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Lunedì 10 Giugno 2024 ore 15:00
AULA, Seduta 303 - Assistenza sanitaria per persone senza dimora, discussione generale
Resoconto stenografico
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XIX LEGISLATURA
303^ SEDUTA PUBBLICA
Lunedì 10 giugno 2024 - Ore 15
1. Discussione sulle linee generali della proposta di legge:
FURFARO ed altri: Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora. (C. 433-A)
e dell'abbinata proposta di legge: SPORTIELLO. (C. 555)
Relatore: FURFARO.
2. Discussione sulle linee generali della mozione Ilaria Fontana ed altri n. 1-00276 concernente iniziative in merito al Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), con particolare riferimento al relativo aggiornamento in coerenza con gli obiettivi di decarbonizzazione (vedi allegato).
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- Lettura Verbale
- Missioni
- Annunzio di petizioni
- Proposta di legge: Furfaro ed altri: “Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora” (A.C. 433-A) e dell'abbinata proposta di legge: Sportiello (A.C. 555) (Discussione)
- FURFARO ed altri: Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora.(C. 433-A) e dell'abbinata proposta di legge: SPORTIELLO. (C. 555)
- Discussione sulle linee generali - A.C. 433-A ed abbinata
- Vice Presidente ASCANI Anna
- Deputato FURFARO Marco (PARTITO DEMOCRATICO - ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA)
- Sottosegretario di Stato per la Salute GEMMATO Marcello
- Deputato CIANI Paolo (PARTITO DEMOCRATICO - ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA)
- Deputato PULCIANI Paolo (FRATELLI D'ITALIA)
- Deputata SPORTIELLO Gilda (MOVIMENTO 5 STELLE)
- Repliche - A.C. 433-A ed abbinata
- Discussione sulle linee generali - A.C. 433-A ed abbinata
- FURFARO ed altri: Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora.(C. 433-A) e dell'abbinata proposta di legge: SPORTIELLO. (C. 555)
- Discussione della mozione Ilaria Fontana ed altri n. 1-00276 concernente iniziative in merito al Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC), con particolare riferimento al relativo aggiornamento in coerenza con gli obiettivi di decarbonizzazione
- Ordine del giorno della prossima seduta
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato Segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ROBERTO GIACHETTI, legge il processo verbale della seduta del 3 giugno 2024.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 72, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta odierna .
PRESIDENTE. Invito il deputato Segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.
ROBERTO GIACHETTI, legge:
Francesco Di Pasquale, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede: iniziative contro le ipotesi di abbattimento di bovini negli allevamenti europei a scopo di tutela ambientale () ;
l'istituzione di una Giornata delle bellezze d'Italia;
l'istituzione di una Giornata nazionale di sensibilizzazione contro le truffe a danno delle persone anziane () - ;
misure per contrastare i rincari del prezzo dei carburanti ;
interventi umanitari a favore delle popolazioni di Nigeria e Yemen ;
Francesco Paletta, da Crema (Cremona), chiede l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'amministrazione della giustizia ;
Marco Sabatino Ranalli, da Pistoia, chiede norme per consentire agli ottici di svolgere la propria attività in forma ambulante, con l'utilizzo di mezzi quali o furgoni ;
Marco Preioni, da Domodossola (Verbano-Cusio-Ossola), chiede che la circolazione con automobili a motore diesel Euro 4 sia sempre consentita per le persone di età superiore a 65 anni ;
Roberto Di Gaetano, da Nodica (Pisa), chiede: norme per il riconoscimento e la valorizzazione degli infermieri professionali ;
l'impiego di personale in quiescenza delle Forze armate e di polizia a supporto delle attività di polizia giudiziaria ;
l'impiego di personale in quiescenza delle Forze armate a supporto delle attività degli organismi di informazione per la sicurezza ;
norme per limitare la produzione e la vendita di prodotti alimentari e da fumo dannosi per la salute ;
Demetrio Rappa, da Palermo, chiede una complessiva revisione dell'ordinamento giuridico penale e civile ;
Edoardo Macrì, da Milazzo (Messina), chiede che sia innalzato il limite di reddito per considerare fiscalmente a carico i familiari ;
Maurizio Scazzeri, da Torchiarolo (Brindisi), chiede che i soggetti che hanno acquisito all'estero la specializzazione per il sostegno nelle scuole siano inseriti in coda alle prossime graduatorie provinciali e di istituto .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 433-A: “Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora” e dell'abbinata proposta di legge n. 555.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 3 giugno 2024 .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.
La XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Marco Furfaro.
MARCO FURFAROGrazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, la proposta di legge che esaminiamo oggi in quest'Aula è il testo risultante da un lavoro svolto dalla XII Commissione (Affari sociali) ed è volta a introdurre disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora. L'articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute di ogni individuo, come interesse particolare della persona e interesse collettivo. Però, purtroppo, non sempre è così. Per esempio, una persona può essere così povera da non potersi più permettere di pagare l'affitto o un mutuo, e così finisce in strada. Una volta finita in strada, perde anche la residenza, ossia viene cancellata all'anagrafe del comune. Questo ha come conseguenza il venir meno di un pieno accesso al diritto alle cure. È il caso di decine di migliaia di senza dimora. Ciò perché la legge italiana collega una serie di diritti fondamentali, come il diritto al lavoro, il diritto al il diritto al voto e, soprattutto, il diritto alla salute, al possesso di una residenza. Anche la legge n. 833 del 1978, quando istituiva il Servizio sanitario nazionale, stabiliva che gli utenti del Servizio sanitario nazionale fossero iscritti in appositi elenchi, periodicamente aggiornati presso l'unità sanitaria locale nel territorio in cui hanno la residenza. Così, chi perde la residenza perde anche la possibilità di accedere al medico di medicina generale. E pur esistendo un diritto soggettivo alla residenza, moltissimi comuni la negano alle persone senza dimora, con le più disparate motivazioni.
Inoltre, in alcuni casi, è proprio la legge stessa che impedisce alle persone di chiedere e ottenere la residenza, ossia l'iscrizione all'anagrafe.
Per esempio, una persona che finisce strada e viene ospitata da un amico o da un parente che vive in un alloggio dell'edilizia residenziale pubblica, avrà un tetto sulla testa, ma non potrà chiedere la residenza, perché i regolamenti pubblici lo vietano, e quella persona rimarrà senza un medico di base. Una persona sfrattata e finita e strada, che magari trova alloggio in un immobile occupato - parliamo di migliaia di persone, nelle città metropolitane -, rimarrà senza medico di base. Una persona ospitata da amici che magari le consentono di avere un tetto sulla testa, ma non le danno la possibilità di avere il diritto ad iscriversi all'anagrafe e ad avere la residenza, anche quella persona, rimarrà senza il medico di base. E non solo. La mancanza dell'assistenza territoriale impedisce a queste persone non solo l'accesso al medico di medicina generale, ma anche al Centro di salute mentale, al SerD, al consultorio, impedisce loro di vaccinarsi, di farsi tamponi, di accedere alla medicina preventiva, avendo accesso solo alle prestazioni del pronto soccorso o dell'emergenza-urgenza. In definitiva, le persone senza dimora non patiscono solo una situazione di estremo degrado, dovuto alla mancanza di alloggio e a una continua sopravvivenza quotidiana, ma subiscono anche una condizione di invisibilità dal punto di vista sociale e istituzionale, trovandosi, purtroppo, fuori da una rete di sostegno che non sia quella caritativa.
Ci sono stati, in questi anni, dei censimenti. C'è stato un censimento Istat del 2015, che calcolò circa 50.000 senza dimora. Ce n'è stato un altro, a metà dicembre 2022, che indicava in 96.000 le persone senza dimora, di cui il 60 per cento cittadini italiani. Però sono persone, appunto, censite, legate all'anagrafe e con un diritto di residenza.
È un tema, questo delle persone senza pieno accesso al diritto alla cura, che le istituzioni locali conoscono bene, perché sono istituzioni di prossimità, così come le associazioni di volontariato, che ogni giorno cercano, attraverso un lavoro di prossimità alle persone e di aiuto a coloro che sono fragili, lungo le strade, di alleviare questo problema. Sono: Avvocato di strada, Alleanza contro la Povertà, Caritas, il CNCA, la Comunità di Sant'Egidio, la Comunità Papa Giovanni XXIII, Cittadinanzattiva, Emergency, la fio.PSD, cioè tutte associazioni che, da anni, operano e chiedono di sanare questa ingiustizia. E se oggi questa legge arriva in Parlamento è anche soprattutto merito loro. Iniziò, in Emilia-Romagna, Antonio Mumolo, presentando una proposta di legge, che venne approvata dal consiglio regionale, poi seguito da regioni di destra e di sinistra, governate dal centrodestra e dal centrosinistra, come Puglia, Abruzzo, Liguria e Marche, e una delibera del Piemonte, regioni che hanno istituito la figura del sociosanitario e dato la possibilità alle persone di iscriversi alle aziende sanitarie locali e, quindi, di ottenere il medico di medicina generale.
Di fronte a questa situazione, il Parlamento decide di intervenire con una legge a livello nazionale che possa garantire a tutte queste persone senza dimora, prive della residenza anagrafica, in Italia o all'estero, e che soggiornano regolarmente nel nostro territorio, il diritto all'assistenza di prossimità su tutto il territorio nazionale. Si tratta, quindi, di colmare un vuoto di tutela perché è in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, che dice che tutti i cittadini sono uguali senza distinzioni davanti alla legge e che lo Stato deve rimuovere ogni ostacolo tra quel cittadino, quella cittadina e il suo diritto, e l'articolo 32 della Costituzione, che regolamenta il diritto alla salute.
Negli ultimi anni, tra l'altro, il fenomeno delle persone senza dimora si è notevolmente ampliato. Non sono semplicemente quelli che a volte raffiguriamo o pensiamo come i senza tetto sotto un ponte, ma sono genitori separati, lavoratori licenziati, imprenditori falliti, pensionati che non riescono ad arrivare a fine mese e finiscono per perdere la propria casa. Questo comporta il rischio di perdere anche il diritto alle cure. Approvare una legge nazionale dunque rappresenta un atto di solidarietà, di giustizia sociale, di vicinanza dello Stato alle persone più deboli, di riduzione delle disuguaglianze e di rafforzamento della sanità pubblica. Il provvedimento in esame è volto esattamente a questo: a far beneficiare di una piena assistenza sanitaria, perché significherebbe, per queste persone, sentirsi di nuovo cittadini, sentire che lo Stato c'è per i deboli, avere una speranza e uno stimolo per uscire dalla strada. La proposta di legge, tra l'altro, è idonea anche per far avere una forte ricaduta anche sul piano della prevenzione sanitaria, perché sono persone che vanno in pronto soccorso quando, magari, la patologia, la malattia sono già di lungo corso o, purtroppo, già troppo avanti. Prevenire le malattie costa meno che curarle. Si stima che un accesso al pronto soccorso costi circa 400 euro a visita, mentre ottenere il medico di medicina generale costa circa 70-80 euro lordi.
L'iter che si è svolto in Commissione, in sede referente, della proposta di legge di cui sono primo firmatario e alla quale è stata abbinata anche la proposta presentata dalla collega, l'onorevole Sportiello, non è stato semplicissimo e ci sono state anche problematiche, perché c'erano questioni legate al carattere finanziario e anche all'individuazione della platea, perché - appunto - sono persone che non sono iscritte all'anagrafe. Le associazioni, gli studi ci dicono che dovrebbero essere 50.000/60.000 le persone senza residenza. In più c'era un rilievo della Commissione bilancio, che la Commissione, in collaborazione con il Governo, con il Sottosegretario Gemmato, ha cercato di sanare: la soluzione si è tradotta in un programma sperimentale di ampia portata, finalizzato a far avere, progressivamente, a tutte le persone senza dimora il diritto all'assistenza sanitaria. Si tratta di un programma che coprirà interamente le 14 città metropolitane, a partire dagli anni 2025 e 2026; programma finanziato con un milione di euro per ciascuno di questi anni.
Nelle grandi città, nelle città metropolitane, vive la stragrande maggioranza dei senza dimora e questo permetterà, quindi, come previsto dalla legge, anche una relazione alle Camere in cui verranno individuati il numero delle persone che si iscriveranno all'Azienda sanitaria locale, il numero e la tipologia delle prestazioni effettuate e l'individuazione del costo in modo tale da arrivare, come Parlamento, a una stabilizzazione totale e a una copertura totale.
In conclusione, vorrei ringraziare anticipatamente - lo rifarò poi se verrà portata a fattor comune e, quindi, votata da tutta l'Assemblea, come auspico - il Governo e la maggioranza, perché abbiamo fatto un lavoro di lunghi mesi, ma anche un lavoro proficuo. È stato un lavoro in cui abbiamo cercato di portare a terra un provvedimento, perché è un provvedimento di civiltà, come è già stato approvato in varie regioni. Chiaramente ci sono differenze, sfumature, probabilmente avremmo anche voluto di più, ma credo che sia un ottimo punto di partenza. Per questo, spero che il consenso trasversale, che si è registrato in Commissione, approvando il testo e gli emendamenti all'unanimità, possa esserci anche in questa Assemblea e spero che l'iter parlamentare si concluda in tempi rapidi, in modo da avere una legge che rappresenterà sicuramente un atto di civiltà e di riduzione delle disuguaglianze. A valle anche di elezioni, come in questi giorni, ove c'è un alto astensionismo, io credo che la risposta migliore della politica di destra, di sinistra e di un Parlamento sia esattamente questa: legiferare affinché un Paese ottenga centimetri di diritti in più per le persone che lo abitano e lo vivono.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.
MARCELLO GEMMATO,. Grazie, Presidente. Confermo e voglio rappresentare il sentimento unitario che si è determinato in Commissione, un rispetto alla problematica posta dall'onorevole Furfaro, ma, devo riconoscere, da tutti i gruppi parlamentari, rispetto all'assistenza sanitaria dei senza fissa dimora.
Il provvedimento ha avuto una gestazione lunga non per ostruzionismo fra le parti ma per una difficoltà - che peraltro il collega ha ben rappresentato - rispetto a due criticità fondamentali: una è l'identificazione della platea degli aventi diritto - chiamiamoli così -, quindi dei senza fissa dimora; la seconda è la contabilizzazione economica, quindi del da postare per soddisfare le esigenze di salute di questi nostri concittadini senza fissa dimora. Il tutto partendo da un presupposto, che a me piace sempre ricordare, vale a dire lo straordinario carattere universalistico della nostra assistenza sanitaria. In Italia, comunque, al netto dell'iscrizione all'anagrafe o meno, se si è bianchi, gialli, rossi o arancioni, se si è di destra, di sinistra, di centro (banalizzo, evidentemente), ogni cittadino italiano ha diritto alle cure, va in pronto soccorso, viene fatto un e viene sostanzialmente curato al meglio.
Il tema qual era? Il tema era ed è quello di poter dare un accesso a un medico di medicina generale, che possa seguire il percorso del malato e del senza fissa dimora, che non dobbiamo sempre e solo immaginare come un , ma anche, banalamente, come un nostro concittadino che, separatosi dalla moglie, va a vivere a casa di un amico (che magari gli fa la cortesia di ospitarlo) e che non può prendere il domicilio in quella casa. Questo determina un problema e di questo problema se ne fa carico il nostro Governo, pensando - ripeto - che quel cittadino sarebbe stato in ogni caso curato. Oggi, dando un accesso al medico di medicina generale, ci facciamo carico delle istanze di salute di quella persona e lo curiamo meglio, da un lato, evitando che la persona arrivi direttamente al pronto soccorso quando il quadro sintomatologico è compromesso e la persona evidentemente ha acutizzato la malattia (e questo è quello che siamo chiamati a fare, cioè curare bene gli italiani), dall'altro lato, fattualmente, facciamo risparmiare le casse dello Stato nella misura in cui la persona non conclama quei sintomi, non costa alle casse dello Stato e, quindi, viene curata opportunamente, seguendo un percorso che è quello che tutti quanti noi seguiamo, cioè lo straordinario filtro dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, che sono poi la porta d'ingresso di una sanità territoriale che si fa carico dei pazienti nel momento in cui hanno iniziato ad avere dei problemi che si vanno a cronicizzare o, comunque, ad acutizzare. Questo è ciò che noi vogliamo fare con questo provvedimento, che ha l' della Commissione e avrà - mi auguro, spero, ma penso sarà così nei fatti - il consenso di quest'Aula. Apre a quella che a me piace ricordare come una positività: quando si parla di salute dei cittadini, non bisogna mai dividersi fra destra e sinistra e, quindi, avere un approccio ideologico sulla stessa, ma cercare di curare il cittadino nell'interesse comune. È questo quello che stiamo cercando di fare. Peraltro, alcune regioni avevano già legiferato in tal senso. Partiamo con un progetto pilota, proprio a causa di quelle due difficoltà intrinseche che ricordavamo: la prima è la mancata definizione puntuale della platea; la seconda è il fatto che non si percepisca il costo. Probabilmente questa misura farà risparmiare le casse dello Stato, però, puntualmente in collaborazione tra le forze di maggioranza e di opposizione, il MEF e il Governo, con l'avallo e anche, - lo devo riconoscere - con la tenacia del collega Furfaro -, l'abbiamo immaginata in questa maniera, proprio per dare un primo innesco. Quindi, una misura che avrà un orizzonte temporale limitato, di carattere sperimentale, per poi metterla a sistema - immagino e spero - nei cinque anni di questo Governo, anzi, avendone già fatto un anno e mezzo, nei prossimi tre anni e mezzo contiamo di portare a termine anche questa misura.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Ciani. Ne ha facoltà.
PAOLO CIANI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, oggi iniziamo la discussione del progetto di legge in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora, proposto dal collega Marco Furfaro e sottoscritto anche da me e da altri colleghi.
È una proposta seria e importante che rappresenta una sfida complessa e urgente allo stesso tempo. Com'è facilmente intuibile la mancanza di una residenza stabile comporta, infatti, gravi difficoltà per le persone nell'accedere ai servizi sanitari, con conseguenze negative sia per la loro salute che per il sistema sanitario nel suo complesso.
È per tale motivo che la legge intende affrontare con coraggio e determinazione queste criticità, proponendo un quadro che garantisca l'accesso equo e continuativo ai servizi sanitari per le persone senza dimora. L'accesso ai servizi sanitari, infatti, è un diritto fondamentale, previsto dall'articolo 32 della Costituzione. Tuttavia, per le persone senza dimora questo è un diritto spesso difficile, se non impossibile, da esercitare.
Uno degli elementi più evidenti della condizione di emarginazione sociale delle persone senza dimora è il fatto che esse non abbiano il requisito della residenza anagrafica - ma su questo tornerò successivamente -, l'assenza del quale rappresenta un ostacolo per accedere a tanti servizi fondamentali, tra cui il Servizio sanitario nazionale. La mancanza di una residenza stabile rappresenta, dunque, una barriera significativa che impedisce a queste persone di accedere alle cure mediche necessarie, se non in pronto soccorso, e soprattutto alle cure di cui hanno diritto.
È necessario e importante colmare questo garantendo che ogni individuo, senza alcuna discriminazione di sorta e indipendentemente dalla sua condizione abitativa, possa usufruire di un'assistenza sanitaria adeguata e dignitosa.
Queste persone - perché è opportuno ricordarci sempre che parliamo di persone - vivono in condizioni estremamente precarie, spesso aggravate da gravi problemi di salute fisica e mentale che sono causa o conseguenza della condizione in cui si trovano.
Ma, al di là del romanticismo con cui spesso si descrivono le persone senza dimora, molto sovente parliamo di persone che hanno avuto un incidente nella vita: padri separati, lavoratori licenziati, imprenditori falliti, percettori di pensioni minime e la platea, soprattutto dopo la pandemia, è andata, purtroppo, via via crescendo. Queste persone non vivono solo la tragedia di non avere un tetto o un letto proprio sul quale dormire: una volta in strada, in macchina, sotto un ponte o da amici, rischiano di perdere i propri diritti e, tra questi, il diritto alle cure. Infatti, una volta che una persona finisce in strada, a seguito di accertamenti può perdere la residenza e viene cancellata dall'anagrafe del comune, diventando spesso per i servizi invisibile.
Senza un intervento mirato - e questa legge vuole andare in questa direzione - le loro condizioni possono solo peggiorare, andando ad alimentare un circolo vizioso di marginalizzazione e solitudine difficile da recuperare.
È pertanto indispensabile creare un sistema che risponda in modo efficace e umano a queste necessità, perché - ricordiamocelo - rimane “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, e questo non lo dico io ma lo enuncia l'articolo 3 della Costituzione.
In Italia, secondo l'ultimo rapporto dell'Istat, ci sono circa 96.000 persone senza dimora, di cui il 62 per cento di nazionalità italiana. Questo numero, già di per sé impressionante, potrebbe essere sottostimato a causa delle difficoltà intrinseche nel censire una popolazione mobile e spesso nascosta. In questo senso, è molto interessante quello che sta facendo in questi mesi il comune di Roma che, insieme all'Istat e ad alcune realtà pubbliche che si occupano di statistica e di censimenti, sta effettuando, nel tempo e su tutta la superficie del comune di Roma, un censimento delle persone senza dimora. Infatti, per dare i giusti servizi e le giuste risposte bisogna conoscere.
Permettetemi, Presidente, di fare qui un inciso sul tema della residenza e del diritto alla residenza, perché purtroppo - e qui lo dico sorridendo perché non è colpa del Governo che ci governa oggi, essendo un tema che va avanti da molti anni - il tema del diritto alla residenza è, a mio avviso, uno degli esempi di come ci sia stata nel nostro Paese una contrazione nella concessione dei diritti. Infatti, il diritto alla residenza porta con sé una serie di diritti principali e fondamentali, e lo dico oggi che siamo all'indomani di una tornata elettorale. Uno dei diritti che dà la residenza, per esempio, è il diritto di voto, oltre che quello di curarsi e alla salute. E spesso, purtroppo, tanti nostri concittadini perdono il diritto alla residenza perché negli anni e nel tempo quello che è un diritto fondamentale è diventato, per la nostra cultura e anche per la cultura giuridica, non un diritto ma una concessione. Su questo invito tutti a riflettere. Abbiamo riflettuto molto anche con l'onorevole Furfaro nell'estendere questa legge, perché è evidente che, se noi avessimo risolto per tempo il tema della residenza anagrafica, non ci sarebbe stato bisogno di una legge di questo tipo, dal momento che chi è residente può avere accesso al medico di base. Il fatto che oggi tanti nostri concittadini non siano residenti anagraficamente è frutto del fatto che quello che è un diritto è diventato una concessione, ma questo è uno stravolgimento del diritto. Infatti, basti pensare che per l'ordinamento italiano la residenza non si chiede ma si dichiara.
Quindi, per esempio, agli inizi della Repubblica e nel secolo scorso tutti i comuni avevano quella che si chiamava “via della casa comunale”, cioè un indirizzo presso cui le persone povere, senza dimora, che in quel momento non avevano una casa, potevano dichiarare la loro residenza. Nel tempo questo è cambiato e si è arretrati sulla concessione di un diritto fondamentale. Alcuni comuni hanno trovato una soluzione alternativa: anche qui mi piace parlare della capitale d'Italia, perché è la città con il più grande numero di abitanti e, di conseguenza, anche di senza dimora e già da tanti anni ha inventato una residenza virtuale, peraltro intitolandola a una donna senza dimora, Modesta Valenti, morta alla stazione Termini perché si era sentita male e l'ambulanza quando arrivò, trovandola sporca, non la soccorse in tempo.
Dunque, quanto c'entra ciò anche con la legge che oggi andiamo ad affrontare e quanto è bello e importante ricordare la figura di Modesta Valenti e, con lei, quella di tante donne e di tanti uomini che in questi anni hanno perso la vita in strada, anche perché non hanno avuto il diritto alla residenza e il diritto alla salute.
Quindi, occorre creare una residenza virtuale e non fittizia. Prego sempre tutti i colleghi e gli addetti ai lavori di cogliere la differenza, perché il termine “fittizio” pone il tema di un imbroglio. In realtà, è una residenza virtuale che i comuni concedono a coloro che, in un determinato momento, si trovano nell'impossibilità di avere una dimora e un'abitazione ma devono avere, invece, tutti i diritti che derivano dalla residenza.
Purtroppo, però, non tutti i comuni italiani hanno attivato questa formula e l'idea della residenza virtuale e, quindi, noi ci troviamo ancora oggi con tanti nostri concittadini senza residenza. Per questo, per permettere loro di usufruire di tutti i diritti che gli spettano, questa norma è importante.
Torno alla norma. Come dicevo, i dati rivelano che la maggior parte dei senza dimora nel nostro Paese sono uomini, ma il numero delle donne e dei minori senza casa purtroppo è in aumento.
Un segnale allarmante, che non può più rimanere solo un dato su cui dibattere, ma un punto di inizio di politiche nuove, sociali e sanitarie, concrete. E su questo vorrei dire qualcosa anche ai medici che noi, oggi, interpelliamo con questa norma; so che qualcuno si sta interrogando per capire come poi ci sarà una ricaduta sui medici di medicina generale. È evidente che questa norma va a coprire un diritto principale, ma poi dovremo sostenere e anche accompagnare i medici di medicina generale, che probabilmente si troveranno ad affrontare la realtà di persone la cui vita in strada ha reso loro anche una vita difficile, e quindi accompagnarli, anche attraverso uno scambio con i servizi sociali, i servizi territoriali e l'associazionismo, citato anche dal collega Furfaro. Dovremo creare una rete intorno ai medici di medicina generale, per aiutarli in questo nuovo e importante compito che questa norma gli attribuisce.
Troppo spesso le persone che si trovano a vivere in una situazione di estrema vulnerabilità, come le persone che vivono in strada, sono particolarmente esposte, dal punto di vista sanitario. Pensiamo solo alle condizioni climatiche avverse, pensiamo alle violenze, agli abusi, alla malnutrizione e all'impossibilità spesso anche di curarsi o di fare piccoli interventi. In questo senso, vorrei sottolineare - la Presidente capirà la passione con cui seguo, da tanti anni, queste vicende - che ci sono esperienze molto virtuose in alcune nostre città. Penso ad alcuni ospedali che hanno dedicato padiglioni dismessi all'ospitalità di pazienti senza dimora in dimissione, perché noi sappiamo bene - il Sottosegretario lo sa, perché è una persona di sanità, quindi conosce bene il problema - che spesso, quando un senza dimora è ospitato in una struttura ospedaliera, al momento della dimissione, non avendo una casa in cui poter tornare, c'è un tema di come potrà affrontare quei primi giorni di dimissione. Alcune città - anche qui, permettetemi, sono un della mia città, però è importante che la capitale d'Italia dia risposte - stanno creando strutture, in accordo con le strutture ospedaliere, di riconversione di alcuni padiglioni dismessi degli ospedali proprio per ospitare le persone in dimissione. Lo ha fatto il Policlinico Gemelli, lo ha fatto l'Ospedale San Giovanni, lo stanno per fare nuove strutture ospedaliere. Ed è una cosa molto intelligente, perché altrimenti, oltre a mettere a rischio la vita dei pazienti senza dimora che escono dagli ospedali, c'è il tema anche di non farli tornare rapidamente al pronto soccorso.
Sono una serie di misure che partono dalla realtà della fragilità delle persone e per questo sono particolarmente importanti. Tutti noi abbiamo sentito, in questi anni, purtroppo, e ci siamo scandalizzati, siamo dispiaciuti nel leggere sui giornali di persone senza dimora che muoiono per il freddo o per il troppo caldo, ma credo e penso che questa sia un'occasione che, come Parlamento, e quindi come Paese tutto, dobbiamo sfruttare. Dobbiamo recuperare un po' il tema dell'empatia con gli altri, cioè, in questo tempo, mi sembra che, purtroppo, ci siamo troppo abituati - dico come Paese, come società - alla sofferenza degli altri. È come se quello che accade a chi è accanto a noi, se non ci tocca personalmente, ci preoccupa e ci scandalizza meno che in passato; direi una sorta di normalizzazione del disagio, del dolore, talvolta anche della morte, che troppe persone patiscono. Basta pensare a quello che sta accadendo anche con la maggiore fonte di distruzione e morte, che è la guerra, quello che è il più grande dei mali. Purtroppo, l'accrescersi di notizie è come se creasse assuefazione, e si rimane assuefatti di fronte al dolore degli altri, tanto che qualcuno tende a normalizzare anche il demone della guerra. Ma non c'è niente di più grave, a mio avviso, del cadere in questa trappola.
Credo che solo riconoscendoci nell'altro, e anche nell'altro, nella sua sofferenza, possiamo riuscire a mettere in campo azioni e politiche che siano di sostegno, non solo perché un giorno quella persona potremmo essere noi - mi ha sempre colpito di come succede che in strada si incontrino anche compagni delle medie, delle elementari, del liceo, perché la vita talvolta prende pieghe inattese, inaspettate -, quindi, non solo perché potremmo essere noi o qualcuno che conosciamo, ma perché, evidentemente, è dovere della politica, e quindi innanzitutto nostro, essere accanto a tutti, soprattutto a coloro che non hanno gli strumenti per poterlo fare da soli. In questo senso, ancora di più quando parliamo di sanità, cioè di presa in carico, di cura, di assistenza. Proviamo a pensare se noi o qualcuno dei nostri cari non potessimo consultare in termini rapidi, veloci, un medico quando siamo in difficoltà, quando abbiamo una malattia, quando abbiamo un dolore, quando c'è qualcosa che non va, anche solo per capire cosa ci sta accadendo. Quante volte succede a ognuno di noi. Dobbiamo provare a trasferire ciò anche sulla vita di tante persone che vivono una realtà diversa dalla nostra.
Peraltro, questo è un tema che le istituzioni locali e gli amministratori locali - e tanti tra noi lo sono stati - conoscono bene, essendo le istituzioni di prossimità che ogni giorno hanno a che fare con la marginalità sociale, e quindi con le persone che vivono la marginalità e le conseguenze che impattano sulle comunità. Per questo, anche sotto la spinta di associazioni, le citava prima il collega Marco Furfaro, cattoliche, laiche, di volontariato, che da anni operano sul tema e chiedono di migliorare questa realtà, per trovare soluzioni a questa, che in alcuni casi è una vera e propria ingiustizia, già alcune regioni, come Puglia, Emilia-Romagna e Abruzzo, hanno approvato leggi per assicurare ai senza dimora il medico di base. Si tratta di leggi approvate in modo trasversale dalle forze politiche di maggioranza e di opposizione, lo diceva il Sottosegretario. Anche qui, in Commissione, tra noi, abbiamo provato e siamo riusciti a fare un percorso comune proprio partendo dalla realtà del bisogno delle persone. Sono misure che assicurano il diritto all'assistenza sanitaria territoriale alle persone senza dimora attraverso l'assegnazione di un medico. È evidente che una norma nazionale avrà rango maggiore e più efficace rispetto a tante singole norme regionali.
Approvare questa legge, quindi, oltre che rappresentare un atto di solidarietà, di giustizia sociale, di vicinanza dello Stato alle persone più deboli, di riduzione delle disuguaglianze, produrrebbe anche un risparmio per le finanze pubbliche, perché prevenire le malattie, evidentemente, costa meno che curarle. E poi perché sappiamo bene che - e ringrazio sempre il nostro Paese e l'universalità delle cure permesse dalle norme del nostro Paese - è evidente che un accesso improprio al pronto soccorso, perché è l'unica porta che si può aprire a chi vive in strada, costa molto di più di una vicinanza di un medico di medicina generale. Attualmente, infatti, le persone senza dimora possono accedere, chiaramente solo in momenti critici, ai servizi di pronto soccorso, creando quello che spesso è un aggravio e un intasamento degli stessi e con un costo evidentemente aumentato per ogni singolo intervento. Qui non mi metto a dire cifre davanti a esperti, però è evidente quanto questo costo possa aumentare.
Quindi, noi dobbiamo, da una parte, sanare un'ingiustizia, il che è importantissimo, e, dall'altra parte, in un ambito, come quello sanitario, in cui il tema delle risorse economiche è particolarmente importante, prevenire anche un dispendioso utilizzo dei fondi attraverso costi vivi.
Nel merito, vorrei sottolineare anche che trovo molto condivisibile l'impegno della legge a coinvolgere il Governo ed i Ministri competenti nella stesura di linee guida per l'attuazione di programmi di monitoraggio, prevenzione e cura delle persone senza dimora, in concorso con le ASL e le associazioni di volontariato.
Ciò affinché vi sia l'idea di un'azione condivisa - e non - di una progettazione che veda nello Stato il garante e nelle sue articolazioni gli strumenti per mettere in piedi questo progetto. Sappiamo bene come la cooperazione e la collaborazione fattiva tra Stato, enti locali, enti del Terzo settore, volontariato, soprattutto su questi temi della vicinanza alle persone fragili e alle persone marginali, siano particolarmente importanti. Ho visto in tante situazioni come una collaborazione dall'alto al basso - se intendiamo lo Stato come “alto” e le associazioni come “basso”, ma dipende sempre dalla direzione in cui vediamo le cose - sia particolarmente importante e produttiva.
Quel che è certo è che garantire l'accesso ai servizi sanitari per le persone senza dimora non è, dunque, solo una questione di diritto fondamentale, ma un imperativo morale che riflette i valori di dignità e di rispetto per ogni essere umano. Con un impegno che spero possa essere condiviso da tutti e una visione lungimirante, possiamo affrontare questa sfida come Paese, perché - lo dico e lo ripeto in questo momento - una società a misura di fragili è una società migliore per tutti .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pulciani. Ne ha facoltà.
PAOLO PULCIANI(FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, in Italia, l'Istat ha stimato che le persone senza dimora sono 50.724 e sono concentrate in particolar modo nelle grandi città: sono coloro che, sostanzialmente, anche in un gergo televisivo, vengono chiamati gli “invisibili”. Per senza fissa dimora si intendono quelle persone che vivono in povertà estrema ovvero in una condizione di disagio profondo legato, prima di tutto, alla mancanza di una casa come luogo intimo e di rifugio e all'intreccio di povertà di beni materiali, ma anche di fragilità personali. Solo due terzi dei senza fissa dimora dichiara di essere iscritto all'anagrafe e di avere una residenza in un comune italiano.
L'ordinamento giuridico prevede a tale riguardo - è stato ricordato anche in quest'Aula poco fa - una norma specifica per la residenza anagrafica delle persone senza fissa dimora, norma che è contenuta nell'articolo 2, comma 3, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, nota come legge anagrafica. Essa stabilisce che la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune ove ha il domicilio e, in mancanza di questo, nel comune di nascita. L'elezione di domicilio, nell'accezione ampia prevista dalla Cassazione, di fatto, è elemento sufficiente perché una persona senza fissa dimora possa ottenere dal comune nel quale ciò avviene la residenza anagrafica.
Per le persone senza dimora la residenza anagrafica rappresenta - è stato ricordato - un requisito decisivo per alcune possibilità di inclusione, perché ad essa si ricollega la possibilità di usufruire dei servizi sanitari, socioassistenziali, abitativi erogati tanto dagli enti locali, quanto, a volte, dalle associazioni di volontariato. Senza l'iscrizione anagrafica non è possibile avere un medico di base e questo è quello che ci dice il terzo comma dell'articolo 19 della legge n. 833 del 1978, che istituiva il Servizio sanitario nazionale. Questa condizione prevista dalla legge, però, impedisce l'iscrizione nelle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali e, quindi, la scelta del medico di medicina generale, nonché l'accesso alle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza a tante persone senza dimora che non possono dichiarare la propria residenza.
Non parliamo, quindi, solo di un pregiudizio alla salute della singola persona, ma di un pregiudizio anche al diritto alla salute nell'interesse della collettività, come abbiamo visto e percepito bene con il COVID. Infatti, in quel caso, abbiamo capito come il diritto alla salute sia un diritto collettivo, un interesse della collettività affinché tutti possano essere curati. Tale pregiudizio per la collettività si registra anche quando le persone senza fissa dimora e senza residenza, non potendosi rivolgere al medico di base per accedere tramite esso ad una prestazione specialistica, devono andare al pronto soccorso. Ciò comporta un sovraccarico - anche questo aspetto è stato ricordato dal relatore - di queste strutture nonché prestazioni più onerose per lo Stato; basti pensare ad alcuni dati economici per cui un medico di base costa circa 70 euro l'anno per ogni paziente, mentre un solo accesso al pronto soccorso, per una persona che non ha un medico di base, costa, in media, dai 250 ai 400 euro.
Quindi, siamo soddisfatti del lavoro svolto dal Ministro della Salute, insieme a tutte le forze politiche presenti nella XII Commissione, per far approdare in Aula il provvedimento di cui oggi discutiamo e che prevede un programma sperimentale per assicurare, a partire dalle città metropolitane, il diritto all'assistenza sanitaria alle persone senza fissa dimora che soggiornano regolarmente nel territorio italiano. Tale programma sarà finanziato da un fondo, con la dotazione di un milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, da istituirsi nello stato di previsione del Ministero della Salute. Si tratta indubbiamente di un passo avanti per assicurare uguaglianza ed equità nell'accesso alle cure anche a persone che, non avendo una casa e, quindi, una residenza, non hanno avuto sinora diritto a un'assistenza nell'accezione che abbiamo poc'anzi riferito, dovendo essere garantito a tutti il diritto alla salute.
Non dimentichiamo come l'Italia e l'Europa si trovino oggi ad affrontare sfide importanti nel continuare a fornire servizi sanitari di alta qualità ai suoi cittadini.
L'invecchiamento della popolazione, i cambiamenti culturali, i modelli di finanziamento rigidi e complessi, i costi crescenti dell'innovazione e molti altri fattori minacciano la sostenibilità e l'accessibilità economica ai servizi sanitari e incidono certamente in modo negativo sulla salute dei cittadini.
Ciò che è emerso prepotentemente dalla pandemia, , è che la salute è il fondamento su cui si costruiscono economie resilienti e produttive e società giuste.
Nel 2023, il peggioramento delle prospettive economiche ha ulteriormente accentuato la portata della sfida sanitaria e, inoltre, la destabilizzazione climatica, compreso il caldo estremo, l'aumento dell'inquinamento atmosferico e la diffusione delle malattie infettive pongono molteplici minacce alla salute e al benessere dei cittadini europei, aggiungendo ulteriore complessità ai sistemi sanitari già sotto assedio.
Sappiamo che, spesso, queste persone soffrono condizioni meteo e climatiche estreme in modo particolarmente grave. Il momento attuale è fondamentale affinché l'Italia immagini nuovi modelli operativi che gestiscono il sistema sanitario e adotti un modello più resiliente, inclusivo, innovativo, che accentui il benessere dei suoi cittadini.
Tale transizione ci impone di spostare l'attenzione dall'attuale sistema, prevalentemente incentrato sul trattamento della cronicità, ad uno basato sulla promozione proattiva della salute e sulla prevenzione, perché - anche questo è stato detto - la prevenzione costa meno della cura.
È per questo che il nostro ringraziamento va al relatore, all'onorevole Marco Furfaro, al presidente Ugo Cappellacci e a tutta la Commissione affari sociali della Camera dei deputati, ai Ministeri dell'Economia e della Salute, e, in particolar modo, al Sottosegretario Marcello Gemmato, che si è speso con tenacia e determinazione, riuscendo a portare a casa questo apprezzabile risultato che ci accingiamo a votare in Aula.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sportiello. Ne ha facoltà.
GILDA SPORTIELLO(M5S). Grazie, Presidente. L'esame della proposta di legge è iniziato il 3 aprile 2023; ci è voluto oltre un anno per cercare di assicurare un diritto che già dovrebbe essere assicurato: parliamo del diritto alla salute, scolpito nell'articolo 32 della nostra Costituzione. Alla proposta di legge oggi in discussione è stata abbinata la mia proposta di legge, proposta che era stata già depositata nella precedente legislatura a firma dell'allora presidente della XII Commissione Marialucia Lorefice.
Attualmente, chi non risulta iscritto all'anagrafe comunale perde il diritto a ricevere l'assistenza sanitaria, ad eccezione delle prestazioni di emergenza presso i pronto soccorso. Ai sensi dell'articolo 19 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, infatti, la residenza nel territorio dell'azienda sanitaria locale costituisce condizione essenziale per poter usufruire dei relativi servizi, oltre che ai fini della scelta del medico di base. È evidente che tale disposizione si pone in contrasto con il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione e con il principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3, e con i principi ispiratori della medesima legge che istituisce il nostro Servizio sanitario nazionale, pubblico e universale.
Come si evince dal sito dell'Istat, il censimento permanente della popolazione e delle abitazioni 2021 si pone come obiettivo anche la rilevazione delle persone senza fissa dimora, che rappresentano una popolazione di difficile intercettazione nell'ambito della rilevazione censuaria. Al censimento del 2011 erano circa 125.000 le persone rilevate in altro tipo di alloggio e si ipotizza pure che, nell'arco di dieci anni, questa parte della popolazione sia aumentata anche come conseguenza della crisi economica.
Il provvedimento che quest'Aula si accinge a esaminare ha, dunque, la finalità di risolvere - una volta per tutte, si spera - il paradosso del nostro Servizio sanitario nazionale a carattere universalistico che, pur rivolto a tutti i cittadini e le cittadine, di fatto lega la possibilità di curarsi a logiche e procedure burocratiche escludenti. Diverse regioni e diversi comuni si sono attivati singolarmente nei propri territori, ma ciò non appare né sufficiente, né civile, nella misura in cui si crea l'odioso e ulteriore discrimine tra i senza fissa dimora a seconda della regione o del territorio comunale di appartenenza.
Questa proposta di legge è, invece, un atto di civiltà e deve esserlo: infatti il provvedimento all'esame vorrebbe garantire l'assistenza sanitaria a chi, per svariate ragioni, si trova ad essere privo di residenza e - contrariamente a quanto il titolo, la locuzione “senza dimora” farebbe supporre - coinvolge una platea di soggetti rilevante. Rientrano infatti nella categoria dei “senza dimora” o almeno devono rientrarvi per gli intenti dichiarati nel provvedimento all'esame coloro che, per qualsiasi motivo, (prevalentemente per ragioni economiche e lavorative) non sono intestatari di un affitto e dunque di una residenza. Queste persone dormono spesso a casa di amici, in dormitori, in stanze che non permettono di registrare la residenza. Alcuni di loro dormono in strada: parliamo anche di padri o madri separate, di genitori, di persone che hanno perso il lavoro, di persone adulte difficilmente ricollocabili nel mondo del lavoro, di persone anziane o con pensioni minime; si tratta anche di persone che non hanno alcun sostegno reddituale e a cui questo Governo ha tolto anche il reddito di cittadinanza e che non possono permettersi affitti e case autonome.
Non avere un'abitazione comporta quindi la cancellazione della residenza anagrafica e l'assenza di una residenza anagrafica non consente, a sua volta, di ricevere l'assistenza sanitaria di base e la possibilità di scegliere il cosiddetto medico di famiglia. Siamo, quindi, di fronte a un'evidente violazione dell'articolo 32 della Costituzione, che stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Lo Stato ha l'obbligo di garantire, attraverso i suoi strumenti, condizioni di parità e uguaglianza fra tutti i cittadini e le cittadine per il benessere psicofisico di tutta la collettività. Anche la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale ha il medesimo principio ispiratore dell'articolo 32: prevede, infatti, che la Repubblica tuteli la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante, appunto, il Servizio sanitario nazionale.
Allo stato attuale, le persone senza fissa dimora e senza residenza possono, invece, accedere ai soli servizi di pronto soccorso, anche per prestazioni non emergenziali, pronto soccorso che ricordo essere già al collasso. Come MoVimento 5 Stelle, abbiamo sempre seguito questo tema: ricordavo prima che già nella scorsa legislatura abbiamo affrontato, con una nostra proposta di legge, il medesimo argomento. Nel corso dell'esame in sede referente, per ragioni però meramente economiche, è stato modificato in via sostanziale il testo che oggi dovremmo approvare in quest'Aula. La proposta all'esame si compone ora di 3 articoli - anziché 5, come era previsto inizialmente - e si limita ad assicurare progressivamente il diritto all'assistenza sanitaria alle persone senza dimora prive della residenza anagrafica nel territorio nazionale o all'estero, che soggiornano regolarmente nel territorio italiano. A tal fine si istituisce un Fondo, con una dotazione di un milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, per il finanziamento di un programma sperimentale, per consentire a queste persone l'iscrizione nelle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali, la scelta del medico di medicina generale, nonché l'accesso alle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza. Il Fondo viene, però, ripartito solo tra le città metropolitane, sulla base della popolazione residente. L'articolo, come modificato in sede referente, ha innegabilmente depotenziato l'intento originario della proposta di legge mia e di quella del collega Furfaro, che era quello di assicurare il diritto universale alla salute e all'assistenza sanitaria e di riconoscere, a tutte le persone senza residenza in Italia o all'estero e prive di qualsiasi assistenza sanitaria, il diritto a iscriversi alle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali, proprio per accedere alle prestazioni garantite dal Servizio sanitario nazionale e alla possibilità di effettuare la scelta del medico di medicina generale, quindi del medico di famiglia.
Sperimentare, assicurare progressivamente il diritto alla salute e circoscrivere il diritto all'assistenza sanitaria solo a chi vive in alcuni territori rischia di rendere la norma in esame in contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Le risorse, peraltro esigue, sono infatti distribuite solo alle città metropolitane, nel probabile convincimento che i senza dimora si trovino soprattutto nelle grandi città, dimenticando però che esistono persone in difficoltà economica senza residenza ovunque e che non possono essere invisibili.
La disposizione, oltre a non tener conto di un'ampia platea di persone, rischia quindi anche di essere incostituzionale, perché codifica una differenza e disuguaglianza sostanziale nell'accesso alle cure.
Il percorso normativo che noi riteniamo corretto - così come era previsto anche nel testo da me proposto - disponeva che le persone senza dimora prive della residenza anagrafica nel territorio nazionale e all'estero abbiano diritto di iscriversi negli elenchi relativi al territorio regionale in cui si trovano: questa era la strada da percorrere e che questo Governo ha sbarrato, con la motivazione delle risorse economiche; questa disposizione non solo andava mantenuta, ma avrebbe dovuto assumere un carattere dispositivo più incisivo, come avevamo previsto nella nostra proposta di legge, che disponeva l'iscrizione negli elenchi del luogo per coloro che volontariamente avessero eletto un domicilio o una residenza virtuale oppure, in assenza di elezione del domicilio o di residenza virtuale, del luogo in cui ha sede il servizio sociale che effettua la segnalazione. Le risorse economiche, quantificate solo in un milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, diventano circa 100.000 euro per città. Eppure, con la mia proposta di legge, avevo addirittura previsto l'invarianza finanziaria, nel convincimento che ciascuna regione e provincia autonoma avrebbe provveduto agli oneri derivanti nell'ambito delle risorse già oggi destinate al finanziamento corrente per l'erogazione dei livelli di assistenza, livelli che avrebbero già dovuto includere l'assistenza sanitaria di tutte le persone presenti nel territorio nazionale di un Paese che vanta un Servizio sanitario nazionale universale.
Auspico che, nel corso dell'esame del provvedimento, ci possa essere lo spazio per migliorare il testo - presenteremo emendamenti in tal senso - e per non dimenticare nessuno. Il diritto alla salute è un diritto fondamentale, vi prego di ripensarci – noi, ovviamente, parteciperemo in maniera costruttiva, come sempre, come abbiamo fatto in Commissione - e di assicurare il godimento di questo diritto fondamentale a tutti e a tutte .
PRESIDENTE. Grazie, onorevole. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Ilaria Fontana ed altri n. 1-00276 concernente iniziative in merito al Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC), con particolare riferimento al relativo aggiornamento in coerenza con gli obiettivi di decarbonizzazione .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritta a parlare la deputata Ilaria Fontana, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00276. Ne ha facoltà.
ILARIA FONTANA(M5S). Grazie, Presidente. I 195 paesi che hanno aderito all'Accordo di Parigi nel 2015 si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni e a perseguire ogni sforzo per limitare l'aumento di temperatura di un grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Sono proprio questi gli obiettivi che poi ci siamo dati anche a livello europeo: nel 2030, l'abbassamento delle emissioni climalteranti del 55 per cento e fino al 2050 la neutralità climatica, quindi emissioni zero. L'obiettivo comune è declinato a livello nazionale proprio dai piani ed è per questo che nasce il Piano nazionale di energia e clima, il cosiddetto, abbreviato, PNIEC, e oggi è proprio di questo che stiamo parlando.
Perché è importante discuterlo entro il 30 giugno? Perché a fine mese, quindi il 30 giugno, è la data entro la quale l'Italia deve mandare l'aggiornamento del Piano in Europa. Quindi è importante il coinvolgimento parlamentare su una materia così tecnica, eppure così fondamentale anche e soprattutto per il nostro Paese. La rilevanza strategica del Piano va ben oltre il mero adempimento burocratico, ossia il raggiungimento dei soli obiettivi clima ed energia al 2030, ma rappresenta la visione di sviluppo del Paese per i prossimi decenni. Rispetto alla versione del 2019, abbiamo un panorama totalmente diverso: c'è stata una pandemia, seguita purtroppo da una pandemia energetica, gli impatti sempre più rilevanti e più evidenti della crisi climatica. Lo vediamo quotidianamente e dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti.
È ormai evidente che la tutela del nostro sistema produttivo passa proprio per la capacità di intercettare gli investimenti sulle tecnologie con maggiori potenziali di crescita, di produzione, di nuova occupazione, di riduzione delle emissioni. Praticamente qui stiamo parlando di tutte le tecnologie che portano a questo processo di transizione ecologica che - mi piace ricordare - è un percorso che ci porta da un punto a un altro, nel livello del tempo, in cui però determinate azioni vanno fatte.
Noi riteniamo che le azioni e la narrazione della maggioranza del Governo sono controproducenti purtroppo per il nostro settore produttivo fortemente vocato all'innovazione. Frenare oggi la transizione ecologica non solo non ci farà raggiungere gli obiettivi climatici, appunto quello che dicevo all'inizio, quindi l'abbassamento delle emissioni climalteranti fino poi al raggiungimento della neutralità climatica, ma farà anche perdere competitività nei mercati globali, a scapito delle nostre stesse imprese e delle nostre lavoratrici e dei nostri lavoratori.
Noi oggi abbiamo bisogno, abbiamo la necessità io direi, di una strategia che sia capace di tenere insieme la dimensione economica, la dimensione ambientale, la dimensione sociale, alla luce anche delle recenti evoluzioni dello scenario globale. Una nuova visione non può certo rimanere ancorata ai modelli del passato. Il dispiegamento di risorse annunciato di recente dallo stesso Esecutivo comunitario è volto a finanziare i processi produttivi a ridotto impatto ambientale e le imprese della cosiddetta industria . Questa visione e questa strategia offrono la misura di quanto il binomio energia e clima sia entrato nel linguaggio e negli obiettivi comunitari. Quindi, dovrebbero essere anche obiettivi che portiamo avanti come Paese e che ci portano a processi che vedono l'abbassamento delle emissioni climalteranti. Che cosa vuol dire? Sono processi a basso impatto di emissioni di carbonio. Dobbiamo ricordare che in questo processo di transizione ecologica, che è un processo delicato, complesso ma non per questo irraggiungibile, nessuno deve rimanere indietro perché la comunità stessa è parte del processo di transizione ecologica. Quindi, come dicevo prima, dobbiamo accompagnare i cittadini e le cittadine, le comunità locali, le imprese, i lavoratori, tutto il sistema produttivo verso una vera transizione ecologica perché, finché si parlerà di profitto non legato agli obiettivi che abbiamo, abbiamo perso tutti. Perché poi non si ha una contrapposizione tra idee progressiste, idee di destra, o chiamatele come volete, purtroppo è un fallimento del nostro intero Paese, in una visione però globale. Poiché quegli obiettivi, di cui prima, ci aiutano ad affrontare il pianeta che verrà, anche per le future generazioni. Ricordiamo l'articolo 9 perché lo abbiamo votato fortemente tutti in quest'Aula e nelle aule del Senato. Adesso fa parte della nostra Costituzione e, quindi, della nostra identità nazionale.
Nel nuovo piano le componenti energia e clima dovrebbero essere il più possibile sviluppate in parallelo. Le sfide poste dal raggiungimento degli obiettivi, fissati con la legge europea sul clima, con il pacchetto oppure con REPowerEu, richiedono una serie di politiche interdisciplinari proprio per la complessità di cui stiamo parlando, sia sicuramente da un punto di vista ambientale sia da un punto di vista economico, che siano capaci di garantire una ripresa robusta e duratura, in linea con una crescita economica che tenga in debita considerazione gli impatti sociali. Perché ci sono, ci sono stati e ci saranno questi impatti sociali che andranno a diventare anche impatti occupazionali e ovviamente impatti industriali.
Per trasparenza bisogna intendere che il PNIEC, il Piano nazionale integrato energia e clima, non può essere scritto a porte chiuse in stanze dove solo pochi soggetti influenti hanno il potere di entrare. Il Piano dobbiamo considerarlo di tutti e di tutte perché riguarda tutti i cittadini e le cittadine. Quindi, è lì che scatta la differenza nella collettività e nella partecipazione che dobbiamo dare alla scrittura di questo Piano. Perché in una democrazia, in una democrazia matura quale quella italiana, è bene che le scelte che saranno prese in ogni caso siano motivate pubblicamente, attraverso il processo democratico e il dibattito in Parlamento. É per questo che noi come MoVimento 5 Stelle abbiamo fortemente voluto la calendarizzazione di questa mozione e di questo tema in questo momento storico dell'Europa, e non faccio ovviamente riferimento alle elezioni ma al momento storico per il clima e per l'ambiente. Noi abbiamo un orologio enorme - penso che il Sottosegretario ci passi tutti i giorni - al Ministero della Transizione che è l'orologio climatico. In quell'orologio climatico - l'unico orologio le cui lancette anziché andare avanti vanno indietro - le lancette ci raccontano, ci dicono, ci descrivono quanto poco tempo abbiamo per cambiare rotta, però c'è ancora la possibilità. Il Piano è un modo proprio per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di energia e clima per le future generazioni.
Un piano che deve essere di tutti e di tutte, quindi la partecipazione deve essere centrale nella scrittura e nell'aggiornamento del Piano stesso. La partecipazione vuol dire anche rappresentare tutti gli interessi in gioco, attraverso una visione più ampia. Più si ha partecipazione, più si vanno ad abbracciare diversi interessi, che vanno ad avere un impatto sociale, economico e ambientale. Però, è necessario porci delle domande perché queste ci aiutano ad avere una visione un po' più complessa e anche più concreta. Qual è il punto di vista delle piccole e medie imprese innovative? Qual è il punto di vista dei lavoratori e delle lavoratrici? Qual è il punto di vista delle nuove generazioni? Ecco la politica ha la necessità di rispondere a queste domande. Non può assecondare gli interessi dei più forti. Non si ha autorevolezza nell'assecondare i più forti rispetto alle fragilità e alle persone più deboli. Ecco, nel nuovo Piano la dimensione sociale deve essere al centro. Lo dicevamo prima, quindi dobbiamo anche accompagnare e supportare le persone in questo percorso perché, lo ripeto, in questo processo e in questo percorso nessuno deve rimanere indietro, perché la transizione o è socialmente desiderabile oppure non lo è. Ma noi dobbiamo fare in modo che, invece, sia veramente di tutti e di tutte e tutti devono essere protagonisti. Avere una giusta transizione, che cosa vuol dire? Significa che nessun lavoratore e nessuna lavoratrice deve essere lasciato indietro in questo cambio di paradigma necessario e urgente perché si deve avere il senso di urgenza quando si scrive un aggiornamento del Piano, anche per approcciarci in una maniera pragmatica e concreta senza alcuna ideologia ma con spirito di squadra, perché l'ambiente è di tutti e non possiamo avere la presunzione che sia di un gruppo politico. Si dice spesso che è una transizione ideologica, ma di ideologico qui c'è ben poco.
La transizione deve rappresentare un'opportunità di sviluppo anche e soprattutto per le future generazioni, perché stiamo facendo questo percorso esattamente per loro. Quindi, comprendere a fondo questa prospettiva può consentire di sviluppare un documento strategico e ampio, rappresentativo delle molteplici realtà del Paese, delle sue sfaccettature e peculiarità. Per questo motivo - lo ripeto - abbiamo deciso di depositare questa mozione che presenta 12 punti. Questi punti possono incidere nel breve, medio e lungo periodo, perché siamo una forza concreta, pragmatica e non tutto può essere fatto subito, però nell'immediato possono essere assunti alcuni impegni, nel medio periodo altri, nel lungo periodo altri ancora. Questo è il nostro contributo che, come sempre, presentiamo in maniera propositiva e soprattutto collaborativa.
Il tema della deve identificare e deve essere identificato con lo strumento della delibera CIPESS proprio per l'approvazione del PNIEC. Inoltre, vengono identificate le strutture più adatte alla sua attuazione e al continuo coordinamento tra amministrazioni centrali, locali, quindi, tra tutti i soggetti coinvolti nell'attuazione, nel concetto di partecipazione che dicevamo prima.
Viene poi espressa la necessità di definire meglio il funzionamento del meccanismo di monitoraggio e valutazione delle politiche per la decarbonizzazione, che ci porta a lavorare tutti insieme - o almeno così dovrebbe essere - verso questo obiettivo. Devono essere essenziali anche le strade da percorrere, che sicuramente sono le rinnovabili, ma il quadro regolatorio - mi chiedo e chiedo anche al Governo, attraverso lei, ovviamente, Presidente - assicura una crescita delle rinnovabili coerente con gli obiettivi clima? Anche qui nascono una serie di domande: esiste una strategia per l'elettrificazione dei consumi? Ancora, come viene affrontato lo squilibrio tariffario tra gas ed elettrico? Inoltre, esiste una programmazione, concreta quanto più possibile, di uscita dalle fonti fossili?
Abbiamo davanti tante domande che riguardano però la vita concreta dei cittadini e delle cittadine, la vita concreta delle persone. Come rendere più efficienti le abitazioni? Come Paese, come ci muoveremo in questo senso? Quali energie utilizzeremo e qual è il futuro per la nostra industria? Quali saranno i lavori di domani?
Oggi dobbiamo iniziare a pensare a queste risposte, perché se noi oggi non ci poniamo queste domande e non tentiamo nemmeno di rispondere, vuol dire che, nel futuro, non avremo risposte a queste domande e ci troveremo in un infinito di ritardi, perché quell'orologio climatico si andrà sempre ad assottigliare e non ci sarà veramente più tempo.
Noi chiediamo impegni precisi, fattibili, concreti, quanto più pragmatici e direi anche più realistici, più che ideologici, come spesso ci viene detto in maniera totalmente errata.
Chiedo, attraverso lei, Presidente, al Governo, prima di bocciare i 12 impegni, dopo le dichiarazioni di voto (e di bocciarli solo perché portano, in questo caso, la mia prima firma o perché provengono da una mozione di opposizione), di leggerli e di ragionare insieme sul futuro che dobbiamo affrontare tutti insieme; chiedo, quindi, di non dare a tutti i 12 impegni una risposta veloce, senza nemmeno prendersi l'impegno di leggere anche concretamente le cose fattibili nell'immediato e quelle a lungo periodo. Questo è un appello che, attraverso lei, Presidente, rivolgo al Sottosegretario presente in Aula: vediamo insieme gli impegni da assumere. Entro il 30 giugno c'è questa data: viviamola come una possibilità, perché è vero che l'ambiente è di tutti e tutte, ma noi siamo qui, in quest'Aula che rappresenta la parte più alta della democrazia e sta a noi, senza distinzione e differenze tra minoranza e maggioranza, lavorare per le future generazioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU(PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, lo abbiamo ascoltato: si scrive Piano nazionale integrato per l'economia e il clima, ma si legge “futuro” e si decide adesso. Entro il 30 giugno c'è un passaggio fondamentale e un'occasione che non può essere sprecata. La decarbonizzazione è una sfida urgente e imprescindibile nell'attuale scenario climatico, con il sesto rapporto di valutazione - che abbiamo visto - dell', che segnala cambiamenti climatici senza precedenti e i relativi impatti dovuti alle emissioni che generiamo ogni giorno.
Gli attuali contributi determinati a livello nazionale sono insufficienti per mantenere l'aumento della temperatura entro 1,5 gradi centigradi, sebbene siano disponibili opzioni praticabili ed efficaci di adattamento e mitigazione a basso costo. L'organizzazione meteorologica mondiale prevede livelli record delle temperature globali nei prossimi cinque anni, con una probabilità del 66 per cento che la temperatura globale media annua superi di oltre 1,5 gradi i livelli preindustriali tra il 2023 e il 2027. Non stiamo parlando di un domani lontano, stiamo parlando di quello che tocchiamo con mano ogni giorno.
In tale contesto, sono gli Stati nazionali che devono definire i piani per energia e clima. L'obiettivo è cessare l'uso dei combustibili fossili, raggiungere un livello di emissioni nette pari a zero entro il 2050, realizzare ciò che ci siamo impegnati a fare con l'accordo di Parigi.
Il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima è lo strumento per definire le politiche e le misure per conseguire gli obiettivi energia e clima degli Stati membri dell'Unione europea con cadenza decennale e costituisce il quadro di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni. L'Europa ha aderito all'accordo di Parigi come soggetto unico regionale e può presentare obiettivi congiunti con gli Stati membri. L'ultimo impegno prevede una riduzione del 55 per cento delle emissioni nette entro il 2030, tradotto in norma mediante il pacchetto “Fit for 55”.
Dal 2018 il Regolamento e PNIEC hanno mostrato limiti, tra cui la poca flessibilità rispetto alle evidenze scientifiche sul cambiamento climatico e la rigidità nel rispondere a esterni, come la pandemia e la crisi energetica. Tuttavia, il PNIEC resta uno degli strumenti più importanti per accompagnare la trasformazione verso la neutralità climatica.
Il nuovo PNIEC italiano, pubblicato il 20 giugno 2023, è stato elaborato senza trasparenza e coinvolgimento del Parlamento. La Commissione europea ha giudicato il contributo dell'Italia alla neutralità climatica insufficiente. La proposta di aggiornamento del PNIEC 2023 dell'Italia è considerata debole, mancante di azioni e obiettivi innovativi. La Commissione europea ha rilevato che l'Italia non raggiungerà gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 e che le misure per la decarbonizzazione della produzione energetica sono insufficienti. Il piano è criticato per la mancanza di semplificazioni autorizzative, di finanziamenti per lo sviluppo delle rinnovabili e per la continuità dei sussidi alle fonti fossili. È considerato miope e legato alla visione dell'Italia come del gas, anziché motore delle fonti rinnovabili.
Il PNIEC necessita di politiche concrete per garantire il raggiungimento degli obiettivi legati alle energie rinnovabili e di strumenti che velocizzino le soluzioni più efficaci. È fondamentale una strategia industriale per la costruzione di filiere produttive ad alto valore aggiunto. Serve un supporto strutturato alle imprese e ai consumatori, una revisione del sistema di trasporto e mobilità, investimenti nel trasporto pubblico locale, una legge contro il consumo di suolo.
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione è cruciale un grande piano nazionale per la rigenerazione urbana e la riqualificazione energetica dell'edilizia pubblica, in linea con la direttiva Case della UE.
L'efficienza energetica degli edifici rappresenta una leva importante per ridurre le emissioni nocive: il PNIEC deve prevedere efficaci obiettivi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio, contribuendo al miglioramento effettivo delle condizioni abitative dei cittadini, in particolare dei cittadini più fragili ed economicamente deboli. Il piano va rafforzato nelle politiche industriali, nella decarbonizzazione dell'industria manufatturiera, ricerca e sviluppo, investimenti, fiscalità e politiche di giusta transizione.
È fondamentale fornire supporto alle imprese e ai consumatori per la transizione e rivedere il sistema di trasporto, promuovendo il trasporto pubblico e la mobilità sostenibile, dotando il Paese - l'abbiamo già detto - di una legge contro il consumo di suolo. Queste premesse, queste valutazioni, ci hanno portato a chiedere degli impegni al Governo, che sono contenuti nella mozione a prima firma Simiani, nostro capogruppo in Commissione, che abbiamo depositato.
Al primo punto chiediamo di sostenere con maggiore determinazione l'uscita ordinata dalle fonti fossili (carbone, petrolio e gas), pianificando la riduzione del gas coerentemente con l'impegno di ridurre le emissioni del 55 per cento al 2030, e raggiungere la neutralità climatica nel 2050, eliminando progressivamente i sussidi alle fonti fossili e promuovendo politiche per l'espansione dell'energia rinnovabile. Chiediamo, inoltre: di promuovere, al tempo stesso, la decarbonizzazione dell'economia, attraverso politiche e investimenti pubblici per la riconversione industriale verso filiere sostenibili, con particolare attenzione all'industria manifatturiera e alla gestione delle implicazioni sociali della transizione; di definire un piano pluriennale per il risparmio energetico e l'elettrificazione dei consumi abitativi, concentrandosi sulle aree degradate e le periferie urbane, con misure per la riqualificazione energetica degli alloggi di edilizia popolare e degli edifici scolastici; di promuovere la mobilità sostenibile, integrata e intermodale, privilegiando il trasporto collettivo pubblico, l'elettrificazione, il trasferimento da gomma a ferro e marittimo dei trasporti a lunga percorrenza, l'intermodalità fondamentale, la mobilità condivisa, la mobilità dolce; di considerare gli idroelettrici nazionali come strategici e sbloccare i necessari investimenti per il settore che garantisce quasi il 20 per cento del fabbisogno elettrico nazionale; di identificare le politiche settoriali prioritarie, valutando gli effetti raggiunti e gli obiettivi strategici, indicando il fabbisogno finanziario necessario, gli impatti socioeconomici attesi, e coinvolgendo i portatori di interesse nel processo decisionale; di garantire un maggior coinvolgimento del Parlamento e delle Commissioni parlamentari competenti nell'elaborazione e nel monitoraggio del PNIEC, con comunicazioni periodiche alle Camere sullo stato di attuazione; di procedere all'attivazione del nuovo PNIEC, mediante uno strumento normativo attuativo, come la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile; di attuare la valutazione dell'impatto atteso dei nuovi atti legislativi sugli obiettivi climatici, introducendo riferimenti espliciti nel bilancio pubblico, e indicando annualmente, nel Documento di economia e finanza, come le proposte possano contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici; infine, di promuovere un approccio inclusivo verso la neutralità climatica, coinvolgendo la società civile e le autorità locali, la società civile e le parti sociali, nella progettazione e nell'attuazione delle misure.
Ecco, questo è il punto. Spesso il nostro Paese ospita un confronto sul concetto di neutralità tecnologica. Ebbene, la neutralità tecnologica è un criterio, ma l'obiettivo è quello di raggiungere la neutralità climatica, è quello di riuscire a realizzare degli impegni che servono a fare sì che non si continuino a scaricare - come attualmente avviene - proprio sulle spalle dei più deboli e dei più fragili i costi della crisi climatica che stiamo vivendo, che è tanto più grave quanto meno si hanno le risorse economiche per poterne fronteggiare le conseguenze.
Da questo punto di vista, è fondamentale che ci sia una risposta nazionale. Vedete, noi in queste settimane di campagna elettorale che ci sono state abbiamo sempre cercato di portare in Parlamento un'agenda concentrata sulle questioni, sulle preoccupazioni reali, serie e vere dei cittadini italiani.
Quando alcuni mesi fa, durante la discussione sul bilancio, ad esempio, avevamo chiesto di utilizzare, almeno in parte, i 22 miliardi di euro di sussidi ambientalmente dannosi per finanziare il trasporto pubblico locale in crisi, l'abbiamo fatto perché sapevamo che la capacità di garantire un diritto alla mobilità per tutte e per tutti, anche attraverso il trasporto pubblico locale, è fondamentale per non lasciare da soli i cittadini di fronte all'alternativa tra utilizzare l'auto per tutti gli spostamenti o non poter fare quegli spostamenti che sono spesso indispensabili.
Questa alternativa serviva anche ai lavoratori: ora, in queste ore - notizia dello scorso 6 giugno - tutti i sindacati hanno annunciato, per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, di aver avviato le procedure di raffreddamento e conciliazione ai sensi della normativa sullo sciopero. Chiedono il rinnovamento del contratto, servono 900 milioni di euro; abbiamo presentato una mozione per chiedere al Governo di potenziare il Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale e abbiamo indicato una direzione, quella dei 22 miliardi di euro di sussidi ambientalmente dannosi. Non si vogliono utilizzare quelle risorse? Se ne utilizzino altre, noi siamo pronti a un confronto, ma tali questioni vanno affrontate, perché se in Parlamento non le affrontiamo, poi si scaricano sul Paese, e le conseguenze le paghiamo tutti.
Da questo punto di vista, quindi, noi rinnoviamo il nostro appello a utilizzare l'occasione del confronto su queste mozioni per cercare di non sprecare questa opportunità da oggi al 30 giugno, e di mettere in campo tutte quelle politiche nazionali che servono a fare sì che gli obiettivi - che sono obiettivi importanti - che l'Europa si è data e che ci indica come un'opportunità, possano essere raggiunti, non dimenticando chi ha di meno e non lasciando da solo chi ha meno opportunità.
Di fronte a questo, è fondamentale che si trovi, a livello nazionale, uno spazio comune di confronto anche tra chi oggi è all'opposizione e chi oggi è al Governo. Infatti, l'obiettivo di non lasciare nessuno solo di fronte alla prospettiva di pagare bollette insostenibili nella propria casa, perché non si hanno le condizioni climatiche giuste, oppure di fronte a bollette che arrivano alle stelle, oppure di fronte alle difficoltà nel trasporto pubblico locale deve vederci tutti coinvolti.
E, poi, un'ultima riflessione, anche di natura politica. Noi, oggi, affrontiamo questo tema: lo facciamo su iniziativa delle opposizioni; lo facciamo in un confronto costruttivo - almeno dal nostro punto di vista – con il Governo e con le forze di maggioranza e di opposizione. Ma questa discussione pone un punto che va in forte, forte, forte contraddizione con quello che avverrà solo domani in quest'Aula.
Infatti, noi stiamo affermando - attraverso queste mozioni, attraverso la necessità di rafforzare la nostra strategia, il nostro Piano nazionale, anche chiedendo all'Europa di tenere conto delle specificità italiane, nell'ambito di quella che è la nostra programmazione per raggiungere questi obiettivi senza lasciare nessuno - un principio che è fondamentale: come, nella gestione del territorio, ci debba essere una funzione nazionale.
E, da questo punto di vista, domani, precipiterà qui in Aula il testo di un'autonomia differenziata che, invece, ha l'obiettivo completamente opposto: quello di spaccare l'Italia e di creare una conflittualità nella gestione di alcuni aspetti che devono avere una strategia nazionale, che rischia veramente di impedirci di raggiungere questi obiettivi ma, soprattutto, impedisce all'intero Paese di raggiungere questi obiettivi. Faccio solo un esempio: le incredibili differenze che ci sono, a livello nazionale, per quanto riguarda le tariffe sullo smaltimento dei rifiuti piuttosto che sulle politiche che riguardano i rifiuti.
Quale deve essere il livello in cui si pianifica una strategia nazionale? Deve essere un livello nazionale, perché se noi non consideriamo l'importanza della discussione che stiamo facendo oggi, rischiamo veramente poi di ritrovarci in estrema difficoltà rispetto ai passi che compiremo domani. Quindi, anche il confronto di oggi ci aiuti, siamo ancora in tempo: c'è una proposta da parte delle maggioranze ma siamo il Parlamento.
Fatemelo ricordare: oggi è il 10 Giugno, stamattina la nostra giornata è cominciata onorando, ancora una volta, la figura di Giacomo Matteotti, nel giorno e nel luogo dove è stato strappato alla vita: il lungotevere Arnaldo da Brescia. In contemporanea con i nostri lavori, era presente anche la Vicepresidente Ascani. Stamattina c'erano tutte le istituzioni, il Senato, il Governo, la maggioranza e le opposizioni; c'erano fondazioni e associazioni; c'era anche il nostro partito. Eravamo tutti qui in quest'Aula quando quel posto è stato dedicato per sempre a Giacomo Matteotti. Adesso, a Riano, si sta ricordando questa figura.
Ecco, Giacomo Matteotti usava il termine “parlare parlamentarmente” intendendo, cioè, il “dare un valore al confronto in Parlamento”. Anche se adesso, guardando quest'Aula, in pochi parlamentari stanno seguendo i nostri lavori, è comunque un valore il fatto che noi siamo qui, che ci sono queste mozioni, che c'è il Governo, che c'è la possibilità di affrontare questi temi dal punto di vista di quei cittadini che non possiamo lasciare soli nei confronti della transizione climatica. Dobbiamo avere un'Italia più forte nell'indicare all'Europa una direzione più chiara e nel mettere a disposizione di tutti i cittadini gli strumenti per non essere soli.
È il nostro compito di parlamentari. Ma per fare questo dobbiamo anche scongiurare che una riforma sbagliata, di cosiddetta autonomia differenziata, ma che rischia di spaccare l'Italia, invece di darci ulteriori strumenti, indebolisca questa fondamentale possibilità.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Milani. Ne ha facoltà.
MASSIMO MILANI(FDI). Grazie, Presidente. Parliamo qui dell'aggiornamento del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima: un percorso che è iniziato addirittura nel 2018, il Piano fu presentato nel 2020 dall'allora Governo alla Commissione europea. Da allora, dal 2020 a oggi, sono intervenute diverse variazioni, anche novità normative che la stessa Unione europea si è trovata a dover emanare necessariamente, sia a causa della sopravvenuta crisi energetica, che nessuno poteva immaginare, a seguito del conflitto russo-ucraino, sia per migliorare, chiaramente, gli obiettivi che già in precedenza ci si era dati.
Quindi, in questi quattro anni, da quando l'Italia ha presentato tale Piano, è arrivata la normativa del , nel 2021. Successivamente, è stato presentato il Piano RePowerEU che ha visto la centralità dell'indipendenza delle Nazioni dal gas, soprattutto russo, e lo spostamento, per quanto riguarda noi in particolare, degli ambiti delle spese previste per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il PNRR: un aggiustamento di obiettivi necessitato da questa nuova visione. Tuttavia, ricordo anche che, nell'agosto 2022, è stato approvato - sempre dall'Unione europea - un regolamento riguardante l'utilizzo del gas e del nucleare i quali, specificando in maniera ancora più chiara, come elementi utili, vengono ricompresi all'interno della tassonomia verde quali vettori energetici utili alla decarbonizzazione.
Da ultimo, il 16 maggio 2023, è entrato in vigore il regolamento (UE) n. 2023/857, che modifica il regolamento (UE) 2018/842 sulla condivisione degli sforzi (- ESR), relativo a quei settori cosiddetti non ETS. Si tratta, in particolare, di soggetti a consumo energetico per i quali c'è una specifica normativa che riguarda i crediti e debiti ETS, in relazione alle emissioni di carbonio specifiche per quanto riguarda questi settori, particolarmente soggetti a emissioni difficili da abbattere.
Tolto ciò, però, il regolamento (UE) n. 2023/857 si pone un obiettivo ancora più sfidante: la riduzione, al 2030, del 43,7 per cento rispetto ai livelli del 2005. In precedenza, la normativa precedente fissava al 30 per cento questa riduzione. Quindi, è chiaro che gli obiettivi che l'Europa si è data via via nell'ambito del cosiddetto sono sempre più sfidanti. L'Italia, nell'aggiornare il proprio Piano, ovviamente ha aderito a quanto veniva via via deliberato. Ha pertanto aggiornato il Piano che, come ho sentito dire da interventi precedenti, sarebbe stato oggetto di critica da parte della Commissione europea: in realtà, non si tratta di critica, bensì di un confronto costruttivo, perché - dati gli obiettivi strategici - è chiaro che ogni Nazione poi presenti dei Piani in base alle sue capacità anche di autoproduzione.
Sicuramente le cose sono migliorabili, ma mi pare che il confronto con l'Europa sia stato molto costruttivo, nei mesi precedenti.
Ora ci troviamo di fronte alla scadenza della presentazione definitiva, entro il mese di giugno. Io credo che però, alla luce di quanto è emerso in questa piccola cronistoria che ho fatto in merito agli aggiustamenti e alle nuove linee guida che sono venute dall'Europa, forse ci sarà bisogno di un po' di tempo. Non che l'Italia, non che il Governo italiano non sia pronto a presentare il proprio Piano, anzi lo ha già presentato, però io credo sia invece utile e necessario un confronto ulteriore, perché ci sono aspetti che richiedono probabilmente un approfondimento maggiore. Tra questi, senza dubbio - è stato citato sia dalla presentatrice della mozione Ilaria Fontana ed altri n. 1-00276 sia da altri interventi - vi è il tema dell'abbattimento relativo alle emissioni degli edifici. Ovviamente, è un tema molto importante, la cosiddetta direttiva ; qualcuno - sempre a livello europeo, quindi, non qualcuno di parte, ma chi ha ipotizzato questa normativa - ha stimato che occorrerebbe, per il solo efficientamento degli edifici, da qui al 2050, una spesa di 275 miliardi l'anno. Allora, la domanda sorge spontanea: da dove dovrebbero uscire queste enormi risorse? Posto che l'obiettivo è sicuramente condiviso, qualcuno ci dovrà, però, spiegare, magari in Europa, come poter applicare una normativa del genere, in un contesto come quello italiano, dove sicuramente il patrimonio edilizio ha una sua particolarità, ha una sua vetustà maggiore e dove vi è anche una frammentazione della proprietà che in altre Nazioni europee non si riscontra e, quindi, una difficoltà anche di approvvigionamento finanziario per poter affrontare questo tipo di investimento. Quindi, ci piacerebbe capire, anche con il nuovo Parlamento europeo, con la nuova Commissione europea, quale potrà essere l'intervento, magari comune, appunto, della nuova Commissione, del nuovo Parlamento, su questo tipo di strategia e non, invece, subirlo sentendo dire: questo è l'obiettivo, adesso trovatevi da soli le risorse.
Abbiamo, poi, sicuramente, una sottostima per quanto riguarda il PNIEC. Nella sua prima formulazione, c'è stata una sottostima dell'utilizzo, per esempio, delle biomasse. Ricordo che, comunque, in Italia la superficie boscata è triplicata dal 1950 ad oggi; ciò significa che c'è stata una riforestazione naturale molto forte e questo è un fatto positivo, perché ovviamente la sola presenza delle foreste è molto utile per il naturale assorbimento dell'anidride carbonica - ed è un fatto positivo da considerare - però, significa anche che abbiamo la possibilità di investire sulle biomasse in maniera importante, nell'ambito della silvicultura, e che anche che in campo agricolo potremmo pensare di lavorare per ottenere biomasse dalle quali poter estrarre gas. Questo nel Piano attuale è un po' sottostimato e ci sono ambiti di crescita abbastanza importanti, che sarebbero da valutare meglio.
Sul discorso dell'elettrificazione, tutto il Piano è improntato verso l'elettrificazione dei settori produttivi e, in particolare, dell'. Mi pare che sia emerso abbastanza chiaramente a tutti che questo, da un punto di vista, invece, di assetto produttivo europeo, sia un danno più che un obiettivo di valore, perché, ahimè, è successo che, avendo annunciato questa volontà e non essendoci attrezzati nel dovuto modo per perseguire questo obiettivo, abbiamo, di fatto, favorito le produzioni estere, in particolare la produzione cinese che, oggi, ha sicuramente la capacità e, anzi, ha addirittura una di produzione per quanto riguarda le batterie, mentre noi siamo in ritardo in termini di autoproduzione di accumulatori, di batterie, ma, soprattutto, siamo in ritardo per quanto riguarda gli investimenti sulle reti di distribuzione elettrica. Quindi, un ripensamento importante sul discorso dell'elettrificazione va fatto. L'obiettivo, sicuramente, è utilizzare questo vettore, però, non possiamo non tener presente i tempi necessari e gli investimenti importanti che occorrono per la realizzazione delle reti necessarie alla distribuzione di energia elettrica. Soprattutto, va strutturata un'adeguata industria, non solo a livello nazionale, ma direi europeo, in grado di poter dare una sufficiente e adeguata risposta a questa nuova tecnologia.
Parlerei, poi, molto, anche - ma sicuramente ne parleremo in maniera più approfondita in altra sede - del discorso del nucleare, che è un tema molto difficile da affrontare in Italia, in quanto vi fu una presa di posizione referendaria importante, ormai quarant'anni fa, che ha deciso di chiudere la produzione, da energia nucleare, di energia elettrica. Questo è vero. È vero che, però, vediamo in prospettiva la possibilità molto concreta di arrivare all'obiettivo di industrializzazione della fusione nucleare, che è tutt'altra cosa rispetto alla fissione. Un obiettivo che potremmo raggiungere - ci dicono gli esperti da diversi incontri fatti e anche dall'indagine conoscitiva che si sta facendo a livello parlamentare, sia qui, nella Commissione specifica, sia anche al Senato - probabilmente da qui a 15 anni, quando avremo la possibilità di industrializzare la produzione da fusione nucleare. Quindi, è un tema che sicuramente va aperto. Non è, ovviamente, possibile perseguirlo da qui al 2030, ma, del resto, molto probabilmente, anche la riapertura di possibili mini-centrali e mini-reattori a fissione, da qui al 2030, non sarebbe sicuramente possibile. Tuttavia, siccome gli obiettivi di decarbonizzazione sono al 2050, allora bisogna traguardare, anche al di là dell'obiettivo più stringente, al 2030.
Tornando all'obiettivo del PNIEC, di cui stiamo parlando, sicuramente ci sono ambiti di miglioramento anche su altre tecnologie, come sul biogas, dove, comunque, abbiamo una competenza importante in Italia. Probabilmente, nelle estensioni del Piano, vi è stata un po' una sottovalutazione di questo aspetto, quindi si potrebbe migliorare. Anzi, l'invito è a farlo, sicuramente, sulle tecniche di estrazione di biogas, nonché sull'idroelettrico. Anche qui, probabilmente, c'è stata una sottovalutazione delle potenzialità di espansione. L'idroelettrico, a parità di impianti attualmente esistenti attraverso il degli stessi, potrebbe dare una produzione maggiore del 40 per cento rispetto a quello che dà oggi, a parità di impianti e senza costruzione di nuovi impianti, che sappiamo quali tempistiche potrebbero avere. Quindi, l'invito, chiaramente, Presidente, nei confronti del Governo, da parte della maggioranza che lo sostiene, è di fare un approfondimento su queste tematiche e di non sottovalutare il tema della neutralità tecnologica, perché è un tema importante e perché, sicuramente, la sostenibilità dal punto di vista ambientale è fondamentale, ma la sostenibilità anche sociale delle trasformazioni è altrettanto importante. Da qui l'invito al Governo di tenere presenti queste necessità e, soprattutto, a interloquire nei confronti del nuovo assetto che si sta determinando a livello europeo per rivedere gli obiettivi che ci si è dati negli anni passati.
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente?
CLAUDIO BARBARO,. Mi riservo, Presidente.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
1.
2.
Conversione in legge, del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica. (C. 1896)
3.
Conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2024, n. 71, recante disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell'anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca. (C. 1902)
4.
S. 615 - Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (Approvato dal Senato). (C. 1665)
: URZÌ, PAOLO EMILIO RUSSO e STEFANI, per la maggioranza; TONI RICCIARDI, di minoranza.
5.
FURFARO ed altri: Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora. (C. 433-A)
e dell'abbinata proposta di legge: SPORTIELLO. (C. 555)
: FURFARO.
6.