PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato Segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ROBERTO GIACHETTI, legge il processo verbale della seduta del 23 ottobre 2024.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
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PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 73, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta odierna .
PRESIDENTE. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, con lettera in data 23 ottobre 2024, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla I Commissione (Affari costituzionali):
«Conversione in legge del decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, recante disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale» (2113) -
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
PRESIDENTE. Comunico che la Giunta per le autorizzazioni è stata convocata per mercoledì 30 ottobre 2024 alle ore 15 per l'elezione del presidente.
PRESIDENTE. Dovremmo a questo punto passare alla proposta di legge in materia di riduzione dell'orario di lavoro, tuttavia il rappresentante del Governo non è presente e, quindi, dobbiamo sospendere la seduta, che riprenderà alle ore 11,20, orario che, secondo quanto comunicato per le vie brevi dal Sottosegretario Durigon, dovrebbe consentirgli di essere in Aula.
Stigmatizzo, comunque, tale ritardo , che non rispetta il Parlamento e i colleghi che sono pronti a intervenire già da diversi minuti. La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 2067: “Disposizioni per favorire la stipulazione di contratti volti alla riduzione dell'orario di lavoro” e delle abbinate proposte di legge nn. 142-1000-1505.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 23 ottobre 2024 .
PRESIDENTE. Do la parola al presidente della XI Commissione, deputato Walter Rizzetto, per riferire sui lavori svolti dalla Commissione. Prego, onorevole.
WALTER RIZZETTOBuongiorno, Presidente, grazie. Buongiorno al Sottosegretario Durigon, ai colleghi presenti in Aula. Le proposte di legge che oggi giungono all'esame dell'Assemblea recano disposizioni per favorire la riduzione dell'orario di lavoro. Ricordo che esse sono iscritte nel vigente calendario dell'Assemblea in quota opposizione.
Nel ripercorrere l'iter in Commissione, ricordo in primo luogo che l'XI Commissione (Lavoro) ha avviato, nella seduta del 4 aprile 2024, l'esame in sede referente delle proposte di legge n. 142 Fratoianni, n. 1000 Conte e n. 1505 del collega Arturo Scotto. La Commissione ha di seguito proceduto allo svolgimento di un ampio e articolato ciclo di audizioni informali, che hanno avuto inizio il 24 aprile 2024 e si sono concluse il 12 giugno 2024. Tale ciclo di audizioni ha visto coinvolti i rappresentanti di organizzazioni sindacali, di organizzazioni datoriali, di associazioni di categoria, di singole realtà produttive, nonché di esperti in materia.
Nella successiva seduta del 3 luglio 2024, la Commissione ha deliberato di costituire un Comitato ristretto per il seguito dell'esame delle richiamate proposte di legge. Il Comitato ristretto, riunitosi nelle sedute del 25 luglio, 25 settembre e 2 ottobre 2024, ha terminato i suoi lavori il 9 ottobre del 2024.
Nella seduta della Commissione plenaria, nella medesima giornata del 9 ottobre 24, dopo che si è dato conto dell'abbinamento dell'ulteriore proposta di legge (A.C. 2067 Fratoianni), la Commissione ha deliberato di adottare, quale testo base per il prosieguo dell'esame, la suddetta proposta di legge.
Ricordo che sono state di seguito presentate 19 proposte emendative alla proposta di legge in titolo. Nella successiva data del 23 ottobre 2024, sulla base di quanto deliberato in sede di ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, svoltosi immediatamente prima, proprio al fine di consentire l'avvio della discussione in Assemblea sul provvedimento, previsto per la giornata odierna (lunedì 28 ottobre), la Commissione ha convenuto all'unanimità di concludere l'esame in sede referente senza conferire il mandato alla relatrice per riferire all'Assemblea. Ciò sulla base di quanto convenuto all'unanimità in sede di ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, circa la mancata sussistenza delle condizioni, sia per procedere alla votazione degli emendamenti presentati alla proposta di legge, sia per procedere alla votazione sul conferimento del mandato alla relatrice.
Infine, la Commissione ha confermato, quindi, l'adozione della proposta di legge A.C. 2067 quale testo base.
PRESIDENTE. Nel prendere atto di quanto precisato dal presidente Rizzetto in ordine alla decisione della Commissione di scegliere come testo base la proposta di legge n. 2067 Fratoianni, anche ai fini della presentazione degli emendamenti in Assemblea, dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Sottosegretario, vuole intervenire? No, prendo atto che si riserva di farlo in sede di replica. È iscritto a parlare il deputato Emiliano Fossi. Ne ha facoltà.
EMILIANO FOSSI(PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghi, colleghe, Governo, dobbiamo stigmatizzare - come ha fatto la Presidente poco fa - il ritardo che, secondo noi, testimonia la poca attenzione che questa maggioranza di Governo ha verso questa proposta. L'abbiamo visto anche dall'iter che ha avuto in Commissione e poi dalla scelta, che è stata fatta, di portare la discussione in Aula senza mandato. Questa è l'ulteriore conferma, quindi, come dato politico, del disinteresse rispetto a un tema così centrale.
A noi invece piacerebbe provare a raccontare una storia diversa da quella che, spesso e volentieri, la destra, la destra di Governo, questa maggioranza raccontano, anche dalla storia che, al tempo stesso, racconta la gran parte dei , spesso e volentieri in totale sintonia con la maggioranza di destra: appunto, il che tanto avete evocato oggi di fatto siete voi. Il siete diventati voi.
Cioè a noi piacerebbe raccontare una storia vera, riportare alla realtà le cose, dire che questo Paese ha delle grandi difficoltà, dire che questo Paese si sta progressivamente impoverendo, dire che questo Paese vede i poveri diventare sempre più poveri e il ceto medio impoverirsi sempre di più, in una condizione di grande paura e di grande timore per il proprio presente e per il proprio futuro. Noi dovremmo partire da qui, da una constatazione della realtà, dalla verità.
Poi, a noi piacerebbe raccontare una storia diversa, che magari passasse attraverso un riconoscimento vero e reciproco tra maggioranza e minoranza, tra maggioranza e opposizione, che partisse dal fatto che, su alcune battaglie, ci potrebbe essere anche la possibilità di trovare una convergenza possibile nell'interesse del Paese, nell'interesse degli italiani e delle italiane, nell'interesse dei cittadini e delle cittadine di questo Paese. Anche una storia che magari vedesse le forze di questo Parlamento poter trovare, pur partendo da posizioni diverse e talvolta radicalmente diverse, anche le possibilità di una sintesi e di una convergenza possibile.
Poi ci piacerebbe raccontare la storia di un Paese e di un funzionamento delle istituzioni dove intanto la maggioranza riconosce la dignità piena della minoranza e delle minoranze, la dignità politica e istituzionale, la propria possibilità di avere un protagonismo in queste Aule , che è un elemento fondamentale per il funzionamento stesso della democrazia e delle istituzioni democratiche, che dovremmo avere a cuore tutti noi.
Invece no. Quello che è successo in questi due anni di esperienza di questa legislatura testimonia che il Governo e la maggioranza hanno affossato ogni possibile proposta e ogni possibile possibilità di dialogo con le opposizioni, in tutti i campi, in particolar modo nel settore del lavoro, nel mondo del lavoro, per le proposte che abbiamo provato a fare sul mercato del lavoro - appunto - in maniera particolare. È successo sul salario minimo, quando avete provato a buttare la palla in tribuna, il ricorso al CNEL, e poi la trovata finale della delega in bianco al Governo, evitando il dibattito parlamentare, togliendo e tirandovi fuori da una discussione che, però, è nel Paese. Non solo perché le opposizioni, le minoranze, coloro che hanno proposto lo strumento del salario minimo tengono il punto su quell'aspetto, ma perché è un'idea, una proposta, uno strumento sentito come un elemento di giustizia dai cittadini e dalle cittadine, anche da tanti che votano per voi o hanno votato per voi.
Poi, anche sulla settimana corta, cioè sulla riduzione dell'orario di lavoro - quello di cui stiamo discutendo oggi, che arriva oggi in Aula - avete provato a fare la stessa cosa e, anzi, peggio: avete presentato un emendamento che cancellava ogni norma e quindi di fatto annullava la proposta.
Oggi siamo qui, fondamentalmente, grazie all'ostinazione delle minoranze, in particolar modo da chi ha avanzato questa proposta di legge, cioè AVS, 5 Stelle e Partito Democratico, e grazie all'ostinazione delle minoranze, appunto, avete ceduto. Però, il riflesso è sempre lo stesso. Questo noi verifichiamo da un punto di vista politico: fuggite dal confronto, avete la tendenza continua a esautorare il Parlamento - lo vediamo anche dalle proposte di riforma istituzionale che proponete (delle “controriforme” che proponete) - e calpestate le prerogative delle minoranze, senza rendervi conto che, così facendo, fate un torto non solo alle minoranze e alle istituzioni, ma anche al Paese, ai cittadini e alle cittadine e, in questo caso, ai lavoratori e alle lavoratrici, perché il lavoro è la cartina di tornasole della vostra violenta e ideologica volontà classista.
Nel breve periodo, forse - e questo credo sia un ammonimento da tenere a mente semmai vi capitasse per la testa di ascoltare anche qualche parola dalle opposizioni - alimentare la paura, alimentare lo scontro sociale, non risolvere i problemi ma acuirli, trovare sempre il capro espiatorio e fare esercizio di vittimismo, nel breve, probabilmente - anzi, sicuramente - serve, perché voi avete capitalizzato questi aspetti nel vostro risultato elettorale e continuate a scommettere su questo.
Ma alla lunga questo è un atteggiamento che politicamente pagherete, perché ve ne porteranno il conto le cittadine e i cittadini del nostro Paese, ripeto, anche molti che hanno votato per voi, perché essere ideologici e classisti porta a fare le scelte che avete fatto con il decreto Lavoro, con il collegato lavoro, con il “no” al salario minimo, con l'approccio che avete avuto sulla riduzione dell'orario di lavoro.
Voi, in questi 2 anni, avete prodotto scelte che hanno portato il mercato del lavoro ad essere più precario, più insicuro e più povero, cioè tutto il contrario di quello che dovrebbe essere il giusto lavoro, il lavoro giusto, cioè basato sulle prerogative, sui capisaldi, che sono le tutele, i salari adeguati e la conciliazione.
Voi sapete benissimo - c'è poco da fare, lo ha rammentato il presidente della Commissione poco fa, le audizioni fatte in Commissione - che il tema in discussione è enorme e centrale nelle società contemporanee, a maggior ragione per un Paese come il nostro, dove la produzione aumenta, ma gli stipendi calano, dove aumenta l'età pensionabile e, nonostante la rivoluzione tecnologica, nonostante l'innovazione tecnologica, le ore di lavoro aumentano, dove si lavora di più che negli altri Paesi europei. In Germania, annualmente, la media è di 1.356 ore di lavoro, in Italia è di 1.723; in Italia si lavora 33 ore settimanali, più 3 rispetto alla media europea, più 7 rispetto alla Germania.
Eppure, lo abbiamo capito anche dall'esperienza che abbiamo fatto pochi anni fa - sembra passato un secolo, un'epoca, ma sono pochi anni fa -, con l'esperienza del COVID, con il , anche se credo che dire queste cose a una maggioranza che è in gran parte negazionista anche su questi temi faccia impressione, me ne rendo conto .
Ma se noi avessimo preso davvero insegnamento da quell'esperienza, ci saremmo resi conto che, pur cambiando le modalità di lavoro, la capacità di produzione, la produzione non diminuiva. Quell'esperienza dovrebbe essere da ammonimento e anche da stimolo per provare a cambiare, a migliorare anche il modo di lavorare nel nostro Paese, migliorando la qualità della vita delle persone, dei lavoratori e delle lavoratrici.
C'è chi ci è arrivato prima, lo sappiamo, ci sono studi su questo aspetto: l'Islanda ci è arrivata molto prima del COVID, poi la Gran Bretagna, ma anche nel nostro Paese - lo sappiamo bene, noi che siamo in Commissione lavoro lo abbiamo visto direttamente - molte aziende, alcune grandi aziende hanno già iniziato a sperimentare, a lavorare sulla riduzione dell'orario di lavoro, anche qui, contraddicendo quello che voi praticate istituzionalmente e politicamente tutti i giorni, cioè la non ricerca dell'accordo, la non ricerca delle convergenze, la non ricerca della collaborazione.
In queste grandi aziende presunti interessi divergenti hanno trovato una sintesi, si sono trovati d'accordo, perché si rendevano conto che con quel tipo di proposta, con quel tipo di esperienza si migliorava il lavoro, si miglioravano le modalità di lavoro nell'azienda e si migliorava la produzione nell'azienda. Quindi, lavoratori, impresa, lavoro e datori di lavoro si sono trovati d'accordo.
Noi crediamo che il tema, però, sia sempre lo stesso. Spesso e volentieri ci soffermiamo su alcuni dati particolari, su alcune situazioni particolari, e cioè su errori, problemi che emergono, ma il problema vero è sempre il solito: il cambio del modello di paradigma che noi dobbiamo provare a portare avanti, il cambio di modello sociale ed economico e il cambio di modello di sviluppo, un modello che rimetta al centro le persone, le relazioni tra le persone, i diritti sociali e collettivi. Per questo noi facciamo queste battaglie, per questo noi ci battiamo sul salario minimo , per questo ci battiamo per la settimana corta e per la riduzione dell'orario di lavoro, perché vogliamo provare a cambiare un modello che ha contraddizioni sempre più stridenti.
La settimana corta porta dei benefici, lo sappiamo, lo sapete anche voi: su questi proviamo a confrontarci. È vero o non è vero che la settimana corta e la riduzione dell'orario di lavoro migliorano la conciliazione vita-lavoro? È vero. È vero o non è vero che aumenta la produttività, perché producono gratificazione del lavoratore e della lavoratrice? È vero o non è vero che diminuisce l'assenteismo, perché si interrompe quel meccanismo di alienazione che c'è, spesso e volentieri, soprattutto nei lavori più ripetitivi?
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
EMILIANO FOSSI(PD-IDP). È vero o non è vero che ci sono maggiori opportunità di formazione, che portano alla creazione di nuovi posti di lavoro? È importante per la sostenibilità ambientale, produce maggiore equità sociale. Mi avvio a concludere. Le vostre chiusure fino ad oggi si spiegano, l'ho detto prima: voi prosperate politicamente in un Paese chiuso, impaurito e diseguale, però questa roba ha il fiato corto. Allora, provate a fare un salto che dimostri che è così, che c'è la possibilità di confrontarsi, che c'è la possibilità di misurarsi insieme, e dimostrate che tenete al bene comune.
Questa è un'occasione da sfruttare, questa è un'occasione sulla quale misurarsi. Noi ci saremo sempre, sia per confrontarci, sia perché vi inchioderemo di fronte alle vostre gravi e colpevoli responsabilità .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Malagola. Ne ha facoltà.
LORENZO MALAGOLA(FDI). Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, ho ascoltato con attenzione l'intervento del collega Fossi, che ha riportato alcune delle osservazioni che abbiamo già avuto modo di ascoltare durante il dibattimento in Commissione. Vi sono due premesse, credo, alla base del ragionamento con cui l'opposizione presenta in quest'Aula questa proposta di legge. La prima premessa, totalmente condivisibile, è che siamo in mezzo a un cambiamento d'epoca, cioè stiamo affrontando un profondo cambiamento di paradigma nell'organizzazione non solo della nostra economia e del nostro mercato del lavoro, ma della società tutta, e quindi, come legislatori, siamo chiamati a prenderci carico, responsabilmente, di governare questa profonda transizione che abbiamo di fronte.
Vi è poi una seconda premessa, che, invece, contesto e che mi trova totalmente contrario, che probabilmente è figlia della cultura politica della sinistra italiana, per cui il lavoro resta il luogo dello sfruttamento di pochi su molti, il luogo della spersonalizzazione, il luogo dello scontro sociale. In fondo, il lavoro non è altro che una maledizione per la persona. Su questo dissento profondamente, perché è una visione negativa, che poggia su un'antropologia negativa, che parte da una sfiducia verso le persone, verso le parti sociali, che guarda con sospetto al mercato, che, ultimamente, ripone nelle mani dello Stato il compito esclusivo di regolamentare la società e di proteggere i lavoratori.
È, in fondo, su questa impalcatura ideologica che la sinistra oggi completa il suo trittico di proposte normative: prima il reddito di cittadinanza, poi il salario minimo legale e, oggi, la cosiddetta settimana corta. Sono tre provvedimenti, tre misure, tre politiche che hanno una base ideologica che deve proteggere la persona dal lavoro. Con il reddito di cittadinanza si è sganciato, per la prima volta, il salario dal lavoro, mandando un segnale devastante alle giovani generazioni, per cui lo Stato non le chiama a contribuire responsabilmente al bene comune tramite il proprio lavoro, ma le libera dal lavoro, garantendo loro un salario di Stato, tra l'altro uguale per tutti, alla faccia dei bisogni diversi tra ciascuno. La Costituzione, nei suoi articoli fondamentali, richiama esattamente il contrario: chiama a responsabilità ciascun cittadino nel contribuire al bene della Nazione con la propria attività, anche lavorativa.
E il salario minimo per legge ci dice che la priorità della sinistra non è di occuparsi dei 24 milioni di lavoratori e dell'aumento della produttività, e, quindi, dell'aumento dei salari mediani dei lavoratori italiani, ma di concentrarsi solo su una minima parte, esigua - secondo i dati del CNEL, i 400.000 lavoratori con un salario orario inferiore ai 9 euro -, imponendo un salario minimo legale orizzontale su tutti i settori produttivi. Ci siamo già detti, anche in quest'Aula, quale sarebbe l'effetto di questa misura: deprimere la crescita salariale, perché non ci saranno incentivazioni al rinnovo dei contratti che già vedono un salario minimo orario superiore ai 9 euro.
È per questo che noi siamo stati contrari e abbiamo chiesto al Governo di pensare a una serie di misure complessive e complementari che vadano oltre il salario minimo legale per aumentare la produttività, e quindi i salari mediani.
Anche qui, la sinistra è ferma all'idea novecentesca di un intervento a gamba tesa dello Stato, per cui non c'è libertà affinché le parti sociali possano far crescere il mercato del lavoro, ma c'è l'idea di uno Stato non regolatore, ma di uno Stato che arriva anche a definire le virgole del mercato del lavoro.
E infine la settimana corta. In fondo, c'è un'idea che emerge tra le righe degli interventi dei deputati di minoranza: che, in fondo, meno si lavora e meglio è. Arriva l'intelligenza artificiale e finalmente potremo ritirarci a vita privata. Il lavoro rimarrà un obbligo o un per pochi. L'importante è garantire il reddito; l'importante è che lo Stato garantisca il reddito. C'è quest'idea per cui il lavoro è di qualità quando è poco.
Io sono assolutamente senza parole di fronte a questa posizione che fa fare un passo indietro alla politica anziché un passo avanti. La politica dovrebbe aiutare la società a svilupparsi e a crescere; dovrebbe aiutare il mercato del lavoro a svilupparsi e a crescere. Invece, la politica così si ritrarrebbe, pensando solo alla dimensione reddituale, in una posizione difensivista anziché in una posizione capace di accompagnare la società a crescere.
Per entrare in merito al testo di legge che è stato presentato a prima firma del collega Fratoianni, devo dire che presenta anche una serie di elementi critici, al di là delle critiche che ho mosso dal punto di vista dell'impianto generale.
Innanzitutto, non è vero, cari colleghi, che voi lasciate la facoltà alle imprese di attuare la settimana corta perché, alla fine del triennio della sperimentazione che voi prevedete, vi è un chiaro ed esplicito intervento normativo. Quindi, io comprendo che abbiate capito che, da un certo punto di vista, l'intervento per legge noi lo contrastiamo e quindi ci dite: “Cara maggioranza, diamoci un triennio dove spingiamo la contrattazione collettiva, ma poi dopo quel triennio c'è l'intervento normativo”. E questo tradisce la vostra posizione originaria: non riuscite a resistere all'intervento diretto dello Stato. Altra cosa sarebbe stata se aveste promosso una contrattazione collettiva verso la settimana corta, lasciando libertà alle parti. Ma vedere che, dopo tre anni, lo Stato con un decreto debba intervenire normativamente, ci fa capire che in realtà questa sperimentazione è una foglia di fico; peraltro, senza nemmeno prevedere una valutazione dei risultati e su quali parametri valutare i risultati della sperimentazione.
Anche qui, come con il salario minimo, scegliete numeri un po' a caso, mi permetterete di dire. Con il salario minimo avete scelto i 9 euro; qui scegliete il 20 per cento della contrattazione. Ma in base a quali studi? Su quali fondamenta scegliete questi numeri? Sono numeri forzati. Sono numeri che tradiscono una posizione ideologica. Per cui, l'importante è che lo Stato intervenga, poi in qualche modo si farà.
Il secondo elemento che io trovo particolarmente critico è la copertura finanziaria.
Anche qui: è già alta, ma io credo che non bastino quei soldi che voi prevedete. I 250 milioni all'anno di copertura sono pochi se si pensa che in Italia ci sono 24 milioni di lavoratori. Allora, non vorrei che, per far passare la norma siate stati bassi sulle coperture e sugli oneri, per poi, fra tre anni, propinarci una misura che non ci costa 250 milioni l'anno, ma che ci costa magari due miliardi e mezzo. Ecco, se volete presentare proposte di legge serie, dovete istruirle in maniera diversa, perché vedere questi numeri fa capire una certa approssimazione.
C'è poi un terzo elemento critico e anche qui ci avete provato. Voi dite: “Ma noi lasciamo alle parti sociali la responsabilità della sperimentazione”, poi però all'articolo 5 introducete un bel referendum. Alla faccia della responsabilità delle parti! Questo vuol dire disarticolare totalmente il sistema della rappresentanza sindacale. L'ho già detto in passato e lo ripeto qui: che la sinistra abbia questa posizione - lasciatemi dire - quasi antisindacale è veramente il colmo.
Oggi, in fondo, siamo noi, è la maggioranza, è Fratelli d'Italia ad essere il partito delle imprese e dei lavoratori. È Fratelli d'Italia, è la maggioranza, ad essere la coalizione che difende l'attività sindacale in questo Paese. Ci avete già provato con il salario minimo e adesso ci riprovate con la settimana corta. Il referendum è un colpo mortale per la rappresentanza sindacale e sono veramente curioso di ascoltare le vostre considerazioni su questo punto, perché vuol dire che lo Stato se ne infischia di quello che il sindacato fa in questo Paese e con un referendum va sulla democrazia diretta interna all'azienda. Ma questo vuol dire disarticolare un sistema che è durato settant'anni e che ha permesso, cari colleghi dell'opposizione, di guadagnare diritti e tutele per i lavoratori italiani. Pertanto, noi di Fratelli d'Italia ci frapporremo tra voi e la rappresentanza sindacale, perché la rappresentanza sindacale dei lavoratori è la maggior garanzia dei diritti dei lavoratori.
Ma qui c'è una consonanza di pensiero incredibile tra la sinistra e anche una parte del sindacato: non è chiaro e forse è il sindacato più estremo, certo, ma questa posizione veramente fa riflettere su quello che è, nella concezione dell'opposizione e della sinistra, la rappresentanza in Italia.
Fratelli d'Italia e la maggioranza non è vero che hanno mortificato le proposte dell'opposizione: abbiamo dialogato e parlato ore in Commissione, ma non potete pretendere di sostituirvi a noi. Oggi tocca a noi governare e mi sembra che i dati dell'occupazione, i dati della disoccupazione e i dati della produttività che sale testimoniano come questo Governo stia governando bene.
La fiducia che c'è in Italia dimostra come il Governo Meloni del tema del lavoro stia facendo la sua bandiera. È chiaro, questo dà fastidio a voi dell'opposizione, ma non vi giustifica nel provare a pretendere che la vostra agenda diventi la nostra agenda. Noi abbiamo una nostra agenda che è fatta, per esempio, di partecipazione: sapete che è depositato un disegno di legge, che discuteremo nelle prossime settimane anche in Commissione lavoro, sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione d'impresa; si tratta di un provvedimento che è figlio di una concezione totalmente diversa da quella contenuta in questo provvedimento sulla settimana corta: lì, sì che rimandiamo alla responsabilità delle parti sociali; lì, sì che abbiamo una concezione positiva del lavoro come il luogo del compimento di ciascuna persona.
Noi difendiamo l'articolo 1 della nostra Costituzione, che è figlio di un grande accordo politico che vedeva nel lavoro un fattore di unità nazionale. Il lavoro non è il luogo dell'antagonismo, non può essere il luogo dello scontro. Allora, noi abbiamo un'idea sintetica che è quella del lavoro come il luogo dell'unità nazionale, il luogo in cui i lavoratori italiani, i cittadini italiani possano dare il loro contributo al bene comune e possano farlo dentro il sistema della rappresentanza sindacale e datoriale, affinché nella responsabilità delle parti crescano la produttività e l'occupazione e si possano trovare anche le forme giuste - perché no - della settimana corta. Tutto questo, però, dentro una libertà tra le parti, non con un intervento normativo a gamba tesa che non farebbe altro che deprimere la rappresentanza e, soprattutto, non farebbe altro che riportarci a un'idea novecentesca del lavoro, che noi vogliamo assolutamente dimenticare .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mari. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MARI(AVS). Grazie, Presidente. È un giorno importante. Anche se ridotto, un minimo di confronto con le idee e con la cultura della destra, riusciamo almeno ad averlo, anche ascoltando l'intervento del collega Malagola.
È un giorno importante, dicevo, perché questa è la seconda proposta di sistema che fanno le opposizioni in questa legislatura. È la seconda proposta che affronta, da un altro punto di vista, la questione del lavoro, da un altro punto di vista, devo dire tra l'altro, rispetto a un ciclo abbastanza lungo. Non solo un altro punto di vista rispetto a quello delle destre, ma sicuramente rispetto anche a quello delle destre, che ovviamente ce l'hanno un punto di vista e sarebbe innegabile. Le destre sostanzialmente negano, in questo momento, tutte le difficoltà relative al mondo del lavoro; le sofferenze e le difficoltà che vivono quelli che vanno a lavorare la mattina. La Ministra del Lavoro, qualche settimana fa, pochi giorni fa, in realtà, ha detto che lei tutta questa precarietà nel lavoro non la vede.
Devo dire che ha fatto uno sforzo per non vedere la precarietà del lavoro. Il nostro Paese ha una caratteristica rispetto alla precarietà: è trasversale a tutti i settori. In Europa la precarietà c'è, è tanta, ma ogni Paese europeo ha un punto in cui resiste un'idea di lavoro stabile, sicuro, anche con delle rigidità. Noi siamo l'unico Paese d'Europa che ha la precarietà nella sanità, nella scuola, negli enti locali, nel settore pubblico in generale, e poi in tutti i settori di lavoro, dai metalmeccanici ai chimici, nonché il tessile, l'agricoltura, l'edilizia. Non c'è un luogo di lavoro che non conosca un livello di precarietà in questo Paese. Un Ministro del Lavoro che non vede la precarietà si è dovuto contemporaneamente girare dall'altra parte, bendare gli occhi e tappare le orecchie. Siamo pieni zeppi di precarietà e di incertezza rispetto al futuro di chi lavora.
Hanno negato ampiamente la necessità di intervenire sui redditi in questo Paese. La nostra misura sollevava il tema del potere d'acquisto dei redditi da lavoro e questa cosa è stata negata, ampiamente negata. Perché non solo è stata rimandata, non solo è stata negata la nostra proposta, ma non si vede nessun intervento da parte del Governo e, sostanzialmente, si dice che, vabbè, i redditi hanno la loro strada e faranno il loro percorso.
E adesso si nega la necessità di intervenire anche rispetto all'orario, al tempo di lavoro, che è un'altra grande questione di questo Paese. Non è soltanto l'orario, è il tempo, sono i ritmi. Poi, qui c'è Durigon, io ne apprezzo la sofferenza, ma l'altra questione del lavoro, del tempo di lavoro, è quanto tempo si lavora nella vita, Sottosegretario. Questo è un Paese in cui ci sono ritmi terribili, orari di lavoro lunghi e lavori anche fino a un'età che va sempre più avanti.
Affrontare la questione dell'orario è anche questo, è affrontare l'orario massimo, è affrontare il tema degli straordinari e dei ritmi di lavoro. Ma, niente, negazionismo rispetto a tutte le principali questioni che riguardano la vita di chi si alza la mattina per andare a lavorare. Con i vecchi argomenti, tra l'altro, lasciamo alla contrattazione, ai sindacati il loro spazio. Questa, davvero, non regge da nessun punto di vista perché la storia dell'emancipazione del lavoro è fatta di una sintonia e di una convergenza tra l'attività delle organizzazioni rappresentative dei lavoratori, sul piano sindacale, e le soggettività politiche che rappresentano i lavoratori, sul piano politico. Quando una di queste due è rimasta sola, il lavoro non si è emancipato, non è andato mai avanti. Quindi, questa è la più banale delle questioni.
Un'altra questione è: ma perché per legge? Eh, ma io vi comunico che c'è una legge che stabilisce l'orario di lavoro, in Italia come in tutti i Paesi europei. È stabilito dalla legge, o meglio dal decreto legislativo n. 66 del 2003, il quale dice che oggi l'orario normale di lavoro è di 40 ore. Quindi, se c'è una legge che tratta di orario di lavoro, questo si modifica innanzitutto per legge. Come si dovrebbe modificare? E tra l'altro, un'altra notizia: è la Costituzione che dice che lo stabilisce la legge.
Noi abbiamo affrontato - torno all'argomento delle leggi di sistema - i temi del salario minimo e della riduzione dell'orario di lavoro perché stanno nello stesso articolo della Costituzione, è il 36. Il 36 dice che la retribuzione deve essere, semplificando, quella giusta, corrispondente al lavoro che hai fatto e poi deve essere, in ogni caso, - questa espressione è magnifica - sufficiente a garantire a te e alla tua famiglia una vita libera e dignitosa. E quindi, quello è il salario minimo, in ogni caso. Non c'è solo la retribuzione stabilita da un contratto, ma deve essere, in ogni caso - comunque, in ogni caso - sufficiente a garantire la vita libera e dignitosa. Poi, lo stesso articolo afferma che la giornata massima, l'orario massimo di lavoro giornaliero è stabilito per legge. E, quindi, le leggi si fanno qua e noi proponiamo una legge sull'orario di lavoro. E c'è qualcuno che si meraviglia. E dove la dobbiamo proporre questa legge sull'orario di lavoro? E chi lo dovrebbe l'orario di lavoro: dove, quando, chi, come? Si fa qua la discussione sugli orari di lavoro, come si fa in tutti i Parlamenti d'Europa.
Si fa in tutti i Parlamenti d'Europa, anzi del mondo. Perché sono velocissime le modificazioni che stanno arrivando. E già sto sbagliando perché non stanno arrivando, sono già arrivate. Sono già arrivate quelle modificazioni, sono dietro la porta, nel migliore dei casi. Noi abbiamo un livello di innovazione e di progresso tecnologico che, senza alcun dubbio, ci porterà a fare le stesse cose nel minor tempo. E, senza alcun dubbio, queste trasformazioni tecnologiche o portano ricchezza nelle mani di pochi, oppure portano povertà per molti. A meno che non si riesca a redistribuire redditi e tempi, questa è l'unica soluzione. E questo lo fanno la politica, i Parlamenti, i Governi. Chi lo deve fare? Non è un fatto automatico.
Quello che sta arrivando, che è dietro la porta, ci dovrebbe, anzi, portare a un'accelerazione sui temi di questo tipo. Io lo dico sinceramente: noi abbiamo trovato la sintesi per una proposta al Parlamento, ma non ci sarebbe niente di strano a farla oggi una legge di riduzione dell'orario di lavoro. Ci è sembrato, però, ragionevole per aprire una discussione in questo Paese, e non solo tra di noi, ma tra le forze sociali, con le imprese, attivare e proporre un periodo di transizione, incentivato proprio perché il nostro Paese è anche indietro da questo punto di vista. Quindi, questi tre anni servono sostanzialmente a questo. Ma, dal punto di vista cogente della situazione attuale, per il fatto che noi lavoriamo di fatto più di altri, avendo però una minore produttività, il Parlamento dovrebbe occuparsene rapidamente, velocemente, in modo intenso di una questione così. Altro che rimandarla, altro che negarla. Quindi, servirebbe eccome l'intervento dello StatoAltro che la politica che si ritrae dalle proprie responsabilità. La politica che si ritrae dalle proprie responsabilità, secondo me, sta da quell'altra parte. Cioè una politica che non tiene conto delle trasformazioni che stanno avvenendo; mentre la prima cosa che dovrebbe fare la politica è incrociare le grandi trasformazioni della società. Noi siamo di fronte, tra l'altro, a un livello di innovazione, quello con la cosiddetta intelligenza artificiale, ma soprattutto quella che viene chiamata generativa, che noi non sappiamo davvero, oggi, come sarà possibile redistribuire la ricchezza generata da quel tipo di innovazione.
Questo è uno dei grandi punti interrogativi che abbiamo di fronte. Quindi, si pongono i temi che si sono posti sempre: la riduzione dell'orario e i redditi.
Faccio notare che, in realtà, è una cosa normalissima che le lavoratrici e i lavoratori debbano lottare per aumentare i propri salari e ridurre gli orari. Non è mai successo che i salari siano aumentati e gli orari siano diminuiti per un fatto naturale, mai nella storia del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori; c'è stato sempre il fattore del conflitto. Si può negare, si può additare come una sciagura, ma aumentare il proprio reddito e diminuire l'orario di lavoro è stato sempre un obiettivo del movimento operaio e questo è avvenuto sempre attraverso la lotta.
Chiaramente, il ruolo della politica è di trovare un equilibrio fra queste cose, ma un equilibrio dinamico, per far avanzare. Se il ruolo della politica è quello di negare quello che accade, allora è un'altra cosa: è la conservazione, è la reazione. Non potete chiederci di fare questo mestiere; noi, questo mestiere, non lo sappiamo fare.
Quindi, oggi, in qualche modo, questa discussione ha un pregio, perché si celebra, si mette a fuoco una distanza tra la destra che governa e le opposizioni democratiche e progressiste di questo Paese. Nei mesi scorsi, la questione del salario minimo ha avuto una potenza. È stata capace di arrivare anche alla sensibilità di molte persone, è stata percepita come una questione. Noi dobbiamo fare un grande lavoro per fare la stessa cosa, perché questa vicenda è altrettanto importante. Questa è un'altra questione che misura la distanza: non solo misura la distanza fra noi e la destra, ma fotografa anche la condizione del Paese.
È normale, secondo me, che le destre politiche siano in sintonia con la parte più retriva dell'impresa: avviene un pochettino dappertutto. L'ho detto prima: le lavoratrici e i lavoratori, fisiologicamente, tentano di alzare il proprio reddito e di diminuire il proprio tempo di lavoro. È altrettanto normale che la parte più arretrata del mondo imprenditoriale neghi questa necessità e che, in sintonia con questa parte, ci sia, poi, una destra conservatrice o addirittura reazionaria.
Però, questa cosa si ferma sempre di fronte a due limiti. Per quanto riguarda il reddito dei lavoratori - lo dico sinceramente, al di là della bontà d'animo, ma non è una categoria della politica -, le imprese trovano un interesse nel garantire alle lavoratrici e ai lavoratori un reddito adeguato, perché le lavoratrici e i lavoratori devono concorrere allo sviluppo, acquistando merci e servizi. Quindi, al di sotto di un certo limite, non si può andare. Quando un Paese è troppo povero e ha troppi lavoratori poveri, questo normalmente non conviene neanche alle imprese, non conviene neanche al mondo imprenditoriale. Questa situazione si vede dappertutto, tranne che in Italia. Stessa cosa avviene per l'orario di lavoro. Anche l'orario di lavoro ha un limite, che è quello della conciliazione e soprattutto della produttività. Se il tempo di lavoro è troppo alto e i lavoratori, in base a questo tempo di lavoro, diventano improduttivi, scarsamente produttivi, questo non conviene neanche alle imprese buone e sane.
In questo Paese no. Cosa succede in Italia? Come mai, in Italia, abbiamo indicatori così sbilanciati? Come mai abbiamo profitti così alti, redditi così bassi, produttività così bassa, orario di lavoro così alto? È l'anomalia di questo Paese, che si ripresenta un'altra volta. Ancora una volta, sono il capitalismo italiano, quello peggiore, e la destra italiana, quella peggiore, che stanno al Governo. Il peggior capitalismo e la peggiore destra stanno al Governo di questo Paese. Questo è il punto. Secondo me, è un punto davvero importante. Per questo, la destra nega, non accede neanche al ragionamento, neanche all'interlocuzione su temi fondamentali. Come abbiamo detto per mesi, il fatto è che, pur lavorando, non si può essere poveri; per quanto riguarda l'orario. Vi è un modo di lavorare, in questo Paese, che abbiamo denunciato in tanti modi, che porta a una produttività troppo bassa, che è uno dei grandi problemi della nostra competitività, forse il principale. Questo non si affronta. Non si affronta con le misure di sistema relative al mercato del lavoro, non si affronta dal punto di vista fiscale, perché si aiutano tutti quelli che non potrebbero stare sul mercato. Tanti imprenditori non potrebbero fare impresa, in realtà non sono nella condizione di fare impresa, ma questi Governi di destra, ciclicamente, adottano provvedimenti che riescono a determinare il mondo imprenditoriale di questo Paese così com'è fatto: sostanzialmente, piccole e piccolissime imprese che non fanno ricerca, non fanno innovazione, non garantiscono sicurezza sul lavoro. Si tratta di una questione gigantesca che - lo ripeto -, a oggi, è sostanzialmente negata, anche da quella parte dell'emiciclo.
Allora - e chiudo -, credo che abbiamo fatto una cosa molto importante. Tra l'altro, credo sia una proposta molto equilibrata, non una proposta di bandiera, perché avremmo potuto. Non è una provocazione, non è neanche - lo abbiamo già detto -, come è stato fatto per il salario minimo, la sintesi tra proposte. Noi abbiamo fatto una cosa nuova. Forse questa è la prima volta che le opposizioni veramente si siedono per mettere in piedi e scrivere una proposta di legge propria. Su questo, non intendiamo fare un passo indietro. Non è possibile, perché per noi salario minimo e riduzione dell'orario camminano assieme, camminano assieme anche per risarcire questo Paese dagli errori che ha fatto la politica e per ricostruire una relazione con il sindacato. Altro che quello che dicono le destre.
Il sindacato, per fortuna, torna a occuparsi di precarietà del lavoro, si occupa in modo incisivo delle condizioni di lavoro in questo Paese. E il sindacato, tutto - non chi sì e chi no, a noi non interessano le distinzioni -, ha bisogno di una buona politica, di una politica che si assuma le sue responsabilità in quest'Aula. La politica che si gira dall'altra parte, secondo me, non fa bene a nessun sindacato, non a quello più o meno rappresentativo, a quello più o meno conflittuale, a quello più o meno contrattuale. No. La politica che nega i temi del lavoro non fa bene a nessun sindacato. Noi, invece, intendiamo aprire un'interlocuzione con il Paese e con le organizzazioni sindacali, a partire dalle nostre proposte e dalle proposte che abbiamo messo in campo .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Battilocchio. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO BATTILOCCHIO(FI-PPE). Grazie, Presidente. Signor Sottosegretario, la proposta che stiamo discutendo, come già ampiamente detto, reca disposizioni sulla riduzione dell'orario di lavoro. Mi pare di poter affermare, senza tema di smentita, che ci sia il rischio di strumentalizzazione su un tema di grande delicatezza. Perché proporre un intervento volto ad introdurre la facoltà per i datori di lavoro e i lavoratori di prevedere una riduzione dell'orario lavorativo, quando, in Italia, già esiste la possibilità per i lavoratori di fruire di un orario di lavoro ridotto? In controluce, ma neanche troppo, più che di facoltà, si potrebbe parlare di un vero e proprio obbligo per le imprese e, più in generale, per i datori di lavoro, sol che si consideri la previsione dell'articolo 5 della proposta sul referendum aziendale. Una disposizione, per noi di Forza Italia, irricevibile, tanto che, in Commissione, avevamo presentato un emendamento soppressivo di tale articolo.
Si tratta di un articolo che reputo espressione di una visione non corretta dei rapporti tra lavoratori e datori, che non tutela i lavoratori proprio perché non tiene conto delle esigenze di quanti quel lavoro offrono. Obbligare un'impresa ad adottare un orario di lavoro ridotto, a prescindere dalle peculiarità delle dinamiche produttive della stessa, finisce per nuocere all'impresa e, a catena, ai lavoratori che dalla crisi del proprio datore non ricaverebbero alcun beneficio.
Ma torno a quanto detto all'inizio del mio intervento: la facoltà di prevedere l'orario di lavoro esiste già nel nostro ordinamento. A questo proposito, ricordo a me prima di tutti e sommessamente anche a tutti i colleghi che il decreto legislativo n. 66 del 2003 ha recepito nell'ordinamento italiano la direttiva comunitaria 93/104/CE in materia di organizzazione dell'orario di lavoro.
Nello specifico, l'articolo 3, da un lato, fissa in 40 ore settimanali il normale orario di lavoro, dall'altro, prevede la possibilità per la contrattazione collettiva di stabilire una durata inferiore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno.
Per quanto concerne il lavoro straordinario, il successivo articolo 4 demanda ai contratti collettivi il compito di stabilire la durata massima settimanale dell'orario di lavoro, comprensivo sia del lavoro ordinario, sia di quello straordinario. L'orario settimanale, sia in presenza, sia in assenza di contrattazione applicabile, non può superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario per ogni periodo di sette giorni, calcolate come media su un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi. Nondimeno, la contrattazione collettiva, oltre che determinare la durata massima settimanale dell'orario di lavoro, ha facoltà di elevare il periodo di riferimento in relazione agli specifici interessi del settore cui i datori di lavoro e i lavoratori appartengono da quattro fino a sei mesi e, in caso di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, fino a 12 mesi.
Questo è quanto prevede la legge e non quanto asserisce questa maggioranza, accusata di voler affossare la proposta in esame e di non avere la volontà politica di entrare nel merito di un tema così centrale per l'organizzazione del lavoro, per il tempo e la qualità della vita delle persone. Temiamo che questa sia una proposta fatta ad arte per essere bocciata e diventare, quindi, argomento di polemica. Forza Italia ha già espresso in Commissione il proprio punto di vista, che ribadiremo puntualmente in tutti gli ulteriori passaggi in Aula.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Aiello. Ne ha facoltà.
DAVIDE AIELLO(M5S). Grazie, Presidente. Oggi discutiamo la proposta di legge sulla riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Vorrei iniziare sottolineando un dato politico di non poco conto. Siamo di fronte a un testo unitario presentato dai partiti di opposizione, MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, un testo frutto di un grande lavoro di sintesi. Eravamo partiti da tre diversi disegni di legge e siamo addivenuti a un unico progetto, su un tema che è già realtà in diversi Paesi del mondo. Non si tratta di propaganda, come si è spinto a dire la Ministra Calderone, con scarsissimo rispetto per il ruolo delle opposizioni e dell'intero Parlamento.
Mi spiace constatare che questo nostro atteggiamento, Presidente, si è scontrato con il diverso approccio, invece, tenuto dalla maggioranza che, prima di ciò che è accaduto mercoledì in Commissione lavoro, voleva rifiutarsi di discutere nel merito la nostra proposta, presentando emendamenti soppressivi dell'intero testo. A tal proposito, mi sembra doveroso evidenziare anche che, dentro la maggioranza, solo Fratelli d'Italia e Forza Italia hanno presentato emendamenti soppressivi, dimostrando arroganza verso le esigenze lavorative di lavoratori e lavoratrici; sono tanti che, appunto, aspettano un provvedimento del genere. La Lega, invece, non ha presentato alcun emendamento, ciò significa evidentemente che per loro questa proposta va bene. È stato lo stesso Sottosegretario Durigon, nei mesi scorsi, a dirsi favorevole all'introduzione di modelli organizzativi volti a ridurre l'orario di lavoro.
È quindi palese che all'interno della maggioranza ci sia una spaccatura su questo punto e mi auguro che i colleghi di Fratelli d'Italia e Forza Italia possano tornare sui loro passi, anche perché - voglio ricordarlo a quest'Aula - l'80 per cento dei lavoratori è favorevole all'introduzione di questa legge, quindi la vostra contrarietà dovreste spiegarla a questo 80 per cento di lavoratori, appunto, che si aspetta che questa legge diventi realtà.
Questa misura è un vero e proprio cambiamento di paradigma che pone al centro la vita dei lavoratori, riconoscendo l'importanza di un equilibrio tra lavoro e vita privata, non solo auspicabile, ma anche imprescindibile per il progresso sociale ed economico del nostro Paese. Per le imprese, la soddisfazione dei dipendenti si traduce in un incremento di produttività, un lavoratore motivato e sereno è, senza dubbio, un lavoratore più efficace. Se c'è una cosa su cui possiamo essere tutti d'accordo è che il mondo del lavoro è un mondo dinamico e in continua evoluzione ed è dunque necessario che le regole che stanno alla base dell'organizzazione siano al passo con i tempi. Se la politica non è in grado di affrontare le nuove sfide che il progresso tecnologico ci pone, il rischio è che l'Italia resti sempre qualche passo indietro rispetto ad altri Paesi che non sono così conservatori come il nostro.
L'Italia è fra i primi posti in Europa per numero di ore lavorate. Molti lavoratori, ma soprattutto lavoratrici sono in regime di , ma spesso si tratta di involontario; il 54 per cento di loro, infatti, non l'ha richiesto e vorrebbe un contratto , quindi vorrebbe lavorare più ore rispetto alle ore contrattuali. Il involontario spesso si traduce in salari bassi e, quindi, in povertà lavorativa. Parliamo di lavoratrici e lavoratori che portano a casa una paga da 700-800 euro mensili, che non gli consente di affrontare la vita con serenità e queste paghe violano i dettami della nostra Costituzione. Molti rinunciano alle cure sanitarie, non riescono a pagare il mutuo, l'affitto, le bollette di luce e gas, non riescono a mandare i figli a scuola. Ecco, bisogna fare i conti con la realtà ed essere pronti a cambiare le regole del gioco, anche davanti alla grande spinta che arriva dalla digitalizzazione e dallo sviluppo dell'intelligenza artificiale che nel mercato del lavoro sta già avendo un impatto straordinario. Una riduzione dell'orario di lavoro fino a 32 ore settimanali, per quattro giorni lavorativi, avrebbe effetti positivi sia sull'occupazione che sulla produttività.
In questo quadro, il sistema di esonero contributivo, che abbiamo inserito nella proposta di legge, rappresenta un incentivo chiave e mirato per le imprese, volto a sostenere chi adotta contratti collettivi finalizzati alla riduzione dell'orario di lavoro, con eccezione, ovviamente, del settore agricolo e del settore domestico. Prevediamo, infatti, un esonero contributivo - pari al 30 per cento - dei contributi previdenziali complessivi, che sale fino al 50 per le piccole e medie imprese, il cuore produttivo del nostro Paese, spesso meno favorito rispetto alle grandi aziende nell'adattarsi ai cambiamenti. Inoltre, per le attività particolarmente gravose, è previsto un esonero contributivo del 60 per cento, una misura che riconosce e sostiene concretamente chi svolge mansioni fisicamente e psicologicamente usuranti.
Lavorare meno significa lavorare meglio. I benefici e i vantaggi per i lavoratori sarebbero da ricercare nella possibilità di un maggiore tempo libero da dedicare alla salute, alla cura della famiglia, alla partecipazione alla vita sociale e culturale. Con meno spostamenti per raggiungere i luoghi di lavoro, inoltre, si avrebbero vantaggi anche per l'ambiente, con meno emissioni di CO2 nell'atmosfera. Una riduzione del 10 per cento dell'orario di lavoro farebbe, quindi, calare la nostra impronta di CO2 del 14,6 per cento. Questo effetto può essere spiegato con diversi fattori: i tempi di pendolarismo si riducono e l'efficienza della produzione aumenta.
In Italia, già diverse realtà imprenditoriali e aziendali hanno intrapreso questa strada a livello organizzativo e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Si registrano benefici sia dal lato datoriale, come ad esempio un risparmio sui costi di gestione e un aumento della produttività - ci tengo a ribadirlo -, sia dal lato dei lavoratori che, ottenendo un elevato livello di soddisfazione, si assentano per malattia molti meno giorni rispetto al normale.
Molte ricerche fatte sul tema della riduzione delle ore di lavoro, a parità di salario, dimostrano che la produttività in tutti questi casi è aumentata. Questo renderebbe l'Italia attrattiva e sempre più competitiva nei confronti degli altri Paesi europei. Per tutte queste ragioni, mi auguro che finalmente l'Italia possa abbracciare la sperimentazione delle ore di lavoro, perché i benefici economici, sociali e ambientali saranno un volano importantissimo e fondamentale per la crescita e lo sviluppo del nostro Paese.
Diamo un segnale concreto di vicinanza e sostegno a milioni di lavoratrici e lavoratori, che ogni giorno si scontrano con mille difficoltà, e approviamo questa legge
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Scotto. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO(PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Vorrei dire una cosa in premessa ai colleghi, soprattutto del centrodestra, che ho ascoltato con grande attenzione e di cui, ovviamente, rispetto l'opinione: se siamo qui, oggi, a fare questa discussione generale, è perché c'è stato un successo politico delle opposizioni. Infatti, per come stava andando la discussione in Commissione e per come la destra, o meglio, una parte della destra, signor Sottosegretario, si è approcciata al dibattito sulla riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, questa legge doveva arrivare qui monca, cancellata con un emendamento soppressivo e con un pieno mandato al relatore volto ad evitare una discussione di merito su una proposta che ha visto unificarsi tre opposizioni.
Vi informo che la legge è arrivata tutta intera e non c'è il mandato al relatore, nonostante il tentativo politico di sopprimerla con un emendamento. E siccome siamo arrivati qui e abbiamo un atteggiamento dialogante e non arrogante, abbiamo provato persino a semplificare la vita ai nostri colleghi, faccio un appello, signor Presidente, tramite suo, al Governo qui presente: chiudiamo questa discussione generale e poi attendiamo da voi una controproposta che parta da un principio, il legislatore deve fare il proprio mestiere e non inseguire gli istinti animali del mercato .
Fare il proprio mestiere significa anche legiferare sulla riduzione dell'orario di lavoro. Questa è una legge che nasce dalla convergenza di PD, AVS e MoVimento 5 Stelle. Confesso che non era una convergenza scontata, sono percorsi molto diversi rispetto all'approccio e anche al merito delle proposte. Tuttavia, questa proposta - ha ragione il collega Mari - è qualcosa di più di una sintesi. È una proposta che parte da un'analisi: non c'è mai stata nessuna rivoluzione industriale nella storia dell'umanità che non sia stata accompagnata da una poderosa riduzione dell'orario di lavoro. E lo mettiamo nella relazione, lo citiamo, e lo dico, senza polemica, al collega Malagola, quando dice che il lavoro non è conflitto.
Noi celebriamo ogni anno il 1° maggio e da qualche anno lo celebra persino la nostra Presidente del Consiglio, tant'è che lo scorso anno ha deciso di tirare fuori un discutibile decreto 1° maggio, che ha un obiettivo preciso: precarizzare ulteriormente il mercato del lavoro Ma la signora Meloni, probabilmente, non sa, e sicuramente non lo sa il collega Malagola, che, se noi celebriamo il 1° maggio, è perché a Chicago, il 1° maggio 1886, i lavoratori sfilavano e protestavano - furono ammazzati due lavoratori e ci furono tanti feriti - per ridurre l'orario di lavoro e per portare la giornata di lavoro a 8 ore.
La storia si è sempre mossa così, a meno che non si pensi che la storia debba tornare indietro, e purtroppo stiamo tornando indietro. Signor Sottosegretario, stiamo tornando indietro ed è chiaro che non è una responsabilità che può essere attribuita a questo Governo, né può essere attribuita soltanto a chi si è alternato, né può essere letta solo in chiave nazionale. È un lungo percorso di svalorizzazione del lavoro, di riduzione del potere contrattuale del lavoro e di spostamento dai salari ai profitti e alle rendite di interi punti di prodotto interno lordo. In 30 anni 200 miliardi si sono spostati dai salari alle rendite e ai profitti.
Non dico che bisogna restituire tutto, si può fare anche in comode rate, signor Sottosegretario, ma forse un'iniziativa per redistribuire salario e orario di lavoro oggi è più urgente che mai.
Lo vediamo rispetto ai dati, che ci parlano di una crescita occupazionale, ma, allo stesso tempo, di una scarsa qualità del lavoro e di bassi salari, ma ce lo dice anche il rischio che vediamo arrivare, per esempio, dalla Germania: oggi la Volkswagen annuncia che chiuderanno tre fabbriche. Siamo dentro la grande gelata dell' all'interno del nostro continente, che riguarda Stellantis, ma, come sappiamo, non riguarda solo Stellantis. Siamo dentro un declino della manifattura europea e, se noi vogliamo salvaguardare anche i posti di lavoro, bisogna mettere la testa sulla redistribuzione dell'orario di lavoro, e bisogna farlo anche per altre urgenze.
C'è un libro, che ha avuto un successo discreto in Giappone, in Italia vedremo, in Europa sta cominciando a entrare anche nelle classifiche, che si chiama . È scritto da un autore giapponese che ci spiega che ormai l'Antropocene, ossia l'epoca, l'era nella quale siamo entrati, vede tutto il mondo ormai pervaso integralmente dalle attività economiche degli esseri umani. Noi abbiamo preso il pianeta Terra e lo abbiamo occupato integralmente, ne abbiamo risucchiato quasi tutte le risorse e abbiamo condannato, probabilmente, le prossime generazioni ad avere una difficoltà nella vita su questo pianeta. È un tema.
Mi verrà detto: che c'entra con l'orario di lavoro? C'entra, perché, come diceva prima il collega Aiello, ad esempio, un'iniziativa sulla settimana corta significa anche una diversa idea della mobilità e una diversa idea del rapporto tra l'uomo e l'ambiente, tra l'uomo e la conciliazione dei propri tempi di vita e di lavoro. Nel -pandemia, veniva detto dal collega Fossi, questa domanda è cresciuta, e non per un capriccio di qualcuno, ma perché abbiamo scoperto una relazione diversa con la nostra professione, abbiamo visto crescere in maniera molto forte casi e fenomeni di .
E qui lo voglio dire, forse occorrerebbe anche aprire un capitolo sul diritto alla disconnessione. Ma, allo stesso tempo, ci troviamo di fronte alla crescita di grandi dimissioni all'interno di interi comparti da parte di milioni di donne e di uomini che non soltanto non reggono più i ritmi di lavoro, ma non accettano più di rinunciare a spazi di libertà e al diritto soggettivo alla formazione.
Per questo noi proviamo a parlare di questi temi, proviamo a metterli sul futuro, non facciamo un'operazione approssimativa. Ma, scusate, io leggo ora che i colleghi della destra e la Ministra Calderone, che ogni tanto vorremmo vedere anche da queste parti - signor Sottosegretario, glielo dica, le scriva un , le mandi una lettera, faccia qualcosa -, che dice: di orario di lavoro, di diritto alla disconnessione, non se ne deve occupare la politica; noi siamo per la contrattazione.
Ora, intanto - lo hanno detto i colleghi che mi hanno proceduto -, c'è una legge, da sempre: l'orario di lavoro si norma per legge. Ma non c'è solo questo, c'è il tema della contrattazione. Se siete così attenti alla contrattazione, ma per quale motivo non avete trovato neanche un quarto d'ora per convocare i sindacati e discutere della manovra di bilancio, che tra qualche settimana approderà in Parlamento? Se proprio siete a favore della contrattazione e per misurare la rappresentanza sindacale, allora fate una legge sulla rappresentanza, che è - come dire - il completamento naturale di un'iniziativa sul salario minimo legale che voi avete deciso di negare e che noi continueremo a portare avanti con forza nelle piazze e lo riporteremo qui quando avremo depositato la nostra legge di iniziativa popolare.
La nostra proposta è una proposta graduale, veniva detta. Intanto individua un vettore, il Fondo nuove competenze. Quello è il vettore giusto perché, come sa, si occupa di formazione; come sa, è lo strumento su cui si può intervenire per agevolare la contrattazione tra le organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative e - come hanno detto tutti nelle audizioni, dai sindacati a Confindustria e persino quelle grandi aziende che già stanno sperimentando la riduzione dell'orario di lavoro (da Lamborghini a Luxottica a Intesa Sanpaolo e tante altre) - occorre una normativa a supporto e occorre anche dare una mano, incentivare la contrattazione.
Io non sono bravo nei calcoli come l'onorevole Malagola, ma so benissimo che occorrerà incentivare questo strumento e incentivarlo anche differenziandolo, perché noi abbiamo un tessuto di imprese, piccole e medie, che vanno sostenute sulla strada dell'innovazione e abbiamo condizioni usuranti e gravose di tanti lavoratori, che dovrebbero andare in pensione e che invece questo Governo continua a trattenere lì. Abbiamo letto le dichiarazioni della Lega e, soprattutto, del Sottosegretario Durigon, quando dice: sulle pensioni, questa non è la nostra manovra. Siamo disponibili a discutere, ci saranno gli emendamenti del Partito Democratico e delle opposizioni; siamo convinti che insieme riusciremo a mettere in campo una convergenza per agevolare una maggiore flessibilità in uscita di tante lavoratrici e di tanti lavoratori.
Infine, viene detto: poi, dopo 3 anni, comunque c'è la diminuzione dell'orario di lavoro per legge. Noi abbiamo individuato lo strumento del DPCM e lo caliamo settore per settore. Quella riduzione del 10 per cento avviene settore per settore, a seconda del livello di sperimentazione. Lo facciamo in maniera graduale perché vogliamo aiutare e sostenere il sistema produttivo in questa sfida, che è una sfida decisiva.
Chiudo su questa riflessione: signora Presidente, ma noi che Italia immaginiamo? Signori del Governo, che Italia immaginiamo? Che modello produttivo immaginiamo? Un modello produttivo che sceglie di competere sulla linea bassa della scala del valore globale, dunque con salari bassi e nessuna innovazione tecnologica? Guardate che la trappola della produttività sta qui: in Italia non crescono i salari e non cresce la produttività, perché non si innova.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
ARTURO SCOTTO(PD-IDP). Oppure pensiamo di competere sulla qualità? Ecco, ragioniamo su un patto comune sulla qualità dell'occupazione .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Baldino. Ne ha facoltà.
VITTORIA BALDINO(M5S). La ringrazio, signora Presidente. Allora, io devo dire che ho ascoltato con piacere l'intervento del collega di Fratelli d'Italia sul tema in discussione oggi, se non altro perché la voce della maggioranza non l'abbiamo sentita spesso durante la discussione in Commissione di questa proposta di legge. Abbiamo parlato noi per qualche ora, abbiamo fatto più che altro dei monologhi. Però, quell'intervento ci consegna un po' qual è la visione del partito di maggioranza di Governo del nostro Paese, che è una visione in cui la Nazione è composta da individui con tanti doveri e, evidentemente, pochi diritti. Un individuo che la mattina si alza, deve andare a lavorare, perché la sua missione è quella di lavorare, cercare un lavoro e trovare un lavoro purché sia, perché - giustamente - quell'individuo e quel numero serve a loro per andare a migliorare quegli indici Istat, che ci dicono che effettivamente in Italia va tutto bene, non è mai stato così alto il dato sull'occupazione e che, quindi, è l'Arcadia, il Paese dove va tutto bene, dove poco conta se, in quei dati, si inseriscono persone che lavorano soltanto un giorno o persone che sono in cassa integrazione, purché i dati ci consegnino degli indirizzi positivi e che quindi il Governo sta facendo bene. Va bene tutto: lavoro purché sia, con qualsiasi tipo di tutele (al ribasso molto spesso), con qualsiasi tipo di salario, con qualsiasi tipo di gratificazione lavorativa da parte di chi lavora.
Allora ci è stato detto che noi avevamo una visione distorta del Paese. Abbiamo avuto una visione in cui, introducendo il reddito di cittadinanza, abbiamo inteso liberare i cittadini dal lavoro. No, caro collega - e mi rivolgo anche al Sottosegretario Durigon, che il reddito di cittadinanza l'ha votato e anche rivendicato -, noi non abbiamo voluto liberare i cittadini italiani dal lavoro; noi li abbiamo voluti liberare dallo sfruttamento da lavoro , sia con il reddito di cittadinanza, sia con il decreto Dignità e con tutte le misure che abbiamo introdotto in quel Governo e nel Governo successivo, quando siamo riusciti a implementare, a mettere in piedi un modello di protezione sociale durante un momento difficilissimo, bloccando, ad esempio, i licenziamenti, cosa che ha consentito a milioni di persone di non finire, anche grazie al reddito di cittadinanza, in condizioni di povertà assoluta.
Invece, qual è la loro risposta rispetto ai dati, purtroppo, della realtà e non ai freddi numeri che tanto si celebrano in Aula e in televisione? I dati della realtà ci consegnano un quadro desolante, soprattutto riguardo alla questione giovanile, alla precarietà giovanile. Parliamo del 45 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni che hanno un contratto a termine. Parliamo del 78,3 per cento di giovani che vivono e lavorano in regime di involontario, cioè che non vorrebbero lavorare ma che deve farlo necessariamente, a fronte di una media europea del 26 per cento (78 per cento contro il 26 per cento). Abbiamo una disoccupazione giovanile del 22,7 per cento - ma va tutto bene - invece in Europa la media è del 14,5 per cento.
Ecco quindi che questa proposta di legge si inserisce in un quadro di proposte, formulate dalle opposizioni democratiche e progressiste del nostro Paese, che accompagna un'altra proposta, che è stata purtroppo già bocciata da questo Parlamento, che è quella del salario minimo. Sono misure che ci danno una visione di Paese evidentemente diversa - molto diversa - dalla vostra, che continua a reiterare un modello economico sbagliato, un paradigma economico sbagliato, che è quello del neoliberismo, che ha portato alla precarizzazione del lavoro, alla mancanza di stabilità per i lavoratori e le lavoratrici, soprattutto per i più giovani e soprattutto per le donne, e ad una mancanza di stabilità e di certezza per il loro futuro, che ha determinato anche la crisi demografica che stiamo vivendo.
Quindi, ci troviamo qui, oggi, a discutere di questa proposta di legge. Voglio rivolgermi, soprattutto, ai più giovani. Per i giovani italiani, non potete negarlo, entrare nel mondo del lavoro è un percorso difficile. Gli anni della pandemia ci hanno lasciato qualcosa. Il fenomeno mondiale delle “grandi dimissioni”, che ha interessato anche l'Italia, ha portato alla luce una tendenza chiara, per cui il 65-70 per cento circa dei più giovani e anche delle donne cerca un migliore bilanciamento tra la vita privata e il lavoro e vorrebbe ridurre il tempo dedicato al proprio lavoro.
Questo non vuol dire che non vogliono lavorare, che sono dei fannulloni, che vogliono stare sul divano, che hanno necessità che lo Stato li assista. Non gli italiani, ma la popolazione mondiale sembra avere riscoperto il valore del proprio tempo, e questa è una tendenza alla quale noi, che siamo legislatori, dobbiamo andare incontro, non dobbiamo negarla. E non si tratta, soprattutto per i giovani, soltanto di una questione di ore lavorate, ma di trovare una stabilità che gli consenta una vita dignitosa e pianificabile.
Poi veniamo al mito della produttività, sempre seguendo la vostra ricetta neoliberista per cui bisogna lavorare di più per produrre di più, per avere più ricchezza, per avere maggiori consumi, per avere maggiori salari, per avere un'economia che va meglio. Qual è la realtà? Qual è il risultato? Qual è il prodotto di queste politiche economiche che abbiamo inseguito negli ultimi anni? Non è questo, ce lo dicono i dati, e, infatti, il mito per cui lavorare di più significa, automaticamente, produrre di più è stato ampiamente smentito.
Secondo il dell'INAPP pubblicato a gennaio scorso, l'orario medio di lavoro in Italia è tra i più alti in Europa, eppure questo non si traduce in una maggiore produttività. Prima della pandemia, gli italiani lavoravano, in media, 359 ore in più dei tedeschi e 200 ore in più dei francesi, ma andiamo a vedere quale è il risultato di questa grande mole di ore lavorate rispetto ai Paesi vicini. La produttività del lavoro, negli ultimi anni, è cresciuta, mediamente, dello 0,4 per cento - stiamo parlando dal 1995 al 2000 - e, parallelamente, negli stessi anni, gli stipendi sono diminuiti quasi del 3 per cento.
Quindi, aumentano le ore lavorate, diminuisce la produttività, diminuiscono gli stipendi. E, invece, che cosa succede nella media UE? Nella media UE, la produttività, sempre negli stessi anni, è cresciuta di 1,5 punti percentuali, quindi è aumentata di pari passo con la riduzione delle ore lavorate. Sottosegretario Durigon, questo dovrebbe dirci qualcosa, cioè dovrebbe dirci che, evidentemente, la ricetta che fino ad ora abbiamo seguito e che sembra stia seguendo pedissequamente anche questo Governo è una ricetta sbagliata.
Quindi, andiamo a vedere cosa succede negli altri Paesi, dove, probabilmente, sono più bravi di noi, sono più coraggiosi di noi. La settimana lavorativa ridotta è già una realtà, perché ci sono 18 Paesi che la stanno sperimentando, tra cui la Germania, la Spagna, il Regno Unito, la Nuova Zelanda, il Giappone. Microsoft in Giappone, ad esempio, ha ridotto la settimana lavorativa da 5 a 4 giorni, a parità, ovviamente, di stipendi, e ha riscoperto un aumento della produttività del 40 per cento. Certo, l'Italia non è il Giappone, ma questo dato ci dà una tendenza.
Un esperimento simile è stato introdotto anche in Gran Bretagna e la riduzione dell'orario di lavoro, a parità di salario, ha prodotto un miglioramento dei ricavi delle aziende, quindi della produttività, dell'1,4 per cento, aumentando la salute mentale e fisica dei lavoratori e tutto quello che ne consegue. Cosa ha fatto l'Italia? L'Italia ha avuto modo, durante la pandemia, di approfondire, di scoprire, di misurarsi con un nuovo modo di lavorare: lo abbiamo chiamato . È stata una necessità per cui ci siamo ritrovati a dover lavorare da remoto.
In quel caso voleva dire “lavoro domestico”, perché eravamo obbligati a farlo da casa, visto che c'era una situazione sanitaria che comprometteva le nostre libertà, purtroppo, però quell'esperienza ci ha consegnato la possibilità che un modello diverso di lavorare è possibile. Gli italiani hanno molto apprezzato, perché gli ha consentito di migliorare l'equilibrio tra la vita privata e il lavoro. Molte aziende stanno continuando a sperimentare questo modello di lavoro, altre invece, purtroppo, sono ritornate indietro.
Lo Stato, purtroppo, devo dire, il Governo non ha approfittato di quella scia per poter continuare a reiterare politiche che incentivassero le aziende a proporre sempre di più il lavoro agile per i propri lavoratori, ma era quella la direzione in cui dovevamo andare, e, parallelamente, anche quella della riduzione dell'orario di lavoro. Però, nel Governo “Conte 2”, prima che qualcuno arrivasse e demolisse tutto, è stato istituito il Fondo nuove competenze, che è stato citato anche poc'anzi dal mio collega: uno strumento di politica attiva del lavoro che ha permesso alle imprese di destinare parte dell'orario di lavoro, sempre a parità di salario, alla formazione dei loro dipendenti, con il supporto di contributi fiscali e del Fondo sociale europeo, perché noi riteniamo che lo Stato debba intervenire nell'economia, non farsi da parte e pensare che il mercato possa fare tutto da solo.
Questo Fondo è stato un grande successo, perché, nel primo anno, ha coinvolto 14.500 aziende, 720.000 lavoratori, permettendo loro di dedicare ben 95 milioni di ore alla formazione. Questo è stato un modello vantaggioso per entrambe le parti, sia per la parte datoriale sia per i lavoratori, perché si sono ridotti i costi, sono migliorate le competenze interne e i lavoratori hanno mantenuto la retribuzione e hanno acquisito nuove . Quindi, è un esempio concreto di come si possa migliorare il benessere lavorativo e aumentare le prospettive professionali.
In conclusione, non dobbiamo dimenticare, dobbiamo sempre tenere presente il fatto che ci avviamo verso una stagione in cui le nuove tecnologie prenderanno sempre di più il sopravvento nel modo di lavorare - mentre noi parliamo di nuove tecnologie, esse sono diventate già vecchie -, ed è un fatto che, purtroppo o per fortuna, l'automazione sostituirà alcuni lavori. Allora, la riduzione dell'orario di lavoro potrebbe essere una soluzione strategica per affrontare questa transizione in modo più sostenibile.
Concludo perché il tempo purtroppo è terminato, avrei voluto dire tante cose, perché tante sarebbero le cose da dire su questa proposta di legge, che non interviene solo sul mercato del lavoro, ma interviene sulla visione di Paese che si ha. Penso che un modo diverso di lavorare, di pensare al modo di lavorare, e, quindi, al contributo dei cittadini e delle cittadine alla vita economica del Paese, sia possibile, dipende da noi, possiamo farlo. Bisogna avere coraggio, quel coraggio che questo Governo non sta dimostrando, ma vi stiamo dando un'opportunità .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Guerra. Ne ha facoltà.
MARIA CECILIA GUERRA(PD-IDP). Grazie, Presidente. Ancora una volta, le opposizioni danno una lezione importante alla maggioranza. Partendo, come è stato ricordato dai colleghi, da proposte diverse, con un confronto di merito, abbiamo trovato un punto di caduta comune da proporre a tutto il Parlamento, con una proposta di legge che, vorrei sottolineare, è firmata dai segretari dei principali gruppi di opposizione. Quindi, abbiamo trovato veramente offensivo e fuori luogo il fatto che la Ministra Calderone si sia peritata di definirla come proposta di alcuni esponenti dell'opposizione alcuni oscuri, avrebbe potuto dire.
Con questa proposta noi chiediamo che sia affrontato nella sede propria, quindi il Parlamento, un tema di grandissima valenza per il futuro del nostro mercato del lavoro, ma direi anche del nostro Paese, un tema su cui si stanno interrogando in tantissimi altri Paesi, specie, come è stato ricordato, in relazione agli effetti che l'innovazione digitale e quella legata all'intelligenza artificiale possono avere sul mercato del lavoro, sull'occupazione, sull'esigenza di formazione.
Ancora una volta, a fronte di questa prova di serietà da parte dell'opposizione, la maggioranza ha reagito con la sua solita arroganza, proponendo che cosa? Un emendamento soppressivo, cioè neanche lo sforzo di provare ad articolare una proposta, di tirare fuori un vagito, un lamento, un segno di presenza. Questa maggioranza, che definisco maggioranza silenziosa, non si è peritata, probabilmente ritenendo che il tema non sia di alcuna rilevanza, di fare delle proposte.
E lo scarsissimo dibattito che abbiamo avuto, perché chiamarlo dibattito è veramente eroico, oggi, in Parlamento, dimostra questa volontà di rappresentare il parere degli altri in modo fuorviante, perché, evidentemente, non leggono o non capiscono le nostre proposte.
Il tutto è contornato da un'afasia che risulta particolarmente drammatica visto l'importanza del tema, perché il tema è l'orario di lavoro, i tempi di lavoro. I tempi di lavoro sono un elemento cruciale: lo sono nell'organizzazione del lavoro e, quindi, per la sua qualità; lo sono sotto tantissimi profili, compreso quello della sicurezza e quello della produttività. Ma sono un elemento cruciale anche per la vita delle persone, perché c'è anche altra vita oltre al tempo di lavoro: la vita privata, la vita familiare, la vita che dobbiamo spendere per la cultura e per la partecipazione alla vita pubblica. E qui mi piace citare un'affermazione di Bertrand Russel del 1932: “L'idea che i poveri dovrebbero avere del tempo libero è sempre stata scioccante per i ricchi”. Ecco, noi crediamo invece che questo tema, la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro, sia fondamentale
Quando si è arrivati a proporre normative è intervenuta anche la Comunità europea, come sapete: ci è stato ricordato - come se noi non sapessimo - che esiste una direttiva sull'orario di lavoro. Ebbene, in quel momento ci fu uno scontro proprio perché parti significative del mondo datoriale rivendicavano a sé il controllo dell'orario. Ma non è possibile che sia così: il controllo dell'orario non può essere appannaggio di una parte sul mercato del lavoro e l'intervento normativo, con buona pace ancora della nostra Ministra (credo del Lavoro, non lo so), la Ministra Calderone, è necessario ed è storicamente andata sempre così. L'intervento normativo ha la funzione, da un lato, di dare stabilità alle lotte, ai risultati ottenuti nella contrattazione e a quello che si va sedimentando (un po' a macchia di leopardo) e che avviene sul territorio; dall'altro lato, ha la funzione fondamentale di dare tutela anche ai soggetti deboli, perché la norma è per tutti; la contrattazione invece può arrivare magari - bene, benissimo - ma non dappertutto. Quindi, che si parli di una norma (per giunta, delicata, accompagnata da un monitoraggio e da una sperimentazione), come quella che oggi proponiamo, è assolutamente fisiologico e normale.
Cosa ci porta oggi a definire l'urgenza di questa tematica? E una tematica che, come ho detto, potrebbe essere esaminata dal punto di vista della sicurezza, della salute, dell'intensità del lavoro e degli effetti di che ben conosciamo, della sostenibilità ambientale e della produttività del lavoro. Il tema che oggi ci fa capire che questa è un'emergenza è che siamo di fronte (anzi, è già in atto) ad un'importantissima rivoluzione industriale; l'innovazione tecnologica e digitale e l'intelligenza artificiale, infatti, avranno, hanno e stanno avendo effetti rilevantissimi sulla composizione e sulla quantità di lavoro necessario per produrre.
È un tema che interroga tutti e che dobbiamo conoscere; è un lavoro che permette di risparmiare lavoro, ma che può anche richiedere, anzi, richiede di riqualificarlo: non a caso noi leghiamo la nostra proposta all'obbligo, per le imprese che accederanno all'aiuto pubblico che proponiamo, di investire in innovazione e in formazione (quindi, con un elemento di condizionalità ben esplicitato).
Se si risparmia lavoro, però, si possono avere due effetti: si può ridurre l'occupazione e questo è l'esito che noi non vogliamo e per cui ci attrezziamo in partenza. È sempre successo che con le rivoluzioni industriali ci sia stato un periodo in cui la forza lavoro ha sofferto moltissimo, perché ha pagato i costi delle innovazioni. Noi vogliamo, invece, che da subito sia chiaro che i benefici dell'innovazione debbano essere distribuiti e distribuirli vuol dire impedire il massacro dei lavoratori con una perdita di lavoro, una dequalificazione del lavoro e un non pagamento del valore del lavoro; è necessaria, invece, un'appropriazione collettiva e ben distribuita del valore aggiunto. Questo è il senso principale per cui bisogna parlare di questo problema; altrimenti, se non lo affrontiamo, sapremo che lo pagheremo con la disoccupazione e con un aumento delle disuguaglianze sia sociali che retributive.
In quale forma e in quale misura la riduzione deve prendere forma? È un processo articolato che richiede confronto e sperimentazione e che si può avvalere di strumenti organizzativi diversi. Noi abbiamo pensato sia alla riduzione del numero dei giorni che alla riduzione dell'orario giornaliero, ma sono solo un esempio.
Per questo, diversamente da quanto ha detto ancora la Ministra Calderone e rispetto a quanto hanno ripetuto oggi l'onorevole Malagola ed altri, non rimandate a noi la palla rispetto al fatto che non ci occupiamo delle parti sociali e ne neghiamo il ruolo quando siete voi che lo negate . Lo negate normativamente perché, se non ci fossimo stati noi a fare le nostre battaglie assieme alle parti sociali, avreste fatto passare un concetto di “rappresentanza senza rappresentanza”, dando spazio ai sindacati che non hanno degli iscritti - e questo è quello che ben sapete che abbiamo bloccato insieme, sia con riferimento al decreto 1° maggio sia con riferimento al decreto PNRR - e lo negate voi perché non vi confrontate mai coi sindacati. Li evocate ma non li convocate: è un pochino diverso. E quando li convocate, lo fate per dirgli: “Abbiamo deciso questo, volete saperlo cinque minuti prima degli altri?”. Quindi, non veniteci a fare delle prediche, perché la nostra proposta di legge è proprio incardinata sulla possibilità di sollecitare e di accompagnare un'attività che viene intrapresa dalle parti sociali nella contrattazione.
Questo è un elemento fondamentale e non riempitivi la bocca di elementi del tipo “a noi piace la partecipazione”, “la partecipazione gestionale” e quant'altro, perché non è vero. Quello che noi vi chiederemo - e ve ne chiederemo conto fra pochi giorni, fra poche settimane, quando sarà, quando la legge sulla partecipazione verrà discussa - è questo: vi chiederemo di rafforzare la partecipazione organizzativa, che non è una commissione bilaterale dove sono chiamati pochi saggi, non rappresentanti ma eletti (eletti nel senso di meritevoli), a cui si danno dei premi, dei lavoratori per proporre cose sull'innovazione e l'efficienza. No, la partecipazione organizzativa facciamola pure con un ente bilaterale, ma bisogna che sia un luogo dove i rappresentanti delle parti sociali vere (quindi, i rappresentanti del sindacato, per quanto riguarda i lavoratori) si confrontano su tutti i temi che hanno a che fare con l'organizzazione. Non avere quel luogo e non confrontarsi in quel luogo - ad esempio, sull'organizzazione dei tempi di lavoro, sui riposi, sulle ferie, sugli straordinari - deve essere considerata come una negazione dei diritti sindacali.
Vedremo cosa direte quando arriverà questa nostra proposta e se le vostre parole hanno un senso. La nostra proposta è molto semplice e non ha elementi di forzatura, diversamente da quanto è stato ricordato prima, perché non ha una caduta normativa già esattamente prefigurata.
La nostra proposta sollecita e accompagna un'applicazione, che già sta nascendo in tanti settori, di una riduzione dell'orario di lavoro in forme e modalità diverse e dà un sostegno pubblico a questa. Inoltre, diversissimamente da quando ha detto l'onorevole Malagola (che non so che cosa ha letto), la monitora. Così, arriva una proposta normativa sulla base dei risultati, che adesso non possiamo prefigurare (per questo non li abbiamo già scritti): sulla base dei risultati di quelle applicazioni, di quelle sperimentazioni, di questo periodo di alcuni anni in cui si comincia a mettere in pratica, con modalità scelte dalle parti sociali, la riduzione dell'orario di lavoro.
Questo è quello che noi vogliamo. Quello che, invece, non vogliamo e che voi volete con forza, perché lo dimostrate con i vostri atti, è una riduzione di orario di lavoro che si chiama “flessibilità”, non accompagnata dal mantenimento del salario ma, anzi, accompagnata da una compressione dei salari. Ed è una flessibilità in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale, quando noi permettiamo il proliferare di forme ingovernate di contratti precari, in cui si fa lavorare una persona poche ore, pochi giorni, pochi mesi, a piena discrezionalità del datore di lavoro, senza regole che sarebbero per il lavoro a tempo determinato, ad esempio, le causali: certo che non volete le leggi, le avete tolte le causali per legge e avete permesso, addirittura, che le causali siano decise nella contrattazione individuale.
Ma quella non è contrattazione: quando il lavoratore si trova uno ad uno di fronte al suo datore di lavoro, non ha lo stesso potere contrattuale. Questa è la riduzione dell'orario di lavoro, la flessibilità che voi volete e che noi non vogliamo, così come non vogliamo che il lavoro sia affittato e, quindi, l'estrema diffusione della somministrazione che è un modo per aggirare le poche regole - che pure permangono per il lavoro a tempo determinato - non ci va bene. La somministrazione è una cosa sacrosanta, ma nella funzione che deve svolgere: funzioni temporanee, esigenze temporanee per un'impresa che non abbia lavoratori specializzati in un particolare compito; non la qualunque, con gente che deve stare a disposizione con un'indennità di disponibilità che non paga il suo tempo, perché il tempo del lavoratore è sacro e va rispettato.
E così l'apoteosi del , che dovrebbe essere raccontato come uno strumento di conciliazione, un modo di organizzare il lavoro che, quasi sempre, si dice, permette alle donne di badare ai figli e il marito, e anche di lavorare un pochino. Ma che conciliazione c'è, dietro questo strumento, quando l'orario di lavoro è assolutamente imprevedibile, perché è nella piena disponibilità del datore di lavoro? Che conciliazione c'è, quando, con le clausole elastiche, con il ricorso allo straordinario, le 20 ore contrattate possono diventare 25, 30, 40, a piena discrezione del datore di lavoro? Noi invece vogliamo che si affronti il tema della conciliazione dentro un ridimensionamento dell'invasione dello spazio di lavoro nella vita privata, che riguarda sia donne che uomini. È, per questo, che proponiamo un altro strumento, il congedo paritario, perché donne e uomini hanno pari responsabilità nei confronti dei figli che, responsabilmente, decidano di mettere al mondo. Non ci piace la riduzione forzata dell'orario di lavoro, che si registra, statisticamente, praticamente in tutti i Paesi che sono stati studiati, ossia che, quando nasce un figlio - è un fatto che ritorna sempre -, le donne riducono l'orario di lavoro e gli uomini lo aumentano. Ovviamente, le donne lo riducono, perdendoci in salario, possibilità di carriera e quant'altro; gli uomini lavorano di più, perché rimangono gli unici a dover garantire un reddito adeguato alla famiglia, come era qualche secolo fa e come speriamo che non si debba più realizzare. Quindi, non siamo per una conciliazione al femminile, siamo per una conciliazione in cui si riduce l'orario di lavoro, ma accompagnata da una condivisione.
Ultimissima cosa, nel minuto che mi resta. Lo diceva anche l'onorevole Foti l'altro giorno: non venite a dire “ci mettete i soldi pubblici”, o “sono pochi” o “chissà quanti saranno”, perché chi mette i soldi pubblici, interferendo con la contrattazione privata, siete prima di tutto voi e lo fate nella direzione sbagliata. Lo fate, ad esempio, in questa legge di bilancio, affidando le politiche per la casa, che sarebbero bene una cosa delicata, dopo avere tagliato il fondo per gli affitti, a un unilaterale, deciso dal datore di lavoro, che viene, però, detassato, a spese di tutta la collettività, oppure, dicendo che, nel turismo, non si riescono a trovare persone e che bisogna far fare gli straordinari a quelli che ci sono, a proposito di orari di lavori spropositati, e, allora, sai cosa ti dico? Lo facciamo pagare alla collettività. Ma qualcuno mi sa spiegare perché noi tutti, con le nostre tasse, dobbiamo pagare, per conto del datore di lavoro, uno straordinario che lui esige dal suo datore di lavoro, non pagandolo in modo adeguato ?
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carotenuto. Ne ha facoltà.
DARIO CAROTENUTO(M5S). Grazie, Presidente. Grazie ai colleghi presenti e al Sottosegretario Durigon. Oggi, siamo qui per parlare di una proposta di cambiamento che segnerebbe una svolta storica per il nostro Paese, perché è un cambiamento che pone al centro non il profitto, ma il benessere delle persone. È tempo, colleghi, di rivedere il modello di lavoro, di ridurre il peso che grava sulle spalle dei lavoratori e di abbracciare un'idea diversa di sviluppo sostenibile, umano e collettivo. Questa proposta, questa idea si aggiunge a quella del salario minimo e a quella del reddito di cittadinanza, perché tutte insieme vanno verso questa stessa direzione. Oggi, parliamo della settimana corta come un pezzetto di questo puzzle; una settimana corta che, però, non è, come diceva la collega prima, una riduzione dell'orario di lavoro e, contemporaneamente, una riduzione del salario, ma pretende di mantenere inalterati i salari già bassi, che non si muovono da trent'anni in questo Paese.
I principi da cui partiamo sono semplici, ma al contempo potenti: il benessere del lavoratore, l'equilibrio tra vita e lavoro, la sostenibilità ambientale. Un lavoratore sereno, valorizzato in salute, è un lavoratore più produttivo. E non è la quantità di ore che passiamo al lavoro a misurare il nostro valore, ma la qualità di ciò che facciamo. Se il lavoratore sta meglio, produce di più e produce meglio: questo è un beneficio che si riflette su tutta la collettività.
In questo senso, mi permetto di ricordare alcune parole che hanno attraversato i decenni e, ancora oggi, parlano al nostro cuore e alla nostra mente. Sono queste: “Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci, sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l'un l'altro. In questo mondo, c'è posto per tutti, la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi, la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato”. Sono le parole di un grande uomo, Charlie Chaplin, che dà una prospettiva corretta dell'ordine delle cose. La proposta della settimana corta, come altre, che pure abbiamo presentato, è un invito a ricordare ciò che abbiamo dimenticato, cioè che il lavoro non è solo una necessità economica, ma deve essere fonte di benessere e di realizzazione personale.
La settimana lavorativa corta, in numerosi Paesi e in tante aziende che hanno avuto il coraggio di sperimentarla, ha dimostrato di portare con sé risultati sorprendenti. Molti sono stati citati dai colleghi. Io citerò gli esempi dell'Islanda, della Spagna, del Giappone e della Nuova Zelanda, perché mi hanno colpito di più. Ci mostrano che questa strada è possibile, voi lo sapete bene. Questi esperimenti hanno dimostrato che una riduzione dell'orario di lavoro non solo non danneggia la produttività, ma la migliora, abbattendo lo stress e riducendo l'assenteismo. Sono dati, non l'ideologia o le parti politiche che si contrappongono in un gioco delle parti. Sono fatti, non sono opinioni.
In Islanda, ad esempio, tra il 2015 e il 2019, migliaia di lavoratori hanno visto ridurre la loro settimana lavorativa da 40 a 35/36 ore, senza riduzione dello stipendio. I risultati sono stati miglioramenti significativi nel benessere dei dipendenti: meno stress, maggiore equilibrio tra vita professionale e personale ve, in molti casi, una produttività addirittura superiore. E così la settimana corta è diventata una pratica diffusa nel Paese.
In Spagna, il Governo, nel 2021, ha avviato un progetto pilota per la settimana di 4 giorni, sostenendo le aziende che scelgono di ridurre l'orario di lavoro senza ridurre gli stipendi. Quello che proponiamo noi. Questa iniziativa ha permesso di migliorare la qualità della vita dei dipendenti, stimolando, al contempo, la produttività e riducendo il , un fenomeno, purtroppo, troppo comune nel mondo del lavoro odierno. Lo dicevano alcuni colleghi prima di me.
Microsoft Giappone ha introdotto la settimana corta, riducendola a 4 giorni lavorativi, e ha visto un aumento della produttività addirittura del 40 per cento; allo stesso tempo, ha registrato un calo significativo dei costi operativi, con meno elettricità consumata e meno carta utilizzata.
Anche in Nuova Zelanda, l'azienda Perpetual Guardian ha sperimentato con successo la riduzione dell'orario di lavoro a 32 ore settimanali, ottenendo un miglioramento significativo della produttività e anche loro registrano una forte riduzione dello stress.
Insomma, tutti questi esempi dimostrano che non stiamo parlando di un'utopia. Stiamo parlando di un cambiamento concreto e realizzabile, che può portare enormi benefici non solo ai lavoratori, ma a tutta la società. Una settimana lavorativa più corta significa più tempo per la famiglia, per il volontariato, per la politica, per la cura del sé e per partecipare attivamente alla vita della comunità. Significa anche meno traffico, meno inquinamento e un uso più razionale delle risorse. Significa meno morti sul lavoro, che è un tema che forse ogni tanto dimentichiamo, ma anche oggi, purtroppo, nel nostro Paese tre lavoratori non torneranno a casa.
Eppure, tornando a Chaplin, l'avidità ha avvelenato i nostri cuori e ha precipitato il mondo nell'odio. E troppe volte acconsentiamo che la logica del profitto prevalga su quella dell'umanità e della ragione. Troppe volte sorvoliamo sull'etica. Troppe volte, anzi troppo spesso, la politica fallisce e diventa somma di differenze, e non sintesi. Dobbiamo reagire a questa tendenza che allontana gli elettori. Lo stiamo vedendo anche in queste ore.
Dobbiamo ripensare il nostro modello di sviluppo, rimettendo l'umanità al centro del nostro agire. Purtroppo, nel nostro Paese, troppo spesso queste discussioni rischiano di trasformarsi in battaglie ideologiche, invece di essere affrontate con pragmatismo e visione. Ma, colleghi, dovremmo superare queste divisioni e avere il coraggio di sperimentare quello che hanno fatto negli altri Paesi. Non si tratta di un'imposizione, ma di dare alle realtà lavorative italiane la possibilità di testare e valutare, con dati concreti, se questo modello possa funzionare anche qui. Ecco che proponiamo questa legge che finanzi la sperimentazione della settimana lavorativa corta in Italia, offrendo incentivi alle aziende che volontariamente scelgano di aderire, senza riduzioni di salario per i lavoratori, a questa possibilità. In questo modo, potremmo valutare anche qui da noi, con criteri scientifici e trasparenti, i reali benefici e i costi di questo modello. È una scelta non di parte, ma di visione. È una scelta che mette al centro le persone, la loro qualità della vita, il loro diritto al tempo e alla salute. È una scelta che guarda al futuro, che crede che un benessere diffuso porti a un Paese più forte, coeso e produttivo.
Siamo noi che dovremmo offrire nuovi modelli, nuove visioni, al mondo che cambia, alla tecnologia che ci porta delle rivoluzioni continuamente. Siamo noi che dobbiamo tenere al centro la felicità delle persone, senza perdere magari l'efficienza, ma mettendo tutto sul piano corretto. È per questo che abbiamo fatto questo lavoro di sintesi tra le varie parti politiche e vi invitiamo, quindi, a sostenere questa proposta. Facciamo in modo che il lavoro non sia più solo una necessità, ma una parte di una vita piena e soddisfacente.
Facciamo sì che l'Italia non resti indietro, ma si collochi all'avanguardia delle Nazioni che credono in un futuro più umano, più giusto e più sostenibile. Facciamo della sperimentazione della settimana lavorativa corta un'opportunità per tutti, ma soprattutto cerchiamo di lavorare insieme per un mondo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini un lavoro, ai giovani un futuro e ai vecchi la sicurezza; un mondo in cui la scienza e il progresso siano al servizio del benessere di tutti e non di pochi; un mondo in cui nessuno possa avere molto più del necessario, se, nel frattempo, altri non hanno un tetto, un pasto o peggio.
Qui mi preme, come faccio spesso da quest'Aula, ricordare quello che sta succedendo a Gaza, perché lo trovo assolutamente intollerabile e va denunciato sempre .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il presidente della XI Commissione, deputato Walter Rizzetto: si intende che vi abbia rinunciato.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, Sottosegretario Durigon. Ne ha facoltà.
CLAUDIO DURIGON,. Ringrazio, intanto, per questa discussione, però credo che delle inesattezze siano state dette e credo che sia giusto, in qualche modo, darne spunto, nel senso che il precariato è vero che esiste, ma è vero anche che è diminuito. Sicuramente i numeri non si possono azzerare dall'oggi al domani, ma delle azioni concrete di questo Governo sono evidenti a tutti.
Per quello che riguarda, invece, il concetto dell'orario di lavoro, soprattutto è differente da quello che riguarda il salario minimo. Il salario minimo è un concetto che, se istituito per legge, può sicuramente devastare la contrattazione. Noi, in Italia, abbiamo un problema non da oggi, ma dagli anni Duemila, dove il salario ha sempre avuto un ribasso dovuto non soltanto al minimo, ma anche al mediano. Quindi, un salario fissato per legge potrebbe creare davvero delle discrepanze con la contrattazione collettiva.
Sull'orario di lavoro, invece, convengo che già esiste in talune aziende la possibilità che avvenga, nella contrattazione di secondo livello, un'attività di revisione dell'orario, addirittura abbattendolo con delle attività che sono già inerenti nel contratto stesso. Quindi, anche qui, sulla definizione per legge, credo che, come Governo, ma anche come Parlamento, con il presidente Rizzetto possiamo valutare alcune discussioni vere, ma non obblighi, perché altrimenti sarebbe un problema serio nel valorizzare la stessa contrattazione.
Quindi, do una disponibilità, diamo la disponibilità a capire se ci sono possibilità di vedere una soluzione adeguata, ma senza far perdere il potere della contrattazione e la specificità nei contratti e nei luoghi di lavoro delle aziende stesse, perché questo potrebbe essere un problema serio, poi, che arriverebbe a dare, secondo me, noia e fastidio alla produttività, ma anche al lavoro stesso che devono fare i vari lavoratori. Quindi, su questo possiamo interagire e siamo d'accordo con il presidente Rizzetto di valutare, nel mese di gennaio, alcune soluzioni, alcune proposte, e, quindi, le faremo nel dovuto modo possibile.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sull'ordine dei lavori, la deputata Baldino. Ne ha facoltà.
VITTORIA BALDINO(M5S). Signora Presidente, intervengo per richiedere, a nome del MoVimento 5 Stelle, un'informativa urgente del Ministro Piantedosi, perché venga a riferire di quanto ci ha riportato ieri l'inchiesta di sul naufragio avvenuto la notte tra il 16 e il 17 giugno scorso al largo del Mar Ionio, a Roccella Jonica. Colgo l'occasione anche per ringraziare tutto il giornalismo di inchiesta, che rappresentata davvero il quarto potere nel nostro Paese, e senza di loro, probabilmente, alcuni episodi resterebbero insabbiati, così come sembra essere la volontà di questo Governo.
È un Governo mendace, è un Governo che mistifica, è un Governo che omette e occulta. È quello che sembra sia stato fatto rispetto agli episodi della notte del 17 giugno scorso. Pare - e dico pare, ma spero che il Governo venga a riferire per spiegarci come siano andate le cose - che sia stato messo in atto proprio un sistema finalizzato all'occultamento dei fatti, all'occultamento della verità; una strategia dell'invisibilizzazione di quello che era successo, attraverso lo smistamento dei feriti in diversi ospedali della zona e anche delle salme, con degli accordi per il rimpatrio e il rientro delle salme di cui non abbiamo notizia. Ricordo che in quel naufragio sono morte 65 persone, tra cui 25 bambini.
Ricordo che, come ci ha detto ieri , della difficoltà di quella barca a vela era stata data notizia da parte di un altro velista che si trovava da quelle parti. La barca era già in condizioni precarie di navigabilità, quindi ci sarebbe stato tutto il tempo per i soccorsi, che non sono arrivati. Poi, il resto è una triste storia che ci riporta tanto alla memoria quanto accaduto a Cutro 2 anni fa. Proprio per questo, probabilmente, si è scelto di insabbiare tutto, si è scelto di invisibilizzare tutto, si è scelto di occultare, perché la strategia di questo Governo, quando le cose non gli convengono, è occultare.
Come si vuole occultare il migrante in Albania a spese degli italiani, così si è voluto occultare, probabilmente, una strage, un'altra strage, probabilmente perché non conveniva al Governo fare una figuraccia internazionale, un'altra figuraccia internazionale, dopo quella di Cutro e dopo quella dell'Albania. Quindi, chiediamo al Ministro dell'Interno che venga in Aula a chiarire. Annuncio che abbiamo già depositato un'interrogazione scritta, a prima firma Alfonso Colucci, su questo tema, dove chiediamo che il Ministro venga a riferire per chiarire l'esatta dinamica dei fatti, l'esatta concatenazione degli eventi, della catena dei soccorsi o dei non soccorsi e il motivo per cui anche l'attività di racconto e l'attività dei giornalisti sia stata in qualche modo preclusa, perché hanno denunciato anche questo.
Ai giornalisti non è stato consentito raccontare quello che stava succedendo, e il risultato è che noi non sappiamo nulla, abbiamo solo saputo che c'era stato un naufragio. Mi ricordo che le notizie di stampa davano la notizia, ma di tutto il resto non si è saputo nulla. Molto strano anche, e qui lascio il beneficio del dubbio, che il prefetto che ha gestito quell'episodio sia stato immediatamente promosso ad assessore della giunta regionale calabrese dal presidente Occhiuto. È tutto molto strano, tutto molto fumoso e crediamo che quest'Aula e tutti gli italiani debbano conoscere la verità .
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, il deputato Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU(PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, intervengo a nome del gruppo del Partito Democratico per unirci alla richiesta di informativa urgente del Ministro Piantedosi. Abbiamo visto tutti le immagini che fanno rabbrividire ieri, grazie a grazie al giornalismo d'inchiesta, grazie alla capacità di giornalisti e professionisti che ci hanno posto tutta una serie di domande che sono senza risposta. Il luogo dove avere le risposte è qui, nel Parlamento della Repubblica, dove il Governo deve rispondere, deve spiegare perché si è fatto silenzio su una strage così immensa.
Deve rispondere non solo di questo, ma anche di cosa nasconde questo silenzio, delle azioni oltre la tragedia, delle azioni, anche violente, che sono state rivolte nei confronti di persone che avevano già subito un dramma indicibile e che hanno trovato una risposta che non era la risposta che ci sarebbe dovuta essere per il diritto internazionale, ma anche per la coscienza umana, la coscienza di ciascuno di noi. Da questo punto di vista, è indispensabile che il Ministro venga in quest'Aula, che risponda di tutto ciò che è stato fatto prima, dopo e durante.
Noi lo chiediamo fortemente come gruppo del Partito Democratico, e continueremo, con atti di sindacato ispettivo, con azioni costanti, come abbiamo sempre fatto, a far sì che ci sia la massima attenzione nei confronti di quello che succede intorno ai nostri mari, nelle nostre coste e nel nostro Paese.
Il Parlamento deve essere il luogo dove chi si assume comportamenti di questo tipo ne risponde e, come Partito Democratico, chiediamo al Governo di essere qui al più presto
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, l'onorevole Mari. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MARI(AVS). Presidente, anche Alleanza Verdi e Sinistra si unisce al MoVimento 5 Stelle e al Partito Democratico nel richiedere la presenza qui del Ministro dell'Interno perché riferisca a questa Camera su quello che è accaduto sulle coste della Calabria. Purtroppo, ne siamo venuti a conoscenza, grazie a un'inchiesta giornalistica. Nel caso di Cutro ci è stato possibile essere tempestivi, anche in quel caso però si sono scoperte cose che altrimenti non sarebbero venute alla luce. La situazione questa volta sembra addirittura più grave. Ma, ecco - diciamo così - in questo momento dobbiamo anche mantenere - diciamo così - la calma, perché se le cose stessero così come sono state descritte, beh la cosa, insomma, sarebbe davvero inquietante. Ecco, è per questo, anche per consentire al Parlamento della Repubblica di compiere tutti gli atti conseguenti, tutti gli atti necessari, è assolutamente necessario, indispensabile che il Ministro dell'Interno riferisca alle Camere.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole. Naturalmente riferirò al Presidente delle richieste di informativa urgente giunte dai gruppi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1749-A: Modifiche all'articolo 26 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, n. 136, in materia di proroga dell'applicazione dell'imposta straordinaria calcolata sull'incremento del margine di interesse e di destinazione dei proventi a misure di sostegno in favore dei titolari di mutui per l'acquisto o la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell' al resoconto stenografico della seduta del 23 ottobre 2024 .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Stefano Giovanni Maullu.
STEFANO GIOVANNI MAULLUGrazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sono qui oggi a riferire in merito alla proposta di legge n. 1749-A, d'iniziativa dei deputati Francesco Silvestri e Auriemma, in materia di proroga dell'applicazione dell'imposta straordinaria calcolata sull'incremento del margine di interesse e di destinazione dei proventi a misure di sostegno in favore dei titolari di mutui per l'acquisto o la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione, rispetto alla quale la VI Commissione (Finanze) lo scorso 23 ottobre ha deliberato di riferire in senso contrario. In proposito, tengo a precisare che, nel corso dell'esame in sede referente, sono emerse numerose criticità nella proposta di legge in discussione.
Nel richiamare i contributi degli esperti che hanno preso parte al ciclo di audizioni svolto dalla Commissione, sottolineo che è stato anzitutto rilevato come l'intervento normativo in questione difetti del requisito dell'eccezionalità, richiesto dalla giurisprudenza costituzionale affinché forme di tassazione straordinaria possano ritenersi legittime. Altrettanto discutibile appare, poi, l'introduzione di un'imposizione a scopo vincolato, che non si traduce, tuttavia, in un'iniziativa in grado di fornire un sostegno strutturale a famiglie e imprese, né di far fronte alla situazione certamente non semplice del comparto immobiliare.
Venendo all'illustrazione dei contenuti della proposta di legge, faccio presente che essa consta di un unico articolo che dispone la proroga al 2024 dell'imposta straordinaria sui margini di interesse delle banche operanti nel territorio dello Stato, di cui al citato articolo 26 del decreto-legge n. 104 del 2023.
Vengono poi apportate modifiche al regime applicativo di tale imposta, stabilendo che essa sia determinata applicando un'aliquota pari al 40 per cento sull'ammontare del margine degli interessi ricompresi nella voce 30 del conto economico redatto secondo gli schemi approvati dalla Banca d'Italia relativo all'esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2025 che eccede per almeno il 5 per cento il medesimo margine nell'esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023. Il provvedimento stabilisce, inoltre, che nel 2024 non si applichi il tetto massimo al prelievo previsto per l'anno 2024 e individua i termini di versamento dell'imposta dovuta per tale annualità.
Con riferimento al regime opzionale di versamento dell'imposta straordinaria relativo all'anno 2023 ovvero alla possibilità di sostituire l'imposta con la destinazione a riserva di un importo non inferiore a due volte e mezza l'imposta medesima, si prevede che i soggetti che si avvalgono della facoltà di destinare l'ammontare dovuto a riserva devono versare, entro il 30 giugno 2025, a titolo di imposta sostitutiva, il 10 per cento del valore della riserva non distribuibile.
Per il 2024, invece, si esclude l'applicazione del regime opzionale di destinazione a riserva. Quanto alla destinazione del gettito derivante dall'imposta, esso viene indirizzato al finanziamento di misure di sostegno in favore di soggetti che hanno stipulato un contratto di mutuo per l'acquisto di case di abitazione, purché in determinate condizioni economiche - rilevate ovviamente in base all'ISEE - e per importi non superiori ai 200.000 euro e che abbiano subito la variazione in aumento delle rate mensili in conseguenza dell'aumento dei tassi di interesse.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo: si intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare il deputato Fenu. Ne ha facoltà.
EMILIANO FENU(M5S). La ringrazio, Presidente. Io immagino che lei sappia meglio di me cos'è l'antifrasi, però, per non sbagliare, leggo quella che è la definizione dalla Treccani: l'antifrasi è una figura retorica che consiste nell'esprimersi con termini di significato opposto a ciò che si pensa; lo si può fare o per ironia (ad esempio, “ora viene il bello”) o per eufemismo (“finirà di perseguitarmi questa benedetta iella”). A me Presidente, mi permetto di chiederle se le ricorda qualcosa, perché a me ricorda qualcosa, più di qualcosa in realtà. Ad esempio, mi ricorda come, solo ad aprile di quest'anno, il Ministro Tajani, in occasione del DEF, annunciava che il Governo avrebbe fatto il possibile per portare le pensioni minime a 1.000 euro, invece in legge di bilancio abbiamo visto che l'aumento previsto sarà di 3 euro.
Io, per carità, non è che penso che non si voglia fare il possibile, anzi penso che, se continuiamo così, si raggiungerà il risultato e, quindi, tra 128 anni, facendo il calcolo di 3 euro all'anno, i nostri discendenti potranno avere la pensione minima a 1.000 euro, anche se non so se tra 128 anni ci sarà l'euro, in realtà non so neanche se ci saranno i nostri discendenti, però questo era giusto per farle un esempio di quella che poteva essere un'antifrasi.
Altro esempio, Presidente, è quello della Presidente Meloni che, in un video che ormai conosciamo tutti, girato davanti alla pompa di benzina, quando ancora non era Presidente del Consiglio - una che, a mio modesto parere, meriterebbe di concorrere agli Oscar per la sceneggiatura - ci diceva che le accise erano uno scandalo, e che avrebbe preteso che venissero abolite. Allora, questa forse non è proprio un'antifrasi, ad essere onesti in realtà non è che lei aveva detto che avrebbe abolito le accise, aveva detto che avrebbe preteso che le accise venissero abolite.
Quindi, in realtà, c'è un po' di coerenza e, infatti, il Governo le accise non le ha abolite e, anzi, con l'ultima legge di bilancio le aumenta.
Sulla sanità, ugualmente, la Presidente si chiede - queste sono le sue parole - come si faccia a dire che si stanno facendo tagli alla sanità. E infatti è incredibile: effettivamente, come si fa, che problemi hanno i medici che hanno deciso il 20 novembre di scendere in piazza? Che problemi hanno i 4 milioni e mezzo di italiani che hanno deciso di non curarsi? E che problemi ha la Fondazione GIMBE che, ormai, dice che il Ministero della Salute è un Ministero senza portafoglio? Perché? Proprio perché non è più in grado di spendere.
Quindi, io in qualche modo esprimo la mia solidarietà alla Presidente Meloni e non ci vedo nessuna antifrasi in realtà in questo. Lei dice che non si sono mai spesi così tanti soldi nella sanità, salvo poi andare a leggere e vedere che la percentuale di spesa sanitaria sul PIL, in realtà, sta diminuendo. Però, forse, anche questo non è un esempio molto calzante di antifrasi. Ma parlo e penso anche a quando, dai banchi dell'opposizione, la Presidente del Consiglio Meloni - che allora era sempre all'opposizione -lanciava strali contro l'asservimento alla tecnocrazia europea, salvo poi accettare le regole di prima, forse anche peggiori. Però questo Governo non si è limitato solo ad accettare le regole peggiori di quelle di prima, ma le giustifica anche. La settimana scorsa, in Commissione bilancio, noi abbiamo chiesto al Governo se intendeva attivare una clausola, che è prevista dal Patto di stabilità, per rivedere in senso più favorevole i parametri di bilancio.
Il Governo ci ha spiegato quello che era il calcolo dei parametri, ha giustificato la posizione della Commissione europea e ci ha detto che, anche se questo ricalcolo poteva essere in senso migliorativo, non lo avrebbe fatto. Evidentemente, a noi piace l'austerità, oppure siamo davanti al masochismo macroeconomico.
Però, per evitare di divagare troppo sul tema oggetto della discussione di oggi, a me sinceramente un paio di antifrasi sono venute in mente, pensando al Ministro Giorgetti e al Ministro Salvini, proprio sul tema degli extraprofitti. In particolare, appena una decina di giorni fa, il Ministro Giorgetti diceva che i sacrifici spettano alle banche! E meno di un anno fa, Salvini annunciava un prelievo sugli extraprofitti delle banche, definendola una misura di equità sociale.
Al primo giro, questo prelievo si è trasformato in una richiesta di accantonamento: alle banche si diede la possibilità di scegliere se pagare la tassa o se tenere i soldi nel proprio patrimonio. Presidente, la invito a indovinare cosa hanno scelto le banche. Oggi, invece, Giorgetti ci dice che le banche dovranno sacrificarsi, salvo poi leggere nella legge di bilancio - per chi la vuole leggere - e scoprire che si tratta solo di rinviare di un paio d'anni una deduzione, che verrà interamente recuperata dalle banche tra due anni, nel 2027, quando questo Governo avrà terminato il suo incarico. Questi sono gli esempi, secondo me, più calzanti di antifrasi: ci si esprime con termini, come hanno fatto il Ministro Giorgetti e il Ministro Salvini, di significato opposto a ciò che si pensa e, soprattutto, a ciò che si fa.
Considerando la proposta di legge presentata dal collega Francesco Silvestri, cosa succede, invece, quando arriva qualcuno che si esprime con termini che hanno il medesimo significato di ciò che si pensa? Cosa si fa quando, ad esempio, il MoVimento 5 Stelle presenta una proposta di prelievo sugli extraprofitti delle banche, che prevede realmente un prelievo e che questo sarà destinato ad abbattere le rate dei mutui? Cosa si fa? Cosa fa il Governo? Usa la rimozione, che non è una figura retorica, ma in psicoanalisi è un meccanismo psichico che allontana dalla coscienza desideri, pensieri e residui di memoria considerati inaccettabili e intollerabili dall'io, un meccanismo che allontana le colpe, la cui presenza provocherebbe vergogna.
Nel caso di oggi, nel caso della proposta di legge Francesco Silvestri sul prelievo reale sugli extraprofitti, si tratta di rimuovere. In Commissione finanze è stato, difatti, approvato dalla maggioranza un emendamento che sopprime la proposta di legge dell'opposizione; ciò avviene per la terza volta in Commissione e l'ennesima volta in questo Parlamento. Il Governo rimuove, ossia approva un emendamento soppressivo di una proposta di legge che era coerente con il pensiero di chi l'ha portata avanti, cioè con il nostro pensiero. E questo lo si è fatto per allontanare la colpa di non aver mai approvato una misura di vera tassazione degli extraprofitti bancari; lo si fa perché l'esistenza di una norma di questo tipo provocherebbe vergogna al Governo, la vergogna di un Governo che da due anni prende in giro gli italiani, facendo puntualmente l'esatto opposto di ciò che dice di fare , tanto ci sono i TG che, con un discreto servilismo, provano a coprire tutte le varie prese in giro, le antifrasi .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Congedo. Ne ha facoltà.
SAVERIO CONGEDO(FDI). Grazie, Presidente. Saluto il rappresentante del Governo, il Sottosegretario Albano. La proposta di legge del collega Francesco Silvestri, che abbiamo già esaminato in VI Commissione e che questa Camera è chiamata oggi a discutere, si compone di un solo articolo, come ricordato dal relatore, onorevole Maullu, e mira a prorogare con modifiche l'applicazione dell'imposta straordinaria sugli extraprofitti delle banche, prevista dall'articolo 26 del decreto-legge n. 104 del 2023, varato dal Governo Meloni, modificandone il regime applicativo e prevedendo una diversa destinazione dei proventi delle imposte.
Secondo il proponente, onorevole Silvestri, come peraltro si evince dalla relazione, la tassazione dei cosiddetti extraprofitti bancari, prevista dal decreto-legge n. 104 del 2023, non avrebbe generato alcun effetto positivo in termini di gettito, dal momento che gli istituti di credito si sono avvalsi della facoltà concessa dalla normativa di destinare le imposte dovute al proprio rafforzamento patrimoniale. Di conseguenza, sempre a parere del proponente, persisterebbe la necessità di introdurre misure perequative, al fine di contenere gli effetti del rincaro dei prodotti finanziari in linea. A tal riguardo, giova ricordare che l'articolo 26 del decreto-legge n. 104 del 2023 ha istituito un'imposta straordinaria per l'anno 2023 sui margini di interesse, cosiddetti extraprofitti, delle banche operanti nel territorio dello Stato e ha disciplinato anche le modalità di versamento, dando alle imprese bancarie - come peraltro ricordava il collega Fenu - la possibilità, in luogo del versamento dell'imposta, di destinare un determinato importo, non inferiore a due volte e mezzo l'imposta calcolata , ad una riserva non distribuibile. Qualora tale riserva sia utilizzata per la distribuzione di utili, l'imposta è versata all'erario con una maggiorazione parametrata agli interessi maturati. Questo è il provvedimento del Governo di Giorgia Meloni.
La proposta di legge Silvestri, invece, dispone che, in considerazione del perdurare degli effetti economici conseguenti all'aumento dei tassi di interesse bancari, l'imposta straordinaria sugli extraprofitti delle banche sia estesa al 2024, modificando quindi la disciplina del decreto-legge n. 104 del 2023, prevedendo in particolare: le modalità di determinazione dell'imposta per il 2024 e i relativi termini di versamento, con esclusione nell'anno di riferimento dell'applicazione del tetto massimo al prelievo; l'introduzione, anche per i soggetti che nel 2023 si sono avvalsi della facoltà di destinare l'ammontare dell'imposta a riserva, di un'imposta sostitutiva pari al 10 per cento del valore della riserva non distribuibile, e questo con effetto retroattivo; l'esclusione del predetto regime opzionale per il 2024; una diversa destinazione del gettito dell'imposta straordinaria, che verrebbe indirizzato ad un apposito contributo da erogare ai soggetti che hanno stipulato un contratto di mutuo per l'acquisto di case e di abitazioni, purché versino in determinate condizioni economiche e per importi non superiori a 200.000 euro, e che abbiano subìto un aumento della rata mensile in conseguenza dei tassi d'interesse.
Ciò premesso, è incontrovertibile che il sistema bancario italiano abbia, negli ultimi anni, conseguito margini superiori rispetto agli anni precedenti, così come è altrettanto incontrovertibile che, a partire dal 2023, si sia registrata una diminuzione dei prestiti bancari a favore di imprese e famiglie. Ciò dipende in buona parte dall'incremento dei costi dei prestiti a seguito del rialzo dei tassi ufficiali della BCE, che continua a trasmettersi al costo del credito. Tuttavia, la diminuzione dei prestiti bancari a imprese e famiglie in Italia è ben più marcata rispetto ad altri importanti Paesi europei, come Germania e Francia, anche considerando che le banche italiane hanno registrato profitti ben superiori rispetto a Germania e Francia. Questo è un dato oggettivo e Fratelli d'Italia ha sempre sostenuto che debba essere affrontato, ma , senza alcuna crociata di carattere ideologico a fini punitivi e senza alcuna rimozione - mi riferisco, suo tramite, al collega Fenu - perché gli effetti negativi di un'impostazione di questo tipo sarebbero enormi per la nostra economia. A quel punto, sì, che ci sarebbe veramente da vergognarsi!
La stragrande maggioranza delle banche italiane ha deciso di destinare a riserva gli extraprofitti. Si tratta di un aumento delle riserve delle banche italiane pari a circa 57 miliardi: questa, però, è una nostra proiezione sulla base dei dati delle prime 6 banche italiane. Un ammontare così importante di nuove riserve bancarie ha consentito o, perlomeno, avrebbe dovuto consentire, grazie al cosiddetto moltiplicatore dei depositi, di erogare crediti per un multiplo di tali somme. Inoltre, l'aumento delle riserve bancarie dovrebbe determinare anche un aumento dei ricavi in termini di interessi attivi del sistema bancario, delle banche, proprio grazie all'aumento dei prestiti, e, conseguentemente, un aumento delle entrate fiscali per lo Stato. A ciò si aggiunga che l'aumento dei prestiti a famiglie e imprese, derivante dalla patrimonializzazione dell'importo accantonato, potrebbe avere effetti positivi anche sul nostro prodotto interno lordo.
Le imprese, ad esempio, grazie all'aumento dei prestiti bancari, potranno effettuare nuovi investimenti a beneficio del PIL nazionale. Infine, non possiamo trascurare i benefici in termini di rafforzamento patrimoniale del sistema bancario italiano. A tal riguardo, la Banca centrale europea, nell'aggiornamento della classifica delle banche europee più solide, secondo i requisiti di capitale individuali fissati dalla vigilanza BCE, ha posizionato le banche italiane fra le primissime in termini di solidità-rischiosità. Si tratta di un dato molto rassicurante per il nostro sistema bancario italiano, anche considerando il peggioramento dello scenario economico europeo, con l'Eurozona in forte rallentamento economico, la Germania in piena recessione e le incognite relative allo scenario geopolitico.
A tal proposito, non si può non sottolineare o non si può non ricordare, con un certo interesse e, direi, anche con una certa soddisfazione, la capacità di un istituto bancario italiano di scalarne uno tedesco. Ovviamente, mi riferisco all'acquisizione di quote significative del capitale di Commerzbank, secondo istituto di credito tedesco, da parte di UniCredit. Il senso della misura varata, invece, dal Governo Meloni nel 2023, sostenuta dalla maggioranza e da Fratelli d'Italia, è quello di far rientrare i cosiddetti extraprofitti delle banche, generati proprio dal rialzo dei tassi di interesse, nell'economia italiana a favore di imprese e famiglie.
Come? Attraverso l'aumento del credito a famiglie e imprese per i prossimi anni, grazie al moltiplicatore dei depositi, all'aumento delle entrate fiscali, grazie alle tasse che le banche pagheranno per i maggiori ricavi derivanti dall'aumento dei prestiti, grazie anche alla possibilità di generare effetti positivi sul PIL con l'espansione del credito. Obiettivi in contrasto con l'impostazione della proposta di legge del collega di cui discutiamo oggi, che, se fosse approvata, farebbe completamente fallire, vanificando il senso stesso del provvedimento.
A tutto questo si aggiunga che la manovra di bilancio che il Parlamento si appresta ad esaminare nelle prossime ore, oltre alle misure a favore di famiglie e imprese, prevede un significativo intervento su banche e assicurazioni. Un contributo che dovrebbe garantire un gettito atteso di 4 miliardi dalle banche e un miliardo dalle assicurazioni, con riflessi anche nell'anno successivo, cioè per il 2026. Non si tratta quindi di nuove tasse, non è un'impostazione di carattere punitivo, ma direi innovativo. Su questo il Presidente Meloni è stato chiaro: questo Governo non metterà mai le mani nelle tasche degli italiani.
Si tratta del posticipo di deduzione fiscale e di un anticipo dell'imposta di bollo da parte delle assicurazioni. Si tratta, infatti, di un contributo - il Ministro Giorgetti lo ha chiamato sacrificio, ma è un contributo - chiesto al sistema bancario, che, voglio ricordare, svolge un'importante funzione, rivestendo un ruolo preminente nel finanziamento delle imprese e nel sostegno all'economia reale.
Apro una parentesi: su questo fronte si può e si deve fare di più, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. Questo va detto perché su questo una riflessione si impone ed è questa la posizione di Fratelli d'Italia, che chiede una riflessione proprio sulla possibilità di allargare le maglie del credito in alcune zone del territorio. A questo aggiungo, senza dimenticare, che le banche sono aziende che fanno parte del nostro tessuto economico e che contribuiscono, come tali, al nostro PIL nazionale.
Per queste ragioni, che ho tentato di riassumere in questa discussione generale, il giudizio di Fratelli d'Italia, peraltro già espresso in VI Commissione su questa proposta di legge d'iniziativa del collega del MoVimento 5 Stelle, onorevole Francesco Silvestri, è negativo .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU(PD-IDP). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, intervengo a nome del gruppo del Partito Democratico su questa proposta di legge. Farlo, dopo avere sentito un intervento della maggioranza, mi consente di collegare questa nostra discussione a tante discussioni che abbiamo avuto in quest'Aula, ogni qualvolta viene presentata dall'opposizione una proposta di legge che affronta uno di quei temi che appaiono nel dibattito politico in maniera carsica. Ci troviamo spesso pagine e pagine di giornali che se ne occupano, salvo poi sparire completamente nel momento in cui arriviamo in Aula.
Il Parlamento diventa il luogo dove non se ne può parlare, dove non si può affrontare una discussione anche franca, anche vera. Noi siamo un po' stanchi di vedere sempre e solo emendamenti soppressivi delle nostre proposte, vorremmo capire cosa pensa effettivamente la maggioranza. Questa è una proposta avanzata dal MoVimento 5 Stelle, a prima firma Francesco Silvestri, ma ci sono state tante proposte anche presentate dal Partito Democratico, da Alleanza Verdi e Sinistra, dalle altre forze di opposizione, e noi ci ritroviamo sempre a non poterne nemmeno discutere.
La montagna del dibattito pubblico sugli extraprofitti, o profitti extra, sulla necessità di intervenire nei confronti del contributo che anche le banche possono offrire alla costruzione di un equilibrio complessivo delle finanze dello Stato ha partorito un topolino, il topolino di una partita di giro da circa 4 miliardi in cui, è vero, è stato ricordato, ci sono questi 4 miliardi, ma sono un prestito temporaneo, mentre il tema che affronta questa proposta, e che va affrontato, è quello dei benefici esterni, dovuti a fattori esterni come l'inflazione. Questa proposta di legge va in una direzione: quella di destinare a chi è stato colpito dall'inflazione parte almeno dei benefici che vengono generati.
Ci sono anche degli elementi oggettivi che avrebbero giustificato la richiesta di un contributo effettivo, concreto, come tenere conto, ad esempio, dei 300 miliardi che sono stati messi a disposizione durante la pandemia per garantire i crediti del settore bancario, per escludere ogni tipo di rischio. Si sarebbe potuto e dovuto fare una discussione di merito su questo tema e si sarebbe dovuto trovare una soluzione, anche parlamentare. Invece no, andiamo in un'altra direzione, ancora una volta non ci sarà un confronto, noi rappresenteremo le nostre posizioni. E in quale direzione andremo?
Andremo nella direzione di continuare, in quest'Aula, a negare quello che avviene nella realtà fuori da quest'Aula, perché questo è il problema, care colleghe e cari colleghi che state seguendo i lavori di questa mattina. Abbiamo sentito, anche adesso, dire che questo Governo non metterà le mani nelle tasche degli italiani, ma non so quante volte voi abbiate modo di confrontarvi, anche fuori da quest'Aula, con gli italiani e le italiane. Non so se sapete che cosa pensa la Federazione dei giornalisti dell'ampliamento della e di quelle che saranno le conseguenze o se sapete quali sono le conseguenze della tassazione per chi ha investito nelle criptovalute o altri tipi di interventi.
Al di là dell'aumento di alcuni elementi di prelievo nei confronti di alcune categorie e di alcuni soggetti, il vero problema è che servirebbe andare nella direzione di invertire questo processo per cui questo Governo è sempre forte con i deboli e debole con i forti, di andare in una direzione che va verso una manovra che tenga conto di questi aspetti, perché voi state andando nella direzione opposta. Quando date qualcosa, anche qualcosa di misero - l'esempio più drammatico sono i soli 3 euro di aumento alle pensioni minime -, fate un po' come faceva lo sceriffo di Nottingham in quel celebre cartone animato che ha segnato la nostra generazione, quando dà la carità a un povero cieco, lancia una moneta e ne riprende tre. È questo l'effetto che voi state mettendo in campo, e lo state mettendo trasversalmente.
Per non decidere a chi chiedere, per non decidere dove mettere, fate degli interventi che poi, alla fine, che conseguenza hanno nella vita delle persone? Che aumenta il costo di tutto, tranne il proprio salario, che aumenta per quella piccola componente che non consente nemmeno di coprire le spese precedenti. Questo sta generando conseguenze drammatiche in quei settori che state distruggendo - penso alla sanità, ai trasporti, alla scuola -, sta creando conseguenze drammatiche per quello che è l'effetto concreto nei confronti degli investimenti che, grazie ai Governi precedenti, grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza, voi vi trovate nell'occasione di portare avanti.
Ma non si tratta semplicemente di tagliare i nastri degli asili nido, di tagliare i nastri degli interventi nei trasporti; si tratta anche, poi, di dotare il sistema Paese di quelle risorse che servono ad aprire quegli asili nido, ad aprire quelle stazioni, a consentire a quei mezzi elettrici che arriveranno nelle nostre città di essere messi in campo. Se invece voi, al tempo stesso, tagliate sui servizi, tagliate sugli enti locali, che sono in prima linea, tagliate su tutto quello su cui potete tagliare, anche quel poco in più che date in tasca alle persone è una parte infinitesimale di quanto in più le persone spenderanno.
Peraltro, su un tema così importante, in un momento così difficile, come quello che stiamo attraversando, non siete nemmeno capaci di aprire una serena discussione su quello che può e deve essere il meritorio ruolo che anche il sistema bancario deve svolgere nell'ambito di questo riequilibrio complessivo che ci deve essere nel Paese. Le conseguenze sociali di questo vostro atteggiamento politico sono devastanti. Il compito dell'opposizione è di mettere in campo proposte per costringervi, in una sede parlamentare, ad affrontare questi temi. Poi arrivate con le vostre idee, arrivate con i vostri spunti, dite qualcosa di diverso.
Sul trasporto pubblico locale, per tanto tempo, vi abbiamo chiesto di usare, almeno in parte, i fondi dei sussidi ambientalmente dannosi per finanziarlo; se non volete utilizzare questo, utilizzate l'aumento del gettito IVA dei costi del carburante, che è un'entrata automatica. Ma se non vi vanno bene le nostre proposte, trovate altre risorse, ma la conseguenza non può essere distruggere il trasporto pubblico locale e, contemporaneamente, avere contro questa manovra tutte le oltre 900 imprese del trasporto pubblico locale e tutti i sindacati - CGIL, CISL, UIL, FAISA CISAL e UGL -, che sciopereranno l'8 novembre per il rinnovo e la sicurezza del contratto per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Ho fatto l'esempio dei trasporti, ma vale anche per gli altri interventi.
Ecco, ripetete spesso che la coperta è corta, ma la coperta è corta perché avete scelto che sia così corta e perché la sbrindellate attraverso provvedimenti di cui nutrite la vostra propaganda sulla pelle delle persone più fragili, come abbiamo visto con le drammatiche immagini dell'Albania e come vediamo ogni giorno. Quindi, questa poteva essere un'occasione per cucire una parte più ampia di questa coperta e per coprire alcuni dei problemi che abbiamo nel Paese; poteva essere l'occasione per dare una risposta alle cittadine e ai cittadini che guardano al Parlamento, aspettandosi che non sia solo il luogo del rinvio, che non sia solo il luogo del “sissignore” nei confronti dell'azione del Governo, ma che sia il luogo dove quella discussione sociale, che anima le nostre città, trova una sede per cercare di offrire risposte. Votando in questa maniera e presentando l'ennesimo emendamento soppressivo, perdete l'ennesima occasione per dare una risposta a chi segue i lavori di questo Parlamento e si aspetta che si occupi dei loro problemi quotidiani .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Silvestri. Ne ha facoltà.
FRANCESCO SILVESTRI(M5S). Grazie, Presidente. Credo che il tema degli extraprofitti sia la cosa che fin dall'inizio ha messo in difficoltà il Governo e che sia una delle cose per la quale il Governo si è incredibilmente aggrovigliato su se stesso, in una serie di proposte e negazioni del principio degli extraprofitti, che andrò adesso ad esporre. Facciamo un breve riassunto di quello che è successo.
Il tema degli extraprofitti scoppia, perché, nel 2023, le banche - a seguito purtroppo di una politica scellerata della BCE - hanno cominciato ad aumentare le rate dei mutui a tasso variabile, all'inizio, del 30/40 per cento. Era il 15 marzo 2023. Il MoVimento 5 Stelle, che è sempre attento ai fenomeni sociali e economici e, quindi, alle speculazioni finanziarie, da subito, ha esposto la problematica ed è venuto in Parlamento con una sua proposta, per risolverla.
Correva l'anno 2023. Era il 15 marzo. Il tema degli extraprofitti era appena scoppiato, nonostante tante famiglie già denunciassero che non riuscivano ad arrivare a fine mese. Durante un memorabile - proprio il 15 marzo -, il MoVimento 5 Stelle veniva in Aula, presentando la proposta sugli extraprofitti alla Premier Meloni, che, in quel momento, era seduta sullo scranno del Presidente del Consiglio. Il MoVimento spiegò tutta la situazione, quello che ogni cittadino, al mio posto o al posto del collega Fenu, avrebbe saputo spiegare: un tema di facile comprensione.
Benissimo. Il Premier Meloni si è alzato - la Premier Meloni, anzi - dicendo: “Eh, ma il problema è il superbonus”, negando completamente la questione degli extraprofitti bancari e dell'aumento delle rate dei mutui. Il problema per il Premier Meloni era il superbonus. Poi, cosa è successo? Con un fuso orario di circa sei mesi, la Premier Meloni ha capito che la questione sui mutui era un tema sociale enorme e ha deciso, in un qualche modo, di cavalcarlo politicamente. Meloni, alla conferenza stampa sulla legge di bilancio del 2023, dice testualmente che la misura più importante approvata nella scorsa legge di bilancio è quella che riguarda “la tassazione dei margini ingiusti delle banche”.
Allora, pochi minuti fa, abbiamo sentito la maggioranza, o meglio Fratelli d'Italia, rinnegare questo concetto; ossia la maggioranza parlamentare di Fratelli d'Italia rinnega la Meloni del 2023, perché ci hanno descritto banche che sono assolutamente inserite nel nostro tessuto economico, sociale e finanziario e che fanno impresa, che fanno utili e che, quindi, non vanno disturbate su questo, a cui, al massimo, va chiesto un anticipo sulle tasse che dovevano, ma proprio al massimo, anche a fronte di 40 miliardi di utili! Però, non è la stessa versione della Meloni del 2023. Quindi, non ho capito: questi Fratelli d'Italia cambiano assolutamente principi e valori, da un anno all'altro, in base a come si sveglia la Premier. Comunque, andiamo avanti.
La Premier parlava di tassazione dei margini ingiusti che le banche stavano facendo. Continuava, poi, in questa sua narrazione, così: stiamo vivendo una fase economica complicata e abbiamo deciso di intervenire, introducendo una tassazione del 40 per cento sulla differenza ingiusta del margine di interesse. Aumentando le riserve, dice la Meloni, aumenterà il credito erogato ai cittadini. Per lo Stato è un'operazione .
Ora, non c'è stata una cosa vera fra queste, per un semplice motivo. La Meloni che ha fatto? Ha preso la nostra proposta, la proposta del MoVimento 5 Stelle, para para, e l'ha resa facoltativa. Ha detto alle banche: guardate, potete fare quello che chiede il MoVimento 5 Stelle, quindi versare le tasse su un margine che avete fatto sugli extraprofitti bancari - riconoscendo non solo il principio degli extraprofitti, ma anche il fatto che fossero interessi ingiusti - oppure potete prenderli e metterli nel patrimonio. Presidente, sarebbe come se io Stato venissi da lei e dicessi: guardi, faccia una cosa: le tasse che ci deve, scelga di darle allo Stato o di versarle nel conto in banca. Lei che farebbe, Presidente? Secondo me, se le verserebbe nel conto in banca.
Ed è così che hanno fatto le banche. Tant'è vero che, quando abbiamo chiamato il Ministro Giorgetti, gli abbiamo chiesto: ma questa operazione , per lo Stato quanto è stata ? È stata più o è stata più ? Poi, gli abbiamo chiesto: ma quante tasse hanno versato le banche? Un Ministro dell'Economia si è alzato in piedi, in un - vi prego di andare a rivedere i virgolettati e i video - e ha detto che lo Stato ha incassato zero.
Dice, vabbè, sarà dall'altra parte, perché la Meloni ci ha anche detto che sarebbero aumentate le erogazioni dei mutui. Quindi, se non è di qua, sicuramente la Meloni avrà previsto che sarà andata da quest'altra parte. Peccato che l'erogazione sia continuata a calare e, ad agosto, secondo i dati Bankitalia, si è registrato un meno 3,5 per cento di credito erogato dalle banche alle imprese. Non è che non è aumentato, è diminuito!
Quindi, dopo un anno e mezzo, non abbiamo capito cosa abbia fatto il Governo Meloni sugli extraprofitti, se non inseguire il MoVimento 5 Stelle, che aveva avuto solamente il valore di capire cosa stava succedendo e di presentare una proposta. Questa proposta è stata sostenuta da tantissime famiglie che volevano che si aprisse un fondo per vedersi restituire, almeno una parte, quegli extraprofitti, che le banche hanno fatto sulla loro pelle! E così non è successo.
Subito dopo, nel 2024 - grazie proprio al MoVimento 5 Stelle che non ha mollato mai questo tema, che in ogni seduta parlamentare e in ogni TV lo ha tirato fuori - il Governo Meloni è rimasto nell'imbarazzo, si è riaperta un'altra volta la questione degli extraprofitti. A questo punto il Governo è entrato nel panico totale, perché abbiamo avuto il Ministro Giorgetti che ci dice che non è corretto parlare di extraprofitti, che gli extraprofitti non esistono. Questa è stata anche la dichiarazione di Salvini a Pontida, dove dice: io ho parlato di banche, perché l'anno scorso hanno avuto 40 miliardi di utili, che equivalgono a tre manovre finanziarie, e, purtroppo, le banche non sono un'impresa come le altre, non sono come gli imprenditori che mettono i propri capitali e rischiano, invece le banche rischiano, ma sono garantite dallo Stato; allora, bisognerà chiedere a qualcuno di aumentare proprio l'elemento della tassazione. Ha rinnegato completamente quello che aveva detto il suo Ministro dell'Economia.
Quindi, riassumendo, il Governo Meloni nel 2023 non aveva capito il disagio sociale e pensava che fosse legato al superbonus. Dopo sei mesi lo ha capito, ha fatto una tassa sugli extraprofitti e ha dato la possibilità alle banche di ingrassare il proprio patrimonio. Lo Stato ha ricevuto zero, le imprese hanno diminuito la loro capacità di avere mutui e fondi a loro vantaggio. Dopo un anno abbiamo avuto un Ministro dell'Economia che nega il concetto degli extraprofitti, che poi è strano, perché la tassa sugli extraprofitti, se pur sbagliata, l'aveva firmata l'anno prima; quindi, con una mano ha firmato una tassa sugli extraprofitti che non ha portato a nulla, ma ha riconosciuto il principio, l'altro anno, invece, ha detto che gli extraprofitti non esistono. Dopo il Ministro Salvini ha continuato a fare propaganda su questo tema.
Sta di fatto che, in tutto questo ginepraio, chi ha pagato per due anni, tre anni, una rata maggiorata del 70-80 per cento non ha visto un euro, non ha visto un aiuto, è stato completamente abbandonato dallo Stato, con la conseguenza che, se andate a vedere il mercato delle aste delle case, stanno aumentando a dismisura, perché le persone che stanno perdendo casa o i capannoni di impresa, stanno aumentando a dismisura. Quindi, quelle imprese citate dal Ministro Salvini non sono state aiutate di una virgola, non c'è nessuno che ha visto mezzo euro rispetto a questo.
Oggi avete fatto un'altra delle misure più inefficaci della storia, perché siete riusciti ad andare dalle banche e dire: va bene, noi continuiamo a non disturbare voi, noi continuiamo a tassare famiglie, continuiamo a tassare imprese, continuiamo a prendere i soldi dai pensionati, continuiamo a prendere i soldi dalla sanità, dall'istruzione, mandiamo a casa 300.000 operatori nell'ambito del cinema. Va bene, care banche, noi continuiamo a fare questo, continuiamo a prendere ordini da voi.
Però, la Premier Meloni si è posta un problema, un problema di immagine. Ha detto: fateci fare un minimo di bella figura. Quindi, la Premier Meloni è venuta qui in Aula a dire: non vi preoccupate, perché - rispondendo proprio al presidente Conte - vedrete che sugli extraprofitti alle banche faremo una misura che non era mai stata fatta prima. Ora, sul fatto che non era mai stata fatta prima non c'è dubbio, ma c'è una ragione, perché chiedere alle banche di fatto un prestito non è quello che questo Paese si aspettava, non era la misura che chiedeva il MoVimento 5 Stelle, non erano le misure che chiedevano le famiglie tartassate dalle banche.
Allora, è continuata questa presa in giro. Sono due anni che continuate a non prendere in considerazione l'unica vera soluzione, che non è lasciare alle banche la possibilità di ingrassare il proprio patrimonio, che non è chiedere un prestito alle banche, perché, poi, dal 2027 saremo peggio di prima, ma è quella di fare una tassazione vera sugli extraprofitti che esistono. Lo sanno bene le famiglie, che esistono ; è normale che non lo sappia il Ministro dell'Economia, è normale che non lo sappia la Premier Meloni, ma quanto lo sanno le famiglie va considerato. Allora, l'unica vera soluzione, l'unica vera proposta seria l'ha fatta il MoVimento 5 Stelle; l'avete bocciata in Commissione, avete preso in giro per due anni tutte queste famiglie, avete lasciato che tante case andassero all'asta perché i lavoratori non riuscivano più a sostenere questa economia familiare e adesso pretendete che questa legge si fermi qui.
Allora vi do una notizia: questa legge non si fermerà qui, noi chiederemo, continueremo a chiedere che si calendarizzi; questa legge - piaccia alla maggioranza o non piaccia alla maggioranza - arriverà a gennaio in quest'Aula e voi dovrete bocciare l'unica vera soluzione, l'unica vera legge sugli extraprofitti; dovrete venire in quest'Aula, guardarci in faccia, parlare e dirci, a fronte di due anni di prese in giro, che la nostra legge che apre un fondo per restituire parte di questi interessi alle famiglie tartassate non va bene; non va bene, che sono meglio le vostre soluzioni, è meglio chiedergli un prestito, è meglio ingrassare il loro patrimonio, ma ce lo dovete venire a dire qui. Non ci sarà un momento in cui non continueremo a fare questa battaglia, perché è una battaglia di civiltà, perché anche la Corte costituzionale, quando ha dovuto esaminare il provvedimento sugli extraprofitti fatti dalle società energetiche, ha detto che, in momenti di contingenza come questo, è giusto fare una tassazione straordinaria, l'ha detto anche la Corte costituzionale.
Quindi, non ci sarà un angolo di questo Paese in cui voi potrete scappare rispetto a questa proposta del MoVimento 5 Stelle, perché noi lo dobbiamo a quelle tante famiglie che incontriamo per strada e ci dicono: “io non reggo più, io non arrivo più a fine mese”; lo dobbiamo a quegli imprenditori che non riescono più ad arrivare a stipendiare e a pagare i propri dipendenti e devono scegliere se pagare una banca o pagare il dipendente e questo è vergognoso. Non ci sarà una televisione in cui non andremo a dire costantemente cosa state facendo e che legge state rifiutando; non ci sarà una piazza, non ci sarà una radio, non ci sarà uno scranno di questo Parlamento da cui non lo faremo. Noi sulla tassa degli extraprofitti vi rincorreremo in ogni angolo di questo Paese, di Parlamento e di città, perché la verità deve emergere, perché non si prendono in giro le famiglie, perché si può essere d'accordo o non d'accordo con una misura, ma non si fa quello che si è fatto in questi anni, cercando di appellarsi alla speranza di chi è in difficoltà, cavalcare quella speranza per prendere qualche voto per le europee e poi voltargli le spalle.
Questo è un atteggiamento ingiusto e la caparbietà del MoVimento 5 Stelle, su questo tema e su altri, l'avete conosciuta, la state conoscendo e la conoscerete. Quindi, vi assicuro che questa legge a gennaio arriverà, nonostante in Commissione stiate facendo di tutto per non farla arrivare. Vi potrete inventare ogni stratagemma parlamentare, rimandarla in Commissione, riverificare, vedere le coperture; potrete fare tutte le stupidaggini che avete fatto sia con il salario minimo, sia con tutte le altre soluzioni che vi abbiamo portato, ma più allungherete questo risultato - votare tasto rosso rispetto all'aiuto di famiglie e imprese per favorire le banche, che è il momento a cui vogliamo arrivare - più continueremo a insistere.
Quindi, Presidente, chiudo dicendo questo: questa legge di bilancio sta aprendo gli occhi a medici, a Forze dell'ordine, alle famiglie, al sistema sanitario, a tanti cittadini. Non è ultima la protesta con riferimento a quello che state facendo sul proprio rispetto alle Forze dell'ordine, a cui dite, quando andate in TV, che li sosterrete, che è brutto che i manifestanti se la prendano con le Forze dell'ordine. Sempre dalla parte delle Forze dell'ordine, sempre con una narrazione estremamente dura: poi, però, che cosa fate? Gli negate il , i presidi territoriali diminuiscono, i reati aumentano e con voi le città sono più insicure e così vale per ogni singolo tema.
Quindi, la narrazione sta crollando. Voi adesso potete continuare ad attaccarvi fra di voi per creare tutto quel tema mediatico che non ci permette di parlare dei problemi reali del Paese, ma non potrete impedirci, fisicamente o politicamente, di venire in quest'Aula a portare la vera realtà e fare in modo che, per una volta, voi, su un tema come questo, ci mettiate la faccia, invece di scappare .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Stefano Giovanni Maullu.
STEFANO GIOVANNI MAULLUPresidente, credo che sia stata una disamina piuttosto interessante di ciò che riguarda il nostro Paese, per quanto concerne l'aiuto al credito alle imprese, ma più in generale al sistema produttivo.
Questo è un provvedimento che non tocca gli elementi essenziali della crisi immobiliare, non tocca in alcuna maniera gli elementi essenziali che riguardano l'aiuto alle imprese. È un provvedimento che la Commissione ha deciso di bocciare, credo con elementi di grande responsabilità. Con questi elementi, io credo che il parere vada proprio nella direzione che la Commissione ha dato, ossia un parere negativo rispetto anche all'ultimo intervento che ho ascoltato.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, che rinunzia.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
1.
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano. (C. 2038-A)
: DONDI e MATONE, per la II Commissione; DE PALMA e TESTA, per la VI Commissione.