PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
GILDA SPORTIELLO, legge il processo verbale della seduta del 21 giugno 2024.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
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PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 84, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta odierna .
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 552: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione della liberazione anticipata, e disposizioni temporanee concernenti la sua applicazione.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2024 .
Do la parola al vicepresidente della Commissione giustizia, onorevole Pietro Pittalis, per riferire sui lavori svolti dalla Commissione.
PIETRO PITTALIS, . Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, intervengo in questa sede per illustrare l'andamento dell'iter in sede referente della proposta di legge Giachetti ed altri n. 552: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione della liberazione anticipata, e disposizioni temporanee concernenti la sua applicazione.
Il provvedimento è inserito nel calendario dei lavori dell'Assemblea in quota opposizione su richiesta del gruppo Italia Viva. Si ricorda preliminarmente che lo scorso 8 febbraio, in Assemblea, si è svolta la discussione sulla dichiarazione di urgenza, a norma dell'articolo 69, comma 1, del Regolamento, anche in questo caso su richiesta del medesimo gruppo. In quella sede, il proponente ha motivato la richiesta di dichiararne l'urgenza richiamando il problema del sovraffollamento carcerario, evidenziando come esso tenda sempre più ad aggravarsi e richiamando gli allarmanti dati sui suicidi in carcere. Ritenendo non condivisibile la strategia di incrementare la capienza degli istituti o, comunque, non praticabile nell'immediato, la proposta tende ad ampliare il beneficio della liberazione anticipata attraverso la rimodulazione del procedimento per la concessione della misura, nonché dell'entità della riduzione di pena ad essa conseguente. Alla disciplina ordinaria viene, inoltre, affiancata una temporanea misura straordinaria di liberazione anticipata.
A favore dell'urgenza, nel dibattito in Assemblea, hanno preso la parola anche i rappresentanti in Commissione dei gruppi AVS e PD, nonché il deputato Benzoni del gruppo Azione. Com'è noto, la discussione non si è conclusa con una deliberazione, in quanto il deputato Giachetti ha ritirato l'istanza prendendo atto dell'impegno del presidente e del vicepresidente di maggioranza della Commissione, supportato dal consenso dei rappresentanti dei gruppi della maggioranza, di avviarne immediatamente l'esame in Commissione giustizia.
La Commissione ne ha, quindi, prontamente svolto l'esame preliminare nelle sedute del 14 e 21 febbraio, nonché del 12 marzo, e ha convenuto sullo svolgimento di un ampio ciclo di audizioni. In particolare, sono stati acquisiti i contributi in audizione delle associazioni Nessuno tocchi Caino, Antigone, Carcere Possibile, Vittime del dovere e Ristretti Orizzonti, di numerosi magistrati, Nicola Mazzamuto, Vittoria Stefanelli, Giovanna Di Rosa, Daniela Tortorella, Sebastiano Ardita, del Procuratore nazionale antimafia, di rappresentanti dei sindacati della Polizia penitenziaria, del Garante dei diritti delle perone detenute per la Sicilia, dell'Unione camere penali italiane, di studiosi della materia e di operatori degli istituti penitenziari, il professor Glauco Giostra, tra gli altri, e il comandante di reparto Aldo Scalzo.
I numerosi spunti emersi nel corso delle audizioni, nonché l'esigenza di acquisire il qualificato contributo del collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, ha portato la Commissione a convergere in modo unanime sulla richiesta di richiedere per due volte il rinvio, nel mese di aprile, del termine entro cui riferire in Assemblea. Contestualmente, si è anche ritenuto opportuno riaprire il termine per la presentazione delle proposte emendative, venuto a scadenza lo scorso 12 giugno.
Avendo la Conferenza dei presidenti di gruppo del 28 maggio fissato l'avvio dell'esame in Assemblea al 24 giugno e non essendovi le condizioni per anticipare il termine per la presentazione delle proposte emendative, i tempi a disposizione della Commissione per l'esame delle proposte emendative sono risultati estremamente ristretti.
Nell'ufficio di presidenza del 12 giugno, la Presidenza, previa interlocuzione con i gruppi, ha preso atto che non vi fossero tempi sufficienti per svolgere i necessari approfondimenti tecnici e per portare a buon fine le opportune interlocuzioni politiche. Pertanto, la Presidenza ha invitato i gruppi a valutare l'eventualità di convenire su una richiesta di rinvio del termine entro cui riferire in Assemblea. In quella medesima sede, il relatore Giachetti, rappresentante del gruppo nella cui quota è iscritto il provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea, non ha aderito a tale proposta. Come da prassi, in casi simili, la Presidenza ha quindi informato la Commissione, nella seduta del 19 giugno, che nella seduta odierna avrebbe reso edotta l'Assemblea, nel corso della discussione sulle linee generali, sull'esito dei lavori della Commissione medesima e, quindi, sulle ragioni per le quali non si è potuto procedere all'esame degli emendamenti e al conferimento del mandato ai relatori.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
Ha facoltà di intervenire il Vice Ministro della Giustizia, senatore Francesco Paolo Sisto, che si riserva.
È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI(IV-C-RE). La ringrazio, signor Presidente, e ringrazio il vicepresidente Pittalis che ha ricostruito il percorso di questo provvedimento. Forse, più che fare riferimento a febbraio, vista la situazione nella quale ci troviamo, signor vicepresidente, signor Ministro e signor Presidente, potremmo parlare di circa 20 suicidi fa. Vista la situazione e il merito del dibattito, più che parlare di mesi fa, potremmo parlare di circa 20 suicidi fa, di circa qualche migliaio di persone in meno nelle nostre carceri rispetto ad oggi. E fa bene il vicepresidente a ricostruire l'impostazione che ci siamo dati, insieme a Rita Bernardini, che vorrei ringraziare, alla quale vorrei esprimere, già in apertura del mio intervento, la mia solidarietà e il mio impegno per cercare di aiutarla nel raggiungere l'obiettivo, nella decisione drammatica che ha preso questa mattina di iniziare uno sciopero della fame e della sete, per ottenere che il Governo dia una risposta, rispetto all'emergenza che ci troviamo di fronte, non fosse altro che quella di dichiarare che, effettivamente, ci troviamo in una situazione di illegalità e in cui non siamo in grado, di non ritenere di intervenire per interrompere questa illegalità, come d'altra parte accade da tempo. Come dicevo, rispetto a questo tema, proprio perché non abbiamo alcun interesse - non solo alcuna intenzione ma anche alcun interesse, signor Presidente - a piantare delle bandierine, vorremmo soltanto trovare un modo - e abbiamo cercato, come spesso facciamo, di fornire, noi, una possibilità di soluzione al Governo e alla maggioranza - per interrompere una situazione di illegalità nella quale il nostro Paese vive ormai da anni. Ha ripreso subito dopo la sentenza della CEDU, la sentenza Torreggiani, che ha condannato l'Italia e nulla è stato fatto, salvo provvedimenti specifici emergenziali, per fare in modo che le cause che hanno portato a quella sentenza della CEDU fossero superate.
Ci siamo posti con grande disponibilità, avevamo chiesto il voto sull'urgenza per iniziativa, lo devo riconoscere, del collega Pittalis e di Forza Italia. La maggioranza, anziché votare contro, come aveva già fatto nella Conferenza dei capigruppo, ha deciso di proporre, anziché il voto sull'urgenza, la possibilità che il sottoscritto ritirasse questa richiesta, con l'impegno di un inizio immediato di dibattito in Commissione. E ciò proprio perché non volevamo porre alcuna bandierina, ma ci interessava andare all'osso del problema e cercare di intervenire per risolvere un'emergenza. Lo ripeterò spesso, perché tutte le risposte che arrivano evadono il tema fondamentale: siamo in emergenza.
Abbiamo ovviamente dato la nostra disponibilità, abbiamo ritirato la nostra richiesta d'urgenza, è iniziato il dibattito in Commissione, abbiamo fornito, come tutti gli altri, l'elenco delle persone che noi ritenevamo utile venissero ascoltate su un argomento di questo genere, arriverò anche poi a quello che hanno detto queste persone; dopodiché, si sarebbe dovuto passare alla fase degli emendamenti. In quell'occasione, vorrei ricordare, ma lo ha ricordato anche il vicepresidente Pittalis, su richiesta degli altri partiti di opposizione, che è stato dato un ulteriore tempo per la presentazione degli emendamenti, perché, dopo l'ascolto del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, che non era stato possibile ascoltare nelle prime sedute, si erano aperte alcune valutazioni per cui si necessitava di un po' più di tempo ai fini della presentazione degli emendamenti. Anche in quell'occasione, non ci siamo minimamente opposti, abbiamo ritenuto assolutamente utile che ci fossero la massima partecipazione, il massimo approfondimento e la massima disponibilità per ottenere che questo provvedimento in qualunque modo trovasse un esito positivo.
Ovviamente, è passato quel tempo inutilmente. Ci è stato ulteriormente detto che, poiché c'erano le elezioni europee… - grandi ragioni politiche di fronte a un'emergenza del genere, signor Presidente, però, siccome siamo tutti svezzati, sappiamo che cosa voglia dire -… quindi, poiché c'erano le elezioni europee e c'era qualche problemino, per usare un eufemismo, all'interno della maggioranza, ci è stato chiesto di rinviare ulteriormente il dibattito, perché c'era la possibilità che all'interno della maggioranza si trovasse una composizione per giungere a una decisione su questa proposta di legge. Abbiamo acceduto anche a questo, abbiamo dato la nostra disponibilità per andare oltre le europee.
Adesso, però, bisogna essere seri. L'onorevole Pittalis, ovviamente, ha parlato in qualità di vicepresidente, ma anche l'onorevole Sisto, che è qui presente, lo sa perfettamente, come lo sanno i colleghi della maggioranza: non ci potete prendere in giro. Voi sapete perfettamente che noi oggi iniziamo la discussione generale: chiedere un ulteriore rinvio avrebbe significato far saltare questa proposta di legge, senza nemmeno metterci la faccia, e arrivare in Aula senza il mandato al relatore - per responsabilità della maggioranza che non ha trovato un accordo al suo interno e vedremo anche perché - comporta semplicemente che questo provvedimento, senza il mandato al relatore, non avrà quell'esito normale che hanno i provvedimenti nel corso dell'esame nella nostra Aula, dopo che sono passati in Commissione, e sarà mandato - glielo dico io, Presidente, lo verificheremo - alle calende greche a morire, senza neanche metterci la faccia. E ciò, per quanto mi riguarda, è la cosa più vergognosa che questa maggioranza potrebbe fare, a fronte di un'emergenza che è sul tavolo, a fronte della nostra disponibilità. Proprio perché è un'emergenza e proprio perché a noi interessava risolvere o provare a risolvere un problema, adesso, essere presi in giro e chiederci un ulteriore rinvio per trovare una soluzione, che non si è trovata - perché all'interno il Governo, su questo, è diviso -, francamente non lo accettiamo.
Abbiamo chiesto che si venisse in Aula e che ognuno si assumesse la sua responsabilità, ma temo che nessuno si assumerà la propria responsabilità, perché si giocherà sul fatto che il calendario è pieno e, quindi, questa proposta andrà nel dimenticatoio. Ma ci andrà la proposta, signor Presidente, non l'emergenza, che c'è.
È stato tempo buttato? Non so se è stato tempo buttato, è stato, però, chiaramente, figlio di una lotta tutta ideologica, che c'era all'interno della maggioranza, giocata sulla pelle, vorrei ricordarlo, non solo, dei detenuti, ma dell'intero mondo carcerario, perché questa situazione, che trova nel sovraffollamento la sua drammaticità, non colpisce soltanto i detenuti; colpisce la Polizia penitenziaria, colpisce gli educatori, colpisce gli psicologi, colpisce i medici, colpisce il volontariato. Infatti, ci troviamo in una situazione - e arriviamo ai numeri - di sovraffollamento tale che, alla data del 31 maggio, come ci indicano i dati forniti dal Ministero della Giustizia, dal DAP, siamo a 61.547 detenuti su 189 istituti, con una capienza formalmente regolamentare di 51.241 posti, ma in realtà è una capienza effettiva di 47.066 posti, perché 4.175 posti sono inagibili, a proposito dei padiglioni, ma ci arriveremo, del Ministro Nordio. Quindi, ci sono 14.471 posti mancanti e il sovraffollamento effettivo in Italia è del 130,77 per cento.
In una situazione di questo tipo, per essere chiari, vi sono 96 istituti penitenziari su 189 con un sovraffollamento che va dal 130 al 229 per cento; in questi 96 istituti, 37.040 persone detenute sono sistemate in 23.669 posti, con un sovraffollamento medio del 156 per cento; 118 istituti penitenziari su 189 hanno un sovraffollamento che va dal 120 al 229 per cento; in questi 118 istituti, 43.828 persone detenute sono sistemate in 29.095 posti, con un sovraffollamento medio del 150 per cento. Diamoli questi dati, mentre loro giocano alle loro vendette ideologiche; 145 istituti di pena su 189 hanno un sovraffollamento che va dal 101 al 229 per cento. In questi 145 istituti, 53.834 persone detenute sono sistemate in 38.116 posti, con un sovraffollamento del 141 per cento. Solo in 44 istituti penitenziari non c'è sovraffollamento; si va dal 100 per cento al 39 per cento. In questi 44 istituti, in realtà 43, perché il carcere femminile di Pozzuoli è chiuso per bradisismo, 7.713 persone detenute sono sistemate in 8.950 posti.
Questa è la realtà con la quale ci dobbiamo misurare e questa è la realtà che vede come risposta da parte del Governo litigi, lo ripeto, di carattere ideologico, che incidono sulla pelle di tutti quanti.
In queste condizioni, signor Presidente, non solo i suicidi raddoppiano, ma abbiamo visto che aumentano le evasioni, aumentano gli atti di autolesionismo, aumentano anche le aggressioni nei confronti della Polizia penitenziaria.
In un mondo che consente il 100 per cento, se si è compressi con una popolazione del 130 per cento, qualunque tipo di attività all'interno del carcere - a prescindere dai suicidi, se si può prescindere dai suicidi - rischia di diventare vana, rischia di non corrispondere a quello che ci chiede la Costituzione, ossia la rieducazione del detenuto, che deve andare in galera, certo per essere punito, ma anche per essere reinserito in società. E qual è il trattamento che si può realizzare in carcere dove c'è un sovraffollamento al 220 per cento e spesso e volentieri le persone non hanno nemmeno la possibilità di esercitare fino in fondo il diritto all'ora d'aria di cui hanno bisogno? E parlo dei detenuti, parlo della Polizia penitenziaria sotto organico, parlo degli educatori che dovrebbero andare in giro per le carceri a cercare di collaborare perché il precetto costituzionale venga garantito.
Ecco, come si fa, di fronte a tutto questo a chiedere un ulteriore rinvio? Siamo di fronte a un'emergenza - e continuo a ripeterlo - e, di fronte a questa emergenza, voi state deliberatamente mandando in fumo - senza metterci la faccia - l'unica proposta in grado di intervenire concretamente per rallentare questo, che è un processo e che ci porterà entro la fine dell'anno a raggiungere i livelli che portarono alla condanna della CEDU.
C'è un decreto fantasma, Presidente, che aleggia. Il Ministro Nordio ogni giorno fa un'intervista e poi arriva il Sottosegretario di turno e dice “No no no, rinviamo di una settimana perché ci dobbiamo mettere un po' di colla, ci dobbiamo mettere un po' di patate, un po' di qualcosa” e via dicendo. Il decreto Nordio è il decreto fantasma, che è molto prossimo al titolare del decreto, che ormai è un ex Nordio, per quanto mi riguarda. Io me lo ricordo com'era il Ministro Nordio quando non era Ministro, adesso che è Ministro non mi ricordo più chi è Nordio e com'è Nordio, ma la realtà è quello che diceva anche a proposito di questi temi.
E aleggia un decreto che, per carità, noi, se il Governo facesse un decreto che ha il carattere di urgenza, saremmo felicissimi se effettivamente quel decreto, al suo interno… e non lo sappiamo, perché stiamo leggendo sui giornali, come spesso accade, notizie, anticipazioni, ma noi non sappiamo effettivamente cosa sarà quel decreto; abbiamo sentito però e tutto quello che è stato messo dentro quel decreto serve semplicemente per dare una “risposta” al dramma che si consuma ormai quotidianamente quando ci sta qualche suicidio - perché poi di questo ci si occupa o non ci si occupa - senza dare alcuna soluzione reale per intervenire sulle cause che hanno portato e che portano le carceri a questo punto. Perché quando sento il Ministro Nordio che parla della costruzione di nuovi padiglioni - l'ho sentito anche dire dal Sottosegretario Delmastro Delle Vedove, ma devo dire che, per correttezza, evito di raccontare quello che mi ha detto, in tutto questo percorso, il Sottosegretario Delmastro Delle Vedove, a proposito di serietà, dei comportamenti, delle decisioni, del far corrispondere le parole ai fatti, ai comportamenti, lo trascuro - però, anche il Sottosegretario Delmastro ci ha spiegato che questi padiglioni consentiranno un sacco di posti, eccetera, eccetera.
Spiegate al Ministro Nordio e al Sottosegretario Delmastro Delle Vedove che, a parte il fatto che per costruire dei padiglioni ci vuole un certo numero di anni, che se vogliamo provare a renderne agibili alcuni ci vuole un certo numero di mesi, e poi c'è un piccolo particolare: che se le cose non fossero fatte con i piedi e in modo vergognosamente, diciamo, leggero, poi questi padiglioni, signor Presidente della Camera, signor Sottosegretario Sisto, colleghi parlamentari, hanno bisogno di personale. E se noi stiamo già con un personale ridotto… lo sapete che a Rebibbia - me l'ha detto Sergio D'Elia, di Nessuno Tocchi Caino, che ha fatto una visita l'altro giorno a Rebibbia -, su 1.700 detenuti, ci sarebbe bisogno di 700 agenti di custodia per avere una situazione normale. Lo sa, signor Presidente, quanti sono gli agenti di custodia a Rebibbia? Sono 400, cioè stiamo quasi alla metà del personale che sarebbe necessario per gestire un carcere come quello di Rebibbia. E noi apriamo nuovi padiglioni. E chi ci va? E non parlo della Polizia penitenziaria, parlo degli educatori, parlo degli psicologi, parlo della sanità, parlo di tutto quello che ciò comporta. Ma di cosa stanno parlando? Di una cosa che potrebbe scattare tra cinque anni, che non risolve minimamente questo problema e che non è una soluzione. Almeno ha smesso di parlarci delle caserme, perché era partito con il filone sulle caserme e se ne è reso conto lui stesso o, forse, qualcuno che ci capisce più di lui gli ha detto: “Guardi, Ministro, non parli delle caserme, perché è una cosa che non ha molto senso”. Per le stesse ragioni: per ristrutturarle, il tempo che ci vuole, i soldi, il personale, chi ci va nelle caserme? Adesso smettono con le caserme e siamo passati ai padiglioni. E sappiamo perfettamente che anche questa è una presa in giro, una cosa che guarda a distanza di anni, che non risolve il problema che abbiamo tutti noi, non solo l'opposizione, tutti noi abbiamo il problema di quello che sta accadendo nelle carceri.
La nostra proposta qualcuno ha subdolamente voluto definirla un indulto; io penso che questa legge che noi abbiamo proposto non sia la soluzione dei problemi. La soluzione dei problemi sarebbe assolutamente un'amnistia e un indulto, che sarebbe una soluzione dei problemi per il carcere, sarebbe una soluzione dei problemi per la giustizia in generale; è una battaglia sulla quale fatemi ricordare le camere penali, impegnate in questa battaglia contro il sovraffollamento carcerario: in tante occasioni hanno spiegato che quella è la riforma madre; ma non si farà perché è inutile, non abbiamo tempo da perdere su questo.
Ma la nostra legge non è un indulto, la nostra legge interviene su una legge già esistente, che ha una sua filosofia e che dice: caro detenuto, hai sbagliato, ma siccome la Costituzione mi dice che io debbo portarti a correggere i tuoi comportamenti e metterti in condizione di essere reinserito nella società - questo è il fine della Costituzione - se tu ti comporti bene, io ti do un premio in termini di sconto di pena rispetto alla pena complessiva, in maniera che tu non solo, diciamo, puoi uscire un po' prima, ma sei invogliato a comportarti bene, a non fare rivolte, ad adempiere ai regolamenti del carcere. Cioè stimola, incentiva un comportamento virtuoso, questa norma di legge, che non ho inventato io, che è già legge dello Stato.
Cosa abbiamo detto - e io penso che, se ci fosse ragionevolezza, ma non c'è ragionevolezza, c'è solo ideologia, spicciola anche -, cosa abbiamo detto? Vista la situazione nella quale siamo, aumentiamo questa premialità, quindi non sconvolgiamo nulla, aumentiamo questa premialità portandola da 45 a 60 giorni. Questo avrebbe dato, sì, un contributo immediato - immediato - di deflazione, rispetto alla popolazione carceraria, di delinquenti, di cose, di persone che sono state condannate e che si sono attenute, negli anni, a quel principio di rispetto del regolamento carcerario, che si sono comportate in un determinato modo e che, quindi hanno uno sconto di pena aggiuntivo, che aiuta a deflazionare la situazione nella quale ci troviamo.
Signor Presidente, se non sbaglio, Platone - spero di non fare una citazione sbagliata - diceva che è compito della classe politica educare e formare la coscienza civica dei cittadini. Questo dovrebbe essere il compito della politica, caro Sottosegretario, cari colleghi, e voi, invece, che fate? Fate a gara per sollecitare la parte più incivile delle persone, trasmettendo l'idea che i delinquenti usciranno fuori tutti, che sono i peggiori; vi siete inventati le cose peggiori per cercare di nascondere quella che è una realtà, che è quella che ho cercato di definire nella prima parte del mio intervento.
E poi arriva Nordio che ci spiega, appunto, alcune cose. Oggi o l'altro giorno su è stato pubblicato un di determinate cose. Colleghi, quante volte abbiamo sentito: “I detenuti stranieri sono quasi la metà dei detenuti in Italia e una soluzione sarebbe fare in modo che i detenuti stranieri scontassero la loro pena nei loro Paesi di origine”. Bravi, avete scoperto l'acqua calda. Domandatevi: perché, da vent'anni, questa musica va avanti e non si riesce a fare nulla? Perché c'è bisogno che, dall'altra parte, ci sia l'accordo degli Stati, che sono gli Stati dei detenuti che stanno da noi in carcere e via dicendo. Questi protocolli - a parte il fatto che abbiamo visto anche i costi di questa roba - non funzionano e, delle tante cose senza senso che dice il Ministro della Giustizia, questa è esattamente una delle principali. Grazie, sì, lo sappiamo, se mio nonno aveva le ruote era una carriola; va bene, lo abbiamo certificato, grazie, Ministro Nordio, che ce l'ha detto, non si può fare. Allora, ci dice il Ministro Nordio - ho letto anche questo - che i tossicodipendenti non dovrebbero stare in galera. Ma va'? Ma va'? Dovrebbero stare nelle comunità.
E perché questa maggioranza - e, devo dire, anche tutte le altre precedenti -, perché non correggete la legge Fini-Giovanardi, che è quella che garantisce che le nostre galere siano piene di persone che, per reati legati alla tossicodipendenza, finiscono in galera, invece che nelle comunità. E stendo un velo pietoso sul tema della psichiatria. Perché, invece di fare questa affermazione, il Ministro Nordio non fa una cosa semplice, ossia un decreto o un disegno di legge in cui si stabilisca che è abrogata la legge Fini-Giovanardi? , un pezzo di questo problema è risolto. Ma a voi interessa risolvere un problema? No. A voi interessa fare le grandi dichiarazioni. Così come il Ministro Nordio ci dice - ma davvero? - che, se nelle nostre galere non ci fosse quel terzo di persone in attesa di giudizio, avremmo già risolto il problema del sovraffollamento. Ma dai? Ma davvero? Benissimo, ma piccolo particolare: spiegate al Ministro Nordio che non dipende da noi se in galera ci sta un terzo dei detenuti in attesa di giudizio. Provate a spiegarglielo. Così come, sarebbe utile che provaste a spiegare al Ministro Nordio, perché questo è il pacchetto carcere, che dovrebbe risolvere il problema del sovraffollamento carcerario… Nordio ci spiega che ci vorrebbero le pene alternative. Premesso che sono assolutamente d'accordo, ma anche qui spiegate al magistrato Nordio che le pene alternative non le dà il Parlamento, le danno i giudici. Quindi, è un bell'auspicio, ma con l'auspicio non si risolve il sovraffollamento.
Visto che parliamo di pene alternative, della custodia cautelare, allora, signor Presidente, sarebbe interessante che il Ministro Nordio ci spiegasse come pensa di andare incontro a questa esigenza, quando questo Governo - non è il solo, ma, ormai, più di tutti gli altri -, invece di garantire che la gente non vada in galera, ogni giorno si inventa un nuovo reato, si inventa un aumento di pena e fa in modo che nelle nostre galere, invece di uscire, la gente entri.
Perché, signor Ministro, signor Vice Ministro, lo sapete che, da quando si è insediato il nuovo Governo, stiamo parlando del 22 ottobre 2022, le persone detenute sono aumentate di 5.023 unità? Ricordiamo che, già al momento del suo secondo insediamento. il 3 febbraio 2022, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso ha testualmente detto: “Dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti. Questa è anche la migliore garanzia di sicurezza”. Al 31 maggio 2022, i detenuti presenti erano 54.372, in 50.862 posti regolamentari. Monito perfettamente ascoltato, quello del Presidente della Repubblica.
Adesso, c'è la parte più interessante, signor Presidente, perché spesso facciamo riferimento alla CEDU che potrebbe ritornare, perché, proseguendo con queste entrate e queste scarse uscite dal carcere, entro la fine dell'anno arriviamo ai numeri che hanno portato alla condanna della CEDU.
Però, signor Presidente, cosa accade? In realtà, la CEDU ha già fatto quello che doveva fare. Sta accadendo qualcosa che fa sostituire alla CEDU i tribunali, perché, dal 2018 al 2023, cioè in sei anni, a causa del sovraffollamento - ascolti, signor Vice Ministro, lei lo saprà, ma lo dico agli altri colleghi - 24.301 persone detenute si sono viste riconoscere, non dalla CEDU, ma dai magistrati di sorveglianza la violazione del loro diritto a non essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti, ottenendo un giorno di sconto di pena ogni dieci trascorsi nelle condizioni suddette. Non è più la CEDU, è l'automatismo dei tribunali di sorveglianza che riconoscono questo. I giudici di sorveglianza certificano che quei 4.000 detenuti ogni anno subiscono la violazione di un diritto umano fondamentale, cioè siamo in piena illegalità, certificata dai tribunali italiani, non da Roberto Giachetti, Rita Bernardini, dai colleghi dell'opposizione o della maggioranza. I tribunali italiani certificano e lo certificano dando sconti di pena, guarda caso. Ricordiamo che i rimedi risarcitori furono introdotti nel nostro ordinamento penitenziario nel 2014, a seguito della condanna dell'Italia da parte della CEDU per sistematica violazione dell'articolo 3 della Convenzione. È la sentenza Torreggiani ed altri. La Corte aveva chiesto all'Italia non solo di prevedere risarcimenti, ma anche di porre in atto i rimedi preventivi contro il sovraffollamento atti ad impedire il protrarsi della violazione.
E tutto questo non è stato fatto, perché se da allora sono riaumentati i detenuti che vivono in condizioni disumane, siamo in flagranza di un reato che stiamo commettendo, in un'assoluta situazione di illegalità rispetto alla quale, quando avete qualche possibilità di intervenire - e oggi dovete rispondere voi, perché al Governo ci siete voi -, scappate! Preferite che questo lavoro, più o meno sporco tra virgolette, lo facciano i tribunali, per non farlo voi. Ma sapete che è necessario e indispensabile, perché arriva l'estate e, per quello che abbiamo vissuto fino adesso, nei prossimi mesi, diventerà drammatico!
E non solo per i suicidi dei detenuti! Ci sono i suicidi degli agenti della Polizia penitenziaria, ci sono situazioni disastrose di vita animale dentro le carceri, non degne di un Paese civile, così come il Presidente della Repubblica ha chiesto anche nel suo intervento. A questo voi state accedendo: nascondete la testa per non risolvere le vostre beghe interne. Certo, la battaglia ideologica l'ha vinta il collega Ostellari, onorevole Sisto. Su questo non c'è dubbio, perché non c'è dubbio che Forza Italia qualcosa ha tentato di fare, poi ovviamente, di fronte ai ricatti di quello e quell'altro, certe volte sembra di avere a che fare con le tre scimmiette: “non vedo, non sento, non parlo”, i tre Sottosegretari alla Giustizia…
Ora c'è l'iniziativa dell'onorevole Bernardini. È un'iniziativa non violenta che chiede molto semplicemente che il nostro Stato rientri nella legalità costituzionale italiana e convenzionale europea. , dice Bernardini, vuol dire forza della verità. A me, dice Bernardini, e, la prego signor Sottosegretario, prenda in considerazione almeno questo, perché stiamo parlando di una persona che ha dedicato la sua vita alle carceri e che, sicuramente, mette a repentaglio anche la propria vita per continuare a portare avanti con coerenza una battaglia, che sia una conquista non per sé stessa, ma per la civiltà di questo Paese. E dice: a me basterebbe che la maggioranza riconoscesse che c'è una violazione dei diritti umani fondamentali e si assumesse la responsabilità di un comportamento che lo Stato continua a reiterare. Per me sarebbe già una risposta sufficiente almeno per interrompere lo sciopero della sete.
Le istanze accolte nel 2018 sono state 3.115; nel 2019… (stiamo parlando dei tribunali di sorveglianza, quelli che hanno dato il risarcimento alle persone riconosciute di trattamenti disumani e degradanti); nel 2020 sono state 3.382; nel 2021, 4.212; nel 2022, 4.514; nel 2023, 4.731. Sono tutte persone che, per ragione del trattamento disumano e degradante, hanno avuto uno sconto di pena. Fatto da chi? Dai tribunali. Ma cambia qualcosa rispetto al vostro problema della gente che esce dal carcere? E, allora, non avrebbe più senso che il legislatore, invece di scappare ogni volta di fronte alle decisioni, si assumesse la responsabilità di un intervento in questo senso?
Presidente, ho finito, anche perché non voglio rubare troppo spazio agli altri colleghi. Io mi auguro di no, mi auguro francamente di sbagliare, mi auguro che la responsabilità, in particolare all'interno della maggioranza, dell'unica forza politica che, obiettivamente, non posso che riconoscerlo, ha cercato di arrivare a una soluzione (poi ci sono sempre ovviamente le soluzioni di compromesso - ci mancherebbe, Presidente, non siamo dei talebani), mi auguro che ci sia lo spazio perché effettivamente, all'interno della maggioranza, Forza Italia riesca a imporsi e - ho finito, Presidente - e a garantire che questa occasione non sia persa. Tuttavia, se così non fosse, voglio che rimanga agli atti della Camera dei deputati che tutto quello che succederà nelle prossime settimane, ripeto con i mesi estivi e con tutto il dramma che si moltiplica e che rischia di portare all'esplosione di questa situazione, questa volta, è tutto in mano alla maggioranza e anche all'ipocrisia, la superficialità e anche un pizzico di cattiveria gli dovrebbe garantire civiltà a questo Paese, e invece la nega .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cafiero De Raho. Ne ha facoltà.
FEDERICO CAFIERO DE RAHO(M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, l'articolo 27 della Costituzione, al terzo comma, ricorda che: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
L'ordinamento penitenziario, che entrò in vigore nel 1975, nella disposizione di apertura pone gli stessi valori: il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona. Ciò diversamente da quanto prevedeva l'ordinamento del 1931: al centro di quell'ordinamento vi era la dimensione organizzativa dell'amministrazione penitenziaria, la persona del detenuto e i suoi diritti, esercitabili entro i limiti consentiti da esigenze di ordine e sicurezza connesse allo stato di reclusione, andavano in secondo ordine. Tutto questo è immediata conseguenza della pretesa a un trattamento conforme al senso di umanità che implica, appunto, il necessario rispetto della personalità e della dignità del detenuto. Queste non sono formule vuote, ma statuizioni che implicano l'imprescindibile rispetto e la concreta possibilità di esercizio di tutti i diritti riconducibili allo del detenuto, che conserva il cosiddetto “residuo di libertà”. Cos'è il “residuo di libertà”? Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della sua libertà, ne conserva sempre un residuo che è tanto più prezioso in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale. È quel che ha affermato la Corte costituzionale fin dal 1993 che poi ha riconosciuto, con un'altra decisione del 1999, che tutti i diritti del detenuto abbiano e godano, quindi, di tutela giurisdizionale.
Il trattamento penitenziario, quindi, deve essere conforme a umanità e deve essere assicurata la dignità della persona. La situazione carceraria è da tempo drammatica, indegna di un Paese civile: la Corte europea dei diritti dell'uomo - lo ha detto poc'anzi l'onorevole Giachetti - già con la sentenza del 2013, nel caso Torreggiani e altri, ha condannato lo Stato italiano per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; articolo 3 che prevede il divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti. Questo significa che la Corte europea aveva ricondotto i fatti descritti nei ricorsi alla tortura e a trattamenti inumani o degradanti in connessione al fenomeno del sovraffollamento delle carceri, imponendo all'Italia di adottare, entro un anno dall'emissione della decisione, un insieme di misure strutturali atte a rimediare alla violazione riscontrata. I ricorrenti avevano evidenziato come vi fossero nemmeno 4 metri quadrati a disposizione di ciascuno, addirittura meno di 3 per molti di loro. La Corte ha emesso una sentenza che doveva essere una sentenza guida, sostanzialmente, per lo Stato italiano: i sette giudici della camera, chiamati a decidere sul caso, nell'accogliere le doglianze dei ricorrenti si sono pronunciati con una “sentenza pilota”, in cui è stato evidenziato il sovraffollamento carcerario in Italia come un dato strutturale: erano più di 550 i casi portati all'esame della Corte, parliamo del 2013. L'indice di sovraffollamento delle carceri italiane, dopo gli interventi decisi dal Governo nel 2010, è passato in 2 anni da quota 151 per cento a quota 148 per cento, quindi quasi nulla sostanzialmente. Si tratta di livelli ancora troppo alti - si diceva allora -, che espongono i detenuti italiani a un concreto rischio di trattamento degradante e inumano. Lo Stato fu anche invitato ad attivare procedure interne di ricorso e riparazione, per consentire una più rapida risposta ai ricorsi e ai risarcimenti per le persone interessate. Nel caso Torreggiani e altri, la Corte dette allo Stato un anno di tempo; nel frattempo la Corte sospese l'esame di tutti i ricorsi contro l'Italia. Ebbene, la Corte condannò l'Italia per condizioni inumane; oggi la situazione non è cambiata: celle piccole e sovraffollate. Ciascun detenuto aveva meno di 3 metri quadrati, la situazione generale, oggi, non è cambiata. Il livello delle nostre carceri e del sistema penitenziario è talmente basso, che vi sono estradizioni verso l'Italia negate perché le carceri italiane non offrono adeguate garanzie per il trattamento dei detenuti. Cioè l'Italia, sotto il profilo del trattamento dei detenuti, è posta allo stesso livello dei Paesi del Centro e del Sud America. Dall'Italia non concediamo le estradizioni perché non riteniamo che il detenuto possa essere trattato con rispetto della dignità in quei Paesi, altrettanto fanno i Paesi europei, nel guardare la situazione carceraria nel nostro Paese.
La situazione carceraria è, quindi, deprecabile: secondo quanto ci è stato rappresentato in Commissione giustizia, nell'ambito di una complessa audizione, dal capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, i posti disponibili sarebbero, in astratto, poco più di 51.000; in concreto ne sono circa 48.000. Alla data della recente audizione, i detenuti presenti nel circuito carcerario erano 60.814, di questi circa 43.000 sono detenuti comuni, gli altri ad alta sicurezza o in detenzione speciale; sul numero totale dei detenuti, 43.681 sono definitivi, 9.536 invece in attesa di primo giudizio, la differenza appellanti o ricorrenti.
Nel 2025, ci è stato detto, ci saranno 2.350 posti in più, questo utilizzando ben 116 milioni per i cantieri in corso, al fine di completare i lavori. Ma occorrono molti più posti. Non solo: ci è stato anche detto che il numero dei detenuti cresce di mese in mese e, quindi, occorre sicuramente una sistemazione diversa; occorre intervenire nel settore penitenziario per consentire trattamenti rieducativi effettivi e restituire al circuito della detenzione speciale le sue regole. Tanto ancora sarà necessario per rieducare il condannato. Vi è urgenza di intervenire sull'edilizia penitenziaria: non potrà esservi trattamento rieducativo negli istituti in cui anche 12 detenuti sono ristretti in una cella con un unico bagno. Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione: questo lo disse François-Marie Arouet, Voltaire, ma lo disse nel 1700.
Cesare Beccaria riprese questo stesso discorso e questo stesso concetto per ricordare che la pena deve essere utilizzata come una misura per prevenire sicurezza e, anche, rieducare. Ciò avveniva quasi 300 anni fa. Da allora, le condizioni di detenzione non garantiscono condizioni umane e civili sopportabili. Non possono esservi cambiamenti e miglioramenti in mancanza di strutture idonee.
Uno studio aggiornato al 20 giugno 2024 - quindi, a qualche giorno fa - sviluppato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, sugli eventi suicidari negli istituti penitenziari, ci fa inorridire, ci fa comprendere che non è solo una questione logistica, è qualcosa di molto più importante. È l'esistenza di un sistema penitenziario che non funziona. Le persone detenute che, dall'inizio dell'anno al 20 giugno 2024, si sono suicidate in carcere sono 44; nell'anno 2023, fino a giugno, furono 34; nell'anno 2022, furono 33.
Certamente, oggi, ringraziamo l'onorevole Giachetti per la proposta di legge, perché sollecita il Governo e il Parlamento ad adottare misure, anche urgenti, per fronteggiare una situazione drammatica non più sostenibile, indegna - come si è detto - per un Paese civile. Egli offre una soluzione. Ricordiamo che fino al 1990 il sovraffollamento carcerario veniva affrontato con amnistie e indulti. Nel 2010 si introdusse l'esecuzione presso il domicilio per pene o residui di pene sino a 12 mesi, come misura transitoria ed eccezionale. Dopo appena un anno, si trasformò in una misura permanente applicabile alle pene o residui di pene fino a 18 mesi, introdotta dal decreto-legge n. 211 del 2011, recante “interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri”. Dopo la sentenza Torreggiani, alla fine del 2013, venne introdotta la liberazione anticipata speciale di 75 giorni a semestre. La proposta di legge Giachetti offre una soluzione per ridurre il numero dei detenuti. Apprezziamo l'iniziativa, che tende a risolvere un problema di fondamentale importanza.
La proposta di legge modifica l'articolo 54 della legge n. 354 del 1975, elevando la detrazione di pena, ai fini della liberazione anticipata, da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata, e affidando la relativa decisione, in via principale, al direttore dell'istituto penitenziario. Inoltre, introduce, per i primi due anni, un ulteriore aumento della detrazione da 65 a 75 giorni per ogni semestre. La detrazione di pena si applica anche ai semestri di pena in corso di espiazione alla data del 1° gennaio 2016. Prevede, inoltre, che l'ulteriore incremento e la detrazione di pena siano concessi ai condannati che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, hanno già usufruito della liberazione anticipata prevista dall'articolo 54, a condizione che nel corso di esecuzione alla misura successiva alla concessione del beneficio, abbiano continuato a dare prova di partecipazione all'opera di rieducazione. Pertanto, sembrerebbe che, in luogo della valutazione frazionata semestre per semestre del beneficio, tale disposizione preveda, per la concessione ai condannati che abbiano già usufruito della liberazione anticipata a decorrere dal 1° gennaio 2016 dell'ulteriore detrazione di pena, una valutazione unitaria avente a oggetto il comportamento tenuto dal condannato nei semestri successivi a quelli già beneficiati dello sconto ordinario di 45 giorni.
La liberazione anticipata è lo strumento finalizzato a premiare la partecipazione all'opera di rieducazione. Con tale istituto si intendeva consentire a chi partecipava con risultati positivi all'opera di rieducazione, di uscire prima dal carcere. I 45 giorni sono indicativi di un periodo congruo, in cui trovi attuazione ed efficacia l'opera di rieducazione. Il presupposto è quindi che si partecipi all'opera di rieducazione.
Ma cos'è avvenuto? Che l'amministrazione penitenziaria ha ritenuto di riconoscere il compimento del percorso rieducativo a chi non è incorso in infrazioni disciplinari, e questa prassi è assunta dalla relazione che accompagna la proposta di legge. Infatti, il beneficio verrebbe riconosciuto a tutti coloro che non hanno subìto sanzioni disciplinari, non a coloro che abbiano commesso violazioni disciplinari. Guardate, c'è una sottile distinzione, perché se andiamo a vedere i fatti che avvennero qualche anno fa presso le varie strutture penitenziarie, probabilmente, in nessuna di esse sono stati adottati provvedimenti disciplinari, con la conseguenza che tutti i detenuti sono pronti a beneficiare di una norma come questa, e non c'è distinzione tra loro. Un automatismo, peraltro, rispetto al quale il direttore del carcere si limita a rilevare che non ci sono state infrazioni disciplinari. Non si può pensare, però, che della liberazione anticipata speciale, della riduzione quasi della metà della pena inflitta, possano beneficiare indistintamente tutti i condannati, indipendentemente dalla tipologia di reato. La disciplina non prevede alcuna preclusione né per fatti di mafia, né per fatti di terrorismo, né per altri reati come quelli ostativi in tema di benefici penitenziari. Questa normativa mira ad aumentare da 45 a 60 giorni quelli considerati ai fini della liberazione anticipata. Nei due anni successivi, a decorrere dal 1° gennaio 2016, si ha l'incremento a 75 giorni. Ciò significa che la liberazione anticipata verrà ad incidere con 75 giorni su 180, cioè quasi della metà della pena.
Nel sito del Ministero della Giustizia vi è una tabella dei condannati definitivi, distinti in scaglioni per durata della pena residua. Applicando questa normativa ai dati riportati nella tabella, emerge che uscirebbero dal carcere 23.000 detenuti. Gran parte di essi uscirebbero subito, l'ultimo di questi tra un anno e 9 mesi. Se guardiamo alle caratteristiche della popolazione detenuta, alle presenze in carcere per titolo di reato, ci accorgiamo che il beneficio si applicherebbe a molti detenuti, compresi quelli delle fasce che sono considerate più pericolose: uscirebbero dal carcere soggetti condannati per associazione di tipo mafioso, persone che hanno commesso gravi reati contro la persona, , autori di reati sessuali e di reati in danno di fasce deboli, da codice rosso. Essi, da un lato, sarebbero trattati come pericolosi criminali, mentre, dall'altro, risulterebbero destinatari di questo beneficio, senza alcuna differenziazione. Poi ci sono gli autori dei reati contro la pubblica amministrazione.
Ecco perché non riteniamo che questa disciplina sia idonea a conciliare l'esigenza di arginare l'aumento della popolazione carceraria con quella di sicurezza e protezione dei cittadini. È necessario intervenire sul sistema penitenziario e migliorarlo con interventi innovativi. A Bruxelles, il 14 gennaio 2024, i Ministri della Giustizia dei 27 Paesi dell'Unione europea hanno espresso, all'unanimità, il loro sostegno all'uso della detenzione su piccola scala. Lo hanno fatto adottando le conclusioni del Consiglio relative a questo modello alternativo di detenzione, e invitando così tutti gli Stati membri a prendere in considerazione, ove appropriato, l'uso di strutture detentive su piccola scala per scopi di custodia, comprese le case di reinserimento sociale, con l'obiettivo di limitare gli impatti negativi della detenzione e promuovere il reinserimento sociale e la preparazione alla dimissione e alla libertà. Questa posizione unitaria dei Ministri della Giustizia europei sollecita la formazione di un sistema penitenziario più sostenibile e un futuro più equo e inclusivo.
Un sistema in cui non solo la costruzione di nuove carceri sia l'obiettivo ma, soprattutto, la creazione di nuovi modelli. Proprio in questa direzione andavano gli emendamenti che il MoVimento 5 Stelle aveva preparato. Infatti, in tali emendamenti, con la formulazione di un articolo 47-.1, si sarebbe voluto che i condannati, che debbono espiare una pena detentiva non superiore a 12 mesi, se costituente parte residua di maggior pena, e i condannati ammessi al regime di semilibertà, di cui all'articolo 50, siano ammessi a scontare la pena presso le case di comunità di reinserimento sociale. Peraltro, nell'ambito degli stessi emendamenti venivano spiegate cosa fossero queste case di reinserimento sociale e in che modo andavano organizzate. Questo emendamento sarebbe andato proprio nella direzione voluta dall'Unione europea: in quella direzione che, il 14 giugno 2024, ha visto tutti i Ministri della giustizia concordi nell'apprezzarla. In questo modo, si accompagna il detenuto al reinserimento sociale mediante strutture rispettose della dignità della persona.
Vi è la pressante esigenza, quindi, di assegnare al trattamento penitenziario la funzione di rieducazione e risocializzazione prescritta dalla nostra Costituzione. Invece, solo il 5,4 per cento, su circa 60.000 detenuti, partecipa ad attività che potrebbero ridurre la recidiva e aumentare le opportunità di reinserimento sociale. Tanti progetti e buone pratiche non attuate. Più formazione e lavoro, dietro e fuori le sbarre. Solo una minima parte partecipa a corsi formativi e per essi i risultati positivi si rilevano: il tasso di recidiva tra chi non è coinvolto in programmi di reinserimento è pari al 70 per cento, mentre scende al 2 per cento per coloro che hanno appreso un lavoro in carcere.
Tra le esperienze in campo, nei 192 istituti di pena italiani, ve ne sono alcune, come le case circondariali di Varese e Busto Arsizio, tra le più virtuose, con una recidiva pari a zero per chi lavora e una soddisfazione piena per gli imprenditori e i clienti finali. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre intervenire nel settore del penitenziario, dando impulso non solo all'edilizia penitenziaria, che agevola i trattamenti rieducativi effettivi, ma anche a corsi di formazione e rieducazione. Occorrono, inoltre, figure specializzate ulteriori.
Tutto questo - è vero - ha costi, ma anche, però, risultati straordinari. Non un euro è previsto per l'edilizia penitenziaria; troppo poco per le figure rieducative.
Il presidente del sindacato UILPA della Polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio, ha ricordato, nella recente audizione presso la Commissione giustizia della Camera, che nel 2023 sono state 116 le persone che hanno perso la vita in carcere. Le carceri versano, da anni, in una profonda emergenza strutturale. Mancano ben 18.000 unità nel personale della Polizia penitenziaria: anche se stanno facendo assunzioni, gli assunti continuano a essere in numero inferiore rispetto a coloro che cessano dal servizio. Per questo, l'organico complessivo diminuisce di anno in anno, mentre nelle carceri cresce la popolazione detenuta. Sovraffollamento, carenze sanitarie, mancanza di sostegno psicologico: in carcere si muore per una malattia poco curata - magari presa direttamente lì - ma anche per difficoltà psicologiche non rilevate o affrontate e che portano alla morte.
Chi è in carcere - è vero - ha sbagliato, ma lo Stato non riesce ad adempiere agli obblighi che la Costituzione gli assegna. Il detenuto, all'atto della dimissione dal carcere, è spesso incattivito quando, addirittura, non meglio istruito alla scuola del crimine.
Servono figure specializzate per una formazione capace di organizzare iniziative per il massimo coinvolgimento dei detenuti, per insegnare loro un lavoro, per produrre crescita culturale ed etica e per accendere una luce nel loro futuro. Occorrono maggiori possibilità di incontro con le famiglie. Occorre riempire gli organici della Polizia penitenziaria, perché questa possa svolgere con serenità i compiti di custodia e vigilanza, senza subire lo stress dell'orario prolungato o della carenza dell'organico.
Occorre intervenire con provvedimenti che riducano le presenze nelle carceri attraverso la concessione di misure alternative da riconoscere senza ritardo. Anche il disegno di legge Sicurezza va in senso opposto a quanto è necessario: non serve, anzi, incattivisce la previsione del reato di rivolta penitenziaria, nella quale si punisce, con una pena fino a otto anni, anche la resistenza passiva e la protesta non violenta. Non fa emergere le criticità e i detenuti ricorreranno ad atti di autolesionismo e, ancora, ad altri suicidi. Occorre maggiore formazione e rieducazione con personale specializzato, capace di svolgere professionalmente i compiti di rieducazione e risocializzazione che l'articolo 27 della Costituzione assegna allo Stato nell'esecuzione della pena .
PRESIDENTE. È iscritta parlare la deputata Michela Di Biase. Ne ha facoltà.
MICHELA DI BIASE(PD-IDP). Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, mentre iniziamo la discussione generale su questa proposta di legge, siamo arrivati al numero record di 44 suicidi nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno: un quadro drammatico. Praticamente, un detenuto ogni quattro giorni si toglie la vita. I numeri che ci sono stati forniti dal Garante nazionale per le persone private della libertà ci facilitano il percorso e ci aiutano ad entrare nel merito di questa situazione che stiamo vivendo.
Nello stesso periodo dell'anno scorso i suicidi in carcere erano stati 33. A ciò si aggiunga il fatto - è giusto ricordarlo oggi in questa sede, all'interno di quest'Aula che rappresentiamo - che il Corpo di Polizia penitenziaria ha il tasso più alto di suicidi tra le Forze dell'ordine: a testimonianza del fatto che le condizioni carcerarie e di detenzione in Italia non riguardano solamente le persone private della libertà personale, ma anche il Corpo di Polizia penitenziaria che si occupa della loro presa in carico.
Con le cifre del sovraffollamento carcerario, che sono schizzate in avanti in modo vertiginoso, toccando quasi 61.460 detenuti, a fronte dei posti a disposizione nei penitenziari italiani, che sono 47.067 - sui dati, prima di me, è intervenuto l'onorevole Giachetti in modo puntuale - oggi noi sappiamo che il sovraffollamento ha superato il 130 per cento, trasformando una situazione che già era critica in una vera e propria emergenza. Un'emergenza, Presidente, che avrebbe richiesto un atteggiamento di attenzione e confronto da parte del Governo e della maggioranza parlamentare: un'attenzione verso questa proposta di legge del collega Giachetti, che ha origine proprio dalla drammatica condizione di sovraffollamento delle carceri, che stiamo vivendo in questo nostro tempo.
Invece, ci ritroviamo oggi ad avviare la discussione generale su questo testo senza che in Commissione sia stato possibile discutere gli emendamenti o conferire mandato al relatore: un segno di grande indifferenza che pregiudica la possibilità di affrontare nel dettaglio il problema delle carceri italiane. Affrontare la questione delle carceri dovrebbe richiedere di abbandonare i toni del populismo e della propaganda - così come vi stiamo chiedendo di fare da molto tempo - accettando di discutere con serietà un tema che, forse, non regala consenso, ma tocca la storia di uomini e donne che, pur avendo commesso reati, non possono veder cancellati i loro diritti.
Signor Presidente, voglio iniziare esprimendo tutta la nostra preoccupazione per le notizie che vediamo arrivare ogni giorno dai penitenziari italiani e per l'atteggiamento - debbo constatare - di assoluta indifferenza che questo Governo continua a mantenere.
Il tasso di crescita delle detenzioni ha raggiunto numeri insostenibili e le soluzioni che vengono prospettate dal Ministro Nordio a più riprese sembrano ai nostri occhi davvero propaganda senza contenuto. Si continuano ad annunciare quotidianamente provvedimenti che puntualmente non arrivano. Si progetta la costruzione di nuove carceri senza tener conto dei costi e dei tempi di realizzazione che spostano la soluzione lontana nel tempo.
L'emergenza, invece, è oggi ed è drammatica. Il tasso di crescita dei detenuti nel corso dell'ultimo anno è stato in media di 331 unità al mese. Se proseguiremo così, sarà superato ogni record e le carceri italiane arriveranno al collasso. Come sottolineato nel dettagliato rapporto dell'associazione Antigone del mese scorso, le cause di questa crescita sono diverse e variegate: maggiore lunghezza delle pene comminate, minore predisposizione dei magistrati di sorveglianza a concedere misure alternative alla detenzione o liberazione anticipata, introduzione di nuove norme penali e pratiche di Polizia che portano a un aumento degli ingressi. Impossibile per noi non soffermarsi su questo punto, perché questo Governo, in appena 18 mesi, ha introdotto una decina di nuovi reati e 6 nuove fattispecie penali, in preda a quello che più volte abbiamo descritto come un panpenalismo, mai visto prima nella storia della nostra Repubblica. C'è di peggio, perché anche con questi ultimi provvedimenti - e penso, in particolare, al decreto Sicurezza - si evidenzia il chiaro tentativo che sottende all'azione governativa. Un decreto che rappresenta un compendio di leggi ispirate da una logica repressiva e securitaria, che mettono in discussione lo Stato di diritto. Norme che scardinano i principi costituzionali di solidarietà e inclusione, costituendo un tassello di quel disegno autoritario che il Governo sta componendo con le leggi sul premierato e sull'autonomia differenziata. Anticipo qui, con questo mio intervento, una discussione che torneremo a svolgere in quest'Aula tra qualche settimana, ma la ragione fondamentale è che c'è un legame strettissimo tra l'azione del Governo e la situazione drammatica nelle carceri italiane, proprio per l'irrigidimento dell'azione repressiva a scapito delle misure di garanzia. Con le norme del decreto Sicurezza si raggiunge l'apice di questa azione, arrivando a mettere in discussione lo Stato liberale. Una norma, più delle altre, lo dimostra, e io non mi stancherò mai di dirlo ogni volta che interverrò sui temi della giustizia: la legge sulle detenute madri, che costringerà alla reclusione anche le donne con figli minori di un anno. Una modifica che agisce in maniera drammatica, scardinando il presupposto dell'interesse superiore del minore.
A proposito del panpenalismo, che sembra sostanziare l'azione del Governo e di questa maggioranza e degli effetti sulle condizioni di detenzione nel nostro Paese, è da questo che dobbiamo partire per cercare di costruire un approccio diverso, che possa dare soluzione all'emergenza carceri. Come Partito Democratico, noi abbiamo provato in questi mesi con forza a fare entrare questo tema all'interno del dibattito pubblico. Lo abbiamo fatto, nell'esercizio del nostro mandato parlamentare, visitando decine di strutture, parlando tanto con i detenuti, quanto con gli operatori e con la Polizia penitenziaria. Abbiamo lanciato una campagna nazionale dal titolo “Bisogna aver visto”, proprio perché spesso nell'affrontare il tema delle carceri abbiamo avuto l'idea di avere davanti degli interlocutori che parlavano di una materia che non conoscevano nel dettaglio. Noi abbiamo voluto, con la nostra azione, portare alla luce la grave condizione in cui versano la maggior parte degli istituti penitenziari italiani e le donne e gli uomini che lì vivono reclusi. Abbiamo cercato, con ogni azione in nostro possesso, di smuovere il Governo ad agire.
Le prime mosse, invece, attuate dal Ministro Nordio, sono state volte, con la legge di bilancio per il 2023, ad operare un taglio molto pesante e in modo assolutamente contraddittorio e dannoso per l'intero settore della giustizia, in particolare per quanto riguarda il personale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, responsabile degli aspetti organizzativi dell'esecuzione penale negli istituti penitenziari e della gestione del personale amministrativo e di Polizia penitenziaria. Si tratta di tagli che abbiamo visto ripetersi anche per il Dipartimento della giustizia minorile e di comunità, che si occupa dell'esecuzione penale per i minori, dell'esecuzione penale esterna e messa alla prova degli adulti. Si tratta di risorse che non sono state ripristinate, né tantomeno - come abbiamo chiesto continuamente in ogni provvedimento utile - incrementate. Anzi, si parla di tagli di enorme portata, pari a 9,5 milioni di euro per l'anno 2023, di cui 15,4 milioni di euro per l'anno 2025, e di quasi 11 milioni euro annui a decorrere dall'anno 2025. Queste pesanti riduzioni di spesa stanno incidendo pesantemente sulla tenuta di un sistema già oggettivamente fragile, interrompendo il difficile percorso di risanamento avviato negli ultimi anni. In particolare, rischiano di essere colpite tutte quelle attività rivolte alle persone detenute nell'ambito dei percorsi di reinserimento e, allo stesso tempo, rischia di rallentare il percorso delle nuove assunzioni di personale, fondamentale per garantire la funzionalità degli istituti e con essa, naturalmente, dignitose condizioni di vita delle persone private della libertà personale.
Il Governo - dobbiamo constatare - è fermo alle dichiarazioni di un fantomatico Piano carceri, nascondendo la verità. Per realizzare la funzione rieducativa della pena, così come viene delineata nella nostra Costituzione, occorrono investimenti sul personale e investimenti sulle strutture, come dimostrano tutti gli studi condotti sul tema, anche a livello europeo e internazionale. Invece, non c'è stata mai, da parte del Ministro paladino del garantismo, ex magistrato che dovrebbe conoscere bene la complessa macchina del sistema giustizia, la benché minima disponibilità al dialogo, né tantomeno alla discussione dei nostri emendamenti e di qualunque nostra proposta. È un anno e mezzo che noi proponiamo, è un anno e mezzo che non riusciamo neanche a discutere. Ha chiamato, con parole gravissime, il suicidio in carcere una malattia inevitabile.
Questo è il quadro drammatico della situazione, queste le responsabilità che deve assumere su di sé un Governo fermo sul miglioramento delle condizioni di detenzione. È qui che si inserisce la proposta di legge che oggi è in discussione. La finalità di questo intervento normativo risiede nell'ampliamento del beneficio della liberazione anticipata, attraverso la rimodulazione del procedimento per la concessione della misura, nonché dell'entità della riduzione di pena ad essa conseguente.
Alla disciplina ordinaria viene, inoltre, affiancata una temporanea misura straordinaria di liberazione anticipata.
Si tratta di uno strumento premiale che si ritiene possa concorrere a contenere il fenomeno del sovraffollamento carcerario, evitando allo Stato di ritrovarsi nella medesima condizione che già aveva originato la nota pronuncia Torreggiani contro l'Italia dell'8 gennaio 2013. Con tale pronuncia la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato incompatibile con il divieto di trattamenti inumani e degradanti la condizione di sovraffollamento degli istituti penitenziari, riscontrando l'esistenza di un problema strutturale dello Stato italiano. Si tratta di un provvedimento che riteniamo assolutamente utile, anche se, ovviamente, non esaustivo dell'enorme tema dell'esecuzione penale e della crisi che sta vivendo il sistema carcerario.
È necessario, infatti, definire un piano d'azione - come ho già sottolineato prima - che preveda, oltre a necessarie soluzioni emergenziali, soprattutto interventi strutturali sul sistema dell'esecuzione della pena, per renderla conforme al dettato costituzionale, di cui all'articolo 27 della Costituzione. È una legge che può aiutare lo Stato italiano a superare l'emergenza, per poi lavorare con serietà e responsabilità a interventi che rendano finalmente giuste e normali - qui ambiamo alla normalità - le condizioni di detenzione in Italia. L'articolo 1 del progetto di legge prevede che al condannato meritevole per aver dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione vengano concessi 60 giorni di liberazione anticipata per ogni semestre di pena scontato.
Si è inoltre previsto, all'articolo 2, di estendere al futuro, per un periodo di due anni, l'aumento dei giorni di liberazione anticipata nella misura di 75 giorni per ogni semestre di pena già scontato, a decorrere dal 1° gennaio 2016. L'articolo 2, comma 1, prevede, infatti, per i due anni successivi alla data di entrata in vigore della legge, l'ulteriore elevazione della detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata da 60 a 75 giorni, a condizione che, nel corso dell'esecuzione della misura successiva alla concessione del beneficio, abbiano continuato a dare prova di partecipazione all'opera di rieducazione. Il comma 3 precisa che la detrazione di pena prevista dalla proposta di legge si applica anche ai semestri di pena in corso di espiazione alla data del 1° gennaio 2016.
Come gruppo del Partito Democratico, abbiamo proposto alcuni correttivi suggeriti dalle diverse e autorevoli audizioni su alcune criticità emerse nel corso del dibattito: tra queste, la norma che prevede di attribuire al direttore del carcere la competenza funzionale in materia di liberazione anticipata, che viola la riserva di giurisdizione in materia di libertà personale. In questo caso, proponiamo di riportarla in capo all'autorità giudiziaria. Inoltre, ricolleghiamo la condizione di maggiore afflittività, che giustifica la liberazione anticipata speciale - ossia l'aumento della riduzione di pena da 60 a 75 giorni -, all'inizio della pandemia da COVID-19. Ancora, proponiamo che, solo laddove si sia già formato un giudicato sulla concessione della liberazione anticipata ordinaria, si preveda una semplificazione procedurale. Chiediamo anche che, al momento dell'ingresso in carcere, il condannato sia informato del meccanismo premiale, di cui al comma 1, e delle relative conseguenze sull'entità della pena da scontare.
Con i nostri emendamenti proponiamo una significativa iniezione di personale: nuovi concorsi per l'esame da magistrato ordinario, al fine di reclutare non meno di 500 nuovi magistrati - eventualmente, anche mediante lo scorrimento di graduatorie in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente legge -, assunzioni di personale addetto all'Ufficio per il processo - da istituire presso i tribunali di sorveglianza -, assunzioni straordinarie del Corpo della Polizia penitenziaria, mediante il bando di nuovi concorsi, nonché mediante scorrimento di graduatorie in corso di validità.
Arrivo alle conclusioni, signor Presidente, sottolineando che le nostre modifiche vanno nella direzione di migliorare una legge che riteniamo in ogni caso necessaria per il nostro Paese, per superare le condizioni di emergenza delle carceri italiane. Detta in altri termini, questa proposta di legge rappresenta il primo passo, ma non vogliamo, per questo, dimenticare altri obiettivi, che abbiamo più volte sottolineato in quest'Aula e per i quali, purtroppo, siamo ancora in attesa di una risposta da parte del Governo. Ne cito uno in particolare, strettamente legato al tema dei suicidi in carcere. Non possiamo rinviare - e lo voglio ribadire anche oggi - l'enorme questione della salute mentale in carcere e nell'esecuzione penale. Dobbiamo agire, riconoscendo incentivi al personale medico specialistico e al personale sanitario che svolge un servizio psichiatrico di diagnosi e cura e che svolge compiti di prevenzione e cura. È una delle azioni necessarie per riconoscere i necessari diritti alle persone private della libertà.
Concludo, osservando semplicemente un'ultima cosa: non c'è più tempo da perdere. L'allarme che arriva dalle condizioni dei detenuti e delle detenute nel Paese non può rimanere inascoltato. È il momento di agire e, con questa legge, l'Italia può imboccare la strada giusta per ristabilire le giuste condizioni di detenzione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Devis Dori. Ne ha facoltà.
DEVIS DORI(AVS). Grazie, Presidente. Centoventi anni fa Filippo Turati pronunciò davanti al Parlamento un famoso discorso di denuncia sulle condizioni delle carceri italiane. Vi sono in quel discorso alcuni passaggi di impressionante attualità. Diceva Turati: l'attuale regolamento si fonda essenzialmente su due concetti antitetici: da un lato l'intenzione di atterrire e deprimere il condannato, di fargli sentire la potenza enorme dello Stato vindice (cioè vendicatore); questo è il lato innegabilmente feroce del regolamento; ma di contro a questo, che è il lato in ombra, vi è nel Regolamento tutta una serie di precetti intesi poi a confortare il condannato, ad elevarlo, nonché, com'è molto più facile rinchiudere un condannato, spaventarlo, brutalizzarlo, che non educarlo e farne un uomo nuovo; come la ferocia non richiede né intelligenza, né fatica, né mezzi pecuniari, è avvenuto che tutta la parte brutale, quella in cui sopravvive lo spirito della vendetta sociale contro il disgraziato che è nelle carceri, è larghissimamente applicata; tutta la parte, invece, che rispecchia il dovere dello Stato a provvedere alla redenzione del colpevole, è rimasta lettera morta.
Ecco, così si pronunciava Turati 120 anni fa e poco sembra cambiato da quel tempo per le nostre carceri, la maggior parte delle quali è segnata da condizioni di vita detentiva del tutto inaccettabili per un Paese civile: strutture fatiscenti, carenza di strutture igieniche e sanitarie, assistenza psichiatrica, insufficienza degli organici della Polizia penitenziaria, degli educatori, degli psicologi e degli uffici di esecuzione esterna. Ecco, l'intero sistema, a parte alcune eccezioni, è da troppo tempo in evidente sofferenza.
È un problema, ovviamente, che c'è da tanto, troppo tempo, ma oggi c'è questo Governo e, quindi, è da questo Governo che aspettiamo soluzioni, soluzioni ad oggi non pervenute.
A tale condizione di endemica inefficienza del sistema carcere, poi, si è accompagnato nel tempo un progressivo incremento del fenomeno del sovraffollamento, con valori assoluti che - secondo gli ultimi dati del 12 giugno - sono pari a 61.468 detenuti a fronte di 51.221 posti di capienza regolamentare.
Tuttavia, dobbiamo anche considerare gli oltre 4.000 posti inagibili, quindi stiamo parlando di circa 14.000 detenuti in più rispetto al possibile. Tali numeri sono ormai vicini a quelli che comportarono, nel 2013, la condanna dell'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, con la nota sentenza Torreggiani.
Non vi è dubbio che il sovraffollamento funge da moltiplicatore di tutti gli aspetti disfunzionali del sistema, in quanto ciascuna carenza finisce, poi, con il subire un'amplificazione in relazione all'aumento abnorme della popolazione carceraria. Maggiore è il numero dei detenuti e tanto peggiore, sia in termini qualitativi che quantitativi, sarà la risposta alle esigenze di trattamento psichiatrico, psicologico, sanitario nonché alle diffuse problematiche derivanti dalle diverse forme di dipendenza che affliggono un'altissima percentuale della popolazione detenuta.
Nell'attuale condizione di persistente e crescente sovraffollamento, quindi, ogni minima forma di partecipazione e di trattamento dei detenuti definitivi diviene assai disagevole - problematica forse addirittura utopica - e analoga sorte hanno anche le stesse istanze di giustizia che stentano a essere gestite dalla magistratura di sorveglianza, anch'essa caratterizzata da gravissime e perduranti carenze di organico anche sotto il profilo amministrativo. La caduta di ogni progettualità trattamentale, assieme a contingenti esigenze securitarie, finisce, quindi, anche con il determinare una sempre minore apertura verso l'esterno.
Si consideri che, come dichiarato dallo stesso capo del DAP, il dottor Giovanni Russo, in audizione, si assiste a un progressivo aumento della popolazione carceraria a causa di un numero di ingressi di circa 400 nuovi detenuti in più ogni mese. L'aumento della popolazione carceraria è connesso, da un lato, all'uso eccessivo della custodia in carcere, che, invece, dovrebbe essere l' in sede cautelare, e, dall'altro, al basso numero di esecuzioni esterne relative alle cosiddette misure di comunità, riconducibili certamente a fattori di carenza strutturale, anche normativa oltre che culturale.
Dunque, è impossibile non collegare il drammatico fenomeno del numero dei suicidi (84 nel 2022, 69 nel 2023 e già 44 nel 2024) al sovraffollamento. Ancora più impressionante è il numero dei tentativi di suicidio e degli atti di autolesionismo. Secondo l'osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, si verificano 27 atti di autolesionismo ogni 100 detenuti e 2,5 tentativi di suicidio ogni 100 detenuti. In quel contesto aumentano anche le aggressioni nei confronti della Polizia penitenziaria.
La politica, quindi, non può non farsi carico di questa emergenza. Ogni ulteriore suicidio, ogni ulteriore vita persa pesa sulla nostra coscienza, anzitutto come cittadini.
Nessuna delle proposte che finora il Governo ha avanzato per cercare di risolvere il problema è in grado di dare una risposta concreta a questa criticità e anche gli investimenti, che sono più ipotizzati che concreti molto spesso, sono volti alla realizzazione di nuovi istituti o a ristrutturare spazi già disponibili, che, però, vedono chiaramente proiettate in là nel tempo le soluzioni, considerata l'attualità, la criticità attuale di questo dramma.
In questo contesto chiaramente di drammatica emergenza si inserisce la proposta di legge del collega Giachetti, elaborata con la collaborazione di Nessuno Tocchi Caino, volta proprio a introdurre una nuova ipotesi di liberazione anticipata speciale come rimedio eccezionale, capace chiaramente di decomprimere la situazione di sovraffollamento, consentendo ai condannati, con il fine pena più breve, di accedere anticipatamente alla libertà ove meritevoli di tale beneficio.
Tale iniziativa risulta essere un contributo alla decompressione del sovraffollamento, che può avere ricadute positive, chiaramente, anche sulla riduzione del fenomeno dei suicidi. Da questo punto di vista la proposta di legge del collega Giachetti in materia di liberazione anticipata si propone di aumentare stabilmente da 45 a 60 i giorni di sconto pena per ogni semestre di pena scontata e lo scopo, chiaramente, è anche quello di incentivare uno svolgimento proficuo del proprio percorso rieducativo.
Questa proposta di legge parte dall'amara consapevolezza che servono urgenti soluzioni rispetto alla drammatica situazione in cui versano le nostre carceri a partire dal sovraffollamento che, per quanto non rappresenti l'unico problema, però certamente, come dicevo poco fa, ne è un amplificatore.
Risolvere, quindi, il problema del sovraffollamento non significa risolvere in automatico gli altri problemi, che rimangono, ma permette almeno di affrontarli. Col sovraffollamento, invece, ogni altra soluzione certamente risulta inefficace.
Questa proposta di legge può essere, quindi, considerata un contributo per affrontare il problema, ma certamente agisce solo sui sintomi e non sulle cause. Quindi, è, sì, necessaria, ma anche insufficiente. È un tampone, che condividiamo, ma parallelamente serve molto altro, subito e ora.
Come dicevo poco fa, uno dei primi effetti del sovraffollamento sono proprio i suicidi, 44 nel 2024, quindi un dramma all'interno di un altro dramma. Da questo punto di vista io trovai, però, preoccupanti le affermazioni del Ministro Nordio in occasione della relazione annuale che il Ministro svolse qui in Aula il 17 gennaio scorso. Disse testualmente il Ministro Nordio: “Aggiungo, però, che, fatte le statistiche con gli altri Paesi, anche qui ci siamo autoflagellati perché il coefficiente di sovraffollamento delle carceri, che purtroppo è un fardello di dolore che grava su tutti i Paesi, non vede affatto l'Italia nei posti peggiori. Al contrario, non voglio fare qui polemiche ovviamente con altri Stati (…) ma vi posso assicurare che, anche in questo caso, l'Italia, semmai, sta tra i primi posti per trattamento umanitario dei detenuti”. Sempre il Ministro Nordio poi diceva, sempre qui in Aula: “Questo non toglie, per l'amor del cielo, nulla al fatto che siamo perfettamente consapevoli della situazione critica: ogni giorno assistiamo a episodi di autolesionismo, o addirittura di suicidio, o a episodi di violenza. Ho fatto il pubblico ministero per 40 anni e, da quando sono entrato in magistratura, queste cose le ho viste”. Poi, attenzione a come finisce il Ministro Nordio: “Le ho viste in Italia e le ho viste negli altri Paesi. Non possiamo pensare di eliminare questi fenomeni”. Eccolo lì! È davvero incredibile, anzitutto perché il Ministro ha detto che ci sono tanti altri Paesi che stanno peggio, quindi tutto sommato non stiamo a lamentarci, non stiamo ad autoflagellarci (così ha detto). Però, il Ministro Nordio - glielo ricordo - è un Ministro del Governo italiano e non di un altro Paese, quindi dobbiamo anzitutto pensare a risolvere i problemi in Italia e per l'Italia. Poi, la cosa davvero incredibile è quella conclusione: non possiamo pensare di eliminare questi fenomeni e si sta riferendo, tra le altre cose, anche, in particolare, ai suicidi. Invece, noi dobbiamo puntare ai suicidi zero. Certamente è un lavoro complicato e difficile, però quella deve essere l'aspirazione, altrimenti è una resa se già partiamo sconfitti dicendo che c'è sempre stato il problema del sovraffollamento e ci sono sempre stati i suicidi e, quindi, è normale così. No, non c'è nulla di normale e dobbiamo aspirare a suicidi zero.
Da questo punto di vista una proposta emendativa, che avevo presentato in Commissione - e poi arriviamo -, era finalizzata all'incentivazione, ad esempio, di un progetto, che mi è stato riferito essere molto efficace in alcune strutture carcerarie in cui sono andato in visita, sui cosiddetti centri diurni, un progetto, tra l'altro, finanziato da Cassa depositi e prestiti, perché lì abbiamo un' multidisciplinare, dove ci sono educatori, medici, psicologi eccetera, che può affrontare i casi più critici in ottica preventiva e, quindi, lì intervenire. Certo, serve aumentare i fondi per queste progettualità, che non devono, però, risultare davvero solo a livello di progetto ma in maniera stabile.
Poi, dovremmo - altra proposta emendativa che io ho fatto - ragionare sulla riforma delle misure alternative al carcere, magari anche in forma di delega al Governo, per non parlare, poi, della questione delle occasioni di lavoro per i detenuti, all'interno o all'esterno del carcere, che sono sempre troppo poche.
Allora, dobbiamo anche incentivare parallelamente le attività sportive, culturali e artistiche all'interno delle nostre strutture carcerarie, così tenendo occupati i detenuti. Questo permetterà anche la riduzione della conflittualità fra gli stessi.
Per quanto riguarda gli investimenti, le soluzioni sembra che il Governo le pensi soltanto rispetto alle strutture, strutture sempre più grandi, che chiaramente prevedono anche tempi molto lunghi per la loro realizzazione, quando, invece, potremmo andare in una direzione diversa, come quella della proposta di legge del collega Magi, l'Atto Camera 1064, di cui sono tra i primi firmatari, che, invece, si occupa delle case territoriali di reinserimento sociale, cioè strutture di dimensioni limitate, di capienza compresa tra le 5 e le 15 persone, destinate ad accogliere soggetti che devono espiare una pena detentiva non superiore ai 12 mesi, e anche detenuti assegnati al lavoro all'esterno o condannati ammessi al regime di semilibertà. Quindi, strutture più piccole, dove è possibile, però, una cura maggiore rispetto al singolo caso, in modo che i detenuti non siano semplici numeri, ma siano persone con una loro dignità. Invece, vediamo il Governo andare nella direzione opposta ogni volta che crea nuovi reati, con una vera e propria abbuffata panpenalistica. Vado a concludere, Presidente. Anzitutto, confermo l'appoggio del gruppo di Alleanza Verdi e Sinistra a questa proposta legislativa, seppur necessiti di alcuni correttivi, perché almeno dà una risposta immediata, seppur parziale, a un problema oggettivo.
Però, devo rilevarlo, spero che il fatto che il testo giunga oggi in Aula senza il mandato al relatore non sia indice di una volontà della maggioranza di bocciare, poi, qui in Aula, il provvedimento, o di rinviarlo a chissà quale data. Lo dico perché abbiamo già visto, in altre occasioni, provvedimenti arrivati senza il mandato al relatore. Quindi, devo anche dire e rilevare che oggi, in discussione generale, se escludo i colleghi di Forza Italia, in realtà, nessun collega della maggioranza ha deciso di venire qui, in Aula, metterci la faccia ed esprimere la propria posizione, magari anche in maniera difforme rispetto alla proposta Giachetti. Almeno i colleghi di Forza Italia la faccia ce l'hanno messa, sono qui presenti e spero che riescano anche a convincere i loro colleghi di maggioranza. Anche perché, parallelamente, se parliamo sempre del tema carceri, nel pacchetto sicurezza, che stiamo trattando nelle Commissioni congiunte affari costituzionali e giustizia, c'è una misura che riguarda i detenuti, in particolare le donne detenute incinte o con bimbi con meno di 3 anni di età. E mi rivolgo nuovamente ai colleghi della maggioranza: riflettete bene su quella misura, perché poi, magari, è sfuggita, nell'elaborazione da parte del Governo, quella modifica agli articoli 146 e 147. Fermatevi finché siete in tempo, bloccate quella modifica all'articolo 12 del pacchetto sicurezza, altrimenti non sarete, poi, più credibili quando si parlerà anche di senso di umanità.
Spero, quindi, di vedere questo testo, la proposta di legge Giachetti, presto in Aula, per poterla approvare con modifiche, come dicevo prima, ad esempio e in particolare, quella che prevede l'affidamento della competenza a decidere sulle riduzioni di pena al direttore dell'istituto penitenziario, che risulterebbe poi una deroga alla riserva di giurisdizione in materia di libertà personale, che quindi certamente necessiterà di un correttivo per poterla riallineare al dettato costituzionale.
PRESIDENTE. Colleghi, in via del tutto eccezionale, per un piccolo disguido di iscrizione, l'onorevole Benedetto Della Vedova è stato autorizzato ad intervenire per 3 minuti. Prego, onorevole.
BENEDETTO DELLA VEDOVA(MISTO-+EUROPA). Grazie mille, signor Presidente. Per lasciare agli atti il pieno sostegno di +Europa all'iniziativa legislativa del collega Roberto Giachetti e all'iniziativa politica non violenta della già deputata Rita Bernardini e di Nessuno Tocchi Caino. Naturalmente, l'obiettivo di togliere dall'illegalità costituzionale, oltre che dall'inciviltà, la vita nelle carceri, è un obiettivo di lunga durata e certamente le condizioni attuali non sono imputabili a questo Governo. Ma questo - lo dico al Sottosegretario - è il primo Governo, da oltre 10 anni, con una piena maggioranza politica e una totale agibilità parlamentare, a differenza di quelli che l'hanno preceduto. Vi muovete con disinvoltura sulla modifica costituzionale del premierato, senza alcun dialogo con l'opposizione, e avete fatto lo stesso sull'autonomia differenziata. Fatelo - lo dico al Sottosegretario e, in particolare, ai colleghi di Forza Italia - nel nome del garantismo e della civiltà giuridica, se non sono parole vuote. Fatelo usando questa iniziativa legislativa. Fatela propria. Avrete il plauso di tutti gli italiani che sanno - è stato citato Voltaire, nella discussione - che la civiltà di un Paese si misura dalla civiltà delle sue carceri. Potete farlo. Su questo avrete certamente il sostegno di +Europa, ma, come abbiamo visto nel dibattito, di tutta l'opposizione. Se non lo fate, la responsabilità della condizione carceraria, che resta incivile e incostituzionale, non per colpa vostra, d'ora in poi, se appunto non lo fate, sarà vostra.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il vicepresidente della Commissione giustizia, onorevole Pietro Pittalis.
PIETRO PITTALIS, . Prendiamo atto del dibattito. Noi su questo tema siamo vigili e attenti. È stato ricordato che c'è un provvedimento che dovrebbe essere a breve varato anche dal Governo sul tema. Io sono qui in veste di rappresentante, in qualità di vicepresidente della Commissione giustizia. Preannuncio, però, che, nel dare solidarietà, non solo a parole, alla già deputata Rita Bernardini per lo sciopero della fame, per quanto ci riguarda, il tema è all'attenzione e - con un'espressione che penso possa riassumere bene il senso anche della maggioranza - non gireremo la faccia dall'altra parte rispetto all'importanza e alla gravità di questo problema.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo, Vice Ministro della Giustizia, senatore Francesco Paolo Sisto, rinuncia alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
A questo punto sospendiamo la seduta, che riprenderà alle ore 14,30 per lo svolgimento delle ulteriori discussioni generali iscritte all'ordine del giorno della seduta odierna.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 85, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'al resoconto stenografico della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Riccardo Ricciardi ed altri n. 1-00291 concernente iniziative volte al riconoscimento dello Stato di Palestina .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori
Avverto che è stata presentata la mozione Zanella ed altri n. 1-00299 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente . Il relativo testo è in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritta a parlare la presidente Laura Boldrini. Ne ha facoltà.
LAURA BOLDRINI(PD-IDP). La ringrazio, signor Presidente. Colleghi e colleghe, signor Sottosegretario, recentemente, come lei saprà, Sottosegretario, si è svolta un'audizione del Ministro Tajani di fronte alle Commissioni affari esteri di Camera e Senato. Questa audizione era incentrata sugli sviluppi della guerra in Ucraina e anche dell'offensiva israeliana a Gaza. In quell'occasione, il Ministro Tajani ha ribadito che la linea del Governo italiano è riassumibile nella formula “due popoli due Stati” e cioè per l'esistenza di uno Stato di Palestina che conviva, in reciproca sicurezza e con reciproco riconoscimento, accanto allo Stato di Israele. Questa, in sé, è un'affermazione positiva, che condivido, ma come possiamo evitare che si riduca a una formula vuota - “due popoli due Stati” -, che stancamente viene ripetuta negli anni, senza che, peraltro, si facciano passi in avanti e senza alcuna articolazione del suo significato?
Intanto, bisogna vedere se siamo d'accordo sulle premesse e dobbiamo partire dalla realtà, se vogliamo analizzare le premesse. E la realtà ci dice che lo Stato di Israele esiste dal 1947 e quello di Palestina no, non esiste, sebbene, secondo le deliberazioni delle Nazioni Unite, avrebbero dovuto sorgere contestualmente. Due popoli ci sono; per avere due Stati ci vuole dunque quello di Palestina, entro i confini precedenti all'occupazione del 1967. La premessa, sulla quale bisogna vedere se siamo d'accordo, quando usiamo quella formula, “due popoli, due Stati”, è, quindi, che il popolo palestinese è vittima di un torto pluridecennale, avendo il diritto all'autodeterminazione, e anche che, non avendo attuato la risoluzione dell'ONU del 1947, si è operata una lesione gravissima, che ancora perdura, del diritto internazionale.
Siamo d'accordo, Sottosegretario, su questo? Mi dica, mi faccia un cenno, mi dia un riscontro. E, poi, sempre guardando alla realtà dei fatti, dovremmo constatare che l'area su cui, sempre secondo le Nazioni Unite, deve sorgere lo Stato di Palestina non ha più continuità territoriale, a causa della massiccia politica di insediamento di colonie illegali israeliane che hanno occupato intere aree della Cisgiordania, con , anch'essi illegali, di coloni armati che controllano il passaggio di veicoli e persone.
Nel 1987, signor Presidente, i coloni erano circa 70.000; alla vigilia degli Accordi di Oslo - quindi, parliamo del 1993 - il numero era salito a 136.500. Negli ultimi 10, il numero dei coloni israeliani è continuato a crescere. Sapete, oggi, quanti sono? Sono più di 700.000, c'è chi dice 750.000 e chi dice addirittura 800.000, quelli che vivono nei territori della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.
E, attenzione, ciò che è avvenuto e che ha portato a questi numeri non è stato un movimento spontaneo verso la Cisgiordania; no, è stata una politica deliberatamente messa in atto dai Governi israeliani, chi più, chi meno, intendiamoci, e questo nell'indifferenza o con il consenso tacito della comunità internazionale. Dunque, è evidente che questo processo di annessione - perché tale è: un processo di annessione -, che è in corso da decenni, accompagnato da soprusi e violenze, si potrà fermare solo attraverso il riconoscimento dello Stato di Palestina.
E, allora, ho chiesto al Ministro Tajani: siamo consapevoli che, per avere lo Stato di Palestina, bisogna rimuovere le colonie, che l'ONU ha dichiarato, più volte, in diverse risoluzioni, illegali? Dunque, rimuovere gli oltre 700.000 coloni, le persone che vi risiedono? Perché, se non si risponde affermativamente a questa domanda, diventa del tutto inutile, anche stucchevole, parlare di “due popoli e due Stati”. Il Ministro mi ha risposto: abbiamo messo sanzioni ai coloni violenti. Ora, come dire, chiaramente ha svicolato, non ha risposto e ha parlato d'altro.
Ma c'è un'altra prova del nove per capire se si vuole davvero che, oltre allo Stato di Israele, ci sia anche lo Stato di Palestina, che questo esista, e questa prova è contenuta nelle mozioni che stiamo discutendo. L'Italia vuole oppure no, ovvero, il Governo italiano vuole oppure no riconoscere lo Stato di Palestina, come hanno fatto recentemente Paesi come la Spagna, la Norvegia, l'Irlanda e la Slovenia? Il Ministro Tajani, in audizione, ha risposto - questa risposta veramente merita una nota -, giudicando pericolose e unilaterali iniziative di questo tipo, riproponendo la tesi secondo la quale lo Stato palestinese deve sorgere da una trattativa con il Governo israeliano, quel Governo israeliano che i palestinesi a Gaza li sta sterminando! Signor Sottosegretario, ma si rende conto del paradosso di questa affermazione? Netanyahu e i suoi Ministri hanno detto e ribadito più volte che per loro lo Stato di Palestina non ci sarà mai! Tutta l'azione politica di Benjamin Netanyahu si è basata su questa certezza: mai lo Stato di Palestina. Di che cosa stiamo parlando, allora? Che cosa va dicendo il Ministro Tajani?
Il Governo deve uscire dall'ambiguità, tanto più che il mutuo riconoscimento tra l'OLP, che rappresenta il popolo palestinese, tutto il popolo palestinese, anche quello della diaspora, e Israele c'è già stato, risale al 1993, nell'ambito degli accordi di Oslo. Il 10 maggio scorso, l'Assemblea generale dell'ONU ha approvato una risoluzione per accogliere la Palestina come membro effettivo. Sapete quanti sono stati gli Stati a votare favorevolmente? Sono stati 143 Stati, quindi, una maggioranza largamente superiore ai due terzi richiesti. Nove Stati hanno votato contro. E l'Italia che cosa ha fatto? L'Italia non ha fatto né una cosa, né l'altra, né sì, né no, si è astenuta. Meloni e Tajani scappano senza assumersi le loro responsabilità, nello stile Don Abbondio. Scappano, fanno finta di non aver capito, di non vedere.
È un atteggiamento veramente deprecabile, sempre un passo indietro. Per non dispiacere all'amico Netanyahu, dite dunque, a parole, che ci vuole lo Stato palestinese e, poi, quando si arriva al dunque, non votate neanche il minimo, cioè la rappresentanza palestinese come membro effettivo dell'Assemblea dell'ONU. Dunque di che cosa parlate? Io la prego, signor Sottosegretario, lo dica anche al Ministro, smettetela di parlare di “due popoli, due Stati”, non lo potete più fare!
Questo è un grande imbroglio, è un equivoco, è una presa in giro, perché, se veramente credete a “due popoli, due Stati”, allora votate a favore del riconoscimento della Palestina come Stato membro effettivo all'Assemblea generale dell'ONU. Ma non finisce qui, Presidente, perché il Ministro Tajani ha detto anche che riconoscere lo Stato di Palestina, come adesso hanno fatto questi ultimi Paesi che ho menzionato, sarebbe un'iniziativa unilaterale. Unilaterale? Ma come unilaterale? Già oggi 146 Paesi del mondo hanno riconosciuto lo Stato di Palestina: sono tutti scriteriati? Dove sta l'unilateralità? Unirci, allora, non sarebbe, invece, un gesto utile? Non sarebbe un gesto isolato, sarebbe l'unica cosa di senso da fare.
Il Parlamento italiano - lo ricordo per chi non era qui, in quegli anni - approvò già nel 2015 una risoluzione che impegnava il Governo a riconoscere lo Stato di Palestina e sarebbe ora, signor Sottosegretario, di dare esecuzione a quell'indirizzo parlamentare, ma per voi il Parlamento non conta niente, chiaramente il Parlamento è un passaggio obbligato, disattendiamo quello che dice il Parlamento, tanto fra poco ci sarà il premierato, no?
Dunque, per questo, come hanno fatto gli altri gruppi, riteniamo importante presentare una nuova mozione per il riconoscimento, che mi auguro tutta la Camera voglia condividere, per mettere l'Italia nella parte giusta e darle un ruolo attivo, uscendo dalle retrovie, così come riteniamo importante che si arrivi anche al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell'Unione europea.
Uno Stato per i palestinesi serve, dunque, a colmare un'ingiustizia verso un popolo che ha diritto, come tutti i popoli, alla propria autodeterminazione e anche a sanare una lacerazione nel tessuto del diritto internazionale che dura da 77 anni, ma serve anche a garantire la pace. E lo sapete anche voi, signori e signore del Governo, anche se non lo dite. Se fosse già esistito lo Stato palestinese, non ci sarebbe stato l'orrore terroristico del 7 ottobre e la carneficina che non si ferma ai danni della popolazione di Gaza, oltre 37.000 morti, quasi tutti, la gran parte donne e bambini. È come se scomparissero del tutto città come Aosta, Presidente, o città come Belluno o Nuoro.
È una strage, una strage di donne, una strage di bambini, di malati, è una punizione collettiva, è un crimine e se la Corte internazionale di giustizia intima a Israele di fermarsi prima di compiere un genocidio e il procuratore capo del Tribunale penale internazionale ipotizza l'esistenza di crimini di guerra e crimini contro l'umanità a carico di Hamas e delle autorità israeliane, chiedendo al tribunale l'emissione di mandati di cattura per Netanyahu e per il Ministro della Difesa Gallant, così come per Sinwar e altri di Hamas, ebbene, per il Governo italiano è come se non avesse parlato nessuno, nessuno, come se non fossero mai state pronunciate queste parole. Anzi, c'è pure chi reagisce con fastidio.
Per quanto ci riguarda, per quanto riguarda il Partito Democratico, noi stiamo dalla parte del diritto, dalla parte della legalità internazionale e del lavoro degli organi giurisdizionali internazionali e lo siamo sempre, Presidente, senza eccezioni. Il sistema delle Nazioni Unite va rafforzato, non delegittimato, così come va rispettato il ruolo del Segretario generale, che ultimamente, invece, è stato fatto oggetto di una vergognosa campagna denigratoria.
Bisogna pretendere da Hamas la liberazione degli ostaggi e non bisogna chiedere, ma bisogna imporre al Governo israeliano il cessate il fuoco. Gli strumenti ci sono, basta applicarli: sono le sanzioni, il blocco della fornitura di armi da parte di tutti i Paesi, la sospensione dell'Accordo di associazione tra Israele e l'Unione europea e la sospensione di ogni accordo commerciale.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell'Italia e dell'Unione europea può essere, quindi, anche uno strumento di pressione per far capire a Netanyahu e al suo Governo che devono fermarsi, anzi che devono dimettersi, come chiede anche la gran parte dell'opinione pubblica israeliana.
Sono queste, Presidente, le buone ragioni per le quali il mio gruppo ritiene importante presentare una mozione che chiede al Governo di riconoscere finalmente lo Stato di Palestina .
PRESIDENTE. Con il permesso dei due illustratori e se non vi sono obiezioni, è iscritta a parlare l'onorevole Stefania Ascari. Ne ha facoltà.
STEFANIA ASCARI(M5S). Grazie, Presidente. Lo scorso 28 maggio, Spagna, Norvegia e Irlanda hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina. Il 4 giugno a loro si è aggiunta la Slovenia e, solo pochi giorni fa, l'Armenia. Attualmente, circa tre quarti degli Stati membri delle Nazioni Unite e 13 Stati dell'Unione europea hanno riconosciuto lo Stato di Palestina; tra questi, però, non c'è ancora l'Italia, nonostante membri di questo Governo, la Premier Giorgia Meloni e il Ministro Tajani, parlino di soluzione “due popoli, due Stati”. È bene chiarire, però, che questo non è uno slogan vuoto, e non possono utilizzarlo per pulirsi la coscienza, mentre, nelle sedi internazionali, si astengono dal votare le risoluzioni ONU per il cessate il fuoco, per il riconoscimento della Palestina come membro effettivo dell'ONU e, soprattutto, non possono utilizzarlo per pulirsi la coscienza, mentre continuano vergognosamente a vendere armi a Israele.
Servono atti politici concreti; per questo vorrei ricordare, in quest'Aula del Parlamento, cosa significa riconoscere lo Stato di Palestina. Significa riconoscere formalmente la sovranità dei confini di quel territorio e il diritto all'autodeterminazione del popolo che lo abita; significa dare ad esso la possibilità di stringere accordi con altri Stati, relazioni diplomatiche, essere parte di organizzazioni internazionali, soprattutto sedersi, finalmente, ai tavoli e stipulare negoziati; significa porre fine all'occupazione illegale di territori altrui da parte di Israele, che è la prima causa di radicalizzazione, oltre all'assenza totale di diritti in capo al popolo palestinese; significa dare finalmente un vero segnale di disaccordo con la strategia terrorista di Netanyahu, che dal 7 ottobre ha dato libero sfogo alla sua furia omicida, portando avanti un tentativo di genocidio a Gaza, che finora ha provocato la morte di oltre 37.000 persone, soprattutto donne e bambini innocenti, che non avevano alcuna colpa. Parliamo di 14.000 bambini uccisi, 17.000 bambini rimasti orfani, perché a Gaza i bambini nascono già orfani, 4.000 bambini dispersi sotto le macerie e un numero imprecisato, invece, trovato nelle fosse comuni o fatto prigioniero dalle forze israeliane, un abominio.
Io penso che nessuno, oggi, possa ancora giustificare gli orrori di Gaza con il diritto di difesa di Israele, dal momento che Netanyahu ha scelto consapevolmente, deliberatamente, di bombardare una popolazione di oltre 2.200.000 abitanti, di utilizzare la fame e la sete come armi di guerra e, soprattutto, di bloccare l'ingresso degli aiuti umanitari al valico. Io Presidente c'ero, due mesi fa ero al valico di Rafah e ho trovato una situazione apocalittica, ho visto oltre 1.500 camion fermi, pieni di cibo, di medicine, di aiuti umanitari.
Di fianco al valico di Rafah, un villaggio fantasma, attorniato da un muro, forse con la volontà di deportare la popolazione palestinese in un nuovo carcere a cielo aperto, che non si sa se sopravvive alle bombe, se sopravvive alla fame, alla sete e, soprattutto, alle epidemie, come, per esempio, la diarrea, essendoci un bagno ogni 600 persone, in condizioni igieniche disumane. Io l'ho visto e chi non lo vede è perché non vuole vederlo. Anche la comunità internazionale, per fortuna, si sta svegliando: la Corte internazionale di giustizia ha parlato di plausibile genocidio, la Corte penale internazionale ha chiesto di emettere mandati di cattura, mandati di arresto contro Netanyahu e il suo Ministro della Difesa Gallant per crimini di guerra e crimini contro l'umanità nella Striscia di Gaza.
Cittadini e cittadine, studenti e studentesse stanno scendendo nelle piazze per chiedere il cessate il fuoco immediato e per chiedere di smetterla con questi massacri di innocenti. Il Governo italiano non può più nascondersi nei silenzi e nell'ignavia. Il tempo del silenzio è finito. Servono gesti concreti, serve il cessate il fuoco immediato e definitivo, serve la liberazione immediata di tutti, lo ripeto di tutti, gli ostaggi civili; serve il ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati, serve il riconoscimento pieno e formale dello Stato di Palestina.
Questo deve essere il primo passo per costruire una sicurezza duratura sia per il popolo israeliano sia per il popolo palestinese. Questa è l'unica via percorribile per la pace. Ogni attimo che si perde, Presidente, sono morti innocenti in più che pesano sulle coscienze di chi con un genocidio in atto ha deciso di starsene a guardare con le mani in mano.
Israele ha tutto il diritto di esistere, ma anche la Palestina ce l'ha. I bambini, le donne e gli uomini palestinesi devono poter godere della stessa dignità, degli stessi diritti e della stessa libertà di tutti gli altri popoli e devono poter finalmente ritornare a casa propria, dopo oltre 70 anni che sono profughi in casa propria. Chiudo, Presidente, con un invito: ritorniamo ad essere umani. Palestina libera !
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Quartini, che illustrerà la mozione Riccardo Ricciardi ed altri n. 1-00291, di cui è cofirmatario.
ANDREA QUARTINI(M5S). Grazie, Presidente. È direi, per certi versi, abbastanza pleonastico intervenire dopo la collega Stefania Ascari, perché ha raccontato il senso direi esistenziale della mozione che noi andiamo a proporre a questa Assemblea.
Credo sia davvero arrivato il momento per cui l'Europa - e l'Italia in questo può avere un ruolo davvero importante - arrivi a un riconoscimento concreto, importante, formale, che poi è anche sostanziale, dei diritti del popolo palestinese, diritti che sono stati violati in maniera criminale da tanti anni, troppi anni. Questo è un modo per rendere se non altro giustizia rispetto a coloro che sono costretti a essere profughi in casa propria. Credo non sia più tollerabile che il mondo cosiddetto civile non riconosca dignità a questo popolo così martoriato, così massacrato da tantissimi anni. Questo credo sia se non altro doveroso dal punto di vista etico, ma, direi, anche dal punto di vista spirituale.
La nostra capacità di riconoscere dignità e valore a tutti gli esseri umani credo sia un passaggio assolutamente importante su cui dovremmo riflettere. Naturalmente questo non toglie nulla alla condanna, e lo ripetiamo, del vile attacco terroristico del 7 ottobre di Hamas. Però, all'epoca, oltre alla disperazione per quanto accaduto a queste giovani vittime innocenti, in molti di noi si manifestò immediatamente una preoccupazione per quello che sarebbe potuto accadere nei giorni a seguire. Perché?
Perché la preoccupazione per il rischio di rappresaglia indiscriminata, sproporzionata, di ulteriore violazione dei diritti umani, di massacro, di carneficina nella prigione a cielo aperto, che era già la Striscia di Gaza, trasformata da inferno in apocalisse, purtroppo, è diventata poi una tristissima realtà.
Il bollettino più recente è impietoso: a Gaza altri 47 morti, per un totale che arriva a 37.598 morti, cui si aggiungono 86.032 feriti dall'inizio della guerra. La maggior parte, circa il 70 per cento, è rappresentata da donne e bambini. Guardate che quando si parla di “feriti” non si fa riferimento ad una ferita di striscio, non è una ferita superficiale: significa che sono bambini mutilati e, per gran parte della loro esistenza, avranno difficoltà immense nella vita quotidiana, nella vita di tutti i giorni proprio per queste mutilazioni.
Tutti i del mondo dicono: siamo contrari all'operazione israeliana su larga scala a Rafah.
Ma Israele, al pari dei terroristi di Hamas, continua a colpire le tendopoli di Rafah, i presidi della Croce rossa, gli ospedali, impedisce gli aiuti umanitari, impedisce l'arrivo di acqua e cibo. La catastrofe umanitaria generata è intollerabile e riguarda l'intera popolazione della Striscia, peraltro costretta a migrazioni di massa. Sono crimini contro l'umanità, è fuori discussione, e lo dice la Corte penale internazionale.
Nonostante questo, in gran parte, stiamo zitti. Tutti. I occidentali, a cominciare da quelli italiani, salvo rare e preziose eccezioni, neppure riportano più le notizie di queste stragi, divenendo colpevoli indirettamente di collusione con la politica di Israele che non potrebbe agire così impunemente, se tale politica fosse denunciata perché chiaramente ci sarebbe una grande pressione, se i raccontassero quello che succede. C'è già una pressione importante di tipo studentesco, di tanti cittadini che escono nelle strade, nelle piazze, in tutto il mondo, e chiedono il cessate il fuoco e il riconoscimento dello Stato di Palestina; e questo avviene nonostante non ci sia la capacità dei di raccontare la verità. Chi chiede maggiore informazione, addirittura, Presidente, viene ingiustamente tacciato di antisemitismo o di essere complice di Hamas, come è purtroppo successo al nostro collega Dario Carotenuto che chiedeva che i raccontassero di più e meglio quello che succede in maniera più oggettiva. È una vergogna che rende collusi anche coloro che lo hanno accusato.
Vede, Presidente, queste violazioni avvengono metodicamente da decenni in tutta l'area della Palestina, compresa la Cisgiordania, a più riprese, come segnalato nella nostra mozione, denunciate e condannate dai vari organismi internazionali, compresa gran parte dell'Unione europea. È da qui che è assolutamente importante, dal nostro punto di vista, che l'Italia prenda posizione, non si sottoponga nuovamente a una operazione di viltà. Semplicemente questo, perché non è pericoloso questo riconoscimento. Anzi, tutti gli osservatori a livello internazionale suggeriscono che il riconoscimento dello Stato di Palestina potrebbe contribuire in maniera significativa all'equità e alla giustizia dell'area, perché rappresenta un passo fondamentale verso una soluzione pacifica al conflitto in Medio Oriente, basata sulla parità dei diritti di entrambe le parti.
Garantirebbe stabilità e sicurezza, perché uno Stato palestinese riconosciuto potrebbe contribuire a ridurre le tensioni e a promuovere la stabilità nella regione. Non solo, faciliterebbe la cooperazione tra Israele e Palestina, per affrontare sfide comuni contro il terrorismo e l'estremismo; avrebbe un ruolo importante sul discorso dei diritti umani, perché il riconoscimento dello Stato palestinese è essenziale per garantire il rispetto dei diritti umani della popolazione stessa, compresi i diritti all'autodeterminazione, alla libertà e alla dignità.
In conclusione, Presidente, il riconoscimento dello Stato palestinese non solo rappresenterebbe un importante passo verso la pace e la giustizia nella regione, ma sarebbe anche un segnale di impegno per il rispetto dei diritti umani e della dignità di tutti i popoli coinvolti nel conflitto israelo-palestinese. Presidente, lo hanno già fatto 146 Stati, oltre il 74 per cento dei Paesi membri delle Nazioni Unite. Cosa aspettiamo, noi italiani, a fare questo passaggio ?
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calovini. Ne ha facoltà.
GIANGIACOMO CALOVINI(FDI). Colleghe e colleghi, sono sinceramente convinto che sia doveroso, in qualche modo, che l'Aula oggi inizi un dibattito su un tema sicuramente non facile, come quello che è stato affrontato fino a pochi istanti fa. Iniziamo, quindi, oggi una discussione giusta, su una mozione presentata dalle opposizioni, che riguarda l'opportunità del riconoscimento dello Stato della Palestina, in un momento in cui la tanto tragica, quanto delicata, situazione nella Striscia di Gaza e il contesto geopolitico del Medio Oriente non possono non portarci a fare una serie di lunghe e doverose riflessioni.
Tuttavia, mi permetto di pensare che tali riflessioni non possono iniziare se non facendo anche riferimento a quanto accaduto il 7 ottobre 2023: è una data in cui il mondo intero ha assistito, con sgomento, agli attacchi terroristici perpetrati dal gruppo terroristico di Hamas, atti di estrema brutalità, che hanno innescato un nuovo ciclo di violenza, in una regione in cui di certo la violenza, purtroppo, non è mai mancata negli ultimi decenni.
La conseguente risposta delle Forze armate israeliane, attraverso l'offensiva su Rafah, ha ulteriormente intensificato gli scontri, coinvolgendo anche le milizie di Hezbollah sul fronte libanese. Questo ha generato una crisi umanitaria di proporzioni devastanti - nessuno questo, ovviamente, può negarlo -, mettendo a rischio migliaia di vite di civili e destabilizzando ulteriormente una regione già troppo fragile.
Tuttavia, credo sia anche doveroso - mi permetta, Presidente, visto che parte della mozione invita a ragionare su quanto ha fatto e quanto può fare il Governo italiano, - sottolineare quanto il Presidente del Consiglio Meloni ha fatto sin d'ora, in veste di Presidente del G7, in cui ha profuso ogni sforzo per favorire il dialogo i negoziati tra le parti in conflitto. Una delle iniziative più significative è stata poi promossa dal Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Affari esteri, onorevole Tajani, che ha guidato un'azione collettiva di 13 Ministri degli esteri, esortando Israele a cessare le operazioni militari su vasta scala a Rafah e a garantire l'accesso agli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, che riteniamo, da tempo, essere doverosi.
È una crisi che è stata poi oggetto di approfondimento anche durante il Vertice del G7 che si è concluso la scorsa settimana, dove i mondiali hanno esortato le parti a raggiungere un cessate il fuoco, a proteggere i civili e a facilitare l'afflusso degli aiuti umanitari.
L'azione del nostro Paese ha, sino a oggi, dimostrato velocità e determinazione nel tentare di evitare un': questo è ben esemplificato nelle relazioni, ad esempio, con un Paese come l'Egitto. Il nostro Presidente, Meloni, ha tempestivamente partecipato al Vertice del Cairo per la pace, ribadendo il ruolo che storicamente l'Italia svolge come ponte di dialogo tra Europa, Mediterraneo e Medio Oriente. È un'assunzione di responsabilità che la stessa Meloni ha concretamente assunto, ancor di più rendendo possibile uno storico incontro tra il Presidente della Commissione, von der Leyen e il Presidente egiziano al-Sisi, che ha portato a un Accordo del valore di 5 miliardi di euro, che eviteranno il collasso finanziario dell'Egitto stesso, con la finalità di rendere sempre più stabile una regione nell'interesse, innanzitutto, di chi la vive.
Ma l'impegno umanitario del nostro Governo non si è limitato a mere dichiarazioni: con l'iniziativa , lanciata dallo stesso Ministro Tajani, l'11 marzo, l'Italia ha stanziato poi 30 milioni di euro, per assistere la popolazione civile palestinese, in collaborazione con la FAO, con il Programma alimentare mondiale, con la Federazione internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa. Questo sforzo collettivo di solidarietà ha ricevuto il sostegno sia di Israele che dell'Autorità nazionale palestinese, permettendo la distribuzione di beni di prima necessità all'interno di tutta la Striscia stessa. Parallelamente, il Governo ha ripreso i finanziamenti all'Agenzia per i rifugiati palestinesi, all'UNRWA, di cui tanto si è discusso, con un contributo di 5 milioni di euro, destinato alla popolazione rifugiata in Cisgiordania, in Siria, in Libano e in Giordania. Questo impegno è stato poi rafforzato ulteriormente, per garantire il principio di neutralità, come confermato dal rapporto della Commissione indipendente, presieduta dall'ex Ministro degli Esteri francese, Colonna. L'Italia ha poi sostenuto attivamente sforzi nella comunità internazionale per fermare il conflitto, come dimostra l'approvazione della risoluzione n. 2735 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del 10 giugno 2024: una risoluzione frutto della mediazione di Stati Uniti, Egitto e Qatar, che delinea un Piano in 3 fasi per la cessazione delle ostilità, per il rilascio degli ostaggi, per la protezione dei civili e per la ricostruzione di Gaza. Sappiamo bene, arrivando al merito della mozione, che la risoluzione adottata il 10 maggio 2024 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con 143 voti a favore, 9 contrari e 25 astenuti, raccomanda al Consiglio di sicurezza di riconsiderare l'ammissione della Palestina come membro delle Nazioni Unite. Il Governo italiano - rispondendo, Presidente, a chi mi ha preceduto - insieme alla maggioranza dei del G7 si è astenuto, non per viltà, ma perché ritiene doveroso che la creazione di uno Stato palestinese debba essere parte di un più ampio processo politico, coordinato a livello internazionale, che comprenda la soluzione di “due popoli, due Stati” ed è proprio questo, ovviamente, il punto del dibattito di oggi. Questa posizione poi, insieme agli alleati, è stata ribadita durante la riunione dei Ministri degli Esteri del G7 a Capri del 19 aprile: si è sottolineato che una soluzione territoriale per lo Stato palestinese debba essere definita attraverso negoziati, nel contesto di un assetto globale, riconoscendo anche lo Stato palestinese e il suo di membro, a pieno titolo, all'interno delle Nazioni Unite.
Alla luce di quanto detto, la campagna del Governo deve continuare a profondere ogni sforzo diplomatico per sostenere l'attuazione del Piano di pace, nei termini previsti dalla risoluzione n. 2735 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; deve continuare a impegnarsi a operare attraverso iniziative quali , per garantire costante e continua fornitura di aiuti umanitari alla popolazione civile della Striscia.
Il Governo italiano è chiamato a collaborare con i internazionali, per coordinare e promuovere iniziative, per una pace negoziata e duratura tra Israele e Palestina, nonché a sostenere, nelle sedi europee e internazionali, iniziative finalizzate al riconoscimento dello Stato di Palestina, nel quadro di una soluzione negoziata e basata sulla coesistenza di due Stati sovrani e democratici, che possano riconoscersi reciprocamente e vivere, fianco a fianco, in pace e sicurezza.
Siamo dunque convinti che solo attraverso il dialogo, la cooperazione internazionale e un impegno concreto sul campo si possa costruire un futuro di pace, un futuro di sicurezza per tutti i popoli del Medio Oriente. Fughe in avanti o azioni politiche unilaterali potrebbero avere, oggi, una forte eco mediatica, ma non andrebbero nella direzione auspicata da tutti. Oggi abbiamo bisogno di dialogo, responsabilità, di pace e di sicurezza. Ne abbiamo bisogno in ogni parte del mondo, specie in quell'area .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Devis Dori, che ringrazio per la sua disponibilità, che illustrerà anche la mozione Zanella ed altri n. 1-00299, di cui è cofirmatario.
DEVIS DORI(AVS). Il 28 maggio scorso, i Governi di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno formalmente riconosciuto lo Stato di Palestina. Pochi giorni dopo, il 4 giugno, si è aggiunta anche la Slovenia, diventando così 13 su 27 gli Stati dell'Unione europea che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Va ricordato che il 29 novembre 1947 le Nazioni Unite, con la risoluzione n. 181, decretarono la spartizione del territorio della Palestina storica in due Stati: uno ebraico, l'altro arabo. Il primo esiste, dal maggio 1948, il secondo, a oggi, non esiste.
Del resto, senza un accordo su confini, insediamenti e di Gerusalemme, la stessa nozione di due Stati per due popoli, sancita diplomaticamente con il Trattato di Oslo del 1993, rischia di restare carta morta. L'espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati nel 1967, la confisca di terre possedute da soggetti privati palestinesi, la demolizione di case e strutture e il conseguente abbandono coatto da parte dei residenti configurano una strategia diretta a impedire la nascita di uno Stato palestinese.
È innegabile che, in una situazione già complicatissima, l'attacco terroristico del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas in territorio israeliano - attacco terroristico che Alleanza Verdi e Sinistra condanna fermamente - in cui sono state uccise circa 1.400 persone e oltre 200 sono state prese in ostaggio, ha dato il via a una reazione militare israeliana a Gaza senza limiti, che dura ormai da 8 mesi. Da 8 mesi assistiamo a continui bombardamenti israeliani accompagnati dalle operazioni da terra, incessantemente in tutta la Striscia di Gaza, aumentando di giorno in giorno le vittime innocenti civili. Uccisioni che non risparmiano nemmeno gli operatori umanitari: sono circa 200 quelli che hanno perso la vita dall'inizio degli attacchi, e ricordiamo anche il bombardamento di due giorni fa nei pressi degli uffici del Comitato internazionale della Croce Rossa, che si poteva anche concludere in un vero e proprio massacro.
L'intensificarsi delle ostilità, in seguito all'emanazione degli ordini di evacuazione e all'operazione militare israeliana a Rafah, ha finora costretto lo sfollamento di circa un milione di persone, con una ulteriore diminuzione degli ingressi degli aiuti, già a fronte di una catastrofe umanitaria.
Nella Striscia di Gaza è un vero e proprio massacro di un popolo, imprigionato in una gabbia senza uscita. Di fronte a queste violazioni del diritto internazionale, al mancato rispetto dei diritti umani, ai crimini di guerra e al genocidio, non possiamo rimanere indifferenti. Il 20 maggio 2024 il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto di spiccare dei mandati d'arresto nei confronti del Primo Ministro israeliano Netanyahu, del suo Ministro della Difesa e dei tre principali esponenti di Hamas.
Secondo un recente sondaggio, il 60 per cento degli israeliani vuole il cessate il fuoco secondo la lanciata dal Presidente americano Biden. A questo, vanno aggiunte le continue manifestazioni che quotidianamente attraversano le strade di Tel Aviv, Gerusalemme e altre città, proprio per protestare contro il Governo Netanyahu. Due giorni fa uno degli scrittori israeliani più conosciuti al mondo, David Grossman, ha invitato proprio gli israeliani a combattere per le strade contro il Governo di Netanyahu. L'intera comunità internazionale deve adoperarsi perché cessino immediatamente le operazioni militari e le stragi quotidiane, e per impedire l'ulteriore del paventato attacco israeliano nel Sud del Libano, che avrebbe ulteriori drammatiche conseguenze nell'intera area mediorientale.
Le armi devono tacere, subito. Questo non per salvare i terroristi criminali di Hamas, ma per salvare due popoli. Lo dobbiamo fare per i palestinesi di Gaza, che muoiono sotto le bombe o per la fame o per la mancanza di assistenza sanitaria. Lo dobbiamo fare per gli israeliani contro le politiche di Netanyahu e dei partiti ultra-ortodossi che operano per distruggere qualsiasi prospettiva di pace. Per fare ciò è necessario, però, il riconoscimento dello Stato palestinese: sarebbe fondamentale per dare nuovo impulso e credibilità alle istituzioni palestinesi contro Hamas e le altre formazioni integraliste.
Serve, quindi, un'iniziativa che, contrariamente a quanto affermato da Netanyahu, non ceda all'attacco terroristico del 7 ottobre ma, al contrario, punti a creare le condizioni per superare la situazione insostenibile che ha portato quell'orrore. È urgente agire per fermare la carneficina a Gaza, fermare ogni altro spargimento di sangue in Palestina e Israele, liberare gli ostaggi, costruire una sicurezza duratura sia per il popolo israeliano che per quello palestinese, assicurare ai palestinesi la stessa dignità, gli stessi diritti che hanno gli israeliani, realizzare l'aspirazione del popolo palestinese a vivere in un proprio Stato indipendente.
Già il 27 febbraio 2015 il Parlamento italiano aveva impegnato il Governo al riconoscimento della Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967, e anche il Parlamento europeo, con la risoluzione del 17 dicembre 2014, ha chiesto il riconoscimento dello Stato palestinese e che la soluzione a due Stati vada di pari passo con il progresso dei colloqui di pace.
A tal fine, allora, Alleanza Verdi e Sinistra ha presentato una mozione a firma della nostra presidente Zanella, che chiede i seguenti impegni al nostro Governo. Anzitutto, riconoscere lo Stato di Palestina entro i confini del 4 giugno 1967 con capitale Gerusalemme Est, per imprimere una svolta positiva al necessario negoziato tra le parti, per garantire la coesistenza nella libertà, nella pace e nella democrazia dei due popoli.
Chiediamo, inoltre, al Governo: di lavorare in ogni sede internazionale per arrivare, in tempi brevi, a un cessate il fuoco definitivo a Gaza, per mettere fine alla catastrofe umanitaria in corso, nonché per l'interruzione di ogni ulteriore militare; di esigere il pieno rispetto del diritto internazionale, di supportare le richieste del Sud Africa alla Corte internazionale di giustizia e lo svolgimento di indagini sulle violazioni, sui crimini di guerra e sul genocidio; di sostenere ogni iniziativa per dare seguito al procedimento volto all'arresto del capo di Hamas e del Primo Ministro israeliano Netanyahu; di richiedere e sostenere ogni iniziativa diretta al rilascio dei palestinesi arbitrariamente detenuti nelle prigioni israeliane, a partire da Marwan Barghuthi, figura chiave per la pacificazione dell'area; di prevedere sanzioni nei confronti del Governo israeliano e di cessare immediatamente ogni fornitura militare allo stesso, anche se autorizzata prima del 7 ottobre 2023; e, infine, di unirsi a Spagna e Irlanda nel chiedere al Consiglio dell'Unione europea di sospendere l'accordo di associazione con Israele.
A fronte di tutto ciò, però, noi ci troviamo con un Governo - il Governo italiano - il cui Ministro Tajani, lo ricordo, anche qui, in Aula, affermò di volere il riconoscimento dello Stato di Palestina parlando di due popoli e due Stati; ma poi, nei fatti, il Governo tiene un atteggiamento vigliacco, come si è palesato nel voto di astensione dell'Italia sulla risoluzione ONU del 10 maggio scorso, dove l'Italia, appunto, si è astenuta sul riconoscimento della Palestina come qualificata per diventare a pieno titolo membro delle Nazioni Unite.
Come si fa a restare fermi di fronte a un genocidio che ogni giorno causa una media di 80 bambini uccisi nella Striscia di Gaza? Siamo arrivati, ormai, a quasi 38.000 morti nella Striscia di Gaza, da ottobre a oggi. Eppure, il Ministro Tajani ha detto, in risposta a un qui in Aula, che l'Italia, su quella risoluzione, si è astenuta perché in ogni caso sapeva che sarebbe stata approvata a grande maggioranza. Ed è veramente incredibile averlo detto, questa è la giustificazione: non abbiamo votato a favore perché tanto sapevamo già che c'era una maggioranza sufficiente. Ecco, questa è la sincerità di questo Governo. Quindi, l'espressione che viene utilizzata “due popoli, due Stati” pare più, però, in questo modo, un vuoto pubblicitario per nascondere la vera posizione del Governo Meloni sulla vicenda.
Concludo: il voto del 10 maggio scorso ha fatto anche il paio con l'altra astensione dell'Italia alle Nazioni Unite del 28 ottobre scorso sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. In quell'occasione, come ha detto Medici senza frontiere, con l'astensione dell'Italia vi è stato uno schiaffo al principio di umanità. Speriamo, quindi, che il Governo italiano esca finalmente dalle ambiguità e possa approvare gli impegni contenuti nella nostra mozione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Di Lauro. Ne ha facoltà.
CARMEN DI LAURO(M5S). Sì, grazie, Presidente. Oggi siamo qui a discutere la mozione che chiede il riconoscimento dello Stato di Palestina, e io credo che sia quanto mai consono e opportuno richiamare, in quest'Aula, le parole di un grandissimo scrittore e giornalista del secolo scorso, una mente, un'anima illuminata.
Sto parlando di Tiziano Terzani, ed è molto significativo, dal mio punto di vista, il fatto che il suo racconto della guerra dell'Afghanistan sia assolutamente aderente e simile a quello che sta accadendo oggi a Gaza, all'attualità di Gaza. Questo avviene, forse, perché probabilmente il male ha un solo volto; probabilmente il male ha un solo racconto, quando questo racconto, chiaramente, è onesto. E, allora, in questo infinito orrore che è questa guerra, io credo che le parole dei veri grandi di questa terra debbano riecheggiare, debbano essere ricondivise e rilette.
È un vecchio detto che in tutte le guerre la verità è la prima morire. In questa, la verità non ha fatto in tempo neanche a nascere. Spie, informatori, millantatori e molestatori pullulano ormai ovunque, ma il loro ruolo è diventato marginale. Quelli che davvero contano in questa guerra di bugie sono gli , gli esperti in comunicazione, gli addetti alle pubbliche relazioni. La verità in questa guerra sembra essere così indicibile che ha costantemente bisogno di essere impacchettata, di essere gestita, di essere oggetto di un'astuta campagna di comunicazione. “Così è diventato il nostro mondo: la pubblicità ha preso il posto della letteratura, gli slogan ci colpiscono ormai più della poesia e dei suoi versi. L'unico modo di resistere è ostinarsi a pensare con la propria testa e soprattutto sentire col proprio cuore”: questo scriveva Terzani, parlando di una verità, appunto, manipolata ed oscurata.
Ed è proprio quello che sta succedendo anche oggi. Sono stati messi a tacere giornalisti, cantanti e artisti. La parola “genocidio” non si può dire, eppure, nessuna truffa semantica potrà mai modificare quello che sta davvero accadendo a Gaza e a Gaza è in corso un vero e proprio genocidio sotto gli occhi del mondo intero; un mondo che, però, solo in parte ha speso parole giuste. Il nostro Paese, ad esempio, attraverso i suoi governanti, ha assunto vergognose posizioni ambigue; si è celato, a volte, anche dietro un silenzio altrettanto vergognoso.
Il 10 maggio 2024, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che riconosce la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, con 143 voti favorevoli e 25 voti di astensione. In quei 25 c'è anche il voto del nostro Paese. Questa è una macchia di cui il nostro Paese non si libererà mai. Quando abbiamo sventolato la bandiera palestinese, qui, in quest'Aula, per la prima volta nella storia, un collega di maggioranza - foraggiato anche dalla solita stampa di parte - si è affrettato a definirci “terroristi”.
Ecco, è proprio questa, quella sporca manipolazione che il popolo palestinese subisce, non da oggi, ma da anni: l'aver identificato un'organizzazione con il popolo; aver utilizzato il terrorismo - che, per carità, è qualcosa di orribile, che va condannato - per arrivare al vero obiettivo, ossia la pulizia etnica. Però, la verità - per fortuna - oggi corre più forte.
Presidente, per suo tramite, vorrei invitare i colleghi della maggioranza a uscire da qui, a parlare con le persone, a chiedere alle persone cosa pensano di questa guerra, ad andare nelle scuole e nelle università per parlare con i giovani, quei giovani che ignorano e che sono anche spesso vessati dai vari Ministeri del merito e quant'altro. Ecco, vi accorgerete che siete rimasti soli, o quasi.
Scrive, ancora, Terzani: “Le guerre cominciano nella mente degli uomini ed è nella mente degli uomini che bisogna costruire la difesa della pace”. Abbiamo sviluppato una grande conoscenza, ma non la conoscenza della nostra mente e, ancor meno, quella della nostra coscienza.
Ecco, io penso che oggi un primo passo per la coscienza collettiva sia quello di riconoscere, finalmente, lo Stato di Palestina, come hanno già fatto, di recente, numerosi Stati europei: ricordiamo la Spagna, la Norvegia e l'Islanda. Il riconoscimento dello Stato di Palestina non è solo un atto politico, ma è un gesto doveroso verso un popolo che, da troppo tempo, vive senza una patria riconosciuta, senza la possibilità di autodeterminarsi e senza la possibilità di vivere in pace e in sicurezza.
Il popolo palestinese ha diritto ad uno Stato proprio, così come sancito dalle numerose risoluzioni delle Nazioni Unite e come riconosciuto dal diritto internazionale. Riconoscere lo Stato di Palestina significa dare speranza, ma, soprattutto, legittimità, a milioni di persone; significa anche dare un futuro a migliaia di bambini che vivono in quella terra, ai bambini sopravvissuti: 16.000 bambini uccisi da ottobre ad oggi, 16.000 bambini, anche questo è terrorismo.
Infine, come esortava Terzani, penso che occorrerà guardarsi dentro e decidere di abbandonare, finalmente, la vigliaccheria, di smetterla di sottomettersi al sistema di potere che caratterizza il blocco occidentale e che già tanti danni ha arrecato a tantissimi Paesi. Solo così e continuando a percorrere la sacrosanta strada della soluzione “due popoli, due Stati”, forse, potremo avere la pace. Tuttavia, il perdono, quello no, quello non lo avremo mai .
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Posto che il Governo si riserva di intervenire successivamente, il seguito della discussione è, quindi, rinviato ad altra seduta.
Prima di procedere al prossimo punto dell'ordine del giorno, sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,35.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1718: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2024 .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, l'onorevole Pietro Pittalis.
PIETRO PITTALISGrazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare. Il provvedimento in discussione ha avuto una lunga gestazione sia a livello governativo che nel suo iter parlamentare. Ricordo che il provvedimento è stato depositato al Senato quasi un anno fa, precisamente il 19 luglio 2023, ed è stato in quella sede ampiamente istruito e significativamente modificato prima di approdare al voto finale, il 13 febbraio 2024.
La Commissione giustizia della Camera ne ha avviato l'esame il 13 marzo di quest'anno e a sua volta ha svolto un'istruttoria approfondita, acquisendo i contributi in audizione dell'Associazione nazionale magistrati, dell'Unione nazionale giudici di pace, di autorevoli giudici e procuratori della Repubblica, nonché dell'Unione delle camere penali italiane, dell'Ordine degli avvocati di Sassari, dell'Autorità nazionale anticorruzione, dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime, dell'associazione Vittime del dovere, nonché di autorevoli studiosi ed esperti. Come evidenziato dal titolo, si tratta di un intervento di ampia portata, investendo sia il diritto sostanziale penale che il codice di rito.
È per questo che, comprensibilmente, si è sviluppato un dibattito serrato tra le forze politiche in Commissione che evidentemente non ha investito solo aspetti di natura tecnica, ma anche una visione più complessiva del modello cui deve ispirarsi l'azione dello Stato nel settore penale e il suo rapporto con le tutele del cittadino che ne subisce la pretesa punitiva.
Alla luce dell'attività conoscitiva e del dibattito svolto in Commissione, che, sia pure serrato nei tempi, è stato comunque approfondito su ciascuna proposta emendativa oggetto di esame, la scelta è stata quella di confermare integralmente il testo approvato dal Senato. Sul provvedimento si sono altresì favorevolmente espresse la I Commissione (Affari costituzionali), la IV Commissione (Difesa) e la V Commissione (Bilancio).
Vengo, quindi, sia pure sinteticamente, al merito del provvedimento. Il provvedimento si compone di nove articoli: l'articolo 1, alle lettere , , e reca l'abrogazione del delitto di abuso d'ufficio, previsto dall'articolo 323 del codice penale, nonché le ulteriori modifiche volte a espungere nelle altre disposizioni del codice penale il riferimento a tale reato, segnatamente l'articolo 322-, nonché l'articolo 323- primo comma, codice penale, relativo alla circostanza attenuante della particolare tenuità del fatto.
Il tema, peraltro, era già oggetto di attenzione della Commissione che aveva, a suo tempo, avviato la discussione di alcune proposte di legge in materia, avviando anche un'ampia attività conoscitiva. Trattandosi di una abrogazione, la giurisprudenza sarà chiamata a valutare, in relazione ai procedimenti penali in corso, se si sia dinanzi ad una vera e propria , con contestuale archiviazione o assoluzione dell'imputato, ovvero a un fenomeno di continuità normativa riconducibile all'articolo 2, comma 4, codice penale, con conseguente applicazione della norma penale più favorevole all'imputato.
Nel medesimo articolo 323- nonché nell'articolo 323- viene quindi inserito il riferimento all'articolo 346- traffico di influenze illecite.
La lettera sostituisce integralmente il testo del citato articolo 346- e, ai sensi del primo comma del nuovo testo, le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere effettivamente utilizzate, non solo vantate, e devono essere esistenti, non solo asserite.
Al Senato, il concetto di sfruttamento, già presente nel testo vigente, è stato sostituito da quello di utilizzazione. In questo modo vengono meno le due modifiche introdotte dalla legge n. 3 del 2019, cosiddetta Spazzacorrotti, che erano state apportate al testo previgente al fine di assorbire il reato di millantato credito all'interno della fattispecie di traffico illecito di influenze. Tali condotte, di cosiddetta millanteria o vanteria, come specificato nella relazione illustrativa, rimarranno punibili ove ricorrano gli elementi costitutivi della fattispecie generale del reato di truffa.
Ancora, la disposizione in commento stabilisce che l'utilizzazione delle relazioni deve avvenire intenzionalmente, allo scopo di porre in essere le condotte che integrano la fattispecie delittuosa. Si chiarisce, quindi, la natura del dolo nella forma del dolo intenzionale, necessario per configurare la fattispecie criminosa. Si specifica, quindi, che l'utilità, data o promessa al mediatore in alternativa al denaro, deve essere di natura economica.
Ai fini della descrizione della condotta tipica, si prevede che il farsi dare o promettere indebitamente, per sé o per altri, denaro o altra utilità economica debba essere finalizzato alla remunerazione di un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322- in relazione all'esercizio delle sue funzioni o alla realizzazione di un'altra mediazione illecita.
La novella in esame innalza il trattamento sanzionatorio del minimo edittale da un anno a un anno e sei mesi. La relazione illustrativa specifica che ciò consegue alla riduzione dell'ambito applicativo della fattispecie di reato, limitato a condotte particolarmente gravi.
Il secondo comma dell'articolo 346- come novellato, reca una nuova esplicita definizione di altra mediazione illecita richiamata dal primo comma. Si intende tale la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322- a compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito. In sintesi, nel caso in cui il denaro o l'utilità economica non sia finalizzata alla remunerazione, si può configurare comunque la fattispecie delittuosa se l'accordo è volto al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio, costituente reato, idoneo a produrre un vantaggio indebito al committente.
Tale precisazione sembrerebbe coerente con la più recente giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto, in relazione alla cosiddetta mediazione onerosa, che essa è illecita in ragione della proiezione esterna del rapporto dei contraenti, dell'obiettivo finale dell'influenza compravenduta, nel senso che la mediazione è illecita se è volta alla commissione di un illecito penale, di un reato, idoneo a produrre vantaggi al committente. In questi termini si è pronunciata la Cassazione penale (sentenza n. 1182 del 13 gennaio 2022, Sezione VI).
Il terzo comma riproduce la disposizione esistente secondo cui la stessa pena si applica a chi, indebitamente, dà o promette denaro o altre utilità, inserendo la precisazione che deve trattarsi di utilità economica. Al nuovo quarto comma dell'articolo 346- si estende l'aggravante, prevista al terzo comma nella versione attualmente vigente, che ricorre nel caso in cui il soggetto agente rivesta anche una delle qualifiche di cui all'articolo 322- e non solo la qualifica di “pubblico ufficiale” o di “incaricato di un pubblico servizio”.
Non è invece riprodotto l'attuale quinto comma, che prevede una specifica circostanza attenuante per i fatti di particolare tenuità in quanto, come già anticipato, si rinvia all'articolo 323- che già la prevede unitamente alla circostanza attenuante per alcuni delitti contro la Pubblica Amministrazione, ivi elencati: la pena è diminuita da un terzo a due terzi per chi efficacemente si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.
Tramite il richiamo operato dall'articolo 323-, si estende al reato di traffico di influenze illecite la causa speciale di non punibilità, in presenza di autodenuncia e collaborazione con l'autorità giudiziaria. L'articolo 2 reca una serie di modifiche al codice di procedura penale. In particolare, la lettera , introdotta al Senato, modifica l'articolo 103 del codice di procedura penale - “Garanzie di libertà del difensore” -, aggiungendo i commi 6- e 6-. Il nuovo comma 6- estende il divieto di acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria anche ad ogni altra forma di comunicazione, diversa dalla corrispondenza intercorsa tra l'imputato e il proprio difensore, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
Il nuovo comma 6- introduce l'obbligo per l'autorità giudiziaria o per gli organi ausiliari delegati di interrompere immediatamente le operazioni di intercettazione quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientrano tra quelle vietate. La lettera modifica il comma 2- dell'articolo 114 del codice di procedura penale - “Divieto di pubblicazione di atti e di immagini” -, il quale, nella sua formulazione vigente, vieta la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni ritenute non rilevanti e, pertanto, non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415- o 454 del codice di procedura penale. Il disegno di legge amplia il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, consentendone la pubblicazione solo se il contenuto è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o è utilizzato nel corso del dibattimento.
La lettera , modificando il comma 1 dell'articolo 116 del codice di procedura penale - “Copie, estratti e certificati” - stabilisce anche il divieto di rilascio di copia delle intercettazioni delle quali è vietata la pubblicazione quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, salvo che tale richiesta sia motivata dall'esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altro procedimento specificamente indicato.
La lettera modifica l'articolo 268 del codice di procedura penale e, preliminarmente, giova ricordare che il decreto-legge n. 105 del 2023, nel testo licenziato dalle Camere, è intervenuto in materia, specificando, al comma 2, che la trascrizione nel verbale è limitata soltanto al contenuto delle intercettazioni rilevante per le indagini anche a favore dell'indagato e che il contenuto non rilevante ai fini delle indagini non può essere trascritto neppure sommariamente e nessuna menzione ne può essere riportata nei verbali e nelle annotazioni della Polizia giudiziaria.
In questi casi, nelle annotazioni della PG, deve essere apposta la dicitura “La conversazione omessa non è utile alle indagini”. Con riguardo al comma 2-, invece, è stato introdotto l'obbligo per il pubblico ministero di dare indicazioni e di vigilare sull'attività dell'ufficiale di Polizia giudiziaria, affinché i verbali siano redatti in conformità alle prescrizioni del comma 2 e che, in essi, non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone, nonché quelle che riguardano fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.
Il numero 1) della disposizione in commento, in ragione della mutata formulazione dell'articolo 268 del codice di procedura penale, ad opera del citato decreto-legge n. 105 del 2023 - avvenuta mentre era in corso di esame al Senato il disegno di legge in esame -, precisa ulteriormente al comma 2-che non debbano essere riportate nei verbali neppure espressioni che riguardano dati personali sensibili che consentano di identificare soggetti diversi dalle parti.
Il numero 2) interviene sul comma 6 del medesimo articolo 268, prevedendo l'obbligo di stralcio anche delle registrazioni e dei verbali che riguardano soggetti diversi dalle parti, salvo che non ne sia dimostrata la rilevanza. Si amplia, quindi, da un lato, l'obbligo di vigilanza del pubblico ministero sulle modalità di redazione dei verbali delle operazioni - cioè i cosiddetti brogliacci -, dall'altro, il dovere di stralcio del giudice.
La lettera interviene sull'articolo 291 del codice di procedura penale e il numero 1), al fine di meglio tutelare la degli indagati, modifica il comma 1-, introducendo per il pubblico ministero il divieto di indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti nella richiesta di misura cautelare con riguardo alle conversazioni intercettate, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione.
Il numero 2) inserisce sei nuovi commi, finalizzati a introdurre l'istituto dell'interrogatorio preventivo della persona sottoposta alle indagini preliminari rispetto alla eventuale applicazione della misura cautelare. Sul contenuto dell'interrogatorio preventivo, così come articolato, rimando alla relazione, per passare - per questioni di economia di tempo - alla lettera , che interviene sull'articolo 292 del codice di procedura penale. Il numero 1), attraverso modifiche al comma 2-, prevede l'obbligo del giudice di valutare, nell'ordinanza applicativa della misura cautelare e a pena di nullità della stessa, quanto dichiarato dall'indagato in sede di interrogatorio preventivo.
Il numero 2) ribadisce quanto già esplicitato con riguardo al divieto per il pubblico ministero di indicare nella richiesta di misura cautelare, con riguardo alle conversazioni intercettate, i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione, ponendo analogo divieto per il giudice con riguardo al contenuto dell'ordinanza applicativa della misura cautelare.
Il numero 3), infine, prevede la nullità dell'ordinanza se non è stato espletato l'interrogatorio preventivo o se questo è nullo, in quanto compiuto in violazione delle disposizioni concernenti il contenuto minimo dell'invito.
La lettera modifica l'articolo 294, con la previsione dell'interrogatorio di garanzia che, come è noto, in base alla legislazione vigente, previsto solo dopo l'applicazione della misura cautelare, non viene più richiesto se è stato svolto quello preventivo. Inoltre, sempre in tema di interrogatorio di garanzia, viene inserito un riferimento anche alla necessaria composizione collegiale del giudice delle indagini preliminari nei casi di misura di custodia cautelare in carcere, quindi, anche con una modifica sostanziale della norma in questione.
Altre modifiche rilevanti: la lettera modifica l'articolo 299 del codice di procedura penale, “Revoca e sostituzione delle misure”; la lettera modifica l'articolo 309, “Riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva” e, analogamente a quanto disposto dalla lettera , la lettera modifica l'articolo 213 del codice di procedura penale, attribuendo al giudice in composizione collegiale la competenza a decidere l'eventuale aggravamento della misura cautelare con l'applicazione della custodia in carcere. L'articolo 9 del testo in esame prevede, anche in questo caso, che la disposizione trovi applicazione decorsi due anni dall'entrata in vigore della legge.
Parallelamente, la lettera modifica l'articolo 328, “Giudice per le indagini preliminari”, prevedendo che sia rimessa al giudice in composizione collegiale la competenza a decidere sull'applicazione di una misura di sicurezza provvisoria quando essa è detentiva. La lettera novella l'articolo 369, specificando, al n. 1), che l'informazione di garanzia debba essere trasmessa a tutela del diritto di difesa e aggiungendo che deve contenere la descrizione sommaria del fatto. Il n. 2) introduce due commi aggiuntivi, uno relativo alla necessità che si proceda alla notifica dell'atto da parte della Polizia giudiziaria solo in situazioni aventi carattere di urgenza tali da non consentire il ricorso alle modalità ordinarie. La disposizione è posta in deroga all'articolo 148, comma 6, secondo periodo, del codice di procedura penale, il quale stabilisce, in via generale, che le notificazioni di un atto richieste dal PM possono essere eseguite dalla Polizia giudiziaria nei casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa Polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta a eseguire.
Vado velocemente alla sintesi delle altre principali modifiche, passando alla forma della impugnazione. Si interviene sull'articolo 581, nel senso che non è più necessario ricevere specifico mandato a impugnare. Poi, la lettera novella l'articolo 593, nel senso che il pubblico ministero non può appellare le sentenze di proscioglimento per i reati previsti dall'articolo 550, commi 1 e 2, del codice di procedura penale.
L'articolo 3, che è stato introdotto al Senato, è in materia di archivio delle intercettazioni.
L'articolo 4 reca modifiche all'ordinamento giudiziario, così come l'articolo 5, che reca un aumento del ruolo organico, a decorrere dal 1° luglio 2025, di ulteriori 250 unità.
Ci sono altri articoli, ma rinvio alla relazione scritta, dove sono meglio dettagliati anche gli aspetti riguardanti gli oneri finanziari che questo provvedimento determina.
PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo, il Vice Ministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, si riserva di intervenire successivamente.
È iscritta a parlare la deputata Michela Di Biase. Ne ha facoltà.
MICHELA DI BIASE(PD-IDP). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi e colleghe, tutte e tutti noi ricordiamo gli annunci in campagna elettorale dei principali della vostra maggioranza, coloro che oggi siedono tra i banchi del Governo, per una riforma strutturale della giustizia. Abbiamo capito, con amarezza, in questi mesi cosa intendevate: non l'impegno a superare i problemi strutturali di questo ambito dello Stato, come la lentezza dei processi o la carenza del personale negli uffici giudiziari, bensì una riforma frammentata, decreto dopo decreto, per evitare di affrontare la questione giustizia nel suo complesso.
Avete scelto questa strada invece di dare piena attuazione alle riforme approvate dai precedenti Governi e, ancora peggio, lo fate tagliando i finanziamenti. Infatti, nel piano pluriennale di bilancio è prevista una contrazione del 10 per cento delle risorse assegnate alla giustizia, da 11 a 10 miliardi di euro, e questo rischia di portare al collasso il sistema. Si chiama, pretenziosamente e pretestuosamente, riforma della giustizia un intervento residuale, come quello che ci troviamo a esaminare, che, in realtà, come ci avete abituato, è un intervento sulla giustizia a costo zero.
Con il cosiddetto DL Nordio ci si aspettava una riforma organica voluta dal Ministro. Il titolo evocava grandi imprese. Invece, ci si trova davanti a una serie di norme e articoli che, in realtà, si concentrano, in maniera sbagliata e talvolta populista, su poche questioni. Rispetto ai proclami roboanti di grandi riforme, vi presentate con una legge, a nostro avviso, mediocre, che, però, non per questo è meno pericolosa negli effetti che potrà produrre. Scegliere, non di riformare ulteriormente, ma smantellare l'abuso d'ufficio significa obiettivamente dare un messaggio che va di pari passo con l'annuncio, che lo stesso Ministro Nordio ha fatto, di voler mettere le mani sui reati della pubblica amministrazione. Incrinate il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione.
Mi prenderò tutto il tempo necessario per entrare nei dettagli del provvedimento, cercando di evidenziare quale sia stato il lavoro che, come gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, abbiamo cercato di portare avanti per emendare un testo che, così come pensato dal Ministro e approvato dal Senato, riteniamo essere irricevibile, oltre che lesivo dei princìpi del nostro ordinamento giuridico. Abbiamo letto l'intervista al Ministro, i toni trionfalistici di chi afferma che, con questa nuova legge, si velocizzano i tempi della giustizia. La realtà, ahimè, è un'altra. Si tratta di un provvedimento di scarsa portata, perché non avrà alcun effetto su quei problemi di efficienza e di velocizzazione dei processi che sono forse l'aspetto da risolvere del nostro sistema e del nostro apparato. È una legge che, però, nella sua ridotta efficienza, riesce a garantire quella dose di ideologia che abbiamo visto affiorare in ogni atto di questa maggioranza. Lo fa con le modifiche alla legge sulle intercettazioni e, ancora di più, con l'abolizione del reato di abuso d'ufficio. Quest'ultimo è il punto centrale di questa legge. L'avete presentata ai cittadini ponendo l'accento su questo aspetto, come fosse una svolta storica per il nostro Paese. A nulla - a nulla - sono valsi i pareri di molti esperti, qui alla Camera o al Senato, da dove è partito l'iter di questa legge; a nulla è valsa l'opinione di giuristi e avvocati, che hanno aspramente criticato la scelta di arrivare alla totale abolizione del reato di abuso d'ufficio.
È una decisione grave e profondamente sbagliata, perché l'abuso d'ufficio, come è stato detto e ricordato nelle Commissioni, è una norma essenziale per la punibilità dei reati contro la pubblica amministrazione, senza la quale si rischiano grandi buchi di tutela dei cittadini nei confronti degli abusi della pubblica amministrazione. Questa norma non si rivolge solo ai sindaci, ma l'avete raccontata al Paese come la legge che libererà i sindaci dalla paura della firma. In realtà, è una norma che colpisce gli abusi di potere di tutti gli appartenenti alla pubblica amministrazione. Non possiamo far finta di non sapere che la maggior parte delle sentenze definitive di condanna per abuso d'ufficio non riguardano i sindaci, ma altri esponenti della pubblica amministrazione, in particolare quelli che ricoprono incarichi con discrezionalità tecnica, dipendenti o consulenti esterni di aziende pubbliche o di enti territoriali, direttori di carcere, presidi, professori, ricercatori universitari, medici, direttori di strutture sanitarie o altri esercenti professioni sanitarie.
Ma veniamo alle questioni che riguardano i primi cittadini del Paese. Intanto, rigettiamo, con forza, al mittente l'idea che ci sia un partito che li vuole difendere e altri partiti che li vogliono vedere sotto attacco della magistratura e dell'opinione pubblica. Noi conosciamo bene, molto bene, i problemi dei sindaci, perché, molto semplicemente, riconosciamo e condividiamo le preoccupazioni che hanno sempre espresso in merito al rischio di essere indagati per reati che poi si rivelavano infondati. Conosciamo bene queste preoccupazioni e le condividiamo, perché sappiamo bene che l'amministratore pubblico è soggetto al controllo della pubblica opinione e la reputazione per un amministratore pubblico è il bene più prezioso. È quella reputazione che, se incrinata, mette in discussione il capitale politico che avevano accumulato con il buon governo dei loro territori, anche a fronte di una sentenza di assoluzione. Eppure, signor Presidente, anche a fronte di questa consapevolezza, riteniamo profondamente sbagliato procedere con l'abolizione totale di questa fattispecie di reato.
La cancellazione non risolve la questione, sia dal lato della tutela degli amministratori, sia rispetto al contrasto alla corruzione. Per i sindaci i problemi sono legati al sistema generale della responsabilità e il nodo principale, semmai, riguarda il testo unico degli enti locali per evitare che i sindaci rispondano di tutto quello che accade. Su questo chiedo ai rappresentanti del Governo, per suo tramite: dov'è finita la riforma del testo unico degli enti locali?
Non ci si può ergere a campioni e difensori del dovere di assicurare condizioni di lavoro tranquille e poi, a più di un anno e mezzo dall'insediamento del Governo, tenere ancora chiusa in un cassetto la riforma del TUEL e, soprattutto, quella sua parte che, distinguendo meglio tra responsabilità amministrativa e responsabilità politica, potrebbe davvero - quella sì! - portare a un risultato che liberi gli amministratori locali dal terrore della firma e dall'effetto paralizzante di essere considerati responsabili oggettivi di qualsiasi cosa di negativo accada nei loro territori.
Analogamente, bisogna rivedere alcune norme della cosiddetta legge Severino ed escludere la responsabilità erariale dei primi cittadini, se non per dolo. Sono tutti aspetti che, come Partito Democratico, avevamo sottoposto alla maggioranza con una serie di emendamenti, che sono stati respinti senza nemmeno darci la possibilità di un confronto reale. Il Partito Democratico ha avuto sempre molta attenzione su questo tema, proprio a partire da quelle preoccupazioni degli amministratori di cui ci siamo fatti carico.
Infatti, e giova in questa sede ricordarlo, già nel 2020 - come è stato già ribadito - a più riprese è stata ridotta la portata della fattispecie, con una giurisprudenza assolutamente maggioritaria e costante che ne dà riscontro in questi anni. Si poteva migliorare ancora? I nostri emendamenti provavano a farlo, ma sono stati respinti senza neanche essere presi in esame.
Non è accettabile continuare ad ascoltare un dibattito in cui si evidenzia che la norma dell'abuso d'ufficio produce una serie di guasti che non si è mai riusciti a sanare. Infatti, da quando abbiamo cambiato, nel 2020, quella norma, il numero di indagini e poi di archiviazioni e di condanne si è sensibilmente abbassato, dimostrando con estrema chiarezza che il tentativo, che è stato fatto, di circoscrivere l'applicabilità e la portata di quella norma, ha funzionato.
La norma, come si presenta oggi, funziona. E quindi, oggi, l'idea di intervenire nuovamente con questa scelta così estrema di abrogare il reato di abuso d'ufficio, senza neanche fare una verifica e chiedersi se la modifica del 2020 abbia avuto un impatto sull'ordinamento, è un modo di legiferare irresponsabile e, come già ribadito sopra, semplicemente ideologico.
Noi, con serietà e con responsabilità, abbiamo sempre cercato di ascoltare gli amministratori, partendo dai problemi reali e senza inseguire gli Come ha giustamente ricordato Anna Rossomando nella discussione al Senato, giacciono dalla scorsa legislatura, ripresentate in questa, due proposte di legge sulle altre ben più preoccupanti responsabilità per gli amministratori, cioè i reati omissivi impropri, il danno erariale e, ancora, la modifica di quella parte della legge Severino che ho citato in premessa.
La cancellazione del reato rischia, invece, di ingenerare un vuoto in un Paese che è appena quarantunesimo nel mondo nella classifica della corruzione, con il rischio di presentarsi, anche a livello internazionale, con grande imbarazzo per il contrasto con la Convenzione di Merida, in violazione delle direttive europee. Anche sulla pubblicazione delle intercettazioni la sensazione è quella di assistere a un dibattito vecchio e strumentale, che in gran parte è stato superato con la cosiddetta riforma Orlando del 2017.
Con quella riforma, insieme a quelle successive del Governo “Conte 2”, si è riusciti a costruire un meccanismo che ha evitato quantomeno gli abusi più gravi, e questo grazie alla creazione di un archivio riservato, nel quale vengono custodite tutte le intercettazioni. Voglio soffermarmi su questi punti perché rappresentano il cuore delle contestazioni a questo disegno di legge.
Illustri avvocati e giuristi hanno sottolineato che abrogare l'abuso d'ufficio rappresenta un errore gravissimo, anche guardando alla questione con un approccio garantista, perché a quel punto i magistrati indagheranno per reati più gravi. Ma se, invece, guardiamo al complesso delle norme sulla pubblica amministrazione, emerge con chiarezza che l'abolizione totale del reato rappresenta un grave per il nostro ordinamento.
Sarà utile tornare alle parole del procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, che ha ben spiegato che l'abuso d'ufficio non è un reato spia, è un grave delitto e basta, che ha una frequente connessione con l'agire delle associazioni mafiose. Basta pensare alla descrizione delle condotte associative fatte dall'articolo 416- del codice penale, per rendersi conto dell'interesse delle mafie a ottenere concessioni e autorizzazioni o, comunque, a condizionare la pubblica amministrazione. O ancora, come ci ricorda il presidente dell'Autorità anticorruzione, Giuseppe Busia, che ha sottolineato il normativo che rischia di generarsi con questa modifica normativa, in casi di violazione di legge e favoritismi in cui non vi è scambio di denaro, si creerebbero dei vuoti, ha spiegato Busia. È una certezza che il reato d'abuso d'ufficio rappresenti un tassello fondamentale dentro il sistema di norme contro i reati nella pubblica amministrazione e la sua abolizione rischia effetti gravissimi.
Signor Presidente, è necessario ribadire come il DDL Nordio apra irresponsabilmente un conflitto tra il nostro Paese e le istituzioni comunitarie e internazionali. È necessario ribadirlo e inquadrare con precisione la questione. “Ciascuno Stato parte esamina l'adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l'atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell'esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi, al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un'altra persona o entità”: questo è l'articolo 19 della Convenzione di Merida, caposaldo per la lotta alla corruzione, una Convenzione adottata nel 2003 e ratificata dal nostro Paese nel 2009.
Inutile girarci intorno, il disegno di legge che oggi ci proponete è in aperto contrasto con questa Convenzione, con i suoi princìpi e con le sue disposizioni. È stato eccepito che, in realtà, tale Convenzione suggerisce - non impone! - agli Stati di prevedere il conflitto di interessi. Spiace constatare che l'azione del Governo italiano, invece di concentrarsi sul rafforzamento delle norme di contrasto alla corruzione, sia stata tutta dedicata a convincere, anche in sede europea, sulla necessità di rendere facoltativa e non obbligatoria l'introduzione di norme sull'abuso d'ufficio. È l'esito del Consiglio giustizia-affari interni del 14 giugno scorso, di cui ha dato notizia lo stesso Ministro Nordio in queste ore.
Ma qui voglio aggiungere - ribadendo quanto sottolineato con precisione dal collega Bazoli durante il dibattito in Senato - che, comunque, con l'abrogazione dell'abuso d'ufficio, noi siamo già in contrasto con la normativa europea, quantomeno sotto il profilo del fatto che viene eliminato anche il peculato per distrazione internazionale, che, invece, è obbligatorio secondo le convenzioni internazionali. E questo ci mette in diretto contrasto con le convenzioni europee, per cui rischiamo da subito di essere in contrasto e in violazione proprio con le normative europee.
Oggi discutiamo un insieme di norme ispirate da un certo populismo, che rappresenta, a mio avviso, la cifra di questo Governo, come già visto durante la discussione di altre proposte di legge.
Non c'è altro modo per definire le modifiche che introduce sull'uso delle intercettazioni.
Concordiamo sulla regolamentazione molto rigorosa dei colloqui tra imputati e difensori, perché ovviamente il diritto alla difesa è sacro, ma, d'altra parte, contestiamo il rischio che si sottragga senza limiti ai cittadini il diritto all'informazione rispetto ai comportamenti di chi ricopre incarichi pubblici; così, come contestiamo la campagna sui costi della macchina giudiziaria che ricorda altre campagne populiste che, nel colpire la politica, hanno colpito il funzionamento della democrazia.
Con l'idea del budget, l'Esecutivo non solo interferisce con l'azione giudiziaria, ma dice anche che i principi assoluti e basilari di uno Stato moderno possono essere subordinati a condizioni di ordine economico. Si tratta di un messaggio che colpisce alle fondamenta il patto sociale e neutralizza la funzione riparatrice della giustizia.
Signor Presidente, prima di concludere, passerò a un'altra questione che viene introdotta con le modifiche presenti nel testo del provvedimento, ovvero al ridimensionamento del reato di traffico di influenze illecite. Il reato di traffico di influenze è stato introdotto nel nostro ordinamento per combattere la corruzione; è il reato che colpisce i cosiddetti faccendieri, i mediatori tra il privato e il pubblico ufficiale, che molto spesso sono alla base degli episodi di corruzione. Colpendo i mediatori, si anticipa la lotta alla corruzione, perché si colpisce il soggetto che porta il privato a diretto contatto con il pubblico ufficiale per costruire il patto corruttivo. È una norma di fondamentale importanza per la lotta alla corruzione e per questo motivo richiederebbe una grande attenzione nel proporre modifiche.
Il testo che oggi ci proponete contiene, invece, gravi errori che non possiamo tacere. Il primo riguarda il fatto che avete tolto dalle fattispecie del traffico di influenze la possibilità che il mediatore venga ricompensato con utilità di qualunque genere. Avete previsto solo l'utilità economica, disallineando così la fattispecie di traffico di influenze dalla fattispecie di corruzione, in cui, invece, qualunque utilità è oggetto del patto corruttivo. Ma c'è un errore più grave: l'aver tolto dalla fattispecie la possibilità che il mediatore, il faccendiere, commetta un reato quando si tratta di abuso d'ufficio, proprio perché questo non è più reato.
Ecco che emerge con chiarezza il prodotto dal vostro disegno di legge che rischia di compromettere il sistema di norme contro la corruzione nella pubblica amministrazione.
Arrivo a concludere, non senza sottolineare che il complesso delle altre norme che vengono introdotte con questo disegno di legge, e penso in particolare alle modifiche sui collegi giudicanti, rappresenta l'immagine chiara di quell'ideologismo che caratterizza il vostro approccio sui temi della giustizia. Avete previsto che le misure cautelari, in particolare la misura della custodia cautelare possa essere emessa soltanto da un collegio. Bene, è una decisione condivisibile che però stride con l'assenza delle risorse necessarie a dare attuazione a una misura di questa portata. Aumentare i collegi giudicanti in un panorama come quello del nostro Paese, in cui mancano i giudici, rappresenta un proclama vuoto, tanto che prevedete un arco di due anni per dare attuazione a queste norme, ma siamo pronti a scommettere che tra due anni saremo sempre fermi allo stesso punto di partenza.
Il Ministro Carlo Nordio, prima di diventare Ministro, aveva detto che l'errore della destra è di pensare di garantire la sicurezza attraverso l'inasprimento delle pene, la creazione di nuovi reati e, magari, con un sistema carcerario come quello che abbiamo, che - parole del Ministro, ci tengo a sottolinearlo - è criminogeno. Avevamo pensato che fosse un'idea complessiva di giustizia; evidentemente, invece, quelle parole valevano solo per l'abuso d'ufficio.
Così come è evidente, dopo aver visto l'azione di questi 18 mesi, che il Ministro Nordio non la pensi come il giurista Nordio: arrivato al Governo, ha dato il via libera a un panpenalismo mai visto nel nostro Paese, con l'introduzione a raffica di nuove norme, l'inasprimento delle pene e il totale disinteresse verso la condizione drammatica delle carceri italiane. È per questo populismo, che ispira anche questo provvedimento in discussione, che ribadiamo la nostra ferma contrarietà a questo disegno di legge .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calderone. Ne ha facoltà.
TOMMASO ANTONINO CALDERONE(FI-PPE). Signor Presidente, signori colleghi, in discussione generale è d'uopo fare una valutazione quanto più possibile tecnica dell'apparato normativo che, appunto, viene ad essere discusso alla Camera dei deputati. Cercherò di fare questo, precisando che tante norme previste in questo disegno di legge facevano e fanno parte del programma del mio partito, Forza Italia. E, quindi, posso ben dire e lo dico con orgoglio, certamente non con vanità, che il mio partito, ancora una volta, ha mantenuto quanto scritto nel programma.
Si è tanto parlato, credo, anche in maniera inesatta, dell'utilità o meno dell'abrogazione del reato previsto e punito dall'articolo 323 del codice penale, cioè dell'abuso d'ufficio. Ebbene, vorrei ricordare a chi è di memoria corta che più volte nel corso degli anni il legislatore ha tentato di aggiustare in maniera veramente quasi ossessiva questa norma che, lo possiamo dire in maniera netta, è servita veramente a poco.
Vedete, colleghi, non è un problema di numeri, non è un problema di processi che si concludono a tutto voler concedere dopo il primo grado con una sentenza di assoluzione. Il problema è un altro. Il problema è che funzionari, dirigenti, sindaci e amministratori per tanti lustri sono stati condizionati da una norma che altro non è - diciamolo chiaramente - se non un reato bagatellare.
Ha detto bene il Ministro Nordio in sede di Consiglio europeo quando ha precisato che il nostro Paese possiede un arsenale - ha usato questo termine, che mi piace utilizzare - per avversare la lotta alla corruzione. Quindi, ritenere, sostenere, urlare che l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio è un favore alla criminalità, come ho sentito qualche minuto fa, credo sia - ed uso un termine ovviamente elegante, vista la sede - un fuor d'opera. Non si fa una cortesia a nessuna associazione criminale; si mettono in condizione migliaia di amministratori, di funzionari e di dirigenti di agire con tranquillità e non con lo spauracchio di essere incriminati e, magari, sospesi con un'altra legge veramente deprecabile, come la legge Severino, dopo la condanna di primo grado. Noi li abbiamo messi in sicurezza, non in sicurezza nel senso che possono delinquere, ma nel senso che possono tranquillamente amministrare, perché, in tutti i convegni, in tutte le riunioni, ci è stato insegnato all'università che per una violazione di legge non si va davanti al giudice penale; per una violazione di legge, quand'anche fosse stata ritenuta, affermata e riscontrata, si va davanti al tribunale amministrativo regionale.
Quindi, quando sento dire - e questo fa veramente inorridire il giurista e l'interprete - che abolendo, abrogando l'articolo 323 non si potrà più tutelare il cittadino, credo che veramente ci sia un deficit di onestà intellettuale.
L'unico rischio - sono d'accordo, mi pare che lo abbia affermato la collega Di Biase - è che le procure possano contestare reati più gravi. Ma stiamo scherzando? Questo significa affermare di non avere alcuna fiducia nella magistratura.
Che cosa significa “non ti posso contestare il reato d'abuso di ufficio, ti contesto la corruzione o altri reati”, ma che ragionamento è? Noi dobbiamo verificare se una norma, se la di una norma, la funzione special-preventiva di una norma raggiunge il suo scopo o non lo raggiunge. Ebbene, Presidente, è la norma più fallimentare del nostro ordinamento positivo, il 323. Da quanti anni se ne parla? Nessuno era mai intervenuto, sempre ad aggiustare e a modificare, con il decreto n. 76 del 2020, che aveva quanto più possibile ristretto - io ne prendo atto, ci mancherebbe altro - gli elementi strutturali del 323, che oltretutto prevede - lo ricordo a me stesso - il dolo intenzionale. Ebbene, cos'è avvenuto? C'è stato un cambio di marcia? Assolutamente no, reato fallimentare era - fallimentare, nel senso che non raggiungeva gli scopi della norma - e reato fallimentare è rimasto. Quindi, è bene essere precisi - non voglio dire onesti - quando si discute dell'abrogazione di questa norma, così come - lo dico ai colleghi, nel caso in cui qualcuno se ne fosse dimenticato - ricordo che la presidenza del Consiglio europeo - sono stati riuniti i 27 Stati membri - ha accolto la proposta di rendere facoltativo, e non più obbligatorio, l'abuso d'ufficio, lo ha comunicato il Ministro Nordio, circa dieci ore fa. Quindi, io dico che tutta questa preoccupazione che abbiamo l'Europa addosso, che non sappiamo come fare, che è una norma che va in contrasto con i dettami dell'Europa, è, ancora una volta, un discorso, un argomento, un'argomentazione che non coglie nel segno.
Quindi, Forza Italia è stata sempre convinta che è una norma inutile; non è una norma che lascia il cittadino sprovvisto di tutela, perché ci sono altre norme, perché esiste il tribunale amministrativo regionale nel momento in cui viene violata la legge e ci si rivolge al tribunale amministrativo regionale. Altra importante novità legislativa, Presidente e signori colleghi: la necessaria, fondamentale modifica del traffico di influenze illecite. Cos'è avvenuto? È stato abrogato? Assolutamente no, è stata, come dire, reintrodotta la norma prima della cosiddetta “Spazzacorrotti”.
Vede, Presidente, a me piace leggere, a tal proposito, un passo motivazionale di una sentenza della Suprema Corte di cassazione, riguardo al traffico di influenze illecite, per rappresentare, rassegnare a voi tutti quanto pericolosa sia stata questa norma, e quando una norma è pericolosa e non lascia tranquillo il cittadino, non il criminale, è veramente una norma da censurare. Leggo testualmente: “Questa norma rischia di attrarre nella sfera penale - a discapito del principio di legalità - le più svariate forme di relazione con la pubblica amministrazione, connotate anche solo di opacità”. Non è Calderone che lo rappresenta al Parlamento italiano, alla Camera dei deputati, è la Suprema Corte di cassazione - che si rende conto che è una norma così difficile da inquadrare - che, indirettamente, ne chiede la modifica. Certo, se il trafficante - mi piace chiamarlo così, più che mediatore, ed è sempre la Suprema Corte che così lo definisce - ha un'utilità economica o evidentemente incassa dei soldi, è chiaro che deve essere punito, ci mancherebbe altro. Ma un'utilità in senso lato, così introdotta in maniera stolta - mi sia consentito - nel 2019, dalla cosiddetta “Spazzacorrotti”, creava quel perimetro non di illegalità, ma di preoccupazione, perché tutto diventa traffico di influenze illecite. Ma che Stato è? È lo Stato che è la culla del diritto, il nostro? È lo Stato di tradizione giuridica millenaria, quello che non lascia tranquillo il cittadino? Per carità, chi sbaglia deve pagare, dico cose scontate, ma che norme sono, che norme erano queste? Era una norma di caccia alle streghe, signor Presidente; non funziona così lo Stato di diritto. Per anni si sono bruciate biblioteche, ora sta ritornando uno Stato forte, uno Stato che punisce chi deve punire, non è panpenalismo, perché se mettiamo una norma - mi riferisco al decreto Sicurezza - che prevede che chi occupa abusivamente una casa di un cittadino va punito severamente, mentre qualcuno, qualche neodeputato europeo ritiene che occupare una casa sia una cosa legittima, e allora veramente abbiamo perso, abbiamo perso la strada, questa è la verità. E questo è panpenalismo? E mi scuso per avere divagato.
Sono state introdotte altre norme, anche qui non è giusto, non è corretto, non è etico riferire ai cittadini italiani che si è intervenuto nel regime delle intercettazioni e sul regime delle intercettazioni, quasi a volere dire: “Eh, beh, questo disegno di legge limita la possibilità di intercettare”. Vedete, questo va detto e può essere detto al bar, in un discorso tra amici, non tra giuristi, tra interpreti, tra parlamentari. Queste norme - ne farò soltanto un cenno - vanno a incidere su un campo che non ha nulla a che vedere con le autorizzazioni alle intercettazioni, cioè quello di tutelare il cittadino da un'offensiva mediatica che mette il cittadino in una situazione di grande difficoltà e di grande disagio, come sappiamo, e non serve assolutamente alle indagini.
Il comma 6 dell'articolo 103 del codice di procedura penale estende il divieto di acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria, a ogni altra forma di comunicazione diversa dalla corrispondenza fra imputato e difensore, tranne che non si abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
Ma si può contestare una norma del genere? Ci può essere qualcuno che non è d'accordo? Cioè lo Stato, secondo le parti che non sono d'accordo, dovrebbe entrare e curiosare nelle comunicazioni tra l'imputato e il suo difensore? E, magari, potrebbe farlo il pubblico ministero, per preparare la difesa, sapendo di cosa parlano l'imputato e il suo difensore. Ma si può essere in disaccordo con questa norma? Certo, si aggiunge - e non a caso e non per vaghezza - “tranne che non si abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo di reato” e ci mancherebbe altro. La della norma è tutelare il colloquio tra il difensore e l'imputato e, se non parlano di cose illecite - perché se parlano di cose illecite si può intervenire, perché è un corpo di reato -, cosa dovrebbe avvenire? Nessuno parla di questa norma, perché è una norma ottima? Cosa vuole l'opposizione? Curiosare nei colloqui tra l'imputato e il difensore?
Ma veramente, forse sono positivamente - ho il piacere di dirlo - condizionato da quasi 40 anni di professione, perché non si può fare il chirurgo se non si entra in sala operatoria. Queste norme le può capire benissimo e le può assimilare il chirurgo che è entrato in sala operatoria.
E, ancora, molto interessante è l'introduzione del comma 6, che introduce l'obbligo per l'autorità giudiziaria e gli ausiliari dell'autorità giudiziaria di interrompere immediatamente le intercettazioni quando risulta che la conversazione, la comunicazione rientri tra quelle vietate. Quindi, c'è una conversazione che si ritiene vietata, o, meglio, non si può curiosare, per essere estremamente chiaro.
Questa norma prevede che immediatamente l'autorità procedente debba interrompere l'ascolto. È una norma non ragionevole? È una norma nei confronti della quale non si può essere d'accordo? E ancora, possono ora essere pubblicate le intercettazioni, il cui contenuto è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o è utilizzato nel corso del dibattimento. Ma chi può essere contrario? Il pettegolo, la morale, il curioso? Le intercettazioni importanti che costituiscono la parte fondamentale per addivenire a un'ordinanza sono contenute e quelle si possono pubblicare; non si possono pubblicare le altre, quando magari l'imputato parla con sua moglie, con sua cugina, con il suo amico. Ma ci può essere qualcuno che è contrario? Stiamo parlando di divieto di pubblicare le intercettazioni o stiamo discutendo che si è data una stretta alle intercettazioni? Perché, vedete, chi utilizza questi termini utilizza termini impropri perché non si è fatta e non si è data alcuna stretta al sistema delle intercettazioni.
Ed ancora, è stato modificato l'articolo 116, ossia il divieto di rilasciare copie a terzi di intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione, tranne che non gli sia utile in un altro procedimento. Abbiamo scritto una norma spaventosa? Un terzo estraneo al procedimento non può andare a farsi le copie di un procedimento che non lo riguarda. E che cosa deve andare a fare il terzo? Che uso ne deve fare, se non quello magari di darle all'amico giornalista? Certo, se gli è utile per la propria difesa, il legislatore ha previsto che possono essere rilasciate, articolo 116 del codice di procedura penale, le copie di cui chiede il rilascio.
È stato modificato l'articolo 268: attenzione, nessuna limitazione alle intercettazioni, ma soltanto un obbligo di stralcio anche delle registrazioni e dei verbali che riguardano soggetti diversi dalle parti perché il pubblico ministero, ed è previsto per norma, deve vigilare sui brogliacci perché il diritto alla riservatezza è un diritto di rango costituzionale.
Bisogna smetterla con la pubblicazione di intercettazioni e di conversazioni che non riguardano i fatti per i quali si procede su tutti i giornali, quotidianamente. Su questo sta intervenendo il Governo, su questo è intervenuto il Governo. Si può essere contrari, certo, ma ricordatevi che gli altri siamo noi. Ricordatevi che gli altri siamo noi e questo dobbiamo averlo sempre presente per poter approntare e scrivere una buona norma.
Ed ancora, quante argomentazioni e illazioni sull'interrogatorio preventivo. Si dice: adesso, con l'interrogatorio preventivo, tutti si daranno alla fuga, tutti inquineranno le prove. L'abbiamo letta la norma? L'interrogatorio preventivo previsto dal legislatore, che è una norma di civiltà - e dirò anche brevemente perché -, deve essere espletato dal giudice procedente, salvo che non si ipotizzino il pericolo di fuga e l'inquinamento probatorio, ed ancora, sempre soltanto per i gravi reati, che non ci sia l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera .
Quindi, il giudice, al momento della decisione, deve verificare, perché, se c'è pericolo di inquinamento o pericolo di fuga o si ravvisa, per i reati più gravi, quelli ostativi, la sussistenza dell'esigenza cautelare, di cui alla lettera dell'articolo 274, non dà corso all'interrogatorio preventivo.
Si è detto: come fa in soli 5 giorni a poter rispondere? Come fa a leggere tutte le carte? E come fa? Come faceva e come fa nel momento storico in cui sto intervenendo e di cui stiamo discutendo. Che cosa è cambiato? Che adesso, per la persona sottoposta alle indagini, l'interrogatorio preventivo si ha pure per confessare, perché, se il soggetto o la persona sottoposta alle indagini, che viene preventivamente interrogata, magari ritiene di confessare, è chiaro che il giudice, nel momento in cui deve valutare le esigenze cautelari, davanti a una confessione, non sussistendo alcuna esigenza cautelare, ritiene, per mancanza delle esigenze cautelari di cui alle lettere , e dell'articolo 274, di non emettere la misura. Quindi, abbiamo evitato a qualche cittadino italiano di andare in carcere. Mi si può dire, in maniera veramente goffa: poteva confessare ugualmente all'interrogatorio. Sì, dopo 5 giorni di carcere, perché il carcere è come “gli altri siamo noi”, bisognerebbe provarlo tutti per capire che cos'è il carcere.
Perché è inutile che anche oggi fate tutte queste discussioni sulla liberazione anticipata, sullo sciopero della fame, sulle carceri che scoppiano e poi li volete mandare tutti in carcere. È inutile, cari colleghi del MoVimento 5 Stelle e del Partito Democratico, che andate a sostenere che le carceri stanno scoppiando. Stanno scoppiando anche per le leggi non condivisibili - volevo dire altro termine - che sono state fatte in questi anni. Ora interviene il Governo Meloni, interviene il Governo di centrodestra che sta ponendo limiti alle manette a tutti i costi che a qualcuno, anche in quest'Aula, piacciono tanto, e tanto, tanto, tanto, veramente.
E ancora, si dice: no, è una bella idea quella del collegio; è una bellissima idea quella del collegio che deve emettere una misura, però non ci sono i giudici. Tecnicamente, Presidente, colleghi, ma che prestigio ha un discorso del genere, in un'Aula del Parlamento? È una bella legge, ma non ci sono i giudici. Quindi, non pensiamo a mettere i giudici, come questo apparato normativo ha fatto (250 in più). No, siccome è una bella legge ma non ci sono i giudici, non variamo questa legge.
Ma ci rendiamo conto della bizzarria dei ragionamenti? E poi vi è il collegio che deve decidere sulla custodia cautelare in carcere, che è una cosa seria, ripeto è una cosa seria. Il carcere è patimento, è afflizione e dolore. Per carità, chi lo merita ci deve andare, il problema è che tante, troppe persone che non lo meritavano ci sono andate e ci continuano ad andare.
E poi, un'altra norma, e anche in questo caso esulta Forza Italia, che è quella dell'inappellabilità delle sentenze di primo grado relativamente ai reati a citazione diretta. C'è la legge Pecorella, è la stessa storia dell'Europa. C'è la legge Pecorella che è stata ammazzata - è stato usato questo termine - dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 26 del 2007. Leggiamola, perché? Perché quella era una norma, si esprime così la Corte costituzionale, “generalizzata”, cioè prevista per tutti i reati. È intervenuto l'odierno legislatore e ha fatto sì che questa norma, e lo vedremo, non sia per nulla incostituzionale.
L'articolo 3 prevede l'archivio delle intercettazioni. Il procuratore deve occuparsi di tutte le intercettazioni in archivio e deve preservare i dati personali relativi a soggetti diversi dalle parti. Ma come non si può essere d'accordo su questa norma?
L'articolo 4 reca modifiche all'ordinamento giudiziario. L'articolo 5 prevede quello che tutti vogliamo, che ci siano altri 250 magistrati a scrivere giustizia. L'articolo 6 è un'interpretazione autentica sui giudici popolari. Per i più potrebbe sembrare una “normetta” così.
Sapete, grazie al fatto che nessuno ci ha mai pensato, quanti processi di criminalità organizzata sono finiti nel nulla perché i giudici popolari, al momento dell'insediamento, avevano compiuto 65 anni e hanno annullato sentenze con centinaia di scarcerazioni? Ma perché non ci ha mai pensato il Governo di centrosinistra? Ci abbiamo pensato noi e lo abbiamo introdotto. Per evitare che cosa? Che magari, per un cavillo burocratico - se vogliamo assolutamente di contorno -, tante persone che meritano di stare in carcere non vengano più scarcerate.
Quindi sono tutte norme importanti, anche quella del limite all'avanzamento di carriera per chi aveva una denuncia, sto parlando dei militari: no, ci vuole una sentenza di condanna. Dobbiamo essere ragionevoli, nel momento in cui ci approcciamo a un tema delicatissimo come quello della giustizia, senza ideologie. Io credo, spero, auspico - e questo è il mio obiettivo finale - di essere sempre libero nel pensiero, di essere obiettivo, di pensare alla giustizia come un fatto che interessi tutti e non con i pregiudizi veramente ideologici, che tante volte, troppe volte caratterizzano i nostri interventi. Bisogna pensare a scrivere buone norme. Certo, tutte le norme possono essere migliorate. Certo, non c'è una norma perfetta. Certo, non c'è un legislatore che scrive una norma immodificabile, anche perché il diritto è la rappresentazione del momento storico di come i consociati percepiscono la realtà, quindi è chiaro che nessuna norma ha un effetto immanente. Però bisogna essere obiettivi e bisogna, tutti noi, tendere a questi obiettivi affinché il cittadino non si difenda più, signor Presidente, dal processo ma nel processo. Perché, Presidente, troppi cittadini italiani sono terrorizzati, e questo non va bene, lo dico a tutti. Nel momento in cui notificano un atto giudiziario non al delinquente - a cui non frega nulla - ma alla persona per bene - ed è questo il dato terrificante -, questa comincia a entrare in fibrillazione, comincia a terrorizzarsi, comincia a preoccuparsi. Perché è colpevole? No, no, Presidente, non perché è colpevole, ma perché non crede nel processo giusto. Noi dobbiamo sforzarci tutti - ed è questo il più alto e il più nobile ruolo che un Parlamento può avere - per tranquillizzare tutti i cittadini italiani, per far sì che nel prossimo periodo, anche immediato, ci si difenda sempre nel processo con tutte le garanzie.
Sulla fase esecutiva sono un po' più rigoroso perché, dopo la sentenza definitiva, bisogna scontare la pena. Però alla sentenza definitiva si deve arrivare con le garanzie massime, con le garanzie assolute, che purtroppo non ci sono, Presidente, non ci sono completamente. Fino a quando un cittadino ha paura di entrare in una caserma e ci saranno le intercettazioni rilevanti e non rilevanti, a discrezione del dell'appuntato che le ascolta, il cittadino italiano si troverà in una situazione di preoccupazione, se non di angoscia.
Voteremo favorevolmente, lo espliciterà chi si occuperà della dichiarazione di voto. Noi siamo molto soddisfatti di questo disegno di legge, e quindi Forza Italia, anticipo - lo farà, ripeto, chi si occuperà della dichiarazione di voto - il voto favorevole, condividendo totalmente l'apparato normativo in trattazione .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cafiero De Raho. Ne ha facoltà.
FEDERICO CAFIERO DE RAHO(M5S). Colleghi, colleghe, Vice Ministro, nel disegno di legge cosiddetto “Nordio”, per proteggere funzionari e amministratori pubblici e politici - così dite - volete abrogare l'abuso d'ufficio e rendere innocuo o più raramente applicabile il reato di traffico illecito di influenze. Bene, l'abuso d'ufficio poggia le proprie origini nel codice penale napoleonico del 1810: è bene ricordarlo questo, perché può sembrare che l'abuso d'ufficio lo abbiamo creato, ora, noi, o sia stato creato 10, 15, 20 anni fa. No, l'abuso del funzionario pubblico è stato storicamente inteso fin dal codice di Napoleone del 1810, venendo precisata poi, attraverso il codice del Regno delle Due Sicilie, nel 1819, questa importante fattispecie, per poi giungere al codice Zanardelli del 1889, che la intende quale forma di prevaricazione del potere esecutivo contro le emergenti libertà individuali dei cittadini. La caratterizzazione dell'abuso d'ufficio, nei codici ottocenteschi, si rinveniva nella strutturazione del delitto nelle forme dell'abuso di autorità, quale angheria del potere pubblico verso i nascenti diritti civili dei consociati.
Portate un attimo la vostra mente a quel tempo e vedete come fossero lungimiranti allora, siamo in un periodo monarchico. Contemplava, quella fattispecie, un presupposto indefettibile: l'atto arbitrario, quale condotta modale dell'agire del pubblico ufficiale. Più raramente recava la dovuta attenzione al fenomeno del clientelismo affaristico. Pensate quel che oggi vogliamo combattere, di cui oggi noi parliamo e, invece, oggi lo mettiamo da parte. Con la norma contenuta nell'articolo 175 del codice Zanardelli del 1889, più specificamente, si assisteva ad una omogeneizzazione tra differenti condotte di abuso di autorità, prevedendosi la sanzione penale sia per la condotta del pubblico ufficiale che, abusando del suo ufficio, ordina o commette contro gli altrui diritti qualsiasi atto arbitrario, non preveduto come reato da una speciale disposizione di legge, sia per la condotta del funzionario pubblico qualora agisca per un fine privato.
Arriviamo al codice Rocco: nell'articolo 323 viene inserito il precetto normativo, che resterà invariato fino agli anni Novanta, secondo cui il pubblico ufficiale che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge; per questo la punizione è la reclusione fino a due anni o la multa da 20.000 a 400.000 lire.
Con le innovazioni dell'attuale disegno di legge del Ministro della Giustizia viene cancellata una figura di reato storica, che anche il Governo monarchico e quello del regime fascista avevano conservato. Oggi, allora, potremmo dire che l'attuale Governo e più conservatore e protettivo del potere pubblico dei Governi monarchici e del periodo fascista. Si sta eliminando uno strumento di tutela dei cittadini di importanza storica, arretrando il nostro Paese di 200 anni nella storia della tutela dei diritti. Attraverso l'introduzione delle disposizioni che abrogano il delitto di abuso d'ufficio e restringono la fattispecie del traffico illecito di influenze, si va ad innovare profondamente sul sistema penale, andando a novellare, in senso assolutamente peggiorativo, fattispecie assolutamente utili e necessarie alla difesa di beni giuridici, di diritti e di valori.
L', anche nei casi in cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio intenzionalmente arreca ad altri un danno ingiusto, configura un grave arretramento della difesa dei cittadini di fronte a comportamenti illeciti della pubblica amministrazione, e, laddove l'abuso non si realizzi con atti suscettibili di ricorso al TAR - e questo lo dico all'avvocato e onorevole Calderone, che è andato via, purtroppo -, ma con comportamenti materiali gravemente prevaricatori, l'priverà i cittadini di ogni difesa, perché nei confronti dei comportamenti non c'è difesa, non si può ricorrere al TAR; quindi, non tutti i comportamenti, non tutti gli atti sono impugnabili. I comportamenti non lo sono, e allora, di fronte ad essi esisteva - o esisterà ancora, fin quando non l'avrete abrogata - la fattispecie di abuso d'ufficio.
Quei comportamenti prevaricatori saranno declassificati dal piano della rilevanza penale a quello etico-morale. Ma, soprattutto, l'atteggiamento del Governo in questo articolato evidenzia un riorientamento culturale negativo nei confronti di tutta la disciplina sanzionatoria del comparto normativo della corruzione, di cui l'abuso d'ufficio è reato spia, come è stato detto da tutti i magistrati che sono stati sentiti nel corso delle audizioni svolte innanzi alla Commissione giustizia di questa Camera dei deputati.
Tale atteggiamento del Governo contribuisce ad alimentare un senso di impunità e ad ammettere, implementandoli, comportamenti prevaricatori oggi inibiti dal rischio dell'incriminazione penale. Ma quale rimedio avranno i cittadini che, partecipando a un concorso, riterranno violate le regole con la loro esclusione a favore dell'amico, del parente o del favorito di turno? Quasi sempre chi partecipa a un concorso rinuncia a far valere il proprio diritto, non potendo sostenere il costo della difesa.
L'abuso di ufficio è una tutela per il cittadino, e invece lo avete fatto passare come se fosse lo spauracchio dei sindaci. Ma i sindaci vogliono le regole, perché le regole per loro sono una difesa contro le violenze e le minacce, contro le angherie, le prevaricazioni, tutto ciò che devono subire. I sindaci onesti vogliono le regole. Si pensi, ancora, al componente di commissione di concorso che rivela le tracce di prove scritte, come capitò in un famoso concorso. Si pensi al dirigente del competente ufficio, che rilascia un permesso a costruire in violazione delle norme edilizie.
Si pensi al poliziotto che, abusando dell'uniforme, contesti un'infrazione stradale inesistente, e tanti, tanti altri sono ancora i casi in cui i pubblici ufficiali abusano del loro potere. L'dell'abuso di ufficio elimina la tutela nel caso in cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale. E anche qui: quale rimedio ci sarà? Quando taluno ometterà di astenersi, tacendo la sua condizione, cosa avverrà? Quale difesa ci sarà, di fronte a questi comportamenti?
La disattivazione della deterrenza della sanzione penale si aggiunge alla mancanza di norme adeguate in tema di conflitto di interessi e alla totale assenza di una legge di regolamentazione dell'attività delle . Ebbene, ancora una volta ci troviamo di fronte a regolamentazioni e a leggi che non si vogliono, e l'abuso d'ufficio era ancora un presidio di legalità di fronte a vicende che, appunto, toccano questi grandi centri di potere.
È inammissibile, irragionevole, contrario al buon senso e ai principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione abolire il reato di abuso d'ufficio, che punisce gravissime condotte di intenzionale strumentalizzazione del potere pubblico per finalità profittatrici, sopraffattive e prevaricatrici. Non vi è più tutela penale per i principi di buona amministrazione e imparzialità, principi affermati dalla nostra Costituzione all'articolo 97.
Abolire l'abuso d'ufficio significa anche determinare ricadute negative e immediate sull'attività della procura europea, che deve svolgere un ruolo di grande importanza in questa fase storica, nella quale è elevato il rischio della predazione mediante condotte che, a legislazione vigente, integrano, appunto, il reato di abuso d'ufficio.
L'dell'abuso d'ufficio determinerà l'archiviazione dei procedimenti penali attualmente instaurati dalla procura europea per tale reato, e impedirà l'esercizio dell'azione penale a tutela degli interessi economico-finanziari dell'Unione europea. Va anche considerato che nella proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta contro la corruzione, i Paesi europei sono stati invitati, al fine di rafforzare i presìdi di contrasto alla corruzione, a introdurre la fattispecie di abuso d'ufficio, anche descrivendone i contenuti minimi. L'Italia, quindi, si distacca dalla traccia data da quella proposta di direttiva e abolisce il reato. Va sottolineato che ben 25 Paesi hanno adottato la fattispecie di abuso d'ufficio.
Il rischio dell'abuso di potere o abuso di ufficio si è particolarmente accresciuto a seguito della dilatazione della discrezionalità dei pubblici amministratori nell'affidamento degli appalti pubblici. Torniamo a quell'aspetto che avevo poc'anzi evidenziato: sindaci e componenti delle stazioni di appalto sono soggetti che vogliono le regole, soprattutto in determinati territori, nei quali dominano organizzazioni criminali, laddove fino a un certo momento si può dire: “non posso, la norma non me lo consente”. Quando abbiamo escluso le regole, quando abbiamo abrogato i reati non si potrà dire nemmeno “la regola non lo consente, la norma mi punirebbe”. Non esiste più la norma che punisce, non esiste più la regola per la discrezionalità nell'assegnazione degli appalti.
Vorrei che un po' i nostri colleghi tutti andassero nei territori dove dominano le organizzazioni criminali , quelle più infiltrate nei territori, laddove i loro emissari, i loro esponenti sono soggetti che si muovono nella società civile. Ecco, credo che, forse, parlando con loro più che parlando tra noi, ci si rende conto e ci si renderebbe conto di quelle che sarebbero le conseguenze, di quelle che saranno le conseguenze.
L'abuso d'ufficio è stato novellato dall'articolo 23 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, recante misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale, che ha introdotto restrizioni nell'ambito di rilevanza penale delle condotte tipiche, per contrastare il fenomeno della cosiddetta paura di firma. È stato così previsto che “il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge” - quindi, stiamo parlando di comportamenti specifici, descritti - “e dalle quali non residuano margini di discrezionalità” - cioè, non sono previsti comportamenti diversi, ma solo quello, questa è la formulazione che quel decreto-legge, poi convertito in legge, ha introdotto, proprio per soddisfare quei sindaci e tutti coloro che affermavano che vi era la paura della firma - “ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti dalla legge” - quindi, è tutto previsto dalla legge ed è specificamente preordinato a determinati comportamenti, non c'è da scegliere, nel senso che quello è il comportamento da assumere - “intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. Ma di cosa stiamo parlando, signori? Ma di che parliamo? Vi è una norma che impone un comportamento e quel comportamento non viene tenuto, perché si vuole assumere o acquisire un profitto patrimoniale. E, allora, che c'entra la paura della firma? Cosa c'entra la paura della firma?
Ma tentiamo di nascondere quella che, invece, è la verità: bisogna proteggere il potere; il potere pubblico, da chiunque venga esercitato, va protetto. Il cittadino, invece, passa in secondo piano. Il cittadino è uno dei tanti, uno che deve andare soltanto a riempire la scheda quando va a votare. Poi, per il resto, sono gli altri che decidono, mentre il cittadino nemmeno avrà più quello strumento che aveva prima, la denuncia, che attivava il pubblico ministero, il quale, d'ufficio, espletava le indagini e verificava se, effettivamente, ricorresse questo comportamento che la norma, invece, non consentiva; se, effettivamente, vi era questo atteggiamento che procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale al soggetto. Da questa formulazione si coglie con chiarezza che il reato è configurabile nei soli casi in cui esista una norma che, in modo netto, descriva il comportamento da tenere, e, di fronte a tale imperativo, il pubblico ufficiale tenga intenzionalmente, invece, un comportamento diverso.
L'abuso di ufficio dota di tutela penale valori fondamentali per l'amministrazione…
PRESIDENTE. Deve concludere
FEDERICO CAFIERO DE RAHO(M5S). Ma già sono passati venti minuti? Proseguirete voi, per il resto. Dal 1997 al 2020 risultano oltre 3.600 condanne per abuso d'ufficio. I cittadini che ritengono, a torto o ragione, di avere subito un abuso dall'amministrazione, dal funzionario pubblico, dal direttore del carcere, dal medico del Servizio sanitario, dal professore o dal preside, chiunque abbia subito un abuso di potere non potrà più denunciare. Gli accordi illegali riguardanti gli affidamenti di appalti, che oggi integrano l'abuso d'ufficio, non verranno più denunciati.
Ci sono tanti procedimenti penali perché sono tanti i casi in cui, a torto o a ragione, i cittadini ritengono di avere subito un abuso. L'abuso d'ufficio, come è stato evidenziato nel corso di numerose audizioni nella Commissione giustizia, è un reato spia importante per il sistema della corruzione, sia per le infiltrazioni mafiose sia per le illegalità commesse nello sviluppo degli appalti.
FEDERICO CAFIERO DE RAHO(M5S). Presidente, con l'eliminazione anche di questo reato credo che, via via, riduciamo, eliminiamo presìdi di legalità, che sono - a nostro modo di vedere - fondamentali per la difesa della nostra democrazia .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bicchielli. Ne ha facoltà.
PINO BICCHIELLI(NM(N-C-U-I)-M). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signor Vice Ministro, arriva finalmente oggi, nella nostra Aula, il disegno di legge governativo denominato “disegno di legge Nordio”, che è il primo passo di quella grande riforma della giustizia che il nostro Paese attende da decenni e che, come centrodestra, abbiamo inserito nel nostro programma elettorale.
Questo disegno di legge di iniziativa governativa - composto da 9 articoli e già approvato dal Senato nel febbraio di quest'anno - reca modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare. Quindi, si tratta di una serie di norme eterogenee nel settore della giustizia. Sono norme, però, di civiltà: oltre all'abolizione dell'abuso di ufficio - di cui abbiamo già sentito parlare molto i colleghi - viene definito un perimetro preciso per il traffico di influenze; abbiamo l'interrogatorio dell'indagato prima dell'arresto cautelare; un collegio giudicante per gli arresti; la tutela dei terzi nelle intercettazioni; l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione.
Due, però, sono i princìpi fondamentali da tenere presenti quando, in materia processuale, si tratta di tutelare i diritti dell'imputato: quello enunciato dall'articolo 27 della nostra Carta costituzionale e quello stabilito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. L'articolo 27 della Costituzione recita “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”: questo, signor Presidente, lo vorrei ricordare ai colleghi che, anche in quest'Aula, spesso si affrettano a considerare colpevoli persone nemmeno rinviate a giudizio. Poi abbiamo il principio della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che, invece, è legato alla presunzione di innocenza e che rimarca come il rispetto dei diritti della difesa sia garantito ogni imputato.
In pratica, di cosa parliamo? In pratica, parliamo del cosiddetto giusto processo. La nostra ambizione è quella di avere una giustizia giusta, che non ponga ostacoli all'accertamento della verità e che, soprattutto, ponga al suo centro la certezza del diritto. Il diritto deve essere certo; il diritto deve essere chiaro. Di fronte a questo assunto, abbastanza elementare e banale, sorgono spontanee due domande: il nostro sistema giudiziario rispecchia questi princìpi? E, poi: tale sistema può essere concretamente migliorato, in questo senso? Ritengo che questa debba essere la preoccupazione preordinata e fondamentale del legislatore. Ritengo che questa, signor Presidente, debba essere la nostra occupazione; preoccuparsi senza occuparsi, senza, cioè, entrare in azione, non serve a nulla. Questo provvedimento ha fatto un percorso - direi - abbastanza lungo e travagliato: non parlo della sua vita parlamentare, ma, soprattutto, di quegli ostacoli e di quelle resistenze formulate da alcuni rappresentanti della magistratura e, soprattutto, da una parte delle forze politiche di minoranza.
Come Noi Moderati, l'anno scorso, abbiamo presentato una mozione - a prima firma del nostro presidente di gruppo, onorevole Lupi - con la finalità precipua di istituire, presso il Ministero della Giustizia, una commissione di esperti per monitorare l'applicazione dei princìpi costituzionali in materia di processo penale.
Il fine di tale commissione doveva essere quello di identificare e analizzare le criticità del sistema giudiziario penale rispetto ai principi costituzionali e di promuovere eventuali iniziative legislative al riguardo. Gli impegni che in quell'occasione abbiamo chiesto al Governo di sottoscrivere erano finalizzati, fra l'altro: a tutelare i diritti del soggetto indagato o imputato, attraverso iniziative normative mirate; ad adottare iniziative normative per disciplinare ulteriormente la materia delle intercettazioni, onde evitarne l'abuso; ad adottare iniziative normative volte a riformare il reato di abuso di ufficio e ad intervenire sulla norma che disciplina il reato di traffico di influenze illecite che, - come anche richiamato dal Ministro Nordio nel suo intervento che ha fatto in Senato il 6 dicembre 2022 -, difetta di tipicità e tassatività, consentendo, pertanto, l'avvio di indagini che rischiano di essere discrezionali.
Signor Presidente, veniamo alla parte del provvedimento più discussa, quella per cui tanto si è parlato, cioè l'abuso di ufficio. Abbiamo sempre ritenuto, come gruppo di Noi Moderati, l'abuso di ufficio, così com'è, così com'è messo in atto, un macigno che pesa sul buon andamento della pubblica amministrazione. Non è un caso che il numero delle condanne sia nettamente inferiore al numero delle indagini avviate. Vorrei ricordare che nel 2021 - i numeri sono importanti in questi casi, dietro ogni numero c'è una persona, c'è un uomo - su 5.418 procedimenti, ben oltre il 98 per cento è andato a finire o con un'assoluzione o con un'archiviazione, e si sono avute solo 9 - 9 su 5.418 - condanne al termine dell'indagine e 18 condanne nella fase del dibattimento. Sono numeri mostruosi, sono numeri che fanno venire i brividi, con le assoluzioni poi che arrivano dopo anni, quando ormai il danno amministrativo è stato fatto, con bravi amministratori che nel frattempo perdono ingiustamente la loro credibilità, cacciati senza motivo dal sistema amministrativo che è quello che poi ne subisce i danni e, soprattutto, con drammi personali e familiari che durano decenni e lasciano segni indelebili. Un reato che ha intasato gli uffici delle procure della Repubblica, impegnate in costose e inutili indagini. Lo stesso Ministro Nordio, in un'intervista del 23 giugno 2023 al , diceva: dopo 20 anni di cambiamenti, la norma dell'abuso d'ufficio è stata un fallimento, un vero spreco di risorse. Tuttavia, l'onere dei procedimenti avviati grava sugli amministratori locali, sul loro operato e sullo stesso sistema giudiziario, con amministratori locali che temono di essere accusati di abuso di ufficio, pur nella convinzione di aver agito sempre nel giusto. A volte, la sola ipotesi di poter incorrere in un'accusa di abuso di ufficio ha rallentato o limitato l'azione di governo del territorio. Quindi, un articolo, il 323 del codice penale, con riferimento all'abuso di ufficio, che è stato oggetto di ripetute modifiche dal parte del legislatore - non ricordo se erano cinque o sei - proprio perché non vi era la totale certezza del testo, la piena comprensione del testo, la completa attuazione di quel principio - che ho richiamato all'inizio del mio intervento - che vuole che il diritto sia certo, lasciandolo come un reato - possiamo definirlo - a condotta evanescente, il cui confine tra lecito e illecito è sempre stato troppo generico e che si è sempre prestato a interpretazioni giurisprudenziali divergenti e non uniformi.
Una pluralità di sindaci, di tutti i colori politici, pone tutta lo stesso problema, rappresenta tutta lo stesso timore, dichiara tutta di avere un'amministrazione molto spesso paralizzata dal timore di una sanzione per una condotta che può essere considerata delittuosa o ipotizzata delittuosa. Poi, si fa un processo e bisogna vedere come va a finire, ma quanti anni passano, quante risorse si impiegano e quant'è la paura. Questo, poi, ha un effetto moltiplicativo sugli altri funzionari e sugli altri dirigenti. Basta far caso ai dati che abbiamo detto prima, quei numeri mostruosi, per rendersi conto quando una norma non funziona bene, basta guardare a quella che è la sua attuazione. Dietro l'assoluzione, le migliaia di assoluzioni contro le poche decine di condanne, c'è sempre tutto un iter che viene messo in atto, una fase di indagini, una fase di prima notifica, avvio di conclusioni e, soprattutto, signor Presidente, - me lo lasci dire -, c'è il dolore, c'è il dolore da parte degli amministratori, che non meritano anche questo dolore: fra tutte le difficoltà nelle quali operano, vi è quella di doversi confrontare con l'incertezza di una norma che li espone a un pericolo per superare il quale devono affrontare un processo dispendioso e lungo.
Se vogliamo un'Italia veloce, dobbiamo intervenire rimuovendo tutti quegli aspetti, in alcuni casi squisitamente burocratici, che possono rientrare comunque sotto il controllo delle autorità preposte. L'ipotesi di abuso di ufficio, proprio per la sua indeterminatezza, alla fine ha determinato una paralisi amministrativa per il timore di molti amministratori di firmare gli atti e di portare avanti le azioni della pubblica amministrazione, creando un'inerzia, che è uno dei maggiori mali dell'amministrazione pubblica italiana. Siamo d'accordo, sono d'accordo con il Ministro Nordio quando dice che l'abrogazione di questo reato evanescente, qual è l'abuso di ufficio, avrà l'impatto favorevole sull'economia auspicato dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Senza l'abuso di ufficio - dice Nordio - l'economia e la giustizia nel nostro Paese correranno più velocemente. Infatti, la cosiddetta paura della firma ha un costo, che è stato quantificato e stimato tra l'1,5 e il 2 per cento del PIL. Un costo che non possiamo assolutamente permetterci in una fase cruciale come quella della transizione energetica e digitale e della implementazione del PNRR. Ogni inutile ostacolo all'operato degli amministratori rischia di precludere il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che ci siamo posti come Paese.
Poi, questo è un provvedimento - mi lasci dire - che politicamente ha dato dei segnali importanti: ha visto una maggioranza coesa, una maggioranza compatta, come lo è sempre, soprattutto su un punto come questo, che - lo voglio sempre ricordare - era uno dei punti fondanti del nostro programma, per cui la gente ci ha votato e abbiamo vinto le elezioni. Su questo, però, l'opposizione si è divisa e frantumata. Abbiamo partiti come Azione, Italia Viva, anche una parte del Partito Democratico, che si sono schierati a favore dell'abolizione dell'abuso di ufficio, mentre un'altra parte della minoranza si è schierata contro. Politicamente ci troviamo di fronte a un tema, a un argomento, che mantiene coesa una parte della politica e spacca la minoranza. Addirittura, all'interno del maggior partito di opposizione, il Partito Democratico, un partito dove riconosciamo una grande discussione su questi temi, c'è una parte che è a favore dell'abolizione dell'abuso di ufficio. Credo che il Partito Democratico debba dare ascolto ai suoi tanti amministratori locali che si sono dissociati dalla posizione ufficiale del partito, a iniziare dai sindaci, oggi neo-eurodeputati, come Decaro o Ricci, oppure come l'onorevole Variati, che è un illustre esponente del Partito Democratico e un parlamentare europeo, che è stato un importante amministratore del nostro Paese, sindaco di Vicenza, presidente della provincia di Vicenza, Sottosegretario per l'Interno con la delega agli enti locali, presidente dell'Unione delle province italiane, che su questa posizione - voglio dirlo e lo cito testualmente - dice: mi dispiace molto, credo che il PD dovrebbe imparare a parlare e ad ascoltare i suoi sindaci che si misurano direttamente e quotidianamente con i problemi veri.
Per noi gli amministratori sono tutti uguali, perché, quando un amministratore diventa un sindaco, non è più un amministratore di un partito, è l'amministratore di una comunità e deve essere messo nelle migliori condizioni per poter far correre quella comunità. Quindi, mi rivolgo soprattutto ai colleghi del Partito Democratico, quelli che vengono da un'esperienza moderata, un'esperienza popolare: secondo me loro dovrebbero seriamente meditare su queste parole.
Riteniamo, dunque, un obiettivo raggiunto quello dell'abrogazione del delitto di abuso d'ufficio, disposto dal provvedimento in esame, ma vi è anche la modifica dell'articolo 346- del codice penale, che disciplina il reato di traffico di influenze illecite, andando verso un maggior rispetto dei principi costituzionali che di fatto rappresentano e devono rappresentare sempre il faro in materia di giustizia.
Inoltre, giusto processo, come dicevamo all'inizio dell'intervento, significa anche rafforzare la tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni del difensore, estendendo il divieto di acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria ad ogni altra forma di comunicazione, diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l'imputato e il proprio difensore, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato. Oppure, rafforzare la tutela delle persone terze coinvolte nelle comunicazioni intercettate e introdurre l'obbligo per l'autorità giudiziaria di interrompere immediatamente le operazioni di intercettazione quando risulti che la conversazione o la comunicazione rientrino tra quelle vietate.
Quindi, con questa norma, non introduciamo assolutamente una norma bavaglio, una norma per impedire alla stampa di fare il suo dovere, che, ricordiamo, è sempre quello di informare i cittadini. Questa è una norma a tutela della , una norma a tutela della delle persone, soprattutto di quelle estranee alle inchieste. Quante volte abbiamo visto, signor Presidente - e purtroppo continuiamo a vedere ogni giorno -, riportati, in articoli di stampa, particolari che sono del tutto estranei alle indagini e che però si trovano nel testo delle intercettazioni? Molte volte - bisogna ammetterlo - il aiuta a vendere i giornali o a aumentare i dati dell'Auditel. Tuttavia, guardare nel buco della serratura della vita privata delle persone non è degno di un Paese civile come il nostro.
Lo ha detto bene il Ministro Nordio: si vuole finalmente introdurre un principio di civiltà giuridica. I soggetti terzi - che non hanno nulla a che fare con le indagini e con il processo - hanno diritto a non vedere violata la loro , hanno diritto a non finire sulla carta stampata in articoli che nulla hanno a che vedere con le indagini.
Signor Presidente, a noi ma spero - anzi sono convinto - a nessuno, in quest'Aula, dovrebbe interessare il giudiziario, chiamiamolo così, che - ripeto - non ci piace e che sicuramente non deve essere alimentato in alcun modo. Troppe volte la stampa, non per sua colpa, è diventata un elemento altamente delegittimante delle istituzioni, sul quale - ricordiamolo - poggia e si alimenta una consistente porzione del comune sentire della società contemporanea.
Se sulla stampa leggiamo con grande clamore di indagati che sembrano, per il tono e lo spazio che viene riservato, già condannati e poi, quando questi stessi vengono assolti, la notizia viene riportata, forse, con un trafiletto, è chiaro che nel ricordo e nella mente dei cittadini rimane solo l'immagine della condanna e non l'immagine dell'assoluzione. Dunque, cosa succede? Tutta la politica diventa sporca, tutta la politica viene ritenuta colpevole e, quindi, si causa una grande disaffezione verso la politica come istituzione che, alla fine, pone tutti i politici - non una parte, tutti i politici - come fanalino di coda tra le istituzioni del Paese. Ho visto una serie di ricerche su questo aspetto: sicuramente è triste vedere che, quando si chiede ai cittadini il livello di affidabilità delle istituzioni, vediamo sempre i politici italiani all'ultimo posto. Ci sono i Carabinieri, c'è la Polizia, ci sono le Forze dell'ordine, ma credo che la politica non meriti quel posto e noi tutti dobbiamo fare in modo che la politica torni ad essere ammirata dai nostri cittadini.
Mi avvio alle conclusioni. Signor Presidente, un sistema giudiziario efficiente è un sistema funzionale alla trasformazione del Paese, alla sua crescita e al benessere dei cittadini. È un sistema che non sperpera risorse e che mette sempre al centro i diritti e la tutela degli imputati che, è bene ricordarlo, prima di essere imputati sono e rimangono cittadini e, in quanto tali, destinatari di tutti i diritti previsti dal nostro ordinamento.
Al Presidente Meloni e al Ministro Nordio rinnoviamo l'apprezzamento per il loro lavoro che va avanti con ferma determinazione e che certamente non possiamo considerare concluso con questo provvedimento. Dobbiamo andare avanti, come abbiamo scritto nel nostro programma elettorale che ha avuto - ricordo - il voto della maggioranza degli italiani. Dobbiamo andare avanti sul principio della separazione delle carriere, che sarà un caposaldo della riforma dell'ordinamento giudiziario, che tutti aspettiamo.
Siamo sulla strada giusta e quello che si celebra oggi è solo un primo passo verso una giustizia più giusta e una burocrazia più efficiente. Questo per noi è l'orizzonte verso cui andare, questo è l'orizzonte che, come Noi Moderati, intendiamo continuare a seguire al fianco del Governo e della maggioranza , .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dori. Ne ha facoltà.
DEVIS DORI(AVS). Grazie, Presidente. In questa discussione generale mi concentrerò esclusivamente sull'abrogazione del reato di abuso d'ufficio, articolo 323 del codice penale, previsto dal disegno di legge, già approvato al Senato. Anzitutto, voglio nuovamente ribadire che, come Alleanza Verdi e Sinistra, siamo contrari alla sua abrogazione. Noi eravamo per riformarlo, abbiamo fatto anche una proposta ma non per arrivare alla sua abrogazione. Però, evidentemente, il Ministro Nordio non sapeva come riformare il reato d'abuso d'ufficio.
Infatti, uso le sue stesse parole, il Ministro Nordio lo ammise in occasione delle comunicazioni annuali sull'amministrazione della giustizia alla Camera, il 17 gennaio scorso, quando testualmente affermò: “Abbiamo già detto e ripetiamo (…) che l'intero sistema di reati contro la pubblica amministrazione è un sistema obsoleto, costruito decenni fa. L'esempio più eclatante è proprio quello dell'abuso d'ufficio” - diceva il Ministro - “che è stato modificato quattro, cinque, sei volte, senza mai raggiungere risultati. (…). Perché, quando si interviene in modo settoriale in un determinato edificio, se stacchi un mattone o quel mattone è portante e, allora, tutto l'intero edificio ti crolla addosso, oppure quel mattone è superfluo, e allora non cambia nulla”. Poi conclude: “Per il reato di abuso di ufficio è accaduta più o meno la stessa cosa, tant'è vero che, alla fine, si è ritenuto opportuno eliminarlo, proprio perché non c'era verso - proprio perché non c'era verso - di modificarlo in un altro modo”.
Riassumo, quindi, il “Nordio-pensiero”: non so come riformare l'articolo 323 del codice penale, quindi faccio prima ad eliminarlo.
Capite che questa, però, non è proprio una grande argomentazione, né di natura giuridica né politica. Devo dire che noi, quindi, siamo contrari a tale proposta del Governo, ma non in modo ideologico, ma perché riteniamo che ci possa essere un'altra soluzione più opportuna. Effettivamente, ciò che abbiamo proposto con un emendamento, poi bocciato in Commissione, era di riprendere una proposta - lo avevamo già fatto anche al Senato - che risale a un po' di anni fa, ma che aveva un assoluto valore, anche di natura giuridica.
Infatti, già alla metà degli anni Novanta, c'era un dibattito parlamentare che si trovava di fronte a un bivio: quello dell'abrogazione o della riforma del reato di abuso d'ufficio.
Nel 1996, proprio per smuovere questa situazione di stallo, nel tentativo di contemperare le istanze riformistiche con l'esigenza, però, anche di evitare che una delimitazione eccessivamente rigida dei confini della fattispecie penale potesse poi aprire anche varchi a funzionari infedeli, l'allora Ministro di Grazia e giustizia istituì, il 23 febbraio 1996, una commissione ministeriale.
Si trattava di una commissione che era composta da amministrativisti e penalisti e che era presieduta dal professor Morbidelli. Al termine di questo lavoro (circa 4 mesi di lavoro) nel giugno 1996 ci fu un progetto di riforma molto articolato che, da un lato, interveniva sugli elementi della condotta e sul profilo soggettivo e, dall'altro, introduceva una serie di cause di non punibilità dirette proprio a limitare l'ambito di applicazione della norma. Ricordo che questo lavoro avvenne a cavallo fra due legislature, la XII e la XIII, quindi sostanzialmente fra il Governo Dini e il Governo Prodi, con due Ministri che tra l'altro - sia Giovanni Maria Flick che Caianiello - furono anche Presidenti della Corte costituzionale, quindi, un lavoro certamente di valore anche dal punto di vista giuridico.
Effettivamente la proposta che noi abbiamo articolato era quella della sostituzione dell'articolo 323 con, invece, tre fattispecie molto più precise e dettagliate, perché l'esigenza, a mio parere, di circoscrivere la fattispecie è oggettiva. Da questo punto di vista chiaramente non avremmo detto nulla in contrario rispetto a una riforma dell'articolo 323.
Il problema è proprio quando si è deciso - e la maggioranza, da quello che si è appreso, non era compatta fin dall'inizio al riguardo - rispetto all'abrogazione. La soluzione più adeguata sarebbe stata proprio quella di una riforma. La proposta che noi abbiamo avanzato era quella di arrivare, quindi, ad una articolazione in tre fattispecie, che erano quelle della prevaricazione, del favoritismo affaristico e dello sfruttamento privato dell'ufficio, che adesso non sto a rileggere, ma che sono agli atti. Invece, la soluzione della maggioranza è stata diversa. Non quella, quindi, della riforma, come avremmo preferito, ma quella dell'abrogazione del delitto d'abuso d'ufficio e questo a noi desta preoccupazione rispetto ai principi costituzionali contenuti nell'articolo 97 della Costituzione, in particolare proprio a tutela del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione. Tale disposizione, quindi, suscita particolare preoccupazione, anche alla luce delle ricadute negative che tale abrogazione potrà comportare rispetto alla lotta alla corruzione.
C'è da rilevare che con tale abrogazione non si ottiene, alla fine, la finalità auspicata di tutelare gli amministratori locali dalla cosiddetta paura della firma, cioè la condotta omissiva tenuta dai pubblici funzionari che ostacola il normale agire dell'amministrazione, perché, sostanzialmente, questo vuoto, che verrebbe lasciato a seguito dell'abrogazione del reato d'abuso d'ufficio, così come è stato anche segnalato da numerosi auditi in Commissione giustizia, potrebbe, invece, portare alla contestazione di altri e perfino più gravi reati, come, ad esempio, il delitto di corruzione. Reati puniti con pene edittali più elevate e per i quali è anche possibile - e questo è un tema sensibile per la maggioranza - l'utilizzo delle intercettazioni.
Quindi, certamente tale reato era anche messo a presidio di protezione dei cittadini rispetto all'abuso di un pubblico ufficiale. Tra l'altro, nella relazione illustrativa del disegno di legge tra le motivazioni di questo intervento legislativo viene riportato - e l'ho sentito anche prima qui in Aula - il fatto che ci siano poche condanne dibattimentali rispetto al numero dei procedimenti attivati per questo reato.
Però, è ovvio che non si tenga conto, in questa argomentazione, dell'effetto anche di potenziale deterrenza del diritto penale, che scoraggia i cittadini a commettere determinati reati, e quindi, da questo punto di vista, a tutela di importanti beni giuridici.
L'obiettivo, quindi, di ridurre sostanzialmente la forbice tra procedimenti iniziati e le condanne definitive pronunciate non può, però, arrivare all'abolizione del reato stesso, altrimenti, se dovessimo utilizzare la stessa argomentazione, dovremmo - anzi, probabilmente lo chiederemo al Governo, magari con un ordine del giorno - verificare quanti altri reati, anche tra quelli recentemente introdotti in questa legislatura dalla maggioranza, hanno lo stesso effetto fra numero di denunce ed effettive condanne, per poi procedere ad un'ampia azione di depenalizzazione.
L'abrogazione del reato, dunque, rischia davvero di abbandonare il privato a forme di abuso da parte della pubblica amministrazione, oltre al fatto che, comunque, si sollevano dubbi rispetto all'articolo 117 della Costituzione, laddove si impone alla Repubblica il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Infatti, il reato è anche previsto dall'articolo 19 della Convenzione di Merida, ratificata dall'Italia con la legge n. 116 del 2009, e nella stessa linea c'è anche la Convenzione ONU, rispetto a cui si muove anche la recente proposta di direttiva europea sulla lotta alla corruzione. Infatti, nell'articolo 11 di questa proposta di direttiva si parla, nello specifico, di queste tipologie di reato e, quindi, si pone anche un dubbio di costituzionalità rispetto all'articolo 117 della Costituzione.
Quindi, a nostro parere in generale - per concludere, Presidente - i reati contro la pubblica amministrazione non sono obsoleti, come, invece, li ha definiti il Ministro Nordio. Certo, dipende soltanto se si ritenga che i reati contro la pubblica amministrazione siano gravi o no e da ciò chiaramente ne derivano le conseguenze. Se la maggioranza ritiene che non siano particolarmente gravi è coerente con ciò l'abrogazione e, quindi, se la maggioranza li ritiene obsoleti - noi, invece, li riteniamo drammaticamente attuali - comprendo, allora, che la maggioranza preferisca procedere con l'abrogazione. Considerato, invece, che per noi i reati contro la pubblica amministrazione sono assolutamente attuali, da questo punto di vista per noi l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio è un errore.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Matone. Ne ha facoltà.
SIMONETTA MATONE(LEGA). Buon pomeriggio a tutti. Io tratterò molto brevemente gli aspetti tecnici, che sono stati abbondantemente, esaurientemente e chiarissimamente raccontati dal collega Pittalis da par suo, e mi soffermerò, poi, sull'assoluta necessità politica di questa legge.
Sinteticamente, il disegno di legge abroga il delitto di abuso d'ufficio, previsto dall'articolo 323 del codice penale, modifica l'articolo 346-, che disciplina il reato di traffico di influenze illecite, rafforza la tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni del difensore, estendendo il divieto di acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria anche ad ogni altra forma di comunicazione, diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l'imputato e il proprio difensore, salvo che l'autorità giudiziaria dimostri di avere assoluto e fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo di reato, introducendo contestualmente, per l'autorità giudiziaria e gli organi ausiliari delegati alle intercettazioni, l'obbligo di interrompere immediatamente le operazioni di intercettazione quando risulta che le conversazioni rientrino tra quelle vietate.
Il testo reca alcune modifiche alla disciplina delle intercettazioni per rafforzare la tutela assolutamente necessaria del terzo estraneo al procedimento rispetto alla circolazione delle comunicazioni intercettate. È storia patria tutto quello che è accaduto nel corso di questi anni, anche in giorni recentissimi, con la pubblicazione di atti che non c'entrano assolutamente niente col processo. In particolare, viene introdotto il divieto, anche parziale, di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, se questo contenuto non è riprodotto dal giudice nella motivazione o se questo contenuto non è stato utilizzato nel corso del dibattimento.
È vietato, poi, il rilascio di copia delle intercettazioni - anche questo è molto importante - delle quali è vietata la pubblicazione, se la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori.
Inoltre, il provvedimento interviene in materia di misure cautelari, prevedendo l'interrogatorio preventivo della persona sottoposta a indagini preliminari rispetto all'eventuale applicazione della misura e introducendo la decisione collegiale.
Noi ci rendiamo conto che questa è una misura, diciamo così, garantista e giusta, ma, al tempo stesso, è una misura pericolosa per il carico di lavoro degli uffici giudiziari e proprio per questo l'operatività della collegialità è differita di due anni all'esito proprio del reclutamento straordinario dei magistrati.
Esclude, più che giustamente - e ho sentito, invece, l'opposizione fare battaglia su questo - il potere del PM di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, ma per quali reati? Per i reati di cui all'articolo 550, commi 1 e 2, del codice di procedura penale. E questo cosa vuol dire? Che trattasi di reati bagatellari, per i quali le istituzioni devono anche valutare l'oggettivo interesse ad andare avanti nel processo, cosa dimenticata da quasi tutti i PM d'Italia, e lo dico da ex pubblico ministero.
Incrementa il ruolo organico della magistratura da destinare alle funzioni giudicanti di primo grado, che sono quelle più critiche, e reca una norma di interpretazione autentica, volta a chiarire che il requisito dell'età, non superiore ai 65 anni, dei giudici popolari dev'essere riferito al momento in cui il giudice popolare viene chiamato per sorteggio.
Interviene, poi, in materia di procedimenti giudiziari nelle procedure per l'avanzamento al grado superiore dei militari. Quanto al traffico di influenze, anche qui l'intervento è assolutamente ragionevole, di buonsenso e salvifico, rispetto ad aberrazioni che abbiamo visto costantemente. Perché dico questo? Perché con la nuova norma, le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere effettivamente utilizzate e non solo vantate, e devono essere esistenti e non soltanto asserite, ponendo fine a interpretazioni aberranti e forcaiole, fatte da chi si oppone a ogni tipo di riforma del pianeta giustizia.
Restano, quindi, punibili la millanteria o vanteria, se ricorrono gli elementi costitutivi della fattispecie generale del reato di truffa. L'utilizzazione delle relazioni deve avvenire intenzionalmente, allo scopo di porre in essere le condotte che integrano le fattispecie delittuose. Quindi, il dolo dev'essere intenzionale. E l'utilità, data o promessa dal mediatore in alternativa al denaro, dev'essere comunque un'utilità di natura economica. Il farsi dare o promettere, per sé o per altri, denaro o altra utilità economica, dev'essere finalizzato alla remunerazione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, in relazione all'esercizio delle sue funzioni o alla realizzazione di un'altra, ulteriore, mediazione illecita; tant'è che, essendo così ben descritta la condotta e trattandosi di fattispecie leggermente più grave rispetto al pianeta indefinito precedente, la pena è stata aumentata da un anno a un anno e sei mesi.
Poi va ricordata la giusta modifica dell'informazione di garanzia, che viene a essere meglio definita e che dovrà contenere la descrizione sommaria del fatto, e la notificazione dovrà avvenire con modalità che tutelino l'indagato.
Detto questo, vorrei citare dei numeri, visto che, secondo l'opposizione, noi attentiamo quasi alla sicurezza nazionale, attraverso norme che consentono a tutti di fare ciò che vogliono. Allora, quando uno si trova a esaminare una norma, deve anche valutare il suo ambito di applicazione e i risultati che essa ha dato. Cosa che non si fa mai, non si fa per le misure cautelari, ci sono procuratori della Repubblica che chiedono 300 misure cautelari, ne vengono vanificate 290 e tutto va bene, madama la marchesa.
Detto questo, viceversa, in questa fattispecie, nel 2021, sono stati aperti 4.745 procedimenti: 4.121, cioè l'85 per cento di questi procedimenti, sono stati archiviati dagli stessi pubblici ministeri, 513 sono i procedimenti arrivati a dibattimento e le condanne sono state 18; quindi, da 4.745, arriviamo a 18 condannati: 37 nel 2020 e 54 nel 2019; negli ultimi 2 anni, la media è 8 denunce archiviate su 10, le altre 2 sono, per così dire, . Ora, un dato è oggettivo e inequivocabile: l'iscrizione di un procedimento e l'avvio di un'indagine generano di per sé enormi costi ed enormi danni. L'abuso d'ufficio affolla le procure e dà il via - lo sappiamo tutti - a una gogna mediatica, portando il presunto autore quasi sempre alle dimissioni e, talvolta, alla sospensione dall'incarico. È, dunque, innegabile che vada restituito uno spazio sicuro a chi amministra la cosa pubblica per poter esercitare potere e funzioni.
Nelle norme amministrative - questo è un altro vero problema - il pubblico ufficiale dovrebbe poter rinvenire indicazioni precise su ciò che è chiamato a fare, individuando tempi e modalità di esercizio delle proprie funzioni. Ed è in questa normativa che il pubblico ufficiale deve poter rinvenire la sua principale difesa, se accusato di un uso distorto dei suoi poteri. Tuttavia, le disposizioni che regolano l'attività della pubblica amministrazione non sono connotate da chiarezza e precisione, da cui la cosiddetta - così come abbiamo la medicina difensiva - burocrazia difensiva. Ci sarà, con l'abbreviazione, una garanzia di impunità, come, strumentalmente, sostengono le opposizioni? Assolutamente no, perché ogni abuso da parte dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio sarà sussumibile nelle ulteriori fattispecie di reato previste dal codice penale.
Stamattina ho letto una bellissima intervista del Ministro Nordio, il quale ha parlato di arsenale normativo. Noi, in Italia, abbiamo un arsenale normativo costituito da 17 articoli contro la corruzione. Abbiamo l'Anac che si occupa di corruzione in termini preventivi. Abbiamo una giurisdizione amministrativa che annulla gli atti viziati, pure troppo. Abbiamo i tribunali civili che garantiscono il risarcimento del danno alle persone che lo hanno subìto. Quindi, noi non abbiamo alcun vuoto legislativo. E soltanto così, con l'abrogazione di questa norma, gli investitori, soprattutto esteri, torneranno a investire nel nostro Paese, terrorizzati come sono dal nostro assetto processuale attuale. Ripeto: non vi è alcun vuoto legislativo, ma soltanto un passo avanti verso una società giuridicamente più civile e soprattutto più giusta
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Enrico Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA(AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Io penso che, se tutti coloro che sono sedicenti garantisti in questo Parlamento fossero realmente garantisti, questo disegno di legge verrebbe approvato all'unanimità. Purtroppo, non è così. Vediamo che, anche in questo caso, abbiamo un'opposizione durissima sull'affermazione di princìpi e di diritti.
Io mi rivolgo all'altra parte di opposizione, quella che, a differenza nostra, contesta questo provvedimento. E chiedo loro, visto che sono soliti celebrare e richiedere l'affermazione dei diritti, se ci siano diritti di serie A e diritti di serie B. Probabilmente, diritto di difesa è un diritto di serie B per quella parte di opposizione che si è scaraventata con tanta veemenza contro questo provvedimento. La presunzione di innocenza è un diritto di serie B o di serie C, lo abbiamo già visto, quando ho avuto l'onore di vedere approvata, da questo Parlamento, una delega per impedire la pubblicazione letterale delle ordinanze di custodia cautelare; forse dire di serie C per loro è ancora troppo. E, ancora, il giusto processo, l'affermazione dell'articolo 111 della Costituzione, con tutto quello che ne consegue anche sul tema della separazione delle carriere: il cittadino ha diritto o non ha diritto a un giusto processo? È un diritto quantomeno equivalente a quei diritti che affermano nelle piazze, nelle manifestazioni, sui carri allegorici, molto spesso. Così come l'inviolabilità della libertà personale - attenzione, parlo di tutti i diritti che sono affermati in questo disegno di legge - o l'inviolabilità delle comunicazioni.
Pensiamo ai terzi, che non sono neanche coinvolti nel procedimento penale e hanno diritto a una tutela. Pensiamo, poi, al tema della tassatività della legge penale, e qui mi ricollego al tema dell'abuso d'ufficio. Penso che, se noi vogliamo che questo Parlamento si faccia paladino dei diritti, ma di tutti i diritti, non ci si deve dividere solo in modo pregiudiziale su questo provvedimento. E perché vi dico che ci si sta dividendo in modo pregiudiziale, ad esempio sull'abuso d'ufficio? Negli anni 2016 e 2017 ho avuto l'onore di essere Ministro per gli Affari regionali e avevo la delega sulle autonomie, quindi anche un rapporto con i rappresentanti dei comuni e delle regioni.
Un giorno mi arriva una lettera in cui dei sindaci, i rappresentanti di molti sindaci, mi chiedevano di intervenire perché non riuscivano più a svolgere il loro lavoro: erano spessissimo indagati, erano spessissimo denunciati, e incombeva, poi, ovviamente, la tagliola della legge Severino, dopo la sentenza di primo grado. Allora ho deciso di costituire una commissione per valutare lo stato della legislazione, e ho chiamato a presiedere questa commissione colui che ritenevo essere una persona autorevole, capace di una visione e anche di coordinamento. Questa persona era Carlo Nordio. Carlo Nordio ha svolto questo ruolo, insieme a una serie di professori e di rappresentanti dei segretari comunali, ed è arrivato a una conclusione insieme a questi esperti: che non c'era possibilità di riformare questo reato e che l'unica strada era quella dell'abrogazione, dicendo esattamente le stesse cose che ha citato adesso Simonetta Matone nell'intervista.
Ricordo che c'era il professore Stortoni di Bologna, un autorevole giurista, anch'esso giunto a queste conclusioni. Ricordo anche che il professore Stortoni, in audizione, recentemente ha detto - e qui vado a smentire un tema della pregiudiziale di costituzionalità del Partito Democratico - che la Convenzione di Merida non impone assolutamente niente ai Paesi, perché, laddove la Convenzione vuole imporre la tutela, la disciplina penale di una materia, lo fa, e lo fa, per esempio, sul reato di corruzione. Negli altri casi dice che lo Stato deve valutare se vi è un assetto normativo idoneo, e nel nostro caso la valutazione arriva in questa direzione.
Quindi ritengo che ci sia un'opposizione pregiudiziale sbagliata, e lo dico dall'opposizione, perché forse sarebbe comodo andare a cercare il pelo nell'uovo in questo provvedimento, sarebbe comodo dire che però il giudice collegiale nella custodia cautelare entra in vigore tra troppo tempo, che l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione tocca soltanto una parte di queste sentenze, che l'interrogatorio prima del processo tocca soltanto una parte. Penso, invece, che tutti questi temi vadano nella direzione giusta. Noi non abbiamo presentato emendamenti perché riteniamo che, finalmente, in questa legislatura, si possa avere una legge liberale in tema di giustizia.
Abbiamo cercato anche di aiutare la maggioranza e il Governo, come facciamo spesso. Avevamo presentato una proposta di legge sull'abuso d'ufficio, il collega Pittalis era stato relatore, proponente, c'era il testo base, poi è finita al Senato. Noi avevamo predisposto questo testo, questo documento. Si tratta semplicemente di una raccolta tratta dalla stampa locale, perché le contestazioni di abuso d'ufficio difficilmente vanno sulla stampa nazionale. Vanno sulla stampa locale perché toccano gli amministratori dei piccoli comuni, non toccano l'amministratore del grande comune, che ha un grande ufficio legale, ha una grande segreteria generale, ha una struttura forte; toccano i piccoli comuni.
E qui c'è una grande responsabilità della politica, va anche detto, perché l'abuso d'ufficio è lo strumento per la scorciatoia giudiziaria. Ci sono 150 casi in questo testo, 150 casi di indagini o di processi a carico di sindaci, 150 sindaci, tutti assolti o prosciolti. Ma noi leggiamo la storia, leggiamo i casi più vari: contestato perché ha attaccato i manifesti o non ha consentito di affiggere i manifesti, perché non ha concesso la sala, per la questione urbanistica, per la questione ambientale. Uno, addirittura, perché non ha convocato un sindacato a un tavolo.
Tutto si espone a un esposto, tutto stimola un esposto. E quando l'opposizione - che sia l'opposizione di centrodestra o che sia l'opposizione di centrosinistra - non è in grado di scalfire una maggioranza, spesso cerca di farla scalfire dall'autorità giudiziaria. Trasmette la delibera all'autorità giudiziaria e dice: per le valutazioni di competenza. L'autorità giudiziaria la prima cosa che fa, il primo compito che svolge è quello di accertare, di approfondire, e manda la Guardia di finanza o i Carabinieri in comune. Ecco, quindi, il titolone: “Guardia di finanza in comune per prendere i documenti”, e così via, e così il fango, e così il pettegolezzo, e così, magari, le crepe nell'amministrazione, e così, quando si va alle elezioni, un tema divisivo su cui discutere.
Quegli atti e quella delibera non portano a nessuna condanna, mai, mai, i numeri sono stati citati in quest'Aula, però bloccano e paralizzano l'attività amministrativa. Molto spesso, il sindaco si scoccia e non si ricandida, perché dice: ma chi me lo fa fare - ho il mio lavoro, ho la mia attività - di farmi infangare in questo modo? Talvolta, perde le elezioni, proprio perché il cittadino, poi, pensa che chissà cosa ci sia sotto, e questo è l'uso giudiziario di questo reato a fini politici. Penso che di condanne non ne abbiamo, è un reato finalizzato alle indagini preliminari, finalizzato al titolo del giornale, quindi assolutamente d'accordo su questo percorso.
Molto interessanti sono anche i temi che sono affrontati sulla custodia cautelare. Devo dire che sono due proposte di legge, tra l'altro, che ho già presentato fin dalla scorsa legislatura. A proposito dell'interrogatorio prima della custodia cautelare, mi sono sempre chiesto perché si deve interrogare una persona dopo 5 giorni, 4 giorni e, magari, scarcerarla perché poi chiarisce. Ma toccare il carcere, varcare la soglia del carcere cambia la vita di una persona, e se una persona è in condizioni di chiarire, in condizioni di spiegarsi, è in condizioni di puntualizzare, ma perché lo deve fare dopo essere rimasta in carcere per 3, 4 o 5 giorni in custodia cautelare, nelle condizioni attuali delle carceri del nostro Paese?
A proposito del giudice collegiale, penso che oggi, molto spesso, la custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari - su questo, secondo me, bisognerebbe completare la riforma - sia un atto quasi burocratico. C'è la richiesta del pubblico ministero, non si può dire “no”, anche perché, quando qualcuno dice “no”, qualche giudice dice “no”, viene subito contestato. Lo vediamo, lo abbiamo visto ancora recentemente in Lombardia: quando un giudice ha osato mettersi contro i pubblici ministeri, negare gli arresti, è stato quasi inondato di contestazioni, perché, se uno tiene delle posizioni garantiste, molto spesso viene attaccato e viene considerato un favoreggiatore dei criminali, un amico dei criminali.
Invece, le garanzie sono quell'elemento che ti consente che, se la persona viene giudicata innocente, essa sia la stessa persona che è entrata nel procedimento penale; se tu non garantisci che ci sia quello spazio, quell'ambito, e che la persona possa non avere una ferita dal procedimento penale, penso che non siamo un Paese con una civiltà giuridica.
Veniamo all'inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Potrei anche essere d'accordo sull'appellabilità delle sentenze di assoluzione, ma, se mi trovo un pubblico ministero che ha in mano un fascicolo, che ti deve chiedere di mandarlo a giudizio se c'è la ragionevole probabilità di condanna, e quindi lui fa una prognosi di ragionevole probabilità di condanna, ti manda a giudizio e quella persona viene assolta, ha già sbagliato una volta.
Insiste? Appella? Ti tiene appeso 2, 3, 4 o 5 anni ulteriori? Perde l'appello? Benissimo, allora questo deve incidere sulla carriera, sulle valutazioni di professionalità. Se incide sulle valutazioni di professionalità, allora sì; altrimenti, è scaricare sul cittadino le inefficienze. Quindi, penso che l'esito sia un elemento fondamentale. Ho contestato molto il decreto legislativo sulle valutazioni di professionalità, dove gli esiti vengono valutati a campione, quindi chi viene sorteggiato sul procedimento che ha avuto per lui un esito favorevole ottiene un premio, in altri casi no. Penso che la carriera debba essere valutata sulla base di tutti gli atti.
Penso che, quindi, anche sotto questo profilo sia non scaricare sul cittadino le inefficienze e le lacune dell'ordinamento, lacune anche delle persone che fanno parte e che lavorano nell'ambito della giustizia. Quindi, il nostro è uno spirito costruttivo, non abbiamo presentato emendamenti. Anticipo che presenterò un ordine del giorno che è finalizzato a una proposta di legge che ho già presentato, e la proposta di legge punta, visto che noi parliamo del tema della custodia cautelare - spero che il Vice Ministro Sisto possa ascoltare questo, solo perché voglio anticipare quest'ordine del giorno che presenteremo -, ho presentato una proposta di legge per la quale, se c'è una richiesta di custodia cautelare, questa debba essere emessa, nel caso in cui il giudice ritenga di emetterla, nel termine di 60 giorni, un termine prefissato.
Non è possibile che le esigenze cautelari, se ci sono, vengano lasciate libere per troppo tempo. Magari noi abbiamo delle richieste che vengono emesse dopo un anno, ma, se in quell'anno la persona non ha reiterato il reato, non ha inquinato le prove, non è scappata, allora si sono affievolite. È una delle poche norme che non hanno un termine. Penso che un termine, poi magari prorogabile motivatamente, ci debba essere. Vediamo in troppi casi una discrezionalità massima. Non voglio dire che poi si fanno cadere proprio nel tempo specifico, diciamo interessato, però, proprio per evitare questo, ci deve essere un termine, e il nostro ordine del giorno nostro andrà in questa direzione .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Salandra. Ne ha facoltà.
GIANDONATO LA SALANDRA(FDI). Grazie, Presidente. Ho ascoltato con molto interesse gli interventi che mi hanno preceduto. Sento però, quasi come se fosse, più che un dovere, un sentire, di ringraziare innanzitutto il presidente della Commissione giustizia per come ha condotto i lavori, e ringraziare anche il Vice Ministro Sisto per il contributo che ha dato in sede di Commissione. Presidente, lo hanno detto correttamente i colleghi che mi hanno preceduto, questa è una riforma che per certi versi, rispetto al codice penale, al codice di procedura penale, ha assunto il carattere, a mio avviso, dell'essenzialità.
Nella scorsa settimana si è parlato spesso, l'opposizione ha parlato spesso di un accordo politico tra le forze di maggioranza. Mi sento di confermare questo accordo politico tra le forze di maggioranza, ma la controparte erano i cittadini italiani che, a settembre del 2022, ci hanno votato. Perché? Perché per il centrodestra ciò che assume il carattere dell'essenzialità è la capacità di mantenere fede agli impegni presi, che riguardano anche lo Stato italiano rispetto al PNRR, perché non è che ci dobbiamo dimenticare che, sul tema della giustizia, esiste un preciso.
Abbiamo assunto l'obbligo, il dovere di ridurre i tempi della giustizia almeno del 25 per cento, tempi della giustizia che, in larga parte, investono il primo grado di giudizio. Ho ascoltato anche con grande interesse i colleghi che mi hanno preceduto, e, quando si parla di processo penale e di diritto penale, spesso dobbiamo distinguere quello che è il vero processuale dal vero fattuale. Credo che, poiché nessuno di noi, in questo momento, svolge la professione che fa fuori da quest'Aula, in quest'Aula dovremmo parlare del vero fattuale, non del vero processuale.
Perché ho ascoltato con grande interesse il collega Cafiero De Raho e comprendo come, tante volte, tanti anni di professione arrivino a creare una sorta di , una sorta di deformazione professionale, però, Presidente, una cosa ho imparato studiando diritto: che illegittimo non è illecito, sono due cose completamente diverse, profondamente diverse. Perché, se un cittadino, durante un concorso, si sente leso dalla commissione giudicante, non dall'assessore, non dal sindaco, ma dalla commissione giudicante, da un dipendente della pubblica amministrazione, ricorre al TAR.
E, se c'è altro, ci sono le norme penali che tutelano non il cittadino, ma lo Stato italiano, perché così funziona il diritto penale, perché così funziona il processo penale. E allora capisco perfettamente come una parte di questo emiciclo non abbia mai svolto il ruolo dell'amministratore comunale, forse non so neanche se abbia mai rivestito incarichi di rappresentanza, oltre a questo, però, un po' come nel processo, il processo si vive nelle aule del tribunale, il processo rappresenta un'istituzione. E, quando si parla soprattutto di diritto penale, bisognerebbe anche allontanare la pancia, sebbene una parte di questo emiciclo, nella scorsa settimana, abbia invitato la maggioranza a una serie di movimenti intestinali, lasciandosi andare ad auguri improbi, oltre che improbabili.
Perché, talvolta, quando si parla di processo, è molto meglio tacere e fare finta di non aver compreso la realtà, che non parlare, anche presentando tutta una serie di emendamenti, in questo caso, documentando la propria ignoranza della materia. Dico questo perché il collega Dori - mi spiace che sia andato via - che ha riassunto il “Nordio pensiero”, credo lo abbia riassunto negativamente, lo abbia riassunto male, perché le parole del Ministro Nordio, in più riprese, sono estremamente chiare. E me le sono anche appuntate, perché, piaccia o non piaccia a qualcuno, per quanto attiene al processo penale - mi riferisco all'idea di Vassalli, di Pisapia - esso ha subito così tante modificazioni da essersi molto allontanato dalla razionalità e dal metodo sotteso alla struttura del codice Vassalli, con l'evidente necessità di intervenire in termini di efficienza del processo.
Ed è sull'efficienza del processo e del codice penale che questa legge interviene con 9 articoli specifici: l'abrogazione del delitto di abuso d'ufficio, la modifica del traffico di influenze illecite, il rafforzamento della tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni del difensore; interviene con alcune modifiche anche sulla disciplina delle intercettazioni e si introducono specifiche limitazioni alla pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni. Come è stato detto, si interviene in materia di misure cautelari con l'interrogatorio preventivo della persona sottoposta alle indagini, e viene introdotta la decisione collegiale per l'adozione dell'ordinanza cautelare.
Si esclude il potere del pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento per i reati di cui all'articolo 550, commi 1 e 2, del codice di procedura penale; vengono apportate modifiche all'ordinamento giudiziario in materia di tabelle infradistrettuali; si incrementa il ruolo organico della magistratura da destinare alle funzioni giudicanti di primo grado; si reca anche una norma interpretativa autentica per i giudici popolari e per quanto attiene la magistratura militare; vi è, inoltre, l'abrogazione dell'abuso di ufficio.
Allora, io ringrazio il collega De Raho che ha raccontato la storia del codice Rocco e tutto quello che ne è venuto. Sarebbe anche sufficiente ricordare cosa affermava il presidente Conte quando, cercando di rimanere in carica, venne fuori il tema dell'abuso d'ufficio. E ho citato il caso dell'illegittimo e dell'illecito perché, se la memoria non mi incanta, anche l'allora Ministro della Giustizia Bonafede fu denunciato per abuso d'ufficio, per aver posto in essere una determinata attività. Ricordo di aver letto qualcosa sui giornali, ricordo questo. Fu denunciato. Per che cosa? Perché un magistrato, credo di un tribunale siciliano, ritenne che il Ministro Bonafede avesse posto in essere una condotta tipica dell'abuso d'ufficio e lo andò a denunciare. Probabilmente era soltanto un atto illegittimo, e non illecito, anzi io ne sono convintissimo.
Vedete, perché dico questo? Perché io credo che quando partecipiamo a convegni, quando veniamo invitati sul territorio, anche ad eventi particolarmente importanti, quali ad esempio l'assemblea ANCI a Bergamo - qualcuno lo ricorderà -, un parlamentare non va semplicemente a fare la vetrina o la passerella, un parlamentare ha il dovere di ascoltare quello che dicono coloro che ci ospitano, in questo caso l'ANCI, e prendere appunti. Deve prendere appunti. E allora, poiché ho questa malsana abitudine, mi sono andato a ricordare come, poco prima di questo appuntamento, cioè dell'assemblea nazionale dell'ANCI a Bergamo, l'ex sindaco Decaro, attualmente eurodeputato, interrogato proprio sulla specifica domanda circa le intenzioni del Governo Meloni di modificare, se non addirittura abrogare l'abuso d'ufficio, ebbe a dire in questa intervista: “Certo, è quello che chiediamo da tempo. Con i Governi precedenti, siamo riusciti soltanto a ridurre l'impatto della norma, ma ovviamente crediamo che si possa e si debba fare di più”.
Ora, io ho capito una cosa: che una parte di questo emiciclo candida gli amministratori per recuperare il consenso delle preferenze, non avendo il consenso dell'opinione. Ed è questo quello che è successo.
Un altro grande amministratore del centrosinistra, anche lui eurodeputato, circa un anno fa ebbe a prendere carta e penna - si diceva una volta, oggi va col computer - e scrisse un articolo su . “Cara Schlein”, su , giugno 2023, sull'abuso d'ufficio, “su questo punto condivido l'opinione della grande maggioranza dei sindaci del PD che per anni si sono battuti per l'abrogazione del reato”.
Ho citato Decaro e ho citato Giorgio Gori e quanto dichiaravano. Ora, io mi rendo conto che l'opposizione tante volte vive una serie di difficoltà, però che arrivi a scotomizzare sé stessa, a scotomizzare il vero, mi sembra che sia estremamente significativo.
Traffico di influenze illecite: che cosa abbiamo mai fatto sul traffico di influenze illecite, chiederei al collega Decaro? Noi abbiamo fatto quello che sostanzialmente ha evidenziato la Corte di cassazione in ripetute occasioni. Perché? Perché quando si parla di diritto penale, bisognerebbe ogni tanto spogliarsi di se stessi, perché non tutto è penalmente rilevante. Ce lo ha detto la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 40518 del 2021, con riguardo al reato di traffico di influenze illecite, nella previgente formulazione, ha riconosciuto come il contenuto indeterminato della norma comporti il conseguente rischio di attrarre nella sfera penale, con violenza rispetto al principio di legalità, le più svariate forme di relazioni con la pubblica amministrazione.
Io la laurea l'ho conseguita tanto tempo fa, però non credo sia intervenuto qualcosa che abbia modificato il principio di tassatività e il principio di tipicità della norma. E allora, che cosa ha fatto il Ministro Nordio, che il collega Dori ritiene sia confuso, mentre, invece, credo sia stato estremamente preciso e abbia dato fondo alla sua conoscenza del vero fattuale e processuale? Che cosa ha fatto? Ha specificato che le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere effettivamente utilizzate e non solo vantate. Devono essere, cioè, esistenti. L'utilizzazione delle relazioni deve avvenire intenzionalmente allo scopo di porre in essere le condotte; l'utilità data o promessa al mediatore, in alternativa al danaro, deve essere economica.
Presidente, in questo contesto di chiarezza del diritto e di maggior tutela degli amministratori della cosa pubblica, dobbiamo anche aggiungere che abbiamo aumentato il trattamento sanzionatorio.
Che cosa abbiamo fatto sul traffico di influenze illecite? Abbiamo semplicemente messo in ordine, secondo i principi del diritto sostanziale, una norma che, non l'onorevole La Salandra, non Fratelli d'Italia, non questa maggioranza, bensì la Corte di cassazione ha ripetutamente ritenuto estremamente confusa e fumosa, per usare un termine edulcorato.
E allora, veniamo un attimo a cosa è successo nella seduta fiume, quando una forza politica, addirittura più volte, ha presentato emendamenti ritenendo che le norme creassero confusione. Ricordo questa frase: crisi di tecnica legislativa. Tecnica legislativa che proviene da una forza politica che aveva - lo ripeto per la seconda volta - come Ministro della Giustizia colui che disse che “quando per il reato non si riesce a dimostrare il dolo, e quindi diventa un reato colposo, ha termini di prescrizione molto più bassi”.
Ora, vede, io mi rendo conto di una cosa. Poiché non voglio citare mia nonna quando diceva “male non fare, paura non avere”, ci siamo trovati dinanzi a forze politiche che creavano negli amministratori il concetto che devi avere paura comunque. Perché era questo. Sa cosa genera la paura quando si lega al processo penale? La sfiducia verso lo Stato: un cittadino deve avere fiducia nello Stato perché deve avere fiducia nel processo. Va bene? Lo volevo dire al collega che però non c'è.
Calamandrei una volta disse - l'ho recuperato - che “al giudice occorre più coraggio ad essere giusto, apparendo ingiusto, che ad essere ingiusto apparendo giusto”. Lo diceva Calamandrei e mi sento di condividere appieno queste parole, perché ci vuole coraggio per fare una riforma come questa. Ma per fare questa riforma ci vuole coraggio, ci vuole competenza e conoscenza del vero.
Vedete, vi voglio citare un altro passaggio. Adesso arriviamo agli aspetti processuali che sono stati estremamente simpatici, anche in sede di commissione. “Mi piacerebbe che la sinistra, il PD in testa, si riappropriasse della vocazione garantista che ha caratterizzato la sua storia fino a Tangentopoli e a Berlusconi (…). E che di fronte alla pubblicazione indiscriminata di intercettazioni e conversazioni private, anche quelle più irrilevanti, un argine a me pare opportuno, e non lo chiamerei bavaglio”. Giorgio Gori, sempre nell'articolo “Cara Schlein” del giugno 2023.
Io condivido che ci sia questo tema del diritto di cronaca, però certi temi non vanno affrontati in termini ideologici. Sempre Decaro, alla guida dell'ANCI, diceva: “Io, però, non ne faccio una questione ideologica, né in questo caso rispondo al partito del quale ho la tessera. (…) Se un sindaco sbaglia, è giusto che paghi. (…) Ad oggi so solo che ci sono tanti sindaci la cui vita è stata distrutta dagli avvisi di garanzia e non solo dal punto di vista politico, ma soprattutto a livello privato, familiare, della reputazione. E spesso per motivi incredibili, non solo per l'abuso di ufficio”.
Quindi noi che cosa abbiamo fatto? Vede, Presidente, i colleghi hanno parlato correttamente di giusto processo. Ma a me hanno insegnato che, oltre al giusto processo, un processo deve essere giusto: è facile ancorarsi alle norme e al loro tenore letterale, ma io ricordo di un giovane magistrato applicato a un tribunale di sorveglianza che, dinanzi a una caterva di provvedimenti inevasi, decise di anteporre le esigenze di quei detenuti ai semplici orari di lavoro, così snellendo un carico di lavoro non indifferente. Perché? Perché noi dobbiamo garantire il giusto processo, ma dobbiamo garantire che quel processo sia giusto e un processo giusto è un processo che si celebra con regole certe.
Io non mi nascondo dietro un dito e vorrei che nessun altro si nascondesse dietro a un dito, perché quando si parla di intercettazioni qualcuno, in questo emiciclo, vive una propria crisi narcisistica: è talmente innamorato delle proprie teorie che è cieco dinanzi alla realtà, dimenticandosi che molti processi si celebrano già nella fase delle indagini. Sempre Calamandrei evidenziava l'importanza dell'avvocato nella fase delle indagini, invitando giudici e avvocati ad alternarsi almeno una volta all'anno. Noi che cosa abbiamo fatto? Siamo intervenuti sulle garanzie del difensore, perché garantire il difensore significa garantire l'indagato; significa creare le condizioni perché lo Stato faccia lo Stato e lo Stato sia uno Stato di diritto: questo abbiamo fatto. Lo diceva anche il Ministro Orlando, quando era Ministro di Giustizia, che un avvocato è un baluardo dei diritti.
Non dobbiamo dimenticarci che il processo penale è un processo di parte: così come c'è la procura, che giustamente solleva l'azione penale se ritiene che ci siano fondati motivi per raggiungere una condanna, c'è anche un avvocato, e sono parti essenziali nel sistema costituzionale e nel processo per tutti quanti i cittadini. Uno Stato deve anche garantire, quando si parla di giusto processo - e nella letteratura se ne parlava -, la parità delle armi. Un concetto, quello della parità delle armi, che ogni tanto dovremmo ricordare, perché il nostro è un processo accusatorio e non inquisitorio, come qualcuno ancora non riesce a comprendere. Il sistema inquisitorio lo abbiamo superato talmente tanti anni fa che probabilmente ogni altra e diversa interpretazione di quelle che sono le regole del processo, non sono semplicemente vetuste, ma sono, lo dico io, da custodi di un cimitero. Questo è importante: abbiamo introdotto l'articolo 6- e l'articolo 6-. La norma che tutela già c'è: è il 103. In sede di Commissione addirittura non si capiva a che cosa ci si riferisse. Bastava aprire il codice di procedura penale e leggere il 103. E noi che cosa abbiamo fatto? Abbiamo disposto il divieto di acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria, anche di ogni altra forma di comunicazione diversa dalla corrispondenza.
Presidente, mi creda, questa non è una fantasia nostra. È la Corte costituzionale che, sul punto, è intervenuta con la sentenza n. 170 del 2023, pronunciandosi proprio sul concetto di comunicazione protetto dall'articolo 15 ed ha fatto sua una nozione estremamente ampia di corrispondenza comprendendo, al suo interno, “(…) ogni comunicazione di pensiero umano (…) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza (…)”. Abbiamo dato attuazione a quello che dice la Corte costituzionale, non è che le istituzioni sono camere stagne: c'è il Parlamento, c'è la Corte costituzionale e le istituzioni di uno Stato collaborano tra di loro alla formazione del diritto.
Poi, abbiamo imposto il divieto di interrompere immediatamente le operazioni di intercettazione quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientrino tra quelle vietate. Qui si tratta di dare certezza al diritto e ai diritti dell'avvocato e del proprio assistito: questo è diritto processuale e non “giornalettismo”. Perché vi dico questo? Perché mi sento in dovere di ringraziare il Ministro Nordio per il suo lavoro e perché, nel corso della seduta in Commissione giustizia, che ci ha impegnato per il testo definitivo che andremo ad approvare in Aula - io sono convinto di quest'approvazione -, è stato anche offeso, mortificato. Allora io voglio, qui, ripetere le parole del Ministro Nordio - non sono proprio letterali - che ha ricordato che il nostro scopo non è quello di perdersi in studi accademici o in pericolose alchimie; qui siamo a svolgere un lavoro di mediazione di varie opinioni, che deve portare a un risultato pratico che sia in linea con il vero obiettivo di questo Governo e, cioè, arrivare a un codice di procedura moderno e liberale. Avere un processo un giusto processo significa avere un processo giusto. Abbiamo ampliato il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, consentendone la pubblicazione solo se il contenuto è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento e abbiamo posto un limite al rilascio di copie richieste da terzi. Credo che abbiamo fatto qualcosa di normale, mi chiedo perché una cosa del genere non sia stata fatta prima. Vedete, forse il collega Pittalis ricorderà come nel corso di un'audizione in Commissione antimafia, su una specifica domanda, il direttore di un quotidiano nazionale disse che, in nome del diritto di cronaca, si deve essere disposti anche a fare i patti col diavolo; una cosa che ho imparato dalla letteratura è che se fai un patto col diavolo, il diavolo vince sempre. Invece io ho imparato dalla letteratura giuridica che bisogna avere fiducia nella giustizia e che la giustizia, intesa come processo e regole, è qualcosa di molto diverso dal giornalismo. Sapete perché sono convinto di questa cosa? Perché lo diceva il Presidente Giorgio Napolitano nel 2011 quando, parlando ai magistrati tirocinanti, in particolar modo sull'abuso delle intercettazioni telefoniche e sul protagonismo di alcuni uffici giudiziari, affermò che queste condotte offuscavano gli occhi dei cittadini. Qui nessuno nega il diritto di cronaca, ma questo si deve contemperare anche con le esigenze processuali e anche - e soprattutto - con le esigenze e la riservatezza delle indagini preliminari. È inaccettabile che sui giornali, ancora prima dell'avviso di garanzia - per usare un termine giornalistico - oppure - torno nei miei panni - nella informazione di garanzia, finiscano le dichiarazioni che sono rese. Così si inquinano le indagini e questo per che cosa? Non lo so, non so quale sia lo scopo di questo. E, poi, l'obbligo del pubblico ministero di presentare al giudice gli elementi su cui si fonda la richiesta di applicazione e inserire solo i punti essenziali delle conversazioni intercettate, così da bilanciare le esigenze processuali con la riservatezza. Si introduce il divieto per il pubblico ministero di indicare nella richiesta di misure cautelari, con riguardo alle conversazioni intercettate, i dati personali dei soggetti diversi dalle parti. Presidente, cosa abbiamo fatto? Abbiamo dato rispondenza al vero fattuale. Che il processo penale sia un processo di parti, in cui la parità delle armi sia misura dell'attuazione del giusto processo e di un processo giusto, è anche rinvenibile dall'istituto dell'interrogatorio preventivo, ma non mi voglio dilungare, perché sento di condividere in pieno le riflessioni del collega Costa. Così come vengono comunque poste delle norme di cautela, quando comunque c'è la necessità che il provvedimento sia “a sorpresa”.
Altre norme investono la stessa informazione di garanzia, sempre in termini di riservatezza, così come anche sul tema dell'impugnabilità delle sentenze, cioè stiamo parlando di contravvenzioni o delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a 4 anni, e di efficienza del processo, l'articolo 4. Abbiamo disposto una serie di modifiche in materia di tabelle infra-distrettuali ed in materia di criteri per l'assegnazione degli affari penali al giudice per le indagini preliminari conseguenti all'introduzione della composizione collegiale del GIP, una misura applicativa. Però questa è una riforma - rispetto a quelle che sono le esigenze attuali, cioè di efficientamento del processo - che reca previsioni per un incremento di 250 unità del ruolo organico della magistratura da destinare alle funzioni giudicanti di primo grado.
Sono stati presentati una serie di emendamenti con numeri ben più ampi. Probabilmente 250 non è tanto, ma sono sicuro che, se in passato avessimo avuto qualche in meno, probabilmente oggi avremmo potuto avere qualche magistrato in più. E allora - e concludo, Presidente - questo è un Governo che ha orientato la sua azione ad un uso sapiente ed equilibrato dei mezzi investigativi, bilanciando le esigenze del procedimento con la piena tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, volendo fortemente che l'attività investigativa sia efficiente per il reale ed effettivo contrasto alla criminalità, sia essa organizzata o sia essa quella dei colletti bianchi. Qui non c'è spazio per protagonismi lesivi della privatezza, della riservatezza dell'indagato o, ancor di più, di soggetti estranei al giudizio. Qui noi siamo chiamati a rispondere alle regole del giusto processo, affinché ogni processo sia giusto .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ascari. Ne ha facoltà.
STEFANIA ASCARI(M5S). Grazie, Presidente. Innanzitutto, vorrei porre una questione sul metodo con cui questo provvedimento è stato portato avanti, e cioè a passo di marcia, come se si trattasse di una priorità politica nazionale indifferibile, arrivandone all'approvazione in Commissione giustizia nel buio delle tenebre, senza alcun dibattito parlamentare, senza ascoltare i suggerimenti della quasi totalità degli esperti auditi. È stata scelta la logica di bocciare sistematicamente tutti gli emendamenti presentati dalle opposizioni, senza entrare nel merito delle singole proposte.
Tra i punti cardine di questa riforma c'è l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio e il ridimensionamento del reato di traffico di influenze illecite. Noi abbiamo chiarito che la paura della firma non ha più alcuna ragione d'essere, tenuto conto che la riforma del reato di abuso d'ufficio nel 2020 ha escluso radicalmente il sindacato del giudice penale su tutta l'amplissima gamma degli atti discrezionali della pubblica amministrazione.
Quanto all'asserita inutilità del reato, che sarebbe dimostrata dall'elevato numero di archiviazioni e assoluzioni, le statistiche che sono state acquisite nel corso delle audizioni attestano che la percentuale media di archiviazione per tutti i reati è del 62 per cento, e che tale soglia è stata superata nel 2021 per le archiviazioni del reato di abuso d'ufficio, perché l'anno precedente, nel 2020, era stata approvata una riforma che ha depenalizzato tutta un'ampia gamma di comportamenti, che, quindi, sono stati archiviati. Un'ulteriore riprova dell'utilità del reato sono le 3.662 condanne definitive inflitte dal 1996 al 2020, una casistica impressionante di strumentalizzazioni affaristiche, nepotistiche e sopraffattrici delle funzioni pubbliche.
Grazie alla riforma Nordio, tutte queste condanne dovranno essere revocate. In sostanza, lo Stato e i cittadini onesti dovranno chiedere scusa a tutti questi abusatori conclamati per averli processati e condannati per comportamenti oggi ritenuti non più meritevoli di sanzione penale. In Commissione giustizia abbiamo rappresentato che l'abolizione dell'abuso d'ufficio viola gli obblighi europei e internazionali dell'Italia, nonché i principi di buon senso, con il rischio per gli amministratori locali di incorrere in reati più gravi, come, per esempio, la corruzione, rendendo legittimi comportamenti profondamente ingiusti.
Per esempio, i casi dei concorsi pilotati, in cui vince non la persona più meritevole, ma quella oggetto di raccomandazione; i casi delle procedure ad evidenza pubblica, aggiudicate all'impresa che può vantare vicinanza con il pubblico ufficiale che le ha bandite; i casi delle liste d'attesa in ospedale, disattese in ragione dell'amicizia con il primario del reparto. Ed ancora, si producono effetti molto gravi sulla trasparenza nei concorsi pubblici e negli appalti, già seriamente compromessi dalla riforma del relativo codice operata dalla maggioranza, che ha ampliato le maglie degli affidamenti diretti e del ricorso al subappalto a cascata.
Noi abbiamo posto in Commissione giustizia una domanda nel caso si dovessero creare queste situazioni, ma non abbiamo ottenuto risposta, perché, ovviamente, questi abusi di potere vengono giustificati e legittimati da questa maggioranza e da questo Governo. Sottolineo, inoltre, che non è stato affrontato il tema relativo al rapporto tra la responsabilità politica e quella amministrativa degli amministratori locali, risultando questo disegno di legge solo - diciamocelo chiaramente, colleghi e colleghe - uno politico dell'Esecutivo, che non risolve nessuna delle problematiche che dichiara di perseguire.
Altro punto di questa riforma è il ridimensionamento del reato di traffico illecito di influenze, che è stato introdotto nel nostro ordinamento a seguito della ratifica della Convenzione penale sulla corruzione fatta a Strasburgo nel 1999. Il testo in esame modifica la disposizione all'epoca introdotta, limitando il traffico illecito di influenze ai soli casi in cui vi sia una dazione di denaro o di altra utilità economica, escludendo dalla sanzione penale qualsiasi altro tipo di vantaggi, tra cui, per esempio, i casi di prestazioni sessuali o di voti di scambio.
Diversamente da quanto attualmente previsto dalla norma vigente, il reato non sarà più configurabile nel caso in cui le relazioni con il pubblico ufficiale o con l'incaricato di pubblico servizio siano millantate e non realmente esistenti. Questa nuova formulazione dell'articolo 346- depotenzia il reato di traffico di influenze illecite, ne peggiora il testo, rendendolo un groviglio inestricabile. L'unico filo conduttore di tali interventi - è bene sottolinearlo in quest'Aula del Parlamento - potrebbe essere quello di garantire l'impunità a una serie numerosa di soggetti, tra cui i colletti bianchi, e di rendere maggiormente complesse le attività investigative dei magistrati.
Pensiamo, inoltre, agli interventi limitanti in merito alle intercettazioni telefoniche e alla loro pubblicazione, su cui erano già intervenute la riforma Orlando e la riforma Bonafede. Il tema delle intercettazioni è considerato dalla maggioranza e dal Governo alla stregua di un male assoluto. Sotto il mantello dei costi delle intercettazioni si nasconde la volontà di impedire la prosecuzione di indagini scomode, nonostante - è bene ribadirlo - proprio grazie alle intercettazioni, che tanto combattete, si sia permesso il recupero, tra il 2015 e il 2020, di beni per un valore di circa 35 miliardi di euro.
Tutto ciò che è rilevante sotto il profilo del pubblico interesse, come abbiamo sottolineato più volte in Commissione giustizia, andrebbe pubblicato senza limitazioni, cosa invece non gradita a questo Governo e a questa maggioranza, che, invece, preferisce far rimanere tutto nelle tenebre.
In tema di intercettazioni è bene rilevare, poi, come la lettera dell'articolo 2, riscrivendo l'articolo 103 del codice di procedura penale, relativo alle comunicazioni tra difensore e imputato, introduce garanzie ultronee e distoniche rispetto alla giurisprudenza che si è formata sul punto. Si introduce il divieto di ascolto dei colloqui tra indagato o imputato e il suo difensore. Il provvedimento, inoltre, si propone di modificare il comma 2- dell'articolo 144 del codice di procedura penale, vietando la pubblicazione delle intercettazioni, ancorché legittime e rilevanti, salvo che le stesse non siano riprodotte da un giudice nella motivazione di un provvedimento utilizzato nel corso di un dibattimento.
Tale restrizione è del tutto eccessiva e limita oltremodo la possibilità di pubblicazione di intercettazioni, impedendo ai cittadini e alle cittadine di conoscere fatti di pubblico interesse. Le storture erano già state corrette dalla riforma Orlando e dalla riforma Bonafede, come dimostrano anche i dati statistici. La loro pubblicazione risultava fortemente limitata e circoscritta solo a quelle rilevanti. Invece, la modifica del disegno di legge Nordio comprime la libertà di stampa e - lo ripeto - il diritto dei cittadini e delle cittadine a essere informati, con conseguenze sul piano della trasparenza, ampliando i divieti per i giornalisti in materia di intercettazioni.
Ed ecco, colleghi e colleghe, che nasce l'esigenza di censurare le trascrizioni delle intercettazioni ed impedire ai giornalisti di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare. In questo modo, si impedisce ai cittadini il diritto di leggersi le carte, perché evidentemente avete paura, perché le indagini penali mettono in luce come funziona la macchina del potere, e questo vi fa perdere consenso. Quindi, bisogna nascondere tutto, impedendo una corretta ricostruzione dei fatti. In questo modo, però, colleghi e colleghe, viene colpita anche la difesa degli indagati e degli imputati, perché la censura di ogni atto pubblico non permetterà di far emergere i fatti, lasciando campo libero alle opinioni più disparate. Ovviamente, la stampa di regime vi ringrazia.
Ancor più grave, poi, la modifica apportata all'articolo 291 del codice di procedura penale, che introduce l'istituto dell'interrogatorio preventivo di garanzia del soggetto sottoposto a indagini preliminari prima che venga assunta l'eventuale misura cautelare, salvo che sussistano le esigenze cautelari del pericolo di fuga e dell'inquinamento probatorio. Il testo, così formulato, impone l'obbligatorietà dell'interrogatorio preventivo in caso di pericolo di reiterazione del reato, emergendo la chiara finalità di garantire l'impunità - si ripete - ai colletti bianchi, con una previsione del tutto illogica e destinata ad appesantire le procedure.
È bene fare presente che l'interrogatorio preventivo sarà previsto anche per reati di particolare gravità quali: traffico illecito di influenze, la concussione o il traffico di rifiuti, che generalmente coinvolgono più soggetti, peraltro difficili da perseguire. Anche in questo modo verranno facilitati coimputati non sottoposti a misure cautelari, ponendo nel nulla indagini molto complesse e molto articolate. Lo stesso vale anche per i reati contro la pubblica amministrazione, i delitti commessi con armi o con altri mezzi di violenza personale e i reati di terrorismo e di mafia.
L'indagato sarà, in questo modo, posto a conoscenza preventivamente dell'intero quadro probatorio, incrementando il rischio di un suo inquinamento, a differenza degli altri soggetti coinvolti e non destinatari di eventuali misure cautelari. L'interrogatorio preventivo di garanzia rischia di produrre un effetto paradossale, dal momento che l'essenza delle misure cautelari è quella di essere a sorpresa: quindi, si domanda dove sia la sorpresa, se si forniscono al soggetto interessato le informazioni necessarie per aggirare il reato.
Questa norma costituisce un precedente gravissimo: prima di arrestare un presunto corrotto, bisognerà avvertirlo in anticipo, garantendogli in sostanza l'impunità. Infine, si attribuisce al giudice in composizione collegiale la competenza sulla decisione circa l'applicazione della custodia in carcere o di una misura di sicurezza detentiva nel corso delle indagini preliminari, comportando, in questo modo, la completa paralisi dell'attività degli uffici giudiziari, in particolare di quelli di piccole e medie dimensioni, vista già la carenza di magistrati e di personale oggi esistente.
Questo disegno di legge - è bene ricordarlo - è stato approvato in una settimana di fatti abominevoli, tra cui l'aggressione squadrista al collega Leonardo Donno, avvenuta proprio in quest'Aula del Parlamento, da parte di membri della maggioranza, e l'inchiesta di sui militanti di Gioventù Nazionale. Il disegno di legge in discussione è il terzo elemento di uno scambio di bandierine politiche e di favoritismi all'interno della maggioranza, a cui abbiamo assistito e che riguarda anche il disegno di legge sull'autonomia differenziata, voluto dalla Lega, e quello sul premierato, voluto dalla Premier Meloni.
Tutto questo si unisce a una serie di provvedimenti che, dall'inizio della legislatura ad oggi, hanno indebolito - e arrivo alla conclusione, Presidente - gli strumenti in mano alla magistratura. Pensiamo all'inutile decreto : su circa 30 persone sottoposte a processo, nessuna di queste è stata condannata, mentre, sempre in quel provvedimento, veniva abbattuto l'istituto della collaborazione con la giustizia. Quindi, tolta la collaborazione, abrogato l'abuso d'ufficio, depotenziato il traffico di influenze illecite, decapitate le intercettazioni, introdotti meccanismi di paralisi dell'attività giudiziaria. senza mettere risorse nella giustizia, cosa rimane per il contrasto alla corruzione e alle mafie? Ben poco, perché tutto è a vantaggio dei colletti bianchi, che vi ringrazieranno.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata D'Orso. Ne ha facoltà.
VALENTINA D'ORSO(M5S). Grazie, Presidente. Ci troviamo davanti il primo provvedimento a firma del Ministro Nordio. Ebbene sì, perché questo provvedimento, in realtà, nasce in Consiglio dei ministri ben un anno fa e poi va al Senato, dove, in effetti, ha un esame di qualche mese. A febbraio di quest'anno, arriva alla Camera e viene lasciato in un cassetto, bypassato da altri provvedimenti, che vengono prima, salvo poi, la scorsa settimana, diventare improvvisamente urgente. Forse non lo abbiamo detto abbastanza, ma lo raccontiamo anche in questa occasione: la scorsa settimana, per accelerare e comprimere il dibattito su questo disegno di legge, viene convocata una seduta che inizia alle 17 di lunedì in Commissione giustizia, per finire alle 4,15 della notte seguente.
Ora, si direbbe che c'era un'improvvisa urgenza. Ma quale urgenza poteva esserci, se non un'urgenza esclusivamente politica di dare, anche a Forza Italia, la sua bandierina? Infatti, ricordiamo che la scorsa settimana, mentre al Senato veniva approvato il premierato, tanto caro alla Presidente del Consiglio e a Fratelli d'Italia, qui c'era, in approvazione, l'autonomia differenziata, tanto cara alla Lega. Certo, Forza Italia non poteva rimanere a bocca asciutta. La separazione delle carriere ancora è lontana, per cui c'era bisogno di dare un segnale: il segnale è stato quello di tenere tante ore per comprimere un dibattito che imponeva, invece, un approfondimento serio.
Perché cosa prevede questo provvedimento? Voi direte: le priorità della giustizia italiana. Evidentemente, per il Ministro Nordio, supportato dalla maggioranza, le priorità della giustizia italiana sono, nell'ordine, queste: abrogare l'abuso d'ufficio; svuotare e rendere quasi inapplicabile l'altro reato, il traffico di influenze illecite; poi, creare tutta una serie di ulteriori ostacoli al lavoro dei magistrati; nascondere conversazioni - come diceva bene la collega Ascari - ai cittadini, introducendo nuovi divieti di pubblicazione dei contenuti delle intercettazioni rilevanti. E lo sottolineo, rilevanti. Quindi, per nascondere ai cittadini che cosa?
Evidentemente, anche conversazioni che possono essere imbarazzanti, non tanto sotto il profilo giuridico, quanto sotto il profilo etico e politico: non sia mai che un cittadino pensi di non votare mai più una persona perché ci sono delle dichiarazioni a dir poco agghiaccianti.
Siccome vogliamo occultare ai cittadini le informazioni a cui hanno diritto di accedere per poi andare ad esprimere un proprio voto consapevole e libero, allora facciamo questo: aumentiamo i divieti di pubblicazione delle intercettazioni. Poi, la ciliegina sulla torta sarà nel momento in cui verrà data attuazione al cosiddetto emendamento Costa - mi dispiace che il collega se ne sia andato - che chiaramente vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare.
Cosa accade? Cos'altro fa questo provvedimento? Crea una serie di ostacoli al lavoro dei magistrati, come l'interrogatorio preventivo, e anche del giudice per le indagini preliminari collegiale allorquando debba essere disposta la misura cautelare, in particolare della custodia cautelare in carcere. Mi soffermerò su questi istituti, però voglio darvi una lettura di insieme. La priorità di questa maggioranza e del Ministro Nordio evidentemente è una, ovverosia creare sacche di impunità per i colletti bianchi, lo ha detto prima la collega Ascari. Perché? Cos'hanno in comune tutti questi interventi legislativi, un po' sul codice penale, un po' sul codice di procedura penale, sulle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale? Tutte queste norme e questi interventi, che sembrano chirurgici e disparati qua e là, in realtà hanno solo una cosa in comune, quella appunto di creare sacche di impunità per i colletti bianchi. Non c'è un'altra finalità comune, non l'ho trovata neanche nella relazione illustrativa che la introduce, spiega, ed è predisposta proprio dal Governo e dal Ministero. Non ho trovato lì nulla da cui emergesse una finalità unitaria diversa, uno spirito unitario diverso. Siccome non si può dichiarare che il fine in realtà è quello che sto in qualche modo esprimendo oggi in quest'Aula, chiaramente non abbiamo trovato alcun tipo di lettura d'insieme, neanche nella relazione illustrativa.
Andiamo a fare un approfondimento su due istituti in particolare, perché dell'abrogazione del reato di abuso d'ufficio ne hanno parlato tanto i colleghi che mi hanno preceduta, così come anche dello svuotamento del traffico di influenze, che è conseguenza dell'abrogazione del reato di abuso d'ufficio, perché viene riscritta la fattispecie di traffico di influenze illecite in modo tale che se abroghiamo il reato presupposto, neanche questo reato potrà più essere contestato. Praticamente, sarà una scatola vuota. Tuttavia, per salvare la faccia, comunque, questa norma è stata mantenuta.
Andiamo all'interrogatorio preventivo. Come funzionerà questo interrogatorio preventivo e quando sarà necessario svolgerlo? Prima dell'adozione di una misura cautelare personale, prima dell'adozione di una qualsiasi misura cautelare personale, perché è un intervento all'articolo 291, che riguarda tutto il procedimento delle misure cautelari personali, il giudice per le indagini preliminari dovrà procedere all'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari, dell'indagato. Però quando? Perché c'è un perimetro di applicazione di questo istituto che svela il fatto che sia dedicato, se non esclusivamente, prevalentemente, ai colletti bianchi. Quando si applica questo istituto? Quando l'esigenza cautelare, che giustifica l'adozione della misura cautelare personale, è il pericolo di reiterazione del reato. Quindi, non quando c'è pericolo di fuga o pericolo di inquinamento probatorio, ma questo interrogatorio preventivo deve esser fatto quando c'è il pericolo di reiterazione del reato. Però, non per tutti i reati, attenzione, perché, certo, eliminiamo quei reati violenti da questo orpello. Allora, praticamente, se ritagliamo un po' qui e un po' lì viene fuori che questo interrogatorio preventivo dovrà essere svolto quando abbiamo la contestazione di reati contro la pubblica amministrazione, perché sono i reati per cui di solito l'esigenza cautelare, che giustifica l'adozione di una misura cautelare personale, è proprio il pericolo di reiterazione dei reati.
Quindi, questo nuovo istituto è praticamente dedicato a loro. Però, mi viene da sorridere, perché se è vero che inizialmente il pubblico ministero può richiedere l'adozione della misura sorretta da un pericolo di reiterazione del reato, però quel pubblico ministero si deve porre il problema che il minuto dopo, in cui verrà notificato l'avviso di convocazione per rendere l'interrogatorio, sicuramente emergeranno le altre due esigenze cautelari: o scatterà un pericolo di fuga, perché credo che chi si vede destinatario di un invito a rendere interrogatorio, ai fini - perché chiaramente quella è la finalità - dell'adozione di una misura restrittiva della propria libertà personale, possa avere l'idea di fuggire, se ne ha la possibilità; oppure scatterà il pericolo di inquinamento probatorio, perché il minuto dopo che il soggetto indagato viene raggiunto da questo invito a rendere interrogatorio, sicuramente, ci sarà un rischio di inquinamento probatorio, di occultare prove a proprio a proprio carico.
Ma vi è di più: nel caso in cui ci sia più di un indagato e magari per qualcuno non sussista l'esigenza cautelare, ma per qualcun altro invece sussista, cosa succederà? Succederà che chi viene raggiunto dall'invito per rendere l'interrogatorio spiffererà tutto quello che sta accadendo anche ai compari che hanno concorso nel reato o comunque che magari sono autori di reati collegati e questo chiaramente andrà a inficiare le indagini. È una cosa inaccettabile. Vedete come state mettendo in pericolo il lavoro investigativo della magistratura, come state spuntando le armi alla magistratura.
E ancora. A parte il fatto che si perderà la natura di atto a sorpresa, mi chiedo: siete sicuri che aumenterà le garanzie per l'indagato? Perché questo momento potrebbe anche essere vissuto come una pressione nei confronti dell'indagato, che sarà indotto, magari, a rilasciare dichiarazioni in modo incauto nel tentativo di sottrarsi ad un arresto. Anche perché, ce l'hanno detto in molti, sembrerebbe che voi non prevediate la necessità della difesa. Mi spiego: anche nella formulazione, dite che l'invito a rendere interrogatorio deve contenere l'avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia, ma non nominate, all'interno dell'avviso, un difensore d'ufficio all'indagato. Per cui pure questo è un tema, ce l'hanno segnalato in molti auditi: guardate che non è prevista neanche la difesa obbligatoria. Questo è anche un tema: voi che siete garantisti come fate a far andare a un interrogatorio l'indagato senza avvocato? E ancora. Cosa accade all'esito dell'interrogatorio preventivo se il giudice ritiene di accogliere la richiesta del PM e adottare la misura cautelare? Nel frattempo che il giudice emette il provvedimento che deve essere ben motivato cosa accade? Perché se c'è una misura precautelare da dover imporre, questo, la legge, lo deve scrivere e voi non lo scrivete. Cosa accade se il Gip ritiene di qualificare la condotta con un titolo di reato diverso o ritiene che siano altre le esigenze cautelari che sorreggono l'applicazione della misura? Cosa può accadere in questi casi?
Non sono valutazioni da poco e non solo lacune da poco. Sono lacune che creeranno un sacco di problemi ai magistrati, ma voi questo volete, ingolfare la giustizia, questa è la verità. Volete ingolfarla, la giustizia, non accelerarla, in un momento in cui, invece, dovrebbe interessare a tutti rendere più efficiente la macchina della giustizia e più celere, anche perché - ricordo a me stesso - abbiamo un PNRR da ottemperare.
Un'altra cosa che voglio sottolineare circa l'interrogatorio preventivo è questa: guardate che state scaricando sugli avvocati una grande responsabilità, perché l'invito per rendere l'interrogatorio deve essere notificato cinque giorni prima e non più di cinque giorni prima rispetto alla comparizione per rendere interrogatorio. Questo scaricherà sugli avvocati una pressione incredibile, perché come si fa a preparare una strategia difensiva in meno di cinque giorni? Come verrà percepito questo dal proprio cliente?
Davvero mi metto nei panni di quegli avvocati che magari si potranno anche sentire accusare di non avere svolto bene la propria linea difensiva e non avere sottratto agli arresti il proprio assistito. Secondo me, voi state inguaiando gli avvocati, non li state agevolando. Finisco parlando di un altro istituto, il GIP collegiale per l'applicazione della misura cautelare in carcere. Ebbene, è impraticabile con i numeri che ci sono adesso, con l'organico che c'è adesso, ma anche con quello che ci sarà dopo quei 250 giudici che volete assumere voi.
Infatti, noi abbiamo il problema delle incompatibilità e dei tribunali piccoli, che sono 48, che non avranno la possibilità di formare i collegi per l'applicazione della misura cautelare in carcere. Abbiamo tribunali medio-piccoli, che sono 66 nel nostro Paese e sono il 47 per cento; quindi, la metà dei tribunali non potrà ottemperare a questo istituto. Dunque, cosa potrà succedere? Potrà succedere anche un'altra cosa: magari dei giudici civili, che sono sicuramente meno specializzati in questo, potranno andare a comporre il collegio del giudice per le indagini preliminari. Voi pensate che questa sia una garanzia maggiore per l'indagato o pensate che non lo sia?
Ho qualche perplessità. Ancora, vi dico: tra l'altro, soltanto un giudice conoscerà bene il fascicolo, magari quello che nel tempo ha disposto anche le intercettazioni, e gli altri si adegueranno. Gli altri due dovranno adeguarsi un po' alla valutazione di quel giudice che conosce realmente il fascicolo. E ancora, pensate il peso che avrà un'ordinanza adottata da tre giudici sulle valutazioni del giudice monocratico chiamato poi a decidere nel merito, quindi nel dibattimento. Pensate che sia cosa da poco? Vi faccio queste domande perché vi dico: siete sicuri che un istituto del genere aggiungerà garanzie?
Infatti, in fondo, oggi comunque già c'è un giudice in composizione collegiale che si pronuncia sulle misure cautelari, ed è il Tribunale del riesame, che si esprime, tra l'altro, entro 10 giorni dalla richiesta, quindi comunque in un tempo abbastanza celere. Penso che davvero voi con questo provvedimento state ribaltando veramente le priorità della giustizia. State facendo esattamente l'esatto opposto di quello che c'è da fare: c'è da aumentare l'organico e invece voi ingolfate con le vostre soluzioni anche quei pochi magistrati che sono lì a lavorare e a fare il loro lavoro. Solamente ostacoli, solamente orpelli, che poco aggiungono in tema di garanzie e molto aggiungono, invece, come danni che verranno fatti al sistema giustizia .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Pittalis, che rinuncia.
Ha facoltà di replicare il Vice Ministro della Giustizia, senatore Francesco Paolo Sisto.
FRANCESCO PAOLO SISTO,. Grazie, Presidente. Ci tengo a chiarire che l'abrogazione dell'abuso d'ufficio - l'unico tema di cui intendo occuparmi è stato quello affrontato negli interventi più diffusamente - non è il frutto di una sorta di economia dello scambio nell'ambito della coalizione. Siamo di fronte a una scelta che deriva da una logica squisitamente tecnico-giuridica. Per abrogare una norma è necessario, è utile che sia un'abrogazione necessaria sul piano formale e doverosa sul piano sostanziale.
Un po' parafrasando, se volete, ripetendo lo schema - caro a Marcello Gallo, ma anche al mio maestro Renato Dell'Andro - dell'antigiuridicità formale e sostanziale: sostanzialmente, per scrivere una norma, noi utilizziamo un percorso particolare. Infatti, percepiamo la necessità di una norma da introdurre, la valutiamo dal punto di vista fenomenico, cerchiamo dei principi che siano coerenti con il sistema, e una norma viene introdotta perché possa essere armonizzata, conoscendo esattamente l'effetto che fa, quell'effetto che il legislatore si propone di raggiungere, neutralizzando fenomeni patologici.
Per abrogare una norma il percorso è inverso: bisogna chiedersi se quella norma è assistita da antigiuridicità formale, cioè il contrasto del fatto con la norma, e se è assistita da quella sostanziale, cioè il contrasto fra il fatto e gli interessi tutelati dalla norma. Quindi, questo percorso a ritroso ci porta a dire che questa è una norma che provoca più danni; non è soltanto inutile, è addirittura dannosa. Non ripeterò le statistiche, che sono state già abbondantemente ripetute, ma il percorso che il legislatore intende fare è chiedersi se oggi, su questa norma, in virtù di questi parametri formali e sostanziali, vi è ancora un comune sentire antigiuridico, soprattutto sul piano sostanziale, e se, quindi, è utile intervenire per ripristinare una situazione di fisiologia violata, messa in pericolo, comunque gravemente e in concreto, da questa norma, che oggi è avvertita, ripeto, come una norma non più degna di rimanere nell'ambito delle norme incriminatrici.
Questa è una posizione che il Governo ha assunto, questo andare a ritroso nell'ablazione di una norma sulla scorta di alcuni parametri che sono oggettivi. I parametri sono quelli non soltanto delle statistiche. Una norma che non funziona, perché, ovviamente, ha molte più assoluzioni, proscioglimenti e archiviazioni rispetto alla sua capacità di rappresentare un punto di arrivo patologico sul piano penale provoca danni derivanti dalla cosiddetta burocrazia difensiva, che non è soltanto un atteggiamento di difesa, ma è un blocco delle attività: il danno è per il cittadino, è il cittadino che in qualche maniera subisce gli effetti della paralisi della pubblica amministrazione.
Mette in pericolo principi come la tassatività e la personalità, di matrice codicistica e costituzionale, e soprattutto vivifica quella patologia, tutta italiana, del processo come vera sanzione. Il perdurare di processi destinati a essere archiviati, a non portare delle soluzioni di responsabilità, ovviamente acuisce il binomio pena-processo, che è un binomio ovviamente inaccettabile. A questo va aggiunto che non è vero - lo ha detto prima anche la collega Matone - che noi siamo di fronte a una situazione di mancanza di difesa rispetto a questi dati.
Abbiamo quello che è stato definito un pacchetto normativo importante contro la corruzione, più i tribunali amministrativi, l'Anac, la Corte dei conti e il giudice civile. Credo che la cartina di tornasole sia che questa è una riforma voluta essenzialmente da tutti i sindaci d'Italia, indipendentemente dal loro colore. Quando c'è questa comune sensibilità, il legislatore si deve porre il problema se davvero siamo di fronte a una norma che merita, per qualsiasi ragione, di rimanere nell'ambito del sistema penale. Affinché questo possa essere chiaro, il riscontro deriva - e ho chiuso - da tre importanti passaggi.
Il primo è la giurisprudenza che si è formata nel merito in ordine a casistiche, le più disparate, che hanno riguardato sindaci, si pensi ai sindaci. Al di là del caso famoso di quel bambino che ha visto la sua mano bloccata, e quindi il sindaco ha dovuto rispondere di un fatto lontano anni luce, sotto il principio di personalità, ma ci sono stati casi veramente unici: la trascrizione delle nozze gay, che è stata ritenuta un abuso d'ufficio, servizi in confronti di disabili, cioè di tutto e di più.
Qualsiasi patologia del procedimento amministrativo ha comportato che dei sindaci andassero sotto processo per le ragioni più disparate, e, quando la norma si slabbra e perde la capacità di essere tassativa e tipica, è evidente che c'è un difetto di funzionamento. Ma questo è accaduto - e qui non mi sottraggo - anche per alcuni importanti casi successivi al 2020. Infatti, si potrebbe dire che la riforma del 2020 ha portato chiarezza sul punto: non è così. Citerò alcune sentenze del Supremo collegio, la n. 21643 del 2022, la n. 40428 del 2023, la n. 21066 del 2024, dove si discuteva, in particolare, di nomine di direttori e componenti di un nucleo di valutazione e si discuteva se fosse necessaria una procedura comparativa o meno.
Qui il punto è che qualcuno diceva “sì”, qualcuno invece diceva “no”; intanto sono andati regolarmente sotto processo e si è dovuti arrivare in Cassazione per poter avere una sentenza poi, ovviamente, di assoluzione completa.
Parimenti per la sentenza n. 16659 del 2024, come dimostra la giurisprudenza, siamo di fronte, quindi, a una realtà che, anche dopo il 2020, ha visto la Cassazione fortemente impegnata anche in diatribe di non chiarissima individuazione; non è pacifico che la norma del 2020 abbia impedito la discussione sui temi dell'abuso e, se è vero che il vero problema è, ad assoluzione certificata, la durata del processo, è evidente che il legislatore ha il compito di intervenire per evitare che questi fenomeni possano continuare a verificarsi.
L'ultimo dato che intendo citare è forse quello più rilevante. Qualcuno non la cita, secondo me con sufficiente attenzione, ma si tratta della sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 2022, il cui estensore credo sia stato proprio Modugno, se la memoria non mi inganna, in cui si dice, con molta chiarezza, qual è il pensiero della Consulta sull'articolo 323 del codice penale. Io vorrei veramente ascoltare coloro che continuano ancora a non guardare quello che è sotto gli occhi di tutti quando la Corte dice, con molta chiarezza, che “per opinione ampiamente diffusa, deve individuarsi, infatti, proprio in tale stato di cose una delle principali cause della sempre maggiore diffusione del fenomeno che si è soliti designare come “burocrazia difensiva”. I pubblici funzionari si astengono, cioè, dall'assumere decisioni che pur riterrebbero utili per il perseguimento dell'interesse pubblico, preferendo assumerne altre meno impegnative (in quanto appiattite su prassi consolidate e anelastiche), o più spesso restare inerti, per il timore di esporsi a possibili addebiti penali (cosiddetta paura della firma)”.
Non è che lo dice il Governo di centrodestra; queste sono le parole della Corte costituzionale con una sentenza scritta da un illustre giurista che certamente non proviene dalle file del centrodestra. Allora, io credo che, a fronte di questo, bisognerebbe prendere atto che c'è un autorevolissimo orientamento, direi il più autorevole possibile e immaginabile, che ratifica il punto di partenza e di arrivo a cui noi tendiamo perché effettivamente si possa porre fine a questo “effetto di raffreddamento” - così lo chiama la Corte - che induce il funzionario a imboccare la via più rassicurante.
Allora, io credo che, da questo punto di vista, Presidente, noi possiamo concludere proprio con le parole della Corte: “Deve osservarsi come l'intervento normativo (…) rifletta due convinzioni (…): che il “rischio penale” e, in specie, quello legato alla scarsa puntualità e alla potenziale eccessiva ampiezza dei confini applicativi dell'abuso d'ufficio, rappresenti uno dei motori della “burocrazia difensiva”; che quest'ultima costituisca a propria volta un freno e un fattore di inefficienza dell'attività della pubblica amministrazione”.
A noi stanno a cuore i cittadini, che siano sindaci o funzionari, dirigenti o coloro che, essendo pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, possono andare incontro a un reato che oggi non ha veramente più senso. È un reato che provoca semplicemente un all'interno della pubblica amministrazione e che non consente uno sviluppo nei rapporti fra pubblico e privato.
Questo è un altro punto di riferimento di questo Governo; non c'è più il pubblico buono e il privato cattivo. Noi riteniamo che pubblico e privato con il , con il di accesso del rispetto delle regole, debbano andare di pari passo. Il privato, se rispetta le regole, ha tutti i titoli per marciare insieme al pubblico e il pubblico deve avvalersi di quelle che possono essere le risorse del privato per poter raggiungere gli obiettivi, sempre nell'interesse dei cittadini. Questa sinergia virtuosa noi riteniamo che stia perfettamente e calzi a pennello con l'abrogazione dell'abuso di ufficio, un reato che oggi davvero, per le ragioni che mi sono permesso di segnalare, ratificando quello che è il parere della Corte costituzionale, non ha più alcuna ragione di essere .
PRESIDENTE. Avverto che, prima dell'inizio della discussione, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Dori ed altri n. 1, D'Orso ed altri n. 2 e Gianassi ed altri n. 3, che saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Prima di passare al successivo punto all'ordine del giorno sospendo la seduta per 5 minuti. La seduta riprenderà alle 19,28.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 695-A: Modifica all'articolo 133 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, in materia di applicazione del premio minimo su base nazionale, ai fini dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli, in mancanza di sinistri negli ultimi dieci anni.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2024 .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.
La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Andrea De Bertoldi.
ANDREA DE BERTOLDI, . Presidente, onorevoli colleghi presenti, mi sia permesso, signor Presidente, rivolgermi anche direttamente, per suo tramite, allo stimato collega, onorevole Borrelli, sottoscrittore della presente proposta di legge, in quanto ritengo che sia un tema meritevole e ritengo anche, onorevole Borrelli, che sia lodevole l'impegno suo, anche quale rappresentante del suo territorio, di cercare di dare una risposta o comunque di venire incontro alle problematiche che incontrano i tanti cittadini, i tanti automobilisti che in alcune regioni e, in particolare, nella sua, hanno delle condizioni più onerose rispetto a quelle di altri territori. Quindi, io da questo punto di vista, non posso che essere solidale con lei e con i suoi intenti che so, conoscendola, essere assolutamente ispirati in questa direzione, però, come motiverò puntualmente nel corso della relazione, io sono qui per esprimere un parere negativo, quale relatore, anche a seguito dei lavori svolti nella Commissione competente, nella Commissione finanze. Un parere negativo, perché ritengo, onorevoli colleghi, che questa proposta di legge, al di là delle motivazioni che possono avere ispirato il sottoscrittore proponente, in realtà - e lo dimostrerò anche leggendo la relazione, quindi, venendo meno a quello che è un mio costume di parlare sempre a braccio, ma leggerò appositamente la relazione, proprio perché vorrò puntualmente specificare il perché -, questa intenzione, questa buona intenzione, che sicuramente sta nella mente del proponente, non si tradurrebbe in un vantaggio effettivo né per l'intera comunità nazionale, ma, come io arriverò a dire e a documentare, nemmeno per la sua comunità, per la comunità della sua regione, onorevole Borrelli.
È una proposta di legge che, di fatto, andrebbe a creare dei problemi, dei problemi di ordine giuridico, a livello costituzionale e comunitario, e dei problemi di ordine pratico, come poi vedremo. E andrebbe a discriminare, addirittura, quegli automobilisti che, magari, nell'arco dei dieci anni - come poi vedremo - hanno avuto la sfortuna anche loro di provocare anche solo un piccolo danno. Perché anche quegli automobilisti - che io voglio definire virtuosi, perché coloro che in dieci anni hanno fatto anche un piccolo sinistro non possiamo definirli certamente colpevoli - ebbene, anche quegli automobilisti della regione Campania, magari, quindi di una delle regioni a più alto tasso di incidenza della territorialità nella determinazione del prezzo delle assicurazioni, anche quei residenti, nella sua regione, che avessero fatto un sinistro negli ultimi dieci anni si troverebbero, signor Presidente, di fatto, penalizzati fortemente dall'applicazione di questa norma.
Orbene, procedo ora dando lettura delle motivazioni puntuali che vogliono dimostrare quanto da me in questo momento sostenuto. L'Assemblea avvia oggi la discussione della proposta di legge A.C. 695-A che reca una modifica all'articolo 133 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, in materia di applicazione del premio minimo su base nazionale, ai fini dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, in mancanza di sinistri - appunto - negli ultimi dieci anni.
La Commissione finanze ne ha avviato l'esame il 20 marzo di quest'anno e ha svolto anche un breve ciclo di audizioni nel merito. Nella seduta del 19 giugno 2024 è stata approvata una proposta emendativa soppressiva dell'unico articolo del provvedimento; è stato conseguentemente conferito al relatore, al sottoscritto, il mandato a riferire all'Assemblea in senso contrario. La proposta di legge, che come anticipato constava di un unico articolo, intendeva modificare, come detto, la disciplina dell'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi dei veicoli, legando il costo delle tariffe dei premi assicurativi al verificarsi o meno di sinistri da parte dell'assicurato nel decennio precedente, prescindendo dalla territorialità, che invece oggi in Italia e in gran parte dei Paesi d'Europa, onorevole Borrelli, determina la tariffa finale.
In particolare, il testo originario della proposta interveniva sull'articolo 133, comma 1, del codice delle assicurazioni private, introducendo un nuovo periodo; esso stabiliva che le imprese di assicurazione fossero tenute a riconoscere, all'atto della stipula del contratto o del suo rinnovo, anche in assenza di richiesta degli interessati, l'applicazione del premio più basso previsto nel territorio nazionale, da ciascuna impresa, per la corrispondente classe universale di assegnazione del singolo assicurato a tutti gli assicurati che non avessero, appunto, denunciato sinistri negli ultimi dieci anni.
Posto che, attualmente, il sistema assicurativo RC auto già contempla meccanismi premiali per gli assicurati più virtuosi, mediante il sistema del cosiddetto , la proposta in esame presenta numerose criticità, anche segnalate dai soggetti auditi nel corso dell'attività conoscitiva svolta, appunto, all'interno della Commissione finanze. In primo luogo, voglio richiamare l'attenzione dei colleghi sul fatto che il parametro territoriale è utilizzato in varia misura in tutti i principali Paesi europei e che, come è rilevabile dai dati dell'IVASS, i premi medi RC auto sono in costante diminuzione da almeno dieci anni. A questa diminuzione si è abbinata una riduzione del differenziale di premio medio pagato sia tra le varie province italiane, sia nel confronto europeo, tanto che nel 2017 la differenza tra premio medio italiano e premio medio europeo è stata di appena 78 euro e questo non dimenticando mai che abbiamo dei territori, delle zone in Italia, dove il tasso di sinistrosità e di frodi nel campo assicurativo è molto, molto più alto che in gran parte dei Paesi europei.
In particolare, voglio ora citare il testo della relazione introduttiva alla proposta di legge, nella quale si enuncia che la presente proposta di legge segue la della riforma della legislazione in materia di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi dei veicoli, che ha avuto inizio con il decreto-legge 31 gennaio 2007, n, 7, il cosiddetto decreto Bersani, che ha concesso la possibilità di utilizzare la stessa classe di assegnazione dei propri conviventi ai nuovi assicurati.
Al riguardo, preciso come più volte è stato rappresentato dalle compagnie di assicurazioni, attraverso il loro ente rappresentativo (l'ANIA), ma anche da parte degli agenti di assicurazione, attraverso il loro più rappresentativo sindacato (lo SNA), che già l'attribuzione della classe di merito più favorevole detenuta da un qualsiasi componente convivente dello stato di famiglia di un automobilista allo stesso automobilista è una disposizione che può indurre a riflessioni critiche, per la sua assoluta mancanza di basi statistiche e di logica tecnico-attuariale che possa giustificare la norma stessa. Di fatto, la cosiddetta classe di merito Bersani attribuita a tutti i membri di una stessa famiglia, sulla base della classe migliore più bassa detenuta da uno qualsiasi dei componenti della famiglia, ha, infatti, parzialmente snaturato il concetto di funzionamento del in Italia, proprio perché priva di giustificazione oggettiva e men che meno di riscontro attuariale, ma ispirata a logiche più assistenzialistiche che scientifiche e meritocratiche. In sostanza, sappiamo benissimo che, grazie a questa norma, mia figlia - se supererà gli esami nei prossimi mesi, a 18 anni avrà la patente automobilistica -, di fatto, godrà delle stesse agevolazioni che ho io dopo decenni di - direi - virtuosa attività di guida.
Quindi, è evidente, al di là di ogni appartenenza politica, che ciò non rappresenta un riscontro oggettivo scientifico e men che meno basato su dati di matematica attuariale. Rappresenta, invece, una volontà che la politica della sinistra ha avuto nel passato di fare concessioni che non si basano oggettivamente su nulla, che non hanno una scientificità. Perché, come dico, mia figlia di 18 anni avrà le stesse condizioni assicurative che ho io dopo trent'anni di meritata attività di guida.
Entrando ora nello specifico, si evidenzia che, per diversi motivi giuridici, tecnici, fattuali che si ripercorreranno in breve di seguito, il problema della territorialità non si può risolvere intervenendo forzosamente sui premi di alcune province. Dal punto di vista giuridico-amministrativo, se adottate, proposte di questa natura, rischiano di presentare profili di incompatibilità con i principi dell'articolo 41 della Costituzione, che fissa il principio di libertà dell'iniziativa economica privata, e si porrebbero in aperto conflitto con il principio di libertà tariffaria delle compagnie, sancito a livello comunitario, e, in particolare, avrebbero l'effetto di introdurre una tariffa governativa o amministrata, provocando un blocco tariffario, di fatto, e una sterilizzazione del parametro tariffario territoriale, quest'ultimo riconosciuto del tutto legittimo e significativo sia dal legislatore nazionale, sia da quello comunitario. Si veda, al riguardo, la normativa europea in materia di assicurazione non vita, nonché, più in generale, gli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Una simile impostazione confliggerebbe, inoltre, con la normativa comunitaria Solvency 2, in particolare con l'articolo 181 della direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009, in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione, che vieta di imporre alle compagnie condizioni di prezzo di qualunque tipo.
Oltre ai profili di illegittimità che ho richiamato, che riguardano, come abbiamo visto, sia possibili aspetti di costituzionalità, sia certi aspetti di regolamenti e normative comunitarie, voglio ora evidenziare ulteriori criticità, legate, in primo luogo, ai meccanismi di calcolo del premio, così come previsti dal provvedimento. Quindi, da un punto di vista tecnico, questo genere di proposte è, inoltre, tecnicamente insostenibile: stabilire, a favore degli assicurati, che non hanno causato sinistri negli ultimi anni, un prezzo unico per tutto il territorio e parametrato al livello di tariffa più basso farebbe saltare anche il meccanismo mutualistico su cui si fondano i sistemi assicurativi.
In questo caso, gli assicurati, che avessero causato anche un solo sinistro - come prima dicevo - negli ultimi dieci anni, sarebbero costretti a pagare premi molto più alti evidentemente e le compagnie, se volessero evitare tale insostenibile conseguenza, dovendo comunque coprire il disavanzo - le compagnie di assicurazioni sono imprese e non enti di assistenza -, che si realizzerebbe a causa della soluzione proposta, verosimilmente sarebbero costrette a stabilire una tariffa unica più elevata, a danno di tutte le comunità di automobilisti più virtuose. Ne deriverebbe, quindi, inevitabilmente, un innalzamento dei premi assicurativi a livello nazionale, con effetti controproducenti - come prima spiegavo - per la generalità degli assicurati italiani.
Inoltre, come risulta dalla stessa relazione introduttiva che accompagna la proposta di legge, il vantaggio tariffario proposto, più forte nelle regioni in cui le imprese applicano le tariffe maggiori, crea un maggiore deterrente alla denuncia dei sinistri in tali aree, in quanto, in caso di sinistri, si perde il forte tariffario per i dieci anni successivi. Quindi, con questa proposta di legge, andremo - di fatto - ad incentivare, nei cittadini meno onesti e virtuosi, la possibilità che questi non denuncino un sinistro per non vedersi - magari dopo nove anni e mezzo di ottima guida - naufragare tutto e trovarsi nella condizione di pagare molto di più di quello che avrebbero pagato.
Si tratta di un assunto che avrebbe, quale conseguenza diretta, quella di incentivare i sinistri senza responsabili, i cosiddetti “sinistri ignoti”, e, quale conseguenza indiretta, quella di determinare il maggior ricorso al Fondo di garanzia vittime della strada, alimentato per legge dalle compagnie attraverso una maggiorazione del 2,5 per cento del premio assicurativo RC auto. Si determinerebbe, in tal modo, quindi, un ulteriore aumento dei costi per tutti gli assicurati, in tutte le aree del Paese.
Sotto il profilo del meccanismo mutualistico-meritocratico, su cui si fondano i sistemi assicurativi, intendo, inoltre, ribadire come, dall'applicazione a una categoria di assicurati del premio minimo praticato dalle compagnie assicuratrici su tutto il territorio nazionale, potrebbe, di fatto, discendere un aumento del premio minimo a livello territoriale, a discapito soprattutto degli assicurati che guidano in zone a minore incidentalità, i quali, peraltro, già oggi, per il principio di mutualità, assumono una parte del rischio nel prezzo complessivo della polizza RC auto.
Si rischia, inoltre, in tal modo, di penalizzare tutti gli automobilisti che, sebbene non rientrino nella categoria di coloro cui applicare la tariffa minima, hanno pur sempre avuto comportamenti virtuosi, avendo, ad esempio, registrato un solo sinistro nell'ultimo decennio e sui quali, inevitabilmente, le compagnie di assicurazione finirebbero per compensare tutto o parte le riduzioni tariffarie loro imposte da questo provvedimento.
Dal punto di vista - per concludere - dell'efficacia di fatto, un ulteriore aspetto che motiva l'orientamento contrario della Commissione finanze sulla proposta di legge riguarda la circostanza per cui il provvedimento, disponendo di fatto una calmierazione legislativa dei prezzi, non aggredisce le cause della differenza territoriale nel prezzo delle polizze RC auto. Infatti, non dimentichiamoci che le territorialità - che ricordo essere applicate non solamente nel nostro bel Paese, ma nella maggior parte dei Paesi europei - nascono dal fatto che, per scienza attuariale, nelle realtà dove vi è un maggior rischio e c'è un tasso di sinistri maggiore, le compagnie devono farsi pagare di più. È una oggettività che penso sia facilmente comprensibile: dove il rischio è maggiore, si paga di più, fermo restando quella mutualità che già insiste e che fa sì che anche le realtà, dove la sinistrosità è più bassa, partecipano comunque parzialmente alla tariffa di coloro che, invece, si trovano in una zona, da questo punto di vista, più svantaggiata.
Quindi il provvedimento, di fatto, disponendo una calmierazione legislativa dei prezzi, non aggredisce però le cause di quelle differenze territoriali che determinano la differenza di prezzi. Da ciò discende un forte rischio di insostenibilità economica della RC auto per alcune fasce di cittadini, ovvero rischi di instabilità delle imprese di assicurazione, che potrebbero - ovviamente, se non potessero modificare le proprie tariffe - non essere mai in grado di pagare i risarcimenti, perché, ricordiamo, è vero che l'Ivass ci ha confermato proprio oggi, per bocca del presidente Signorini, che le compagnie di assicurazione italiane, per fortuna, stanno godendo di buona salute, ma, certamente, non possiamo essere noi, creando delle tariffe amministrate, che andiamo, invece, a incidere negativamente sulla buona salute delle imprese di assicurazione, e quindi sull'affidabilità che le imprese di assicurazione hanno per i cittadini assicurati.
Il calmieramento dei prezzi per legge non è, quindi, il metodo giusto per garantire che i prezzi della RC auto continuino a diminuire, perché non si agirebbe sulle cause effettive del differenziale dei prezzi tra province, il numero e il costo dei sinistri denunciati nelle aree più costose. È un concetto che, volendo anche fare un parallelismo, segue molto il concetto dell'autonomia, della quale abbiamo parlato negli scorsi giorni. I territori vanno responsabilizzati, perché, se un territorio non è responsabilizzato, ma pensa che basti una proposta di legge per imporre nei territori a più alta incidentalità le stesse condizioni dei territori a più bassa incidentalità, evidentemente non sarebbe un atto giusto, ma neppure, come è stato dimostrato, un atto che sarebbe utile a loro, se posto in queste condizioni, perché il cittadino campano, e mi rivolgo davvero a lei, onorevole Borrelli, sempre per il tramite del Presidente…
FRANCESCO EMILIO BORRELLI(AVS). Non mi offendo.
ANDREA DE BERTOLDI, Lei sa che comunque la stima e l'amicizia tra di noi non vengono mutate da questo nostro parere. Vado a concludere, perché sono veramente in fase conclusiva. Quindi, dico, queste condizioni si ribalterebbero negativamente anche sui cittadini delle regioni a più alta incidentalità per coloro che avessero fatto anche un solo incidente negli ultimi anni. Il calmieramento dei prezzi per legge non è il metodo giusto per garantire che i prezzi della RC auto continuino a diminuire perché, appunto, non si agisce sulle cause effettive del differenziale.
Misure più efficaci potrebbero essere, tra le altre, quella di una maggiore e più attiva collaborazione con la magistratura da parte degli enti locali delle zone maggiormente rischiose, per ridurre il numero abnorme di frodi automobilistiche nelle loro province, che sono tra le principali cause delle differenze tariffarie con il resto d'Italia. Altre misure efficaci potrebbero essere: sostenere una migliore manutenzione delle strade, visto che dalle rilevazioni risulta un numero elevato di punti pericolosi responsabili di incidenti; contrastare con più forza il fenomeno degli automobilisti privi di copertura assicurativa o con contrassegni falsi, i cui incidenti sono indennizzati dal Fondo vittime della strada, finanziato con il contributo a carico di tutti gli assicurati.
Al riguardo, mi permetto anche di osservare e di ricordare al Governo e alla gentile Sottosegretaria che, forse, tutti aspettiamo - e quindi sono certo che il nostro Governo si attiverà al più presto - che vengano emanati i decreti ministeriali che rendono possibile la comminazione della sanzione per violazione dell'obbligo di copertura assicurativa direttamente mediante i rilevatori elettronici a distanza, come quelli collocati all'ingresso delle ZTL.
Ritengo che queste siano le condizioni per limitare le differenze territoriali, per creare un Paese più virtuoso, e, quindi, per uniformare, di fatto, il costo dell'assicurazione in Italia a quello europeo, che peraltro, come ho detto, già è molto, molto vicino. Per tutti questi motivi, ribadisco l'orientamento contrario già espresso in Commissione finanze sul presente provvedimento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la Sottosegretaria per l'Economia e le finanze, onorevole Lucia Albano: si riserva.
È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU(PD-IDP). Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, oggi la discussione generale ci consente di illustrare un provvedimento che - abbiamo sentito adesso, dalle parole del relatore - la maggioranza ha già deciso di bocciare. Già in Commissione era stato presentato un emendamento soppressivo, che ha portato alla reiezione dell'intero testo, ed è stato dato mandato al relatore di riferire in senso negativo qui in Aula, lo abbiamo sentito con grande nettezza. Purtroppo, ci tocca stigmatizzare questo aspetto, è una scena che tristemente si va ripetendo in questa legislatura: da un lato, il Governo che non riesce a esprimere una visione comune, vive di ricatti incrociati, porta avanti proposte bandiera delle diverse forze di maggioranza, e, per portarle avanti tutte insieme, in contemporanea, affoga il Parlamento di decreti, voti di fiducia e sedute fiume.
Abbiamo vissuto la scorsa settimana quello che è il fenomeno che stiamo vivendo. Dall'altro, le proposte di opposizione vengono sistematicamente rimbalzate, snaturate o, nel migliore dei casi, collocate su dei binari morti. In questo caso specifico, però, auspichiamo veramente che il Governo e la maggioranza riescano a dare vita a un ravvedimento operoso nelle prossime ore. Perché, se così non fosse e se quello che abbiamo sentito nelle parole del relatore si dovesse in qualche modo concretizzare, veramente noi avremmo un altro segnale preoccupante, proprio la settimana dopo in cui, in quest'Aula, abbiamo visto il voto sul decreto “Spacca Italia” e abbiamo visto le scelte che sta portando avanti questo Governo.
Viene da farsi una domanda: ma che cosa vi hanno fatto le cittadine e i cittadini del Mezzogiorno d'Italia? Perché, in ogni occasione utile, scegliete di votare sempre contro la possibilità che possano avere gli stessi diritti, le stesse opportunità e le stesse possibilità di tutti i cittadini italiani e di tutte le cittadine italiane? Perché anche la vostra scelta di oggi, che è stata argomentata adesso dal relatore, va in una direzione opposta rispetto a questo principio.
Perché chi vive in alcune realtà del Sud deve affrontare costi molto più alti, rispetto a chi vive al Centro e al Nord, per le polizze di responsabilità civile auto, il contratto assicurativo obbligatorio - obbligatorio - che ciascuno deve stipulare con le compagnie di assicurazioni per coprire i danni a cose e persone involontariamente causati quando si guida? La proposta di legge a firma del collega Borrelli intende affrontare una palese ingiustizia: la differenza nel costo dei premi assicurativi a seconda del luogo di residenza, anche se gli assicurati sono nelle medesime condizioni per età, auto guidate e comportamento virtuoso, e non hanno commesso sinistri negli ultimi 10 anni.
Questa è la domanda che pone questo intervento normativo e a cui non abbiamo sentito una risposta. Non si sta dicendo altro, se non di prevedere il premio più basso, previsto a livello nazionale, per tutti gli assicurati che non hanno denunciato sinistri negli ultimi 10 anni. Abbiamo sentito, con grande forza, il relatore dire: “Questo prezzo in più, derivante dal risparmio che avrebbero tutti gli assicurati che non hanno subito sinistri negli ultimi 10, non può essere pagato da chi ha subito almeno un sinistro”. Ma perché, invece è più giusto un principio per cui sono solamente quelli di una determinata collocazione territoriale, che non hanno subito alcun sinistro, a pagare tutto e altri a non pagare nulla?
Questo è un criterio più giusto? Questo è un criterio più equo? Questo è qualcosa che funziona meglio?
Non può essere il tuo CAP di residenza a condannarti a pagare di più o a pagare di meno, a prescindere dal tuo comportamento alla guida. Se si decide di premiare coloro che sono virtuosi, bisogna premiare tutti i virtuosi. Se non va bene questo principio, che non bisogna premiare solo i virtuosi, ma anche chi ha avuto un solo sinistro, si può cambiare la norma. Noi siamo all'opposizione e voi siete in maggioranza, gli argomenti che usavate quando eravate all'opposizione ormai sono un po' superati per il fatto che, da due anni, siete voi al Governo. Quindi, se non vi va bene una norma, potete cambiarla. Non vi vanno bene le norme che sono state fatte negli anni in cui al Governo c'era il centrosinistra? Potete cambiarle. Ma dalla domanda di giustizia di garantire a tutti i cittadini, a prescindere dal quartiere e dalla città in cui abitano, gli stessi diritti, non potete evadere.
Perché sapete cosa si rompe in questo modo? Si rompe quell'idea di far parte della stessa comunità nazionale che voi portate anche nel nome del partito con il quale vi siete presentati alle elezioni, e non solo nel programma. Perché non si è più “Fratelli d'Italia” se, a seconda se sei nato a Napoli o a Milano, hai diritto a prezzi diversi, a parità di comportamenti. Se si premiano i virtuosi, vanno premiati tutti i virtuosi. Stiamo parlando di loro, di automobilisti che non hanno fatto alcuno scontro e che rispettano tutte le leggi e tutte le regole.
Cosa gli possiamo dire? Gli possiamo dire che alcuni hanno diritto a essere premiati ed altri no, a seconda della città da cui provengono? Il cittadino che ha bisogno di utilizzare un mezzo di trasporto privato è tenuto ad assicurarsi, se vuole circolare; quindi, ha il diritto a costi giusti e a criteri oggettivi e chiari, validi per tutto il territorio nazionale.
Per questo lo Stato non può rimanere indifferente di fronte a quella che è una palese ingiustizia. Deve porvi rimedio per mettere fine a discriminazioni tutte ingiustificate.
Chiariamoci: nella nostra idea, lo Stato non può rimanere indifferente e ci deve essere una risposta in quest'Aula, in Parlamento; finché saremo uno Stato nazionale, così sarà. È chiaro che se qualcuno già guarda oltre questa dimensione, questo non è più un problema. Tutto sarà differenziato: i diritti, i servizi, le possibilità, a seconda della regione da cui si proviene. Allora, anche questo tipo di petizione di giustizia che stiamo avanzando con queste proposte non avrà più senso, ma, dato che noi ci crediamo ancora nell'Italia e nell'Europa, in quelle bandiere che sono alle spalle del nostro Presidente, durante questa seduta noi vi chiediamo di rispondere a questa domanda, non di ignorarla.
Al riguardo, io voglio ricordare il grande lavoro anche delle precedenti legislature, in particolare di Leonardo Impegno, deputato del PD nella XVII Legislatura, che si è già battuto per l'istituzione della tariffa Italia, ottenendo dei miglioramenti, ma non riuscendo a terminare positivamente la sua opera, per la fine della legislatura. Dall'approvazione della legge per il mercato e la concorrenza del 2017, legge n. 124 del 2017, le compagnie sono, infatti, obbligate ad applicare uno sconto significativo ai soggetti residenti nelle province a maggiore tasso di sinistrosità che non abbiano procurato scontri negli ultimi quattro anni e che abbiano installato la scatola nera. È necessario intervenire, affinché venga data certezza a questa norma attualmente è in vigore, ma che non definisce oggettivi criteri di determinazione dello sconto. Voglio inoltre ribadire qui, con un sentimento di giustizia sociale, che chi non causa scontri, ovunque egli risieda, deve avere il diritto di essere assicurato pagando la medesima tariffa unica per tutto il Paese. Questo è l'obiettivo finale di questa proposta e di questa mobilitazione, che passa di legislatura in legislatura perché è sentita nel Paese e risponde a una domanda reale.
Ora, il gruppo del Partito Democratico si è espresso favorevolmente alla proposta di legge in discussione e ha presentato anche quattro emendamenti, a prima firma del collega Toni Ricciardi, che voglio ringraziare, insieme al capogruppo Virginio Merola e a tutta la rappresentanza in Commissione finanze, che puntano a migliorare il testo, avvicinandosi per gradi, se necessario. Se non si può fare tutto in un unico provvedimento, può essere anche graduale il percorso, ma quello è l'obiettivo della tariffa unica per tutto il Paese, attraverso un'azione intelligente, che sia in grado di attaccare con forza - questo è l'altro punto che manca totalmente nell'intervento del relatore che abbiamo ascoltato - i comportamenti sbagliati che l'assenza di una scelta di direzione politica chiara sul tema sta determinando. Qui veniamo all'aspetto: sembra, infatti, che il Governo non si sia reso conto nemmeno del fatto che queste ingiustificate differenze nei costi dell'RC auto possono favorire, anzi, stanno già favorendo, comportamenti illeciti o, per così dire, di chi è costretto a utilizzare l'auto privata. Infatti, noi stiamo assistendo a uno smantellamento del servizio di trasporto pubblico locale, a condizioni sempre più difficili dei trasporti, a un diritto alla mobilità di tutte e di tutti che viene negato e la ciliegina su questa amarissima torta è arrivata nelle scelte sulla votazione, solo poche settimane fa, contro la mozione del Partito Democratico per finanziare il Fondo nazionale di trasporto e condannare al non rinnovo dei contratti centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori che vivono in condizioni difficilissime. I sindacati hanno già proclamato per il prossimo 18 luglio uno sciopero: c'è una condizione difficilissima, crescono le aggressioni nei confronti del personale del trasporto pubblico locale, l'insoddisfazione e l'insofferenza da parte dei cittadini. C'è una domanda di trasporto che non viene corrisposta, c'è una domanda che è sempre più difficile da soddisfare, soprattutto nelle periferie, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, soprattutto nelle aree interne, e molti cittadini - che non hanno alternative all'auto privata per andare a scuola, per portare i figli a scuola, per andare a lavorare, per curarsi, per studiare - si ritrovano pure nella difficoltà di avere un costo d'accesso all'RC auto altissimo, insormontabile proprio, in quei territori dove ci sono maggiori difficoltà. Di fronte a questo paradosso ci sono poi, dicevo, dei fenomeni : osserviamo il fenomeno delle targhe straniere. Non so se l'avete seguito, è molto diffuso, soprattutto nella città di Napoli. Si tenga conto che i costi dell'assicurazione del capoluogo partenopeo sono i più alti d'Italia dopo Prato e che, in generale, il 95 per cento degli assicurati italiani paga di RC auto molto più della media dei cittadini europei. Ora, la differenza ci è stata detta: 78 euro tra il prezzo medio europeo e il prezzo medio italiano. Non si dica che è poco il fatto che i nostri cittadini paghino mediamente 78 euro di più: non è poco, soprattutto per i nostri cittadini più fragili. Noi conosciamo la celebre affermazione sulla media dei polli: alla fine, se la media è di un pollo l'anno per ciascuno, magari c'è chi mangia due polli e chi non mangia nessun pollo. Se questa media di 78 euro è fatta da cittadini che pagano 500 euro più della media europea e cittadini che sono perfettamente nella media europea, avremmo voluto sapere anche questo calcolo. Come avremmo voluto vedere questi dati che collegano alla sinistrosità. Allora, vengano fuori questi elementi su sinistrosità, sulle presunte truffe, sull'accertamento delle truffe, noi non abbiamo ascoltato i dati, abbiamo ascoltato un giudizio sui dati. Non abbiamo ascoltato i dati che portano a questi ragionamenti. Tuttavia, ritorniamo alle targhe straniere: a Napoli, infatti, si possono superare i 1.500 euro l'anno di spesa, mentre, per alcuni, l'uso della targa straniera abbatte questi costi, consentendo di calcolarli sul livello del Paese di targa, di solito inferiori a quelli italiani. Ora, da questo punto di vista, sono interventi, come quelli presentati, che hanno un obiettivo, cioè ridurre e cancellare il ricorso a questi . Tale intervento avrebbe anche un fortissimo vantaggio per la fiscalità pubblica. Si tenga conto, infatti, che le province che non incassano l'imposta sulla responsabilità civile auto - che sarebbe di loro competenza -, a causa di trasferimenti di residenza, perdono risorse e che lo Stato non ricava nulla sotto il profilo dell'IVA dalle vendite di veicoli che non hanno targhe italiane. Tante sarebbero le ragioni per cui noi dovremmo evitare il ricorso a questi fenomeni; e forse già nell'intervento del relatore abbiamo sentito un ravvedimento operoso, al riguardo. Noi abbiamo assistito a una campagna elettorale che, forse, abbiamo finalmente alle spalle: è finita la crociata contro gli autovelox, è finita la crociata contro le ZTL, si sta discutendo addirittura di far controllare automaticamente che ci sia l'assicurazione dei mezzi. È una cosa sacrosanta e giusta e assolutamente si deve fare. Dopodiché, è complicato, se togliamo tutti gli strumenti di valutazione oggettiva dalle strade, poi introdurne uno solo per valutare l'assicurazione. Sarebbe meglio pensare che, come in tutta Europa e in tutto il mondo, le regole vengano scritte per essere rispettate. Se poi ci sono strumenti tecnologici che ci consentono certificare e verificare l'effettivo rispetto delle leggi, tutti coloro i quali - almeno noi parlamentari che scriviamo queste leggi - ne auspicano il rispetto dovrebbero essere contenti che siano presenti questi strumenti e non costruire addirittura campagne elettorali o demagogiche contro di essi. Ma noi speriamo che ci sia una resipiscenza del Governo e della maggioranza che ci porti ad approvare tutti insieme, al di là delle legittime differenze politiche, questa proposta di legge, perché sarebbe un primo passo importante per tutte e tutti i cittadini del nostro Paese in una direzione di una maggiore giustizia.
È necessario, inoltre, affrontare concretamente la questione che si è cercato di illustrare, con l'obiettivo di arrivare a una tariffa unica nazionale, intervenendo per premiare allo stesso modo, su tutto il territorio nazionale, tutti i guidatori virtuosi, i cittadini onesti e le persone che scelgono un comportamento attento alla guida, che si preoccupano della sicurezza propria e degli altri sulla strada. Se il modo in cui attualmente sono premiati è troppo alto, allora si riformuli questo premio, ma lo si renda equo, giusto, uguale in tutte le città, senza differenze a seconda del CAP di provenienza.
Ora, la maggioranza può naturalmente bocciare questa proposta di legge, può fermare le nostre iniziative - e lo sta facendo - per proporre un'agenda alternativa, è quello che state portando avanti. Tuttavia, c'è un verbo che dovete cominciare - a mio avviso - a declinare al passato. Infatti, vedete, ho sentito dire, anche nella discussione che ci ha preceduto: “i cittadini, i cittadini, la maggioranza dei cittadini, la maggioranza dei cittadini ci chiede, la maggioranza dei cittadini ci sta chiedendo (…)”. Prima di tutto, voi, oggi, siete maggioranza in Parlamento, ma non siete stati, al momento delle elezioni, maggioranza per le persone che hanno votato. La maggioranza delle persone che ha votato ha votato per forze che oggi sono all'opposizione. Voi siete stati la maggioranza relativa su un'unica coalizione e oggi, legittimamente, governate e rappresentate la maggioranza dei parlamentari. Tuttavia, non potete continuare a non tenere conto di quello che sta succedendo nel Paese. Due settimane fa abbiamo avuto le elezioni europee.
Nelle elezioni europee, al di là dei calcoli sui voti relativi, in termini di voti assoluti solo il Partito Democratico e Alleanza Verdi e Sinistra sono cresciuti nei consensi rispetto alle ultime elezioni politiche e tutte le altre forze hanno perso in termini di voti assoluti. Poi, sono cresciuti perché è diminuita l'affluenza in termini di voti relativi, ma il numero di persone che sono andate a votare due anni fa per i partiti di maggioranza è diminuito mentre il numero di persone che sono andate a votare per il Partito Democratico e per Alleanza Verdi e Sinistra è aumentato.
Inoltre, in questi minuti stiamo assistendo ai risultati dei ballottaggi e non potete fare finta che non stia avvenendo quello che sta avvenendo. È un segnale chiaro - lo ha detto chiaramente la nostra segretaria Elly Schlein - e c'è una vittoria storica per il PD e per il campo progressista, perché in tutti i capoluoghi di regione al voto la destra ha perso. È sicuramente un grande successo delle candidate e dei candidati, delle donne e degli uomini che sono impegnati sul territorio e che hanno costruito proposte credibili di riscatto per quei territori, ma è anche un forte segnale politico che dice basta ai tagli alla sanità, “sì” al salario minimo e “no” all'autonomia differenziata che sta spaccando l'Italia. Infatti, non può essere un caso che da Cagliari, a Firenze, da Bari, a Potenza, a Campobasso, a Vibo Valentia, a Perugia, a Cremona, a Civitavecchia, a Palestrina, a Tarquinia e anche Bastia Umbra - e fatemi rivolgere un saluto a Susanna Cenni, parlamentare della scorsa legislatura, eletta sindaca di Poggibonsi - ci sia stata una vittoria che dà il senso di una fase politica che sta cambiando e dentro questa fase politica, che sta cambiando, c'è anche l'incapacità di un Governo di leggere questi cambiamenti e queste richieste.
Voi oggi votate contro questa proposta di maggiore giustizia per tutte le cittadine e tutti i cittadini da un punto di vista dell'RC auto e poi ci confronteremo sul grandissimo tema della sanità, con la proposta di legge Schlein, nelle prossime ore. Ormai c'è un confronto aperto: da una parte, l'agenda dei ricatti incrociati del Governo, che sta scavando, a forza di sedute fiume, un dentro questo Parlamento; dall'altra, c'è l'impegno delle forze di opposizione a costruire un'alternativa e lo fanno mettendo al centro le comunità, le città, la giustizia e quell'unità nazionale che non vi permetteremo di distruggere .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borrelli. Ne ha facoltà.
FRANCESCO EMILIO BORRELLI(AVS). Grazie, Presidente. Mi permetta di fare una premessa sul collega De Bertoldi, per dire che non solo io apprezzo come lavora ma apprezzo il suo metodo di lavoro e proprio per questo motivo, perché gli riconosco anche un'enorme professionalità e onestà intellettuale, la mia delusione, rispetto alla decisione e all'azione con cui si è deciso di bocciare questa proposta, è ancora maggiore. Mi spiego meglio. Io non ho fatto questa proposta chiusa; ho fatto la proposta in Commissione, come il presidente Osnato sa benissimo, perché abbiamo svolto un ciclo di audizioni, tra l'altro poc'anzi anche citate, in quanto il tema della sperequazione nel nostro Paese, che riguarda, in particolare, alcuni comuni del Sud - ma non solo il Sud - è un dato di fatto oggettivo. Pertanto, avevo chiesto alla maggioranza la possibilità di fare una controproposta, perché me la sarei aspettata. Questo, dunque, è il motivo di maggiore delusione, che ovviamente, tramite la Presidenza, formulo alla rappresentante del Governo e al relatore. È questo il motivo di maggiore delusione e non il fatto che ci possano essere punti di vista diversi.
Però, mi sembra che proprio l'onestà intellettuale del relatore sia partita da un presupposto, cioè che c'è un tema e il tema è che in questo momento paghi a secondo del posto dove nasci e il luogo di nascita non può essere il motivo per cui devo subire un'ingiustizia. Aggiungo che la relazione del collega De Bertoldi è sostanzialmente una rivisitazione della nota che ci hanno mandato le compagnie di assicurazione che, ovviamente, vedono col fumo agli occhi questa proposta, che non è anticostituzionale e che, tra l'altro, è sostenuta pubblicamente dall'ACI, dal Garante nazionale degli assicurati e da tutta una serie di figure che, tra l'altro, ho fatto invitare soltanto io, perché nessuno ha ritenuto di proporre nomi per fare queste audizioni. È vero che io sono stato il proponente di questa proposta di legge, ma è anche vero, salvo smentite, che tutti in Commissione e, credo, tutti in questo Parlamento non possano che confermare che c'è un tema di ingiustizia.
E allora partiamo da un presupposto. Io ho previsto 10 anni, ma potevano essere 5 anni, poteva essere emendato il testo, non a caso il collega Casu ha detto prima che loro hanno proposto alcuni emendamenti; si poteva migliorare. Non andava bene 10 anni? Vogliamo prevederne 5? Vogliamo fare con una clausola particolare? È evidente che questo tema avrebbe rimesso al centro una palese e inaccettabile ingiustizia, che si continuerà a far subire a persone che non hanno commesso sinistri.
Perché io ho posto con forza questo tema? Come ha detto il professor Coviello, le figure che andrebbero a beneficiarne sono, in realtà, una minima parte, ma avremmo posto un principio. E il principio è che, se noi ci comportiamo in modo onesto e corretto, o abbiamo un comportamento uniforme rispetto a delle leggi, noi siamo uguali da Milano a Enna. E, invece, qui si vuole far passare un'idea ed è stato detto; secondo me, non voleva intendere questo, ma il collega De Bertoldi ha detto: voi dovete capire che è un po' come l'autonomia differenziata. Quindi, se ho capito bene, l'autonomia differenziata è: se io nasco a Napoli, vengo massacrato; se, invece, nasco a Milano, vado meglio. Non è corretto. Non credo che volesse intendere questo, però è quello che è emerso dall'intervento, ossia voi vi dovete abituare al fatto che l'autonomia differenziata è come l'RC auto: se nasci al Sud, ti è andata male!
Ovviamente, c'è stato un ulteriore intervento, lo dico di nuovo perché ho ascoltato con enorme attenzione l'intervento dei due colleghi, in particolare quello del relatore: dovete migliorare le strade, dovete combattere e denunciare di più i sinistri. Scusatemi, ma non è lo Stato centrale che dovrebbe intervenire contro chi fa truffe? Non ci stanno la magistratura, la Polizia, la Guardia di finanza? La colpa è di quelli onesti. Io voglio farvi rendere conto che, in questa ipotesi, c'è semplicemente un riconoscimento del fatto che, se uno non ha mai commesso un sinistro, ha una premialità o, meglio, negli ultimi 10 anni, paga uguale a tutti. Invece, in questo caso, passa il principio che, se sei nato a Napoli… E qui vi faccio vedere le tabelle che ha presentato il Garante nazionale degli assicurati, le voglio leggere perché ci possono essere utili. Ha preso due casi. Osvaldo, 24 anni, assicura un Piaggio Liberty, classe 14, contratto base; questo, ovviamente, è agli atti delle audizioni. Se è nato a Milano, Osvaldo, di 24 anni, paga 1.279,91 euro all'anno; se è nato a Roma, Osvaldo paga 1.964,82 euro; se è nato a Napoli, gli è andata proprio male: 2.265,70 euro. Questo è il preventivo medio.
Il preventivo più oneroso è, sempre per il povero Osvaldo, 24 anni, Piaggio Liberty: 3.289 euro a Milano, 5.237 euro a Roma e 6.115,31 a Napoli. Poi, sempre il Garante degli assicurati ci ha fatto un altro esempio. Anna, 35 anni, assicura una FIAT Punto. Anna nasce a Milano, ha 35 anni e il preventivo medio, sempre classe 14, è 1.864 euro; a Roma è 2.450 euro; a Napoli è 3.136 euro. E qui voglio leggere pure i premi più onerosi, perché abbiamo raggiunto certi livelli. Io voglio ricordare a me stesso e a tutti quanti noi che l'assicurazione non è facoltativa, che tu dici: va bene, è facoltativa. L'assicurazione è obbligatoria! Quindi, mi dovete spiegare come fa una persona perbene, che si vuole assicurare e che ha una vita e un lavoro dignitoso, a pagare con il preventivo più oneroso.
La povera Anna, di 35 anni, con il preventivo più oneroso, sempre fatto dai dati ufficiali presentati e protocollati con i nomi delle assicurazioni e così via, dal professor Coviello, Garante nazionale degli assicurati, se le va male, deve pagare 10.441 euro; lo ripeto, 10.441 euro! Questo è il massimale, ovviamente, prima ho letto la media; se, invece, nasce a Roma paga come massimale 4.436,99 euro, se nasce a Milano, o meglio, se vive a Milano e lì ha la residenza, invece, 3.600 euro.
Io sono talmente d'accordo con il collega De Bertoldi sul fatto che bisogna fare la lotta senza tregua a cialtroni, imbroglioni, e così via, che sono stato tra coloro che si sono esposti nella battaglia, ad esempio, del San Giovanni Bosco, un ospedale che era nelle mani della camorra, dove c'era un centro di realizzazione di finte polizze; non solo, tramite la Presidenza, collega De Bertoldi, le dico che c'era addirittura un finto meccanico che dava le botte e preparava le macchine. Quindi, le voglio dire che sono perfettamente d'accordo, come sono d'accordo che ci vuole il massimo rigore nei confronti dei sindaci, dei presidenti di regione o di qualsiasi altro soggetto, come dell'ANAS, che deve gestire le strade che non possono essere dei Camel Trophy e su questo siamo d'accordo, però, non c'è stata questa proposta, perché se mi fosse stata fatta questa proposta avremmo discusso di qualcos'altro. Forse siamo ancora in tempo, non lo so, io invito, tramite la Presidenza, il Governo e il collega De Bertoldi a riflettere sullo spirito col quale io sto portando avanti questa battaglia e come me tanti altri colleghi, ovviamente, a partire dal collega Casu.
Allora, fatti salvi gli imbrogli e le responsabilità, la nostra domanda è: il cittadino, una persona perbene, la signora Anna, ad esempio, 35 anni, che ha sempre rispettato le regole, non ha mai fatto un sinistro in vita sua e vorrebbe assicurare la sua macchinetta, nella migliore delle ipotesi deve pagare 3.136 euro, ovviamente, classe 14? Allora, questo è il motivo per cui io insisto nel dirvi che non è possibile non immaginare che ci sia un percorso diverso - e proprio per questo vi ho fatto l'esempio della classe 14 - ed è il motivo per cui abbiamo detto almeno 10 anni, perché non è vero, non è vero, le assicurazioni raccontano una storia soltanto su numeri mediati, su cui però non danno il dettaglio, e questo è stato anche motivo di scontro. Ciò perché prima il collega Casu ha detto bene una cosa: se noi diciamo che mangiamo un pollo a testa, ma c'è una persona che ne mangia due mentre uno che non ne mangia nessuno è vero che la media rimane un pollo, anzi, io non mangio neanche più il pollo, facciamo un'insalata; c'è un'insalata a testa, ma se uno ne mangia due e uno non ne mangia nessuna, uno ne ha mangiate due, ma l'altro è rimasto a digiuno e, quindi, c'è una sperequazione.
Le assicurazioni sul napoletano e su altre realtà come quella napoletana non stanno assolutamente venendo incontro alle esigenze dei cittadini e noi da qualche parte dovremo partire, perché io sono d'accordo anche su un altro aspetto.
Io riconosco che l'intervento è fortemente tecnico, forse, eccessivamente tecnico, al punto tale da essere apparso anche quasi una difesa d'ufficio di qualsiasi atto delle compagnie assicurative, però, poiché conosco la correttezza istituzionale del collega, voglio prendere l'aspetto tecnico in quanto tale, perché lui è estremamente preciso in tutte le cose che fa; però, tramite la Presidenza, collega, è una difesa, un'analisi che non contempla la carne viva delle persone che poi si trovano a vivere nella condizione che non possono pagare l'assicurazione. Poiché io non potrò mai giustificare, mai, il non pagare, come alcuni fanno, perché, se poi investi qualcuno, fai un incidente, paga lo stesso tutta la collettività e, quindi, non è corretto oppure, e qui arriva una smentita rispetto all'idea della gran parte dell'Unione europea, diciamo la gran parte dell'Unione europea, tranne i 30.000 che già hanno assicurato, e che io sto combattendo sul mio territorio, con targhe straniere le loro auto o i loro motorini, perché hanno agevolazioni molto maggiori. Quindi, vuol dire che all'estero ci sono alcuni Paesi dove le assicurazioni costano molto, ma molto, ma molto, ma molto meno e in modo truffaldino, perché c'è una serie di truffe legate a questo; le portano all'estero e le reintroducono in Italia, danno a falsi residenti o, meglio, a veri residenti, ma in realtà li utilizzano loro, i loro mezzi addirittura comprati e a cui viene cambiata la targa all'estero.
Io non voglio difendere, non potrò mai difendere ciò e non potrò mai accettare che quella sia una giustificazione. Credo sia un nostro dovere, da legislatori, affrontare il tema con una soluzione e la soluzione non può essere la bocciatura di fatto di questa proposta, perché questa proposta è l'apertura di un vaso di Pandora. E ha ragione il collega Casu quando prima ha citato Leonardo Impegno, a cui anche io riconosco pubblicamente di essere stato collega di precedenti legislature, ma che io conosco a prescindere, perché da anni fa attività politica sul territorio del napoletano.
L'aveva posta e anche in quell'occasione ci fu una battaglia molto più forte, perché non c'era questa certezza di voler bocciare la sua proposta, che era un po' diversa rispetto a questa, molto più complessa, ed è il motivo per cui ho presentato una proposta elementare.
I dati delle assicurazioni: perdono, può succedere qualcosa; non succede niente, il professor Coviello l'ha spiegato perfettamente: non cambia niente, il tema è che cambia il principio. Se il collega De Bertoldi mettesse almeno vent'anni, io accetterei lo stesso, per un motivo molto semplice; perché il principio deve essere quello di uguaglianza, che è il contrario dell'idea distorta - che non era nell'intenzione del collega De Bertoldi - di autonomia differenziata, che significa: tu al Sud puoi pure pagare 3.000 euro, l'importante è che noi stiamo bene.
E non può essere questo. La solidarietà e la fratellanza italiana devono essere quelle per cui ci si viene incontro. In questo momento, la domanda che noi ci dobbiamo porre è: fatti salvi imbroglioni, truffatori, cattivi amministratori e altre cose del genere, il cittadino medio che nasce a Napoli o che nasce a Milano o che nasce a Poggibonsi o che nasce a Enna, se segue perfettamente le regole, è uguale davanti alla legge o no? O è stato sancito, grazie alle RC auto e al potere (perché dobbiamo dirci pure le cose come stanno), un potere immenso di queste compagnie assicurative, che sono in grado di asfaltare qualsiasi cosa possa cambiare equilibri economici di interessi stratosferici?
E però, parafrasando Vasco Rossi, “c'è chi dice no”. Allora, rispetto a questo, neanche il principio, che riguarda una minima parte, neanche questo può passare, perché le cose devono rimanere così, perché così è stato deciso e perché così chi sta nei luoghi che contano davvero - come dicono loro e che non è purtroppo quest'Aula, a questo punto - ha deciso che i cittadini che vivono in realtà dove ci sono più problemi, più imbrogli, più degrado, tutto quello che vogliamo, dovranno pagare di più.
E fatemi capire: qual è la lezione che un cittadino che si comporta bene, che ha sempre pagato regolarmente, che non ha commesso sinistri e se l'ha commesso è stato perché veramente ha avuto un incidente, ma casomai non l'ha voluto, ha voluto pagare di tasca sua proprio per non scattare di classe, qual è il messaggio che gli arriva? Gli arriva: “veditela da solo”, questo messaggio gli arriva. Gli arriva “tu non sei uguale agli altri, hai tutte le caratteristiche, hai tutte le qualità, sei una persona perbene, ma nel nostro Paese vige questa regola: chi nasce in determinate città, in particolare al Sud, deve pagare di più”.
È questo che io non riesco assolutamente ad accettare ed è questo il principio per cui ho chiesto alla Commissione, al Governo, alla maggioranza ovviamente solidarietà e mi è arrivata da parte della minoranza, intesa come sostegno a questa proposta, di aprire un dibattito. E io sarei stato anche disponibile. Ma, sempre per onestà intellettuale, avevo proposto al presidente della Commissione - che, devo dire, persona estremamente garbata come relatore, è sempre onesto intellettualmente - gli avevo detto: “Fammi capire, dopo che abbiamo fatto il ciclo di audizioni, ci sta qualche cosa…?”. E mi ha detto “verifico nella maggioranza”, ma alla fine mi è stato detto: “Caro Borrelli, quest'è, non possiamo modificare nulla, non possiamo modificare nulla”.
Però fatti salvi le idee diverse o i punti di arrivo e di partenza diversi, la domanda è: “È giusto questo sistema? È giusto?”. Perché se noi riteniamo che questo sistema sia giusto, allora bisogna andare avanti, ma poiché io sono convinto che sia il Governo, sia la maggioranza non possano dire con tranquillità che questo sistema è corretto nei confronti di tutti i cittadini italiani, allora il mio invito era a modificarlo, in meglio. Purtroppo, non c'è stata questa apertura, ma probabilmente potrebbe essere che questo dibattito possa far scattare qualche campanello, qualche nuova idea, qualche ulteriore riflessione.
Noi non ci tiriamo indietro. Non è una battaglia politica, intesa come battaglia di una parte politica. Io non mi sento rappresentante in questo momento di Alleanza Verdi e Sinistra, mi sento rappresentante di tutti coloro che vengono vessati ingiustamente, pur non avendo mai fatto nulla per cui debbano pagare un premio assicurativo che è quattro e cinque volte superiore a quello della media nazionale e di alcuni territori del Nord e del Centro.
Per rimanere sempre sulla questione delle targhe polacche, questa idea, cioè di non affrontarla, perché poi alla fine quello che è successo, o almeno quello che mi è chiaro, è che la gran parte delle compagnie preferiscono mantenere lo. Costa di meno, come alcune volte succede, pagare senza fare causa se le cifre sono piccole, anziché mettersi a fare questioni, anche di principio. Però, questo può valere per gli interessi economici della compagnia, e lo capisco. Ci sono arrivate delle relazioni da parte delle compagnie di assicurazione, le capisco, difendono i loro interessi e i loro capitali. Però, noi non dobbiamo pensare, non dico solo, ma dobbiamo pensare prevalentemente ai cittadini, e in particolare ai cittadini più deboli. Non può essere un sistema in assoluto per cui si dice: ma se le strade sono in quelle condizioni, il problema è vostro. Il problema è loro ma rispetto a chi deve sistemare le strade, ma rispetto a chi deve pagare un obbligo di legge, è un po' come la questione della sanità. Che colpa ne ha un cittadino, che ha sempre pagato le tasse, del fatto che si è deciso che la nostra sanità non viene finanziata in base al numero degli abitanti, ma in base al numero delle persone anziane, per cui la Campania ha molti meno soldi? Che colpa ne ha il cittadino? Deve poter andare al pronto soccorso o in ospedale ed essere curato. E lo stesso vale per il RC auto. Tra l'altro, questa stortura ha portato che in questo momento - è il dato ultimo che ci ha fatto avere il Garante - ci sono 50.000 targhe polacche in Italia, 35.000 solo a Napoli, che significa che abbiamo una comunità di polacchi infinita, stanno tutti venendo dalla Polonia, abbiamo fatto la Napoli polacca. Perché dico questo? Quando c'è un dato così evidente, denunciato pubblicamente, ma nessuna istituzione interviene - certo il sindaco di Napoli non può fermare l'arrivo dei polacchi - e quando ciò avviene in un disinteresse generale, come a dire “va bene così”, invece per me non va bene. Non va bene perché stiamo creando una giustificazione moralmente sbagliata da parte di chi fa le assicurazioni, facendo ulteriori truffe, facciamo un'ulteriore giustificazione morale nei confronti di chi non assicura proprio il mezzo e avviliamo le persone che hanno, e continuano stoicamente, a voler fare la loro parte di cittadini attivi.
È per questo che io insisto nel parlare di alcune modifiche o una modifica o qualche modifica. Ah vero, è una sola norma, ma come avete proposto il solo emendamento soppressivo di un unico articolo, potete emendare, come ha fatto il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle proponendo altri articoli, cercando di costruire delle proposte che possano essere migliorative e mettere le basi per una futura norma ancora più interessante. Io, se c'è una cosa che non ho condiviso del collega De Bertoldi, è soltanto l'attacco sulla questione della sinistra-destra. Personalmente, quando parlo di queste cose non mi interessa farne una questione di diversioni storiche, anche perché io sicuramente non c'ero in Parlamento quando sono state approvate determinate norme nel 2007. Quello che mi interessa è la fotografia e la soluzione di un problema che stanno vivendo oggi i nostri cittadini.
È vero: non sono tutti, però perché un Paese è unito? Si dice che siamo tutti uguali perché dovremmo partire tutti dallo stesso punto di partenza. È, d'altronde, la filosofia del passaggio di classe, anche molto discutibile, ossia se tu commetti uno, due, tre, paghi un pochino di più. Nel caso specifico, in qualsiasi classe tu sia, se sei nato in un determinato territorio, la vicenda diventa territoriale: dove nasci, quello è il luogo dove tu pagherai, indipendentemente dalle tue colpe. Mentre, invece, quello che potrebbe essere una soluzione è decidere che l'assicurazione è personale. Non più Milano, Napoli, Verona, e così via, ma è il cittadino Borrelli, facendo un esempio, che risponde, visto che è un obbligo giusto (sia chiaro non è che dico che sia ingiusto): è il cittadino Borrelli, l'assicurato Borrelli che ne risponde a seconda del luogo dove va e si muove. D'altronde non abbiamo limiti di movimento coi nostri mezzi, quindi io l'incidente lo posso fare pure a Milano, partendo da Napoli. E quindi dovrebbe essere il cittadino Borrelli, ma questo non va bene alle assicurazioni, perché le grandi società non hanno ben chiaro il quadro su come si possa continuare a guadagnare enormi profitti mantenendo minimo l'impegno, dato che, chiaramente, le nostre proposte comportano anche uno sforzo da parte delle compagnie di assicurazione, che hanno fatto un notevole sforzo per smontare questa proposta, mandando e , senza fare nessuna proposta significativa per modificarla in positivo. Guardate, non c'è nessuna proposta emendativa o di legge che si ponga questo problema che sia partita dal Parlamento o su suggerimento delle compagnie che sono intervenute in questa vicenda, mandando segnali e su , con analisi di dati o altre cose del genere. E, infine, noi proponiamo anche un'altra cosa, in realtà: stiamo cercando di fare una battaglia per questa norma, qualora un giorno ci sarà un Parlamento - come dire, c'è un giudice a Berlino - che avrà la forza e il coraggio di mettersi non dico contro, ma di decidere che le compagnie non sono al di sopra del Parlamento italiano e non ci possono condizionare fino a questo punto.
È possibile mai che il 14 per cento del parco circolante dei mezzi che ci sono in Italia sia sprovvisto di copertura assicurativa? Praticamente circa 300.000 veicoli sono ignoti alle compagnie. Se pagassero già tutti questi, faccio un esempio, si potrebbe ragionare di ridurre il premio assicurativo per i più deboli o quelli che non hanno mai commesso sinistri. Vi faccio questa analisi, perché io trovo quantomeno particolare, che parlare del premio assicurativo nel nostro Paese e, in particolare, in Parlamento e cercare di modificare lo sia considerato un tabù o quasi una lesa maestà. Qualcuno mi ha detto riservatamente: Borrelli tu hai presentato una norma, hai fatto una cosa bella, complimenti e così via, ma tu sei andato nel posto sbagliato, dovevi andare prima a fare il giro dei “sette fratelli” e poi dovevi andare in Commissione. Allora io ho risposto quello che ho detto sempre: io sicuramente non ho problemi a incontrare qualsiasi esponente o soggetto - d'altronde abbiamo chiesto anche di audirli, con le loro associazioni di compagnie assicurative -, ma io non chiederò mai il permesso a una o un'associazione o una compagnia assicurativa per fare la mia attività di parlamentare, per presentare una legge, anche a costo - ovviamente, non penso assolutamente che ci sia alcun condizionamento - di vederla bocciata in questo modo. Però ciò su cui insisterò e non smetterò mai di dire e di urlare, metaforicamente ovviamente, nel Parlamento è il fatto che questa ingiustizia non è corretto che non venga affrontata e non è pensabile dire che non si tratti di una palese ingiustizia. Questi sono i che ci hanno mandato - ovviamente non soltanto a me - alcune compagnie di assicurazione e c'è una cosa che mi ha colpito molto: la questione che è stata sollevata pure prima dal collega De Bertoldi, cioè il fatto che si dice che potrebbe essere addirittura uno svantaggio per gli stessi assicurati che oggi pagano e che oggi stanno nelle situazioni peggiori, tipo la signora Anna, di cui poc'anzi parlavamo.
Ma veramente abbiamo il coraggio di andare a dire a un cittadino a cui vengono chiesti 3.500 euro di assicurazione della macchina, che può trovare una situazione peggiorativa di quella attuale? Che mettere la tariffa unica, per chi non commette sinistri, può diventare un male per lui? Io credo che questo sia, come nei telefilm, ai confini della realtà: non possiamo assolutamente dire una cosa del genere.
Sappiamo benissimo che questa è una materia ingiusta, è una materia che sta producendo illegalità, è una materia che sta producendo criminalità, è una materia che sta producendo ingiustizie, e se non ci mettiamo mano noi, come legislatori, ci metteranno mano cialtroni, delinquenti, abusivi e criminali. Facevo, poc'anzi, l'esempio della centrale dei finti sinistri, addirittura con i finti certificati dell'ospedale. Tutto questo genera un sistema criminale e corrotto. Noi dobbiamo essere più forti e, soprattutto, io continuo a dire: abbiamo la forza di fare condoni su tutto, ma ogni tanto ai cittadini che seguono in modo corretto e leale le leggi e credono in questo Stato in modo totale, a chi si è sempre comportato bene, un segnale lo vogliamo dare? Anche le ti danno il premio se sei abbonato da qualche anno, solo lo Stato italiano non premia mai i cittadini più onesti. Se hai fatto qualche cosa - e sia chiaro, non sono neanche un moralista - arriva il condono, leviamo la legge perché è troppo dura nei confronti di questo, condono fiscale, condono edilizio, condono su tutto. Ma se sei onesto, se non hai mai fatto niente di male, se hai seguito sempre le regole che noi, come Stato, ti abbiamo dato, perché non hai diritto pure tu a un minimo di gratificazione e di , vale a dire: il Parlamento parla anche di me, anche se non ho mai fatto niente di male, anche se non ho mai sgarrato in vita mia, ma questi si stanno interessando pure dei problemi di noi cittadini che viviamo rispettando le regole, anche in un territorio difficile.
Concludo veramente su questo. Sicuramente chi pensa che ci sia un'antropologia dei napoletani o dei meridionali che sono propensi a comportarsi in un certo modo dice una sciocchezza, ma, a maggior ragione, perché non dare un segnale a queste persone che, nonostante il tessuto sociale e la situazione difficilissima in cui molto spesso si trovano, nonostante le tentazioni della criminalità e così via, continuano ad essere cittadini, innanzitutto italiani, che pagano l'RC auto, rispettano le regole e chiedono solo una cosa: di essere uguali agli altri .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Andrea De Bertoldi.
Preciso, onorevole, che avendo lei terminato i minuti, gliene posso concedere non più di tre, così come da prassi.
ANDREA DE BERTOLDI, Grazie, Presidente, sicuramente starò nei tempi. Vede, io dopo aver sentito l'abile oratoria - e, mi permetto anche di dire, la simpatica oratoria campana del collega Borrelli - mi verrebbe quasi da dire: ma che bello, ma che bello. E magari, perché no, fare in modo che lo Stato, la mamma Stato intervenga anche sulle differenze di costi per le famiglie del Nord circa il tema del riscaldamento, perché i miei elettori, che vivono magari a 1.800 metri di altezza e che hanno 9 mesi l'anno il riscaldamento acceso, giustamente, direi che dovrebbero pagare alla pari di chi vive in zone più belle, più soleggiate, più climaticamente avvantaggiate. Cosa voglio dire con questo? Non voglio arrivare all'ironia, perché sono incapace di competere con un campano sul piano della simpatica ironia, però quello che voglio dire - cari colleghi - è che sì, vi è, caro collega Borrelli - sempre tramite il Presidente - una differenza: da una parte c'è una sinistra che, soprattutto quando è all'opposizione devo dire - perché, quando è in maggioranza, lo fa un po' meno - ha una visione assistenzialista e, quindi, vorrebbe sempre a parole andare a rendere tutti uguali, cioè andare a dire: beh ma cosa importa, tanto se anche tu hai un maggior rischio di furto nel tuo territorio, non preoccuparti che pago io.
C'è un qualche cosa che non funziona, sarei d'accordo anch'io in quello che voi dite. C'è un piccolo particolare, colleghi: il mercato. Allora, o noi riteniamo che il mondo della finanza, delle banche e delle assicurazioni debba essere reso statale, vale a dire, o noi riteniamo che non esiste il mercato, oppure tutti i bei ragionamenti che avete fatto - cari colleghi - non si possono fare. Quando io ho sentito l'onorevole Casu mettere in dubbio la sinistrosità e le maggiori frodi, quasi fossero una favola, allora delle due l'una: o le compagnie di assicurazione si divertono a penalizzare - che ne so - la Campania rispetto alla Liguria e, sinceramente, conoscendo il mercato non credo, oppure quello che voi dite non sta in piedi. Il punto è solo uno: il mercato. Se una compagnia di assicurazione si trova in un territorio che ha maggiori rischi di furti e di incidenti deve, ovviamente, alzare i prezzi: questo non accade in Italia; accade nella maggior parte dei Paesi europei, il concetto di territorialità. Quindi, noi possiamo raccontarcela fino a che vogliamo. Non è questione di essere dalla parte delle compagnie, bisogna essere dalla parte - se si ha un'ideologia liberale - del mercato. Bisogna credere nel mercato; bisogna fare in modo che il mercato metta davvero le condizioni per le quali, in tutte le province e le regioni italiane, si possa pagare di meno, ma non attraverso una tariffa imposta ed amministrata, perché questo non risponde a uno Stato liberale, che crede nel libero mercato, e neanche alle regole europee.
PRESIDENTE. Posto che il Governo si astiene dalla replica, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Ricordo che nella giornata di domani, martedì 25 giugno, alle ore 12,30, è convocato il Parlamento in seduta comune, per procedere alla votazione per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale. La chiama avrà inizio dai senatori.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
1.
2.
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 maggio 2024, n. 61, recante disposizioni urgenti in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, personale militare e civile del Ministero della difesa e operatività delle Forze armate. (C. 1854-A)
: BICCHIELLI.
3.
FURFARO ed altri: Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora. (C. 433-A)
e dell'abbinata proposta di legge: SPORTIELLO. (C. 555)
: FURFARO.
4.
5.
SCHLEIN ed altri: Disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio sanitario nazionale in attuazione dei princìpi di universalità, eguaglianza ed equità. (C. 1741-A)
e delle abbinate proposte di legge: SPERANZA ed altri; CONSIGLIO REGIONALE DEL PIEMONTE; CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA ROMAGNA; CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA; CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; QUARTINI ed altri; BONETTI ed altri; ZANELLA ed altri. (C. 503-1533-1545-1608-1626-1712-1846-1850-1865)
: LOIZZO, per la maggioranza; FURFARO, di minoranza.
6.
BATTILOCCHIO ed altri: Istituzione della Giornata nazionale delle periferie urbane. (C. 1737-A)
: PAOLO EMILIO RUSSO.
7.
GIACHETTI ed altri: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione della liberazione anticipata, e disposizioni temporanee concernenti la sua applicazione. (C. 552)
8.
9.
S. 808 - Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare (Approvato dal Senato). (C. 1718)
: PITTALIS E VARCHI.
10.
BORRELLI: Modifica all'articolo 133 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, in materia di applicazione del premio minimo su base nazionale, ai fini dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli, in mancanza di sinistri negli ultimi dieci anni. (C. 695-A)
: DE BERTOLDI.