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Lunedì 20 Maggio 2024 ore 10:30
AULA, Seduta 295 - Mozione su governance economica europea e responsabilità componenti collegio sindacale, discussione generale
Resoconto stenografico
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Nella seduta odierna si sono svolte le seguenti discussioni generali: mozione Conte ed altri n. 1-00279 in ordine alla posizione del Governo italiano sulla riforma della governance economica europea e del Patto di stabilità e crescita; proposta di legge: Schifone ed altri: Modifica dell'articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale (C. 1276).
XIX LEGISLATURA
295^ SEDUTA PUBBLICA
Lunedì 20 maggio 2024 - Ore 10,30
1. Discussione sulle linee generali della mozione Conte ed altri n. 1-00279 in ordine alla posizione del Governo italiano sulla riforma della governance economica europea e del Patto di stabilità e crescita. (vedi allegato).
2. Discussione sulle linee generali della proposta di legge:
SCHIFONE ed altri: Modifica dell'articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale. (C. 1276)
Relatrice: VARCHI
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Discussione sulle linee generali della mozione Conte ed altri n. 1-00279 in ordine alla posizione del Governo italiano sulla riforma della governance economica europea e del Patto di stabilità e crescita
- Proposta di legge: Schifone ed altri: Modifica dell'articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale (A.C. 1276) (Discussione)
- Ordine del giorno della seduta di domani
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
MARIA ROSARIA CARFAGNA, legge il processo verbale della seduta del 17 maggio 2024.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 81, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta odierna .
Prima di dare lettura dell'ordine del giorno, voglio salutare gli studenti dell'Università degli studi La Statale, di Milano, che sono oggi ospiti della Camera deputati, insieme alle studentesse, agli studenti e ai professori dell'Istituto comprensivo Santa Chiara-Pascoli-Altamura, in Puglia, provincia di Foggia. Benvenuti alla Camera dei deputati
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Conte ed altri n. 1-00279 in ordine alla posizione del Governo italiano sulla riforma della economica europea e del Patto di stabilità e crescita .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell' al resoconto della seduta del 7 maggio 2024
Avverto che è stata presentata la mozione Braga ed altri n. 1-00286, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente . Il relativo testo è in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare il deputato Riccardo Ricciardi, che illustrerà la mozione Conte ed altri n. 1-00279, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
RICCARDO RICCIARDI(M5S). Grazie, Presidente. Vero è che, nella discussione di questa mozione, noi - come lei ha giustamente ricordato - chiediamo la posizione del Governo italiano rispetto al Patto di stabilità e crescita. Chiediamo la posizione e speriamo che questo Parlamento faccia finalmente chiarezza sull'orientamento della maggioranza e del Governo italiano, perché noi, fondamentalmente, non l'abbiamo capito. Noi abbiamo capito che ci doveva essere un Governo che finalmente andava in Europa, secondo questi proclami sovranisti e patriottici, a ribaltare i tavoli dell'Unione europea per fare finalmente gli interessi degli italiani.
Abbiamo visto il Ministro Giorgetti sottoscrivere il Patto di stabilità e crescita, ritenendo l'accordo soddisfacente e abbiamo sentito la Presidente del Consiglio e il Sottosegretario Fazzolari dire che l'Italia avrà 35 miliardi in più di agibilità di manovra grazie alla firma di questo Patto di stabilità, ma poi, dopo, vediamo che i partiti di maggioranza in Europa sullo stesso si astengono. Quindi, onestamente, se, da una parte, è soddisfacente, e se, dall'altra, abbiamo ottenuto così tanto, non si capisce perché i partiti di maggioranza, poi, si astengano rispetto alla ratifica di questo documento.
Noi, come MoVimento 5 Stelle, la posizione l'abbiamo ben chiara, perché siamo gli unici ad aver votato contro questo Patto e, quindi, speriamo che la discussione di questa mozione finalmente faccia luce sulla posizione del Governo italiano su un documento tanto importante per le manovre e, quindi, per il funzionamento del nostro Stato di qui ai prossimi anni. Ascolteremo e siamo molto curiosi di capire tutto questo.
Vorremmo, però, un attimo, in questa discussione generale, fare luce su quella che è l'Europa e sulla situazione dell'Europa in questo momento, sulla situazione economico-finanziaria, su come va e come sta andando l'Europa e partire da questi elementi per far capire perché il MoVimento 5 Stelle è contrario a questo Patto di stabilità. Infatti, riteniamo che quello che sta accadendo in Europa sia totalmente scollegato dalla redazione e dalla firma di questo Patto, come se viaggiassimo davvero su due mondi paralleli, per non dire opposti.
Noi abbiamo firmato un Patto in cui siamo già certi, sostanzialmente, che 11 Paesi saranno sanzionati perché non rispetteranno i vincoli di bilancio e del deficit. Questo già lo sappiamo. L'Italia, ovviamente, è fra questi. Ma in che Europa siamo? In un'Europa che parla di stabilità e crescita: si aggiunge sempre la parola “crescita” a “stabilità”, due sostantivi che hanno accezioni sicuramente positive, perché chi è che non vuole vivere in un contesto stabile e in un contesto di crescita? Però, se andiamo ad analizzare quello che l'Europa ha prodotto e lo stato dell'arte dell'Europa in questo momento, vediamo un Paese come l'Italia in cui il 5 per cento dei più ricchi detiene il 46 per cento delle ricchezze. Voi direte: ma l'Italia è un'anomalia. E allora andiamo in Germania, dove il 5 per cento dei più ricchi detiene il 50 per cento delle ricchezze di quel Paese. Quindi, questo è il dato, secondo noi, da cui dovremmo partire, ossia la metà della ricchezza di due Paesi fondamentali e importanti, due dei Paesi principali dell'Unione europea - come il nostro e la Germania che prendiamo come riferimento - è in mano al 4-5 per cento dei soggetti che abitano questi Paesi.
Andiamo a vedere anche le entrate e come si distribuisce la fiscalità in Europa. Ebbene, in Italia, ogni anno, mancano 10 miliardi l'anno, perché dei soggetti italiani preferiscono pagare le tasse - e ci credo! - in Olanda, in Lussemburgo e in Irlanda. Quindi, non parliamo di sperdute isolette del Pacifico o dei Caraibi, parliamo di tre Paesi che hanno la nostra moneta, che hanno le nostre stesse regole e che siedono ai tavoli dove queste regole vengono sottoscritte e firmate, e dove si impongono dei vincoli. E andiamo a scoprire che l'Olanda ha il 30 per cento del proprio gettito perché lo sottrae, in questa maniera, ad altri Paesi; il Lussemburgo deve a questa politica fiscale il 54 per cento del proprio gettito e l'Irlanda il 65 per cento.
Allora, credo sia impensabile che, nel momento in cui tu stabilisci regole che valgono per tutti, stabilisci principi che devono sottoscrivere i Paesi che fanno parte di una comunità economica, politica, commerciale, sociale - e ci sono regole condivise-, esista un gruppo di Paesi che sono, di fatto, paradisi fiscali all'interno dell'Unione europea, che poi magari, quando si devono approvare le cose, fanno muro e dicono agli altri che sono Paesi spendaccioni, che devono sottostare a determinate regole.
Credo che questo dovesse essere uno dei punti di partenza dai quali muoversi, e uno dei punti di partenza dovesse essere la realtà di questo continente, la realtà economica di questo continente, ovvero una situazione, una condotta che, purtroppo, non si sottolinea mai e non si percepisce mai, ovvero la totale finanziarizzazione della nostra economia. E quando leggo ricette di ex Presidenti del Consiglio di questo Paese che vanno a stimolare ancora di più questo tipo di finanziarizzazione, mi si accappona la pelle, perché parliamo a volte di temi che riguardano pochi spiccioli, pochi milioni di euro, e non vediamo, invece, qual è la realtà dei fatti.
In questo continente ci sono 4 fondi finanziari, BlackRock, Vanguard, JP Morgan e Fidelity, che gestiscono mille miliardi di euro di risparmi europei; li gestiscono, mille miliardi di euro. E come li gestiscono? Il 70 per cento di questi fondi viene investito nella Borsa di New York. Quindi, prendono i soldi, sostanzialmente, risparmi europei, di tutta la comunità europea, e gli viene permesso, tramite giochi ovviamente finanziari, che spesso e volentieri sono vere e proprie speculazioni, di andare ad arricchire la Borsa di New York.
Questo viene fatto in Europa, questo accade in Europa tutti i giorni. E non è accettabile che, quando si devono disegnare le nuove regole, non si affrontino questi temi, che poi sono la sostanza di come vengono fatti le politiche industriali e finanziarie e gli strategici di questo continente e del nostro Paese, e che non si vada ad indagare su questo. Andiamo poi alla politica della BCE, tanto discussa in questi anni: se vediamo anche qui qualche dato, senza entrare nel merito, però le banche hanno ridotto di oltre 44 miliardi di euro le erogazioni del credito, in Italia hanno chiuso 800 filiali, hanno fatto profitti per oltre 30 miliardi, che la BCE remunera con il 4 per cento. E cosa fa? Garantisce dividendi davvero stellari a tutti gli azionisti delle banche.
Quindi si è entrati in una spirale paradossale per cui si remunerano le banche perché non eroghino credito, perché non immettano liquidità, perché bisogna bloccare l'inflazione. La cura del paziente funziona; peccato che il paziente sia morto, perché si continua a non erogare credito, a non erogare liquidità, perché bisogna mantenere bassa l'inflazione, ma cosa aspettiamo? Aspettiamo che ci sia un crollo dei prezzi, perché le persone, gli italiani non ce la fanno più a pagare, non ce la fanno più ad aprire un'impresa, però intanto i prezzi li manteniamo sotto controllo.
Ci sono già tantissimi dati che spiegano come e perché questo stia avvenendo. Noi abbiamo, in Italia, la più bassa percentuale di propensione al risparmio dal 1995. Gli italiani, nel 2023, hanno speso 74 miliardi di euro in più per comprare di meno. Questo sta avvenendo. E se non è questo un dato spia di una situazione devastante e disastrosa, allora non so quale possa essere.
E allora in cosa ci siamo impegnati come Paese? Perché poi, purtroppo, gli impegni che noi andiamo a sottoscrivere oggi non li vediamo ora; li vedremo tra qualche mese, li vedremo tra qualche anno, e capiremo poi cosa abbiamo firmato alla fine del 2023 e cosa abbiamo approvato nel 2024. Perché è una balla colossale, davvero basta uno studente al primo mese di economia per capire che non è assolutamente vero che noi abbiamo 35 miliardi di euro in più di manovra fiscale. Andiamo a vedere i dati a cui, invece, dobbiamo rispondere e a cui abbiamo impegnato l'intero sistema Paese.
Noi abbiamo un deficit primario strutturale dello 0,9 per cento del PIL. Noi ci siamo impegnati affinché in 7 anni si debba raggiungere un avanzo del 3,3 per cento del PIL, quindi dallo 0,9 al 3,3 per cento del PIL sono 4,2 per cento di delta, come si dice, che, in soldi veri, fa 80 miliardi di euro all'anno. Senza contare che dovremo anche rispettare la discesa dell'1 per cento del rapporto debito/PIL, perché a quel punto i miliardi da 80 diventano 100. Questo cosa significa? Significa che ogni anno non è che non abbiamo 35 miliardi di euro in più: abbiamo 13-14 miliardi di euro in meno rispetto a un Paese che già oggi, con l'aumento dell'inflazione, sostanzialmente taglia 10 miliardi di euro alla sanità. Voglio capire questi soldi dove si troveranno, dove diavolo si troveranno questi soldi. E piantatela anche con il ricorso sempre allo stesso argomento: quando la maggioranza non sa cosa dire, parla del superbonus, come se, per colpa del superbonus, non si possa fare niente. Il Governo Conte stanzia 35 miliardi per il superbonus, i decreti attuativi del superbonus sono dell'agosto del 2020. Il Governo del Presidente Conte casca effettivamente a gennaio del 2021; di fatto, già a dicembre del 2020 il Governo Conte, si sa, non aveva più agibilità politica.
Quindi il Governo Conte ha gestito il superbonus per 4 mesi - 4 mesi -, stanziando 35 miliardi. Dopo è arrivato al Ministero dello Sviluppo economico un signore che si chiama Giancarlo Giorgetti dal febbraio 2021. Siamo a maggio del 2024, quindi sono 3 anni che il Ministro Giorgetti ha - eccome se le ha - una grossa responsabilità su quelle che sono state le misure sul superbonus; e tutto l'arco parlamentare ha sempre, sempre approvato tutto quello che riguardava il superbonus; anzi, abbiamo negli anni visto provvedimenti, atti, ordini del giorno, emendamenti e misure, da parte di tutta la maggioranza di allora del Governo Draghi, ma anche da parte dell'opposizione di Fratelli d'Italia, che dovevano estendere il superbonus.
Dunque, noi abbiamo fatto questa misura e l'abbiamo regolamentata con 35 miliardi di euro, dopo è accaduto che la stessa sia stata gestita in maniera completamente diversa. E non può essere sempre la scusa con la quale giustificate la vostra inerzia, perché, se le misure che il Governo si appresta ad attuare per iniziare a rientrare di questi 13-14 miliardi l'anno sono la svendita e la privatizzazione di nostri primari e fondamentali, come l'ENI, allora non andiamo da nessuna parte.
Infatti, abbiamo formalizzato la cessione del 2,8 per cento di ENI per un introito di 1,4 miliardi. Per arrivare a 14 miliardi annui ne mancano ancora 12. Ebbene, fra qualche anno, visti i dividendi che ENI eroga ai propri azionisti, questi 1,4 miliardi annui saranno superati da quanto lo Stato non ha incassato a causa di questa vendita. Cioè, oggi vendiamo a un prezzo qualcosa che fra qualche anno ci avrebbe fatto guadagnare molto di più. Perché la vendiamo? Probabilmente, sempre per arrivare ad assecondare e ad acquietare quei grandi fondi di speculazione a cui l'Italia dice: state tranquilli, l'Italia è un Paese da non attaccare, perché noi siamo a vostra disposizione. Questa è l'unica ragione, perché non esiste una ragione logica, economica e finanziaria per arrivare a fare un'operazione del genere.
Quindi, cosa andremo a svendere? Cosa andremo a tagliare? Infatti, in questo Paese, purtroppo, si è diffusa da anni una specie di dicotomia per cui le parti politiche a favore di una spesa sociale, di una tutela dei più fragili e dei più deboli e dei salari, vengono additate come coloro che non sono favorevoli a una crescita di produttività del Paese. Questa è una menzogna totale, perché siamo tutti coscienti che ci deve essere una crescita di produttività del nostro Paese. Chi non vorrebbe una crescita di produttività del Paese? Chi non vorrebbe mettere in campo misure per far crescere la produttività di questo Paese? Il problema è chi cresce. Il problema è chi ci va a guadagnare. Infatti, riteniamo che una crescita e una produttività del Paese debbano riflettersi innanzitutto sull'aumento e sulla crescita dei salari, anche con una normativa garantisca un salario minimo. Invece, se la crescita deve essere solo a vantaggio di pochi, che hanno già e che non hanno bisogno di crescere, allora è un altro discorso.
Questo è il punto fondamentale, perché, in questo atto firmato in Europa, vediamo non un patto di stabilità, ma un irrigidimento totale e vincoli fuori dalla storia e dal mondo che andranno a penalizzare le classi meno abbienti di questa società, perché i tagli si riverseranno, gioco forza, inevitabilmente sulle fasce più povere della popolazione. Non vediamo nulla che stimoli la crescita. Vorremmo anche sentire e vedere misure che ci dicono: noi abbiamo una teoria, una teoria che negli anni Ottanta era imperante, cioè tagli alla spesa sociale, grande defiscalizzazione, crescita di determinate parti della società, perché riteniamo che la società, in questo modo, aumenti e progredisca. È una teoria sulla quale non siamo d'accordo, ma almeno ha una coerenza, una visione, una logicità. Noi su questo non vediamo nulla di nulla. Vediamo piccoli interventi raffazzonati, vediamo svendite a grandi fondi finanziari e non vediamo nulla che aumenti o che possa aumentare la competitività delle nostre imprese.
Quindi, davvero riteniamo con forza di esprimere la nostra contrarietà su questo Patto di stabilità e il grosso rammarico è che non pensavamo che si potesse tornare indietro così rapidamente dalla stagione della pandemia dal punto di vista della solidarietà delle politiche europee. Sapevamo, chiaramente, che poteva essere una fase, ma poteva davvero essere un inizio di un'Unione europea solidale, un'Unione europea che mirasse alla crescita e alla tutela dei più deboli, all'innovazione e alla transizione ecologica, ma non che dopo qualche anno si tornasse immediatamente indietro e si facesse una retromarcia colossale.
Vedere che davvero la pandemia non ha insegnato nulla e che si è tornati indietro di anni luce è una cosa che, quando si parla di Europa - e lo si fa molto spesso retoricamente -, ci fa capire che un'Unione europea vera, un'Unione europea dei diritti, un'Unione europea che vada a tutelare chi rimane indietro - i dati li ho citati poco fa, sono molti e sono la stragrande maggioranza - è un'Unione europea al di là da venire e il fatto che, quando ci si riferisce all'Unione europea, in questi ultimi anni e soprattutto in questi ultimi mesi, l'unica cosa di cui si parla è di una difesa comune, di investimenti militari e quant'altro, è davvero inquietante. Infatti riteniamo che siamo davvero nel momento in cui si debba scegliere, in un momento in cui si debba vedere che purtroppo la direzione di questo continente è completamente assoggettata agli interessi di oltreoceano e agli interessi dell'industria militare.
Noi siamo per un'Unione europea che abbia una difesa comune. Siamo per un'Unione europea che abbia un commissario alla difesa, ma un commissario alla difesa non significa un commissario alla guerra. Qui sembra che tutta l'architettura sia finalizzata ad avere un commissario alla guerra e a un soddisfacimento degli appetiti delle grandi industrie belliche e militari .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maria Anna Madia, che illustrerà la mozione Braga ed altri n. 1-00286, di cui è cofirmataria.
MARIA ANNA MADIA(PD-IDP). Presidente, grazie. Siamo alle porte delle elezioni europee che saranno decisive per il futuro dell'Europa e, dunque, per il futuro di tutti noi.
Vorrei iniziare questo breve intervento con un dato di fatto che a me pare oggettivo: la proposta politica sovranista in Italia, nel nostro Paese, ha fallito, cioè ha fallito quell'idea portante su cui i due partiti di maggioranza più importanti e su cui il partito a cui fa riferimento la Premier Meloni hanno costruito il loro consenso per anni. Non dimentichiamo, infatti, Presidente, che il consenso dell'attuale maggioranza si è costruito sull'astio, sulla diffidenza e sullo sbeffeggio verso l'Unione europea.
Eravamo invasi di video dove, addirittura, della maggioranza attuale chiedevano che si uscisse dall'euro, che si uscisse dalla moneta unica. Soprattutto chiedevano su ogni e su ogni tema che ci fosse meno Europa. Quindi, penso che noi, in Italia, possiamo dire che di quella proposta politica sovranista non rimane più nulla e non so se questa stessa autenticità, questa stessa verità, l'abbia trasmessa la Premier Meloni ai suoi amici Abascal e Le Pen.
Presidente, dicevo prima che si avvicinano le elezioni europee e, dunque, credo che le persone serie oggi debbano provare a fare i bilanci sugli ultimi anni. Vorrei dire con chiarezza che non sono d'accordo con la Premier Meloni che ieri ha detto che le priorità sono state sbagliate in questi anni tutte dalla Commissione europea e dall'Unione europea. Però, oltre ai bilanci sugli ultimi anni, in vista delle prossime elezioni, dobbiamo dirci quali sono i nuovi obiettivi. Penso che, per farlo, dobbiamo elencare alcune condizioni necessarie, cioè condizioni senza le quali difficilmente possiamo darci nuovi obiettivi, nuovi obiettivi in un mondo che sta cambiando molto velocemente. Quindi, devono essere nuovi obiettivi chiari, con che sappiano supportarli, perché se non penso, come la Premier Meloni - e non lo penso -, che le priorità della Commissione europea in questi anni siano state sbagliate, penso, però, che il mondo sia andato talmente velocemente e che, sì, c'è bisogno di decisioni importanti nei prossimi anni.
Allora, quali sono le cinque condizioni che io ritengo necessarie? La prima: l'efficienza esecutiva del PNRR o, meglio, di quel che resta del PNRR. Noi, dall'opposizione, non abbiamo risparmiato critiche al Governo. Ci siamo resi conto, molto bene, che il PNRR era fatto di tanti investimenti, con tante riforme, e che ora ci troviamo una sorta di bancomat diminuito, con un'azione riformatrice molto ridotta e, peraltro, investimenti ridotti in settori strategici come la sanità o gli asili nido. Ciò nonostante, oggi, di quel che resta del PNRR, noi ci auguriamo che ci sia un'efficienza esecutiva, cioè che quei soldi vengano spesi e vengano spesi rapidamente sui progetti rimasti. Perché io ritengo che questa sia una condizione necessaria? Perché dall'efficienza esecutiva del PNRR dipende la nostra credibilità, la credibilità dell'Europa e, dunque, anche la possibilità di darci nuovi obiettivi.
Seconda condizione necessaria: lo scampato pericolo - e, sottolineo, scampato pericolo -, per fortuna, di essere rimasti incastrati nelle vecchie regole della economica, nelle vecchie regole del Patto di stabilità e crescita che erano state solo temporaneamente sospese per la pandemia. Ecco, questo sarebbe stato un dramma per l'Italia e solo la silenziosa determinazione del Commissario Gentiloni ci ha permesso di scampare questo pericolo . Noi, oggi, abbiamo una nuova economica europea, su cui, certo, Presidente, quando la palla è passata ai Governi, il Governo italiano non ha saputo battere i pugni sul tavolo. Io questa espressione non la amo, ma la uso oggi qui, proprio perché è stata usata molto spesso da Giorgia Meloni e da Matteo Salvini, quando al Governo non c'erano loro, perché devo sottolineare che quella proposta di riforma di economica nelle mani del nostro Governo è peggiorata, per l'Italia. Ciò nonostante, meno male che c'è questa riforma e io vorrei dire anche al collega Ricciardi che non vedo una , come lui ha provato a raccontare; è tutto molto chiaro: c'era una proposta iniziale della Commissione, non c'è stato il miglioramento che un Governo forte avrebbe potuto probabilmente ottenere, ma meglio la nuova economica di ciò che avevamo prima e dentro cui saremmo ricaduti. Mi auguro, collega Ricciardi, che non vogliate perdere tempo con prossimi giurì d'onore, ma che ci si possa concentrare per le prossime elezioni europee, per il futuro dell'Europa e di tutti noi, sulle cose concrete che servono agli italiani.
Terza condizione necessaria: l'Europa non può più essere solo la regina della regolazione. Dico “solo”, perché fare regole buone è cosa giusta e io penso, ad esempio, che il fatto che l'Unione europea sia l'Unione europea anche del GDPR, che l'Unione europea sia l'Unione europea anche del nuovo regolamento sull'intelligenza artificiale sia cosa buona, però, non basta più. Proprio perché il mondo cambia molto velocemente, noi abbiamo bisogno di dire, con chiarezza, che è una condizione necessaria che l'Europa diventi anche l'Europa degli obiettivi comuni, da finanziare, però, con risorse comuni.
Quarta precondizione: lo Stato di diritto. Presidente, su questo punto non è vero che l'Unione europea, in questi anni, non ha fatto nulla e non è vero che le priorità siano state sbagliate, a meno che la Premier Meloni non ritenga che sia sbagliato aver introdotto la condizionalità sui fondi europei, cioè il fatto che non vadano risorse europee a chi non rispetta lo Stato di diritto. Spero, appunto, che Giorgia Meloni condivida il fatto che l'Unione europea fa i suoi interessi quando difende i suoi valori e ogni riferimento, ad esempio, all'Ungheria di Orbán è un riferimento puramente casuale. Ecco, Presidente, io ritengo che questa sia la quarta precondizione per fare passi in avanti: continuare ad avere come priorità l'Europa dei diritti.
Poi, chiudo sul quinto punto, sulla quinta condizione necessaria: provare a cambiare i meccanismi decisionali, provare a superare il meccanismo dell'unanimità, evitare la paralisi su temi strategici, anche con gruppi di Paesi, con cerchi concentrici, con tutto ciò che possa, sì, rafforzare la democrazia europea, perché la democrazia è forte quando ha meccanismi che le consentano di decidere. Ebbene, lei potrebbe, retoricamente, chiedermi: ma queste condizioni necessarie sono necessarie per cosa, per fare cosa? Io penso che la sintesi migliore sia dire che noi abbiamo bisogno, nei prossimi anni, in Europa, di chiarirci su quali sono gli obiettivi comuni dell'Unione europea e di trovare risorse comuni per finanziare questi obiettivi comuni. Ora, Presidente, noi non partiamo da zero, perché il fatto che in questi mesi, in questi anni, a Bruxelles si sia data cittadinanza a un tema come le politiche industriali europee è già di per sé una svolta concettuale e perché è una svolta concettuale? Perché noi eravamo, anni addietro, ancora abituati al fatto che si dovesse parlare di competitività di uno Stato membro contro l'altro, della Germania contro la Francia, dell'Italia contro la Spagna, della Spagna contro la Francia. Oggi, ha cittadinanza, in Europa, il fatto che occorra parlare di competitività e di sviluppo dell'Unione europea, nel suo complesso, perché deve far fronte a colossi come gli Stati Uniti e come la Cina, che hanno politiche economiche molto chiare rispetto ai loro interessi. Allora, è evidente - e su questo sono persino d'accordo con il collega Ricciardi - che occorra colmare l'assenza di capacità fiscale autonoma dell'Unione europea, ma per fare cosa? Per avere uno strumento sovrano di politica industriale europea, che possiamo, se vogliamo, per semplicità, magari, perché ormai è anche conosciuto dai nostri cittadini, chiamare strutturale, ragion per cui è importante che ci sia l'efficienza esecutiva del PNRR, lo ripeto, e su questo noi marcheremo stretto il Governo. E per capire questo strumento sovrano che cosa debba fare, io, al contrario del collega Ricciardi, penso che alcuni spunti interessanti ci potranno arrivare da ex Premier autorevoli del nostro Paese - ricordo il rapporto, già pubblicato, del Presidente Letta e il rapporto, che avrà una pubblicazione prossima e di cui abbiamo avuto alcune anticipazioni, dell'ex Premier Draghi - e, in ogni caso, penso che gli obiettivi comuni sono dentro le priorità di questi anni dell'Unione europea e il primo, lo ripeto, il primo, per noi e per le prossime generazioni, il primo innegabile, per chi ha a cuore il futuro dei figli e dei nipoti, non può che essere la conferma della transizione ecologica, con la neutralità climatica al 2050.
Presidente, sarebbe un errore storico tornare indietro e su questo l'Unione europea, in questi anni, è stata addirittura apripista. Bruxelles ha aperto e Stati Uniti e Cina sono stati costretti a seguire. Ora, abbiamo fatto tutto e la pratica è chiusa? Assolutamente no. Dobbiamo capire come andare avanti. Ecco gli obiettivi comuni per i quali dobbiamo trovare risorse comuni, perché non c'è più tempo per negazionismi sovranisti, sarebbero un gioco, una perdita di tempo.
Noi dobbiamo chiederci come accompagniamo le famiglie e le imprese in questa transizione, dobbiamo chiederci come non mettere in contrapposizione la transizione ecologica con la tenuta sociale e industriale del Paese. Insomma, dobbiamo chiederci come finanziamo la neutralità climatica al 2050. Risorse comuni per obiettivi comuni.
Lo stesso ragionamento lo posso fare per un altro obiettivo comune, che io chiamo difesa comune europea, che, a tutti gli effetti, è politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, perché - e, per suo tramite, rispondo sempre al collega Ricciardi, Presidente - la pace non è un'emozione; magari fosse così; la pace è una questione molto concreta, molto pragmatica. E, nell'indebolimento del multilateralismo che noi viviamo, che si accompagna, però, al moltiplicarsi di sfide globali e di conflitti, solo l'Unione europea può avere la credibilità per avere una voce; e non perché lo dico io, ma perché ha una dimensione direi minima per provare, in questo mondo, a dire e a fare qualcosa. Noi ci troviamo oggi, su questi temi, con un'integrazione europea ancora largamente insufficiente, noi ci troviamo oggi con una strategia europea di difesa che è ancora troppo figlia - qui, sì, dobbiamo accelerare - di egoismi nazionali. Questo ragionamento vale, io credo, qualunque sia l'esito delle prossime elezioni americane, con riferimento alle quali, al contrario di altri, non ho dubbi da che parte stare; non ho dubbi su chi io auspico possa ridiventare Presidente degli Stati Uniti d'America; e, ciò nonostante, penso che la difesa comune europea debba accelerare, qualunque sia l'esito delle elezioni americane.
Allora, anche a tale riguardo, dicevo, difesa comune europea significa, a tutti gli effetti, politica estera e di sicurezza europea, ma, in questi anni, l'Unione europea non ha fatto nulla? No, ha fatto e ha fatto molto, perché la risposta unitaria dell'Unione europea, che c'è stata immediatamente dopo l'invasione russa in Ucraina, assicurando sostegno militare, politico, economico all'Ucraina invasa, è stata importante e veloce e ne sono fiera e orgogliosa; ma certamente dobbiamo chiederci come andiamo avanti e dobbiamo chiedercelo proprio perché siamo una forza di pace; proprio perché l'Unione europea è una forza di pace deve accelerare sulla difesa comune, deve recuperare il tempo perduto nell'integrazione della difesa europea e questo, Presidente, è anche un tema di competitività dell'Unione europea. Io vorrei dire che non è la prima ragione per cui penso sia importante; continuo a ritenere che l'Unione europea fa i suoi interessi quando segue i suoi valori, e questa è prima di tutto una questione figlia dei valori europei. Ciò nonostante, è anche una questione di competitività. Sì, perché oggi non aver accelerato ancora nella difesa europea costa a tutti noi, a tutti noi cittadini europei, 170 miliardi di spreco, 380 euro a cittadino europeo; quindi, già oggi abbiamo una difesa che non è neanche all'altezza della spesa che ha; la difesa non ha la qualità almeno pari alle risorse che già vengono spese per la difesa europea. Presidente, questo è un grande tema su cui, in un mondo dei sogni, mi rendo conto che non è la realtà, servirebbe un grande sforzo di pedagogia verso l'opinione pubblica europea e non, invece, forze populiste, che ancora purtroppo ci sono, che continuano a speculare, dicendo che si sprecano i soldi in difesa, quando non si mettono sulla sanità e sulla scuola. Ritengo queste pure speculazioni, che non vogliono spiegare alle persone le cose come stanno e non vogliono migliorare la loro qualità di vita. Quindi, risorse comuni per obiettivi comuni; se l'obiettivo comune è chiaro, ci dobbiamo chiedere, nei prossimi mesi, quali sono le risorse comuni; si parla di una linea di finanziamento della BEI, di possibili eurobond; ecco, queste saranno le questioni che dovranno avere risposte.
Chiudo Presidente: noi, fra poco, voteremo come cittadini dell'Unione europea, come cittadini di uno Stato membro importante dell'Unione europea; io spero davvero che si possano avere istituzioni europee, dopo le prossime elezioni, che sappiano, con consapevolezza e con chiarezza, che queste sono le sfide e, soprattutto, spero ci possano essere che sappiano portare avanti queste sfide
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Angelo Rossi. Ne ha facoltà.
ANGELO ROSSI(FDI). Signor Presidente, colleghi, oggi ci troviamo a discutere di una mozione che parte da un assunto, l'unico che ritroviamo nel testo obiettivo e condivisibile: l'aggiornamento e la revisione del quadro della economica europea. È una questione centrale nel dibattito europeo, è un tema decisivo di politica economica per il nostro Paese, in quanto dalla sua approvazione dipenderà la capacità di spesa e di investimento, a livello nazionale ed europeo, per i prossimi anni; una capacità di spesa che, come giustamente viene ricordato, è stata pesantemente influenzata dalle crescenti tensioni e dai mutati scenari geopolitici internazionali. Il resto sono illazioni e polemiche pretestuose, da campagna elettorale.
Partiamo dal principio, da un dato di fatto: contrariamente agli auspici, il Governo Meloni si è dimostrato un capace di dialogare con l'Europa. Sembra lontano il tempo in cui la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, paventava l'intervento di Bruxelles in caso di deterioramento democratico in Italia; in realtà, i rapporti tra il Governo Meloni e la Commissione sono stati, fin da subito, costruttivi. Un primo esempio di questo allineamento è dato dalla positiva interlocuzione tra la Commissione e il Ministero per gli Affari europei per la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha portato all'erogazione della quarta rata degli stanziamenti messi a disposizione dell'Italia dal programma di ripresa
Un secondo esempio di convergenza tra Roma e Bruxelles riguarda il sostegno dell'Italia a Kiev e alla politica UE di allargamento, rivitalizzata dall'invasione russa dell'Ucraina, dopo anni di stagnazione.
Infine, un terzo ambito di positiva interlocuzione tra Roma e Bruxelles ha riguardato il delle migrazioni. Il Governo italiano ha, infatti, contribuito alla chiusura del nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo, il cui negoziato andava avanti dal 2020. Dal canto suo, la Commissione europea ha fortemente sostenuto la strategia di esternalizzazione della gestione della migrazione sostenuta dall'Italia; in questo senso, si segnalano la visita congiunta di Meloni e Von der Leyen in Tunisia, del luglio 2023, che ha portato alla firma del d'Intesa UE-Tunisia, e il sostanziale benestare agli Accordi sottoscritti dall'Italia con l'Albania lo scorso novembre.
È stato scritto che, in sede di ultima plenaria del Parlamento europeo, si è assistito alla totale spaccatura del fronte italiano della maggioranza di centrodestra, cosiddetta dei Conservatori e Riformisti europei, presieduto dal Premier Meloni, che, in aperto contrasto con la posizione assunta nelle votazioni precedenti in sede di Consiglio e sconfessando, di fatto, l'operato del proprio Ministro dell'Economia, Giorgetti - il quale aveva difeso la sostenibilità dell'Accordo, per l'Italia - si è astenuta; nonostante il Governo si fosse dichiarato soddisfatto e avesse appoggiato la riforma, definendola un buon compromesso, Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega non l'hanno infatti sostenuta al momento della votazione. Le cose non stanno così, e vi spiego perché. Per il Governo italiano, il tema della riforma della economica, lo abbiamo sempre sostenuto, deve avere come principale obiettivo il sostegno alla crescita, perché, senza sostegno alla crescita, non si può neanche garantire stabilità.
La riforma deve garantire, a nostro avviso, la protezione degli investimenti nei settori strategici, in particolare transizione verde, transizione digitale e difesa e deve prevedere procedure semplificate e veloci per le nostre imprese.
L'intenso lavoro diplomatico, che il Governo Meloni ha svolto in questi mesi e continuerà a svolgere con i , è orientato soprattutto a superare vecchie contrapposizioni e a porre fine, una volta per tutte, alla stagione dell'austerità, pur senza venir meno a quella disciplina di bilancio sulla quale il Governo italiano ha dimostrato serietà fin dalla manovra finanziaria.
È una partita complessa sulla quale io credo che l'Italia abbia obiettivi, in questo caso, condivisi dalla gran parte delle forze politiche e che sono stati oggetto di sostegno bipartisan già con i Governi precedenti. Per questa ragione, lo voglio dire con serenità ma anche con chiarezza, non reputo utile all'Italia alimentare in questa fase una polemica interna su alcuni strumenti finanziari, come ad esempio il MES; l'interesse dell'Italia, oggi, è affrontare il confronto sulla nuova europea con un approccio a pacchetto nel quale le regole del Patto di Stabilità, il completamento dell'unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutano nel loro complesso nel rispetto del nostro interesse nazionale. Prima ancora di una questione di merito c'è una questione di metodo: su come si faccia a difendere l'interesse nazionale italiano. In tutti i consessi europei e internazionali viene oggi riconosciuto all'Italia il ruolo di una Nazione solida, credibile e affidabile, forte delle sue ragioni e dei suoi interessi e forte della sua tradizione di dialogo e del suo ruolo geopolitico. Lo dico con orgoglio anche pensando ai molti che strumentalmente preconizzavano e scommettevano su un'Italia a guida centrodestra che sarebbe stata isolata a livello internazionale; i risultati, ancora una volta, smentiscono i pronostici e ci responsabilizzano a fare sempre di più, sempre meglio, consapevoli come siamo che un'Italia forte e credibile fuori dai confini nazionali significa soprattutto un'Italia capace di affermare gli interessi e i bisogni dei suoi cittadini.
Il nuovo Patto di stabilità è un importante traguardo raggiunto dal Governo Meloni in quanto rispetto alle precedenti norme ha un approccio più realistico alla sostenibilità del debito, prevedendo al suo interno un giusto equilibrio tra la graduale riduzione del debito e il sostegno alla crescita. Pertanto, i limiti e le vecchie regole sono stati riconosciuti e si è lavorato per trovare un accordo che consentisse norme più flessibili, che dessero spazio anche alla crescita di ciascun Paese. Rispetto al passato, l'aggiustamento complessivo che viene richiesto sarà inferiore; inoltre, il livello di spesa complessiva sarà maggiore di un ammontare annuo di 1,75 punti di PIL. Ulteriore elemento di fondamentale importanza sono le tempistiche; infatti, viene previsto un periodo di transizione per cui raggiungere l'1 per cento di deficit strutturale non dovrà avvenire immediatamente.
Altro elemento positivo della riforma è che il percorso di aggiustamento avverrà utilizzando una variabile di spesa primaria, il che renderà più facile la programmazione di medio periodo in quanto non si dovrà tenere conto della variazione della spesa per interessi sul debito pubblico. Nonostante posizioni di partenza ed esigenze molto distanti tra gli Stati, il nuovo Patto risulta per l'Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato: regole meno rigide e più realistiche di quelle attualmente in vigore, che scongiurano il rischio del ritorno automatico ai precedenti parametri che sarebbero stati insostenibili per molti Stati membri.
Grazie ad un serio e costruttivo approccio al negoziato, l'Italia è riuscita non solo nel proprio interesse ma in quello dell'intera Unione a prevedere meccanismi graduali di riduzione del debito e di rientro dagli elevati livelli di deficit del periodo COVID; inoltre, si terrà conto degli investimenti del PNRR e dei maggiori costi sugli interessi causati dall'innalzamento dei tassi di interesse da parte della BCE e, fattore non di poco conto, le spese per la difesa saranno considerate separatamente in quanto fattori rilevanti. Dunque le nuove regole rappresentano un giusto compromesso che porterà un assetto più orientato alla programmazione di medio periodo e al controllo della spesa pubblica rispetto alle precedenti norme, le quali portavano esclusivamente a lunghi negoziati sui conti di bilancio. Si evidenzia che anche i mercati hanno risposto in maniera favorevole nei confronti dell'Italia sulla conclusione del nuovo accordo che ha visto una graduale riduzione dello dei titoli di Stato italiani.
Il nuovo Patto di stabilità costituisce, rispetto al vecchio Patto, un enorme passo avanti, ma rappresenta pur sempre l'unico compromesso, oggi possibile, e presenta ancora elementi critici: rimane, ad esempio, la mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall'equilibrio di deficit e di debito da rispettare o la salvaguardia di sostenibilità del debito, che comporterà meno flessibilità di quella attesa nei prossimi anni, una battaglia, questa, che l'Italia intende continuare a portare avanti nel futuro.
Sicuramente la nostra Nazione dovrà avviare un percorso di consolidamento fiscale che avrebbe dovuto essere intrapreso già tempo fa quando a governare non era il Governo Meloni, ma l'accordo raggiunto sul nuovo Patto di stabilità è un traguardo importante per il nostro Paese e dimostra ancora una volta che l'Italia, grazie al Governo Meloni, ha migliorato le regole europee ereditate dal passato.
Ad oggi questo nuovo accordo consente alla nostra Nazione di raggiungere gli obiettivi prefissati dal Patto di stabilità e crescita con più costanza e con una programmazione e, quindi, in un'ottica di medio periodo. E qui si spiega il voto espresso in sede europea da Fratelli d'Italia che non è come si vorrebbe lasciar credere una sconfessione del lavoro portato avanti dal Governo Meloni; il lavoro del Governo Meloni, il nostro lavoro non si esaurisce qui ed oggi: il nuovo Patto di stabilità non è perfetto e non risolve tutti i problemi, ma è un buon compromesso che permetterà all'Unione europea di prepararsi meglio ad affrontare le sfide economiche con rinnovata fiducia.
Per altrettanta onestà intellettuale, la mozione del collega Conte avrebbe dovuto ricordare, al pari di tutte le critiche mosse al Governo Meloni, che attualmente l'Italia sta affrontando la scoria nucleare del superbonus e dei bonus edilizi voluti dal PD e dai 5 Stelle che impattano fortemente e pesantemente sul bilancio dello Stato. Detto ciò, il 19 giugno saranno presentate le decisioni sulle procedure di infrazione per deficit eccessivo e riguarderanno probabilmente 11 Paesi, tra cui l'Italia. Il piano di rientro non sarà facile, ma con le regole nuove è sicuramente più compatibile rispetto a quelle vecchie, ma qui l'Italia e gli altri Paesi ad alto debito hanno ottenuto qualcosa, vale a dire che la Commissione, nel determinare la correzione dei conti pubblici prevista nel triennio 2025-2027, tenga conto dell'incremento della spesa per interessi intervenuta nel periodo a seguito dell'ondata inflazionistica e del conseguente inasprimento dei tassi da parte della BCE.
Complessivamente, e concludo, la riforma del Patto manca di quel coraggio indispensabile a cambiare un modello economico ancora troppo legato all'; sarà priorità del nostro impegno a lavorare, come maggioranza di centrodestra, ad una modifica sostanziale del Patto, che tenga conto delle esigenze finanziarie degli Stati membri attraverso un approccio che vada nella direzione di una maggiore flessibilità. Non abbiamo votato contro, ma ci siamo astenuti, permettendo che venisse approvato. In questo modo abbiamo voluto mandare un segnale preciso: il Patto di stabilità può e deve essere migliorato e lo potremo fare grazie alle elezioni, con un nuovo Parlamento europeo e una nuova Commissione .
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Prima di andare avanti rivolgiamo il saluto e il benvenuto alla Camera dei deputati alle ragazze e ai ragazzi, studentesse e studenti delle classi V A e V D della scuola primaria “Cesare Battisti” di Lecce . Benvenuti alla Camera dei deputati, insieme ai vostri accompagnatori.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1276: Modifica dell'articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 14 maggio 2024 .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne ha chiesto l'ampliamento.
La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Maria Carolina Varchi.
MARIA CAROLINA VARCHIGrazie Presidente. L'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge a prima firma della collega Schifone recante modifica dell'articolo 2407 del codice civile in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale. Il provvedimento ha un contenuto puntuale di riscrittura dell'articolo 2407 del codice civile di cui viene riprodotto il testo del primo e del terzo comma ma non del secondo, che enuncia il principio della responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
La enunciata nella relazione illustrativa e largamente condivisibile, consiste nell'urgenza di prevedere che i componenti del collegio sindacale siano sanzionati solo per ciò che abbiano effettivamente compiuto od omesso sulla base di elementi e fatti conosciuti in quello specifico momento e non secondo troppo facili ricostruzioni , provando la sussistenza e la presenza di dolo specifico, con una correlazione diretta della quantificazione del danno in sede civilistica.
Occorre, quindi, che venga dimostrata la volontà dolosa di concorrere nel reato, onde evitare che la responsabilità venga derivata solo dal fatto di avere una posizione di controllo. Appare quindi ragionevole ed equo prendere come base di riferimento, per la determinazione dell'eventuale danno causato dall'organo di controllo, l'emolumento annuo deliberato a favore di ciascun componente, al quale applicare moltiplicatori tra loro differenziati a seconda che la società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio. A tal fine, la riscrittura del secondo comma dell'articolo in questione è nel senso che, al di fuori delle ipotesi di dolo, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, 15 volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, 12 volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, 10 volte il compenso. Tale responsabilità riguarda ovviamente i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai soci, ai creditori e ai terzi ed opera anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata dal collegio sindacale.
Con l'introduzione del quarto comma, si definisce invece il termine di prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità, facendola decorrere dalla data di deposito della relazione, relativa all'esercizio in cui si è verificato il danno, con cui, ai sensi dell'articolo 2429 del codice civile, gli amministratori accompagnano la comunicazione del bilancio al collegio sindacale, nonché al soggetto incaricato della revisione legale dei conti, che deve avvenire entro i 30 giorni precedenti a quello fissato per l'assemblea che deve discuterlo.
La scelta di individuare un unico termine per l'azione di responsabilità dei sindaci, a fronte dei diversi termini oggi pure stabiliti dal codice civile a seconda del tipo di azione esercitata, in virtù del richiamo operato proprio dal terzo comma dell'articolo 2407 del codice civile (infatti, la disciplina dell'azione di responsabilità dei sindaci ricalca quella degli amministratori), è motivata dalla necessità di uniformare la disciplina con quella prevista per i revisori legali, per ragioni di equità e per la circostanza che, frequentemente, il collegio svolge la funzione di revisore legale.
Si ricorda, in proposito, che l'azione di risarcimento nei confronti dei revisori legali si prescrive, articolo 15, comma 3, del decreto legislativo n. 39 del 2010, nel termine di cinque anni dalla data di relazione di revisione sul bilancio di esercizio.
Nel riferire su questo provvedimento, ci tengo a puntualizzare che in Commissione giustizia abbiamo svolto una lunga e articolata istruttoria, coinvolgendo i rappresentanti del Consiglio nazionale forense, dell'Associazione italiana giovani avvocati, del Consiglio nazionale del notariato, del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dell'Unione nazionale dei giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, dell'Associazione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili nazionali, nonché di docenti universitari e professionisti esperti della materia. Dal citato ciclo di audizioni e dal dibattito svolto, la Commissione ha tratto un convincimento granitico sulla opportunità di un intervento normativo, senza che si ritenesse necessaria un'ulteriore modifica del testo approdato all'esame della Commissione. Anche i pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva sono stati favorevoli, senza alcuna osservazione.
È, questa, una riforma che molti professionisti attendono da tempo e che riteniamo possa contribuire a ricondurre a princìpi più alti di equità e giustizia tanti procedimenti che riguardano professionisti chiamati a rispondere per fatti che talvolta davvero esulano - e non poco - dalle loro responsabilità. Conclusivamente, auspico una sollecita conclusione dell'iter legislativo di questo provvedimento, anche - e soprattutto - in ragione della larghissima condivisione che questo stesso provvedimento ha avuto in Commissione e che auspico possa essere replicata anche in quest'Aula .
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che rinunzia.
È iscritto a parlare il deputato Palombi. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO PALOMBI(FDI). Grazie, Presidente. Onorevole Sottosegretario, onorevoli colleghi, l'attuale sistema della responsabilità civile dell'organo di controllo societario determina la presenza di azioni che coinvolgono i sindaci in maniera quasi automatica, avvinti dal vincolo di solidarietà con gli amministratori. Essendo una responsabilità concorrente, la misura della colpa e la pretesa risarcitoria sono le stesse per chi ha commesso il fatto e per chi ha vigilato; ciò significa che i sindaci rispondono in solido con gli amministratori quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero controllato in conformità degli obblighi derivanti dalla carica. Tale responsabilità solidale sussiste, nonostante spesso gli emolumenti degli amministratori siano di gran lunga superiori a quelli deliberati a favore dei sindaci, anche se la legge 21 aprile 2023, n. 49, sull'equo compenso, ha certamente mitigato tale sproporzione. Pertanto, senza operare alcuna netta distinzione fra le due funzioni, amministratori e sindaci vengono posti, in tema di responsabilità, sullo stesso piano. I secondi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. L'evento dannoso è, quindi, conseguenza anche - e soprattutto - di un comportamento doloso o colposo degli amministratori, che i sindaci avrebbero potuto o dovuto prevenire o impedire nell'espletamento delle proprie funzioni di vigilanza, in osservanza di quella che viene definita la cosiddetta . Pertanto, spetta ai sindaci dimostrare l'assenza di ogni forma di negligenza nel compimento dell'incarico, anche perché agli stessi viene applicata la norma penale fondata sul cosiddetto dolo eventuale, in relazione alla commissione di un reato omissivo proprio e, nella fattispecie, del secondo capoverso dell'articolo 40 del codice penale, ai sensi del quale non impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire equivale a cagionarlo.
Fatta tale opportuna premessa di inquadramento, pare giunto il momento di prevedere, pur nella consapevolezza del ruolo di garanzia che viene attribuito all'organo di controllo, che i membri di questo debbano essere sanzionati esclusivamente per ciò che effettivamente abbiano omesso o compiuto, sulla base di elementi specifici, e non su semplici e facili supposizioni , provando la sussistenza e la presenza del dolo specifico e, al contempo, correlando proporzionalmente anche la quantificazione del danno, in sede civilistica.
La Corte di cassazione spesso ha ricordato che il nesso tra violazione dei doveri di vigilanza e consumazione del reato debba essere provato in maniera rigorosa, e tutto questo avviene verificando effettivamente che il mancato attivarsi da parte del sindaco abbia avuto concreta incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori.
Quindi, accade che, a seguito di azioni contro gli amministratori, talvolta per presunte responsabilità oggettive, si proceda all'avvio di azioni civili, pressoché automatiche, contro l'organo di controllo, al solo fine di incrementare l'attivo della procedura, attingendo alle polizze assicurative dei professionisti, soggetti unici obbligati a stipularle. Infatti, le polizze assicurative dei sindaci sono ritenute, per l'attività dei predetti, a maggiore rischiosità.
Per tale motivo, essendoci una responsabilità concorrente, la pretesa risarcitoria è la medesima nei confronti di chi ha commesso il fatto e di chi ha vigilato, senza alcuna considerazione sulla potenziale conoscenza e possibilità di intervento da parte del sindaco, che porta nuovamente a confermare ciò che già in precedenza si è detto, e cioè che i sindaci debbano, nei fatti e nel concreto, dimostrare l'inesistenza di ogni ipotesi di negligenza a loro carico, in una sorta di inversione dell'onere probatorio. Da ciò consegue che coloro che hanno operato con la massima diligenza vengano ingiustamente colpiti da un'azione di responsabilità, per poi ritrovarsi impegnati, per anni, a dimostrare la loro diligenza adoperata, per non dover sopportare il peso di un'azione legale.
L'articolo 2407, comma 2, del codice civile, nell'attuale formulazione, con riguardo alla responsabilità dei sindaci, recita: essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
La configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza imposto dal sopracitato articolo non richiede l'individuazione di specifici comportamenti o condotte che si pongano in contrasto con tale dovere, statuendo, invece, che basti semplicemente che essi non abbiano rilevato una piccolissima violazione o, comunque, non abbiano, in alcun modo, reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità o regolarità, così da non aver assolto l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede.
Quindi, l'inadempimento dei sindaci viene ravvisato nel fatto stesso di non aver rilevato l'illecito, ossia nell'inerzia oggettiva rispetto all'evento lesivo concretamente ignorato. Quindi, di conseguenza, l'inerzia, a fronte dell'illecito altrui, viene ritenuta colpevole
La giurisprudenza più rigorosa ha spesso seguito questo orientamento di un nesso causale automatico, senza verificare gli effettivi poteri in capo ai sindaci, idonei a impedire l'evento, manifestando un atteggiamento di particolare rigore nella valutazione della responsabilità dei sindaci, considerata quindi una responsabilità da posizione di tipo oggettivo. Come sovente accade - e aggiungo purtroppo -, quando il legislatore è inerte o poco tempestivo, è la giurisprudenza a intervenire, come verificatosi con la pronuncia della Corte di cassazione in sede penale n. 20867 del 26 maggio 2021, secondo la quale la responsabilità dei sindaci, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sussiste solo qualora emergano puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l'omissione del potere di controllo e, pertanto, l'inadempimento dei poteri-doveri di vigilanza, il cui esercizio sarebbe valso a impedire condotte distrattive degli amministratori, esorbitino dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole volontà di agire anche a costo di far derivare dall'omesso controllo la commissione di illiceità da parte degli amministratori.
Per la giurisprudenza più recente, quindi, occorre dimostrare la volontà dolosa di concorrere al reato, evitando l'automatismo secondo il quale la responsabilità derivi dal solo fatto di avere una posizione di controllo.
La modifica dell'articolo 2400 del codice civile, della quale oggi discutiamo, mira quindi a sostituire la responsabilità gravante sui componenti dei collegi sindacali delle società, che attualmente è di tipo solidale, con un sistema di responsabilità basato sul compenso annuo percepito.
Da un punto di vista formale, le modifiche dell'articolo 2407 del codice civile si limitano alla sostituzione del secondo comma e all'aggiunta di un comma finale in materia di prescrizione. Riscrivere il secondo comma ha, come fine, quello di introdurre un sistema di limitazione di responsabilità dei sindaci, a fronte del sistema attuale, basato sulla responsabilità solidale, sostituendolo con uno proporzionale. Appare, quindi, evidente come occorra prendere come base di riferimento per poter determinare l'eventuale danno causato dall'organo di controllo l'emolumento annuo deliberato a favore di ciascun membro dell'organo collegiale, al quale applicare dei moltiplicatori tra loro differenziati, a seconda che la società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio. Il nuovo secondo comma, infatti, nel ribadire che i sindaci che abbiano agito o omesso di agire in violazione dei propri doveri, sono responsabili nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi, ne circoscrive tuttavia l'entità a un multiplo del compenso annuo percepito dal sindaco medesimo, secondo il seguente schema che prevede 3 scaglioni: fino a 10.000 euro, 15 volte il compenso; da 10.000 a 50.000 euro, 12 volte il compenso; oltre 50.000 euro, 10 volte il compenso. L'ultimo comma aggiunto inserisce un termine di prescrizione quinquennale per esercitare l'azione di responsabilità verso i sindaci, che decorre dal momento del deposito della relazione allegata al bilancio relativo all'esercizio in cui si è verificato il danno, ai sensi dell'articolo 2429 del codice civile. I commi non modificati dalla proposta in esame, ossia il primo e il terzo, stabiliscono rispettivamente che i sindaci devono adempiere ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico, sono responsabili della veridicità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragioni del loro ufficio. Principi, questi, assolutamente condivisibili e che non vanno modificati.
Ebbene, questa proposta di legge puntuale - e della quale ringrazio sia la proponente, onorevole Schifone, che la relatrice, onorevole Varchi - è l'ennesima dimostrazione di come il Governo e la sua maggioranza pongano costante interesse e attenzione rispetto a temi che coinvolgono i professionisti, garantendone la professionalità, secondo principi di correttezza e proporzionalità, tanto delle responsabilità, quanto dei compensi. A nostro parere, è questa la strada giusta: i professionisti sono una risorsa fondamentale di questa Nazione e va invertita quella tendenza che troppo spesso li ha visti colpevolizzati. È nostra intenzione, invece, agire in modo che la professionalità venga difesa, tutelata e valorizzata. E questa norma è un tassello importante verso questo obiettivo ).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Maria Carolina Varchi, che rinuncia alla replica, così come il rappresentante del Governo, Sottosegretario Freni - che, peraltro, ha diligentemente preso appunti durante la discussione - che rinuncia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
1.
2.
S. 1092 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo 2024, n. 39, recante urgenti in materia di agevolazioni fiscali di cui agli articoli 119 e 119-ter del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, altre misure urgenti in materia fiscale e connesse a eventi eccezionali, nonché relative all'amministrazione finanziaria (Approvato dal Senato). (C. 1877)
3.
CONTE ed altri: Delega al Governo per la riforma della disciplina in materia di conflitto di interessi per i titolari di cariche di governo statali, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano e per i presidenti e i componenti delle autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione. (C. 304-A)
: PAOLO EMILIO RUSSO.
4.
5.
SCHIFONE ed altri: Modifica dell'articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale. (C. 1276)
Relatrice: VARCHI.
6.
S. 615 - Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (Approvato dal Senato). (C. 1665)
: URZÌ, PAOLO EMILIO RUSSO e STEFANI, per la maggioranza; TONI RICCIARDI, di minoranza.