbe un incremento del numero dei Carabinieri .
Signor Presidente, l'ambasciata d'Italia è un luogo dove sono anche conservati documenti riservati, c'è un ufficio cifra, non è una casa privata e, quindi, deve essere preservata la sicurezza dello Stato perché qualsiasi detenuto deve garantire, comunque, la sicurezza dello Stato e, quindi, non può girare liberamente nell'ambasciata, aprire cassetti, entrare e chiudere. Quindi è una questione di sicurezza nazionale !
PRESIDENTE. Colleghi, colleghi, colleghi, fate proseguire il Ministro Tajani.
SALVATORE DEIDDA(FDI). È il PD!
PRESIDENTE. Collega Deidda, collega Deidda! Basta, collega Deidda.
Prego, Ministro Tajani, continui.
ANTONIO TAJANI,. Signor Presidente, per fare in modo che il detenuto in attesa di giudizio possa stare nell'ambasciata d'Italia in qualsiasi Paese del mondo c'è bisogno che, pur essendo agli arresti domiciliari, non possa prendere visione o possesso della documentazione riservata del Ministero degli Affari esteri, cosa che nessun cittadino italiano può fare .
PRESIDENTE. Colleghi, colleghi, per cortesia. Colleghi! Mi scusi, Ministro, aspetti un attimo. Colleghi! Collega Provenzano! Questo è il momento in cui il Ministro sta rendendo l'informativa. Poi ci saranno gli interventi dei gruppi, di tutti i gruppi. Colleghi ! Collega Enrico Costa, il suo gruppo avrà modo di intervenire quando sarà il turno del suo gruppo. Adesso tutti ascoltiamo quello che ha da dire il Ministro in Parlamento. Prego, Ministro.
ANTONIO TAJANI,. Detto questo, qualora ci fossero le autorizzazioni necessarie da parte dei Ministeri dell'Interno e della Giustizia, l'ho detto al padre, io non mi sarei opposto, però dico quali sono le condizioni per una detenzione agli arresti domiciliari in un ufficio pubblico, che non è una casa privata, all'estero .
La situazione dei Marò, citata come termine di paragone dal signor Salis, non è in realtà equiparabile. Il reato contestato ai marò era stato commesso su nave italiana in acque internazionali . L'Italia ha da subito contestato la giurisdizione delle autorità indiane, dando vita a una controversia internazionale in cui ha poi prevalso. Era in discussione l'immunità di due militari italiani nell'esercizio delle proprie funzioni. L'Italia riteneva, cioè, che l'esercizio da parte indiana della propria giurisdizione violasse gli obblighi internazionali di rispettare l'immunità dei pubblici ufficiali di Stati stranieri. Un tribunale internazionale ha, poi, dato ragione all'Italia proprio sulla base del principio per cui gli Stati non hanno giurisdizione su altri Stati.
Diverso appare il caso della signora Salis in cui l'Italia non contesta, ne può contestare la giurisdizione ungherese. Ogni Stato ha il diritto di esercitare la giurisdizione penale per reati commessi nel proprio territorio. Il Ministro Nordio ha, inoltre, rilevato che un'interlocuzione epistolare tra un dicastero italiano e un organo giurisdizionale straniero sarebbe irrituale e irricevibile. La decisione sullo stato di libertà dell'indagato compete solo al giudice ungherese. Se il documento richiesto fosse una semplice spiegazione, il magistrato ungherese potrebbe rispondere che già conosce la nostra legge. Se, invece, fosse una surrettizia richiesta di convertire la custodia cautelare in carcere in arresti domiciliari, allora sarebbe una interferenza.
Il collega Nordio ha, quindi, nuovamente prospettato al signor Salis l'opportunità che il difensore ungherese presenti un'istanza per la concessione degli arresti domiciliari in Ungheria, unico mezzo per consentirne l'esecuzione in Italia.
Il Ministro Nordio ha ribadito che il Governo è pronto, ove richiesto dal Ministero della Giustizia ungherese, a fornire ogni dettaglio relativo all'esecuzione della misura alternativa in Italia. Ha, inoltre, spiegato che, anche attraverso l'intervento del Garante dei detenuti, sarà assicurata la conformità del trattamento detentivo della connazionale alle norme internazionali. Vigilerà su questo anche la Commissione europea che, per bocca della commissaria McGuinness, si è dichiarata disposta ad avviare una procedura d'infrazione nei confronti dell'Ungheria qualora dovesse ravvisare il mancato rispetto del diritto europeo.
Ieri, il nostro ambasciatore ha nuovamente incontrato la signora Salis che gli ha sottolineato il netto miglioramento delle condizioni di detenzione. Ha menzionato gli aspetti igienici (disinfestazione della cella, distribuzione di lenzuola e coperte nuove), sanitari, riguardo sia la dieta sia la trasmissione dei referti medici richiesti, l'approccio generalmente più cortese di tutto il personale carcerario, il regime soddisfacente per quanto riguarda le comunicazioni. Può parlare liberamente sia con la famiglia, sia con l'ambasciata. La connazionale ha poi informato che le stanno dando l'accesso ai video a sostegno dell'accusa, ma non ha ancora la traduzione italiana degli atti processuali, questione che l'ambasciata tornerà a sollevare.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo questa mia lunga ricostruzione dei fatti, credo sia evidente come ci siamo adoperati fin dall'inizio per assicurare ogni possibile assistenza alla signora Salis e ai suoi familiari, naturalmente nei limiti che impone il rispetto del principio di sovranità giurisdizionale di un altro Stato nel proprio territorio, principio che impedisce ogni interferenza nella conduzione del processo.
A chi grida di riportare Ilaria in Italia chiederei a quale soluzione stia pensando e siamo pronti ad accettare ogni tipo di suggerimento. L'unica per noi percorribile, per un reato commesso in uno Stato membro dell'Unione europea, è quella delle regole e le regole europee prevedono che, per chiedere gli arresti domiciliari in Italia, devi prima chiederli e ottenerli nel Paese che esercita la giurisdizione. Questa è l'idea condivisa anche dal legale ungherese, stando alle sue dichiarazioni, ma - sempre a quanto riportano le agenzie - non della famiglia.
È paradossale che chi si erge ogni giorno a difensore dell'autonomia della magistratura chieda ora a noi di fare pressione affinché il Governo ungherese influenzi le determinazioni del giudice , un corto circuito che alimenta tensioni e polemiche, che danneggiano innanzitutto la causa di Ilaria.
Evitiamo di trasformare una questione giudiziaria, regolata da norme nazionali ed europee ben definite, in un caso politico, che regala sicuramente grandi titoli sui giornali, ma non fa il bene della signora Salis .
Io garantista lo sono, lo sono come Ministro degli Affari esteri e ho l'onore di guidare un partito che del garantismo ha fatto una delle sue principali battaglie per la riforma della giustizia e sono garantista - io - a prescindere dalle idee politiche di chi è coinvolto in vicende giudiziarie.
L'esperienza dimostra che agire con discrezione e gradualità consente di ottenere spesso i migliori risultati, proprio nell'interesse primario del detenuto. È il caso di Alessia Piperno , che era nelle carceri dei in condizioni ben peggiori e che, grazie alla nostra azione, è rientrata a casa prima ancora che le imputazioni le venissero formulate e che venisse incardinato il procedimento penale. Ricordo che Alessia Piperno è una cittadina italiana di religione ebraica, una , arrestata arbitrariamente dai e dalla Polizia morale perché aveva un drone che usava in occasione di manifestazioni a favore della dignità delle donne in Iran.
Ma vi è anche Patrick Zaki, un caso che il Governo ha risolto perché abbiamo consentito a questo giovane studente egiziano di tornare in Italia, cosa che altri non erano riusciti a fare .
Il nostro Governo, quindi, continuerà a lavorare, magari senza clamore, ma con impegno e determinazione per difendere la dignità e i diritti di Ilaria Salis e di tutti i detenuti italiani all'estero, 2.405 persone
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto.
Ha facoltà di parlare il deputato Maschio.
CIRO MASCHIO(FDI). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, innanzitutto ringrazio il Ministro Tajani per l'assoluta chiarezza con la quale ha ricostruito i fatti e per l'impegno concreto, senza clamori, che ha fatto capire a tutti noi e non solo da qualche giorno, da quando si è alimentato il clamore mediatico, ma fin dall'inizio di questa vicenda. Quindi, un grazie al Governo italiano per l'impegno che ha profuso fin dall'inizio .
Ilaria Salis è stata arrestata in Ungheria in un taxi, assieme al signor Tobias Edelhoff, capo della famigerata organizzazione Hammerbande o Hammergang, organizzazione dedita ad aggressioni armate ad avversari politici. Ovviamente, sarà l'autorità giudiziaria ungherese a stabilire se Ilaria Salis è colpevole o innocente, non saranno certo la politica o i a fare il processo. Per quanto ci riguarda, è comunque presunta innocente fino alla sentenza definitiva e come tale va trattata, nel rispetto della dignità, nelle sue condizioni detentive, e con il diritto a un giusto processo . Ci auguriamo che la sinistra si ricordi di questo principio fondamentale - la presunzione di innocenza - anche quando riguarda avversari politici in Italia, perché non si può essere garantisti a corrente alternata, con una doppia morale a seconda di chi sia il destinatario .
L'Italia si è attivata fin dall'inizio, come bene ha ricostruito il nostro Ministro degli Affari esteri, e lo ha sempre fatto in modo imparziale nei confronti degli oltre 2.400 cittadini italiani detenuti all'estero.
Questo impegno è stato confermato anche dalla stessa signora Salis e dalla sua famiglia, perché è un dato di fatto oggettivo che siano migliorate le condizioni detentive, le cautele e le attenzioni nei confronti di questa nostra concittadina. Il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla colpevolezza e dal clamore mediatico, vanno garantiti sempre e comunque. Quindi, è un dato di fatto oggettivo che lo Stato italiano ha fatto molto e molto continuerà a fare a difesa della nostra concittadina.
Altra cosa, ovviamente, è chiedere o pretendere misure che non sono possibili: . Ci sono norme ben precise. La decisione quadro 2008/829/GAI, applicata anche in Italia, stabilisce condizioni ben precise in base alle quali possa esserci un'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.
E, quindi, correttamente, il Ministro Nordio ha suggerito - e pare sia condiviso dal legale della signora Salis - l'invito a chiedere le misure alternative in Ungheria, perché solo questa strada consentirebbe, poi, all'Italia l'attuazione di misure migliorative rispetto allo stato detentivo attuale. Se i legali della signora Salis si attiveranno in tal senso, sicuramente si potranno avere esiti positivi.
Il Governo italiano, ovviamente, deve muoversi nel rispetto delle norme e dei trattati internazionali. Non si può fare diversamente e non si può pensare o pretendere che il Governo italiano interferisca nelle competenze dell'autorità giudiziaria ungherese, così come sarebbe inaccettabile che il Governo Orbán intervenisse nelle competenze della magistratura italiana. Immaginiamoci cosa accadrebbe se ci fosse una situazione simile . Quindi, anche qui, il principio fondamentale dell'autonomia e indipendenza della magistratura deve valere sempre, non si può pretendere di fare eccezioni in alcuni casi e non in altri.
La sinistra, spiace constatarlo, è arrivata perfino ad accusare il Governo di timidezza, di non aver fatto nulla. Cito testualmente un deputato del Partito Democratico: “Non vorremmo che questa timidezza sia derivata dalla volontà di difendere politicamente un vostro amico più di quanto non abbiate a cuore la difesa dei diritti di una nostra concittadina”.
Queste accuse indegne e false sono inaccettabili e vanno respinte al mittente . Semmai, non vorremmo che fosse il contrario, non vorremmo che qualcuno a sinistra fosse accecato dalla volontà di attaccare ad ogni costo il Governo Meloni più che avere a cuore la difesa dei diritti della nostra concittadina Ilaria Salis . Quindi, chiariamoci, l'obiettivo è attaccare il Governo, alimentare la tensione politica all'interno del nostro Paese e nei confronti di un altro Paese o è difendere una nostra concittadina? Noi non abbiamo dubbi sul fatto che l'obiettivo sia il secondo e non il primo.
Per questo occorre abbassare i toni, abbassare la tensione, evitare che continui a montare un caso politico, occorre lasciar lavorare i Governi e le diplomazie nel rispetto delle norme internazionali, possibilmente senza clamori mediatici. Questa, nel rispetto delle regole e delle procedure del diritto, è la via maestra per consentire il prima possibile, anche nel caso di Ilaria Salis, di arrivare a una soluzione che sia ancor più confacente ai criteri di dignità, di rispetto e di garantismo che tutti noi abbiamo a cuore. Sono certo che l'Italia continuerà a farlo, come ha fatto fin dall'inizio, lo farà fino alla conclusione di questa vicenda. Quindi, Ministro Tajani, Ministro Nordio, il Governo italiano ha tutto il nostro sostegno nel mantenere l'atteggiamento corretto, imparziale ed equilibrato che ha tenuto finora in questa vicenda .
PRESIDENTE. Saluto gli studenti, le studentesse e i docenti dell'Istituto di istruzione superiore Rocco Scotellaro, di San Giorgio a Cremano, che assistono ai nostri lavori dalle tribune .
Ha chiesto di parlare il deputato Orlando. Ne ha facoltà.
ANDREA ORLANDO(PD-IDP). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, lei sa e sapeva, entrando in quest'Aula, che il giudizio sulla sua informativa sarebbe dipeso dalla possibilità di pronunciare una frase relativamente semplice: “Abbiamo fatto tutto quello che si poteva”. Lei questa frase non l'ha pronunciata ed ha fatto bene, perché sarebbe stata una menzogna. Lei, con la sua relazione, ci ha confermato oggi che il Governo italiano ha trattato in modo ordinario una vicenda che ha caratteri straordinari . Lei ha fatto un lungo elenco, passando per la dieta e le lenzuola, di attività che ordinariamente le ambasciate svolgono, ma Ilaria Salis è ristretta nelle carceri ungheresi da un anno e lei sa, come me, che il nostro ordinamento prevede una pena in concreto per il reato che lei ha contestato, più o meno, della durata che è già stata scontata per la carcerazione preventiva. La Salis ne rischia 10.
Nel corso di quest'anno, l'attività politico-diplomatica, finalizzata ad evitare a una nostra concittadina trattamenti disumani e degradanti, è stata - la sua relazione lo conferma - praticamente nulla . Eppure, lei, persino meglio di me - mi spiego, Ministro -, sa quanta dell'attività dei vertici delle ambasciate, quanta parte degli formali e informali, durante gli incontri delle nostre autorità di Governo con quelle degli altri Paesi, siano dedicate ad assicurare ai nostri compatrioti, persino a quelli condannati, standard che sono garantiti dalle Carte internazionali a tutela della persona. E questo, soprattutto, quando questi Paesi sono da considerarsi a rischio dal punto di vista del pieno rispetto dello Stato di diritto, com'è nel caso dell'Ungheria. È un'attività che si svolge non solo di fronte ad evidenti violazioni - come in questo caso -, ma anche, diciamo così, in prevenzione.
Lei ci ha detto che la prima discesa in campo di un'autorità politica in questa vicenda, il primo segnale dato da un'autorità politica in questa vicenda risale a poco più di una settimana fa. Un recluso in un Paese straniero vede fatalmente compresso il diritto alla difesa e vive moltiplicata la condizione di vulnerabilità - oltre le pareti fisiche, ci sono quelle dell'estraneità al contesto, della lingua, della distanza dalla propria famiglia - e, nonostante ci fossero tutte le ragioni per manifestare attenzione e per far sentire la presenza del nostro Paese, ripeto, nessuna azione concreta e simbolica si è registrata. E questa ignavia, signor Ministro, si è trascinata sino a questi giorni ed è proseguita in queste ore. Lei ha citato, entrando qui, Cesare Beccaria, ma mi sembra che sul vostro vessillo abbiate messo don Abbondio .
Alla famiglia tralascio la parentesi, immagino, di involontaria comicità, in cui ci parlava della difficoltà di adeguare l'ambasciata alla detenzione della Salis che girerebbe a frugare nei cassetti dell'ambasciatore . La tralascio perché non vi hanno chiesto questo, vi hanno chiesto di utilizzare la residenza privata dell'ambasciatore e non l'ambasciata.
Alla famiglia e all'avvocato, che vi chiedevano di farvi garanti dell'esecuzione delle misure cautelari in Italia o, almeno, di illustrare con una nota l'equipollenza degli istituti previsti dal nostro ordinamento, avete risposto negativamente, adducendo argomenti che sono stati, talvolta, puerili e, altre volte, grotteschi.
La Premier, dopo 5 minuti di colloquio con Orbán, ha certificato unilateralmente l'autonomia della magistratura ungherese. E, in base a questa affermazione, gli italiani sono stati sbeffeggiati dallo stesso Orbán che ha spiegato che lui poco o nulla può fare riguardo a questa vicenda.
Peccato che, proprio questo sia uno dei punti su cui si è aperto un contenzioso con l'Unione europea e che la Commissione di Venezia, che è emanazione del Consiglio d'Europa, organo al quale sia l'Italia che l'Ungheria aderiscono, abbia aspramente criticato la riforma giudiziaria approvata a Budapest nel 2012.
Sapete, onorevoli della destra, su cosa si regge l'autogoverno della magistratura magiara (e lo dico sperando di non fornirvi un'ispirazione)? Si regge su un magistrato nominato dal Parlamento a maggioranza semplice. Poiché quest'argomentazione forse non risultava sufficiente, è sceso in campo il Ministro Nordio, che ci ha spiegato che lui, da pubblico ministero, si sarebbe sentito contrariato nel caso di un richiamo di un'autorità al rispetto degli standard: nutrivamo già qualche perplessità sul Nordio Ministro, ma questa dichiarazione ci ha fatto anche sorgere qualche dubbio sul Nordio pubblico ministero . Perché un magistrato, aperto al dialogo tra le giurisdizioni, dovrebbe contrariarsi di fronte a un Paese che chiede garanzie ed offre, con spirito collaborativo, in base alla decisione quadro, soluzioni alternative rispetto a quelle già disposte, in grado, comunque, di garantire lo svolgimento del processo e poi eventualmente l'esecuzione della pena? Infine, avvicinandosi il Carnevale, non poteva mancare il siparietto del Vicepresidente del Consiglio, l'onorevole Salvini, che, in qualità di autorità morale, non poteva risparmiarci una disquisizione sull'idoneità all'insegnamento dell'imputata. Capite, mentre i giudici a Budapest decidevano le misure cautelari per la Salis, gli stessi magistrati leggevano, dalle agenzie, che il numero 2 del Governo italiano stava celebrando, via , il processo, definendo persino le pene accessorie e le inabilitazioni .
Ora io mi chiedo - e se lo chiedono in molti -: non conta niente il Paese teatro di questa vicenda? Non conta niente l'appartenenza politica di Orbán e quella della Salis ? Ci sono le ragioni del diritto - e noi vogliamo siano garantite ad Ilaria Salis - e ci sono le ragioni del rispetto della CEDU, che l'Ungheria è accusata di disattendere e per questo vi esortiamo a riprendere l'iniziativa che non avete preso e noi saremo a collaborare. Ma poi c'è la ragion di Stato, c'è l'interesse nazionale, c'è il prestigio dell'Italia. Togliamo da questa vicenda la nebbia prodotta dal miscuglio di vittimizzazione secondaria, faziosità politica e malafede, alimentata anche da certi organi di stampa che hanno prodotto un processo mediatico parallelo. Guardiamo con freddezza: voi pensate che gli Stati Uniti accetterebbero quasi in silenzio l'immagine di un loro concittadino portato in catene di fronte a un giudice , abbia questo occupato Capitol Hill o Wall Street? Pensate che lo farebbero la Francia, la Germania o l'Inghilterra? Ma non capite che accettare supinamente quella foto significa esporre la nostra Patria al ridicolo e all'umiliazione ? Un ridicolo che potrà ripetersi ancora molte volte se la vostra reazione non è forte e netta. No, non avete fatto il bene di Ilaria Salis e nemmeno quello dell'Italia .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Davide Bellomo. Ne ha facoltà.
DAVIDE BELLOMO(LEGA). Grazie, signora Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, onorevoli colleghi. È paradossale che si critichi l'informativa del Vicepresidente del Consiglio, dicendo che non ha detto una parola, mentre ha letto un discorso, dalla prima all'ultima parola. Questo è il sintomo del pregiudizio e del preconcetto che sempre la sinistra ha in ogni suo intervento, in ogni suo modo d'agire e in ogni cosa . Invece, dobbiamo ringraziare il Governo, da un certo punto di vista, perché si è dato modo di appurare come il Ministro degli Esteri e la Farnesina agiscano in silenzio, senza pregiudizio, senza vedere il colore degli imputati e senza vedere l'imputazione, ma solo nel rispetto dei diritti umani, dei diritti degli imputati, dei diritti dei cittadini, ancor più italiani.
È l'analisi specifica di tutto ciò che ha fatto la Farnesina, nel rispetto del diritto europeo, perché non si può sempre dire in quest'Aula - l'abbiamo sentito numerosissime volte - che dobbiamo rispettare il volere dei giudici e poi si dice che Orban è colui il quale non rispetta i giudici e per questo l'Unione europea lo condanna e adesso invece si chiede che interveniamo su Orban, affinché la magistratura ungherese non sia autonoma nel proprio giudizio . Ora questo è un caso che ci dà da riflettere, sì, e chi mi ha preceduto - lo dico, per suo tramite, Presidente - non può dire che la Salis è accusata di semplici lesioni per un reato per cui in Italia avrebbe già scontato la pena, perché bisogna leggere sempre gli atti e le imputazioni. L'imputazione è quella di far parte di un'associazione a delinquere per la quale il reato fine è il reato di lesioni e il reato di associazione a delinquere non prevede affatto una pena bassa, in quel Paese prevede una pena di 11 anni di reclusione. Ma la Farnesina e tutti noi non abbiamo fatto questo tipo di differenziazione e neanche lei, nel momento in cui, come Ministro degli Esteri, ha agito con la Farnesina per fare in modo che venissero garantite le condizioni umane di quella cittadina italiana - direi di quella cittadina europea -, perché, dall'informativa - mi auguro che la leggerete tutti quanti - si vede come numerosissime volte si è intervenuto per il cambio di cella, per fare in modo che l'ora d'aria fosse rispettata e per garantire quei diritti. Non è che, siccome la cittadina italiana forse è di sinistra, la dobbiamo liberare pure se ha fatto parte di un'associazione a delinquere - . Noi sempre abbiamo agito - lei - per garantire i diritti “senza colore” e, quindi, forse questo è stato un , perché forse voi vi aspettavate che dall'informativa emergesse che lo Stato italiano non si fosse comportato in questa maniera. È paradossale che, nonostante la tutela dei principi fondamentali dell'uomo e la tutela del garantismo - è appena andato via il nostro Ministro della giustizia -, nel momento in cui si promulgano riforme tese al garantismo e tese ai diritti - invece questo è pregiudizio - poi ci scontriamo con ipotesi del tutto contrarie e ci sentiamo dire che vogliamo liberare i colpevoli .
Ora, signor Vicepresidente del Consiglio, leggendo tutto quello che è stato fatto, veramente le siamo grati, siamo grati a questo Governo per come ha agito: anche quando si muove in terra estera, nei rapporti che lei costantemente deve tenere, lo fa con dedizione, nel rispetto del programma di Governo, perché ricordiamoci che questo Governo ha nel suo programma esattamente quei valori e quei diritti che oggi la sinistra ci dice che, invece, non dobbiamo rispettare o dobbiamo rispettare solo ed esclusivamente quando riguardano una cittadina italiana che - a loro dire evidentemente - non vota noi, ma vota loro. Questo non lo accettiamo: noi ci siamo comportati sempre nel rispetto del diritto e del garantismo.
Per questo, noi la ringraziamo, come gruppo della Lega, per quello che la Farnesina ha fatto, per la sua dedizione e speriamo - lo dico come garantista - che Ilaria Salis possa aspettare il processo, se lo merita, agli arresti domiciliari, perché poi le norme si devono rispettare e bisogna anche sapere che, per avere gli arresti domiciliari in Italia, bisogna fare in modo che prima l'autorità giudiziaria ungherese conceda gli arresti domiciliari in quel Paese. Solo in quel momento la norma europea consente di richiedere che gli arresti domiciliari possano essere scontati in Italia. Quindi, vada avanti, signor Ministro, nel suo lavoro, il gruppo della Lega è con lei e la ringraziamo nuovamente per quello che sta facendo .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Riccardo Ricciardi. Ne ha facoltà.
RICCARDO RICCIARDI(M5S). Grazie, Presidente. Un po' di contesto, perché noi viviamo in un Paese in cui il “Giorno dell'onore” che raduna i neonazisti di tutta Europa, quelli che volevano e vogliono gli ebrei nei campi di concentramento - perché il contesto del “Giorno dell'onore” è questo -, viene definito qui dentro una manifestazione politica . Quindi, noi viviamo in un Paese dove, se critichi Netanyahu perché sta facendo 27.000 morti, ti danno dell'antisemita, ma se derubrichi a manifestazione politica il raduno mondiale dei neonazisti, lo puoi fare, da Ministro degli Affari esteri. Questo è il contesto.
Ministro, io penso di aver assistito a una delle pagine più vergognose da quando sono qui dentro. Onestamente, ho sentito un elenco di cose dovute, lei ha detto: ha voluto il cambio di cella, le hanno portato le lenzuola e così via. Ricordo: 35 giorni senza assorbenti, senza alcuna cura, in mezzo a topi e scarafaggi, mangiando pane e salame marcio una volta al giorno; portata la prima volta in cella, già l'anno scorso, non oggi, legata mani e piedi, con degli stivali e dei tacchi a spillo, questo è stato dato a questa ragazza. E sentire dire che noi abbiamo fatto di tutto, perché ci ha chiesto il cambio delle lenzuola e gliele abbiamo portate, è una roba vergognosa. Lo ripeto, vergognosa ! Io ho paura se all'estero, a difendermi, c'è un Ministro che ha questo atteggiamento.
Poi, sentiamo parlare senza alcun alcuna cognizione di causa della Hammerbande, che non sapete neanche cos'è, perché non esiste. Vi do una notizia: in Ungheria non c'entra niente la Hammerbande. La Hammerbande si riferisce a una costruzione giornalistica di fatti avvenuti in Germania tra il 2014 e il 2020, con delle condanne che ci sono state, e nelle 800 pagine del processo Ilaria Salis non c'è, non esiste. Quello che è accaduto in Ungheria non c'entra niente con la Hammerbande che, ribadisco, voi non sapete neanche cos'è. Ma permea, purtroppo, lo dobbiamo dire, dai banchi della maggioranza e nei commenti di giornali e dei di centrodestra, la sensazione che quella zecca comunista un po' due botte se le merita, in galera. Permea questa roba . Permea nei vostri discorsi, permea nel vostro atteggiamento, perché sentir dire che noi ci attiviamo, perché, forse, vota a sinistra, è una roba, anche questa, che non sta né in cielo né in terra. E, poi, sentiamo parlare di garantismo quando un giornale pubblica un'intercettazione riguardante un ladro che ruba soldi pubblici; se viene pubblicata l'intercettazione e si dice “guardate, questo ha rubato”, in quest'Aula si comincia a dire: non viene garantita la libertà delle persone, è una vergogna nei confronti dei diritti degli esseri umani. Mentre una ragazza può stare 35 giorni in isolamento, 23 ore su 24, 8 mesi senza avere un contatto con la propria famiglia, i propri legali e senza avere i verbali delle accuse per cui sta in galera. E si sente dire: beh, in effetti, però, è la giurisdizione ungherese e non possiamo andare contro la giurisdizione ungherese. Ma con quale faccia? Lo ripeto: con quale faccia, che in Italia, prima di dire a una persona che è un ladro, lo dovete beccare con la refurtiva in mano? Mentre qui si cominciano a fare tutti i distinguo del mondo; fate tutti i distinguo del mondo!
Lo spettacolo che ha dato la classe politica in queste settimane è stato allucinante: da quello che ha detto il Vice Premier Salvini alla Lega che tira fuori un video in cui Ilaria Salis avrebbe aggredito un gazebo a Monza, mentre in realtà è stata assolta per quella roba . È stata assolta! E questo da parte dei garantisti. E, Vice Ministro, un suo europarlamentare, Matteo Gazzini, su usa l': #ilariasalisingalera ; un suo europarlamentare di Forza Italia, ma di che cosa stiamo parlando?
Ma siete patriottici di che? E lei, che ci viene a fare l'elenco di quello che ha fatto per un anno, il 30 gennaio ha detto: non avevamo notizie di trattamenti di detenzione particolari. Lei ce l'ha detto, Ministro, e oggi ci viene a dire che, invece, eravate informati. Allora, quando ce l'ha detta, la bugia, Ministro, il 30 gennaio od oggi ? Quando ce l'ha detta? Perché se lei ne era a conoscenza - come ne era a conoscenza, da quello che ci ha detto oggi - non poteva dire, il 30 gennaio, una roba del genere; non poteva proprio dirla.
Quindi, noi riteniamo che questo non c'entri niente. Quando ci dite che ci sono 2.400 persone carcerate all'estero, vi ricordo che qui non si sta mica dicendo di non lavorare per queste 2.400 persone. Venite tutte le settimane a riferirci e a dirci quello che state facendo in maniera riservata e nelle sedi riservate.
Quello che sta accadendo a Ilaria Salis in Ungheria è un processo politico di un regime che ha tollerato una manifestazione di neonazisti e continua a tollerarla, nei confronti di una persona che la pensa diversamente; è un processo politico, nient'altro. E voi, come politica, accogliete il Presidente di questa Nazione nella famiglia del partito della Presidente del Consiglio e non potete e non avete il coraggio, politicamente, di affrontare un Paese che opera in una situazione del genere.
In tutto ciò, la grande assente è l'Europa, perché io sento che l'Europa fa dei richiami quando un ambulante vuole una concessione - gli ambulanti non possono avere le concessioni ed ecco l'Europa che interviene - mentre, su una ragazza trattata in questa maniera indegna, l'Europa tace bellamente e non dice nulla …
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
RICCARDO RICCIARDI(M5S). Veramente, oggi, abbiamo avuto la riprova, ahimè, che purtroppo per i destini di queste persone non c'è un Governo che fa gli interessi dell'Italia e che fa gli interessi delle italiane e degli italiani .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pietro Pittalis. Ne ha facoltà.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Signor Presidente, colleghe e colleghi, intanto, ringrazio il Ministro Antonio Tajani per l'informativa che ha puntualmente ricostruito la vicenda della nostra connazionale detenuta all'estero e che - penso - avrebbe dovuto sollecitare anche le opposizioni a dire al Ministro: grazie per quello che hai fatto . Non, invece, ad avvitarsi in inutili, quanto capziose, polemiche. L'opposizione, quella dei 5 Stelle, del Partito Democratico, e delle sinistre utilizza ancora una volta una vicenda umana per farne una questione di polemica politica interna nei confronti del Governo italiano…
PRESIDENTE. Collega, si rivolga alla Presidenza…
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Il Ministro Antonio Tajani vi ha detto chiaramente come è intervenuto. È intervenuto in modo energico, manifestando pubblicamente la condanna per quel trattamento, che ha dichiarato, senza mezzi termini, essere non rispettoso dei diritti civili e non conforme al diritto europeo.
Il Ministro Tajani ha investito della questione il suo collega degli Affari esteri ungherese, ha convocato l'ambasciatore ungherese in Italia, ha chiesto per Ilaria Salis il rispetto dei diritti della detenuta e un processo equo. Il Ministro Tajani, che con il Ministro Nordio, ha incontrato il padre della Salis, ha assicurato, attraverso il nostro corpo diplomatico in Ungheria, il costante impegno sul piano umano e logistico, creando le condizioni affinché Ilaria Salis potesse essere visitata dal padre, dai familiari, dal suo avvocato, da un medico, assistita in udienza da un addetto dell'ambasciata e da un interprete che le è stato messo a disposizione.
Allora, colleghe e colleghi dell'opposizione, mi chiedo e vi chiedo: ha senso polemizzare, ha senso strumentalizzare una vicenda umana per meri calcoli politici ed elettorali, come state facendo ?
Vedete, colleghi, noi comprendiamo la preoccupazione di un padre verso la figlia reclusa in un Paese straniero, però bisogna dire le cose come stanno. Io ho qui una nota, che probabilmente nessuno conosce, una nota che è stata consegnata al mio capogruppo, Paolo Barelli, da persone che hanno voluto sensibilizzare anche il nostro gruppo sulla situazione di Ilaria Salis. Ebbene, in questa nota, a firma di Roberto Salis, il padre di Ilaria, datata Monza, 15 luglio 2023, vi sono due passaggi che voglio evidenziare per amore della verità: Ilaria è stata arrestata mentre si trovava su un taxi con Tobias Edelhoff, ricercato per terrorismo dalla giustizia tedesca. Così riportiamo la vicenda nel suo giusto ambito .
E c'è una seconda questione che mi pare utile evidenziare. Sapete cosa dice Roberto Salis? Del caso è stata ovviamente informata l'ambasciata italiana a Budapest e siamo in contatto diretto con il dottor Taraddei e il dottor Trasciatti. Onorevole Orlando…
PRESIDENTE. Si rivolga alla Presidenza, collega!
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). …si informi meglio prima di inveire contro il Ministro Tajani !
PRESIDENTE. Collega, si deve rivolgere alla Presidenza!
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Questi sono i fatti. Queste sono le dichiarazioni a firma di Roberto Salis, padre di Ilaria .
PRESIDENTE. Colleghi, colleghi, fate proseguire il collega Pittalis. Prego. Collega Pagano! Pittalis, prego.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Mi pare che il signor Roberto Salis non sia stato lasciato solo, a conferma proprio di un contatto diretto e costante con il nostro Corpo diplomatico in Ungheria. E allora, colleghi dell'opposizione, che, come il Presidente Conte e l'onorevole Orlando, avete avuto ruoli di responsabilità nei Governi che ci hanno preceduto, sapete benissimo che ci sono cose che si possono fare e cose che non si possono fare. Le cose che si possono fare il Governo e il Ministro Tajani le hanno fatte. E quando le ha potute fare, il Ministro Tajani le ha ricordate stamattina, ad esempio quando è stato possibile riportare in Italia Alessia Piperno o permettere a Patrick Zaki di rientrare in Italia.
Ma sapete benissimo che non rientra nelle competenze del Governo italiano liberare un detenuto all'estero. Non si può pensare che il Governo italiano possa interferire sulla vicenda processuale. Non lo può fare in Italia, immaginiamoci se lo possa fare nei confronti della magistratura ungherese, che, al pari di quella italiana, è autonoma e indipendente dal potere Esecutivo.
I detenuti all'estero - ricordava il Ministro degli Affari esteri - sono 2.405. Sapete che il 35 per cento circa è in attesa di giudizio, con sentenze non definitive o in attesa di estradizione in Stati dove le condizioni di vita carcerarie sono al limite, se non oltre la dignità umana. E lo sono non da ieri, ma da anni, da quando vi erano altri Governi e altri Ministri, compreso lei, onorevole Orlando!
UBALDO PAGANO(PD-IDP). Cosa c'entra?
PRESIDENTE. Collega! Collega, non può parlare direttamente a un altro collega. È la terza volta che glielo dico.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Sì, Presidente, ma finiamola con questa ipocrisia! Io mi sto rivolgendo a lei, alla Presidenza…
PRESIDENTE. No, non c'è nessuna ipocrisia, si chiama Regolamento! Adesso mi ascolta un attimo! È la terza volta che glielo dico!
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Prego, Presidente.
PRESIDENTE. Il Regolamento di questa Camera prevede che lei si debba rivolgere non al collega, ma alla Presidenza. Va bene?
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Ma non mi sto rivolgendo al collega!
PRESIDENTE. Ha detto collega Orlando tre volte! Tre volte! Va bene ?
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Io lo sto citando. Lei non mi può impedire di citare nessuno.
PRESIDENTE. Colleghi! Collega Barelli. Collega Barelli. C'è un Regolamento, che lei conosce meglio di me e io sono tenuta a richiamare chiunque in quest'Aula che invece di rivolgersi alla Presidenza si rivolge a un collega .
SALVATORE DEIDDA(FDI). È il PD! Non vale solo per noi!
PRESIDENTE. Ora, per cortesia, colleghi, vale per tutti, vale per tutti! Colleghi, facciamo concludere il collega Pittalis. Collega, deve parlare alla Presidenza, semplicemente. Credo che sia perfettamente in grado di farlo. Lo faccia.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Presidente, io mi sono rivolto alla Presidenza, ma lei non mi può impedire di citare le responsabilità dell'onorevole Orlando quando era Ministro della Giustizia ! Ha capito?
PRESIDENTE. Non solo non glielo impedisco, ma lei lo fa liberamente.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). E allora, Presidente, sarebbe facile - anche a voler seguire la polemica verbosa di certi settori di questa opposizione - richiamare, ad esempio, il caso di Enrico Forti, che dal 2000 è recluso in Florida e il suo caso sembrava sul punto di incontrare una svolta nel 2020, quando l'allora Ministro degli Affari esteri, Luigi Di Maio, parlò di un imminente ritorno in Italia di Forti
Ma Forti è ancora ristretto nelle carceri di massima sicurezza, nelle paludi della Florida. Noi, però, ci siamo ben guardati dal sollevare e dal fare polemiche.
Ma c'è il caso di tanti altri giovani, come Filippo Mosca, ristretto a Costanza, in Romania, in uno dei peggiori carceri europei, oggetto di condanna da parte della Corte dei diritti dell'uomo per trattamenti inumani e degradanti, e del cui caso - devo darne atto - solo Roberto Giachetti si sta occupando recentemente. A lui va la nostra solidarietà anche per lo sciopero della fame in atto per la situazione dei suicidi in carcere Ma siccome, probabilmente, in Romania, come in Brasile o come in Spagna, non c'è un Orbán da attaccare, il caso, così come i casi di altri 2.405 detenuti, evidentemente, non interessa a queste opposizioni.
ANDREA CASU(PD-IDP). Ma non è vero!
PRESIDENTE. Collega Casu.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). E allora, tornando alla vicenda della Salis, l'auspicio è quello di arrivare alla sentenza il prima possibile, e ci auguriamo che sia di assoluzione. Può essere sicuramente espulsa dall'Ungheria in caso di condanna, ma ci hanno spiegato bene, il Ministro Tajani e il Ministro Nordio, quali sono le alternative: è possibile solo nel caso degli arresti domiciliari. Ringraziamo ancora il Ministro Tajani per le assicurazioni date.
Ministro, noi sappiamo il grande lavoro che lei sta facendo. Io le voglio, appunto, ricordare che ci sono 2.405 detenuti che non possono chiedere di essere agli arresti domiciliari nelle ambasciate italiane, perché quello che si fa per Ilaria Salis lo si dovrebbe fare, allora, per tutti, perché non ci sono cittadini di serie A o di serie B .
In conclusione, ci riteniamo ampiamente soddisfatti, signor Ministro, per la sua informativa. Vada avanti con quella determinazione e con quella serietà che ha dimostrato e che sta riportando l'Italia ad essere protagonista nello scenario europeo ed internazionale. Forza Italia sarà al suo fianco
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per un richiamo al Regolamento il deputato D'Attis. Ne ha facoltà. Colleghi, consentite al deputato D'Attis di intervenire. Collega, mi dice su quali articoli?
MAURO D'ATTIS(FI-PPE). Sull'articolo 36 del Regolamento, Presidente, così magari abbiamo la possibilità, finalmente, di chiarirci, perché mi rendo conto che il Presidente, in questi casi, viene messo in difficoltà. L'articolo 36 del Regolamento recita: “Gli oratori parlano dal proprio banco, in piedi e rivolti al Presidente”. Chiariamoci sul termine “rivolti”: se devono rivolgersi fisicamente, e ci sta, oppure se si devono rivolgere anche diversamente. Siccome in quest'Aula, spesso, tutti veniamo richiamati non al fatto fisico, ma al merito dell'intervento, la Presidenza chiarisca, una volta per tutti, a cosa questo Regolamento fa riferimento. Perché, il collega Pittalis si è regolarmente rivolto fisicamente alla Presidenza, ma nel suo intervento si è riferito all'intervento citando il collega al quale si voleva riferire; e non può essere ammonito per aver richiamato, in questo caso, il collega Orlando, dovendo citare una parte dell'intervento che il collega Pittalis non aveva condiviso, rivolgendosi fisicamente alla Presidenza.
Quindi, Presidente, se il collega Pittalis si è rivolto fisicamente alla Presidenza, le chiedo di chiarire che non può essere ammonito o richiamato sotto qualsiasi altro punto di vista
PRESIDENTE. Grazie, onorevole D'Attis, perché consente di chiarire una cosa e, ovviamente, qualora si ritenesse di doverlo fare ulteriormente, io riferirò la sua richiesta al Presidente. Il collega Pittalis non solo non era rivolto fisicamente alla Presidenza, ma non ha citato l'intervento dell'onorevole Orlando, si è riferito direttamente al collega in un colloquio. È prassi qui per tutti, e io l'ho fatto decine di volte Mi scusi, collega, mi faccia finire. Poi, ripeto, se c'è necessità di un chiarimento, io riferirò naturalmente del suo intervento al Presidente e avremo un chiarimento che facilita anche il nostro lavoro, mi creda, perché dover interrompere chi parla, ricordando che è necessario rivolgersi alla Presidenza, non è sicuramente mai bello neanche per chi presiede.
Tuttavia, la prassi fin qui è stata quella di non consentire a chi interviene di rivolgersi non solo fisicamente, ma anche con la parola, direttamente a un collega. Quindi, non citare un intervento, non solo lo può fare, è naturale che avvenga in un dibattito, soprattutto come questo. Fin qui, questa è stata la prassi con cui è stato interpretato l'articolo 36, che lei giustamente ha letto.
Riferirò al Presidente di questo suo intervento e valuteremo se questa prassi debba essere in futuro modificata. Ci tengo solo a dire che, per quanto riguarda la mia modalità di presiedere, ho fatto questo stesso intervento decine di volte con tutti coloro i quali si sono rivolti, anziché alla Presidenza, a parole, a un altro gruppo o a un altro collega.
Ha chiesto di parlare il deputato Enrico Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Grazie, Presidente…
PRESIDENTE. Scusi, collega Costa, mi consenta solo di salutare due scuole in visita. Siccome non siamo riusciti a salutarle per questo dibattito, lo faccio e le do la parola.
Saluto studenti e studentesse del Liceo scientifico Alfredo Oriani, di Ravenna e del Convitto nazionale Maria Luigia, di Parma, che assistono ai nostri lavori dalle tribune .
TOMMASO FOTI(FDI). Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.
PRESIDENTE. Collega Costa, deve aspettare, perché, nel frattempo, c'è un intervento sul Regolamento, sempre sull'articolo 36, del collega Foti. Prego, onorevole Foti.
TOMMASO FOTI(FDI). Presidente, non metto in dubbio…
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Presidente, ma così non intervengo mai!
PRESIDENTE. Il richiamo al Regolamento viene prima, collega Costa, lo so.
TOMMASO FOTI(FDI). Sono trenta secondi, Costa, se mi lasci finire, ho già concluso. Signora Presidente, le do atto e do atto a tutti i Presidenti di avere utilizzato per tutti la stessa misura, però, dinanzi al sistematico ricorso ad affermazioni quali “è prassi” o “ci sono precedenti”, e dico di più, di questi precedenti i deputati non hanno mai contezza, non vi è una possibilità di consultare i precedenti e di vedere in quale situazione si verificano, mi permetto di dire che forse è meglio che si scrivano norme che sono inequivoche sul punto, perché determina anzitutto meno lavoro della Presidenza ed evita inutili scambi o duelli etimologici, che hanno poco senso.
Devo dire che anche in passato, visto che si parla di prassi, mi permetto di dire soltanto che, se andiamo a leggere i discorsi che hanno fatto di partito in queste Aule, quando probabilmente c'era meno forma e più politica, le posso assicurare che i richiami sono sempre stati diretti nei confronti del destinatario dell'osservazione. Dopodiché, le do atto della sua correttezza .
PRESIDENTE. Grazie, non ripeto quello che ho già detto al collega D'Attis, ovviamente, perché risponde anche alla sua osservazione.
Do la parola all'onorevole Enrico Costa, che giustamente stava iniziando il suo intervento. Mi scuso, collega Costa, prego.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. È un po' difficile, sono un po' a disagio a stare tra le due curve ultrà che si contendono questo scenario e questo palcoscenico, perché noi la presunzione di innocenza e il rispetto della dignità del detenuto li abbiamo sempre sostenuti in quest'Aula. Li abbiamo sostenuti ieri, li sosteniamo oggi, li sosterremo domani.
Colgo l'occasione per ringraziare il Ministro Tajani per il suo intervento e vorrei utilizzare questa occasione per fare un discorso che vada oltre il caso specifico Salis, perché questo caso, questa circostanza ci insegna che la giustizia molto spesso è utilizzata strumentalmente da una parte e dall'altra, ripeto, da una parte e dall'altra.
Infatti, sentire il collega Orlando dire che oggi parliamo del caso Salis perché è un caso straordinario è un qualcosa che non sta né in cielo né in terra, perché ci sono centinaia, migliaia di detenuti nella stessa condizione nel mondo, e, devo dire, taluni anche in Italia, dei quali non si parla. Non si parla, perché non sono in Ungheria? Non si parla, perché non hanno una certa connotazione politica? Non si parla, perché non fanno notizia? Questo non lo so.
Sono stato il primo, nel momento in cui ho visto la fotografia di Ilaria Salis tenuta al guinzaglio, a chiedere, con un'agenzia di stampa, al Ministro Tajani di richiamare l'ambasciatore, perché questo è un atto tra Stati che ha un certo significato. E devo dare atto che, da quel momento, il Ministro Tajani si è attivato, a differenza, lo dico, del suo collega che era seduto alla sua sinistra, che ha agito da comparsa, perché il Ministro della Giustizia, in questa circostanza, è stato una comparsa, con un atteggiamento pilatesco, con un atteggiamento di consulenza agli avvocati, che tutto ha a che fare tranne con il ruolo anche di cooperazione giudiziaria che deve avere il Ministero della Giustizia. Perché non si può essere sostenitori della presunzione di innocenza entro i confini del Paese, non si può parlare di abuso della custodia cautelare entro i confini del Paese, e dimenticarselo, quando un cittadino italiano viene colpito fuori dal perimetro del nostro Paese.
Ma la stessa cosa vale al contrario. Lo stesso ragionamento va fatto rispetto a certe forze politiche. Ho ascoltato l'intervento del collega Ricciardi e del collega Orlando che citano e parlano della presunzione di innocenza oggi, su questo caso, mentre i loro rispettivi gruppi al Senato, in questo stesso momento, la calpestano , quando si chiede, nella legge di delegazione europea, di recepire la direttiva europea sulla presunzione di innocenza, quella stessa direttiva che stabilisce che il cittadino deve essere portato in tribunale libero, salvo determinate eccezioni, e noi l'abbiamo recepita, come Paese.
Avevo fatto un emendamento per il recepimento, l'abbiamo recepita, e nel nostro Paese, è vero, ci possono essere alcune eccezioni alla libertà di essere presentati in tribunale, ma devono essere eccezioni discusse nel contraddittorio delle parti, quello che non è stato, quello che assolutamente non è capitato.
È questo utilizzo della giustizia a singhiozzo, a seconda delle convenienze e non delle convinzioni, che indebolisce la credibilità …
PRESIDENTE. Collega Orlando, collega Orlando, lei è già intervenuto, adesso sta intervenendo il collega Costa.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Capisco che il collega Orlando sia un po' suscettibile sulla questione …
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Allora facciamo il dibattito.
PRESIDENTE. Collega Orlando, la richiamo all'ordine! Collega Orlando, la richiamo all'ordine! Collega Costa, continui.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Presidente, sono molto contento di dibattere con il collega Orlando. Le chiederei di accendermi il microfono…
PRESIDENTE. No, collega, mi dispiace, in quest'Aula lei deve adesso intervenire sull'informativa del Ministro. Poi, se vorrà dibattere con il collega Orlando, troverà modo di farlo in un altro contesto.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Visto che oggi noi abbiamo nel nostro Paese pagine e pagine di giornali con ordinanze di custodia cautelare pubblicate, declamate, di persone che poi vengono assolte, grazie ad una norma che ha approvato il Ministro Orlando, ne possiamo dibattere, perché quella norma fa parte del complesso di …
PRESIDENTE. Collega Orlando!
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Abbia pazienza, è la terza volta che lo richiama.
PRESIDENTE. L'ho già richiamato all'ordine ufficialmente, collega Costa.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). E allora? E allora, Presidente?
PRESIDENTE. Allora cosa? Vuole fare lei il Presidente?
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). No, non voglio fare il Presidente.
PRESIDENTE. Qui l'ordine lo tiene la Presidenza, prosegua!
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Vorrei poter intervenire.
PRESIDENTE. Infatti l'ho richiamato per dirgli che è già stato richiamato all'ordine.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Per tre volte! Per tre volte!
PRESIDENTE. Collega Costa, prosegua il suo intervento.
ROBERTO GIACHETTI(IV-C-RE). E tu digli che lo faccia continuare!
PRESIDENTE. Collega Giachetti, gliel'ho già detto che deve farlo continuare.
ROBERTO GIACHETTI(IV-C-RE). E lo deve fare, altrimenti lui non parla !
PRESIDENTE. Collega Giachetti, la richiamo all'ordine! Collega Costa, continui.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Scusi, Presidente, vorrei capire, non posso rivolgermi al collega Orlando e lui, invece, senza microfono…
PRESIDENTE. Non può, infatti. Infatti non può ed è stato richiamato. Non può ed è stato richiamato.
ROBERTO GIACHETTI(IV-C-RE). Ma lui deve parlare!
PRESIDENTE. E il collega Orlando sa benissimo che, dopo un primo richiamo all'ordine, ce n'è un altro e poi si esce dall'Aula. Collega Giachetti. Collega Toni Ricciardi, la richiamo all'ordine! Collega Ricciardi, la richiamo all'ordine! Colleghi, riportiamo l'ordine in quest'Aula. Collega Costa, prosegua il suo intervento. Collega Orlando, consenta al collega Costa di svolgere il suo intervento. Prego.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Capisco, evidentemente il Partito Democratico è in difficoltà, perché dimostra …
PRESIDENTE. Colleghi, però così non va bene. Dovete consentire al collega Costa, che sta esprimendo un'opinione legittima in quest'Aula, di farlo nel silenzio dell'Aula, basta. Collega Costa, prego.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Mi faccia recuperare il tempo, le chiedo soltanto questo.
PRESIDENTE. Assolutamente, collega, ci mancherebbe.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). E ripeto per l'ennesima volta che il Partito Democratico è in imbarazzo, perché per una volta ha riscoperto la presunzione di innocenza. L'ha calpestata in tante circostanze e oggi, per dimostrare, però, che è un'occasione unica, ha detto che questo è un caso straordinario. Ricordiamoci quanti sono i detenuti in questa condizione e ricordiamolo anche al Ministro Nordio, in modo che non ritorni sulla sua solita storia della costruzione delle caserme. Non le abbiamo mai viste e non le vedremo mai. Cerchiamo di portare avanti, invece, anche una riforma del sistema penitenziario nel nostro Paese che sia degna di questo nome.
Questo dibattito ci insegna una cosa: ci insegna che ci sono persone che sono garantiste - e io devo dire che il Ministro Tajani è un sincero garantista che ha portato avanti una linea che noi apprezziamo - e ci sono altri nel suo Governo che oggi procedono a singhiozzo. Lo dico: per quanto riguarda il Ministro della Giustizia, noi l'abbiamo apprezzato in molte circostanze e abbiamo votato dei suoi provvedimenti, ma il Ministro della Giustizia su questo tema ci ha deluso. È stato una comparsa, per cui io chiederei al Ministro Tajani di lavorare perché anche da parte del Ministero della Giustizia ci sia una coerenza di comportamenti. Non si può avere un comportamento, non si possono avanzare e declamare dei principi a livello nazionale e dimenticarli completamente quando sono a livello internazionale, oppure quando sono a tutela di qualcuno che non la pensa allo stesso modo.
Questo non va fatto e lo dico anche ai colleghi della maggioranza, soprattutto ai colleghi della Lega. Ho ascoltato l'intervento di Davide Bellomo, che stimo come autentico garantista. Richiami il suo segretario di partito, perché in alcuni casi il marcire in galera, sul quale largheggia, riguarda casi citati a sproposito, soprattutto se si tratta del Vice Presidente del Consiglio .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bonelli. Ne ha facoltà.
ANGELO BONELLI(AVS). Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, signor Ministro, mi scusi per la franchezza, ma noi riteniamo che il suo intervento sia stato un intervento pavido. È stato pavido perché non ha ritenuto di dover dire, con molta nettezza e chiarezza, quello in cui ci troviamo - fa piacere che lei rida, signor Ministro - e le spiegherò il perché. Lei ha descritto, lei ha descritto… però, lei ride mentre un parlamentare della Repubblica parla .
PAOLO BARELLI(FI-PPE). Ma falla finita!
ANGELO BONELLI(AVS). Ma fatela finita voi! State zitti!
PRESIDENTE. Colleghi, vale quello che valeva prima per il deputato Enrico Costa. Facciamo svolgere al deputato Bonelli il suo intervento nel silenzio dell'Aula. Prego, collega Bonelli.
ANGELO BONELLI(AVS). Lei ha fatto un lungo intervento e, diciamo, il 60 per cento del suo intervento è stata una descrizione delle richieste di Ilaria Salis. Chi oggi l'ha sentita o la sentirà delinea quasi la figura di una scocciatrice che si preoccupa dell'aspetto dietetico o del fatto che la finestra deve essere aperta, omettendo, invece, di dire e ricordare che Ilaria Salis è stata costretta a rivolgersi verso il muro, a stare 23 ore su 24 in cella all'interno di sezioni miste uomini e donne con cimici e topi, e tutto ciò è una parte di quanto Ilaria Salis ha scritto in un suo memoriale inviato al padre e ai legali, che poi è stato reso pubblico da alcune agenzie di stampa.
Lei e il Ministro della Giustizia siete venuti a ricordarci che non si può intervenire - e lei ne ha fatto anche un motivo di enfasi - sull'autonomia della giustizia ungherese. Ma, signor Ministro, lei lo sa: lei sa che la giustizia in Ungheria è controllata da Orbán, lei sa che l'organo di controllo dei giudici e le relative promozioni sono decisi da Orbán, motivo per cui la Corte di giustizia ha avviato anche una condanna nei loro confronti. Non ci parli dell'autonomia della giustizia in un Paese in cui l'autonomia della giustizia non esiste e non ci parli di un Paese in cui i diritti umani sono violati e calpestati, ma non perché lo dice il gruppo di Alleanza Verdi e Sinistra, ma perché lo dice la Corte di giustizia. Inoltre, non ci dica - e su questo sono d'accordo con lei - che il caso dei marò non è paragonabile con quello di Ilaria Salis. Siamo d'accordo: Ilaria Salis non ha ucciso nessuno . Lì sono stati uccisi due pescatori indiani innocenti e ricordiamo allora i dell'opposizione che chiedevano di riportarli casa, senza porsi il problema della giurisdizione o meno. Vede, noi non ne vogliamo fare un caso politico. Però, perché penso - glielo dico con grande rispetto e non me ne abbia - che il suo intervento sia stato pavido? Perché avete paura e timore di fronte a un Paese che in tema di diritti e del rapporto tra politica e giustizia è stato ampiamente sanzionato dall'Europa e dalla Corte di giustizia stessa.
Il 19 ottobre 2019 dei neonazisti a cavallo sono entrati con un'uniforme e con le croci uncinate sul petto nel quartiere ebraico di Budapest e lo hanno devastato. Lei sa che fine hanno fatto, quelle persone? Sono state arrestate e, dopo 6 mesi, sono state tutte liberate. Il Governo di Orbán ha dimostrato di avere tolleranza nei confronti dei movimenti neonazisti e dei movimenti che non hanno assolutamente a cuore il rispetto della memoria - figuriamoci la democrazia! - profanando il quartiere ebraico, così come è accaduto. Ebbene, c'è stata la massima tolleranza.
Il signor Ministro Nordio ha detto, rispondendo di fatto al papà di Ilaria Salis, che non era possibile procedere a segnalare da parte del Ministero le misure alternative, tra l'altro previste dalla decisione quadro che lei poc'anzi ha citato nel suo intervento. Non è vero, perché vi sono stati precedenti in questa direzione. Vi sono precedenti e ciò anche in questo caso dimostra che non volete intervenire perché per voi è un caso politico, ma non lo è per noi. Per noi è un caso di rispetto dei diritti umani , mentre per voi è un caso politico perché avete paura di disturbare Orbán.
E ancora, signor Ministro, lei l'ha detto con grande enfasi: mica possiamo prendere i carabinieri nell'ambasciata per controllare se apre i cassetti, chiude i cassetti, se va su e giù nell'ambasciata. Ma la richiesta era un'altra. Però, mi scusi: lei sa che quando è scappata la spia iper-ricercata dagli Stati Uniti d'America a Milano non c'erano carabinieri sotto la casa di questa spia e che è stata portata via da personaggi legati alla Russia oltre i confini e oggi l'amico di Putin sta tranquillamente là? Lei sa che molti condannati per associazione a delinquere in Italia stanno ai domiciliari e non hanno i carabinieri sotto casa? Allora, è veramente singolare la sua posizione di fronte a una ragazza che ha subìto una violenza - perché di questo si tratta: una violenza in termini di non rispetto dei diritti umani - e voi non siete in grado di far valere un punto di vista forte che tuteli la dignità della nostra Repubblica rispetto a chi i diritti umani non li ha assolutamente rispettati.
E, ancora, c'è il tema della decisione quadro. Rispetto alla decisione quadro n. 829 del 23 ottobre 2009, che lei ha citato, io le ricordo anche una sentenza della Cassazione che è intervenuta a tale proposito. Gliela cito, così se la può segnare: è la sentenza della Cassazione, sezione III, n. 26010 del 2021, che a tal proposito interviene e dice (gliela leggo espressamente) che quello che di fatto sta vivendo e io lo faccio per interpretazione… continui a ridere, non c'è alcun problema . No, continui a ridere!
PRESIDENTE. Collega, collega…
ANGELO BONELLI(AVS). Lei deve avere rispetto! Non si può permettere di ridere quando un parlamentare della Repubblica parla.
PRESIDENTE. Ministro, lei non può, come sa benissimo, interloquire con l'onorevole Bonelli.
ANGELO BONELLI(AVS). Lei non se lo può permettere, è chiaro? Perché qui non siamo…
PRESIDENTE. Collega Bonelli, collega Bonelli, sto parlando io!
Ministro, come sa, lei non può interloquire con il collega Bonelli, che sta parlando. Il collega Bonelli ha quasi esaurito il suo tempo. Concluda il suo intervento.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Non può parlare al Ministro!
PRESIDENTE. Può parlare al Ministro. È un'informativa del Governo, collega Pittalis. Anche lei si è rivolto al Ministro. Il Regolamento dice un'altra cosa. Prego, onorevole Bonelli.
ANGELO BONELLI(AVS). Concludo, signora Presidente, perché pensiamo e, quindi, sollecitiamo il Governo Meloni ad accogliere le richieste della famiglia Salis affinché Ilaria Salis possa essere posta agli arresti domiciliari in Italia, perché è inammissibile che, dopo un anno, a una donna che non può leggere l'ungherese vengono posti scritti e verbali in ungherese.
Tutto ciò è indecente e avrebbe dovuto porre questo Governo a reagire fortemente per difendere la dignità della Repubblica italiana !
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Semenzato. Ne ha facoltà.
MARTINA SEMENZATO(NM(N-C-U-I)-M). Grazie, Presidente, grazie Ministro Tajani per averci aggiornato sulla situazione relativa alla vicenda che ha coinvolto la nostra cittadina italiana Ilaria Salis, detenuta a Budapest da quasi un anno, accusata dalle autorità ungheresi di aver partecipato al pestaggio di due estremisti di destra ungheresi nel corso di una manifestazione. Il caso di Ilaria Salis sta indubbiamente facendo discutere e ci impone anche una serie di profonde riflessioni. Ci sono momenti in cui tacere è una colpa, mentre parlare diventa un obbligo morale e una responsabilità civile. Ma è altrettanto vero che siamo tutti chiamati a una narrazione rispettosa dei modi, dei tempi e delle circostanze, senza strumentalizzazione e politicizzazione, ancor più se la protagonista della vicenda di cui si parla è una donna. E si impone una prima riflessione. Lo Stato italiano ha sicuramente il dovere di chiedere che vengano rispettati i diritti fondamentali, tenendo presente che la detenzione in qualsiasi Paese deve avere una funzione rieducativa e non punitiva e, se adottata, in via preventiva di cautela e non di anticipazione della pena. Non facciamo però il bene di Ilaria Salis spostando l'attenzione sulla quantità o sulla qualità del lavoro fatto o meno dal Governo italiano. Non facciamo il bene di Ilaria Salis se non partiamo dal presupposto che i Governi non possono influire sulle decisioni dei giudici, né di quelli nazionali né, a maggior ragione, degli altri Stati sovrani. Non facciamo il bene di Ilaria Salis se pensiamo che le sia stato riservato un trattamento discriminatorio. La prassi umiliante alla quale abbiamo assistito è prevista in Ungheria per tutti coloro che vengono accusati di analoghi reati. Questo ci obbliga a tenere gli occhi aperti anche sulle ingiustizie che colpiscono altre donne nel mondo, sottoposte, proprio perché donne, a trattamenti degradanti frutto talvolta di una burocrazia ostile.
Facciamo, invece, il bene di Ilaria Salis se ci impegniamo affinché la nostra concittadina possa avere un equo processo, una concittadina che, fino alla sentenza definitiva, non possiamo considerare colpevole perché, citando il presidente di Noi moderati, Maurizio Lupi, non si può fare i garantisti a giorni alterni. Facciamo il bene di Ilaria Salis chiedendo di fare, celermente, chiarezza sui fatti di cui viene accusata e garantendole condizioni di detenzione dignitose. La detenzione non deve tradursi in un atto di prepotenza offensivo della dignità di chi la patisce e di chi vi assiste impotente. Facciamo il bene di Ilaria Salis solo lavorando insieme affinché si arrivi alla celere definizione del processo, assicurando, nel frattempo, un trattamento carcerario umano e rispettoso della normativa europea. Facciamo il bene di Ilaria Salis mettendo a disposizione della famiglia le nostre competenze, come ha fatto il Ministro Nordio, evitando di interferire nelle decisioni dell'autorità giudiziaria, con il rischio che questo possa essere controproducente. Ha detto bene il Ministro Tajani. La discrezione ottiene molto più delle urla sguaiate. È chiaro che la dignità della persona, qualunque cosa abbia fatto, non deve mai essere calpestata. È un bene fondamentale, inalienabile e per questo motivo la nostra diplomazia si sta muovendo per garantire che siano rispettati i diritti fondamentali di questa donna, in ossequio alle regole internazionali. Quando parlo di violenza di genere, come presidente, dico sempre che dobbiamo riappropriarci della cultura del rispetto, che il nuovo Patto di corresponsabilità abbraccia famiglia, scuola e politica, che la scuola rappresenta un passaggio fondamentale nell'insegnamento del rispetto e gli educatori sono i primi testimoni di questo rispetto. Mi auguro per Ilaria Salis che ci sia rispetto, ma, allo stesso tempo, mi auguro che, da questa terribile esperienza, Ilaria Salis. divenga testimone più attenta della cultura del rispetto che sarà chiamata a insegnare ai propri alunni .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Boschi. Ne ha facoltà.
MARIA ELENA BOSCHI(IV-C-RE). Grazie, Presidente. Signor Ministro, non siamo soddisfatti, purtroppo, delle parole che abbiamo sentito da lei in quest'Aula, oggi, come non è stato soddisfatto, dall'incontro avuto con lei, qualche giorno fa, il padre di Ilaria Salis, che ha detto che è stato lasciato solo da questo Governo, come non sarebbe soddisfatto lei se fosse il padre di Ilaria Salis. Anche oggi lei ha continuato a trattare questo caso con un approccio tecnico, burocratico, come ha fatto fin qui il Governo, ma questa non è solo una vicenda giudiziaria che riguarda una nostra connazionale detenuta, peraltro, nell'ambito dell'Unione europea. Questa è una vicenda in cui è in gioco la credibilità delle istituzioni europee, la dignità dell'Italia e per noi, che ancora continuiamo a credere nell'ideale europeo, anche il concetto stesso di Stato di diritto. Lei ha riassunto i fatti. Ilaria Salis, da quasi un anno - il 13 febbraio sarà un anno - è detenuta in Ungheria, in attesa di giudizio e abbiamo visto le immagini drammatiche, quando è stata portata in aula con le catene ai piedi e alle mani, con il guinzaglio. Lei ha detto che siamo rimasti tutti colpiti da quelle immagini, non dubito che lei lo sia stato, ma nel suo Governo altri autorevoli Ministri non hanno trovato 5 minuti per guardare quelle immagini. La Presidente del Consiglio ci ha detto che erano immagini normali, che succede, in Occidente. No, non è normale, perché sappiamo che quelle che sono misure per voi normali, sono misure eccezionali, legate alla pericolosità del soggetto. In Italia, nemmeno per i pluri-condannati per mafia sono state usate.
Ma la cosa più grave sono le condizioni disumane e degradanti che vive in carcere Ilaria Salis e di cui i vostri uffici sono a conoscenza da mesi, senza che sia stata mossa davvero un'iniziativa, con determinazione e con convinzione. Ce lo ha raccontato lei, Ministro. Sapete da mesi, e lo abbiamo letto nelle parole della stessa Ilaria Salis, con dolore: carceri in cui ci sono topi, cimici, scarafaggi; nei primi giorni non aveva nemmeno la possibilità di curare l'igiene personale, di avere un cambio di vestiti, un cambio di lenzuola. Sono condizioni inaccettabili per Ilaria Salis, come per qualsiasi detenuto in Ungheria.
Guardi, Ministro, la risposta della Farnesina non è all'altezza della storia di civiltà del nostro Paese e nemmeno della tradizione diplomatica della casa, come gli stessi diplomatici chiamano la comunità dei diplomatici e delle diplomatiche italiane Se i nostri uffici diplomatici, se la Farnesina non è in grado di dare risposte credibili in questi casi, a cosa serve?
Guardi, Ministro, c'è stato detto che se Ilaria Salis è colpevole, deve pagare. Giusto. Chi non è d'accordo con questa frase? Ma a un anno dall'arresto, dopo un anno di carcere, possiamo dire - e lo ha ammesso anche lei, Ministro - che non sappiamo per quali motivi Ilaria Salis sia in carcere? Perché non ha nemmeno la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa e per molti mesi nemmeno ha potuto parlare col proprio avvocato, né con la propria famiglia. Non abbiamo ancora la traduzione nemmeno delle imputazioni. Se qualcuno pensa che sia giusto che stia in carcere perché è stata trovata in un taxi con una persona ricercata, allora la tradizione garantista di Forza Italia è morta e sepolta . Vogliamo sapere quali sono le possibilità di difendersi di Ilaria Salis in uno Stato, l'Ungheria, in cui l'indipendenza della magistratura non è garantita, e non perché lo dicono le organizzazioni internazionali, Amnesty International, non perché lo dice l'Unione europea, che ha più volte richiamato l'Ungheria. No, lo dice Orbán, che ha ammesso, candidamente, proprio sul caso Ilaria Salis, che la magistratura in Ungheria risponde al Parlamento, cioè al partito di maggioranza, cioè al partito di Orbán, cioè ad Orbán. Ed è per questo che noi siamo stati, come Italia Viva, davanti all'ambasciata ungherese a protestare, per chiedere che ad Ilaria Salis sia applicato un giusto processo. Ma le dirò di più. Se anche Ilaria Salis fosse colpevole, avrebbe comunque diritto a un trattamento umano , al rispetto dei diritti umani anche da detenuta, perché una persona non smette di essere persona quando attraversa la soglia del carcere, innocente o colpevole che sia. Glielo dice una che nelle carceri va spesso.
Allora, Ministro, a questo punto, purtroppo, vengono alcuni dubbi spiacevoli su quali siano le ragioni che impediscono e che hanno impedito al Governo italiano di muoversi tempestivamente, di muoversi con impegno, con la giusta determinazione. Forse non volete disturbare Orbán, che è il vostro principale alleato in Europa?
Lei, Ministro, ci ha chiesto: cosa dovremmo fare? Glielo dico cosa dovreste fare: se in Ungheria è stato violato lo Stato di diritto, dovreste smettere di mandare i soldi dei cittadini italiani e delle tasse italiane alle imprese ungheresi, dovreste interrompere il trasferimento delle risorse europee all'Ungheria . Questo dovreste fare, perché non si può essere sovranisti solo quando fa comodo. Qualche giorno fa, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione in questa direzione e Fratelli d'Italia e Lega hanno votato contro, perché loro sono “fratelli d'Ungheria”, evidentemente.
Perché vi fa così paura Orbán? Oppure avete un pregiudizio verso Ilaria Salis, perché le sue idee non sono le vostre idee? Però, Ministro, lei rappresenta tutti gli italiani, non soltanto il centrodestra. Io capisco che sia molto impegnato con il suo partito, in un momento complicato, lei è anche il capo di Forza Italia, ma è, prima di tutto, il Ministro degli Affari esteri della Repubblica italiana e lei deve riportare in Italia Ilaria Salis, che deve attendere il giudizio in Italia, agli arresti domiciliari in questo Paese.
Ci sentiamo dire che questo non è possibile o che non è possibile nemmeno che sconti gli arresti domiciliari all'ambasciata in Italia in Ungheria, quando sappiamo che fuori dall'ambasciata è a rischio, addirittura, la sua incolumità per gli attacchi dell'estrema destra ungherese e che le motivazioni sono che potrebbe accedere ad alcuni documenti. Ebbene, le dico che ai documenti accedono Delmastro e Donzelli in via Arenula, non Ilaria Salis in Ungheria . E, se il problema sono i carabinieri, le garantisco che quattro, cinque, dieci carabinieri in Italia da mandare in Ungheria si trovano e, se non si trovano, siccome avete fatto assunzioni su qualunque cosa, assumiamoli, votiamo noi a favore dell'assunzione dei carabinieri, se questo è il problema. È ovvio che non siano queste le ragioni.
Ministro, noi speriamo che non siano queste le ragioni e vogliamo che tutti insieme ci impegniamo per questo risultato. Quando Renzi era al Governo e la Meloni era all'opposizione, la Meloni attaccò Renzi per la vicenda dei marò, dicendo che era un eunuco. Ebbene, quel Presidente del Consiglio e quel Governo, i marò, li hanno riportati a casa ed era più complicato, perché erano accusati di omicidio, non di aver partecipato a una rissa, ed erano ancora in condizioni migliori, perché erano all'ambasciata in India, non in una prigione con topi e cimici. Eppure sono tornati a casa.
MARIA ELENA BOSCHI(IV-C-RE). Concludo, Presidente, solo con un invito: è chiaro che la detenzione anche in Italia ha raggiunto livelli di guardia. Bobo Giachetti, insieme a Rita Bernardini e a “Nessuno tocchi Caino”, stanno facendo da giorni lo sciopero della fame contro il sovraffollamento carcerario. Siamo a 15 suicidi, purtroppo, dall'inizio dell'anno e noi speriamo che il Governo prenda presto un'iniziativa. Speriamo che il Governo si occupi di tutti i detenuti italiani all'estero, perché non ci sia un altro caso Ilaria Salis, ma, soprattutto, ci auguriamo, Ministro, che, sul caso Ilaria Salis, il Governo possa prendere una posizione forte. Abbiamo perso tutto, in Europa, tutte le sfide, Ministro, ha perso, dall'Expo, alla BEI, alla sede dell'autoriciclaggio, qualsiasi cosa. Su Ilaria Salis non perdiamo la faccia: portiamola a casa e, se l'Ungheria continua a calpestare lo Stato di diritto, smettiamo di dare soldi italiani all'Ungheria. Non siamo “fratelli d'Ungheria” .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA(MISTO-+EUROPA). Grazie, signora Presidente. Signor Ministro, colleghi della maggioranza, noi ci siamo sempre occupati - abbiamo sempre cercato di farlo - di tutti i detenuti italiani nelle carceri straniere, come cerchiamo di occuparci un poco anche dei detenuti stranieri nelle carceri straniere, a Teheran o in Siberia, come cerchiamo di occuparci dei detenuti italiani e stranieri nelle carceri italiane. Anch'io voglio richiamare l'iniziativa di Giachetti e di Rita Bernardini su questo.
Signor Ministro, lei ci ha fatto l'elenco dei contatti tra l'ambasciata ungherese e Ilaria Salis e le autorità ed è importante che l'abbia fatto, perché questo significa che i suoi uffici erano a conoscenza delle deplorevoli ed inaccettabili condizioni di detenzione, dall'igiene al non diritto di leggere gli atti, già da marzo dell'anno scorso. Se non ho capito male, però, signor Ministro - e conosciamo il mestiere -, il primo contatto politico tra un esponente di Governo italiano e un esponente di Governo ungherese è avvenuto con il suo incontro con il Ministro degli Esteri ungherese.
Questo significa che, nei 12 mesi precedenti, non è stato attivato alcun contatto politico, né dal Ministro né dal Sottosegretario. Ci saranno stati incontri tra membri del Governo italiano e membri del Governo ungherese in questi 12 mesi? Sappiamo come funziona questa cosa e lei ci sta dicendo che, in 12 mesi, avendo le informative dell'ambasciata, in nessun colloquio tra Sottosegretari per la Giustizia e per gli Affari esteri, è mai stato sollevato il punto? Signor Ministro, se ho capito bene, questo è gravissimo, perché questo succede regolarmente per tutti gli altri casi. Quindi, se nessuno ha infilato nelle carte del Sottosegretario per gli Affari esteri, che incontrava il sottosegretario per gli Esteri ungherese, questo punto - e se ho capito bene è così -, questo è molto grave, signor Ministro.
Il Ministro Nordio - e vado alla conclusione, signora Presidente - ha parlato di indipendenza della magistratura. Voi siete contro l'indipendenza della magistratura? Noi siamo a favore dell'indipendenza della magistratura, ma è certificato, cari colleghi della destra, che non c'è in Ungheria. Punto. Quindi, Nordio di cosa parla, quando parla del rispetto dell'indipendenza della magistratura? Ne può, forse, parlare in Italia, in Ungheria semplicemente non c'è.
Gli arresti domiciliari - e vado a chiudere -, signor Ministro, sono una decisione politica, non possiamo trincerarci dietro la logistica. Conosco l'ambasciata, conosco la cancelleria: se per ragioni umanitarie, in modo temporaneo, si vuole fare, si può fare, non c'è un problema logistico, basta una stanza e, eventualmente, un presidio di sicurezza.
PRESIDENTE. Concluda, collega.
BENEDETTO DELLA VEDOVA(MISTO-+EUROPA). Signor Ministro, conosco l'ambasciata e la residenza: non mi potete dire che non è praticabile chiedere gli arresti domiciliari lì. Non c'è una questione logistica, è una questione di volontà politica. E io vi chiedo, per ragioni umanitarie visto tutto quello di cui abbiamo discusso oggi, di rendere accessibile la residenza per consentire, temporaneamente, a Ilaria Salis di chiedere i domiciliari presso la sede dello Stato italiano in Ungheria…
PRESIDENTE. Concluda, collega.
BENEDETTO DELLA VEDOVA(MISTO-+EUROPA). …e, come ci ha spiegato - chiudo - il Ministro Nordio, poi chiederli in Italia.
Sul garantismo, visto che ne ha parlato lei, Ministro Tajani - e chiudo su questo -, vanno bene i proclami, poi ci sono le leggi. State per votare una cosa in cui è previsto il reato di resistenza passiva in carcere e, poi, applaudite i trattori che bloccano le città .
PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente.
Colleghi, adesso facciamo una breve pausa tecnica e, poi, vi ricordo che alla ripresa dell'Aula immediatamente ci saranno votazioni. Sospendo la seduta per 5 minuti, che riprenderà alle ore 12,42. La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dal Senato, n. 1457: “Modifiche alla legge 30 marzo 2004, n. 92, in materia di iniziative per la promozione della conoscenza della tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata nelle giovani generazioni” e delle abbinate proposte di legge nn. 708-1496.
Ricordo che nella seduta del 5 febbraio si è conclusa la discussione generale e la relatrice è intervenuta in sede di replica mentre il rappresentante del Governo vi ha rinunciato.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico della proposta di legge e delle proposte emendative presentate .
Le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri , che sono in distribuzione.
In particolare, il parere della Commissione bilancio reca 5 condizioni volte a garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, che saranno poste in votazione, ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento. Informo l'Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85- del Regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare. A tal fine, il gruppo Alleanza Verdi e Sinistra è stato invitato a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
Passiamo all'esame dell'articolo unico e dei relativi emendamenti. Se nessuno chiede di intervenire sul complesso degli emendamenti, chiedo alla relatrice ed al rappresentante del Governo di esprimere il parere sugli emendamenti riferiti all'articolo unico e segnalati per la votazione.
NICOLE MATTEONIGrazie Presidente. La Commissione esprime parere favorevole sull'emendamento 1.600, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento. Il parere è contrario sugli emendamenti 1.006 Piccolotti, 1.1 e 1.2 Manzi. Il parere è favorevole sugli emendamenti 1.601 e 1.602, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento, e 1.500 della Commissione.
La Commissione esprime, altresì, parere favorevole sugli emendamenti 1.603 e 1.604, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento. Il parere è contrario sull'emendamento 1.3 Manzi.
GIUSEPPINA CASTIELLO,. Grazie, Presidente. Il parere del Governo è conforme a quello del relatore.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.600, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento, con il parere favorevole della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.1006 Piccolotti, con il parere contrario della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge .
Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.1 Manzi.
Ha chiesto di parlare la collega Manzi. Ne ha facoltà.
IRENE MANZI(PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Illustrerò brevemente solo quest'emendamento, senza intervenire anche sugli altri a mia prima firma. Quello che vorremmo sollecitare con questi emendamenti, con riguardo alle attività previste da questa proposta di legge, relativamente al concorso appunto che viene individuato, è di allargare il più possibile la partecipazione ai comitati che sono chiamati a valutare le opere che dovranno essere realizzate, nell'ambito appunto delle iniziative celebrative per il Giorno del ricordo, anche ad altre associazioni che si occupano di ricerca e di memoria storica, oltre a quelle che sono state indicate all'interno della norma. Il senso degli emendamenti - è stato presentato dal nostro gruppo anche un ordine del giorno in questo senso - è quello, vista la delicatezza del tema e delle questioni storiche a esso collegate, di cercare appunto di favorire quanto più possibile la partecipazione di tutte le associazioni che si occupano di memoria storica e dell'Associazione nazionale dei partigiani, oltre a quelle indicate all'interno del testo approvato al Senato. Abbiamo evidenziato il parere contrario da parte del Governo e da parte della relatrice per la maggioranza su questo emendamento. Ci auguriamo, però, che almeno l'ordine del giorno che è stato presentato sia accolto, a dimostrazione della volontà di coinvolgere una platea quanto più ampia possibile intorno a temi importanti, come quelli che sono legati alla memoria storica e ai fatti che hanno toccato, anche da vicino, il nostro Paese.
PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.1 Manzi, con il parere contrario della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.2 Manzi, con il parere contrario della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.601, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento, con il parere favorevole della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.602, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento, con il parere favorevole della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.500 della Commissione, con il parere favorevole della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
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Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.603, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento, con il parere favorevole della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
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Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.604, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-, del Regolamento, con il parere favorevole della Commissione e del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.3 Manzi, con il parere contrario della Commissione, del Governo e della V Commissione (Bilancio).
Dichiaro aperta la votazione.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge .
Avverto che, consistendo la proposta di legge di un solo articolo, non si procederà alla votazione dell'articolo unico, ma, dopo l'esame degli ordini del giorno, si procederà direttamente alla votazione finale, a norma dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati .
Se nessuno chiede di intervenire per illustrare gli ordini del giorno, invito la rappresentante del Governo ad esprimere il parere sugli ordini del giorno presentati.
Onorevole Amorese, chiede di intervenire sul complesso? No, scusi, sul suo ordine del giorno? Che non c'è, però… Sottoscrive l'ordine del giorno del collega Mascaretti e interviene su quello?
ALESSANDRO AMORESE(FDI). Nessuna di queste opzioni. Intervengo per chiedere 5 minuti di sospensione, perché due non li abbiamo ancora potuti leggere…
PRESIDENTE. Non la deve chiedere lei, ma il Governo. Sottosegretaria, mi dà il parere sugli ordini del giorno? Ha bisogno di tempo?
GIUSEPPINA CASTIELLO,.
Presidente, il Governo chiede 5 minuti di sospensione.
PRESIDENTE. Va bene. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 13.
PRESIDENTE. La seduta è ripresa.
Invito la rappresentante del Governo a esprimere il parere sugli ordini del giorno.
GIUSEPPINA CASTIELLO,. Grazie, Presidente. Sull'ordine del giorno n. 9/1457/1 Manzi il parere del Governo è favorevole con la seguente riformulazione: “a valutare l'opportunità di coinvolgere le principali istituzioni culturali presenti nel Friuli-Venezia Giulia nonché le principali istituzioni culturali riconosciute e sostenute dallo Stato in materia di memoria storica”.
Sugli ordini del giorno n. 9/1457/2 Mascaretti e n. 9/1457/3 Furgiuele il parere è favorevole.
PRESIDENTE. Se nessuno chiede di intervenire, passiamo ai voti. No, scusate, sull'ordine del giorno n. 9/1457/1 Manzi c'è un parere favorevole con riformulazione: è accettata.
Sull'ordine del giorno n. 9/1457/2 Mascaretti il parere è favorevole. Ha chiesto di parlare il collega Mascaretti. Ne ha facoltà.
ANDREA MASCARETTI(FDI). Presidente, chiedo di votarlo.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno n. 9/1457/2 Mascaretti, con il parere favorevole del Governo.
Revoco l'indizione della votazione.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Furgiuele. Ne ha facoltà.
DOMENICO FURGIUELE(LEGA). Per sottoscriverlo, Presidente.
PRESIDENTE. Bene. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno n. 9/1457/2 Mascaretti, con il parere favorevole del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
Sull'ordine del giorno n. 9/1457/3 Furgiuele il parere è favorevole.
Ha chiesto di parlare il collega Furgiuele. Ne ha facoltà.
DOMENICO FURGIUELE(LEGA). Grazie, Presidente. Vorrei chiedere di metterlo ai voti e intervengo in dichiarazione di voto per ringraziare il Governo per la sensibilità dimostrata. È giusto, in corrispondenza del 10 febbraio, ricordare tutti quegli italiani che, negli anni drammatici a cavallo del 1945, furono perseguitati, furono uccisi, furono gettati, in parte anche vivi, nelle cavità disseminate sull'altopiano del Carso, le tristemente note foibe. Erano colpevoli soltanto di essere italiani e furono uccisi due volte: la prima volta, infoibati e, la seconda volta, dimenticati. Oggi noi ricordiamo quella memoria viva, quella memoria dolorosa, ma quella memoria indomita. Sono tanti i passi in avanti fatti negli ultimi anni e noi dobbiamo ringraziare questo Governo perché ce la sta mettendo tutta, con l'istituzione del Museo del ricordo e il percorso che stiamo portando avanti oggi.
Il mio ordine del giorno vuole dare un ulteriore contributo, vuole impegnare il Governo a proseguire verso quel percorso di verità e a promuovere quell'iniziativa meritevole che la Lega sta portando avanti nella I Commissione con una proposta di legge a prima firma dell'onorevole Panizzut; una proposta che deriva da una storia familiare, evidentemente, come tante altre ce ne sono, disseminate nel resto del nostro Paese. La riconoscenza va a coloro che all'epoca perirono. Oggi, con orgoglio e commozione, ricordiamo quelle vittime, ma ricordiamo a noi stessi che il percorso per una verità compiuta dev'essere ancora completato. Lo si deve soprattutto ai vinti, agli infoibati, ai tanti meridionali che appartenevano alle Forze dell'ordine, ai Carabinieri, ai poliziotti e ai finanzieri, a coloro che facevano parte del clero ma anche ai tanti ragazzi e ragazze che qualche anno prima fecero una scelta diversa, ma pur sempre nella consapevolezza di lottare per la patria, così come ebbe modo di dire, in un bellissimo discorso di riconciliazione, il già Presidente Violante: non morti di serie A, non morti di serie B, ma italiani fra gli italiani, vittime della stessa tragedia, Presidente. Onore ai martiri delle foibe !
PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la collega Matteoni, sempre sull'ordine del giorno.
Ne ha facoltà.
NICOLE MATTEONI(FDI). Grazie, Presidente. Il gruppo Fratelli d'Italia chiede di sottoscrivere l'ordine del giorno n. 9/1457/3 Furgiuele.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Ziello. Ne ha facoltà.
EDOARDO ZIELLO(LEGA). Grazie, Presidente. Intervengo per comunicare la sottoscrizione di tutto il gruppo Lega-Salvini Premier dell'ordine del giorno n. 9/1457/3 Furgiuele .
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno n. 9/1457/3 Furgiuele, con il parere favorevole del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
.
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva .
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare la deputata De Monte. Ne ha facoltà.
ISABELLA DE MONTE(IV-C-RE). Grazie, Presidente. Rappresentanti del Governo, colleghi e colleghe, proprio questa settimana, come è noto, il 10 febbraio, vi saranno le celebrazioni della Giornata del ricordo e, come ogni anno, queste celebrazioni si svolgeranno presso il Sacrario di Basovizza. La foiba di Basovizza è oggi il luogo della memoria per le famiglie degli infoibati e dei deportati…
PRESIDENTE. Collega De Monte, mi perdoni se la interrompo. Colleghi, chi deve uscire dall'Aula lo faccia in silenzio, altrimenti non riusciamo a sentire l'intervento della collega De Monte. Prego, collega De Monte.
ISABELLA DE MONTE(IV-C-RE). Grazie. Dicevo che la foiba di Basovizza è oggi il luogo della memoria per le famiglie degli infoibati e dei deportati morti nei campi di concentramento dell'ex Jugoslavia. Ogni anno è una celebrazione, devo dire, toccante.
Signor Presidente, io vengo dal Friuli-Venezia Giulia e con orgoglio dico che noi friuliani-giuliani la consideriamo il centro dell'Europa e non solo per la collocazione fisica e geografica ma anche per la sua natura multiculturale, con lingue e culture diverse che da anni convivono pacificamente. Nella mia zona di provenienza, la Val Canale-Canal del Ferro, al confine con l'Austria e la Slovenia, in soli 10 chilometri si parlano l'italiano, il friulano, lo sloveno e il tedesco. Però, devo dire, è un traguardo che non è stato facile raggiungere, questa convivenza pacifica. Parlare delle foibe è ancora doloroso, è una ferita aperta, una tragedia dell'Italia iniziata nel 1943 e che, purtroppo, è proseguita per molti anni.
Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, l'Italia con molta difficoltà cercava di far ripartire la propria economia ma, al tempo stesso, le terre occupate dalle truppe della Jugoslavia trovavano invece un destino tragico. Parliamo di tragedie sanguinose, torture, prigionia e sofferenze immani e rivedere quelle foibe con i nostri occhi ci rende partecipi di quanto dolore ci possa essere stato. È agghiacciante che tali brutalità siano state inferte indifferentemente a donne, uomini, bambini e anziani e che tutto ciò sia rimasto, per troppo tempo, inspiegabilmente nascosto, negato e taciuto.
Come autorevolmente è stato detto, abbiamo oggi, invece, il dovere di ricordare perché la nostra civiltà europea deve essere caratterizzata dal rispetto, dalla convivenza pacifica tra le culture e le diverse lingue, dal rispetto e dalla convivenza tra le diverse religioni, perché questa è la civiltà europea, perché il motto dell'Unione europea, dobbiamo sempre ricordarlo, è “uniti nella diversità”.
Proprio per questa ragione abbiamo il dovere di ricordare, perché l'alternativa a tutto ciò, quanto di più alto possa essere rappresentato dalla nostra civiltà, è esattamente il contrario di quel passato di morte, di intolleranza e di distruzione dei più elementari diritti della persona. Chi pensa di minimizzare, pensando che gli scontri tra popoli, religioni e culture appartengano al passato, non fa che aprire la strada a nuove tragedie e non ce lo possiamo permettere.
Per questo e per quello che ancora rappresenta il passato abbiamo il dovere del ricordo della tragedia delle foibe. Le nuove generazioni devono sapere e per questo è importante il contributo dato a questa nuova proposta di legge, che abbiamo il dovere e la capacità di portare in approvazione almeno qui, in questa lettura, alla Camera.
Il ricordo deve arrivare nelle scuole e nelle università, deve diventare qualche cosa che appartiene alle nuove generazioni, perché il contagio dell'intolleranza sia davvero solo un ricordo e non faccia parte né del presente né del futuro. Dopo vent'anni dalla legge istitutiva della Giornata del ricordo abbiamo il dovere di fare un passo ulteriore. Al Senato c'è stata una larghissima maggioranza e ci auguriamo che questa maggioranza possa essere raggiunta anche qui alla Camera.
Quindi, desidero ringraziare i proponenti delle diverse proposte di legge e coloro che hanno partecipato al dibattito, naturalmente i relatori e tutti coloro che ci hanno permesso di arrivare a questo risultato.
Per il rispetto delle vite di coloro che ci hanno lasciati tragicamente, dobbiamo dire che anche il tema delle foibe non è un tema esclusivo di alcuna forza politica, perché, al di là delle diversità di opinioni sulle questioni politiche, non ci deve essere su questi temi alcun motivo di divisione. Torture, assassinii e, infine, l'orrore di essere buttati come qualche cosa privo di valore in una cavità del Carso, e tutto questo per cosa? Per la colpa di essere italiani. Ribadiamo, quindi, oggi il loro diritto e orgoglio di essere italiani, dando un senso a queste tragiche morti e facendo in modo che brutalità del genere non avvengano più. Perché questo avvenga è necessario coltivare la memoria di quanto accaduto, oggi e in futuro.
E, poi, ancora un'ulteriore brutalità: la costrizione alla fuga negli anni seguenti, la sofferenza di quei 250.000 profughi fuggiti in Italia per la disperata ricerca di trovare un posto più sicuro dove vivere.
Ma, oltre ai momenti dolorosi, desidero anche ricordare i fatti positivi di cui dobbiamo essere orgogliosi e lo dobbiamo, questo, ai nostri Presidenti della Repubblica. In particolare desidero ringraziare il primo Presidente a compiere un passo davvero significativo, Cossiga, che il 3 novembre 1991, prima che Basovizza diventasse monumento nazionale, rese omaggio, inginocchiandosi ai martiri delle foibe; ciò servì a far cadere una volta per tutte il veto politico su quanto accaduto. E, poi, il Presidente Ciampi che conferì, nel 2005 la medaglia d'oro al valor civile a Norma Cossetto, figura simbolo del martirio delle foibe , giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba, luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio. Ma, come deputata proveniente dal Friuli-Venezia Giulia, ricordo ancora con grande commozione la stretta di mano avvenuta tra Mattarella, nel 2020, presso la Foiba di Basovizza, e il Presidente sloveno Pahor, modo semplice, ma estremamente significativo per ricordare e suggellare la pace tra i popoli.
Nell'avviarmi verso la conclusione, Presidente, desidero dichiarare convintamente il voto favorevole del gruppo di Italia Viva rispetto al testo che abbiamo all'esame oggi, riguardante le iniziative per la promozione della conoscenza della tragedia delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata nelle giovani generazioni.
L'italianità negata è, purtroppo, la storia dell'Italia, ma anche la storia dell'Europa dove scontri fra le nazionalità e odio tra etnie sono stati motivo di profonde divisioni; oggi, quella storia è sempre parte di noi nel ricordo e dovrà continuare ad esserlo come monito, affinché non si ripresenti più né nel nostro presente, né nel nostro futuro .
PRESIDENTE. Saluto studenti e studentesse dell'Istituto di istruzione superiore artistica, classica e professionale di Orvieto, che assistono ai nostri lavori dalle tribune .
Ha chiesto di parlare il deputato Pisano. Ne ha facoltà.
CALOGERO PISANO(NM(N-C-U-I)-M). Grazie, Presidente. Il testo che stiamo per votare oggi ha una duplice valenza: storica e politica. Non è un caso, infatti, che votiamo proprio a ridosso del 10 febbraio, che, dal 2004, grazie alla volontà dell'onorevole Roberto Menia, è la Giornata nazionale del ricordo delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Il massacro delle foibe è una tragedia di cui sappiamo ancora troppo poco e per troppo tempo la politica ha voluto celare un pezzo di storia del nostro Paese in una coltre di silenzio. Pensiamo al numero delle vittime: a oggi non si riesce con certezza a quantificarle; si parla di 5.000-10.000-20.000 italiani uccisi in maniera brutale.
Ci tengo a fare un passo indietro, ricordando a me stesso e a tutti noi cosa sia stato quel periodo storico. Il regime guidato dal Maresciallo Tito aveva disposto che tutti gli italiani rimasti nelle province della Venezia Giulia venissero considerati al pari di nemici del popolo e, di conseguenza, trattati come tali; in gran parte vennero costretti a lasciare le proprie case nella terra in cui erano nati, avevano cresciuto le proprie famiglie, costruito case e intere vite che, nel giro di pochi anni, sono state totalmente spazzate via. Altri, invece, vennero imprigionati e trasportati nei campi sloveni e croati, oppure subirono immani torture, per poi venire uccisi nelle foibe. I primi a finire nelle foibe furono Carabinieri, poliziotti, nonché mogli, figli e figlie. È il caso di Norma Cossetto, che tengo a ricordare anche oggi, in quest'Aula. Una ragazza di 23 anni, con tutta la vita davanti, che stava finendo il suo percorso di laurea: imprigionata, violentata e poi, come un pezzo di carne, lasciata cadere in una foiba. Perché proprio questo era l'intento della furia titina: lasciare morire tutti gli italiani, trattandoli senza alcun valore, quasi non fossero esseri umani.
Lo ricordo a tutti, lo ricordo a me stesso: nelle foibe si moriva legati gli uni agli altri, ma si sparava solo ai primi tre, messi sul ciglio delle foibe. Di conseguenza, tiravano giù tutti gli altri, che morivano tra gli stenti e tra i cadaveri degli amici dopo giorni di agonie.
Il 10 febbraio 1947 venne firmato il Trattato di Parigi che, a tutti gli effetti, consegnava il diritto alla Jugoslavia di cacciare gli italiani, dando inizio all'esodo delle popolazioni italiane istriane e giuliane, che fuggivano a decine di migliaia. Italiani che, raccolte le loro poche cose ed abbandonando le proprie case - e sono sicuro che queste parole vi faranno tornare alla mente le foto dei bambini caricati sui carretti -, iniziavano il loro lungo viaggio, nella speranza di essere accolti nella loro terra d'origine, non un Paese estero, ma il loro Paese.
Eppure il problema venne del tutto minimizzato e anzi il Governo dell'epoca cercava di disincentivare i viaggi, creando una patina inesorabile di silenzio che ha caratterizzato la fine di questa tragedia. Tanto, troppo tempo è passato senza che nessuno sapesse, sentisse o raccontasse quanto accaduto, fino a quando si è cominciato ad ammettere gli errori. Ricordo il 1991, quando Cossiga si recò a Basovizza per chiedere scusa per il silenzio, oppure quando, nel 2005, il Presidente Ciampi conferì la medaglia d'oro al merito civile a Norma Cossetto.
Mancano due giorni al Giorno del ricordo e spero che in tanti di noi si recheranno a Basovizza, luogo dove abbiamo il dovere di andare, perché, solo visitando i luoghi dove sono avvenute le tragedie, possiamo comprendere veramente il dolore e la sofferenza che hanno patito i nostri concittadini, immedesimandoci e convincendoci sempre di più del dovere di ricordare. Eppure, non basta ricordare, non basta un solo giorno per dire che abbiamo fatto il nostro dovere. Bisogna imporsi da legislatori e da cittadini il compito di condannare, davanti alle future generazioni, con chiarezza e determinazione i fatti accaduti.
Lo vogliamo fare con misure come quella che votiamo oggi, che interviene in materia di tutela e valorizzazione, nelle nuove generazioni, della memoria storica delle vittime delle foibe e delle vicende legate all'esodo giuliano-dalmata, ma anche con misure che sono al vaglio delle Commissioni, come la proposta di legge riguardante l'istituzione di fondi per sostenere l'organizzazione di viaggi di istruzione nei luoghi delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata per la conservazione della memoria degli eventi, fino ad arrivare alla proposta di revoca dell'onorificenza italiana al Maresciallo Tito.
Per questi motivi e per tutti gli italiani che, morti nelle foibe, sono stati per troppo tempo dimenticati, annuncio il voto favorevole di Noi Moderati .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Piccolotti. Ne ha facoltà.
ELISABETTA PICCOLOTTI(AVS). Signora Presidente, onorevoli colleghi e onorevoli colleghe, vorrei partire dal dovere della memoria e dal ruolo fondamentale che la conoscenza della storia può avere nella costruzione di una democrazia forte e matura.
Noi di Alleanza Verdi e Sinistra siamo sicuramente tra coloro che vogliono ricordare, tra coloro che rifuggono dalle trappole dell'oblio e del silenzio e che credono sia necessario, per ogni forza politica e per l'Italia nel suo complesso, fare i conti fino in fondo con la propria storia, con la tragedia degli italiani, vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata, che, come ci ha ricordato il Presidente Mattarella, implica la necessità di affrontare un carico di sofferenza, di dolore e di sangue per molti anni rimosso dalla memoria collettiva e, in certi casi, persino negato. E anche quella di misurarsi con ciò che accadde in quel frangente della storia, quello che prima, con la nascita del regime fascista, e poi, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, fu il più tragico e il più violento della storia italiana ed europea.
Di fronte a tutto questo sappiamo di essere chiamati a contribuire allo sviluppo di una coscienza collettiva che trovi la forza di dire “mai più”.
Significa praticare il dovere della memoria studiando la storia, abbracciandone la complessità e cercando di conoscere quei nessi, quei legami, quel contesto storico-culturale senza i quali nessun singolo fatto storico viene illuminato a dovere e senza i quali la storia non riesce a trasmettere alcuna lezione, non riesce a farsi anticorpo per il ritorno dei mali peggiori del passato, non riesce a farsi percorso di riconoscimento delle degenerazioni culturali e politiche che li produssero.
Un approccio che seleziona, che prende solo alcuni pezzetti della storia, per metterli insieme in una narrazione di parte, non può essere il nostro approccio, e non dovrebbe esserlo nemmeno di quest'Aula. Per questo colpisce che, senza addurre alcuna motivazione, alcuni emendamenti nostri e della collega Manzi siano stati bocciati, quando chiedevano semplicemente di garantire il pieno coinvolgimento di un arco plurale e puntuale di soggetti che nell'Alto Adriatico lavorano da anni sulla ricerca storica e la custodia della memoria.
Per questo noi di Alleanza Verdi e Sinistra, signora Presidente, ci asterremo su questa proposta della maggioranza. Non ci asterremo, perché non vogliamo fare i conti con la storia, ma proprio perché quei conti vogliamo farli davvero . Misurarci con la storia del Paese è un esercizio che svolgiamo, infatti, ogni giorno e da decenni, e non solo durante le Giornate del ricordo o della memoria. E proprio per questo non ci sono reticenze nella nostra condanna nettissima delle uccisioni di circa 5.000 che furono infoibati e poi dell'esodo dei circa 250.000 negli anni che seguirono l'8 dicembre e la fine della guerra.
È giusto ricordare quella tragedia che per decenni è stata rimossa, ma la storia, come dicevo, non è un menù da cui scegliere alcuni fatti e non altri. L'italianizzazione forzata, l'invasione della Jugoslavia da parte dei fascisti, i massacri nazifascisti, i verso i croati, che per D'Annunzio furono solo impeti di passione, e quelli contro gli sloveni, i circa 10.000 italiani morti durante la guerra di liberazione in Jugoslavia, bene, tutto questo è parte di quella storia e non può essere scartato, perché scartarlo significa impedire l'elaborazione di un tragico carico di sofferenze umane che le popolazioni italiane, slave e croate hanno il bisogno di affrontare, riconoscendo le responsabilità e facendo dialogare tutti i ricordi e tutte le memorie .
Non si tratta, quindi, in alcun modo, come alcuni continuano strumentalmente a ripetere nel dibattito pubblico, della volontà di giustificare alcunché, e non ci sono sicuramente da parte di Alleanza Verdi e Sinistra negazionismi o riduzionismi. C'è, piuttosto, la volontà di riportare in questa legge quell'esercizio complesso e faticoso che è studiare, comprendere e interpretare. Avremmo voluto, infatti, che i viaggi del ricordo, che con questo provvedimento vengono finanziati, stessero pienamente nel solco di quell'incontro così importante che ha visto nel 2020 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il suo omologo, Borut Pahor, deporre insieme, tenendosi per mano, una corona di fiori alla Foiba di Basovizza, e poi, subito dopo, ripetere lo stesso gesto presso il monumento ai caduti sloveni .
Un cippo, poco distante dalla foiba, che ricorda 4 giovani antifascisti slavi, condannati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Quel giorno, 100 anni dopo quell'incendio che è diventato poi, in seguito, il simbolo dell'inizio delle persecuzioni fasciste nei confronti delle comunità slovene e croate di confine, la Casa del Popolo di Trieste, che è stata distrutta ed andò in fumo, fu restituita dall'Italia alla comunità slovena. Come spesso accade, la misura e la saggezza del Presidente Mattarella ci vengono in aiuto, ricordandoci la necessità di un impegno vero in un percorso di riconoscimento e collaborazione tra comunità e Nazioni confinanti, che va fatto respingendo nel buio del passato il nazionalismo e rifiutando la violenza che sempre nella storia il nazionalismo ha generato.
Non possiamo correre il rischio che qualcuno voglia investire nella promozione della conoscenza storica per utilizzare la storia e la memoria come strumento nella dinamica politica attuale: prendere fatti, isolarli e usarli non per comprendere le lacerazioni, ma per perpetrarle all'infinito, oppure per confondere fatti, responsabilità e giudizi in un calderone in cui rendere indistinguibili gli anelli di una lunga catena di violenze che ha insanguinato il confine orientale per decenni, o per far passare, anche in modo soltanto illusivo, l'idea che in una delle più grandi tragedie del Novecento, come la Seconda guerra mondiale, non ci fossero una parte giusta e una parte sbagliata .
In molte delle iniziative che questa destra propone sul tema delle foibe sembra emergere una sola e isolata tragedia: quella degli italiani vittime di barbarie, mentre tutto il resto sembra diventare oggetto della stessa rimozione e dello stesso silenzio che, sbagliando, si fece calare sulle foibe per molti decenni .
Spero, invece, che sia condiviso in quest'Aula il fatto e non l'opinione che la più terribile distruzione che l'Italia abbia subito, che è la morte di centinaia di migliaia di italiani, militari e civili, fu dovuta al fatto che il fascismo spinse il Paese in una guerra sbagliata e dalla parte sbagliata, a fianco di uno dei peggiori criminali della storia, Adolf Hitler .
La complessità delle vicende avvenute al confine orientale in quegli anni non può essere semplificata e ridotta a sassi da lanciare contro l'avversario politico o, intenzione ancora più grave, contro la Resistenza al nazifascismo, quel movimento di popolo che ci ha restituito un'Italia libera e democratica. Insomma, la stessa legge che istituiva il Giorno del ricordo faceva riferimento a mantenere l'attenzione sulle complesse vicende del confine orientale.
Nella proposta che discutiamo oggi, però, in alcuni passaggi questa complessità svanisce e sembra chiara la volontà di togliere ad alcune realtà la possibilità di contribuire alla costruzione del ricordo e della memoria tra le giovani generazioni. Altrimenti, perché il finanziamento per la ricerca storica è indirizzato solo alle associazioni degli esuli, escludendo, senza alcun motivo ragionevole, gli istituti di ricerca, le associazioni e le fondazioni che, da anni e con grande merito, si occupano delle vicende del confine orientale ? È una scelta davvero inspiegabile se l'obiettivo è quello di restituire al Paese e alle giovani generazioni una memoria storica priva di rimozioni, lucida e completa.
Nella proposta che discutiamo, le associazioni degli esuli saranno le uniche ad avere la delega per i viaggi del ricordo. Perché restituire ai ragazzi solo un pezzetto della storia e della memoria, se, invece, la legge istitutiva della Giornata del ricordo parla delle vicende complesse del confine orientale?
Il rispetto di ogni vittima, il rispetto profondo che abbiamo per il dolore delle vittime delle foibe e per tutti coloro che furono costretti all'esodo, impone rigore ed onestà, impone il coraggio di non tacere niente per interesse di parte o per la tentazione di strumentalizzare quanto si racconta. La proposta che stiamo discutendo, secondo noi, non va in questa direzione e per questo ci asterremo dal voto .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO(AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. L'11 febbraio 2004, questo Parlamento approvava, a larghissima maggioranza, con 502 voti favorevoli, la legge che istituiva la Giornata del ricordo. “È stato un episodio di riconciliazione nazionale. Verità e giustizia, testimonianza di amore verso tanti italiani per troppo tempo dimenticati”: queste sono le parole che usò il Presidente Casini, che commentava, alla fine del suo iter, l'approvazione di questa legge.
La riconciliazione è stata una strada complicata e lunga. Nel 1990, il consiglio comunale di Trieste approvò - lo dissi nella mia dichiarazione di voto 20 anni fa - una mozione che passò all'unanimità in un consiglio comunale complicato, complicato dalle vicende molto vive in quella città, che chiedeva l'istituzione di una commissione italo-jugoslava che concluse i suoi lavori, affermando l'esistenza di un progetto preordinato in quei tragici avvenimenti del confine orientale.
Nel 1991, Cossiga fu il primo Presidente della Repubblica ad andare sulla Foiba di Basovizza. Nel 1993, l'allora sindaco Riccardo Illy fu il primo sindaco di centrosinistra a recarsi sulla Foiba di Basovizza e, successivamente, anche tutti i sindaci rappresentanti della provincia di Trieste, rappresentanti anche di quei comuni a maggioranza di cittadini italiani di lingua slovena, si recarono in quei luoghi.
Parallelamente, ricordo come ci fu la presenza delle istituzioni italiane al monumento di Basovizza, dedicato ai partigiani sloveni fucilati dai fascisti. Non furono episodi scontati, non furono episodi facili ma furono episodi sempre contestati, perché sempre c'era qualcuno che contestava un pezzo della storia. Tutto questo preparò la legge che approvammo nel 2004. Ci fu l'indiscutibile contributo che diedero Fini e Violante in quel percorso, due persone che da punti di vista diversi diedero una lettura univoca della storia del nostro Paese. Quel passaggio fu fondamentale. Io ricordo tanti altri colleghi che contribuirono, anche il collega Roberto Menia, che fu il primo presentatore di quella legge.
Abbiamo fatto passi importantissimi in questi 20 anni. Nel 2010 c'è stato il concerto dei tre Presidenti, quello italiano, quello sloveno e quello croato, in piazza Unità d'Italia a Trieste. Ci fu la presenza del Presidente Napolitano. C'è un'immagine straordinaria del 2020 del Presidente Mattarella che si tiene per mano con il Presidente sloveno sulla Foiba di Basovizza e sul monumento dei fucilati a Basovizza. È un pezzo di memoria condivisa e per arrivare a questo dobbiamo dire grazie alle tante associazioni che in Italia hanno tenuto sempre verde, nella fatica, la memoria dell'associazionismo degli esuli. Lo hanno fatto quando era facile ma soprattutto lo hanno fatto quando era difficile. Allo stesso modo dobbiamo dire grazie alle associazioni che, oltre confine, hanno testimoniato la presenza italiana anche nel periodo della Jugoslavia, quando essere italiani era molto complicato. Lo hanno fatto con la consapevolezza che le loro radici non potevano essere rimosse.
C'è ancora molto da fare. Lo dico pensando che questa legge abbia un significato politico più che un significato amministrativo e apprezziamo il fatto che arrivi in questa circostanza. C'è molto da fare nell'identificazione delle vittime ancora in tante foibe, vittime che non sono state ancora tutte identificate, nella tutela dei cimiteri italiani oltre confine e nella memoria di fatti che hanno segnato nel profondo il nostro Paese. Ne ricordo uno che mi ha sempre colpito. A Vergarolla, una spiaggia della città di Pola, il 18 agosto 1946 - c'era un'amministrazione angloamericana ma il territorio era italiano - ci fu una violenta esplosione, causata con premeditazione, in cui morirono oltre 100 persone. Di queste, 64 sono state identificate e oltre un terzo erano bambini. C'era, peraltro, anche un medico, Geppino Micheletti, che voglio ricordare in quest'Aula, il quale, padre di due bambini morti su quella spiaggia, continuava incessantemente, nonostante la consapevolezza di aver perso i suoi figli, a operare i feriti. Quella fu una delle più grandi stragi dimenticate dai nostri annuari sul territorio italiano nel dopoguerra. Dunque, c'è ancora un pezzo di cose da fare.
Abbiamo sanato una ferita, che è una ferita che ha riguardato centinaia di migliaia di persone che hanno lasciato le loro case e i loro beni pagando i danni di guerra dell'Italia, danni di guerra che l'Italia aveva fatto. Il fascismo ha fatto danni seri in quei territori. Hanno pagato i danni di guerra con i loro beni e con le loro case e sono partiti verso l'Italia con tutti i mezzi a disposizione o sono scappati in giro in tutto il mondo. Oltre a partire, oltre ad abbandonare la loro casa e le loro terre, sono stati anche tacciati di essere fascisti, perché erano italiani e allora venivano chiamati fascisti. Hanno sofferto, è gente che ha sofferto tantissimo. A Trieste, che è la città italiana più vicina, sono stati decine di migliaia coloro che hanno vissuto per anni nei campi profughi, luoghi freddi e non adeguati a nulla che hanno veramente segnato la vita di migliaia e migliaia di famiglie. Oggi ricordiamo quella tragedia ma guardiamo anche al futuro, perché bisogna dire che 20 anni fa, approvando quella legge, abbiamo dato anche un contributo alla riappacificazione tra i nostri Paesi, tra l'Italia, la Slovenia e la Croazia, riappacificazione che, come ho ricordato prima, ha avuto momenti molto alti, proprio grazie al lavoro dei nostri Presidenti della Repubblica che si sono susseguiti. La nostra casa comune è nata anche sulla consapevolezza di quello che è successo in quegli anni terribili, la nostra casa comune, l'Europa, è nata anche sulla tragedia dei danni che la seconda guerra mondiale e la vittoria sul nazifascismo hanno prodotto. Quella guerra ha segnato il nostro continente e ha segnato ancor di più quelle zone di confine. Oggi, l'approvazione di questa legge - mi auguro veramente con un voto larghissimo, come fu vent'anni fa - segna un passo in avanti e anche una risposta a quelle persone che comunque guardano ancora con grande attenzione alla storia delle loro famiglie e alla storia della loro terra .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato De Palma. Ne ha facoltà.
VITO DE PALMA(FI-PPE). Grazie, Presidente. Signor Sottosegretario, colleghe e colleghi, sono passati molti anni, circa 20, da quando il Parlamento ha istituito il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe, con un voto quasi unanime su di una legge fondata sul rispetto e sull'amore per la verità e per i nostri connazionali. Era il 2004 e non possiamo non ricordare le parole del Presidente Berlusconi che fortemente volle l'approvazione della legge perché sentiva forte il dovere di mantenere viva l'attenzione su una dolorosa e tragica vicenda, che non era di pochi, ma che riguardava l'intero popolo italiano. Disse che quando in una famiglia qualcuno soffre, l'intera comunità familiare ne è colpita. Purtroppo, viviamo ancora in un clima negazionista, sono state presentate varie proposte di legge motivate dalla necessità di promuovere e incentivare i viaggi del ricordo nei luoghi delle foibe.
Il testo unificato che oggi quest'Aula si accinge a votare ricomprende anche la proposta di legge n. 1496, a prima firma del sottoscritto e di altri deputati di Forza Italia. La proposta di legge in discussione fornisce un aiuto ad attività di conoscenza sulla tragedia delle foibe e sull'esodo giuliano-dalmata e a chi si dedica alla tutela e alla valorizzazione della memoria storica delle vittime delle foibe e delle vicende dell'esodo giuliano. Basovizza è uno dei centri di raccolta profughi a cui questo provvedimento destina risorse. Sì, è lì dove avvenne il famoso gesto simbolico del Presidente della Repubblica Cossiga. Era il 3 novembre 1991 e per la prima volta un Presidente della Repubblica italiana si recava lì. Il Presidente Cossiga si inginocchiò e pronunciò parole forti: chiedo scusa a questi italiani per il silenzio di un'intera classe politica che non ha avuto il coraggio di rendere omaggio a voi fino ad oggi. Ecco, abbiamo dovuto attendere decenni per gesti simbolici in omaggio alle foibe e già questo fa capire quanto sia stata sofferta la riconquista di uno spazio nella memoria collettiva di una storia patria per troppo tempo negata, aumentando ancora di più il dolore dei sopravvissuti, delle persone care, di chi è stato obbligato ad allontanarsi, col cuore spezzato, dalla propria terra per una furia comunista.
Le disponibilità di risorse di bilancio permetteranno visite didattiche, previ progetti, e così facendo consentiranno un nuovo protagonismo della democrazia. Ci sono momenti nei quali la terra tace per un istante, perché l'orrore provocato alle genti e alla collettività è contro natura e, quindi, anche la natura tace per un secondo. Noi però non dobbiamo tacere, nemmeno per un secondo, ma essere indignati per chi ha parlato troppo poco oppure ha detto falsità. Quella delle foibe è stata una grande tragedia italiana iniziata nel 1943, mentre il Paese provava a ripartire e a ritornare gradualmente alla normalità. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una parte del popolo italiano, abitante in quelle terre, dovette subire la disumanità fatta di torture, di carcere, di esilio, di morte.
Non vi fu differenza tra bambini donne, giovani e anziani. Permettetemi, non posso non ricordare in questa terribile tragedia, troppo a lungo nascosta e dimenticata, i miei concittadini esuli istriani che furono costretti a scappare dalla loro terra, da Pola, per approdare in una città della provincia di Taranto, a Ginosa e a Marina di Ginosa, alle famiglie Costella, Dian, Cella, De Stefani, Martin, e a tante altre famiglie fu chiesto di abbracciare la bandiera di Tito. Loro scelsero orgogliosamente quella italiana, perché erano italiani superbamente, perché erano fieramente italiani. Il compianto Antonio Cella che perse anche dei congiunti nelle foibe (Yeti era il diminutivo di Antonio, per gli amici, persona di autentica saggezza di cui mi onoro di essergli stato amico) riportò le loro tribolazioni le sue memorie di prigionia di guerra in un libro autobiografico, dal titolo emblematico , in cui ripercorre l'epopea di gente semplice che seppe fare al momento cruciale scelte difficili, ma che riteneva giuste pagando di persona.
A proposito di essi, Presidente, concludo con un romanzo. Anch'io ho diritto di sapere, così sbotta Martina all'inizio di questo romanzo. La sua è la ribellione adolescenziale verso un padre ed un nonno che, per proteggerla, l'hanno sempre tenuta all'oscuro di un passato familiare doloroso. Eppure il grido della ragazza metaforicamente simboleggia la rabbia verso un altro silenzio, quello che realmente ha tenuto all'oscuro per decenni l'Italia sulle sorti di una parte della stessa popolazione italiana, gli istriani, i fiumani, i dalmati, perseguitati dal regime di Tito, eliminati con sommarie esecuzioni, cacciati dalle loro terre alla fine della seconda guerra mondiale. Un capitolo di storia troppo scomodo per tanti, dunque, seppellito. È vero, è un romanzo di ragazzi per altri ragazzi, il passaggio di testimone tra una generazione sfortunata, che conobbe la ferocia del Novecento, e quella di oggi che può sperare in un'Europa migliore. Il gruppo di Forza Italia, quindi, è onorato di essere stato promotore di questo provvedimento che si è incrociato con le volontà di altri gruppi parlamentari e, convintamente, molto convintamente, voterà a favore
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Caso. Ne ha facoltà.
ANTONIO CASO(M5S). Signora Presidente, annuncio subito il voto favorevole del Movimento 5 Stelle su questo provvedimento così come già fatto nel passaggio in Senato. Ora, chiarito subito questo passaggio, è giusto che ci prendiamo del tempo per affrontare, come merita, il tema della vicenda delle foibe, non entrando nel dettaglio di quel che è stato, ma di come dovremmo tutti approcciarci ad esso. Il nostro voto favorevole penso sgombri il campo su eventuali accuse di usare due pesi e due misure, e dimostri una cosa semplice, o che dovrebbe essere semplice: che i massacri sono massacri. Per questo è giusto studiarli, analizzarli, condannarli e soprattutto ricordarli. È importante e fondamentale che si parli di questa pagina di storia, pertanto bene la Giornata del ricordo, istituita 20 anni fa, perché si tratta di un doveroso e tardivo riconoscimento delle sofferenze subite da un numero considerevole di nostri concittadini. È bene aggiungere, con questa proposta di legge, gli strumenti per rendere ancora più forte questa Giornata, soprattutto se fatta attraverso l'arte e se rivolta alle scuole e ai più giovani. Le giornate della memoria e del ricordo sono di fatto una questione di educazione sociale e nessuno - nessuno! - deve pensare di appropriarsene, né da una parte, né dall'altra
È sempre importante ricordare, evitando però di riscrivere la storia a proprio piacimento; è importante farlo contrastando un racconto mediatico che, purtroppo, spesso, è molto impreciso e non aiuta a capire, come accade in alcuni film. Non voglio additare singole opere, ma ci sono alcuni film che danno una ricostruzione fantasiosa di quanto accaduto, con il tentativo di far passare i nazisti - sottolineo, i nazisti - addirittura come quelli buoni. Non è quella la memoria, non è quello il ricordo. Non bisogna correre il rischio di perdere per strada la dimensione , che era ben chiara nello spirito della legge di 20 anni fa, che però non ho ritrovato, non abbiamo ritrovato pienamente nel modo in cui è stata affrontata questa proposta di legge, bocciando alcune iniziative emendative che cercavano proprio di trovare un equilibrio. Lo ripeto, guai a provare a fare un'appropriazione, a destra o a sinistra, di iniziative come questa: sarebbe un grave, gravissimo fallimento che dobbiamo scongiurare.
Faccio mie le parole del Presidente Mattarella: “Nessuno deve avere paura della verità. La verità rende liberi. Le dittature - tutte le dittature - falsano la storia, manipolando la memoria, nel tentativo di imporre la verità di Stato. La nostra Repubblica trova nella verità e nella libertà i suoi fondamenti e non ha avuto timore di scavare anche nella storia italiana per riconoscere omissioni, errori o colpe”. Concludo, Presidente, con un pensiero alle vittime innocenti di tutti i conflitti, quelli passati, ma, soprattutto, quelli presenti .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Loizzo. Ne ha facoltà.
SIMONA LOIZZO(LEGA). Grazie, Presidente. Prima di iniziare, vorrei ringraziare tutti quei giornalisti, come il calabrese Mario Campanella, che hanno scritto sulle foibe pagine di stampa straordinarie e che hanno mantenuto quell'atteggiamento di grande civiltà e libertà morale che hanno pagato per l'appartenenza alla destra. È un onore per me poter intervenire nella Giornata del ricordo, per troppo tempo seppellita nella memoria collettiva da un pensiero unico che negava, e nega ancora, le violenze compiute dagli uomini di Tito, nei confronti di chi? Degli italiani, colpevoli - come già qualcuno ha detto - solo di essere orgogliosamente italiani e di vivere in territori che conservano le tracce della presenza italiana anche a distanza di 80 anni. Voglio ricordare che, tra le migliaia di nostri connazionali infoibati senza alcuna colpa, c'erano persone di ogni estrazione politica e di ogni età: c'era il fratello di Pier Paolo Pasolini, comunista, forse uno dei più grandi intellettuali del nostro dopoguerra; c'era Norma Cossetto, torturata in ogni modo prima di essere uccisa; c'erano cittadini comuni, uccisi con orrore e spietatezza, sulle spiagge o per le strade, mentre la nascente Jugoslavia annetteva Paesi indipendenti sotto l'egida dell'orrore. Non sappiamo quanti italiani sono morti, forse 5.000, forse 12.000. C'è chi sostiene, come noi, che questa tragedia storica debba essere ricordata per sempre. Guidalberto Pasolini era un partigiano, ma non fu risparmiato dalla follia comunista. Dobbiamo ricordare che in quel periodo altri italiani si schierarono dalla parte di Tito, dobbiamo denunciare chi oggi, addirittura, nega l'esistenza delle foibe e, magari, ricopre ruoli importantissimi dal punto di vista delle istituzioni culturali . Rivolgiamo alla sinistra l'invito ad abbandonare ogni prudenza, ogni sacca di ingiustificata difesa di ciò che è indifendibile. Non deve essere una ricorrenza di parte, ma, come ha sempre detto il Presidente Mattarella, un lutto nazionale.
Ancora oggi, signor Presidente, c'è chi nega l'esistenza delle foibe, c'è chi la considera una sorta di antifascista, chi, vergognosamente, ne giustifica l'azione come una necessaria azione di pulizia etnica dettata dall'esigenza di affermare le ragioni del socialismo reale.
Quelle migliaia di italiani non erano reduci dal fascismo, erano italiani e morirono solo per questa colpa - come ha detto e ricordato l'onorevole Furgiuele, erano colpevoli di essere soltanto italiani -, ad opera di un disegno criminale ordito da Tito che, ancora oggi, è insignito di una onorificenza, che noi della Lega pretendiamo e vogliamo venga cancellata . Quel genocidio che colpì cittadini di ogni estrazione politica fu una delle tante pagine dell'ideologia più criminale del Novecento, quel comunismo che, nel secolo scorso, ha prodotto 100 milioni di morti. Il comunismo del Patto di Varsavia ha provocato milioni di morti, terrore, ha giustificato, in nome di un'utopia, qualsiasi tipo di violenza, ha inaugurato il fronte del dopoguerra in quella che Churchill chiamava la cortina di ferro, dove si coprivano terrore e dolore. Mi auguro, signor Presidente, che i negazionisti delle foibe vengano perseguiti alla stregua dei negazionisti di altre tragedie che colpiscono i popoli.
Chiudo, citando ancora una volta Pasolini, che in quegli anni venne espulso, perché omosessuale, dal PCI, che diceva: negli occhi di mia madre il dolore per quanto successo non potrà mai essere consolato.
Nei nostri occhi e nella nostra memoria, la violenza del comunismo jugoslavo rimarrà indelebile. Sia ricordata alle nuove generazioni affinché mai più si ripeta ciò che è accaduto , nel solco di un passato che non sarà figlio dell'oblio. A quelle donne violentate e uccise, a quegli uomini torturati, gridiamo forte: viva l'Italia, viva la libertà !
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cuperlo. Ne ha facoltà.
GIANNI CUPERLO(PD-IDP). Grazie, Presidente. La legge che ha istituito il Giorno del ricordo compie 20 anni: fu votata da quasi tutto il Parlamento, dopo che, a lungo, sulla pagina sanguinosa di quel confine era calato il silenzio. Quel mutismo accomunava il partito di Governo a Roma e l'opposizione comunista, che sulle vicende dell'Alto Adriatico non poteva dirsi spettatrice.
È stato scritto che l'Atlantico e il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l'Adriatico è il mare dell'intimità. Ma ci si può odiare, nell'intimità? Purtroppo, sì, con una premessa: che non si comprendono le violenze del Novecento in quel triangolo dell'Europa, se ci si rinchiude in una storia nazionale, che sia quella italiana, slovena o croata. La realtà è che, a cavallo del confine orientale, prima, durante e dopo la guerra, si sono prodotti veri e propri fenomeni di sostituzione nazionale, il che non appaia una , perché dietro la formula si sono consumati drammi familiari e collettivi, prodotti da ideologie e regimi diversi. Dapprima, il fascismo decise l'allontanamento di molte migliaia di cittadini sloveni e croati dalle regioni dove erano nati e vissuti, poi furono gli Accordi di Parigi, il 10 febbraio 1947, a indurre l'esodo dall'Istria di decine di migliaia di italiani, costretti a lasciare case e beni.
La verità è che nella lotta politica può sempre esserci spazio per i compromessi, in quella nazionale no. Il nazionalismo è il concime che dissemina odi e contese , destinati, prima o poi, a deflagrare, e così è avvenuto, colleghi, in una storia che va conosciuta, ma conosciuta tutta. Il 13 luglio 1920, le squadre fasciste incendiano l'Hotel Balkan, la sede di organizzazioni e istituzioni slave a Trieste: è l'avvio di una persecuzione. Gli sloveni si trovano catapultati nell'incubo, che si prolungherà per il quarto di secolo a seguire: 134 edifici incendiati, circoli di cultura, case del popolo, camere del lavoro. Nell'aprile 1927, il regime fascista impone la restituzione in forma italiana dei cognomi deformati in passato dalle autorità austriache. Diciamo che il tentativo di sradicare l'identità di un popolo avanzò lungo il doppio binario di un'assimilazione delle anime mai sconnessa da una violenza sui corpi. Il fascismo fu questo e taccia per sempre chi rivendica che fece anche cose buone . Tra le vittime di quella repressione, moltissimi cattolici, parroci, preti, vescovi e l'esplosione dell'antisemitismo in una città, Trieste, ricca di una comunità ebraica tra le più importanti. In quel contesto, un ordigno venne fatto esplodere il 10 febbraio 1930 presso , uccidendo un redattore. Dopo un processo farsesco, seguivano quattro condanne a morte, uno dei quattro, Ferdo Bidovec, era di madre italiana, come peraltro slovena era la madre di Guglielmo Oberdan, a conferma che, per i patrioti di frontiera, il sangue non conta un bel nulla. I quattro vennero fucilati il 6 settembre 1930 presso il poligono di Basovizza, lì il Presidente Mattarella e quello sloveno Borut Pahor si sono raccolti, mano nella mano, davanti alla lapide e lo hanno fatto subito dopo avere reso omaggio alla più nota Foiba di Basovizza. La Seconda guerra mondiale scompose una volta di più assetti, etnie e comunità. L'offensiva tedesca sulla Jugoslavia scattò il 6 aprile 1941, Mussolini vi si accodò, in una pagina tra le più cruente. Sul fronte opposto, i comunisti guidati da Tito animarono la Resistenza anti-tedesca. Tra il 1941 e 1943 le azioni italiane contro le formazioni partigiane non esitarono a reprimere quantità di civili: non furono danni collaterali, ma una strategia tesa a isolare qualunque focolaio di resistenza; internamenti di massa condussero a costruire campi in grado di concentrare migliaia di persone, come a Gonars, in Friuli, o nell'isola di Arbe, in Dalmazia.
Sono solamente cenni, colleghi, ma servono a dar conto di un conflitto che sfocerà nella pagina ultima, quella che ci riconduce a questo Giorno del ricordo. Dopo l'8 settembre, anche la Venezia Giulia conosce la sorte del resto del Paese: comandi militari e truppe allo sbando. La controrepressione non è meno violenta e spesso sfugge al controllo delle autorità partigiane, con atti di sadismo e violenza cieca. L'uccisione di Norma Cossetto, studentessa istriana, seviziata e infoibata nell'autunno del 1943, resta una delle pagine più atroci di quella stagione. Alla fine della guerra, in quel lembo del continente, tra infoibati e uccisi dai nazisti e fascisti, non c'era famiglia che non piangesse un lutto. Nella parte finale della guerra, il Governo di Salò non aveva più alcun potere su sindaci e prefetti e le violenze, una volta di più, furono terribili. Nell'aprile 1944 i tedeschi compiono una rappresaglia nel villaggio di Lippa, in provincia di Fiume: una colonna scortata da ufficiali italiani entra in paese e uccide chiunque incontri, per lo più sono donne, anziani e tre bambine che hanno meno di un anno, alla fine le vittime saranno 280. E dall'ottobre del 1943 all'aprile del 1945 opera a Trieste la Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazista nel nostro Paese, gestito, colleghi, da SS tedesche e austriache, che annovera specialisti del ramo, carnefici responsabili di buona parte della Shoah in Polonia, Kurt Franz, il sadico torturatore di Treblinka, e Odilo Globočnik, a cui si ascrivono almeno un milione e mezzo di morti. Circa 700 ebrei triestini passeranno da quelle celle, se ne salveranno una ventina. Il 1° maggio 1945 i partigiani jugoslavi occupano Trieste. La tecnica che usano non è quella dei rastrellamenti di massa, ma gli arrestati sono comunque migliaia. Non servono accuse provate, basta un sospetto e l'esito è una sequenza di uccisioni, in molti casi senza alcuna imputazione, tanto meno colpa, il che spiega i motivi che condussero a morte, finendo infoibati, anche militanti della Resistenza triestina. L'esodo dall'Istria e dalla Dalmazia - ciò che il 10 febbraio ricordiamo ogni anno - è l'ultimo capitolo - l'ultimo - di questa storia tragica. L'esodo fu dramma vero, strappo e ferita non ricucibile.
Con gli anni, i passi nella direzione di una pacificazione si sono compiuti. Per il poco che vale, mi recai, da ragazzo, segretario dei Giovani comunisti italiani, a deporre un mazzo di fiori sulla Foiba di Basovizza: correva l'anno 1989. L'anno prima, per la prima volta, lo aveva fatto il collega Piero Fassino, che è seduto oggi alla mia sinistra. Più tardi, gesti molto più autorevoli sono seguiti: dalla visita, ricordata, di Sergio Mattarella e Borut Pahor, all'incontro del 2010, quando i Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia resero omaggio al Narodni dom, l'ex Hotel Balkan e al Monumento all'esodo istriano-dalmata.
Ecco, colleghi, ciò che noi vogliamo rammentare in questa giornata è il bisogno di non cancellare il passato, tutto il passato, perché farlo equivale a gettare le basi che possa ripetersi. Ma non cancellare - già l'ho detto - equivale a conoscerlo e, soprattutto, a capirlo e a rispettarlo, colleghi, senza demoni in corpo, senza fantasmi a inseguire il presente, senza la paura di misurare la storia, i suoi torti e le sue ragioni.
Per chi come me, come Debora Serracchiani, o come altri in quest'Aula, è nato o vive lassù, tutto ciò non può limitarsi ad un augurio, tutto ciò è semplicemente un dovere dell'anima. E allora è bene alimentare tra i più giovani, con borse di studio e viaggi di istruzione, una conoscenza che possa farsi coscienza storica e maturazione civile.
Su questa frontiera voi ci troverete sempre su questi banchi, consapevoli e disponibili, ma senza che alcuna parte pensi, dopo tanti decenni, di piegare la storia a proprio vantaggio, offrendo del racconto di quelle pagine alcuni capitoli solamente e sbianchettando tutto il resto perché, colleghi e colleghe, quello sì, sarebbe l'ultimo sfregio alle vittime di un odio coltivato nell'incoscienza di guasti profondi.
Vedete, ci sono luoghi dove troppa storia ha avuto a disposizione troppa poca geografia e quel lembo dell'Europa è sicuramente uno di questi luoghi. Facciamo in modo che, almeno dentro quest'Aula solenne, tanta tragica storia possa dar vita a una cultura della conoscenza, della consapevolezza, del rispetto, non per approdare ad una memoria condivisa, ma per non calpestare mai più le memorie di chi ha sofferto lutti, odi e tragedie. Ma “rispetto”, colleghi e colleghe, significa anche non stravolgere mai le posizioni degli altri.
Ieri il Vicepresidente di questa Camera ha accusato il Partito Democratico, questi banchi e la mia persona di negazionismo sulle vittime delle foibe e sull'esodo di istriani e dalmati. Ha accusato me personalmente di volere - lo cito - “la surreale celebrazione di un dittatore sanguinario, artefice della pulizia etnica attuata senza pietà sul confine orientale”. Vedete - chiudo, Presidente - il punto non è che in Commissione, come gli atti testimoniano, io e altri colleghi abbiamo espresso con chiarezza una posizione esattamente opposta - nessun negazionismo e nessuna rimozione da parte nostra di quelle pagine tragiche, di quei crimini scolpiti -, il punto è che il Presidente Rampelli non si fa scrupolo di vergare frasi violente quanto profondamente false. E siccome oramai anche i giurì d'onore sembrano rispondere per voi a una logica di possesso, a me non resta altro, oggi, che rivolgermi a quest'Aula con la modestia e l'onestà di una storia per dire che su questi banchi non siedono negazionisti di sorta, ma casomai qui siedono gli indegni eredi di quei veri patrioti che ottant'anni fa hanno riconsegnato l'Italia alla libertà e alla democrazia e hanno consentito, con il loro sacrificio di patrioti, al Vicepresidente della Camera di offendere e calpestare la dignità di un membro di quest'Assemblea . Io, con questo spirito, annuncio e comunico il nostro voto e lo faccio con l'amarezza verso chi adopera la falsificazione e l'insulto, forse rimpiangendo qualcun altro che, da quel banco laggiù, un giorno ebbe a dire di voler trasformare quest'Aula sorda e grigia in un bivacco per i suoi manipoli . Per questo e con questo spirito democratico, repubblicano e antifascista, voteremo questo provvedimento
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Matteoni. Ne ha facoltà.
NICOLE MATTEONI(FDI). Grazie, Presidente. Siamo al momento finale della discussione di una proposta di legge, abbinata alle proposte di legge Ciaburro e De Palma, che per noi, per tanti istriani, giuliani, fiumani e dalmati, rappresenta più di un mero esercizio normativo, ma la conferma di un profondo cambiamento di pensiero e azione nei confronti di una delle pagine della storia italiana che volutamente, per troppi anni, è stata nascosta. Erano pochi che, all'inizio, alla foiba di Basovizza andavano a portare un fiore, quando ancora non era riconosciuta come monumento nazionale, in silenzio, per paura di rappresaglie. In silenzio perché, se dicevi qualcosa, eri solo un fascista; in silenzio perché è stata loro la colpa di quelle vittime .
È difficile trovare un solo motivo valido sul perché gli istriani, i giuliani, i fiumani e i dalmati siano dovuti rimanere in un doloroso silenzio per decenni; perché, ad esempio, a Bologna, abbiano ricevuto insulti, offese e provato dolore e vergogna al loro passaggio alla stazione dei treni, perché Marinella, a tre anni, sia morta di freddo al campo profughi di Padriciano.
La narrazione di un'ideologia politica che pretende di rappresentare il bene assoluto sempre, comunque, qualsiasi cosa sia stata fatta, per fortuna, non è più forte come prima. L'equazione che le vittime del bene assoluto non possano che appartenere al male assoluto, anche se innocenti, perché il bene e il male sono stabiliti dunque a monte, a prescindere dagli atti e dai comportamenti effettivi, la consegniamo alla storia. La spiegazione storico-politica di parte che questa tragedia sia stata non una pulizia etnica, bensì una pulizia etica, oggi, lo ribadiamo con forza, finisce qui.
Nel testo che oggi andiamo ad approvare vengono inseriti miglioramenti e preziose innovazioni per il ricordo di quanto successe al di là del mare. Partiamo dal concorso nazionale rivolto agli studenti universitari, per la realizzazione di un'installazione temporanea da esporre per un anno in un capoluogo di regione a rotazione, per arrivare all'istituzione di un fondo corposo per i Viaggi del ricordo, nei luoghi protagonisti del dramma delle foibe e dell'esodo, agli importanti finanziamenti alle associazioni ed istituti che, da anni, con dedizione e passione convergono le loro forze per far conoscere i luoghi del ricordo a migliaia di studenti di tutta Italia. Ancora, l'estensione della legittimazione a chiedere il riconoscimento di un'apposita insegna metallica, con relativo diploma, riconosciuta ai soggetti infoibati e scomparsi, al sindaco del comune di nascita dell'interessato ove manchino parenti in vita o un'esplicita domanda da parte degli stessi, ovvero alle associazioni storiche riconosciute degli esuli istriani, fiumani e dalmati e alla Lega nazionale di Trieste, ove il comune di nascita non rientri più nel territorio dello Stato italiano.
A queste realtà, a loro, va il mio grazie di cuore a nome di tutta Fratelli d'Italia: alla Lega nazionale di Trieste, che gestisce i sacrari e il Centro di documentazione della Foiba di Basovizza, per conto del comune di Trieste, all'IRCI, che custodisce con passione e devozioni le masserizie degli esuli del Magazzino 18 , alle dell'Unione degli Istriani, che difendono la memoria e la storia della vita in Italia degli esuli nel campo profughi di Padriciano, senza dimenticare di tenere in vita gli usi e i costumi dei nostri avi. E ci sono ancora tante associazioni che svolgono questo lavoro di ricerca storica, dall'ANVGD al Comitato 10 Febbraio, solo per citarne alcune, ma l'elenco è molto lungo e i ringraziamenti non saranno mai abbastanza.
E che dire di tutti coloro che sono la vera macchina operativa di questo mondo, che per amore verso la verità e la giustizia hanno dedicato la loro vita a raccontare a tutti cosa fossero le foibe e l'esodo? Ne troviamo nella mia Trieste, qui, a Roma e in giro per tutta Italia. Infatti, grazie alle mostre, alle pubblicazioni di libri e ai racconti sul tema, si è riusciti ad entrare nelle case degli italiani e nelle scuole, passo dopo passo.
Come dimenticare l'emozione della prima, al Politeama Rossetti di Trieste, di di Simone Cristicchi? Fummo in molti, quella sera, a Trieste, a sventolare la bandiera dell'Istria e il tricolore in strada, tra le lacrime. Per non parlare della commozione nel leggere la storia di Norma Cossetto in un fumetto o di vederla raccontata con un film, come in . La storia ha sempre mille angoli oscuri e potremmo sentire ancora dire: “ma quello, ma lui, ma quella volta”. Invece, oggi, dobbiamo decidere tutti insieme di non mettere più nessun “ma”, solo un punto a capo. Sì, perché le storie delle famiglie e dei volti senza nome, quelli ritratti dalle fotografie appese ai muri del Magazzino 26, che raccoglie le masserizie del Magazzino 18, sono ancora da raccontare ed è compito di tutti noi, , raccontarli a chi ci è vicino, ai nostri parenti più stretti e agli amici.
Dobbiamo ancora fare totale chiarezza su quello che accadde il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Vergarolla, a Pola. Parliamo, infatti, di una delle più grandi stragi italiane del dopoguerra, su cui la totale verità non è ancora emersa, perché anche questa è storia d'Italia, non dobbiamo vergognarcene e dobbiamo stringerci a questo ricordo con tutti i popoli, istriano, fiumano e dalmata.
Presidente, ci sono ancora tanti, troppi, che non sono stati ritrovati e a cui le famiglie non possono portare un fiore sulla tomba. Com'è noto, le ricerche dall'altra parte del confine continuano e sono recenti le identificazioni di nuove foibe nei territori delle Repubbliche di Slovenia e Croazia, che aspettano di entrare nelle pagine di storia.
Anche nella mia Trieste c'è una foiba un po' nascosta, in un terreno privato, l'abisso Plutone, dove furono gettati gli agenti della Polizia penitenziaria dai titini in quel maledetto maggio del 1945. Proprio al comandante Ernesto Mari è intitolata, oggi, la casa circondariale di Trieste. Quel sito merita tutta la nostra attenzione, sperando che diventi a breve accessibile a tutti e venga riconosciuto istituzionalmente come luogo del ricordo .
Non nascondiamoci dietro un dito, la legge del ricordo va sostenuta e rafforzata, perché in Italia esistono ancora sacche di riduzionismo, se non di negazionismo, a volte sostenute da frange della sinistra italiana o anche da associazioni che ricevono fondi e patrocini da enti locali del nostro Paese. È paradossale, doloroso e inaccettabile che questo avvenga solo in Italia e solo qui. Pensate che in Slovenia, già nel 2011, l'Alta Corte di Lubiana, corrispondente alla nostra Corte costituzionale, ha sancito il divieto di intitolare vie e piazze a Tito, in quanto ciò viola il principio di dignità dell'uomo e offende le vittime del regime di cui era capo . Invece, qui, in Italia, abbiamo persone che contestano l'opportunità di revocare l'onorificenza al maresciallo Josip Broz Tito, una sacrosanta battaglia storica, purtroppo della sola destra italiana, mentre ci sono ancora entusiasti o persone che ritengono si possano concedere le attenuanti generiche a quello che è e resta un assassino di massa .
Ribadiamo convintamente che Fratelli d'Italia, su questa battaglia, non arretra di un millimetro. Voglio citare, infine, una bellissima frase dell'onorevole Giorgio Almirante che ebbe a dire, durante un discorso alla Camera dei deputati nel 1948, quando tutto il Parlamento italiano si stringeva con forte preoccupazione…
PRESIDENTE. Colleghi… c'è veramente un caos inaccettabile. La collega Matteoni sta svolgendo la sua dichiarazione di voto. Vi prego di consentirglielo, nel silenzio. Colleghi…
Prego, collega, mi perdoni.
NICOLE MATTEONI(FDI). …agli italiani d'Istria e Dalmazia che, avendo optato per la cittadinanza italiana, erano soggetti a vessazioni da parte delle autorità jugoslave: occorre che questi profughi, tornando in Italia, ricevano qualcosa in più di un'assistenza sporadica e generica e che sentano in maniera concreta il cuore della patria palpitare accanto al loro. Oggi, in qualche modo, spero che quello che egli definì il cuore della patria possa essere udito ancora forte da istriani, giuliani, fiumani e dalmati. Annunciando il voto favorevole di Fratelli d'Italia, ricordo ancora una volta a noi e a loro, nel dialetto istriano che mio nonno mi ha insegnato: .
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, la Presidenza si intende autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
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PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di legge n. 1457: S. 317-533-548 - “Modifiche alla legge 30 marzo 2004, n. 92, in materia di iniziative per la promozione della conoscenza della tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata nelle giovani generazioni” .
Dichiaro aperta la votazione.
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Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva
Dichiaro così assorbite le abbinate proposte di legge nn. 708-1496.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 552.
Comunico che, a norma dell'articolo 69, comma 1, del Regolamento, è stata richiesta dal gruppo
Italia Viva-il Centro-Renew Europe la dichiarazione d'urgenza per la proposta di legge n. 552: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione della liberazione anticipata, e disposizioni temporanee concernenti la sua applicazione.
Essendone stata fatta richiesta, sulla dichiarazione d'urgenza, a norma dell'articolo 45 del Regolamento, darò la parola ad un deputato per ciascuno dei gruppi che ne facciano richiesta.
Per il gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe, ha chiesto di intervenire il deputato Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI(IV-C-RE). Grazie, signora Presidente. Colleghi, io sono anche abbastanza sorpreso dalla decisione che è stata assunta la Conferenza dei presidenti di gruppo perché, ovviamente, noi non stiamo ragionando sul merito di una proposta, stiamo ragionando sull'eventuale esigenza che la Camera raccolga e, in qualche modo, intervenga su una questione urgente.
Ora, possiamo noi ritenere che il tema del sovraffollamento carcerario non sia un'urgenza? È necessario, per scandire quest'urgenza, considerare i dati, i quali ci dicono - non è un problema di oggi, vorrei chiarire, è un problema che ci trasciniamo da tempo - che ogni anno i detenuti nelle carceri, non diminuiscono, ma aumentano. Sono infatti aumentati di 2.000 tra il 2021 e il 2022 e sono aumentati di 4.000 tra il 2022 e il 2023 e, in questo anno, c'è stato praticamente un suicidio in carcere ogni 2 giorni e sono già 15 i suicidi in carcere. Proiettando questo dato in un anno - speriamo che non sia così - raddoppiamo il record di suicidi che c'è stato nel 2022. Possiamo ritenere che questa non sia, oggettivamente, un'urgenza, se - certo non voglio trascinarlo per la giacchetta - il Presidente della Repubblica decide, a un certo punto, di convocare il capo del DAP per chiedergli che cosa sta succedendo? Possiamo ritenere - lo chiedo ai colleghi della maggioranza - che, oggettivamente, questa non sia un'urgenza? È ovvio.
Io non sono d'accordo con quello che dice l'onorevole Meloni e sulla strategia finale dell'onorevole Meloni e dei partiti di maggioranza, secondo cui, per risolvere il problema delle carceri, bisogna costruire più carceri. Non sono d'accordo, la penso diversamente. Io penso, all'opposto dell'onorevole Meloni, che bisogna diminuire i reati, che bisogna togliere la gente che sta in galera e che non ci dovrebbe stare. Ma non stiamo parlando di questo, colleghi. Non stiamo parlando della soluzione finale, stiamo parlando di quello che accade ogni giorno, del tema dell'emergenza del sovraffollamento carcerario . Io vorrei con voi discutere e affrontare questo e se, come è, l'urgenza c'è, io mi potevo aspettare che voi diceste: noi non siamo d'accordo neanche con quello che proponi in termini di emergenza però, siccome è un'emergenza, siamo in grado di intervenire e ti proponiamo quest'altro. Affrontiamo l'urgenza, partiamo in Commissione con un dibattito: non sono d'accordo con quello che dici tu ma facciamo così. L'unica cosa che non possiamo fare, colleghi, è far finta di niente e aspettare che a metterci di fronte al dramma dell'emergenza che si vive nelle carceri siano i morti, i suicidi. I suicidi - attenzione - anche del personale della Polizia penitenziaria per le difficoltà con cui la comunità carceraria si trova a dover vivere in una situazione di questo tipo.
Allora, molto semplicemente, io vi rivolgo un invito - so che forse è inutile - e, guardate, lo rivolgo a tutti, perché io so anche qual è la posizione del MoVimento 5 Stelle. Però, quando c'è stata un'emergenza, addirittura il Ministro Bonafede ha applicato la legge che noi stiamo chiedendo oggi di applicare. L'abbiamo applicata, se lo ricorderà il Ministro Orlando, in occasione della sentenza della CEDU. A proposito, ci arriviamo in pochi mesi ai 66.000 di quando è arrivata la sentenza della CEDU, siamo a 61.000 e sono 470-480 al mese che entrano in galera. L'abbiamo applicata quando si trattò di rispettare la sentenza della CEDU e l'abbiamo applicata quando c'è stata la pandemia, perché c'era un'emergenza, continuava a lievitare la presenza nelle carceri, c'era bisogno di mettere le celle per l'isolamento e abbiamo dovuto applicare questa legge.
Vi stiamo chiedendo non di parlare di quale sarà lo scenario: costruire le carceri, costruire le caserme, lo vedremo. Ma quella non è la soluzione per il dramma che stiamo vivendo in questi giorni. Vi chiedo, vi supplico di ripensarci e di fare in modo che il Parlamento, insieme a voi, magari con le vostre proposte e non con le mie, affronti l'emergenza che sta scoppiando
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Dori. Ne ha facoltà.
DEVIS DORI(AVS). Grazie, Presidente. Anch'io intervengo a favore della richiesta di una trattazione con urgenza di questa iniziativa del collega Giachetti, che, tra i vari meriti, ha quello di tentare almeno di aprire un dibattito urgente. Noi ci troviamo in questo momento in una situazione estremamente drammatica per le nostre carceri, e la fotografia che ne ha fatto ieri il capo del DAP, il dottor Russo, che era in audizione in Commissione giustizia, è davvero desolante, in termini di sovraffollamento, di numero di suicidi, di qualità della detenzione, di condizioni di vita degenerate per carenze trattamentali, igieniche, sanitarie.
Il dottor Russo ieri ha onestamente riconosciuto che gli psicologi sono pochi, che gli psichiatri sono pochissimi e che le risorse sono scarse. Queste sono parole che ha utilizzato lui, quindi, se le risorse sono scarse, o si immettono immediatamente risorse, ma, purtroppo, temo che non avverrà, oppure bisogna trovare soluzioni immediate. Certamente, l'inserimento di nuovi reati nel nostro codice penale non aiuta da questo punto di vista.
E, allora, bisognerebbe, ad esempio, puntare ad altri strumenti, come le misure alternative alla detenzione, oppure approvare con urgenza una proposta di legge, come quella del collega Giachetti, che, nel merito, come sapete, prevede una modifica a un articolo già esistente. Non si va a creare un nuovo istituto, si va a modificare l'articolo 54 della legge sull'ordinamento penitenziario. Quindi, il merito della proposta di legge è di valorizzare il percorso rieducativo, proprio in linea con la nostra Costituzione.
Ad ogni modo, il voto che dovremo esprimere adesso non è nel merito del provvedimento, ma davvero apre un dibattito, e, quindi, in questo momento, dovremmo porci almeno un quesito: riteniamo o non riteniamo urgente porci il tema della condizione carceraria del nostro Paese, con tutto quel carico di dolore e di sofferenza non gestita, non contenuta da troppo tempo? Per noi è assolutamente urgente, non lo possiamo negare, trattare questo tema, e per questo motivo, quindi, voteremo a favore della dichiarazione d'urgenza .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gianassi. Ne ha facoltà.
FEDERICO GIANASSI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Anche noi sosteniamo, e, quindi, manifesteremo un voto favorevole, la questione d'urgenza sul tema posto dal collega Giachetti.
Ieri il capo del DAP è stato audito in Commissione giustizia, qui, alla Camera, e ha riconosciuto l'esistenza di una situazione drammatica, tragica, del sistema carcerario italiano. Un sistema storicamente fragile, che, nell'ultimo anno, ha visto incrementare le situazioni di difficoltà. Il capo del DAP ci ha ricordato, ma sono dati pubblici, che, nell'ultimo anno, la popolazione carceraria è aumentata di oltre 4.000 unità. Sono più di 60.000 le persone detenute in carcere, e la previsione è che, nei prossimi 2 anni, aumenteranno di circa 400 unità al mese. Significa che avremo una popolazione carceraria, da qui a 2 anni, di quasi 70.000 unità.
Rispetto a questa situazione, le proposte messe in campo, tra le quali quella di aumentare i posti disponibili nella misura di 2.500 unità attraverso 25 progetti di riqualificazione carceraria da qui a 2 anni, rappresentano una misura che non solo, visto l'accrescimento della popolazione carceraria, non rappresenta un fenomeno di contrasto al sovraffollamento, ma nemmeno di blocco del processo ulteriore di aumento della popolazione carceraria, cioè una misura del tutto inefficace, oltre che di difficile realizzazione, se, come è vero, nel carcere della mia città, Sollicciano, i lavori già appaltati, con risorse messe a disposizione, sono fermi da un anno.
Ma, anche fosse vero che il Governo riuscirà a realizzare un aumento dei posti disponibili di 2.500 unità, 4.000 anche con le risorse del PNRR, secondo i dati del Ministero quella misura è del tutto insufficiente rispetto al contrasto dell'aumento della popolazione carceraria. Quindi, il problema, già esplosivo oggi, si accrescerà ulteriormente.
Si può discutere delle soluzioni, ma nessuno in quest'Aula può negare che questo è un problema urgente da affrontare. E poiché oggi non siamo chiamati a esprimere un giudizio di merito sulla proposta di Giachetti, ma se esiste o no una questione di urgenza sulla gravissima situazione che affligge le carceri italiane, credo sia impossibile manifestare un voto contrario. È assolutamente necessario e doveroso manifestare un voto a favore.
Rispetto, ad esempio, alla proposta del collega Giachetti, ve ne è anche un'altra, a prima firma Magi, che abbiamo sottoscritto, dove si prevede per le persone che devono scontare ancora una condanna a tempo limitato l'inserimento nelle case territoriali di reinserimento sociale. Su questa misura, proprio ieri, il capo del DAP ha detto che il Governo è orientato a lavorare. Dunque, c'è, dalle parole del capo del DAP, persino un'apertura rispetto a una misura - non la stessa dell'onorevole Giachetti – che, comunque, attiene alla riduzione della popolazione carceraria attraverso azioni di reinserimento sociale e, a maggior ragione, non si spiegherebbe un voto contrario di quest'Aula rispetto all'urgenza che esiste e a un percorso che lo stesso Governo ha dichiarato di voler utilizzare.
Nelle carceri italiane ci sono problemi di salute mentale enormi. Il Partito Democratico ha chiesto l'attivazione di un'indagine parlamentare, che ancora non è attivata e di cui sollecitiamo l'attivazione. Esistono problemi di detenuti con dipendenze, che si trovano in luoghi non adatti alla loro tutela. Esistono situazioni di criticità strutturale enorme. Sono dati spaventosi nei confronti dei quali non ci possiamo girare dall'altra parte e, rispetto a una politica criminale del Governo, che contraddice gli indirizzi di Nordio, che, in quest'Aula, aveva dichiarato meno reati, meno carcere e più misure alternative, la linea evidentemente è un'altra. Nordio, oggi, tace e accetta di essere smentito ogni giorno, un po' come ha fatto sul caso Salis. È uno straordinario conferenziere, ma non è il Ministro della Giustizia di questo Paese, evidentemente. Di fronte a una situazione così tragica e drammatica, è assolutamente necessario che il Parlamento, anche nella diversità delle opinioni, assuma l'impegno ad affrontare con urgenza questo tema. Per questo, noi voteremo a favore sulla dichiarazione d'urgenza di questa proposta di legge.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Benzoni. Ne ha facoltà.
FABRIZIO BENZONI(AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Dietro i drammatici numeri che ha citato prima di me l'onorevole Giachetti, ci sono storie e persone. Matteo Concetti aveva 25 anni ed è morto suicida a Montacuto; Stefano Bonomi, di 65 anni, è morto a seguito dello sciopero della fame nel carcere di Rieti; Stefano Voltolina è morto a 26 anni suicida a Padova; Alam Jahangir, di 40 anni, è morto suicida a Cuneo; Fabrizio Pullano, di 59 anni, è morto suicida da Agrigento; Andrea Napolitano, di 40 anni, è morto suicida nel carcere di Poggioreale; Mohmoud Ghoulam, di 38 anni, è morto suicida sempre a Poggioreale; Luciano Gilardi, di 34 anni, è morto suicida sempre a Poggioreale; Antonio Giuffrida, di 57 anni, è morto suicida a Verona; Jeton Bislimi, di 34 anni, è morto suicida a Teramo; Ahmed Adel Elsayed, di 34 anni, è morto suicida a Rossano Calabro; Ivano Lucera, di 35 anni, è morto suicida a Foggia; Michele Scarlata, di 65 anni, è morto suicida ad Imperia. Poi, un uomo di 38 anni è morto suicida a Verona e, per ultimo, pochi giorni, fa Ousmane Sylla, di 22 anni, morto suicida a Ponte Galeria.
È una strage silenziosa. A Poggioreale, tre suicidi in una settimana. I posti disponibili sono 1.600, quelli occupati oltre 2.000; a Rossano Calabro 300 detenuti su una capienza di 260; a Teramo tasso di affollamento del 160 per cento nel 2023; ad Agrigento 280 posti disponibili e oltre 330 quelli occupati. La situazione delle nostre carceri è un dramma evidente a tutti. “Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”: è una frase attribuita a Voltaire, che è molto conosciuta.
Allora, oggi, non siamo qui nel merito della discussione su quale sia la soluzione e spero potremo farlo dal vivo con le proposte di cui si parlerà, ma siamo per dichiarare che è impossibile dire oggi in quest'Aula che non è un'urgenza parlarne. Allora, dichiaro il voto favorevole del nostro gruppo sull'urgenza di questa proposta .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pittalis. Ne ha facoltà.
PIETRO PITTALIS(FI-PPE). Grazie, Presidente. Il collega Roberto Giachetti ha posto un problema che merita attenzione e da parte di questa maggioranza c'è la massima attenzione.
Poi si potrà anche discutere sul merito della proposta, però è un problema che non solo non sottovalutiamo, ma riteniamo meritevole di una attenzione. Comprendiamo, quindi, la richiesta formulata e io mi permetto di suggerire e formulare un invito al collega Giachetti, a nome di tutta la maggioranza, di ritirare questa proposta, laddove tecnicamente sia possibile, altrimenti rinviare il voto, con un impegno - concordato con il presidente della Commissione giustizia, onorevole Ciro Maschio, e con il consenso dei rappresentanti dei gruppi della maggioranza - affinché questa proposta venga incardinata in Commissione giustizia nella prossima seduta. Quindi, questo mi pare possa essere il modo più corretto e anche operativo per dare risposta a un problema che non sottovalutiamo e riguardo al quale, anzi, ringraziamo e solidarizziamo con l'onorevole Giachetti, per lo sciopero della fame che sta portando avanti ).
PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI(IV-C-RE). Presidente, io penso che avendo ascoltato gli interventi di tutti, ci siamo resi conto tutti che qui nessuno intende mettere bandierine e che cerchiamo soltanto di affrontare un problema drammatico, che tutti riusciamo a vedere. Quindi, per quanto mi riguarda, peraltro l'inizio di un percorso in Commissione consente - i colleghi del Partito Democratico hanno oggi un'iniziativa sul tema delle carceri - a tutti coloro che vogliono, sul tema dell'emergenza, fare una loro proposta e dare una possibilità di farlo. Quindi, io non ho alcun motivo di non aderire alla richiesta dell'onorevole Pittalis, perché il punto politico, per quanto mi riguarda, è che il Parlamento si faccia carico di questo problema e il merito delle scelte che si faranno ovviamente è affidato al libero e democratico dibattito delle Aule. Mi stava a cuore - ci stava a cuore, lo dico anche a nome dell'onorevole Bernardini - che non perdesse l'occasione, la Camera, di mettere in evidenza la certificazione che c'è un'urgenza e che va affrontata .
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, a questo punto, il punto all'ordine del giorno si intende esaurito.
PRESIDENTE. In ordine all'istanza presentata dal deputato Giuseppe Conte di costituire una Commissione d'indagine, ai sensi dell'articolo 58 del Regolamento, per giudicare la fondatezza delle accuse rivoltegli dalla deputata Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio dei ministri, nel corso della seduta dell'Assemblea del 12 dicembre 2023, e alla successiva costituzione della medesima Commissione, in data 28 dicembre 2023, la Presidenza prende atto del ritiro dell'istanza da parte del deputato Conte, con lettera pervenuta ieri. E questo senza entrare nel merito delle considerazioni espresse nella medesima lettera.
La Commissione d'indagine si intende conseguentemente sciolta
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta.
È iscritto a parlare il deputato Porta. Ne ha facoltà.
FABIO PORTA(PD-IDP). Signora Presidente, intervengo su un tema che ovviamente può sembrare minore rispetto a quelli affrontati fino adesso, ma che riguarda migliaia di nostri concittadini. Da oltre un anno è scaduta la vigenza di un importante Accordo siglato tra il nostro Paese e il Brasile, un Accordo per il riconoscimento reciproco delle patenti di guida. È un Accordo importante, non soltanto perché stipulato tra due Paesi che hanno vincoli profondi e antichi di amicizia - ricordo ai colleghi che quest'anno celebriamo i 150 anni dell'emigrazione italiana in Brasile e che in quel Paese vivono oltre 30 milioni di nostri discendenti -, ma soprattutto perché questo Accordo specifico va incontro a migliaia di cittadini italiani in Brasile e brasiliani in Italia che oggi, a oltre un anno dalla scadenza della validità di quell'Accordo, sono nella condizione di non poter più esercitare il loro lavoro.
Allora, Presidente i colleghi che lavorano su questi temi sanno quanto è difficile, lento, farraginoso arrivare alla stipula di un accordo bilaterale. Ecco, in questo caso, l'Accordo esiste, io me ne occupai personalmente anni fa, l'Accordo fu siglato nel 2016, entrò in vigore dal 2018. L'Accordo, però, non è stato rinnovato automaticamente o attraverso, come avviene di solito, una previa verifica tra le autorità dei due Stati. Stamattina ho presentato l'ennesima interrogazione parlamentare, chiedendo al Governo italiano di procedere in questo senso, con la massima urgenza, senza più indugi.
Chiedo, tramite lei, Presidente, che il Governo ascolti non la mia voce, ma quella di migliaia di persone che hanno bisogno di un accordo semplice, ma che vada incontro alle loro esigenze lavorative .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Bakkali. Ne ha facoltà.
OUIDAD BAKKALI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Francesca Mannocchi, in un suo articolo del 15 gennaio, in cui raccontava i 100 giorni di assedio di Gaza, chiudeva l'articolo così: “Alla fine di ogni guerra, però, resta sempre aperta la stessa domanda. Se l'obiettivo sia vincere la guerra o vincere la pace”. Oggi sono 4 mesi e un giorno dall'attacco del 7 ottobre e 4 mesi dall'assedio di Gaza, lembo di terra dove, ad oggi, più di 27.000 persone sono morte. Non ha vinto né la pace, né la guerra. Ci sono 136 ostaggi ancora nelle mani di Hamas, decine dei quali forse già privi di vita. Fallimentare la linea di Netanyahu: a più di 27.000 morti ha portato la reazione, senza precedenti, dell'esercito israeliano. Il tracollo del diritto internazionale, abbattuto da bombe, e con appunto violazioni continue del diritto internazionale, negazione degli aiuti umanitari alle popolazioni, distruzione degli ospedali, dove è diventato ormai impossibile prestare cure, salvare vite e gli appartenenti a Medici senza frontiere hanno raccontato, pochi giorni fa, ai colleghi le condizioni disumane in cui operano negli ospedali. Più di 10.000 bambini uccisi sotto le bombe, molti dei loro corpi si trovano ancora sotto le macerie. I loro piccoli vestiti hanno formato un memoriale su quel che resta delle spiagge di Gaza, per 5 lunghi chilometri.
Presidente, sopra di noi, ogni giorno, in quest'Aula, ammiriamo il Fregio di Giulio Aristide Sartorio, che raffigura epiche del popolo italiano, il Risorgimento, con quei corpi scultorei che ci sovrastano. Il Fregio Sartorio che ammiriamo è lungo 105 metri: dovremmo idealmente compiere 33 volte il perimetro dell'opera per percorrere 5 chilometri. Temo, dopo l'ennesimo fallimento delle trattative in campo per cessare il fuoco e liberare gli ostaggi, che dovremmo continuare a camminare senza sosta. Continueremo a girare, come in un eterno girone dantesco, che non trova mai la via d'uscita verso le stelle. E come non ricordare quale città Dante, già nel mondo di allora, mise sopra alla voragine infernale della Divina Commedia: era Gerusalemme. E come non ricordare i versi che aprono la discesa di Dante con Virgilio: “Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate”. Ebbene, 700 anni dopo, l'inferno è dentro Gaza, la speranza è lasciata fuori da questo lembo di terra. Nell'antinferno, Dante incontra gli ignavi, coloro che non hanno agito per il bene né per il male, adeguandosi all'idea del più forte. Oggi non ci è permesso permanere nell'ignavia, oggi siamo chiamati a chiedere, con tutta la voce che abbiamo, che si smetta di uccidere civili a Gaza , che i civili non siano più scudo per alcuno, che gli ostaggi siano liberati, che sia fatto spazio alla pace e alla giustizia.
La prossima settimana discuteremo una mozione su quanto sta succedendo in Medio Oriente, in cui chiediamo all'Italia e all'Europa di uscire dall'antinferno, di chiedere un'iniziativa diplomatica forte, per un immediato cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e la protezione dei civili. Chiediamo una conferenza di pace, una missione a Gaza, chiediamo che si apra il cammino verso la soluzione dei due popoli e dei due Stati e il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Oggi l'attenzione dell'Italia - concludo, Presidente - è rivolta al palco dell'Ariston, un festival che è diventato un rito collettivo nazionalpopolare. E, allora, voglio ringraziare chi ha richiamato a continuare a fare luce su quanto molti fanno finta di non vedere, chi, vestito di stelle, risponde, con versi della sua canzone, a quello che chiedeva Mannocchi, all'inizio: “Ma, come fate a dire che qui è tutto normale, per tracciare un confine con linee immaginarie bombardate un ospedale, per un pezzo di terra o per un pezzo di pane non c'è mai pace” .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pizzimenti. Ne ha facoltà.
GRAZIANO PIZZIMENTI(LEGA). Grazie, Presidente. Ritorno sul tema delle foibe per i due minuti che mi vengono concessi, sottolineando che è solo dal 2005 che si celebra il Giorno del ricordo dei massacri delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Dico “solo dal 2005” non a caso, perché per anni questa tragedia è stata seppellita nella memoria collettiva che falsamente negava, sapendo di negare, gli orrori degli uomini di Tito verso chi era semplicemente italiano o non comunista. Quasi 20.000 italiani, torturati, assassinati e gettati nelle foibe dalle milizie jugoslave sono stati uccisi due volte: la prima, fisicamente, la seconda, con il confinamento nel regno dell'oblio per oltre sessant'anni. Ma la verità, la storia e la memoria vengono sempre fuori e, purtroppo, le ferite e gli orrori sono ancora presenti nelle nostre zone della Venezia Giulia.
Ci vorranno ancora decenni per rimarginare le ferite di quella popolazione. Quello che è successo per mano dei titini rimarrà e rimarrà ancora dentro le persone, le famiglie, le generazioni future, in sintesi nella storia, come uno dei periodi più sanguinosi delle nostre terre.
Ormai, importa a pochi del merito della questione, quello che invece deve essere chiaro a tutti è che noi abbiamo il dovere, io direi, l'obbligo, di ricordare e far conoscere alle generazioni future quanto è successo nel 1945 agli italiani.
La libertà - e concludo, Presidente - va sempre di pari passo con la verità. Il rispetto della vita di ognuno, di ogni essere umano e dello stato di diritto è l'unico baluardo contro ogni forma di barbarie, totalitarismo e violenza .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Sasso. Ne ha facoltà.
ROSSANO SASSO(LEGA). Presidente, in questi giorni, abbiamo assistito con rammarico alle scene che ritraevano una nostra connazionale in catene. Una scena che non avremmo voluto vedere, sinceramente e che, giustamente, ha generato numerose reazioni. Da giorni, da settimane, sui giornali, in TV, qui in Aula, ci sono però delle catene diverse, delle catene di cui oggi voglio parlare in Aula, delle catene non materiali, ma dell'anima, catene del cuore, catene che peseranno a vita nel cuore di una bambina italiana; catene, queste, sulle quali, purtroppo, qui dentro - e sottolineo “purtroppo” - nessuno ha detto una parola.
Mi riferisco alla bambina di 13 anni, Presidente, stuprata qualche settimana fa da un branco di immigrati extracomunitari. È stata presa con la forza, trascinata nei bagni di una villa pubblica, picchiata e violentata, costringendo il suo fidanzatino di 17 anni ad assistere a quelle scene strazianti. È un crimine orrendo, che ha colpito una nostra figlia, una piccola donna.
A questa bambina va la nostra vicinanza, la nostra umana solidarietà. Eppure, Presidente, ancora oggi ho difficoltà a reperire dei comunicati, degli attestati di solidarietà da parte dei dei partiti di sinistra. Non una parola, Presidente, e sa perché? Perché gli stupratori erano immigrati extracomunitari.
SARA FERRARI(PD-IDP). Non è vero!
PRESIDENTE. Colleghi, colleghi…
ROSSANO SASSO(LEGA). Non una parola da chi ha fatto delle tragedie dei femminicidi una bandiera di partito. Nessun presidio di Elly Schlein, nessun sui di Giuseppe Conte, però, è comprensibile, Presidente, perché questi partiti sono da sempre favorevoli all'immigrazione clandestina, sono da sempre favorevoli a un'immigrazione che negli ultimi anni ha portato nel nostro Paese dei finti profughi, con le loro violenze e i loro stupri al seguito.
Presidente, chi non fugge da una guerra, ma ci porta a casa violenze e stupri - e mi avvio alla conclusione - va cacciato dall'Italia. Matteo Salvini lo ha dimostrato da Ministro dell'Interno: fermare gli sbarchi è possibile, anche se per questo è finito sotto processo per la gioia di qualcuno qui dentro. Noi della Lega non vogliamo più luridi delinquenti e stupratori a piede libero e a casa nostra. E non vogliamo più catene nell'anima, non vogliamo più catene nel cuore, di altre innocenti, piccole bambine italiane. La nostra solidarietà alla bambina di Catania .
PRESIDENTE. Preciso che, per un mero errore materiale, nella comunicazione dell'esito della Conferenza dei presidenti di gruppo del 7 febbraio recante la nuova articolazione dei lavori per il periodo 13-21 febbraio, di cui è stata data lettura nella seduta di ieri, non figura, per la giornata di mercoledì 21 febbraio, la seduta di svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, che deve intendersi quindi prevista come di consueto alle ore 15.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
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