CLAUDIA MANNINO, legge il processo verbale della seduta del 25 luglio 2014.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Balduzzi, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Fedriga, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Merlo, Mogherini, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Velo, Vignali, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2486-A: Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.
Ricordo che nella seduta del 2 luglio 2014 sono state respinte le questioni pregiudiziali Matteo Bragantini ed altri n. 1, Colletti ed altri n. 2 e Brunetta e Palese n. 3.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Prima di procedere allo svolgimento della sua relazione, ha chiesto di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Emanuele Fiano, per una precisazione. Prego, onorevole Fiano.
EMANUELE FIANO, . Signor Presidente, informo l'Assemblea che nella predisposizione dell'Allegato al resoconto della seduta della I Commissione del 25 luglio 2014 e dello stampato n. 2486-A, contenente il testo del disegno di legge, con le modificazioni apportate dalla Commissione in sede referente, sono intervenuti due errori materiali riguardanti il contenuto degli emendamenti 13.02 del relatore e Taranto 28.21, testo riformulato, approvati dalla Commissione.
Il testo dello stampato n. 2486-A deve essere pertanto così rettificato. Alle pagine 187 e 189, all'articolo 13-, comma 1, del decreto-legge, nel testo modificato dalla Commissione, gli ultimi due periodi del capoverso 7- devono intendersi sostituiti dai seguenti: «Gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell'anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l'importo del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo. Le quote parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero prive del predetto accertamento, costituiscono economie. Il presente comma non si applica al personale con qualifica dirigenziale».
A pagina 283, all'articolo 28 del decreto-legge, nel testo modificato dalla Commissione, il comma 1 deve intendersi sostituito dal seguente: «Nelle more del riordino del sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, l'importo del diritto annuale di cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, come determinato per l'anno 2014, è ridotto, per l'anno 2015, del 35 per cento, per l'anno 2016, del 40 per cento e, a decorrere dall'anno 2017, del 50 per cento».
Corrispondenti correzioni devono essere apportate nell'Allegato al disegno di legge, rispettivamente alle pagine 89 e 111 dello stampato. Chiedo, pertanto, alla Presidenza di disporre la pubblicazione di queste correzioni in un foglio di da allegare allo stampato. Un corrispondente avviso di verrà pubblicato nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni.
PRESIDENTE. Onorevole Fiano, prendo atto di tale precisazione e il testo dell’ sarà posto in distribuzione.
Onorevole Fiano, a questo punto ha facoltà di intervenire per la relazione.
EMANUELE FIANO, . Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, Massimo Severo Giannini, uno dei maggiori studiosi di diritto amministrativo, così definiva le amministrazioni pubbliche: «(...) sono una delle cose più imperfette che esistano per la loro essenziale contraddizione: sono spaventose di potenza e insieme inermi, sopraffanno ma si lasciano puerilmente gabbare, hanno ricchezze immense e vivono lesinando, sono concepite secondo ordine ma vivono in disordine. In questo è il dramma dello Stato contemporaneo».
I principali Paesi, sin dall'immediato dopoguerra e nel corso degli ultimi decenni del Novecento, hanno affrontato il nodo della riforma amministrativa e lo hanno risolto con il concorso convinto e la guida consapevole della politica, come ci ricorda lo storico della pubblica amministrazione, e anche nostro ex collega, Guido Melis. L'Italia, invece, è ferma: inefficienze, sacche di privilegi e problemi strutturali che non si è mai avuto il coraggio di affrontare in modo serio hanno messo un freno all'incredibile potenziale del nostro Paese.
Lo Stato, inteso come macchina amministrativa, è percepito come una zavorra, un peso, una macchina generatrice di ostacoli e burocrazia per i cittadini, e che non valorizza neppure le tantissime persone valide che oggi lavorano nella nostra pubblica amministrazione.
Per la politica è arrivato, dunque, secondo noi, il momento di tornare a svolgere un ruolo nell'ambito delle dell'amministrazione pubblica, quel ruolo che fino ad ora è mancato e che è stato distorto dall'ignoranza, da parte della politica, dei fattori strutturali della questione amministrativa italiana, dei suoi sviluppi storici, delle sue dimensioni di lungo periodo, dalla tendenza a ridurre il problema a quelle che potremmo definire solo come politiche del personale, con sistematica ignoranza degli altri snodi, quali quelli dell'organizzazione, della produttività dei servizi, del rapporto con il cittadino e della strumentalità delle scelte rispetto a obiettivi, di volta in volta, clientelari, elettoralistici, comunque contingenti.
La crisi economica impone, in termini non più rinviabili, una maggiore efficienza ed efficacia della macchina dello Stato, e questa riforma può essere la chiave di volta per la trasformazione del nostro Paese. Il decreto-legge, la cui conversione è oggi all'esame dell'Aula, è il primo tassello della grande riforma della pubblica amministrazione, contenente le norme più urgenti, e quindi immediatamente applicabili, che consentiranno di ripristinare il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato.
A completare il pacchetto, il Parlamento si occuperà del disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri il 10 luglio di quest'anno. Si tratta di un cambio radicale di mentalità, che investirà il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino. La nostra ambizione, l'ambizione del Governo e della maggioranza, è quella di mettere la parola «fine», per esempio, alle giornate intere perse a fare la fila agli sportelli pubblici. Non vorremmo più che il cittadino o l'impresa debbano rincorrere la pubblica amministrazione, ma vorremmo, invece, viceversa, che sia la pubblica amministrazione ad entrare nella vita del cittadino, e lo strumento per questa semplice, ma non banale, rivoluzione sta nel ripensare tutti i procedimenti amministrativi nell'era digitale.
Nell'era dei cosiddetti «nativi digitali», ovvero della generazione che considera la tecnologia come un elemento naturale, è impensabile non intervenire, quindi, in quest'epoca, con forti investimenti per colmare il divario tra la società e la pubblica amministrazione, ancora legata alla necessità fisica di recarsi allo sportello o agli sportelli per certificati, documenti e carte varie. Infatti, l'altro punto debole dell'organizzazione del nostro Stato è la duplicazione, sovrapposizione, l'esistenza di enti creati spesso più per esigenze che non sono quelle del servizio al cittadino.
Questo gigante della burocrazia deve essere ridimensionato; non più, però, con il ricorso ai tagli lineari, che, negli anni precedenti, hanno colpito indiscriminatamente ciò che funzionava e ciò che non funzionava, ma avendo ben chiari gli obiettivi di riorganizzazione.
Occorre un'operazione di ripulitura, di snellimento, delle strutture organizzative esistenti al fine di farle coincidere con le funzioni effettivamente svolte, concentrando materie e poteri di intervento, eliminando duplicazioni ed invasioni di campo, limitando al massimo i casi di convergenza sugli stessi terreni. Chiaramente una riforma della pubblica amministrazione non può prescindere da una riforma delle regole per il personale e la dirigenza pubblica, la staffetta generazionale, la mobilità, per far sì che ci sia personale laddove ce ne sia bisogno, la responsabilizzazione della dirigenza amministrativa.
L'altro problema, l'altro nodo, che si è inteso affrontare con questo provvedimento è quello della corruzione. Il decreto e la sua conversione intervengono con misure urgenti per quello che riguarda l'Autorità nazionale anticorruzione. Il contesto è quello che oggi ha messo in primo piano alcune vicende, purtroppo, che avremmo voluto di chiara fama per altra motivi, come Expo 2015 o come il Mose, ma che hanno evidenziato come, ancora una volta, gli effetti del fenomeno della corruzione nel sistema degli appalti pubblici siano estesi, profondi e radicati.
Tali vicende hanno messo in luce numerose situazioni dove l'uso spropositato di deroghe alle procedure previste dalla normativa dei contratti pubblici è divenuta oggi molto complessa e farraginosa. È per questo che le norme che sono scritte qui in questo decreto, nella sua conversione, noi abbiamo fiducia, modificheranno la capacità dello Stato di intervenire in questo che è uno dei mali fondamentale del nostro Paese. Anche per questa ragione è giunto il momento di ripensare le norme che regolano il sistema e che si sono stratificate nel corso degli anni creando un quadro complesso e, talvolta, troppo rigido.
A chiudere il cerchio c’è la necessità di rendere efficiente la giustizia amministrativa e civile. Nel suo discorso programmatico alle Camere, il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ne ha fatto un punto qualificante del Governo – certezza del diritto, celerità dei processi, impiego delle tecnologie telematiche – per tornare ad attrarre investimenti. Queste sono le idee che questo provvedimento si impegna a realizzare per consentire di rimuovere una parte degli ostacoli alla crescita del Paese. Una pubblica amministrazione più efficiente genera impatti rilevanti sullo sviluppo economico del Paese, perché una amministrazione moderna, al passo con i tempi, costituisce il fulcro del rilancio del Paese, la condizione essenziale ed irrinunciabile perché l'Italia cambi strada e ricominci a crescere.
Passando all'esame del contenuto del decreto-legge, l'articolo 1 comma 1, reca disposizioni per favorire il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e abroga tutte le disposizioni che disciplinano l'istituto del trattenimento in servizio.
Il comma 2 detta la disciplina transitoria. Il comma 3 prevede una deroga a tale revoca per il personale delle varie magistrature che, per garantire la funzionalità degli uffici giudiziari, possono infatti essere trattenuti in servizio fino al 31 dicembre 2015, o, se di data anteriore, fino alla data di scadenza.
La Commissione in sede referente ha precisato che si tratta dei trattamenti in servizio, pur se ancora non disposti, dei magistrati e non anche degli avvocati dello Stato come previsto dal testo originario, che al momento dell'entrata in vigore del decreto ne abbiano i requisiti di legge. È stato introdotto in sede referente il comma 3- in base al quale i trattenimenti in servizio del personale della scuola sono fatti salvi fino al 31 agosto 2014, o, se prevista, in data anteriore fino alla loro scadenza.
Il nuovo comma 3- contiene una clausola di adeguamento specifica per i magistrati amministrativi a cui si applica la speciale disciplina prevista per le province autonome di Trento e Bolzano.
È stato abolito in sede referente il comma 4 che prevedeva che, fino alla data del 31 dicembre 2015, può essere trattenuto in servizio il personale militare collocato in ausiliaria che sia stato richiamato in servizio ai sensi degli articoli specifici del codice dell'ordinamento militare. Il comma 5, dell'articolo 1, amplia l'ambito applicativo dell'istituto della risoluzione unilaterale del contratto da parte della pubblica amministrazione nei confronti dei dipendenti che abbiano maturato i requisiti pensionistici. Per effetto delle modifiche introdotte in sede referente è stato, infatti, previsto che l'istituto non può trovare comunque applicazione prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dar luogo ad una riduzione percentuale del trattamento pensionistico per effetto del pensionamento anticipato a 62 anni e che la pubblica amministrazione ha l'obbligo di motivare, con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati, escludendo che possa derivarne un pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi.
Per quanto concerne l'ambito applicativo dell'istituto, per i dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, compresi i responsabili di struttura complessa, nonché per i professori e i ricercatori universitari, la risoluzione non può comunque avvenire prima del compimento del 65o anno di età. L'istituto non si applica al personale di magistratura.
L'articolo 1-, introdotto in sede referente, prevede che le disposizioni previgenti alla riforma pensionistica del 2011 in materia di requisiti di accesso al sistema previdenziale continuino ad applicarsi anche al personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011-2012, secondo quanto disposto dall'articolo 59, comma 9, della legge n. 449 del 1997. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal 1o settembre 2014, nel limite massimo di 4 mila soggetti e nei limiti di 35 milioni di euro per il 2014, 105 milioni di euro per il 2015, 101 milioni di euro per il 2016, 94 milioni di euro per il 2017 e 81 milioni di euro per il 2018.
È, inoltre, prevista la possibilità per le lavoratrici della scuola, che entro l'anno scolastico 2011-2012 abbiano maturato i requisiti per il pensionamento, ai sensi delle disposizioni vigenti prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, e che abbiano optato successivamente per la liquidazione del trattamento pensionistico secondo le regole di calcolo del sistema contributivo, di chiedere il ricalcolo del trattamento a loro erogato sulla base del sistema di calcolo retributivo per il periodo fino al 31 dicembre 2011 e con il sistema contributivo a decorrere dal 1o gennaio 2012. È questa la norma più nota nel dibattito pubblico come «quota 96», della quale tutto il Parlamento penso vada molto orgoglioso.
L'articolo 2 disciplina la procedura per l'attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi ai magistrati da parte del CSM e introduce misure dirette a favorire la conclusione dell'iter. La Commissione ha introdotto nuove disposizioni rispetto a quest'articolo: ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica di attuazione della legge sul CSM, portando da due ad un anno il periodo che deve trascorrere dalla cessazione di componente del Consiglio superiore della magistratura, prima che il magistrato possa essere nominato ad ufficio direttivo o semidirettivo diverso da quello eventualmente ricoperto prima dell'elezione, o nuovamente collocato fuori del ruolo organico; ha prorogato dal 15 luglio al 15 ottobre di quest'anno il termine per l'adozione dei regolamenti di riorganizzazione dei ministeri.
L'articolo 3 contiene nuove disposizioni in materia di nelle pubbliche amministrazioni. Un giorno poi scopriremo perché non si possa tradurre «» in italiano, ma questo è lasciato alla nota fantasia e capacità lessicale del presidente.
In particolare, si rimodulano le limitazioni al per determinate amministrazioni dello Stato (ed altri enti) per il periodo 2014-2018. In particolare, per quanto riguarda il criterio basato sui risparmi di spesa legati alla cessazione dell'anno precedente, vengono confermati i limiti attuali con la specificazione che la base di calcolo è costituita dal solo personale di ruolo.
Per quanto concerne le regioni e gli enti locali sottoposti al Patto di stabilità interno, tra l'altro, si ampliano le facoltà assunzionali per gli enti virtuosi e si prevede l'estensione della disciplina, già valevole per le amministrazioni statali, in base alla quale l'autorizzazione di nuove procedure concorsuali è subordinata alla previa verifica dell'avvenuta immissione in servizio nella stessa amministrazione di tutti i vincitori di concorsi pubblici collocati nelle proprie graduatorie vigenti per assunzioni a tempo indeterminato.
Si autorizza in questo articolo il Ministero della difesa nell'anno 2014 ad assumere, anche in presenza di posizioni soprannumerarie, i 24 vincitori del concorso per assistente tecnico del settore motoristico e meccanico. Viene aumentato di 1.030 unità la dotazione organica della qualifica di vigile del fuoco e conseguentemente è autorizzata l'assunzione di 1.030 nuove unità. Si autorizza lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi delle forze di polizia indetti per il 2013 per l'immissione in ruolo, in deroga all'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare, al fine di incrementare i servizi di prevenzione e di controllo del territorio connessi a Expo 2015. Mi si permetta qui una nota personale: questo è l'esito non completamente favorevole, che non riesce ad accontentare le tante richieste che abbiamo avuto di deroga sullo scorrimento delle graduatorie, ma che da molto tempo, da diversi anni, diversi parlamentari ricercano come deroga all'attuale funzionamento dei concorsi. Se posso permettermi, mi auguro che il Ministro possa in futuro ragionare sulla quantità di idonei che si determinano nei concorsi pubblici.
Anche per il corpo di polizia penitenziaria, sempre in questo articolo, le assunzioni di cui al comma 3-, relative a Expo Milano 2015, sono disposte con i fondi delle autorizzazioni alle assunzioni delle forze di polizia previsti dalla legge di stabilità 2014.
Vado correndo, signor Presidente, perché il provvedimento...
PRESIDENTE. Questo è lodevole, onorevole Fiano, perché il numero degli articoli è importante e, vista la quantità degli iscritti a parlare su questo punto e sugli altri punti successivi, la Presidenza apprezza molto il dono della sintesi.
EMANUELE FIANO, . Ovviamente poi lei consentirà che io consegni agli uffici il testo della mia relazione perché sia pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. Questo la Presidenza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, lo consente con gioia.
EMANUELE FIANO, . Vorrei citare qui solo alcuni articoli, prima della fine.
L'articolo 10 abolisce l'attribuzione ai segretari comunali e provinciali delle quote loro spettanti dei diritti di segreteria e del diritto di rogito, che vengono così acquisiti ai bilanci degli enti locali. Però, nel corso dell'esame in sede referente, gli effetti dell'abolizione sono stati modificati e attenuati per i segretari che non hanno qualifica dirigenziale e per quelli che prestano la loro opera presso enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale. Una quota dei diritti di segreteria spettanti ai comuni è comunque attribuita ai predetti segretari quale diritto di rogito in misura non superiore ad un quinto dello stipendio.
Vorrei poi, scorrendo il testo e l'articolato, citare l'articolo 13, che è stato modificato nel corso dell'esame in sede referente e che prevede l'abrogazione degli incentivi per la progettazione che attualmente vengono corrisposti dalle amministrazioni aggiudicatrici al personale dipendente. Tale disposizione, così come modificata, amplia ulteriormente quella contenuta nel testo iniziale del decreto-legge. In merito al contenuto proprio dei commi 5 e 6 dell'articolo 13, essi dispongono il riparto di una somma non superiore al 2 per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano di sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori e del 30 per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione, comunque denominato, tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto (comma 6).
L'articolo 13- introduce nel codice dei contratti pubblici una nuova disciplina degli incentivi alla progettazione, soppressi nel precedente articolo 13. Quindi, le risorse, che continuano ad essere pari, al massimo, al 2 per cento vengono fatte confluire in un fondo, denominato Fondo per la progettazione e l'innovazione. Il 20 per cento, di tale Fondo è destinato all'acquisto, da parte dell'ente, di beni, strumentazioni e tecnologie funzionali ai progetti di innovazione, alle banche dati per il controllo, all'ammodernamento e all'efficientamento dell'ente. Ovviamente, nella consegna del testo, il tutto risulterà più chiaro.
Vorrei poi venire, signor Presidente, alla lettura di quanto previsto all'articolo 19, che è stato integrato e riguarda i compiti e le funzioni dell'Autorità nazionale anticorruzione: articolo che noi consideriamo decisivo nell'assunzione di poteri e di compiti da parte di questa Autorità, non solo per l'evenienza specifica della vicenda di Expo, alla quale peraltro il dispositivo dà uno specifico compito.
Vengo poi all'articolo 23, quello che interviene con disposizioni in materia di città metropolitane, province ed enti locali. Viene disciplinato il subentro della regione Lombardia nella partecipazione azionaria detenuta dalle province di Milano e di Monza e Brianza nelle società che operano in relazione ad infrastrutture connesse ad Expo 2015 e i successivi passaggi finalizzati al ritrasferimento delle medesime partecipazioni alla città metropolitana di Milano. Guardo la mia nume tutelare su questo articolo. L'articolo interviene anche sulla disciplina della costituzione degli organi della provincia in sede di prima applicazione e per il caso delle province commissariate. Ma non posso qui dilungarmi sul contenuto di questo articolo, che pure, secondo me, è decisivo in questo dispositivo di legge di conversione del decreto.
Vorrei, infine, venire alla seconda parte del provvedimento, saltando elementi essenziali, ma che saranno riportati nella relazione in calce al resoconto. L'articolo 28, su cui ho chiesto al Presidente prima di accettare una correzione di errore materiale, è quello che disciplina e dimezzava nel testo originario il diritto annuale delle camere di commercio. Secondo le modifiche approvate in Commissione lo si riduce con un criterio di gradualità in tre anni: il 35 per cento della base 2014 nel 2015, il 40 per cento nel 2016 e il 50 per cento a decorrere dal 2017.
Scorrendo ancora il provvedimento, l'articolo 32 è quello decisivo per la formulazione dell'organizzazione delle attività di prevenzione della corruzione, che spetterà all'Autorità nazionale anticorruzione e detta una serie di misure per la gestione delle imprese aggiudicatrici che rientreranno in quei crismi.
Siccome so di dover andare verso la conclusione, vengo all'ultima parte del provvedimento: l'articolo 40 reca disposizioni volte ad accelerare i giudizi amministrativi in materia di appalti pubblici, come riferivo nella prima parte della relazione, obiettivo condiviso della maggioranza ed ovviamente del Governo.
L'articolo 41 introduce misure per il contrasto all'abuso del processo, modificando il codice del processo amministrativo, altro elemento cardine particolarmente identificativo della linea d'indirizzo del complesso di questo provvedimento.
L'articolo 42 prevede che determinate disposizioni siano da applicarsi nel processo amministrativo e, quindi, qui noi stiamo effettuando una serie di modifiche all'attuazione ed allo sviluppo dei processi, che vanno nella direzione che ho indicato prima.
Infine, l'articolo 50-, che è introdotto dalla Commissione, prevede che, in favore degli ammessi ad un periodo di formazione presso gli uffici giudiziari, in base all'articolo 73 del decreto-legge n. 69 del 2013, sia attribuita una borsa di studio in misura non superiore a 400 euro mensili.
Ho concluso, Presidente: abbiamo cercato, nel lavoro di Commissione – vorrei dirlo ringraziando tutti i colleghi – di compiere il compito che ci eravamo proposti e, cioè, quindi di correggere e di migliorare, ove possibile, ascoltando anche le istanze che ci giungevano dal territorio e dalle categorie interessate da questo provvedimento e da tutti i nostri colleghi di Commissione, ognuno di loro particolarmente esperto in ognuna delle parti di questo provvedimento; abbiamo cercato di renderlo un testo ancora più efficace, più legato alla realtà contestuale nella quale si calava e più capace di portare quelle modifiche che il Governo si proponeva.
Voglio ringraziare, oltre ai colleghi della Commissione ed al presidente della Commissione, anche tutti gli uffici che a questo lavoro hanno collaborato, con ore di lavoro lunghissime – un lavoro non semplice, un provvedimento molto articolato e molto complesso – e penso che possiamo offrire al dibattito parlamentare un testo significativamente migliorato e che coglie gli aspetti che già il decreto del Governo intendeva cogliere .
PRESIDENTE. Non essendo presente il relatore di minoranza, do la parola al rappresentante del Governo, se intende intervenire. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritta a parlare l'onorevole Gasparini. Ne ha facoltà.
DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Signor Presidente, il decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 24 giugno approda alla discussione di quest'Aula notevolmente modificato. La stessa Ministra Madia ha dichiarato che è stato migliorato dal lavoro in Commissione e dalla paziente mediazione del relatore e della stessa Ministra, nonché del sottosegretario, che è qua presente. Un lavoro di squadra, in cui anche le minoranze si sono sentite coinvolte ed hanno portato il loro contributo.
Con i suoi 54 articoli, questo decreto è l'inizio del più complesso disegno di riforma della pubblica amministrazione, che continueremo ad affrontare e definire con un disegno di legge già depositato al Senato e che mi auguro si possa approvare al più presto, perché serve come consolidamento, verifica e messa a punto delle scelte anticipate da questo decreto.
Lo sappiamo tutti che senza una pubblica amministrazione moderna ed efficiente non riusciremo ad essere competitivi sui mercati, non riusciremo ad attrarre capitali di investimento, non riusciremo ad uscire dalla crisi, non riusciremo, soprattutto, a riconquistare la fiducia dei cittadini.
Oggi il dibattito politico-mediatico è concentrato sulla riforma del Senato, ma ritengo che l'impresa più difficile sia proprio la riforma della pubblica amministrazione: richiede una forte volontà, la continuità nell'impegno ed un tempo utile per realizzarla.
La riforma della pubblica amministrazione, assieme alla «legge Delrio», sono le riforme che cambieranno radicalmente il rapporto tra cittadini ed istituzioni, perché i risultati saranno misurati ogni giorno.
Se tra mille giorni sarà più facile avere un permesso per ristrutturare casa o pagare le tasse, se sarà più trasparente il bilancio della pubblica amministrazione, se sarà superata la frammentazione delle competenze, se per le imprese non ci sarà un extra costo determinato dalla burocrazia improduttiva, se i cittadini potranno sapere con trasparenza chi fa che cosa e quanto costa, allora avremo vinto la sfida.
Se fallissimo, sarebbe un grave danno per il Paese e soprattutto metteremmo a rischio la speranza nel cambiamento che, con il voto al Partito Democratico e al Governo Renzi, i cittadini ci hanno consegnato, con il voto alle europee. Infatti, i fallimenti fin qui registrati sono stati dovuti soprattutto alla mancanza di volontà politica e per una concezione dell'amministrazione al servizio del potere e non delle istituzioni. E anche perché la pubblica amministrazione è stata un luogo per dare lavoro e nel sud è stata il calmiere della disoccupazione. Voglio ricordare un pezzo che mi è sembrato interessante in questa breve storia della nostra Italia. Nel 1928, il Ministro del tesoro, De Stefani, che aveva la delega alle riforme, finì i propri lavori e li presentò a Benito Mussolini il quale, dopo aver ascoltato le proposte, rispose: «Caro De Stefani, le vostre proposte farebbero diminuire l'assorbimento degli impieghi di Stato, dei diplomati e dei laureati del Mezzogiorno, con danno del suo proletariato in colletto bianco e cravatta; si deve adottare la politica del massimo numero di posti nella burocrazia dello Stato se non vogliamo tirarci addosso un'insurrezione, quella della fame degli intellettuali, la più difficile a placarsi». Il fu cancellato e non c’è neanche più una copia.
Questa idea della pubblica amministrazione ha attraversato quasi tutto il Novecento ed è stata condivisa anche da molti Governi repubblicani. Per questo, sono fallite tutta una serie di riforme, come la riforma Lucifredi del 1953 e la riforma Giannini del 1980, che fu portata in Parlamento, ma mai fu approvata. Solo nel 1992-1993, con la riforma Amato-Cassese, si comincia a parlare di razionalizzazione della pubblica amministrazione e si introduce il concetto di distinzione tra politica e amministrazione. Ma è nell'anno 1993 che le cose cambiano con la crisi dei partiti e il problema di contenere la spesa e, da questo punto di vista, frutto della crisi dei partiti storici, l'elezione diretta dei sindaci. E in quel momento sullo scenario nazionale irrompono nuovi soggetti politici che, avendo una responsabilità diretta con i cittadini, chiedono il cambiamento dell'organizzazione dello Stato. Organizzazione che viene modificata con le leggi Bassanini e con il Titolo V della Costituzione che riconosce il ruolo degli enti locali e supera la Costituzione precedente, riconoscendo che non c’è più un rapporto gerarchico tra Stato, regioni ed enti locali. Un fatto importante che, però, ha anche determinato una frammentazione nelle scelte. Tuttavia, proprio perché la riforma costituzionale non è stata poi applicata come avrebbe dovuto, sia nella parte attuativa dei ruoli, ma anche nella parte economica e fiscale, ciò ha determinato una confusione e un rallentamento della pubblica amministrazione.
La scelta fatta dal Governo Renzi e dalla maggioranza di mettere in fila coerentemente la riforma del Titolo V, la riforma della pubblica amministrazione e la riforma degli enti locali è una scelta strategica e coerente per affrontare seriamente la riorganizzazione del sistema Italia. Con questo decreto-legge, si anticipano, dunque, alcune scelte che dovranno essere messe a punto e arricchite con il disegno di legge che andremo a discutere, come mi auguro, a partire da settembre. E dopo le audizioni svolte e gli incontri tenuti in queste settimane, mi sono convinta che occorra continuare il confronto con le diverse organizzazioni che rappresentano il complesso mondo della pubblica amministrazione perché si ricerchino insieme le strade migliori per consolidare la riforma avviata. In particolare, ritengo che occorra meglio definire il ruolo della dirigenza pubblica, superare il ruolo formale dei segretari comunali per garantire, però, alla pubblica amministrazione figure apicali con capacità manageriale; rivedere il sistema delle aziende pubbliche; riorganizzare le funzioni delle camere di commercio senza perdere quella collaborazione tra pubblico e imprese private che ha sostenuto l'economia in questi anni. Tutti temi che potranno trovare nel confronto dei prossimi mesi e nell'approvazione del disegno di legge una risposta avanzata e coerente con i sei pilastri della riforma che il Ministro ha più volte sottolineato e che mi sembra giusto citare di nuovo: semplificare l'amministrazione, il suo linguaggio e la sua azione; garantire la trasparenza con azioni concrete; riportare le persone e le loro competenze al centro dell'azione amministrativa; dirigenti pubblici protagonisti della riforma; conciliazione dei tempi di vita e pari opportunità ai ruoli di vertice; utilizzo efficiente del denaro dei cittadini. Una sfida che non si vince soltanto, approvando leggi di riforma qui a Roma, ma si vince se gli 8.057 sindaci, gli 8.057 consigli comunali e i 3 milioni 400 mila lavoratori pubblici faranno di queste riforme l'occasione per una grande stagione costituente delle autonomie locali.
Concludo con un'osservazione da vecchia femminista: dopo tanti maschietti che hanno affrontato il tema delle riforme dell'organizzazione dello Stato, adesso si stanno cimentando tre donne, Marianna Madia, Maria Elena Boschi e Maria Lanzetta. Quello delle riforme è anche un grande cambiamento culturale e richiede il coraggio di cambiare il punto di vista, il coraggio delle donne .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Silvia Giordano. Ne ha facoltà.
SILVIA GIORDANO. Signor Presidente, finalmente dopo tante ore di lavoro in Commissione affari costituzionali sul decreto, siamo qui, in Aula, a poterne parlare e discutere forse con un po’ più di tempo e un po’ più di calma. Ci siamo armati di tutto lo spirito collaborativo che abbiamo, che il MoVimento 5 Stelle ha, e abbiamo cercato di migliorare il decreto in ogni singolo emendamento che abbiamo presentato.
Che dire ? Parlo di quegli articoli che erano principalmente di pertinenza della Commissione affari sociali e in materia di sanità. Avete presente negli incontri scuola-famiglia, quando andavano i genitori e gli insegnanti puntualmente dicevano: è intelligente ma non si applica abbastanza ? Più o meno è il principio che può valere anche per questo decreto per quanto riguarda la posizione del MoVimento 5 Stelle e la nostra Commissione. Ora, vi spiego perché. I principi sono buoni, sono condivisibili, li appoggiamo. Purtroppo però non appoggiamo in pieno il modo con cui sono stati portati avanti e il modo con cui sono stati applicati. Ci è sembrato un lavoro fatto a metà. Non siamo riusciti a vedere un'applicazione chiara di quei principi che noi condividiamo. Abbiamo degli esempi. In particolare, all'articolo 1, comma 5, del decreto si parla della risoluzione unilaterale da parte della pubblica amministrazione per i dirigenti, anche i dirigenti medici. Tuttavia, se lo si legge insieme all'articolo 3, in esso non è previsto per i dirigenti medici lo sblocco del . Mi spiego meglio. Sempre l'articolo 1, comma 5, consente alle ASL di mandare in pensione i dirigenti medici delle strutture sanitarie complesse che abbiano maturato i requisiti al 1o gennaio 2012. Secondo una stima della CGIL si tratterebbe di circa 7 mila medici. Appare di tutta evidenza che, se non si prevede una forma di superamento del in questo caso il venire meno di 7 mila dirigenti medici potrebbe creare conseguenze pesanti per il Servizio sanitario nazionale. Sulla base di questo assunto, noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo presentato un emendamento che intende consentire la deroga al blocco del nel caso che questo provochi l'impossibilità di mantenere i livelli essenziali di assistenza. In tal senso è previsto un accertamento da parte del comitato permanente per la verifica delle erogazioni dei livelli essenziali di assistenza. Tale deroga al blocco del l'avevamo proposta anche per le regioni sottoposte al piano di rientro. Purtroppo, però, il nostro emendamento, che è di semplice buonsenso, finalizzato a non far venir meno i livelli essenziali di assistenza è stato bocciato da maggioranza e Governo.
Un altro esempio sui principi – buoni, ma carente è l'applicazione – è l'articolo 11. In particolare, l'articolo 11, comma 3, recita: «Per la dirigenza regionale e la dirigenza professionale, tecnica e amministrativa degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, il limite dei posti di dotazione organica attribuibili tramite assunzioni a tempo determinato (...) può raggiungere il livello massimo del 10 per cento». Una domanda che abbiamo posto anche in Commissione: perché al 10 per cento ?
Il decreto-legge Balduzzi, che è il decreto-legge n. 158 del 2012, articolo 25-, prevede già la possibilità di contratti a tempo determinato nei limiti del 2 per cento per funzioni di particolare rilevanza, al comma 1; mentre il comma 2 prevede incarichi nel limite del 5 per cento. In entrambi i casi le percentuali sono diverse e comunque inferiori a quelle previste dall'articolo 11 del decreto sulla pubblica amministrazione. Ora, come mai tale aumento per la nomina dei dirigenti medici ? Ma l'aspetto più interessante dell'articolo 11, comma 1, lettera è il fatto che prevede la modifica dell'articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. In particolare, prevede che «la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato». E poi, continuando a leggere l'articolo, «fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica». Su questa previa selezione pubblica, noi da inesperti della politica, abbiamo fatto una serie di domande in Commissione. In realtà, abbiamo notato che in tutta la Commissione affari costituzionali si è aperto abbastanza il dibattito su questa «previa selezione pubblica», e abbiamo chiesto chiaramente: che cosa vuol dire ? In realtà, vuol dire tutto e niente, tanto che noi, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo presentato un emendamento che diceva che questa nomina avvenisse con procedura concorsuale, un emendamento a prima firma Ciprini.
Da lì ci sono state una serie di spiegazioni: ci hanno detto che i requisiti per la selezione pubblica erano chiari ed erano dettati dallo stesso articolo 110 del decreto legislativo n. 162, del 18 agosto 2000, altri invece dicevano che non c'era, in questo decreto-legge, e che lo stavano inserendo proprio con il decreto-legge sulla pubblica amministrazione; in pratica, dopo quasi un'ora di discussione in Commissione affari costituzionali, comunque non è stato chiaro dove erano questi requisiti e che cosa volesse dire, chiaramente, quell'espressione «previa selezione pubblica».
Allora, io mi chiedo: visto che noi stiamo cercando di fare un decreto-legge sulla pubblica amministrazione volto a snellire la pubblica amministrazione stessa, per quale motivo non dobbiamo fare una norma chiara e ben definita, soprattutto sulle nomine dei dirigenti ? Perché non dire in modo chiaro quali sono i requisiti per la «previa selezione pubblica» ? Perché non chiarire cosa vuol dire esattamente, proprio in italiano, «previa selezione pubblica» ? Ecco, questi, ad esempio, sono proprio alcuni di quei dubbi, di quei punti critici che abbiamo ritrovato nel decreto sulla pubblica amministrazione, che sembrano piccoli, ma in realtà sono fondamentali. Infatti, in Italia, purtroppo vediamo – un po’ per sbaglio della politica, un po’ per la mentalità che ormai la politica ci ha abituato ad avere – il clientelismo ovunque, il sistema clientelare ovunque.
Ora, abbiamo la possibilità di riscattarci, abbiamo la possibilità di far vedere che stiamo cambiando: perché non iniziare proprio dal decreto in esame ? Perché non iniziare chiarendo – anche se forse ci sono o forse non ci sono decreti che parlano già dei requisiti e quant'altro – perché non fare un reale riferimento normativo, se c’è già un decreto che parla di criteri in tal senso, o perché non mettere proprio per scritto quali sono e che cosa vuol dire «previa selezione pubblica» ? Evidentemente il pensiero di continuare il sistema clientelare fa piacere, certe volte.
Passiamo all'articolo 25. In particolare, l'articolo 25, comma 1, integra le commissioni mediche locali costituite presso le unità sanitarie locali in tutti i capoluoghi di provincia. Queste hanno il compito di accertare i requisiti psichici e fisici nei casi di revisione e rinnovo della patente di guida richiesta da mutilati e minorati fisici per minorazioni anatomiche e funzionali di arti o colonne vertebrali. Le citate commissioni vengono integrate con un rappresentante designato dalle associazioni di persone con invalidità, che sia esperto in materia.
Ora, al riguardo, noi vi vogliamo far notare ancora meglio la confusione che lamentavamo, perché l'articolo 25, comma 1, recita: «dopo le parole: “laurea in ingegneria” sono inserite le seguenti: “, nonché da un rappresentante designato delle Associazioni di persone con invalidità esperto in materia. La partecipazione del rappresentante di queste ultime è comunque a titolo gratuito”». Grazie a un emendamento – e questo si deve dire – proposto da un partito di maggioranza, dal PD, e appoggiato anche da noi, tanto che lo avevamo proposto simile, abbiamo almeno un poco aiutato a chiarire questa norma, inserendo che i rappresentanti delle associazioni devono essere scelti anche dalla persona affetta da malattia e sottoposta, in questo caso, al controllo. Ma perché non chiarirla ancora di più ? Il MoVimento 5 Stelle ha presentato più di una decina di emendamenti per capire che cosa voglia dire «esperto in materia», per capire ogni quanto tempo debba cambiare o se sia prevista una turnazione del rappresentante scelto dalle associazioni.
Infatti, è vero che quell'emendamento è approvato e che il rappresentante lo sceglie il soggetto, però dovete capire che, se ad esempio, in una determinata malattia o una determinata disabilità, il disabile sceglie un soggetto, poi un altro disabile sceglie lo stesso soggetto e quant'altro, ci sono determinate regioni dove il clientelismo – e io, purtroppo, vengo da una di quelle regioni, come la regione Campania – è così forte che ti spingono, volontariamente o involontariamente a scegliere sempre quello stesso rappresentante. Allora, che cosa costava dire che dopo sei mesi doveva cambiare il rappresentante delle associazioni e sceglierne un altro ? Siamo sempre lì: perché non far vedere che vogliamo realmente eliminare ogni tipo di favoritismo o clientelismo in questi ambiti ? Ma va bene, lasciamo stare: anche questi emendamenti sono stati bocciati sia dalla maggioranza che dal Governo.
Oltretutto, all'articolo 25, avevamo proposto due emendamenti volti a modificare sia il piano ordinario di verifica dei falsi invalidi, sia il piano straordinario. Per quanto riguarda il piano ordinario, abbiamo proposto di modificare la composizione delle commissioni mediche delle ASL, prevedendo che queste siano integrate da due medici INPS, e non da uno, come è attualmente previsto. Inoltre, abbiamo proposto che, qualora il giudizio fosse unanime, la persona disabile non dovesse subire ulteriori verifiche, mentre nel caso di giudizio non unanime e qualora il giudizio non unanime provenga dai medici INPS, venisse sospeso l'invio del verbale al disabile e il responsabile medico legale dell'INPS potesse, in termini certi, o validare il verbale o richiedere una nuova visita: anche questo è stato bocciato.
Ma, in particolare, la nostra lotta, che stiamo portando avanti da tempo – e ringrazio in questo caso la mia collega, Giulia Di Vita – è sul Piano straordinario 2013-2015 sui falsi invalidi, un piano straordinario che tra un anno, quindi, terminerà, ma che non ha portato alcun beneficio reale, infatti noi ne chiediamo la soppressione. In particolare, vi spiego.
Il Governo prosegue nella sua personalissima battaglia contro le truffe dei falsi invalidi all'INPS, ma, finora, i risultati e, soprattutto gli utili recuperati – dice lo stesso INPS – sono stati a dir poco ridicoli. Lo stesso commissario straordinario dell'INPS, Vittorio Conti, intervenendo recentemente di fronte alla Commissione parlamentare di vigilanza sugli enti previdenziali ha, però, a dir poco ridimensionato la portata del Piano e le aspettative, fin troppo entusiastiche, del Governo: «Non contate troppo sulle pensioni di invalidità e neppure sulla possibilità di legare l'assegno di accompagnamento al reddito. In entrambi i casi, i risparmi sarebbero marginali, per non dire virtuali». I motivi sono i seguenti.
Dal 2008 al 2013, su impulso del Parlamento, l'INPS ha effettuato campagne straordinarie di controllo serrato su quasi un milione di posizioni, più di un terzo degli assegnatari, riuscendo a giustificare la revoca di quasi 100 mila prestazioni, cioè uno su otto. Non tutti falsi invalidi, però: le invalidità revocate sono per lo più, per aggiornamento o perdita dei requisiti, pari al 74 per cento delle invalidità. Le truffe, quindi, sono una piccola parte di questa percentuale.
Nel 2009, a fronte di roboanti risultati presentati dall'allora Ministro Tremonti, l'INPS dichiarò che le cifre erano state gonfiate per alcune regioni, come ad esempio la Sardegna; oltretutto, la Corte dei conti sullo stesso argomento ammise che, su 17 mila prestazioni revocate, circa 6 mila riguardavano persone che semplicemente non si erano presentate alla visita, ad esempio, perché, nel frattempo, purtroppo decedute.
Si aggiunge anche la voce delle Fiamme Gialle: dall'inizio del 2010 al giugno 2013, i soggetti indagati per false invalidità sono 1.439, quelli arrestati per truffa 301: se rapportati alla platea degli assistiti sono esattamente lo 0,06 per cento. I risparmi conseguenti ? Sempre secondo la Guardia di finanza, si stima un danno per l'INPS pari a 23 milioni di euro, in generale, per le due grandi categorie, falsi poveri e falsi invalidi, mentre la Corte dei conti calcola che, nel 2012, dalla revoca di 30 mila invalidità sono stati ottenuti 178 milioni di euro di risparmi. Non tutti, però: la caccia ai furbi ha anche un costo. Infatti, per far fronte ai piani straordinari di controllo, i 500 medici in forza all'Istituto non sono bastati, così ha dovuto impiegare risorse straordinarie: oltre un migliaio di ausiliari convenzionati, che costano allo Stato 110 milioni di euro in quattro anni. Alla fine, l'utile netto della guerra alla truffa è così risicato.
In più, secondo la ultima relazione della Corte dei conti, nel 2012, l'Istituto è stato soccombente nel 60 per cento delle controversie sulle invalidità revocate e, quindi, ha dovuto pagare anche i danni alle parti sospettate di truffa. Si aggiunga che, il 9 aprile scorso, il TAR del Lazio si è pronunciato, con una sentenza n. 3851 del 2014, contro una serie di messaggi e circolari con cui l'INPS, fra il 2011 e il 2012, ha disciplinato i controlli dei piani straordinari di verifica sui cosiddetti falsi invalidi per 500 mila persone. La pronuncia riconosce che le modalità adottate dall'INPS per le verifiche straordinarie sono state illegittime e lesive dei diritti delle vere persone con disabilità e sconfessa, ancora una volta, anche i dati forniti dall'Istituto in materia.
L'INPS, a partire dal 2011, dopo aver effettuato 300 mila controlli nei due anni precedenti, anche contraddicendo alle garanzie previste dalla normativa statale, ha modificato progressivamente le modalità delle verifiche straordinarie, stabilendo di far rientrare nei controlli a campione anche gli invalidi. Così facendo, il numero delle revoche, alla fine dei controlli straordinari, è risultato artificiosamente elevato: sono state, cioè sommate anche le posizioni comunque già considerate rivedibili e in larga misura destinate a revoca.
Si sarebbero, invece, dovuti effettuare ben altri controlli, oltre che, ad esempio, evitare di visitare persone da decenni ricoverate in strutture a causa della loro disabilità: sicuramente, non falsi invalidi, con tutti i gravosi, inutili e ulteriori costi delle visite per l'INPS, oltre ai disagi per i cittadini.
I dati finali, come pure la millantata incidenza dei cosiddetti falsi invalidi effettivamente individuati dall'INPS, sono così risultati gonfiati e forieri solo di costi per l'amministrazione, che sembrano addirittura aggirarsi intorno ai 30 milioni di euro.
Il TAR del Lazio ha accolto anche gli ulteriori rilievi di Anffas e FISH circa la non equiparabilità tra le visite di revisione ordinaria, di competenza prioritaria della commissione ASL, e quelle straordinarie, di competenza esclusiva dell'INPS. Con tale modalità imposta dall'istituto, infatti, è stata impedita la visita presso le commissioni ASL più vicine ai cittadini, costringendoli, per le revisioni ordinarie, anche a trasferimenti di decine e decine di chilometri da casa e non garantendo quel doppio controllo che evitasse le sviste di una sola commissione. Ancora, il TAR ha appurato che è mancata la tutela alle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale. Infatti, mentre i medici nominati dall'Anffas erano presenti nelle commissioni ASL, essi erano esclusi dalle verifiche straordinarie dell'INPS, lasciando pertanto prive di specifica tutela le persone con questi tipi di disabilità.
Vedete, Presidente, Governo, il piano straordinario 2013-2015 non è servito a nulla se non a ancora di più a peggiorare la posizione degli invalidi realmente considerati tali, che avevano realmente un'invalidità, e ha costretto le persone con invalidità ad effettuare spostamenti che per una persona realmente invalida non possono essere proprio accettati. Parlo da parente di un invalido. Portarlo a fare queste visite è qualcosa di inimmaginabile, soprattutto se si collega al fatto che spesso non c’è una viabilità adatta per le disabilità. Non c’è un parcheggio per la disabilità, non ci sono strutture adatte affinché i disabili possono accedervi. Quindi, sopprimere questo piano, visto che ormai manca neanche un anno ed è costato molto di più allo Stato rispetto a quanto, invece, avrebbe dovuto incassare, sarebbe stata l'unica cosa di buonsenso da fare. Ma questo emendamento, proposto dal MoVimento 5 Stelle non solo su questo decreto, ma proposto e portato avanti da più di un anno, è stato nuovamente bocciato, sia dal Governo che dalla maggioranza.
Ma passiamo ad un'altra cosa abbastanza simpatica da ricordare. All'articolo 26 avevamo presentato un emendamento che non prevedeva altro che far applicare quello che quattro anni fa il Parlamento aveva deciso, aveva normato. Infatti, è da almeno quattro anni che il Parlamento ha approvato la norma per la dematerializzazione delle ricette e sono passati circa tre anni dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze che indicava le modalità attuative. Infatti, come MoVimento 5 Stelle riteniamo necessario che si proceda su questa importante previsione di legge che produrrebbe effetti positivi, ma dettando a questo punto alle regioni e alle province autonome un termine preciso per la completa messa a regime della ricetta dematerializzata. Avevamo proposto anche una pena per le regioni che non si fossero adeguate a tale normativa e avevamo previsto, per chi non si fosse adeguato, una riduzione delle quote del fondo sanitario spettante appunto alle regioni inadempienti. Quando abbiamo presentato questo emendamento in Commissione e avevamo sentito che i pareri, sia della maggioranza sia del relatore che del Governo erano contrari, sono intervenute più persone, diversi colleghi, anche di altri partiti, e avevamo chiesto un accantonamento. Con l'accantonamento noi ci siamo resi del tutto disponibili anche ad una riformulazione di questo emendamento e anche a prevedere che la sanzione per le regioni inadempienti fosse a carico di altri fondi e non del fondo sanitario, purché si fosse applicata la ricetta dematerializzata, la norma che questo Parlamento ha approvato. Ritorniamo sull'articolo dopo qualche giorno, ritorniamo sull'emendamento e il parere, nonostante la nostra disponibilità ad essere riformulato, continua ad essere contrario e chiediamo spiegazioni, ma né il Governo né il relatore riescono a darci una spiegazione. Non è che non riescono a darci una spiegazione, non ci danno una spiegazione. Ora, visto che non chiediamo altro che applicare una norma che voi avete già approvato e visto che questo decreto dovrebbe solo e unicamente andare nella direzione di mettersi dalla parte del disabile, di aiutare il disabile a non fare questa sfilza di atti burocratici che vanno contro ogni qualsiasi diritto dei disabili, perché non accettare questo emendamento ed applicare la norma che voi avete approvato ? A questa domanda non c’è mai stata risposta.
Sull'articolo 27 ci sono due cose da dire; una è positiva: grazie anche ad un nostro emendamento che è stato approvato – ma ce n'erano anche altri simili di altri partiti – abbiamo eliminato una norma poco chiara, che era scritta al comma 2, che prevedeva che i comuni, per la realizzazione di strutture sanitarie a regime esclusivamente privatistico che intendevano operare sul mercato senza accreditamento al Servizio sanitario nazionale, non dovevano procedere ai fini del rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione e alla verifica di compatibilità della regione. Questa era una norma decisamente poco chiara, che, grazie anche al nostro emendamento e grazie alla lotta fatta in Commissione, abbiamo eliminato. Questa è stata una nostra grande vittoria.
Però bisogna dire anche una cosa dell'articolo 27: mentre eravamo in discussione in Commissione affari costituzionali sul decreto-legge arriva, nella stessa giornata di venerdì, l'ultimo giorno in cui abbiamo lavorato il decreto-legge, un emendamento del Governo sull'indennizzo per i danneggiati da sangue infetto. La questione del sangue infetto è un argomento alquanto delicato e sensibile, e mi spiego meglio: la vicenda del contagio dovuto a trasfusioni di sangue e uso di farmaci emoderivati infetti causò, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, la malattia e in alcuni casi la morte di numerose persone.
A seguito di tali fatti hanno avuto luogo, negli anni, cause legali nelle quali, riguardo all'avvenuto contagio, veniva chiamata in causa la responsabilità del Ministero della salute che, probabilmente conscio delle sue colpe, ad un certo punto propose di risolvere la controversia in via stragiudiziale. Tantissime vittime decisero di accettare la via della trattativa e rinunciare ai procedimenti giudiziari che avevano già avviato. Ma, con un atto d'arbitrio, molti di loro venivano esclusi dalla transazione: con il decreto ministeriale 4 maggio 2012, il Ministero della salute imponeva infatti inspiegabilmente dei limiti di prescrizione non previsti dalla legge.
Stiamo parlando di persone che sono vittime due volte: vittime perché si sono ammalate per colpa di chi dovrebbe preservarne la salute; vittime perché lo Stato, dopo aver aperto alla trattativa e averle illuse di una soluzione almeno economica, decide di chiudere le porte a molte di loro con assurdi limiti di prescrizione non previsti.
Il MoVimento 5 Stelle ha elaborato da inizio legislatura ad ora tantissimi atti parlamentari, e tra questi una proposta di legge. Venerdì, il Governo arriva con un emendamento al decreto-legge sulla pubblica amministrazione, e ne veniamo a conoscenza a meno di un'ora dalla scadenza del termine per la presentazione dei subemendamenti. Questa è una cosa già di per sé assurda; ancora più assurdo è il fatto che il Governo voglia liberarsi di questa triste vicenda, liquidando le vittime con appena 100 mila euro, e 20 mila euro nel caso delle vittime dei vaccini.
Abbiamo presentato subemendamenti per aumentare le somme da destinare alle vittime, per togliere i limiti di prescrizione, per indicare dove trovare le risorse economiche per liquidare le vittime. A suo tempo, il Ministero ci disse che dal 2008 le somme per le vittime del sangue infetto risultano accantonate. Quindi, se il Governo, e la maggioranza naturalmente, hanno bocciato questo emendamento, l'unica spiegazione che ci viene in mente è che in realtà questi soldi non ci sono e quindi ci è stata detta una bugia; ma sappiate che il problema non è la bugia che avete detto a noi, ma l'ennesima presa in giro nei confronti dei cittadini.
La nostra battaglia per rendere giustizia alle vittime e ai loro familiari prosegue: non ci fermeremo di fronte a questa decisione del Governo, continueremo ad incontrare le associazioni dei danneggiati, ad ascoltare i diretti interessati e stiamo lavorando a ulteriori atti parlamentari. Vi invitiamo a calendarizzare la nostra proposta di legge, e a lavorare su quella. Il nostro obiettivo è quello di obbligare lo Stato a risarcire le numerose persone che si sono ingiustamente ammalate; e lo deve fare in modo equo, non con il solito contentino per lavarsene le mani.
Abbiamo a che fare con persone cui è stata «scippata» la dignità, vittime anche di un isolamento sociale e lavorativo. Lo Stato non può e non deve abbandonarle ! Queste sono le parole di una mia collega che da un anno e mezzo sta facendo di tutto, qui, in quest'Aula, per far sì che le vittime da sangue infetto riescano ad avere quel che loro spetta. Avevate un'occasione per farlo: avete dato un contentino. Speriamo che la prossima volta, anche con la calendarizzazione della nostra proposta di legge, possiate avere una seconda occasione, e possiate comportarvi in modo diverso.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Costantino. Ne ha facoltà.
CELESTE COSTANTINO. Signor Presidente, signori del Governo, sono tanti i temi affrontati in questo decreto-legge: lavoro pubblico, mobilità obbligatoria, staffetta generazionale. Un decreto che ridimensiona molto il coinvolgimento delle parti sociali: un elemento che non possiamo che ritenere negativo. Si considera il lavoro alla stregua di una mera operazione amministrativa da risolvere in maniera ragionieristica, errori che in passato hanno creato esodati e cancellato diritti; per questo tanto abbiamo insistito in Commissione con la presentazione dei nostri emendamenti su questo terreno. Senza contare che costruire una pubblica amministrazione più snella, trasparente, aperta, semplice e responsabile, non vuol dire costringere i dipendenti pubblici a misure punitive o tagli indiscriminati.
Da qui parte una delle più grandi ingiustizie a cui abbiamo cercato di riparare: parliamo di «quota 96», e di un emendamento sottoscritto anche da noi per salvaguardare finalmente 4 mila esodati della scuola con uno stanziamento di 416 milioni di euro.
È il contenuto di una proposta bipartisan approvata tra gli applausi dalla Commissione affari costituzionali alla fine di una seduta fiume durata più di 13 ore. La politica così risolve un errore che lei stessa ha creato durante il Governo tecnico delle larghe intese di Mario Monti e in particolare l'ingiustizia creata dalla legge Fornero a danno di migliaia di lavoratori gettati in un limbo per anni per una discussa applicazione di una norma che ha impedito loro di andare in pensione nel 2012.
Credo che il Governo debba dare atto del lavoro importantissimo dell'opposizione su questo tema. Fin dall'inizio della legislatura abbiamo raccontato le storie degli esodati e proposto soluzioni per una categoria di invisibili agli occhi dei Governi che si sono susseguiti. Oggi l'approvazione di questo emendamento è una vittoria per tutti: i 416 milioni di cui parliamo saranno suddivisi in cinque anni e saranno recuperati dalla e dagli accantonamenti provenienti dal taglio delle spese dei Ministeri, previsti dalla legge di stabilità del 2014.
Nel decreto, che come al solito tiene insieme questioni molto diverse fra loro, si affrontano temi riguardanti scuola di specializzazione e abilitazioni scientifiche. È importante che alcune soluzioni individuate negli articoli relativi a questi temi facciano riferimento ad una risoluzione presentata da Sinistra Ecologia Libertà e approvata in Commissione cultura e istruzione lo scorso giugno.
Ma ovviamente siamo ancora lontani dai risultati richiesti; per esempio, un tema, su cui abbiamo interrogato più volte questo Governo e che non c’è in questo decreto, è la previsione di nuove borse di studio per la scuola di specializzazione in medicina di emergenza-urgenza in accordo con le necessità espresse dalle regioni. Oggi ci sono in Italia 20 milioni di accessi all'anno in pronto soccorso. Per l'anno accademico 2012-2013 le borse finanziate sono state 46, contro il fabbisogno espresso dalle regioni di 241 specialisti dell'emergenza in tutta Italia. Per svolgere l'attività di medico d'emergenza è necessaria una specializzazione : il medico d'emergenza si trova ad affrontare situazioni ovviamente critiche, spesso deve svolgere più compiti contemporaneamente, deve coprire turni di 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno, il che lo porta a lavorare di notte, nei giorni festivi, anche nelle grandi festività. Il medico d'emergenza non sceglie quali pazienti trattare, spesso gestisce situazioni complesse dal punto di vista sociale, che possono sfociare in atti di aggressività verso gli operatori. Non aver provveduto a questa situazione significa che ancora ogni anno l'82 per cento dei posti di lavoro in Pronto soccorso sono e saranno occupati da personale non specializzato nel settore, con una presenza a macchia di leopardo nel Paese di medici specialisti in medicina di emergenza.
Ancora, una parte consistente del decreto tocca il Dipartimento giustizia. In Commissione ci siamo soffermati su ciò che si ciba proprio delle complessità burocratiche, delle opacità e dell'indifferenza degli enti locali, della complicità di alcuni pezzi dello Stato. Parliamo di corruzione e della norma che rivede il sistema di vigilanza degli appalti. Come abbiamo detto più volte, dentro e fuori quest'Aula, l'antimafia e la lotta alla corruzione è tale solo se si configura come prerequisito dell'agire pubblico, un punto di osservazione della società.
Le vicende giudiziarie che stanno interessando la realizzazione di opere pubbliche nell'ambito di Expo 2015 e del Mose hanno evidenziato ancora una volta gli effetti del fenomeno della corruzione nel sistema degli appalti pubblici. Tali vicende hanno messo in luce, in numerosissime situazioni, l'utilizzo spropositato di deroghe alle procedure previste dalla normativa dei contratti pubblici, oggi divenuta molto complessa e farraginosa e, per ciò stesso, intrisa di meccanismi che poco spazio lasciano all'efficienza ed al rispetto dei tempi previsti, alla trasparenza ed alla concorrenza.
Bisognerebbe definire un sistema di controlli chiaro ed efficace allo scopo di prevenire e fronteggiare adeguatamente i fenomeni corruttivi e gli illeciti. Le norme del decreto-legge n. 90 rappresentano solo un piccolo passo verso la necessaria riforma organica e complessiva degli appalti pubblici e delle concessioni, nella prospettiva del recepimento delle nuove direttive europee in materia di appalti pubblici e concessioni. Il magistrato Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità anticorruzione, fortemente voluto dal Governo Renzi, è sicuramente il miglior profilo per guidare il riassetto dopo il passaggio dei poteri dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
Nel nostro Paese, i problemi si nascondono nei dettagli, come le varianti al massimo ribasso. È importante che per Cantone una delle priorità sia proprio la riduzione massima della possibilità di varianti.
Adesso è il momento – come dice anche un nostro emendamento – di coordinare l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione; predisporre il Piano nazionale; selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari. La mancata predisposizione del Piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione dei dipendenti costituiranno elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale.
Una nostra importante indicazione, accolta in Commissione, riguarda l'articolo 29, che introduce l'obbligatorietà dell'iscrizione nella per tutte le imprese che operano in uno dei settori a rischio corruzione. La norma attesta un periodo transitorio, in cui per la stipula del contratto sarà sufficiente la presentazione della domanda di iscrizione nella . Con un nostro emendamento – ispirato dalle linee guida della Direzione nazionale antimafia – abbiamo previsto che la stazione appaltante, che abbia aggiudicato e stipulato il contratto o autorizzato il subappalto esclusivamente sulla base della domanda di iscrizione, è obbligata a informare la prefettura competente di essere in attesa del provvedimento definitivo.
Chiudo, Presidente: non c’è più tempo da perdere per la politica. Le mafie continuano ad arricchirsi grazie alla corruzione, ad ampliare i propri spazi di manovra, come col gioco d'azzardo, e ad allargare i territori di azione, posizionandosi a Roma, come a Milano, o a Torino, nell'intero industrializzato Nord; i clan studiano ricerca e innovazione, si adattano, reggono le redini di un sistema economico globale sempre più in espansione. La politica e le istituzioni invece sono rimaste colpevolmente e coscientemente indietro.
È ora che la politica si assuma in pieno la responsabilità, non andando avanti a super commissari o delegando alla magistratura mansioni che spettano al potere esecutivo.
L'Italia si presenta davanti a scelte importanti sempre con l'acqua alla gola, in situazioni in cui alcuni interventi, proposti per decreto-legge, vengono presentati come non più rinviabili.
Noi vorremmo invece valutare la complessità e i contesti in cui si sviluppano questi fenomeni, promuovendo degli strumenti di prevenzione in sede politica. Perché si continua a commissariare d'urgenza ? La politica, quella appunto del prerequisito antimafia, deve ribadire il suo primato.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.
PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, il decreto-legge che stiamo discutendo è in certo senso davvero una sorta di «decreto-», in cui sono contenute tante cose e tante cose molto diverse, che ovviamente richiederanno una lettura e una valutazione non solo da angolature politiche diverse, come prospettiva legata alla cultura proprio dei diversi partiti, ma anche prospettive diverse legate ai terreni culturali a cui si riferiscono.
In concreto, io mi soffermerò in questo mio intervento soprattutto su ciò che ha a che vedere – sono molti i punti – con le tematiche legate alla cura, alla formazione e alla ricerca. Questi tre obiettivi sono quelli centrali, gli obiettivi determinanti di quella che possiamo chiamare, in certo senso, proprio la specifica delle facoltà di medicina: formare le nuove generazioni dei professionisti, curare malati e, in qualche modo, predisporre le condizioni di cambiamento del sistema per razionalizzare le decisioni che si prendono, in modo da garantire, a scarsità di risorse o comunque a risorse costanti, la capacità di soddisfare invece bisogni crescenti.
In questa logica, il primo punto su cui mi voglio soffermare è quello che riguarda il discusso, fortemente discusso, nel comma 5 dell'articolo 1, aspetto relativo all'età di pensionamento del personale medico e, in specie, del personale universitario.
Qui voglio fare presente una cosa, che quando parliamo del personale medico universitario in qualche modo stiamo parlando di un'eccellenza che, oggi come oggi, si costruisce con tempi molto lunghi. Tutti quanti conoscono la complessità della carriera accademica, che non è soltanto legata al numero degli anni della facoltà di medicina, la più lunga di tutte; non è solo legata alla scuola di specializzazione, che pure oscilla tra i 4 e i 6 anni; non è solo legata alla necessità di fare un dottorato di ricerca; non è solo legata alla necessità di aggiungere, a tutto questo, percorsi all'estero, in università e in strutture prestigiose. È legata anche alla farraginosità del meccanismo che ti permette di andare in cattedra abbastanza tardi.
Questo fatto di andare in cattedra tardi significa che tutto quello che è un profilo di competenze, fatto di ricerca, fatto di esperienze, fatto di sviluppo di competenze, possa essere messo realmente a disposizione dei pazienti, delle loro famiglie, del Sistema sanitario nel suo complesso, abbastanza avanti negli anni e 65 anni sembrano realmente pochi per potere mandare in pensione un personale che tanto è costato alla persona stessa, agli inizi alla sua famiglia ma poi, comunque, al sistema nel suo complesso, perché potesse raggiungere quella qualità di formazione e quella completezza di competenze che lo rendono, a tratti, realmente insostituibile; tenendo conto anche che poi i 65 anni non sono più leggibili come un'età, come poteva accadere fino a qualche decennio fa, in cui cominciava la cosiddetta «terza età», l'età del pensionamento. Noi sappiamo benissimo come quella è un'età in cui anche il miglioramento complessivo delle condizioni di vita e il miglioramento anche delle circostanze ti mettono davvero nella condizione di godere di un potenziale di capacità, da spendere al servizio del bene comune, tra i più alti e i più interessanti.
Non ci dimentichiamo che molte volte parliamo di persone che coprono ruoli, che so, di direttore di dipartimento, che coprono ruoli di direttori di scuole di specializzazione, che coprono ruoli di presidenza nella facoltà o di presidenti di consiglio di corso di laurea, cioè ricoprono ruoli in cui la complessità della formazione è in parte legata alle competenze strettamente clinico-assistenziali e, quindi, come tale richiede una sensibilità alle tematiche organizzative, in un momento in cui noi stiamo pensando a una transizione molto forte, come è la transizione dalla struttura ospedalo-centrica alla struttura territoriale. Questo richiede una capacità di farsi carico, a tutto campo, di bisogni di formazione, di bisogni di assistenza e di bisogni di ricerca rispetto ai modelli organizzativi e gestionali. Ma richiede anche quella capacità di avere quell'occhio lungo, dal punto di vista anche economico-organizzativo, che ti permette di effettuare davvero dei tagli che non siano tagli lineari, ma che siano dei tagli elettivi, che siano dei tagli che sono capaci di rendersi conto davvero dove sta il superfluo e dove, invece, noi stiamo cercando di dare risposte qualitativamente molto alte.
Che cosa succederà se noi manderemo in pensione a 65 anni molte di queste persone ? Che coloro che hanno delle competenze specifiche più sviluppate inevitabilmente finiranno per confluire nel privato, non un privato da ma un privato-privato. Avremo una proliferazione ulteriore di quelle che sono strutture clinico-sanitarie in cui questo personale, che è, insisto, nel massimo delle proprie capacità e competenze, finirà con il porsi come una struttura di garanzia, a volte anche rispetto al pubblico e che permetterà, a coloro che godono, peraltro, di una qualunque assicurazione sanitaria, di confluire in strutture dove l'eccellenza viene garantita dal profilo personale del professionista che risponderà a quella tipologia degli interventi, siano essi di natura chirurgica, o a quella complessità diagnostica quando ci troveremo davanti a quei problemi complessi che non sempre sono affrontabili esclusivamente nella logica della specializzazione e della ultraspecializzazione.
Questo è anche il punto sul quale vale la pena riflettere: a lungo la formazione del medico recentemente si concentra sugli obiettivi della specializzazione e della ultraspecializzazione. Ma noi sappiamo che i malati non sono mai i malati identificabili con quella malattia. Il malato è sempre identificabile con un complesso di malattie e con un vissuto, relativo a quelle malattie, che va ben oltre la ultraspecializzazione e che chiede il recupero di quella visione d'insieme che è anche in grado di reimpostare processi terapeutici in cui non si somministrano farmaci che poi, magari, sono conflittuali rispetto ad altri aspetti di patologie presentate da quel malato.
Si chiede che il medico sia davvero capace di assumere una visione di insieme, una presa in carico globale e complessiva del paziente. Tutto questo è un frutto maturo dell'età, dell'esperienza e anche un frutto maturo che si raggiunge sulla base, molte volte, anche di errori personali, ma di errori valutati, di errori in qualche modo rielaborati e di errori tradotti in buone pratiche.
Ecco perché io credo che questa logica del mandare in pensione a sessantacinque anni tutto il personale, il personale medico universitario, non sia stata una buona logica. Di fatto noi presenteremo un emendamento e cercheremo di difenderlo in Aula.
Ma c’è anche un altro aspetto che a noi sembra abbastanza interessante, che non va nemmeno letto soltanto in quella logica diciamo di concorrenza che finirà con lo stabilirsi tra il privato e il pubblico; c’è anche un altro elemento importante e questo elemento è che questa norma potrebbe essere derogata a discrezione del direttore generale, il quale identificasse in quella persona, in quella competenza, quei tratti specifici di assoluta necessità per la struttura che, come dire, in qualche modo sospendono la norma nei suoi confronti.
Ma, signori, da tempo – e sono, perlomeno per quanto mi riguarda, tre legislature, da quando io sono presente in Parlamento – il tema famoso delle nomine dei direttori generali è uno dei nodi più forti del contenzioso che riguarda la relazione tra politica e sanità. Che garanzie abbiamo noi che questi direttori generali, nel procedere alle loro scelte e, quindi, in questo caso specifico, alle loro conferme, si atterranno a questi criteri di meritocrazia che sono in questo momento la parola d'ordine di cui tutti quanti noi ci riempiamo la bocca ogni giorno e non risponderanno, invece, a dinamiche che potrebbero essere francamente di natura puramente clientelare ? Cioè, noi vogliamo sottrarre un sistema ad una logica della politica e cercheremo – e forse virtuosamente riusciremo a sottrarlo – fino ad un certo punto. Consegneremo poi alla logica strettamente politicizzata quella che è la conferma o la «sconferma» delle figure apicali. Non c’è chi non veda come questo non può che essere un elemento di soggettività peraltro pericoloso per quello che riguarda le strutture. È vero che non dobbiamo necessariamente nutrirci di una cultura del sospetto, non dobbiamo pensare al direttore generale come a colui che si muove esclusivamente secondo i bombardamenti e i che gli vengono da parti del territorio a cui lui stesso risponde in prima persona, perché evidentemente esistono delle logiche di conflitto di interesse, posto che il direttore generale risponde ancora – e di questo nulla si dice in questo disegno di legge – a dinamiche che saranno pure legate ad una sorta di rapporto fiduciario, ma che indubbiamente rivestono tutta la logica anche dello Noi non sappiamo effettivamente quante di queste figure dotate dell'eccellenza e della competenza saranno confermate, perché veramente funzionali ai bisogni dei pazienti e, in alcuni casi, anche ai bisogni degli studenti e quanti, invece, ricadranno in quella che possiamo chiamare in fondo una dialettica politico-sanitaria che tutti identifichiamo come uno dei cerchi da spezzare, se vogliamo rendere più funzionale e più meritoria la struttura.
C’è un altro punto all'articolo 11 che mi sembra interessante segnalare proprio in tema, questa volta, più di attività di ricerca, perché l'articolo 11 riguarda soprattutto gli enti di ricerca. In questo senso, la norma pone – ed è interessante che la ponga – una soglia al 20 per cento della possibilità di promuovere a figure apicali, a figure dirigenziali, quelli che sono i direttori degli enti di ricerca. Fin qui tutto normale, potrebbe sembrare una norma che riguarda gli amministrativi. Senonché, è interessante la clausola che segue a questo articolo 11, in cui si dice che, però, questi non possono superare in nessun modo questa soglia del 20 per cento, perché il resto dei ruoli va messo a disposizione del personale della ricerca e dei ricercatori, includendo tra i ricercatori anche i tecnologi.
Ora, vede, se noi sentiamo il bisogno di fare una scelta di questo tipo, se noi sentiamo il bisogno di precisare come il personale amministrativo di un ente di ricerca non può superare una determinata soglia, perché il dell'ente di ricerca è la figura del ricercatore, questo ci dice ancora una volta come, parlando di pubblica amministrazione, noi ci muoviamo attraverso un terreno complesso in cui si intrecciano le competenze dell'amministrazione con la competenza della ricerca.
Potremmo dire le competenze del Ministero della pubblica amministrazione con quelle del MIUR. Da questo punto di vista, l'altro articolo su cui mi interessa richiamare l'attenzione è l'articolo 14, quello che riguarda l'abilitazione scientifica nazionale. Tutti sappiamo che nella revisione...
PAOLA BINETTI. No, Presidente, so che ho mezz'ora, anche se cercherò di ridurre i miei tempi.
PRESIDENTE. Onorevole Binetti, non era per lei la scampanellata: era per i colleghi, se possono lasciare libero il Ministro di ascoltare.
PAOLA BINETTI. La ringrazio, ma per noi sono punti, francamente, molto importanti. L'articolo 14 è quello dell'abilitazione scientifica nazionale. Nella revisione di questo articolo vi sono state alcune cose che sono apparse interessanti a molte persone: per esempio, la possibilità per coloro che non hanno superato l'abilitazione scientifica nelle due tornate precedenti, che, insisto, definivano un ciclo unico, di potersi ripresentare, il 15 marzo prossimo, all'inizio della prossima sessione di abilitazione, per potere, in qualche modo, attraverso i loro lavori – questa volta ridotti da 12 a 10 lavori – presentare la propria maturità, sottoposta al giudizio della commissione.
È scomparso dalla commissione il cosiddetto membro straniero, che ricordo essere l'unico membro che costituiva un costo effettivo a livello della commissione e che, in qualche modo, rappresentava, però, un costo indiretto molto alto, perché non sempre queste persone «conoscevano» la lingua italiana, erano in grado di leggere, in molti casi, i lavori presentati dai candidati (non mi riferisco soltanto, evidentemente, al settore strettamente scientifico).
Quello che mi interessa però dire è questo: noi abbiamo avuto nell'abilitazione scientifica nazionale che fin qui si sta espletando, perché è stata prorogata al 15 settembre, un problema molto grosso, un problema per il quale abbiamo presentato molte interrogazioni, un problema che ha riguardato moltissimi settori scientifico-disciplinari, ed è il problema che, in qualche modo, riguarda i piccoli settori scientifico-disciplinari all'interno di macro settori scientifico-disciplinari.
Ne cito uno per tutti, che è quello che conosco meglio, ma voglio ribadire con chiarezza che non è l'unico: penso, per esempio, al settore scientifico-disciplinare MED/02, quello che riguarda la storia della medicina, inserito all'interno del più vasto settore medico-scientifico della patologia generale, senza che nessuno di coloro che sono realmente competenti, senza che nessuna di queste persone sia stata, di fatto, coinvolta, poi, nel giudizio e nella valutazione.
Si è ricorsi a una sorta di consulente esterno per un parere ; parere che, come è facile verificare, perché, questo sì, è tutto pubblicato, e quindi è tutto, per così dire, trasparente, ha dato un parere assolutamente negativo, laddove in alcuni passaggi poteva trattarsi anche di un conflitto di interesse, di tutti i candidati. Quindi, abbiamo avuto ambiti scientifico-disciplinari che sono stati assolutamente mortificati da una logica che non poteva prevedere la conoscenza di tutte le dinamiche profonde che riguardano il valore scientifico di quel settore.
Ma ce ne sono stati anche altri; per esempio, nell'ambito delle chirurgie, vi sono stati candidati che hanno superato le tre mediane. Questo è uno dei nodi del contenzioso più forte, adesso anche nella nuova abilitazione scientifica nazionale: cosa faremo delle tre mediane ? Fino a che punto le tre mediane hanno un valore vincolante ? Infatti, abbiamo visto persone che sono state bocciate perché non avevano superato le tre mediane e abbiamo visto persone che sono state bocciate perché avevano superato le tre mediane, e le tre mediane definivano un profilo di competenza strettamente specialistico, che è stato definito come ultraspecialistico.
Ma ora, se è vero che un clinico, per esempio di un'area di chirurgia, deve essere in grado di affrontare interventi, nel proprio contesto, di ampio spettro, non è meno vero che lo stesso clinico, nel momento in cui fa ricerca, come è noto, fa ricerca del piccolo, perché una ricerca seria e rigorosa si concentra su alcuni aspetti piccoli – per piccoli, intendo dire ridotti –, all'interno dei quali si persegue il massimo della profondità possibile.
Che cosa ne sarà, a questo punto, di questi criteri, che hanno definito, comunque, un vasto contenzioso che è arrivato al MIUR ? In che modo la nuova commissione potrà rispondere, garantendo l'equità, garantendo la trasparenza, garantendo anche il rispetto di criteri stabiliti ? Questo è il vero processo di rinnovazione che noi chiediamo alla pubblica amministrazione.
Non soltanto piccoli aggiustamenti quantitativi (12 invece che 10), non soltanto piccole modalità di accesso (la domanda si può presentare quando il candidato si ritiene maturo, tanto poi sarà valutato entro i termini stabiliti dalla commissione), noi dobbiamo andare al cuore del problema: se questa è un'abilitazione scientifica nazionale qualcuno dovrà garantire dello spessore scientifico dei candidati in questione.
E vengo all'altro articolo, che pure è facile immaginare quanto ci si stia a cuore, che è l'articolo 15 sulle scuole di specializzazione medica. La prima cosa di cui il decreto, in qualche modo, non dà pienamente ragione riguarda un tema che è stato trattato molto spesso, e molto frequentemente, in quest'Aula attraverso interrogazioni e interpellanze ed è stato oggetto di manifestazioni che si sono svolte nella pubblica piazza di Montecitorio. Il tema è, sostanzialmente: in che modo, fissando noi (e quando dico «noi» intendo dire, in questo caso, di concerto con il Ministero dell'istruzione e il Ministero della salute) il numero degli studenti che accedono al corso di laurea in medicina e chirurgia, quindi vincolando il futuro di una persona, possiamo dire a questo persone che il numero delle borse delle scuole di specializzazione è talmente irrilevante. È vero che siamo passati dalle 3.000 borse iniziali a 3.500 e adesso ci stiamo posizionando verso le 5.000, ma noi abbiamo laureato 7.500 studenti e ne laureeremo, l'anno prossimo, oltre 8.000 e così via.
Allora, un criterio di semplificazione come può tenere due parametri, come se fossero le famose opposte convergenze, perché di questo si tratta ? Se io fisso un numero di studenti che si iscrivono, a questi studenti – posto che si tratta di un ciclo di studio, ma anche di un ciclo professionale unico, perché lo studente di medicina non fa altro dopo che si è laureato in medicina e il sistema normativo che noi abbiamo creato gli impedisce di partecipare ai concorsi senza una specializzazione – devo garantire una borsa di specializzazione; altrimenti noi li candidiamo d'antemano ad una sorta di disoccupazione. Ecco che, allora, diventa urgentissimo far coincidere il numero degli studenti con il numero degli specializzandi, tenendo conto che, negli ultimi dieci anni, il 90 per cento, come risulta anche dalle statistiche elaborate quest'anno, degli studenti di medicina si laurea; quindi, il 90 per cento degli studenti iscritti ha diritto ad avere, in qualche modo, una possibilità di completare il proprio iter formativo, perché solo completando il proprio iter formativo potrà avere accesso ad un'occupazione degna dei 10 o 11 anni di lavoro che ha affrontato.
Poi c’è la cosa fondamentale che sono i criteri di selezione che noi desideriamo siano il più possibile trasparenti e meritocratici. Oggi, nel pomeriggio, qui nella Sala della Regina ci sarà una grossa manifestazione di professori universitari, di direttori di scuole di specializzazione, di neolaureati e di neospecializzandi. Abbiamo voluto che lasciassero la piazza e che entrassero all'interno dell'istituzione proprio per ascoltarli, affinché in qualche modo potessero non soltanto gridare le loro proteste, ma potessero porle con la dignità che da neoprofessionisti meritano e che, in qualche modo, noi intendiamo garantire loro.
Ecco, allora, che fortunatamente è caduto un comma, presente nella versione iniziale di questo decreto, che prevedeva una sorta di percorso di seconda categoria per coloro che non sarebbero entrati nella scuola di specializzazione. Non è possibile prevedere un secondo percorso, una seconda categoria; noi abbiamo già un percorso che, in qualche modo, ci pone qualche problema e che vede, da un lato, gli studenti di medicina provvisti di una specializzazione e gli studenti di medicina che affrontano la scuola di formazione in medicina generale.
Già da tempo stiamo auspicando che la scuola di formazione di medicina generale abbia la stessa identica dignità della scuola di specializzazione e, quindi, di ridurre il che separa i due canali formativi. Infatti, se vogliamo spostare davvero la medicina da un contesto ospedalocentrico al territorio, dobbiamo fare in modo che tutti quei medici che sono presenti sul territorio, con la loro formazione maturata all'interno delle scuole di medicina generale, possano rivendicare pari spessore culturale, pari dignità, pari complessità, anche dei corsi attraversati.
Ma se a questo noi aggiungiamo un terzo canale, che sono quelli che non sono stati né nella scuola di specializzazione né nella scuola di medicina generale, noi creiamo veramente delle fratture, che non sono conciliabili con quella che è la cultura italiana, la cultura del medico italiano, che ancora ci invidiano in tutte le università, anche le università straniere. Non dimentichiamoci, infatti, che quando i nostri giovani vanno fuori a completare l'anno di specializzazione – la norma prevede che un anno del loro percorso di specializzazione può essere fatto all'estero – oppure quando vanno a completare un dottorato oppure seguono un dottorato internazionale, fanno molta fatica a tornare in Italia e ben vogliono tenerseli stretti le altre università, perché ne riconoscono lo spessore scientifico, ne riconoscono l'umanità nel tratto dell'assistenza, ne riconoscono la flessibilità e la disponibilità a muoversi nel contesto organizzativo.
C’è poi – mi avvio alla conclusione – un altro aspetto che non voglio dimenticare, che sono i punti che riguardano gli articoli 25, 26 e 27: la semplificazione per l'invalidità, le prescrizioni medico patologiche croniche e poi, appunto, quest'aspetto dell'assistenza, che davvero richiede una maggiore attenzione ad una visione di sistema. Insisto che, in questo senso, in questo decreto-legge, se in relazione alla prima parte di ciò che è detto avrebbe dovuto esserci una maggiore presenza del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro Giannini, in questa seconda parte avrebbe dovuto esserci una maggiore presenza del Ministro Lorenzin per quello che riguarda la sanità.
Sono anni, per dire che sono legislature intere, che noi parliamo della necessità di restituire alla medicina della cronicità tutta quell'attenzione che permetta ai malati di non dovere affrontare quelle, per così dire, faticosissime capacità di controllo, quelle reiterate necessità di passare al vaglio di commissioni di revisione, che non danno conto di come le malattie oggi in gran parte cronicizzano. I medici sono diventati molto bravi, più che a guarire definitivamente una patologia, a mettere in condizioni di cronicizzare, cioè i nostri malati vivono molto più a lungo e vivono molto più a lungo anche con le loro malattie. Vivono più a lungo anche con malattie di tipo neuro-degenerativo.
Cito per tutti una situazione che sarebbe stata impensabile fino a pochi anni fa. La distrofia muscolare progressiva di cui soffrono i quattro fratelli, due dei quali sono presenti nella tenda qui in piazza Montecitorio, i fratelli Biviano. Hanno due sorelle alle isole Lipari, una di 42 anni e una di 36 anni. Quella di 42 anni è attaccata ad un respiratore, quella di 36 anni va ogni tanto in crisi respiratoria e loro due sono qui da un anno. Due giorni fa abbiamo in qualche modo ricordato quest'anniversario, quattro fratelli affetti da distrofia muscolare progressiva che fino a 10-15 anni fa non sarebbero sopravvissuti alla loro stessa adolescenza.
Oggi la medicina è in grado di allungare la loro vita. Oggi la medicina è in grado di garantirgli strumenti e di venire incontro alle loro esigenze. Ma questa medicina ha in qualche modo, per così dire, divorziato drasticamente da quelle che sono le politiche sociali, per cui se noi interveniamo sul piano sanitario – e, a volte, interveniamo con competenza e anche con tempestività – non altrettanto facciamo sul piano sociale. È chiaro che diventa urgente l'approvazione del disegno di legge, di cui è appena cominciato l'iter in Commissione XII, il famoso disegno di legge «il dopo di noi», dove noi parliamo con attenzione di quelli che sono stati definiti i LEPS, cioè i livelli di assistenza a livello di politiche sociali.
Ma sono otto anni che non vediamo la revisione dei LEA, come possiamo sperare che, a un certo punto, si prendano veramente in considerazione anche questi livelli di assistenza sociale ? Eppure, questa è la sfida della medicina.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Binetti.
PAOLA BINETTI. Questa è la sfida dell'economia delle risorse, ma questa è la sfida della risposta di civiltà che noi dobbiamo dare.
In conclusione, mi auguro davvero che da questo dibattito vengano, anche per queste persone, risorse effettive. Dall'economia che si farà mi auguro che quest'economia si traduca in soluzioni che rispondano più, prima e meglio ai bisogni di persone.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.
ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Ministra, signor sottosegretario, innanzitutto una premessa di metodo. Il testo del decreto-legge, all'esame di quest'Aula oggi, è composto, come tutti bene sappiamo, di 54 articoli, suddivisi in quattro macroaree, che intervengono in materia di pubblica amministrazione e pubblico impiego, semplificazione e trasparenza, lavori pubblici, processo amministrativo e processo civile e telematico.
Così articolato il decreto-legge, più che una riforma della pubblica amministrazione, appare come un assemblaggio di norme non omogenee e con una scarsa coerenza interna – questi sono i fondamenti per un decreto-legge – e privo di quei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza che l'articolo 77 della Costituzione e l'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 richiedono.
Le vere riforme della pubblica amministrazione non sono state adottate con la decretazione d'urgenza in questi anni, bensì sono state fatte con leggi che hanno permesso al Parlamento di esprimersi in un modo profondo ed organico, senza la tagliola dei 60 giorni previsti per la conversione del decreto-legge. Procedere, dunque, con decreto-legge e senza una riflessione approfondita e opportuna per normare alcuni aspetti fondamentali per la tenuta del nostro sistema amministrativo e burocratico, che incide pesantemente su tutto l'apparato politico e istituzionale del Paese, è una scelta che, vede, noi non condividiamo, ma che il Governo continua a fare con una serie di decreti-legge che, più che interventi normativi omogenei, sono provvedimenti .
La riforma presentata dal Governo semplicemente, dunque, non è una riforma. In una riforma noi dovremmo avere un'idea guida, un'idea di buona amministrazione, che sta alla base e coordina tutti gli interventi. Invece, questi 54 articoli intervengono su una pluralità di materie, senza una linea guida, senza un'idea di fondo che guidi propriamente la riforma e la rivoluzione della pubblica amministrazione.
Una riforma del settore pubblico dovrebbe avere un obiettivo alto e ambizioso. Infatti, oggi la pubblica amministrazione non si occupa più solo delle funzioni che derivano dallo Stato, non è più solo la diramazione dello Stato sul territorio, ma rappresenta soprattutto, ed è soprattutto, un centro di erogazione di servizi, che sono finalizzati e rivolti innanzitutto e in primo luogo, ai cittadini e, quindi, anche alle imprese. Per questo la cattiva amministrazione e la burocrazia fine a se stessa sono un costo per questo Paese. Ma soprattutto la cattiva amministrazione e la cattiva pubblica amministrazione, una pubblica amministrazione non efficiente rappresentano il primo ostacolo allo sviluppo del Paese, il primo ostacolo all'equità in questo Paese.
Una vera riforma della pubblica amministrazione dovrebbe andare verso un radicale ammodernamento e una radicale innovazione, al cui centro ci deve essere la cultura non solo di servizi efficienti, ma soprattutto di servizi di qualità, attraverso la semplificazione, la liberalizzazione, la digitalizzazione, la revisione della spesa pubblica, riconoscendo la pubblica amministrazione quale elemento importante, quale volano per lo sviluppo del nostro Paese, chiamato a creare un valore pubblico in termini sia economici che sociali.
Contestualmente, le forze politiche meno statalistiche e più liberali dovrebbero porsi come imperativo l'obiettivo della riduzione selettiva della spesa e del perimetro pubblico, lasciando spazio all'iniziativa privata per svolgere molte attività e servizi che oggi svolgono gli enti pubblici, le società partecipate, purtroppo – ahinoi ! – non sempre con grande efficienza, anzi con fasce di spreco e di inefficienza.
Il testo contiene disposizioni più che altro dettate da spinte che ridistribuiscono il potere dal centro alla periferia del Paese, creando nei comuni delle zone d'ombra in cui è possibile eludere norme costituzionali. Mi riferisco in modo particolare all'articolo 97 della Costituzione, che tutti noi sappiamo prevedere l'assunzione nella pubblica amministrazione per mezzo di concorsi. È evidente, infatti, che il decreto prevede un doppio binario: restrizione per le amministrazioni statali e maggiore libertà per le regioni e per gli enti locali.
In diversi punti ripete norme già esistenti, aggravandone le procedure, come, ad esempio, quella sulla mobilità dei dipendenti oppure quella del divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, che era già contenuta nella legge n. 135 del 2012, che portava a livello interpretativo alle stesse e medesime conclusioni.
Oppure introduce pur norme superflue, in quanto riferite ad attività già disciplinate dal nostro ordinamento e non attuate. Ecco, questo è il vero problema: l'attuazione poi delle norme.
È stata riscritta per l'ennesima volta la norma sulla mobilità, senza che le precedenti siano mai state realmente applicate. La grande novità è la mobilità volontaria del lavoratore, cioè quella che serve meno alle amministrazioni datrici di lavoro. In via sperimentale – non capiamo cosa si deve sperimentare – il personale delle pubbliche amministrazioni potrà trasferirsi senza l'assenso dell'amministrazione di appartenenza. In pratica, si assisterà ad una migrazione di personale verso amministrazioni con trattamenti economici più vantaggiosi oppure da amministrazioni con sedi al nord verso amministrazioni con sedi al centro o al sud.
Per quanto riguarda la mobilità obbligatoria, viene stabilito un limite di 50 chilometri entro il quale il lavoratore potrà essere spostato senza il suo assenso. Anche in questo caso, il problema non riguarda la distanza, ma la volontà delle amministrazioni di attuare un vero processo di mobilità. Gli interventi di Monti sulla riduzione degli assensi organizzativi dei Ministeri e degli enti pubblici, hanno portato ad esuberi dichiarati di circa 7 mila unità. Nessuno è andato in mobilità, nonostante le norme lo consentissero.
Di contro, questo provvedimento tace su parti fondamentali come il reperimento delle risorse, la contrattazione collettiva, la produttività, la che invece qualificano ed attribuiscono la dignità di riforma ad un testo normativo sulla pubblica amministrazione.
In quest'ottica, il lavoro che Forza Italia ha effettuato in I Commissione (Affari costituzionali) è stato volto ad evitare un'eccessiva compressione delle garanzie costituzionali e ad evitare una mortificazione delle professionalità acquisite nella pubblica amministrazione, affinché l'opera di semplificazione non finisca per essere un ulteriore aggravio per il sistema Paese.
Scorrendo velocemente le norme – io mi soffermerò solo su alcuni punti che ritengo più significativi – scopriamo innanzitutto che il primo punto è appunto la staffetta generazionale, che si traduce semplicemente nella abolizione del trattenimento in servizio. Gli attuali incarichi di trattenimento in servizio cesseranno quindi il 31 ottobre 2014. Per i magistrati e per i militari, invece, il primo gennaio 2016. Se si considera che i trattenimenti in servizio sono circa 1.200 l'anno e che di questi la metà sono per i magistrati, è facile dedurre che non ci sarà, per il momento, nessuna staffetta generazionale o perlomeno sarà una staffetta generazionale ridotta. Altre misure annunciate per favorire la staffetta non compaiono nel testo. A dire il vero, troviamo qualche norma in favore delle amministrazioni appunto regionali e degli enti locali per incrementare le assunzioni ed altre norme che sembrano rivolte solo a determinate categorie, come quella dei dirigenti della pubblica amministrazione e degli avvocati dello Stato, che per la prima volta hanno un regime giuridico diverso da quello previsto per i magistrati.
Una norma che, invece, veramente potrà garantire il ricambio generazionale è quella prevista per il personale della scuola (la quota 96), tesa a superare, volta finalmente a superare, dopo un grande e lungo iter, un'ingiustizia creata dalla riforma Fornero. Su questo fronte Forza Italia, insieme a tutte le altre forze politiche, ha dato un grande impulso al Governo ed anche al lavoro parlamentare per trovare, per cercare di trovare e per arrivare finalmente ad una soluzione attesa da due anni e mezzo.
Un'altra categoria è quella dei segretari comunali e dei segretari provinciali, per cui il testo prevedeva inizialmente l'abrogazione dei diritti di rogito e di segreteria. Il Governo ha rivisto, anche su pressione di Forza Italia, questa norma, ma ha solo parzialmente posto rimedio ad un'ingiustizia, più che altro quasi un «accanimento», contro questa categoria, riformulando il testo, ma introducendo comunque un principio di discriminazione fra i segretari comunali privi ovvero/oppure in possesso di qualifica dirigenziale, rischiando così di incrinare l'unità di una categoria di professionisti che svolge un ruolo molto importante nella vita dei comuni.
Un'altra norma di ricambio generazionale del decreto consisteva nell'allargare la platea dei destinatari dell'istituto della risoluzione unilaterale del contratto a medici e professori universitari, fino ad ora inclusi nella possibilità della pubblica amministrazione di recedere unilateralmente dal contratto una volta raggiunta l'anzianità contributiva per il pensionamento. Grazie al contributo di Forza Italia, il Governo ha rivisto la norma introducendo il fondamentale requisito, a garanzia ovviamente della funzionalità della pubblica amministrazione, della decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, e comunque non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età.
Accennavo prima al doppio binario di questo decreto. Forza Italia si è opposta con forza a questa nuova filosofia, che prevede maglie larghe per le assunzioni nelle regioni e negli enti locali. Per questi ultimi la possibilità di assumere sale, negli anni 2014-2016, al 60 per cento delle cessazioni contro il 20 per cento delle amministrazioni statali. Una differenza che non si spiega con motivazioni oggettive. Il Governo sostiene che si tratta di una norma a costo zero visto che le assunzioni sono pagate dagli enti locali. Peccato che si tratta di soldi pubblici che dovrebbero e potrebbero essere utilizzati in altro modo e che alle amministrazioni centrali non venga data la stessa opportunità. C’è un punto in quest'ottica che mi sta particolarmente a cuore: questo ricambio, questo queste nuove assunzioni ad opera dei comuni e delle regioni ci saranno attraverso una selezione pubblica. Una selezione pubblica non è un concorso, una selezione pubblica non è qualcosa di meglio specificato, è qualcosa di estremamente generico che deve essere specificato. Noi abbiamo chiesto più volte in Commissione, attraverso degli emendamenti, che si potesse parlare, come è per Costituzione, di concorso o di selezione pubblica concorsuale, perché riteniamo che questo sottragga alle maglie della discrezionalità, dei criteri discrezionali, la scelta di chi possa ricoprire dei posti che sono fondamentali nella nostra amministrazione e permetta quella maggiore trasparenza e quella maggiore pubblicità che tanto stanno a cuore a Forza Italia così come al Governo.
Inoltre, viene esplicitata per legge la possibilità di conferire incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei sindaci. Anche questo è stato un punto lungamente dibattuto, la possibilità, appunto, di attribuire incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei sindaci con un trattamento economico dirigenziale a prescindere dal possesso del titolo di studio che dovrebbe fare accedere alla carica dirigenziale, contraddicendo, dunque, ogni regola di buonsenso e di meritocrazia e sicuramente lontana da quel principio di imparzialità previsto dall'articolo 97 della Costituzione. In pratica, si esclude per chi non ha titolo di studio la possibilità di svolgere attività gestionale, ma comunque si mantiene per queste persone, che non hanno appunto il titolo di studio per accedere alla dirigenza, un trattamento economico dirigenziale. Ci chiediamo profondamente il motivo di questa scelta.
Tra le norme destinate a creare consenso pubblico vi è quella che elimina l'obbligatorietà della presenza dei dipendenti pubblici nelle società controllate e partecipate, aprendo così la partecipazione agli esterni, con tutto ciò che ne consegue. La nuova riformulazione approvata prevede, da una parte che dal 2015 il compenso per gli amministratori non potrà essere superiore all'80 per cento del costo sostenuto nel 2013, ma, dall'altra, a nostro avviso vanifica il risparmio conseguito dal momento che i due consiglieri senza poteri gestionali sono esterni e vengono retribuiti.
Una delle norme, all'interno del decreto-legge, più discusse, a cui Forza Italia si è opposta fortemente, contribuendo, insieme ad altre forze, alla sua modifica, è stata quella relativa alla soppressione delle sezioni distaccate dei tribunali amministrativi regionali (TAR).
Nella versione originale la norma è stata adottata senza una preventiva istruttoria in ordine al carico di lavoro delle sezioni dei diversi TAR e al costo del funzionamento. I dati ufficiali avrebbero potuto portare, infatti, ad un risultato differente, ad un'ottica che rientra, noi lo capiamo, nell'idea di razionalizzazione. L'analisi di questi dati ufficiali avrebbe potuto portare poi al risultato che comunque abbiamo ottenuto introducendo un criterio in base al quale razionalizzare appunto i TAR, che è quello della presenza, nelle stesse città dove hanno sede i TAR, anche di sedi di corte d'appello.
Vorrei soltanto ricordare alcuni dati: il TAR di Brescia, dove sono depositati nel 2012, ben 1.417 ricorsi. Pensiamo che in Lombardia il totale dei ricorsi sono 4.180, quindi capiamo l'importanza di questo TAR, ad esempio, all'interno proprio della giustizia amministrativa nell'intera Lombardia. Così com’è avvenuto per altre sedi di TAR, come, ad esempio, Lecce e come Catania. Grazie a Forza Italia appunto, la norma è stata riformulata inserendo la previsione di mantenere le sezioni distaccate di Brescia, Catania e Reggio Calabria e Salerno, che sono delle realtà in cui hanno anche sede, come si diceva prima, anche le corti d'appello.
Altro elemento su cui non capiamo l'intervento è sicuramente il Formez. Sulle norme relative al riordino delle autorità indipendenti, Forza Italia è riuscita a modificare le regole del Patto di non concorrenza allineandole di più a quelle europee.
Forza Italia poi è riuscita ad ottenere anche una riformulazione della norma che prevedeva l'immediato taglio del 50 per cento del contributo annuale delle imprese alle camere di commercio, che avrebbe inciso direttamente non solo sull'attività promozionale, bensì sulle retribuzioni dei dipendenti delle camere di commercio e delle aziende speciali. In particolare, su richiesta di Forza Italia, il taglio è stato rimodulato su tre anni per permettere alle camere di commercio una vera e propria riorganizzazione. Sono stati poi approvati diversi emendamenti da noi presentati concernenti norme di semplificazione per l'impresa. Di particolare rilievo, inoltre, l'approvazione di emendamenti che contengono prescrizioni normative importanti per la piena attuazione del CAD, il codice dell'amministrazione digitale e per la valutazione dei dirigenti, prevedendo la valorizzazione della premialità nella valutazione della organizzativa e individuale.
Concludo facendo alcune riflessioni. Il decreto è molto composito, molto complesso, molto eterogeneo, lo abbiamo visto. Ci sono tre temi che non ho affrontato, ma che mi stanno particolarmente a cuore, e sono indubbiamente contenuti nel decreto. La riorganizzazione della Scuola superiore della pubblica amministrazione: credo che il fatto che ci possa essere una scuola della pubblica amministrazione seria ed efficiente sia un passo in avanti se sarà tenuta in considerazione la specificità di alcuni settori della pubblica amministrazione.
Mi sarebbe piaciuto che si prendesse in considerazione anche un altro aspetto che noi abbiamo sottolineato e avremmo voluto fosse inserito nel decreto perché anche questo va nella linea della filosofia del ricambio generazionale e dell'attenzione ai giovani ed è quello relativo alla possibilità che i migliori laureati in discipline giuridiche possano effettuare periodi di negli uffici di diretta collaborazione dei ministeri, ma anche negli uffici ministeriali, sia nelle loro sedi centrali sia nelle diramazioni territoriali. Credo che questo sia un elemento importante perché se la filosofia di questo decreto-legge è improntata sicuramente ad un'attenzione verso il ricambio generazionale, noi dobbiamo stare fortemente attenti a quello che non abbiamo fatto fino adesso, permettetemi di dirlo.
Noi abbiamo sostanzialmente valorizzato e portato avanti molti validi dirigenti, fino alle posizioni apicali, ma siamo stati scarsamente attenti a formare dei dirigenti, dei funzionari della pubblica amministrazione che fossero in grado di recepire, di prendere il patrimonio di conoscenze, di farle proprie e di portarle avanti. Quindi, io credo che ci sia un grosso compito che noi tutti dobbiamo avere all'interno della pubblica amministrazione, che è quello di formare, non solo attraverso una scuola specifica, come la Scuola superiore della pubblica amministrazione, ma anche di formare, con con periodi formativi, delle persone da portare avanti per far sì che la nostra amministrazione diventi veramente un servizio efficace, un servizio per i cittadini. Per questo noi abbiamo così insistito sulla selezione pubblica concorsuale, sul concorso, perché la pubblica amministrazione è la faccia dello Stato a contatto con i cittadini, e io credo che il punto nodale sia la scelta, la vera scelta di persone in grado di ricoprire ruoli all'interno della pubblica amministrazione, di scegliere i più bravi, i più meritevoli, i più leali verso lo Stato. Perché il terzo punto che a me sta molto a cuore, all'interno di questo decreto-legge, è sicuramente la lotta alla corruzione. Questo è un punto importante all'interno del nostro Paese, ma la lotta alla corruzione si comincia proprio con la scelta di funzionari, di dipendenti e di dirigenti della pubblica amministrazione che abbiano, non solo requisiti di merito, ma soprattutto il requisito fondamentale, che è quello di lealtà verso l'amministrazione nella quale si opera e di lealtà verso lo Stato .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferrari. Ne ha facoltà.
ALAN FERRARI. Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, arriva oggi in Aula uno dei provvedimenti più importanti, a mio avviso, del Governo Renzi: il decreto-legge n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e l'efficienza degli uffici giudiziari. Un anello fondamentale della catena di riforme che il Governo sta con decisione e coraggio proponendo al Paese, il primo di una serie in questo ambito. Un anello che si inserisce, concettualmente e sostanzialmente, tra la legge Delrio e le riforme costituzionali del Senato e del Titolo V. Un anello che tocca uno dei nervi più scoperti del Paese: la riforma della pubblica amministrazione.
Essendo questa la sua natura, non può certo stupirci il fatto che sia stato, ancor prima della sua conversione alle Camere, oggetto di un così ampio dibattito. Non c’è un un un singolo confronto politico, un singolo scambio con le rappresentanze socio-economiche o con gli ordini professionali e associazioni delle più svariate categorie, che non abbia visto questo decreto-legge protagonista nelle ultime settimane.
Ma se la «puntuale attenzione» rivolta da questi ultimi era prevedibile per la natura stessa del decreto-legge, che come già ricordato si presenta ambizioso, complesso, ampio, per certi aspetti duro e molto tecnico, è la più disinteressata curiosità di tanti cittadini a rappresentare il punto politico più interessante, a mio avviso.
In queste settimane, durante il lavoro in Commissione, è come se ci fossimo sentiti addosso gli occhi di tanti, gli occhi di tutte le persone che sperano che sia la volta buona, quella in cui finalmente si ridà al sistema pubblico il compito che gli compete. Quella in cui si apre, finalmente, la strada della «libertà amministrativa», intesa come libertà di ciascuno di noi, cittadini, di interagire fruttuosamente con una pubblica amministrazione ricettiva, intraprendente, proiettata verso il servizio «al pubblico» e verso risultati sempre più convincenti per l'individuo e la popolazione, anche tramite una continua crescita della propria produttività.
Parlo di una pubblica amministrazione che abbia come scopo, effettivamente perseguito, quello di mantenere la «promessa» – tipica di una democrazia liberale ad economia sociale di mercato come la nostra – secondo cui la «mano pubblica» deve avere come fine della sua stessa esistenza il promuovere, stimolare e aiutare il protagonismo economico-sociale del cittadino e della società.
Mentre la dico così, sono io il primo, da cittadino e rappresentante delle istituzioni, a sentire il peso di questa prospettiva. Il traguardo sembra davvero ancora lontano, ma mai come oggi ci sono le condizioni perché un determinato coraggio superi la paura.
Per riuscirci è del tutto evidente che serve un impegno corale. E serve prima di tutto che questo Governo, il suo Presidente Renzi, i suoi Ministri, si facciano forza delle caratteristiche del mandato che stanno incarnando: il mandato a perseguire obiettivi seguendo la strada della «maggior resistenza», proprio per scardinarla, strada inusuale, non convenzionale, che fonda le sue radici in un dialogo nuovo tra Governo e Paese che ogni giorno si mostra come reciprocamente auto-propulsivo.
Se mi posso permettere, è proprio la fotografia di questo dialogo che vorrei twittare al Governo, affinché ne sia pienamente consapevole, aggiungendo però che, anche un notevole e spontaneo punto di forza come questo non si trasforma automaticamente in un effettivo risultato di cambiamento. Ma siamo sulla strada giusta, una strada che va seguita a tappe forzate, come ci è richiesto dalle critiche condizioni in cui versa il Paese e va, soprattutto, seguita con la consapevolezza che il Paese non lo cambiamo una volta per tutte, ma per balzi successivi, ciascuno dei quali può e deve prendere forza dai risultati raggiunti da quello che lo precede.
Allora, credo che sia doveroso in questo dibattito chiederci se la riforma che stiamo discutendo possieda o meno le caratteristiche giuste per correre su questa strada e se abbia già saputo raggiungere il primo traguardo volante. Io penso di sì, ed è questa, signora Ministro, credo l'opinione unanime del Partito Democratico: un'opinione che si basa su fatti concreti, perché in questo provvedimento risultano, prima di tutto, chiari lo stato di partenza e quello a cui tendere.
Aver chiaro lo stato di partenza vuol dire aver saputo riconoscere che, a dispetto della tanta qualità che risiede in migliaia di impiegati pubblici di valore, il sistema pubblico nel suo complesso risulta inefficiente ed improduttivo, risulta mosso da troppo assistenzialismo, da posizioni di rendita, da eccessivi limiti di aggiornamento, da limiti tecnici e tecnologici, dalla netta ed inopportuna prevalenza dell'approccio giuridico e troppo poco impermeabile a comportamenti illegali.
Aver chiaro lo stato a cui tendere significa saper definire con lucidità i principi che ispirano il percorso riformatore, che attraversano già questo articolato: come l'affermazione della trasparenza assoluta di ogni attività; come il bisogno di assumere finalmente uno stile di gestione amministrativa di tipo manageriale, basato su forme chiare di rapporto tra costi e ricavi, di efficacia e di efficienza negli uffici e nelle intere istituzioni; come l'innesco di processi emulativi e cooperativi; come la necessità di trasferire competenze e discipline tra generazioni diverse; come il desiderio di legare l'apprendimento al risultato, attivando finalmente una valutazione capace di misurare non solo le individuali o dei comparti organizzativi, ma anche la bontà delle politiche; come l'urgenza di mettere il centro al servizio dei territori, da Sud a Nord, invertendo l'ordine attuale per troppo tempo condizionato da una mentalità centralista incapace di riflettere sulla natura congenita federale del Paese e le sue conseguenti potenzialità.
Insomma, un elenco molto lungo che potrei ulteriormente arricchire, ma che già fin qui ci dà il senso di quello che si sta cercando di fare con questo provvedimento. Un provvedimento che, con determinazione e maturità politica – per le quali mi sento di ringraziare il Ministro Madia, il sottosegretario Rughetti e il relatore Fiano – è stato accompagnato fuori dalle Commissioni migliorato in molte sue parti. Ci sono tanti aspetti specifici che varrebbe la pena di richiamare: mi sento personalmente di mettere l'accento su alcuni.
Allora, bene, seppur non priva di inevitabili criticità, tutta la parte che riguarda il personale, chiaramente volta alla ricerca di una maggiore equità. Bene il capitolo riservato ad Anac, soprattutto perché ai poteri in senso stretto si affianca un approccio pragmatico su come svolgere effettivamente la funzione ispettiva. Bene il tentativo di ingaggiare con camere di commercio, scuole di alta formazione, una sfida di revisione complessiva di tutti soggetti che hanno come missione l'interesse generale, anche se la esercitano al limite o, addirittura, al di fuori del perimetro del sistema pubblico.
Bene, infine, quelle parti del decreto che ci consentono di correggere situazioni delicate, come il prelievo finanziario alle province legato al decreto-legge n. 66, che, se lasciato con scadenza a fine luglio, avrebbe azzoppato sul nascere il processo di riordino avviato; come l'applicazione graduale della stazione appaltante unica per i comuni e, ancora, di trovare soluzione – e mi auguro che l'Aula la confermi – a «quota 96».
Per chi come me ha potuto partecipare in Commissione affari costituzionali alla costruzione del testo finale, lo scorrere questi risultati è motivo di grande orgoglio. Credo debba essere l'orgoglio di un'intera comunità politica – la nostra – chiamata, anche con riforme come questa, a sgomberare il campo da equivoci e paure. Una comunità politica che deve incamminarsi con convinzione verso lo Stato giusto, quello trasparente, quello che produce una diffusa partecipazione democratica, quello responsabile. Per sostenere questa scelta, però, bisogna credere che un futuro diverso sia realmente possibile. Bisogna credere che l'Italia non sia fregata, anzi, che abbia (e ce le ha) tutte le qualità sul piano economico, politico e culturale per farcela.
Presidente, colleghi, nei giorni scorsi, rileggendo qua e là alcuni contributi dei tanti studiosi che nei decenni hanno cercato di affrontare la relazione tra politica e amministrazione, mi sono imbattuto in alcuni testi di Albert Hirschman, uno degli economisti che più ha cercato di affermare il principio di cultura pragmatico-democratica nell'amministrazione pubblica, ed è stata una delle sue leggi più beffarde a sembrare più appropriata per le nostre vicende di oggi, che ci vedono impegnati a risolvere uno degli enigmi più grandi del nostro Paese: il perché non riusciamo a cambiare il sistema pubblico.
In questa legge Hirschman dice che i problemi si capiscono davvero solo quando stanno per scomparire. Possiamo dare due interpretazioni diverse a questa legge: che il fatto di aver riconosciuto molti dei lacci che zavorrano l'amministrazione pubblica ci dica che siamo vicini alla meta, oppure che per risolvere un problema che ci sta davvero a cuore è bene che ce ne occupiamo alacremente, con instancabile determinazione e aggiungo creatività. È questa seconda che sento di fare mia, non solo perché dubito che siamo davvero vicini alla piena affermazione della libertà amministrativa ma perché è questo lo spirito che ho ritrovato nel Governo in queste settimane su questo provvedimento. Uno spirito che ci deve animare tutti e che deve assurgere a paradigma del nostro impegno, quello spirito che ci chiede il Paese prima di ogni altra cosa .
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Ferrari, anche per la sintesi.
È iscritto a parlare l'onorevole Cozzolino, dopo il quale sospenderemo i nostri lavori, che riprenderanno intorno alle 14,30. Ne ha facoltà.
EMANUELE COZZOLINO. Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, fin da quando abbiamo potuto dare una prima lettura a questo testo del decreto sulla pubblica amministrazione abbiamo riscontrato delle perplessità; perplessità che purtroppo sono aumentate nel corso dell'esame in Commissione e alla luce degli emendamenti approvati fino a trasformarsi in un dissenso che, almeno all'inizio, non era scontato da parte nostra.
Le critiche che muoviamo a questo decreto sono di tre tipologie diverse. La prima, che in un Paese normale dovrebbe essere quella più importante, consiste nel fatto che questo provvedimento non avrebbe dovuto essere varato sotto tale forma, perché privo totalmente dei requisiti di necessità e urgenza. Al massimo, se, «colà dove si puote», si fosse svolto un vaglio di costituzionalità degno di tale nome, ci saremmo dovuti trovare ad esaminare un decreto con una decina di articoli al massimo. Comprendo che quanto in queste ore sta succedendo al Senato, con le pressioni che arrivano non solo da Palazzo Chigi ma anche in maniera evidente da più in alto, rende poco più che una quisquilia disquisire sui requisiti di necessità e urgenza che debbono avere le norme che compongono un decreto-legge.
Ma in un momento in cui si vuole stravolgere l'assetto istituzionale di questo Paese figuriamoci se in Consiglio dei ministri si può stare a perdere tempo, se una riforma come quella del processo civile si possa fare per decreto o se abbia un senso inserire dentro questo provvedimento d'urgenza molte formulazioni quanto mai vaghe in tema di trasparenza della pubblica amministrazione.
Norme, quelle sulla mappatura degli enti pubblici e sulla trasparenza dei dati, che ricordano un po’ il gioco dei travasi che i bambini fanno d'estate, con l'acqua, sempre la stessa, che viene passata da un secchiello all'altro senza alcuna finalità. Ovviamente, se il Governo ci ha presentato un decreto pieno di norme ordinamentali, nei confronti degli emendamenti presentati in Commissione la severità in tema di ammissibilità è stata massima.
A proposito, perdonatemi colleghi se cito un aneddoto che mi ha riguardato da vicino. Avevo presentato un emendamento a mia prima firma che, proponendo un articolo aggiuntivo, stabiliva semplicemente che le pubbliche amministrazioni non potessero richiedere dati già in possesso dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente. Ebbene, in un provvedimento che parla di pubblica amministrazione e trasparenza amministrativa, in un primo momento questo emendamento è stato dichiarato inammissibile. A seguito di ricorso è stato successivamente riammesso, ed ora costituisce l'articolo 17- del testo che stiamo esaminando.
Un'altra criticità di questo provvedimento riguarda il fatto che, fatta eccezione per alcuni capi, sui quali tornerò in seguito, la maggior parte delle sue norme sono poco più che delle enunciazioni di principio, o più propriamente degli . A farsi la spia da solo, in questo senso, ci ha pensato lo stesso Governo, che ha inserito, o almeno così ha annunciato, la vera ciccia in tema di pubblica amministrazione nella legge delega approvata in Consiglio dei ministri. Dunque, ci troviamo davanti ad un decreto che potremmo definire furbo, e in questo si deve riconoscere una estrema coerenza nella linea che il Governo sta portando avanti.
Un modo di procedere che, a mio modesto avviso, è stato fotografato alla perfezione da un editoriale di Antonio Polito sul dal titolo abbastanza significativo: «». Polito, che di certo non è un filo-5 Stelle e che allo stesso tempo non è tra i nostri parte da una frase del Presidente del Consiglio che, per minimizzare la revisione al ribasso della crescita del nostro PIL, dice: che la crescita sia 0,4, 0,8 o 1,5 non cambia nulla nella vita quotidiana delle persone. Per poi aggiungere che un punto di PIL, più o in meno, sono circa 16 miliardi euro, e che dunque è difficile dire che non cambi nulla.
Proprio le stime al ribasso del nostro PIL riviste in queste giorni da diverse istituzioni sembrano rendere sempre più probabile una manovra aggiuntiva: quella manovra – e di questo gli va dato atto – che il collega Brunetta paventa ormai da settimane sul suo . Se il contesto economico è questo, se gli ottanta euro hanno solo aumentato la spesa pubblica senza produrre effetti apprezzabili in termini di rilancio dell'economia, scontrino della spesa della nostra ex collega Picierno a parte, che senso ha un decreto-legge come quello presentato dal Governo se non la finalità della semplice «» ?
Nonostante le perplessità di partenza, il MoVimento 5 Stelle ha affrontato comunque l'esame del provvedimento con spirito costruttivo, al fine di migliorarlo in alcuni suoi aspetti e di renderlo più concreto per altri. Poiché il Presidente dell'Anac Raffaele Cantone in audizione, con il Ministro Madia al suo fianco, è stato costretto a presentare una sorta di lista della spesa per quanto riguardava le correzioni da apportare alle norme in tema di anticorruzione, ci siamo assunti l'onere di tradurre tali indicazioni in emendamenti. Alcuni, va detto, sono stati accolti, ma molti altri, purtroppo, sono stati respinti.
Anche in tema di riorganizzazione della pubblica amministrazione avevamo presentato un pacchetto di proposte qualificate, che in parte avevano come fine di rendere un po’ più concrete e certificabili le misure del Governo, dall'altra proponevano soluzioni aggiuntive che in tema di trasparenza amministrativa non possono essere ulteriormente rinviate. Anche in questo caso l'accoglimento delle nostre proposte, che pure vi è stato, è stato alquanto limitato.
Se, come ho già avuto modo di dire, molte norme di questo decreto-legge erano un po’ all'acqua di rose, al contrario molti sono stati gli emendamenti mirati della maggioranza volti a sistemare questioni assai concrete. Un modo di procedere che in alcuni casi ha dato l'impressione che il Governo e la maggioranza recitassero il ruolo del poliziotto buono e di quello cattivo.
In questo senso, emblematiche sono le modifiche piovute sull'articolo 23, che dettava una serie di modifiche alla legge di riforma delle province. Già il fatto che una legge approvata lo scorso aprile sia stata più volte modificata in diverse parti la dice lunga sulla qualità della riforma. In occasione di questo provvedimento sono state apportate modifiche strutturali, ovviamente a nostro avviso non positive, come ad esempio il sistema elettorale dei futuri consigli provinciali. Il testo vigente della legge Delrio infatti, per la composizione dei consigli provinciali, prevede un sistema di elezione basato sui voti ottenuti dai singoli candidati all'interno delle varie liste.
Un emendamento del Partito Democratico ha modificato questo sistema, inserendo il meccanismo delle liste concorrenti. Potrebbe sembrare una modifica secondaria, o addirittura volta a rendere più razionale la legge attuale, se non fosse che, con questa modifica, il Partito Democratico ha posto le basi per fare il pieno nei futuri consigli provinciali. È evidente infatti che chi, come il Partito Democratico, possiede un gran numero di grandi elettori in provincia, trae più vantaggio da un sistema che gli consente di convogliare tutti i voti su un'unica lista invece di ripartirli tra più candidati. Alla luce di questa modifica, che di fatto esclude le forze politiche piccole e medie dall'accesso ai futuri consigli provinciali, ci viene il dubbio che le province non saranno così transitorie come invece si è voluto far credere all'atto dell'approvazione della legge Delrio.
Sempre in tema di province, merita di essere segnalata la modifica che ha eliminato l'ulteriore vincolo per i provvedimenti di spesa per quelle province che non hanno ancora approvato il bilancio preventivo. Anche in questo caso, il sospetto che si siano volute liberare le mani ai presidenti delle province in carica per gli affari correnti in maniera più ampia di quanto sia previsto dalla legge vigente è più che legittimo.
Singolare poi è stato il fatto che il nostro emendamento, che proponeva di eliminare la norma, sempre del disegno di legge Delrio, che in fase di prima applicazione sia consentita la candidatura anche a consiglieri provinciali uscenti, sia stato ovviamente respinto. Anche più singolare è stata la motivazione da parte del sottosegretario Bressa al parere contrario del Governo, sostenendo che trattandosi di poche decine, non c’è alcuna ragione di escludere i consiglieri provinciali uscenti anche se non sono consiglieri comunali, come prevede il meccanismo della nuova legge. Ovviamente non potevano mancare le pressioni delle categorie, volte ad annacquare una disposizione o a prevederne l'immancabile deroga. Indicativo in questo senso è il regalino fatto ai consiglieri di Stato pensionandi, mantenuti al loro posto fino al 31 dicembre 2015 da un emendamento della SVP.
Come ho accennato prima, dunque, il provvedimento in molte sue parti è stato fortemente modificato nel corso dell'esame in Commissione, e purtroppo per quanto ci riguarda la maggior parte di queste modifiche sono in senso peggiorativo.
Ultima notazione riguarda il fatto che a breve verrà posta la fiducia sul provvedimento, rendendo impossibile la discussione di merito anche su pochi e qualificanti emendamenti. Una soluzione, questa, che ci sentiamo di stigmatizzare, perché conseguenza di un iter molto rallentato in Commissione, che certo non è imputabile in alcun modo alle opposizioni. Non è la prima volta che i lavori in Commissione procedono a singhiozzo – mi ricordo il decreto-legge «del fare» un anno fa – e vanno alle lunghe perché la maggioranza non trova l'accordo al suo interno. E non è la prima volta che, una volta trovata a fatica la quadra, il Governo pone la fiducia non perché le opposizioni facciano ostruzionismo, ma solo per evitare che nel campo della maggioranza si riaprano pericolose questioni non risolte.
Ovviamente sulle fiducie e sulla tempistica delle conversioni dei decreti-legge influisce non poco quanto sta accadendo al Senato, dove il Governo, ostinandosi nel voler portare a casa la riforma costituzionale entro l'estate, riduce gli spazi che invece dovrebbero essere assicurati alla conversione di decreti-legge.
In questo senso, colleghi, se si guarda agli lanciati dal Presidente del Consiglio, sembra che stia recitando la scena della gara a chi alza per ultimo il piede dall'acceleratore del film . Se invece si ponesse più attenzione a provvedimenti come quello di cui stiamo discutendo, ci accorgeremmo che il copione vero che segue il Presidente del Consiglio è, in realtà quello de pronto a far scomparire l'agenzia di scommesse che ha fittiziamente messo in piedi quando qualcuno verrà a chiedere conto delle promesse non mantenute.
PRESIDENTE. A questo punto sospendiamo la seduta, che riprenderà alle 14,30. La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baruffi. Ne ha facoltà.
DAVIDE BARUFFI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il provvedimento che ci apprestiamo a convertire è piuttosto articolato e complesso, io mi concentrerò in particolare sulla parte che più rileva per il personale della pubblica amministrazione. L'obiettivo che il Governo si è assegnato è questo: generare più efficienza nella pubblica amministrazione attraverso un utilizzo migliore delle risorse, una razionalizzazione delle stesse, una valorizzazione delle professionalità presenti nella pubblica amministrazione anche attraverso l'ingresso di nuove leve con il ricambio generazionale. Un provvedimento in materia di pubblica amministrazione più in generale è buono se semplifica la vita per i cittadini e per le imprese, se riduce naturalmente costi e sprechi producendo efficienza, se riesce a motivare maggiormente i dipendenti. Quindi un giudizio più compiuto potrà essere dato solo con la decantazione, con l'approvazione e poi l'attuazione della legge delega, che è stata varata di recente.
In ogni caso gli obiettivi enunciati sono condivisibili, il provvedimento complessivamente appare coerente, anche e soprattutto alla luce delle modifiche che sono state apportate in sede di I Commissione, con un buon lavoro; non senza talune criticità che permangono.
Voglio fare due premesse già di merito di carattere generale, la prima è questa: ritengo indispensabile che si sblocchi immediatamente la contrattazione nel pubblico impiego. Dopo tanto tempo, non solo per ragioni etiche – perché è giusto – ma perché non c’è cambiamento e non c’è progetto di innovazione che possa essere praticato senza il coinvolgimento diretto dei lavoratori. Da qui più in generale, una seconda considerazione: noi siamo per la privatizzazione del regime del lavoro pubblico, mentre è sbagliata la via autoritativa per legge, che pretende di risolvere i problemi che non riesce ad affrontare attraverso il confronto, per via normativa.
Le osservazioni formulate dalla Commissione lavoro muovono da queste premesse per assumere, rafforzare e, in taluni casi anche correggere, il provvedimento in esame, il decreto-legge n. 90. Voglio illustrare gli elementi essenziali, con degli elementi di giudizio naturalmente. Bene il modo in cui si è risolto l'obiettivo del ricambio generazionale, questo ricambio passa senz'altro dal congedo dei lavoratori più maturi, dal loro pensionamento, e dall'ingresso delle leve più giovani. Bene quindi i due istituti su cui si è intervenuti già nel testo originale del decreto: l'abolizione del trattenimento in servizio e il rafforzamento, viceversa, della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro. Sono stati questi due istituti migliorati ed estesi nella loro portata, con appositi emendamenti in sede di I Commissione.
Ancora, la portata dell'operazione complessiva in uscita – chiamiamola così – è stata estesa con altre due misure, presenti tra quelle che la Commissione lavoro aveva indicato, in particolare il superamento delle penalizzazioni derivanti dalla prestazione effettiva di lavoro – questo concetto che è stato introdotto dalla riforma Fornero e che ritardava il pensionamento di persone che ne avevano il diritto, non entro nel merito ma credo che il passo in avanti fatto in Commissione sia stato molto importante, è un passo in avanti fatto, per inciso, non solo per i lavoratori della pubblica amministrazione, dove però più evidente era la contraddizione che si generava – e ancora la seconda, si è trovata finalmente una soluzione per la questione annosa degli insegnanti «quota 96». Anche qui non devo entrarci più di tanto, ma i lavoratori della scuola erano stati doppiamente colpiti dalla Fornero, non solo dall'innalzamento brusco dell'età pensionabile che ha coinvolto la platea di tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, ma anche per il modo in cui questa riforma è stata approntata sul comparto non considerando i tempi della scuola. Il fatto che dopo numerose iniziative parlamentari, anche unitarie, si arrivi oggi a un risultato lo considero un fatto assolutamente positivo.
Queste due misure correttive – o se vogliamo aggiuntive – per il decreto rafforzano senz'altro il ricambio generazionale, basti pensare alla possibilità di 4 mila insegnanti di entrare in ruolo. Fanno anche un po’ di giustizia rispetto a errori compiuti in passato. Aggiungo che ci evitano anche ulteriori errori.
Infatti, il combinato disposto di quanto previsto dalla possibilità di pensionare immediatamente i lavoratori maturi, insieme alla mancata rimozione di queste penalizzazioni, avrebbe generato nuove iniquità e nuove ingiustizie. Così non è.
La Commissione aveva avanzato, insieme a queste, altre proposte coerenti e certamente più onerose: il complesso è positivo e rappresenta un passo avanti oggettivo. Io credo che quelle proposte restino sul tavolo e che possa essere interesse del Parlamento e del Governo naturalmente compiere ulteriori passi avanti, magari anche con la predisposizione di appositi ordini del giorno, che segnino in ogni caso un impegno di ordine politico, che oggi non può essere sul piano finanziario.
Bene, a questo proposito, anche una misura – se volete – più circoscritta, ma dal punto di vista simbolico non meno importante, del limite introdotto di un anno rispetto alla possibilità di tenere i dirigenti in quiescenza presso le stesse pubbliche amministrazioni. Io credo che sia un segnale giusto, perché noi vogliamo interpretarla come la possibilità di accompagnare, con una possibile staffetta generazionale, l'ingresso di nuove leve. Se si trasformasse – il rischio era questo – nella possibilità di continuare a gestire influenze, sarebbe stato un fatto assolutamente negativo.
Ma per un ricambio nella pubblica amministrazione non basta togliere il tappo; occorre riaprire il rubinetto, altrimenti la vasca si vuota. Ok quindi alcuni dei provvedimenti che sono contenuti nel decreto-legge e vanno nella direzione giusta, ad esempio l'allentamento del blocco del turn over per gli enti locali, per i comuni diciamo a questo punto. Bene anche aver recuperato l'università tra i comparti che hanno un regime speciale rispetto al blocco della turnazione; bene l'aver ampliato la disponibilità di oltre mille unità per i vigili del fuoco e lo scorrimento delle graduatorie per la polizia; questioni che ha ripercorso il relatore, e non ci torno.
Cito invece la possibilità di prorogare ulteriormente i contratti a tempo determinato per i precari delle province. Non si tratta di un terzo tempo di gioco che vogliamo concedere, ma della necessità di tenere insieme, da un lato, i diritti dei lavoratori e, dall'altro, la continuità dei servizi fino a quando il Governo non eserciterà il decreto che è preposto ad emanare con la rivisitazione delle funzioni e delle risorse.
Naturalmente, al ricambio generazionale si può rispondere in tanti modi, ma questo dell'apertura del rubinetto è la strada principale. Il segno rimane complessivamente non positivo, e occorre fare altri passi in avanti.
Tra queste strade c’è anche la possibilità della mobilità naturalmente, cioè di un più corretto ed efficiente impiego delle risorse disponibili nel quadro della valorizzazione e noi siamo molto d'accordo con questo obiettivo del Governo, che è stampato dentro il decreto. Abbiamo posto alcune osservazioni e poi, attraverso emendamenti, introdotto alcuni correttivi che io ritengo utili e migliorativi, perché il nostro intento era quello – ripeto – non di cambiare l'obiettivo, ma di renderlo attuabile e compatibile attraverso corretti istituti, anche di trasparenza e di confronto. Mi riferisco, ad esempio, alla possibilità di coinvolgere le organizzazioni sindacali nella definizione dei criteri, un passo avanti che è stato compiuto, una definizione più trasparente da parte delle amministrazioni pubbliche a monte, in modo preventivo, dei requisiti e delle competenze richieste, la sostituzione dell'improprio – uso un eufemismo – concetto di unità produttiva che era contenuto all'interno del decreto-legge. Abbiamo fatto un lavoro positivo con il Governo – e adesso vedo qui e ringrazio anche il sottosegretario Rughetti – perché credo che sia la dimostrazione che si può cogliere esattamente lo stesso obiettivo senza andare a stravolgere concetti che attengono ad altri istituti normativi e a generare quindi un possibile contenzioso.
La salvaguardia di alcune categorie più fragili: l'emendamento è stato presentato in questo caso da una collega non del mio partito, ma che voglio sottolineare positivamente, cioè l'idea che debba essere salvaguardato chi ha figli sotto i tre anni o chi assiste, ad esempio, un disabile.
In questa logica di fattibilità e compatibilità, muovono altre due osservazioni fatte dalla Commissione lavoro circa l'unificazione delle autorità e la riduzione del 50 per cento del contributo pagato delle imprese alle camere di commercio. Le due operazioni hanno evidenti risvolti anche sulla vita dei lavoratori: nel merito hanno già detto invece rispetto alla portata dei provvedimenti i colleghi che mi hanno preceduto e so che altri colleghi del mio gruppo interverranno su questo.
Io mi limito a registrare come i passi avanti compiuti in Commissione vanno nella direzione da noi auspicata e ci consentono di sviluppare quel confronto dentro il processo – a questo punto non c’è più un'istantanea, c’è un processo che si determina – che può individuare soluzioni per salvaguardare i lavoratori stessi.
Certamente più critico, problematico, è il nodo legato all'istituto del demansionamento e alla previsione di derogare, in via generale, al codice civile. Tale previsione è stata puntualizzata, circoscritta, meglio accompagnata, direi, da una serie di specifiche introdotte con emendamenti. In particolare, l'arretramento è stato limitato ad una sola possibile categoria, di una sola qualifica, e pure nella cogenza immediata della norma non è prevista una riserva di legge, cioè si dà la facoltà, la possibilità, alle parti sociali di negoziare in questo senso le modalità applicative. Inoltre, il personale demansionato conserva la possibilità successiva di essere ricollocato nella propria qualifica.
Vado a concludere, Presidente. Nota ancora critica è che in materia di prerogative sindacali la formulazione dell'articolo 7 resta, a mio avviso, non positiva (il sottosegretario lo sa; quindi, non è una novità). Le precisazioni fornite dal Governo, nell'esame in Commissione, sono senz'altro apprezzabili, ma io credo di scarsa utilità. L'avere assommato istituti diversi di agibilità sindacale, distacchi, permessi e aspettative, senza precisare se a titolo oneroso o meno, avere previsto il dimezzamento al di fuori di ogni confronto con le parti, l'avere utilizzato l'espressione «associazioni sindacali» pensando così di salvaguardare, cioè di escludere automaticamente, le RSU, sono tutti elementi che io considero non convincenti. Se l'intento e gli obiettivi erano quelli esplicitati dal Governo – e non ho dubbio che sia così e, in parte, sono anche condivisibili – io credo che avremmo potuto, anche in questo caso, trovare una soluzione per una strada più agevole. Io mi dispiaccio di questa indisponibilità che abbiamo registrato, perché credo che permanga un problema politico su questo punto.
Voglio, però, concludere con una nota positiva, davvero in trenta secondi, Presidente. Considero positivo il fatto che il Governo in questo caso abbia accolto due emendamenti che segnalano una specificità rispetto ai comuni colpiti dal sisma nel 2012 per quanto riguarda in particolare l'Emilia Romagna, sia per quanto riguarda la centrale unica degli appalti, dentro una revisione del provvedimento più generale, sia per quanto riguarda i vincoli del personale, e confido, come dire, nella benevola e robusta consulenza del Governo, del sottosegretario Rughetti, che è qui presente, per spiegare anche alla Ragioneria generale dello Stato che questi interventi non modificano gli equilibri di finanza pubblica e i vincoli a cui sono sottoposti quegli enti locali specifici, ma ci permettono di fare un passo avanti.
Ripeto: il giudizio nel complesso del provvedimento è positivo.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Piccione. Ne ha facoltà.
TERESA PICCIONE. Signor Presidente, io credo che oggi noi stiamo affrontando in Aula uno degli atti più importanti, perché mettere mano alla pubblica amministrazione, riorganizzarla innovandola, è mettere mano dentro la stessa funzione dello Stato. Non penso ci sia bisogno di ricordare che la pubblica amministrazione nasce, si articola, si declina in maniera sempre più funzionale a quelle che sono le esigenze dei territori e dello stesso governo di essi, a partire dallo Stato moderno, ed è legata proprio a un'idea di Stato come sistema, che poi si declina nelle varie articolazioni, sempre più piccole e decentrate dopo quelle centrali, e che attraverso la pubblica amministrazione dà i suoi indirizzi ma anche esercita tutte le funzioni.
Allora, io penso che se oggi noi ci troviamo di fronte a questo primo tentativo di riorganizzazione abbiamo fatto un grande passo avanti, perché è ovvio che in questi 150 anni qualche cosa si è inceppato e deve essere modificato se vogliamo restituire al nostro Paese smalto, efficienza e competitività.
Io credo che in quest'atto viene chiesto a tutti – e viene chiesta soprattutto alla pubblica amministrazione – un'assunzione di responsabilità collettiva e una partecipazione al rinnovamento dell'intero Paese.
Con questo primo atto sulla pubblica amministrazione, perché la strada è certamente ancora lunga, questo decreto innova, razionalizza, semplifica, ridisegna, riorganizza in varie parti della materia.
Io andrò per punti e questa riorganizzazione – voglio sottolinearlo – ha un merito in più: avviene a mio avviso nella maggioranza dei casi – ed è il segno riformista del provvedimento – in base a criteri di equità e giustizia distributiva, di riequilibrio, che è quello che tutti gli italiani ci chiedono. Inutile dire che già l'articolo 1, non per nulla esaminato fra gli ultimi, è un nodo cruciale e a questo articolo 1, che abroga la deroga del trattenimento in servizio e ovviamente agevola il vanno legati a mio avviso i più significativi elementi che noi immettiamo in questa branca. Una è proprio la «quota 96», di cui qualche collega stamattina ha già parlato, e lo dico perché convintamente disposta a vedere in questo provvedimento la realizzazione dei quel riconoscimento di diritti e di quel riequilibrio di cui parlavo in premessa. È un modo per restituire al personale della scuola quello che per questi anni non ha avuto, cioè quel personale che ha pagato il prezzo di trovarsi all'interno di un contratto particolare che non ha consentito a nessuno di essi, di questi docenti o del personale amministrativo o dei dirigenti stessi di andare in pensione al 31 dicembre 2011 e di trovarsi al 1o gennaio 2012 nel pieno della riforma Fornero, che negava loro la possibilità di andare in quiescenza. Allora, questo forse è l'elemento che più apre al ricambio generazionale, perché se c’è un posto dove la sostituzione deve essere fatta quello è proprio tra i banchi di una classe. Credo che questo connoti l'azione di questo Parlamento e sottolinei uno degli elementi, a mio avviso, più interessanti e belli che si è registrato nel lavoro su questo provvedimento durante le lunghe serate passate in I Commissione, cioè il rapporto, il confronto dialettico, ma aperto, franco e costruttivo che la Commissione ha potuto intrattenere con il Governo, sempre presente e sempre disponibile a rivedere posizioni nel momento in cui questo era compatibile con la del provvedimento stesso. Io riconosco che questo quindi è un elemento di particolare importanza che si registra all'interno di un metodo che mi auguro possa essere seguito anche nei provvedimenti a seguire.
Ci sono poi degli altri articoli che voglio sottolineare in maniera particolare. Uno è anche quello sulla mobilità, che è stato tanto discusso e che pure secondo me non solo risponde alle esigenze del funzionamento e del buon andamento della pubblica amministrazione, dotando gli uffici sotto pianta di nuove unità, ma risponde anche ad una valorizzazione del personale stesso, ed è giusto che la Commissione abbia delimitato di un solo gradino, come diceva prima di me il collega, anche il declassamento e che si dia al lavoratore la possibilità poi, su sua istanza, di essere di nuovo ripristinato nella mansione precedente. Trovo che questo aiuta, aiuta molto gli enti locali, così come l'altro provvedimento che consente ad essi di assumere per il 60 per cento del che è avvenuto.
Infatti, questo, negli enti locali, pieni di tanti precari, è sicuramente un elemento di vantaggio e di attenzione da parte di questo Governo. Vi sono, poi, degli elementi, a mio avviso, di grande giustizia. Uno è quello che costituisce un fondo di 5 milioni di euro nell'INAIL, per gli anni 2014 e 2015, per pagare l'assicurazione per il personale che gode di ammortizzatori sociali e che presta servizio in attività di progetti di volontariato all'interno degli enti locali; quindi, sgrava, ancora una volta, l'ente locale dal peso di questi profili assicurativi.
Un'altra cosa importante è l'estensione dell'abilitazione universitaria a sei anni e anche il fatto che sia possibile fare una domanda liberamente nel tempo. Altro elemento rilevante è l'istituzione di una banca dati sul personale degli enti pubblici, delle partecipate e di tutti quelli che sono in disponibilità. Trovo che, anche sull'articolo 18, il punto di equilibrio trovato nel mantenimento delle sedi dei tribunali amministrativi, laddove vi siano sedi di corti di appello, risponda a un criterio oggettivo, che sicuramente tiene conto anche del volume del contenzioso affrontato.
Un altro articolo, a mio avviso, importantissimo è l'articolo 24, che prevede una modulistica standardizzata. Sappiamo dalle aziende, dai che uno dei freni proprio all'efficienza e alla velocizzazione degli interventi, anche in economia, è dovuto al fatto che ogni regione, ogni comune, propone procedure e modelli diversi per lo stesso tipo di istanze, cosa che scoraggia anche gli investitori.
Questo accordo trovato tra il Governo e la Conferenza Stato-regioni si qualifica, a mio avviso, in maniera peculiare per superare questa . Un altro articolo di particolare rilievo è l'articolo 25, in cui si viene incontro, finalmente, ai disagi che le categorie dei disabili, ma anche dei cittadini che soffrono di patologie croniche o irreversibili, hanno affrontato in questi anni. Si toglie, cioè, loro – lasciatemi passare la parola – l'umiliazione anche di essere dichiarati rivedibili, quando da quelle patologie non è possibile uscire. E poi vi è anche il fatto di avere dato la garanzia che, nel passaggio dalla minore alla maggiore età, in attesa della nuova verifica, si possa mantenere l'assegno di cui si godeva.
Voglio concludere, Presidente, con un ricordo, se mi permette, quasi familiare: negli anni Ottanta, il presidente della Commissione affari istituzionali dell'Assemblea regionale siciliana diceva spesso che il Governo più coraggioso sarebbe stato quello che avrebbe messo mano al riordino della pubblica amministrazione. Quel presidente, in quegli anni, è mio padre. Voglio citare questa cosa e mi piace ricordarla perché, esaminando questo decreto, mi sono ricordata di questa sua affermazione ai convegni di quegli anni.
Ma voglio che serva anche da omaggio a lui, che sicuramente sarà molto contento di leggere queste pagine, perché nelle luci, molte, e nelle poche ombre non si spaventerà, convinto che avere cominciato è già un ottimo livello di azione. Voglio dedicare tale ricordo anche a questo Governo, al Ministro Madia e al sottosegretario, perché gli serva da augurio e da incoraggiamento.
È difficile riformare, vi è sempre qualcuno che resta scontento, ma noi abbiamo nella mente, nel cuore, l'interesse dell'Italia, del Paese. Vogliamo riconsegnare l'Italia ad un altro futuro, dimenticando i troppi momenti bui che viviamo o che abbiamo vissuto.
Vogliamo che l'Italia ritorni ad essere sullo scenario internazionale, e anche all'interno, autorevole, forte e competitiva. Un'Italia, però, anche giusta, in cui questa redistribuzione cominci con questo decreto. Perciò, andiamo avanti e che questo proficuo dialogo tra Parlamento e Governo possa essere un buon inizio e un buon viatico per tutti i viaggi che ancora ci aspettano
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ciprini. Ne ha facoltà.
TIZIANA CIPRINI. Signor Presidente, questo provvedimento apre un non casuale nella pubblica amministrazione. Innanzitutto, dico che in Commissione lavoro pubblico e privato avevamo votato all'unanimità per chiedere l'attribuzione congiunta di questo provvedimento assieme alla Commissione affari costituzionali. Ma non c’è stato niente da fare: la Commissione lavoro pubblico e privato è rimasta sede consultiva. Evidentemente, il «piè e lingua veloce» Renzi ha più in I Commissione rispetto alla XI Commissione, pullulante di dissidenti, si vede. Ed ecco, ancora una volta, che dobbiamo subire i conflitti tra correnti all'interno della maggioranza, invece, che tener fede alle competenze formalmente attribuite.
L'articolo 1 detta norme per favorire il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, disponendo l'abrogazione dell'istituto del trattenimento in servizio e l'ampliamento dell'ambito applicativo dell'istituto della risoluzione unilaterale del contratto da parte della pubblica amministrazione nei confronti dei dipendenti che abbiano maturato i requisiti pensionistici, ma con un approccio più morbido per i «baroni» dell'università e i primari, che trovano sempre una mano tesa dal mondo politico rispetto ai comuni mortali. Si sa, alcuni sono figli di un Dio maggiore e la legge non è uguale per tutti, nemmeno nella sua formulazione. Tuttavia, secondo le stime del l'abolizione del trattenimento in servizio dovrebbe liberare 15.000 posti per i giovani fino al 2018. La stima appare irreale e priva di riscontro: il numero del trattenimento in servizio si è già ridotto da qualche anno. Non si comprende da quali numeri il Governo abbia tratto questa previsione.
Si è risolto, finalmente, l'incubo per i 4.000 docenti della scuola, che vedono corretto il mero errore materiale dopo 2 anni, e per la risoluzione del quale anche il MoVimento 5 Stelle si è a lungo battuto. Tuttavia, è curioso che coloro, che furono gli artefici di quel disastro, ora sono salutati come i salvatori della patria. Infatti, dai resoconti della Camera risulta che la Ghizzoni votò a favore della legge n. 92 del 2012 approvata il 27 giugno 2012 su cui il Governo pose la fiducia. Ghizzoni votò a favore anche del decreto-legge n. 201 del 2011 il cosiddetto «Salva Italia» che oggi viene modificato proprio dall'emendamento Ghizzoni. Curioso davvero questo fatto.
I «quota 96» andranno in pensione al 1o settembre. Per il TFS, invece, dovranno aspettare di raggiungere i «requisiti Fornero» e lo prenderanno rateizzato.
L'articolo 3 contiene nuove disposizioni in materia di nelle pubbliche amministrazioni. Finalmente si procede allo scorrimento delle graduatorie della polizia per il quale anche il MoVimento 5 Stelle si è battuto, presentando numerosi emendamenti. In materia di pubblico impiego, il Governo avrebbe, però, potuto cogliere l'occasione per valorizzare i dipendenti del settore pubblico, invece che deprimerli.
L'intero comparto pubblico soffre del perdurante blocco della parte economica del contratto dal 2010 per effetto delle disposizioni del decreto-legge n. 78 e successive proroghe.
Si sottolinea che l'applicazione delle disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici del personale delle pubbliche amministrazioni in maniera indiscriminata e senza alcuna distinzione tra i settori delle amministrazioni coinvolte non appare in linea, non solo con quanto previsto dal decreto-legge n. 98 del 2011, che prevede la possibilità che l'ambito applicativo delle disposizioni in materia di limitazione delle facoltà assunzionali per le amministrazioni dello Stato sia differenziato, in ragione dell'esigenza di valorizzare ed incentivare l'efficienza di determinati settori, ma anche con le disposizioni del decreto legislativo n. 150 del 2009 (cosiddetta riforma Brunetta), procrastinando, di fatto, l'applicazione dei nuovi istituti contrattuali retributivi legati al merito.
Le perduranti disposizioni che congelano gli aumenti retributivi, le progressioni di carriera e gli scatti di anzianità per i pubblici dipendenti, senza alcuna valutazione e distinzione in ordine al merito e alla del settore dell'amministrazione del singolo dipendente, presentano anche profili di dubbia legittimità costituzionale, posto che il sacrificio imposto ai pubblici dipendenti oltre i limiti ragionevoli, così come il divieto di stipulazione di nuovi accordi economici collettivi, ha imposto un sacrificio irragionevolmente esteso nel tempo, e irrazionalmente ripartito fra categorie diverse di cittadini, così come recita anche la sentenza della Corte costituzionale.
Quindi, la riforma della pubblica amministrazione – ammesso che di riforma si possa parlare –, introdotta da questo decreto-legge, avrebbe potuto essere l'occasione per sbloccare la parte economica dell'intero comparto pubblico o quantomeno fissare un termine per la contrattazione economica.
Il MoVimento 5 Stelle aveva emendato per sbloccare la contrattazione nel pubblico impiego nel 2015. Ma la Madia, che in TV definiva il blocco un'ingiustizia, ha fatto spallucce e i dipendenti pubblici avranno la retribuzione bloccata ancora una volta. Oramai quella che doveva essere una misura eccezionale si è rivelata permanente e anticostituzionale; addirittura si paventa che si protragga fino al 2020. Quindi, ancora una volta, slogan pubblici, come impone un buon politico, e non azioni private.
Intanto, il potere d'acquisto delle retribuzioni pubbliche è sceso al livello di trent'anni fa. Difficile far girare l'economia in queste condizioni. Il Governo ha perso una buona occasione per rispondere alle esigenze dei cittadini e valorizzare il lavoro di tutti i dipendenti del settore pubblico e non soltanto dei dirigenti, la cui possibilità di nomina viene invece rafforzata all'articolo 11.
Inoltre, con un nostro emendamento, si è allargata la platea dei destinatari del decreto-legge n. 101 del 2013 alle graduatorie degli enti locali. Da oggi, quindi, bandire concorsi, in presenza di graduatorie valide e approvate a disposizione degli enti locali, sarà molto più impervio e molto più difficile da giustificare. Si tratta di una norma di civiltà per tutti coloro che hanno profuso enormi sforzi per superare i concorsi negli enti locali e che attendono di vedere premiati i loro meriti.
L'articolo 4, con una stabilendo che le sedi della pubblica amministrazione che distano a una distanza di 50 chilometri costituiscono una medesima unità produttiva, ha introdotto la regola della mobilità obbligatoria senza il consenso del dipendente, strumento pericolosissimo che potrebbe andare a colpire in maniera indiscriminata dipendenti scomodi.
Discutibile è la scelta di imporre tale forma di mobilità obbligatoria con lo strumento del decreto-legge per introdurre interventi ordinamentali. La politica colloca la pubblica amministrazione in posizione subalterna e si ritorna all'epoca pre-privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego. La norma disapplica il terzo periodo del primo comma dell'articolo 2103 del codice civile, con un ribaltamento, quindi, della gerarchie delle fonti normative.
La mobilità obbligatoria prevista dal Governo non teneva conto della realtà dei dipendenti e dei lavoratori: mancava una disciplina derogatoria specifica per le persone che beneficiano della legge n. 104 e per i genitori con figli con congedi parentali. In tal senso, abbiamo emendato, ma i nostri emendamenti 4.53 e 4.55 sono stati rubati, con una scorrettezza gravissima perpetrata dal relatore Fiano, dall'apparato tecnico, con la colpa in vigilanza del presidente Sisto.
Il furto si è svolto così: è evidente che la numerazione degli emendamenti avviene solo in apparenza a caso. In verità, basta piazzare prima un emendamento della «maggioranza amica», simile a quelli di buon senso del MoVimento 5 Stelle, e al momento del voto i successivi decadono, in quanto assorbiti dal precedente. E così la Tinagli di Scelta Civica, con il suo emendamento 4.45, si è presa tutto il merito sui giornali per essere stata sensibile alle esigenze dei lavoratori, ergendosi a fatina buona della «famiglia cuore». Era il relatore, se del caso, che avrebbe dovuto far proprio l'emendamento, riformulandolo.
Ebbene, nel Regolamento non è riportata la modalità di numerazione degli emendamenti ed è chiaro che ciò avviene nelle segrete stanze. Trattasi di palese imbroglio, di scorrettezza conclamata dei funamboli della furbizia.
Oramai è chiaro che gli apparati legislativi dei partiti studiano i nostri emendamenti, ne plagiano la sostanza, magari presentandoli con forme più morbide e poi li pubblicano nel fascicolo, in ordine non casuale, per assorbire i nostri e prendersi tutto il merito sui media.
È evidente che Governo e maggioranza giocano d'anticipo sui nostri temi, vedendoli dai nostri atti parlamentari, poi li sterilizzano, li assorbono e con una forte propaganda mediatica se ne attribuiscono il merito. Ma noi siamo contenti lo stesso, vuol dire che, anche dal punto di vista tecnico, siamo pronti a governare. E ci fa piacere che ci rubiate le cose, perché il MoVimento 5 Stelle fa le cose per farle bene, non per farle sapere.
La proposta vera, alternativa alla mobilità obbligatoria, risiedeva anche nel dare incentivi ai dipendenti che accettano la mobilità, un po’ come si fa per i magistrati che accettano di andare nelle cosiddette sedi disagiate. Inoltre occorreva prevedere strumenti di tutela per coloro che sono obbligati alla mobilità, come ad esempio la detrazione per il costo dei trasporti, come previsto dai nostri emendamenti, ovviamente respinti.
In riferimento all'articolo 5 si prevede un demansionamento per i dipendenti che si trovano in disponibilità. Dopo il passaggio in Commissione si scenderà solo di un livello, ma la norma rimane comunque mostruosa. Trattasi di un vero e proprio ricatto.
Dalla stagione dei diritti siamo passati a quella dei ricatti: il demansionamento è l'anticamera del licenziamento. Si deroga addirittura al codice civile.
Inoltre, non si capisce chi è questo personale in disponibilità, ovvero il corrispettivo della mobilità nel privato: l'anticamera del licenziamento. Il Governo non conosce e non comunica quanti sono e da quali amministrazioni dipendono i lavoratori che attualmente si trovano in disponibilità e non è dato sapere e comprendere l'impatto e la platea interessata da tale norma.
Quello che interessa veramente al Governo è creare una nuova fattispecie che verrà sicuramente utilizzata in futuro. Vi è una carenza di istruttoria e disponibilità di dati che si traduce nell'ennesimo provvedimento che colpisce alla cieca e sempre le stesse persone, cioè il pubblico impiego, che subisce la deroga al principio giuslavoristico in base al quale il dipendente ha diritto di essere assegnato alle mansioni per le quali è stato assunto (articolo 2103 del codice civile).
La pubblica amministrazione ha l'obbligo di adibire il dipendente alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti, verificando se le nuove mansioni possano contribuire alla valorizzazione del patrimonio professionale del lavoratore. Si vuole introdurre una pericolosa deroga al principio, i cui effetti non si conoscono. La norma produrrà forte contenzioso nell'amministrazione. Inoltre, la norma contrasta anche con quanto previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2009, che prometteva la valorizzazione del pubblico dipendente e delle dell'amministrazione.
La norma, pertanto, merita la soppressione, perché non appare suffragata da idonei dati ed effetti sul suo impatto, apre una pericolosa deriva e deroga al principio stabilito dal codice civile. Anche in questo caso discutibile è la scelta di attuare tale forma di demansionamento con lo strumento del decreto-legge. Il posto fisso nella pubblica amministrazione è definitivamente tramontato, grazie alla condizione di esubero. Con la chiusura delle province, l'accorpamento o le soppressioni di enti, la chiusura delle sedi, le privatizzazioni dei servizi, infatti, tutto può diventare esubero.
L'articolo 6 è quella norma che prevede il divieto di conferire incarichi retribuiti ai soggetti in pensione. In Commissione siamo riusciti ad ottenere che eventuali rimborsi spese vengano rendicontati, affinché non si nascondino veri e propri stipendi mascherati dietro alla gratuità degli incarichi.
Per quanto riguarda, invece, l'articolo 11, è fortemente discutibile l'elevazione della percentuale dal 10 al 30 per cento per la copertura dei posti di qualifica dirigenziale istituiti nella dotazione organica. La norma prevede, infatti, un aumento della dirigenza fiduciaria e una moltiplicazione eccessiva degli incarichi dirigenziali. Tale norma, più che rispondere alle esigenze e ai fabbisogni degli amministratori locali e alla necessità di garantire un servizio ai cittadini, pare rispondere all'esigenza di allargare il consenso intorno all'organo politico, in maniera tale da consentirgli di scegliere, e dunque posizionare, quei dirigenti assai più compiacenti per avere una dirigenza supina e passiva, piuttosto che una dirigenza dotata di autonomia e imparzialità. È di fatto un aumento del sistema dello mascherato. Dopo un Parlamento di nominati, Renzi gradisce anche una PA di nominati.
Ma la norma sembra essere congegnata per risolvere anche qualche problemino di carattere giudiziario. Tale norma potrebbe prestare il fianco a operazioni di sanatoria per nomine compiute dai vertici politici degli enti locali, che hanno proceduto alla nomina di dirigenti anche al di fuori dei casi e dei presupposti previsti dalla legge, causando danno erariale. Ogni riferimento a Renzi è puramente non casuale.
Ricordo che il 24 settembre ci sarà l'udienza presso la Corte dei conti a carico di Renzi per danno erariale. Chissà se l'articolo 11 del decreto-legge n. 90, che modifica l'articolo 110 del testo unico degli enti locali, possa modificare il processo per danno erariale in cui è coinvolto Renzi, all'epoca presidente della provincia di Firenze. È una norma «salva Renzi» ? Ancora non è certo, ma quel che è certo è che lo stesso nominò 4 direttori generali anziché uno e ciò dimostra l'uso distorto che lui ha sempre fatto della dirigenza fiduciaria.
Guarda caso, quando era presidente della provincia, Renzi sforò la quota allora prevista dagli articoli 108 e 110 del testo unico degli enti locali e ne nominò ben 4, con conseguente danno erariale, anziché uno solo. Ed ora, con la riforma, si aumenta proprio la possibilità di nomina dei dirigenti fiduciari. Strano, ma a pensar male a volte ci si azzecca.
Per concludere, il piano di smantellamento della pubblica amministrazione imposto dalla all'Italia procede senza sassolini sui binari. Esuberi, eccedenze, messa in disponibilità, mobilità obbligatoria, demansionamento sono gli strumenti per togliere garanzie ai lavoratori pubblici. Continua a rimanere nella foschia tutto il sistema parapubblico, quella galassia delle partecipate, dentro cui si muovono anche interessi illegali e opachi dei politici.
Con questo decreto-legge, Renzi vi dà il benvenuto nella palude della PA. Da questo momento niente sarà più come prima e ad imperare sarà solo il caos.
PRESIDENTE. Giusto per chiarirsi, onorevole Ciprini: l'ordine di votazione degli emendamenti corrisponde a criteri oggettivi stabiliti dal Regolamento. Poi, in relazione alla questione politica, il relatore avrà la possibilità, se lo ritiene, di replicare nel momento in cui avrà questa facoltà.
È iscritta a parlare l'onorevole Fabbri. Ne ha facoltà.
MARILENA FABBRI. Signor Presidente, vorrei iniziare il mio intervento ringraziando il Ministra Madia, il sottosegretario Rughetti ed il relatore Emanuele Fiano, nonché il capogruppo PD in I Commissione, per la disponibilità ed il lavoro fatto in queste settimane, che è stato impegnativo nella sostanza, ma soprattutto devo ringraziarli per il metodo che hanno deciso di applicare, che è stato quello di un profondo coinvolgimento dei componenti della I Commissione, ma non solo, perché vorrei ricordare che è vero che la referente era la I Commissione, ma c’è stato un apporto significativo dei componenti delle Commissioni competenti in materia di lavoro, giustizia, scuola, cultura, sia nella proposizione di emendamenti di merito che nella presenza attiva in Commissione, nelle diverse notti che abbiamo fatto proprio per emendare questo testo. Un testo che – è già stato detto – è importante anche per la quantità di materie su cui interviene all'interno della pubblica amministrazione.
Un decreto significativo, che però va letto non solamente in sé, ma all'interno di un contesto più ampio, che vede sicuramente prima di tutto il fatto che siamo in una situazione economico-finanziaria delicata per il nostro Paese, che ci impone di rivedere la spesa pubblica sia per andare a contribuire a ridurre il debito pubblico del nostro Paese, ma anche per eventualmente intervenire su una riduzione della tassazione a favore dei cittadini e sicuramente anche e soprattutto per efficientare ed innovare il nostro sistema.
Quindi in un contesto di ma anche di profonda necessità di riorganizzare la pubblica amministrazione, cosa che è stata evidenziata anche con il deposito del disegno di legge di iniziativa governativa al Senato, qualche giorno fa: una proposta di legge delega che individua i criteri e la filosofia attraverso cui si vuole intervenire, proprio per ammodernare e riorganizzare la pubblica amministrazione.
Il decreto-legge costituisce quindi un primo passo o tassello su alcuni aspetti puntuali dell'organizzazione della pubblica amministrazione, che possono essere immediatamente applicati ed attuati, perché ne producano al più presto gli effetti, ma che si inseriscono nella filosofia e nei principi che vengono definiti appunto all'interno del disegno di legge delega sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni e che quindi all'interno di quel contesto vanno letti.
Già i colleghi hanno evidenziato come, all'interno del provvedimento, ci siano norme appunto tese all'efficientamento della pubblica amministrazione, a migliorarne l'efficacia, sicuramente a migliorarne l'economicità, ma anche la trasparenza, al fine di ottenere una capacità migliore anche di lotta alla corruzione che, come abbiamo potuto verificare in questi anni, sia fra dipendenti pubblici, fra figure politiche o fra soggetti che ruotano attorno alla pubblica amministrazione, determina non solo malcostume, ma aumento di costi inappropriati ed illeciti a scapito della pubblica amministrazione e a scapito dei cittadini.
Io vorrei intanto evidenziare un aspetto, prima di tutto: io ho conosciuto un'altra pubblica amministrazione rispetto a quella che normalmente viene raccontata sia in quest'Aula che fuori e sono orgogliosa di averla conosciuta e di avere fatto il sindaco dieci anni e di aver veramente lavorato con persone di altissima qualità e dedizione, che non hanno mai elemosinato il proprio tempo anche fuori dall'orario di lavoro e a prescindere dal riconoscimento economico.
Quindi io credo che a questa pubblica amministrazione, che è diffusa nel nostro Paese, vada fatto appello e riferimento, perché ci aiuti nell'obiettivo, diciamo ambizioso ma necessario, di rinnovare profondamente il nostro sistema e quindi di mettersi profondamente in discussione.
Infatti, è evidente che con le norme che noi andiamo a introdurre con questo decreto-legge e con quelle che poi andremo a discutere successivamente, si chiede ai dipendenti pubblici di mettersi in gioco in maniera profonda, non solo dal punto di vista economico, ma della capacità, della flessibilità, di un aggiornamento permanente, di una disponibilità anche alla mobilità legata alla riorganizzazione pure strutturale del sistema, a chiusure di sedi, a razionalizzazioni e quant'altro, mettendo quindi in gioco loro stessi, la loro competenza, la loro professionalità e la loro dedizione al sistema pubblico. Infatti, vorrei ricordare che, a differenza di quello che si crede, la gran parte delle persone che scelgono di lavorare per il sistema pubblico, non lo fanno perché non hanno altre o altre possibilità in cui esprimere le proprie capacità, ma l'hanno fatto perché credono nella necessità o comunque ritengono di dover lavorare per la comunità e non per un datore di lavoro privato. Quindi, c’è proprio un riconoscersi in una pubblica che non va sminuita e non va svilita, ma va rafforzata proprio in questa fase di grande trasformazione che noi stiamo vivendo e che noi chiediamo di rappresentare da parte dei pubblici dipendenti.
Credo, quindi, che ci debba essere particolare attenzione, soprattutto nei decreti attuativi correlati a questo provvedimento e a quelli che verranno a seguito della discussione e dell'approvazione della legge delega, rispetto a diverse criticità. Innanzitutto, ai tempi di attuazione delle razionalizzazioni, dei traslochi delle varie sedi o dei vari enti. Inoltre, anche una particolare attenzione a non perdere la qualità e il che i dipendenti pubblici hanno acquisito e che possono ancora dare e trasmettere alla pubblica amministrazione. Occorre non perdere anche il patrimonio degli archivi e delle documentazioni che sono conservati nei vari enti pubblici dislocati sul territorio. Infatti, è lì che è depositata la memoria, la storia del nostro Paese, ma è lì che è anche depositata la capacità di fare della pubblica amministrazione.
Vorrei soffermarmi su alcuni aspetti di questo provvedimento che, come è già stato detto, affronta diversi temi, in particolare quelli legati agli enti locali. È evidente, da questo provvedimento, così come anche da quello precedente – penso alla legge n. 56 del 2014 relativa alla trasformazione delle province in aree vaste e alla nascita delle città metropolitane – che si ha in mente un disegno diverso da quello che è esistente oggi, nel senso che si intende dare maggiore autonomia e capacità di azione agli enti grandi, che abbiano un ambito territoriale più consistente, rispetto alle piccole comunità. Un incentivo, quindi, un indirizzo, anche normativo, verso le fusioni e le unioni dei comuni, verso una capacità degli enti locali di superare la dimensione micro per unirsi e imparare a gestire la complessità delle responsabilità e dei servizi da offrirsi al cittadino, non attraverso appunto piccole realtà, ma attraverso unioni o fusioni di comuni per essere anche maggiormente capaci di gestire le poche risorse a disposizione. Un atteggiamento, quindi, di favore verso le comunità più ampie o verso la scelta di fondersi e verso anche la virtuosità degli enti locali.
Vorrei ricordare in particolare l'articolo 3, dove si prevede una capacità assunzionale in materia di personale maggiore per gli enti locali e per le regioni virtuosi, per quelli che hanno ad oggi una spesa di personale inferiore al 25 per cento della spesa complessiva. Quindi, la possibilità di assumere all'80 per cento del anziché al 60 per cento come precedentemente previsto, e al 100 per cento nel 2015.
Penso agli articoli 23- e 23- che intervengono a correggere una previsione normativa di qualche settimana fa legata all'istituzione delle centrali uniche di committenza. Norme che differiscono il termine di entrata in vigore dell'obbligo di centrali uniche di committenza al 1o gennaio 2015 per l'acquisizione di beni e servizi e al 1o luglio 2015 invece per le gare di appalto di opere e lavori pubblici. Un differimento necessario per consentire anche di avere tempi tecnici di organizzazione. Io credo, infatti, che in questa opera di ammodernamento e di rivoluzione complessiva che noi stiamo attivando verso la pubblica amministrazione attraverso i diversi provvedimenti che stanno venendo in corso, dobbiamo sempre di più fare attenzione ai tempi tecnici di attuazione.
È vero che il nostro Paese ha sempre vissuto i cambiamenti con una certa resistenza e, quindi, con il tentativo continuo di procrastinare l'entrata in funzione di questi cambiamenti o di queste richieste di innovazione ma, comunque, nei nostri provvedimenti dobbiamo prevedere tempi tecnici effettivamente necessari e sufficienti a rendere fattibile il cambiamento evitando il caos.
Ringrazio il Governo per avere accettato di introdurre tra le norme in deroga il fatto di privilegiare i comuni impegnati nella ricostruzione del terremoto sia dell'Emilia Romagna, Lombardia e Veneto sia dell'Abruzzo perché per loro ovviamente è ancora più complicato dover gestire un'emergenza e nello stesso tempo riorganizzarsi.
Ringrazio anche – ho finito, Presidente – in particolare per l'introduzione dell'articolo 13- che introduce un Fondo per la progettazione e l'innovazione e riconosce, quindi, il fatto che ai dipendenti pubblici impegnati in ruoli di responsabilità all'interno delle pubbliche amministrazioni ma senza ruoli dirigenziali venga riconosciuto un incentivo economico legato alle responsabilità assunte e non previste dal contratto. Questo credo che risponda ad un principio sul quale noi non possiamo transigere, cioè il fatto che le responsabilità e il tempo lavoro vengano adeguatamente remunerati e quindi ringrazio sia il relatore sia il Governo per aver voluto introdurre questo articolo 13- che corregge, in qualche modo, una abrogazione totale che era avvenuta in Commissione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tancredi. Ne ha facoltà.
PAOLO TANCREDI. Signor Presidente, la sfida che si pone il Governo, con questo decreto-legge e poi contemporaneamente – non è possibile evitare un commento anche su questo – con il disegno di legge delega depositato in Senato, di riforma della pubblica amministrazione, è una sfida epocale che è legata molto più di quello che sembra ai processi economici in corso, alle difficoltà del Paese ad avere una vitalità economica come quella che contraddistingue altri Paesi dell'area euro e del blocco occidentale, ad una situazione che ci vede particolarmente penalizzati all'interno di queste dinamiche. Basti pensare alla dinamica del prodotto interno lordo italiano, al perché sia così diversa, e comunque così penalizzata, anche rispetto a Paesi simili come Francia, Germania, Inghilterra; nei momenti in cui come prodotto interno lordo la media dell'area euro cresce, noi cresciamo meno; quando questa decresce, noi decresciamo molto di più. Perché ? Uno dei motivi, oltre alle infrastrutture, al costo e alla difficoltà nell'approvvigionamento dell'energia, è sicuramente quello delle pubbliche amministrazioni. Quindi è una sfida assolutamente epocale dopo tanti anni di dibattito, ma con pochi interventi sul comparto della pubblica amministrazione, in cui si è andati molto per per interventi di dettaglio.
Ebbene, credo che una cosa che si deve sicuramente attribuire come merito all'azione di questo Governo è l'aver affrontato questa questione così difficile con un approccio di sistema abbastanza integrato che si vede molto di più, Presidente, nel disegno di legge delega, mentre questo decreto-legge risponde ad alcuni interventi emergenziali e sicuramente di dettaglio, su cui il Nuovo Centrodestra si è trovato assolutamente d'accordo e a cui, anzi, ha cercato di contribuire con interventi assolutamente migliorativi.
Ma ripeto, il cuore della riforma ritengo che vada individuato e percorso nell'iter dei decreti delegati discendenti dal disegno di legge delega dove sono contenuti temi che voglio solo accennare, ma che sono assolutamente fondamentali per dare una svolta all'efficienza della pubblica amministrazione e alla sua vocazione di servizio al cittadino e alle imprese del Paese.
Mi riferisco all'accelerazione e alla semplificazione nei servizi per i cittadini e per le imprese; al meccanismo della Conferenza dei servizi; al silenzio-assenso tra le amministrazioni; alla revisione e alla semplificazione delle norme e delle disposizioni nella materia dell'anticorruzione, della pubblicità e della trasparenza, su cui molto si è intervenuto in questi anni, ma su cui è giusto fare un punto e una riorganizzazione; alla riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato, con l'applicazione di alcuni principi, quasi banali, di efficienza e di gestione della struttura della pubblica amministrazione sin dai suoi livelli più periferici; così come mi riferisco al riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, che viene affrontato in questo decreto.
Anche grazie all'intervento del Nuovo Centrodestra, è stato modificato un po’ il testo della norma sulle funzioni e sul finanziamento soprattutto delle camere di commercio, alla luce, appunto, di alcuni nostri emendamenti. Io credo che il tema delle camere di commercio si possa considerare un tema tipico, quasi da prendere ad esempio, per l'approccio del legislatore alla riforma della pubblica amministrazione, perché le camere di commercio possono essere definite uno strumento potenzialmente moltiplicativo di servizi e capacità di assistere imprese e cittadini; così come possono essere definite, viste in un'altra maniera e non modernizzate, un inutile carrozzone, un inutile strumento e nodo in cui si ripetono gli adempimenti per le aziende e le amministrazioni.
Si è parlato, ad esempio, in questi giorni, della gabella, della tassa per l'iscrizione al registro delle imprese da parte di tutte le imprese italiane, che può essere certamente definita una tassa inutile, come il nostro Presidente Renzi l'ha definita provocatoriamente, ma che, invece, potrebbe essere uno strumento, un trampolino per una semplificazione notevole. Io mi chiedo e mi rifaccio qui ad una citazione del professore, senatore attuale, Ichino, che diceva, poco tempo fa, che basterebbe mettere in norma il principio in base al quale alle imprese e ai cittadini, da parte della pubblica amministrazione, non possono essere richiesti informazioni, certificati e documenti che sono già in possesso della pubblica amministrazione.
Ebbene, Ministro, Presidente, questo è quello che succede tutti i giorni alle imprese e ai cittadini italiani. Le imprese pagano un contributo per l'iscrizione al registro delle imprese, su cui ci sono una serie di dati che, secondo me, andrebbero ancora tutti implementati; se il giorno dopo vanno in un comune qualsiasi – anche un comune dove insiste il territorio della Camera di commercio a cui sono registrati – e devono partecipare ad una gara di appalto, esse devono ripetere, ridare gli stessi dati, fornire di nuovo le stesse informazioni che sono contenute nel registro delle imprese. E, attenzione, se per un errore materiale dovessero ometterle o commettere degli errori materiali nella presentazione, potrebbero essere escluse ed anche subire delle sanzioni, quando queste informazioni sono già in possesso della pubblica amministrazione attraverso le camere di commercio del territorio.
Quindi, sono tra quelli che credono, insieme al mio gruppo che ha presentato e ha fatto approvare emendamenti in cui si dilaziona l'azzeramento del contributo per l'iscrizione al registro delle imprese, che, invece, le camere di commercio potrebbero essere uno strumento formidabile di coordinamento, di assistenza e di aiuto alle imprese. Ma non con quello che ho sentito dire in questi giorni rispetto alla possibilità di erogare servizi sulla formazione, piuttosto che sull'internazionalizzazione o sull'organizzazione comune, ma semplicemente costituendo un punto di raccordo della pubblica amministrazione sulle informazioni alle imprese quando la pubblica amministrazione si viene a trovare a confronto con le imprese. Sarebbe questo uno strumento esplosivo, innovativo, sicuramente, del ruolo della pubblica amministrazione a sostegno delle imprese.
Io sono uno di quelli che pensa che il certificato antimafia sia una cosa medievale, perché con il certificato antimafia un'impresa si certifica raccogliendo informazioni per la pubblica amministrazione prendendole dalla pubblica amministrazione. È questo principio che va abbattuto. Da questo punto di vista, io credo che le camere di commercio, ma non solo, potrebbero essere uno strumento di aiuto di questo tipo. Quindi, il senso di questo ragionamento è che si può avviare una riflessione, a partire dal disegno di legge delega che è in Senato ma anche quando verrà qui alla Camera, e nel percorso della formazione e dell'approvazione dei decreti delegati affinché si arrivi a ripensare il ruolo delle camere di commercio e non necessariamente a pensare a una loro estinzione. Molto si fa, anche in questo decreto, rispetto all'elasticità nei pensionamenti e alla possibilità di dare elasticità al governo della pubblica amministrazione ai fini dell'efficienza e della funzionalità degli uffici rispetto alle uscite del personale, anche in deroga alle norme sui pensionamenti che abbiamo approvato negli anni scorsi. Così come, altro punto molto forte, che è stato comunque molto dibattuto in questi giorni, è quello legato alla mobilità entro 50 chilometri del personale, che deve essere data con motivazioni. È stata reintrodotta la contrattazione e la pianificazione generale che va sottoposta al tavolo sindacale. Io credo che questo sia un fatto positivo ma non deve significare un indebolimento da parte della scelta del Governo per l'efficienza della pubblica amministrazione. Mi chiedo cosa ci sia di scandaloso in una disposizione che oggi è cosa normale e banale in tutto il lavoro privato. Se un'azienda deve spostare di 10, 20, 30, 40 chilometri delle sue maestranze per utilità ed efficienza del prodotto e dell'impresa non ha nessun problema a farlo. Concludo – naturalmente l'argomento in dieci minuti è difficile da esaurire – ringraziando il lavoro della Commissione, soprattutto dei nostri componenti in Commissione affari costituzionali, per il miglioramento che hanno fatto sul testo.
Credo che un altro grande tema della riforma del disegno di legge delega, un tema che è stato più volte enunciato e che sta molto a cuore al Presidente Renzi, sia quello della dirigenza pubblica. Secondo me, senza stare tanto ad argomentare su questo tema, dobbiamo fare sempre più in modo che i diritti di un dirigente pubblico si eguaglino ai diritti di un dirigente privato, cioè la possibilità di rispondere a una scelta fiduciaria, l'assoluta dipendenza dal merito e sulla valutazione del lavoro di un dirigente la possibilità di rimuoverlo laddove questo non risponda appunto a questi criteri. Regole assolutamente consolidate nel campo della dirigenza privata, dove un dirigente, se indennizzato, può essere licenziato in qualsiasi momento, e non ha mai un contratto a tempo indeterminato con scatti e crescita determinati già al momento della sua nomina a dirigente. Questo è, senza volerne ai dirigenti pubblici, un meccanismo che non è a favore dell'efficienza, non è a favore dei diritti del cittadino e delle imprese che si rivolgono alla pubblica amministrazione e può essere soltanto considerato un privilegio che in questo momento non è possibile più accettare. Comunque, credo si tratti di un approccio a cui bisogna dare merito al Governo, perché è sicuramente un punto nodale della vita pubblica italiana e soprattutto della nostra economia. Ho detto all'inizio che si tratta di uno dei nodi da sciogliere per levare quei freni all'economia che fanno sì che il nostro prodotto interno lordo e la nostra economia non crescano o comunque crescano meno di altri Paesi a noi vicini.
Quindi un buon lavoro, buon lavoro al Ministro Madia, soprattutto, ripeto, che mi sembra un po’ più di quadro generale sul disegno di legge delega, aspettiamo di vedere i risultati e speriamo anche nella collaborazione dei sindacati e di tutti coloro – tre milioni di persone – che sono impiegati nella pubblica amministrazione, che ha tante luci ed ombre ma che secondo me, nel complesso, è positiva e che recepirà queste riforme alla fine con – secondo me – molta voglia di futuro, voglia di lavorare e capacità di capire che si tratta di un comparto, quello di cui fanno parte, che è decisivo per la vita dei cittadini e per la crescita del Paese.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Saluto le persone che stanno seguendo i nostri lavori dalla tribuna con grande attenzione e da tempo e approfitto anche per fare i migliori auguri di buon compleanno all'onorevole Rosato, che è presente in Aula pur non dovendo intervenire, come sempre.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Fiano.
EMANUELE FIANO, . Signor Presidente, intanto mi associo ovviamente agli auguri di compleanno a Ettore Rosato, che spesso è custode solitario di quest'Aula, a nome del Partito Democratico. Voglio innanzitutto ringraziare – non l'ho fatto prima perché il Ministro, quando parlavo, non era presente – il Ministro Madia e il sottosegretario Rughetti per il lavoro comune che abbiamo fatto in questi giorni e io credo che non sarebbe stato possibile il risultato politico del testo che abbiamo raggiunto se non ci fosse stata la professionalità, la conoscenza della materia e la disponibilità politica di un lavoro comune con la Commissione e con il relatore da parte del Ministro e del sottosegretario, e di questo sono grato e orgoglioso che l'Italia sia rappresentata nel proprio Governo da lei, signor Ministro, e da lei, signor sottosegretario. Vorrei poi, prima di dire poche parole di replica agli interventi dei colleghi, dire all'onorevole Ciprini, (che mi pare non ci sia e, che ha affermato tesi veramente singolari nel suo intervento) innanzitutto che, prima mi auguro che la collega sia a conoscenza, dopo ormai qualche mese di frequentazione di quest'Aula, che l'ordine di pubblicazione degli emendamenti non è dovuto a nessuna volontà soggettiva né del relatore né tantomeno degli uffici o della Presidenza della Camera o di chicchessia. L'ordine di pubblicazione degli emendamenti segue una proposizione logica, dipende da dove l'emendamento si inserisce nel comma che intende modificare e solo a quello è dovuto, ovviamente a nessuna presenza di maggioranza o di minoranza. Per questo le riformulazioni del relatore che ineriscono uno o più emendamenti uguali o simili debbono partire dal primo che interviene sull'argomento sul quale si intende presentare una riformulazione e così è stato. In secondo luogo mi permetto di dire all'onorevole Ciprini che io credo che più della nostra prima firma sia importante il valore delle modifiche che si apportano ai provvedimenti. Grazie agli emendamenti dell'onorevole Ciprini, come ella stessa ha ricordato nel suo intervento, noi abbiamo inserito sul tema della mobilità alcune eccezioni che riguardano la legge n. 104 e il congedo parentale, che sono stati inseriti in altro emendamento, tra l'altro non del Partito Democratico da lei citato ma dell'onorevole Tinagli di Scelta Civica, perché lì si situava quell'emendamento. Comunque, a prescindere da queste precisazioni, l'esempio che ho citato degli emendamenti dell'opposizione o di altri partiti della maggioranza, ma anche gli interventi numerosi di colleghi anche dell'opposizione, oggi danno il quadro del tipo di provvedimento che è stato licenziato in Commissione, un provvedimento che ha tenuto conto sia della volontà del Governo sia della volontà dei parlamentari di tutti gruppi, di maggioranza e minoranza, che hanno inteso proporre delle modifiche al testo governativo. Così è stato, né è uscito un testo arricchito, negli interventi di oggi, anche in quelli che hanno voluto sottolineare alcuni aspetti di disaccordo o critici del provvedimento; c’è stato un generale apprezzamento anche in alcuni degli interventi dell'opposizione su passi fondamentali di questo provvedimento e sulla necessità delle riforme che questo provvedimento porta con sé, provvedimento che troverà un suo completamento nel disegno di legge delega che il Governo ha già presentato e che ovviamente sarà oggetto di altra discussione parlamentare.
Credo dunque che possiamo essere soddisfatti, sapendo che, mentre si conclude la discussione generale in Aula su questo provvedimento, vi sono categorie che sono state toccate – io ne conosco e sono oggetto da parte loro di molte comunicazioni e anche di critiche e di proteste – che non sono state soddisfatte dai passi del provvedimento.
Noi valuteremo insieme se sia ancora possibile nell'ultima fase disponibile di questo provvedimento portare ulteriori suggerimenti di modifica su alcuni aspetti del provvedimento per cercare che ne esca il più possibile equo ed omogeneo il suo contenuto e che non vi siano categorie che rispetto ad altre subiscano trattamenti diseguali. Ma – ripeto – il lavoro che è stato fatto fino ad oggi secondo me è un lavoro egregio. Cercheremo di vedere se ci sono ancora margini di miglioramento e sicuramente è stato un esempio di lavoro come dovrebbe essere il lavoro parlamentare.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
MARIA ANNA MADIA, . Signor Presidente, grazie a voi tutti, che avete partecipato a questa discussione, grazie al relatore, onorevole Emanuele Fiano. Io vorrei sottolineare solo pochi punti, ma che mi sembra importante rimettere in fila prima dell'esame nell'Assemblea di Montecitorio di questo decreto-legge che segna l'inizio, per noi, per il Governo, della riforma della pubblica amministrazione.
Dico l'inizio perché – come è già stato sottolineato in diversi interventi – è molto importante quello che faremo con il disegno di legge che è stato calendarizzato in Senato e che mi sono impegnata ad approvare in via definitiva entro la fine dell'anno. Ed è molto importante – come sempre è stato detto in diversi interventi oggi qui – mettere in relazione questi due provvedimenti normativi con l'attuazione della riforma Del Rio e con le riforme costituzionali che, in questo momento, si stanno discutendo in Senato e per le quali spero che ci sia un'evoluzione positiva anche del dibattito e del confronto parlamentare.
In questo progetto organico di riforme, il primo punto che io voglio sottolineare è quello della discontinuità. Noi siamo qui, oggi con questo decreto-legge, ma poi con tutti gli altri interventi che ho elencato a dimostrare che vogliamo cambiare davvero e credo che anche tutto quello che questo decreto ha messo in atto, tutte le forze dentro e fuori il Parlamento che anche in modo positivo si sono messe in atto a partire da alcuni interventi del Governo sono stati soltanto conseguenze positive. Penso anche a quello che è capitato, per esempio, alle camere di commercio, che hanno iniziato un percorso di autoriforma, che io considero virtuoso e positivo anche in seguito all'intervento del Governo che è iniziato con questo decreto-legge.
Quindi, il primo punto è la discontinuità. Non ci fermiamo davanti a nulla; andiamo avanti dolcemente, ma in modo determinato perché la volontà di cambiare è una volontà che non si ferma davanti alle resistenze, ma che vuole semmai mettere in atto e far mettere in atto dentro e fuori il Parlamento forze virtuose anche di autoriforma.
Il secondo punto che qui vorrei sottolineare in modo positivo è che io trovo che finora la Camera dei deputati e quindi il Parlamento, con la discussione che abbiamo fatto in Commissione affari costituzionali ma – come diceva giustamente Marilena Fabbri – con l'apporto attivo di molte altre Commissioni ha recepito la portata innovativa del provvedimento. Io questo l'ho notato – vi dico la verità – anche nei gruppi di opposizione e non solo nei gruppi di maggioranza, tant’è che nella proficua discussione che c’è stata in Commissione affari costituzionali abbiamo approvato anche molti emendamenti dei gruppi di opposizione, così come molti emendamenti dei gruppi di maggioranza, e mi piacerebbe che questo atteggiamento continuasse anche nel dibattito qui all'Assemblea di Montecitorio.
È evidente che la scelta di porre o meno la questione di fiducia sarà anche fatta valutando dagli emendamenti presentati, dal numero e dalla qualità, se c’è la volontà da parte di tutti i gruppi di continuare un dibattito costruttivo così come si è fatto in Commissione.
Però, quello che finora posso dire, perché c’è già stato, è che il dibattito in Commissione è stato un dibattito positivo, un dibattito senza atteggiamenti pregiudiziali, un dibattito nel quale siamo riusciti, come Parlamento, a fare prevalere il bene comune, il bene generale, rispetto al bene degli interessi particolari. Io lo voglio sottolineare anche qui davanti a voi, perché è stato anche grazie a voi che siamo riusciti a farlo, perché non era scontato e non era scontato anche rispetto a resistenze molto presenti durante il nostro dibattito parlamentare. Ma il Parlamento ha affermato la prevalenza della politica e la forza della politica che è capace di avere come obiettivo il bene comune e non di farsi portatrice di interessi particolari e questo anche su materie molto sensibili, anche su materie storicamente molto sensibili come quelle, per esempio, dei permessi sindacali. Io trovo che c’è stato un dibattito attento, un dibattito nel quale il Governo ha recepito alcune indicazioni che venivano dalla Commissione, ma nessuno si è fatto portatore ideologico di un punto di vista, portatore ideologico di una parte piuttosto che di un'altra, ma tutti insieme siamo riusciti a difendere il bene comune.
Il terzo punto che voglio sottolineare, all'inizio di questo dibattito che ci vedrà impegnati in questi giorni nell'Assemblea di Montecitorio, è che noi abbiamo avuto due fari, due fari in questo provvedimento normativo, due fari che continueremo a portare avanti negli altri provvedimenti normativi e di attuazione che porteremo avanti nei mesi futuri. I due fari sono: il cambiamento e l'equità. Io penso che questi siano veramente i due fari, perché in ogni norma contenuta in questo decreto-legge noi cerchiamo sempre di rompere sacche di privilegio, di rompere incrostazioni che il Governo ritiene abbiano nel tempo pregiudicato il buon andamento dell'amministrazione pubblica, preservando, ovviamente, tutta quella parte di amministrazione pubblica virtuosa che c’è, che richiamava Marilena Fabbri e che, come dire, conosciamo e che vogliamo diventi contaminazione positiva per il resto.
Però, per esempio, il principio dell'onnicomprensività del trattamento economico del dirigente pubblico è, dal nostro punto di vista, una valorizzazione del ruolo del dirigente pubblico, che noi vogliamo recuperi anche, dopo troppi anni di insulti sbagliati anche da parte dei cittadini, l'orgoglio riconosciuto di essere un servitore importante dello Stato e quando dico «dello Stato» lo dico scegliendo queste parole. Non il servitore orgoglioso di una singola amministrazione ma è qualcosa di ancora più importante: il servitore orgoglioso del nostro Stato.
Poi, insieme a questi due fari, che ci hanno accompagnato e che continueranno ad accompagnarci, io credo sia anche molto importante sottolineare che c’è stato, in questo provvedimento, un intervento non a parole ma nei fatti, perché non è scontato e perché troppo spesso sul tema della corruzione c'erano interventi a parole e non nei fatti. Io voglio sottolineare che in questo provvedimento noi abbiamo un intervento nei fatti contro la corruzione, contro la corruzione che è una piaga dell'Italia, una piaga anche perché attraverso la corruzione si sperperano tante, troppe risorse che oggi, invece, devono poter essere rimesse nel circuito virtuoso della nostra economia affinché vadano in un percorso sano, di sviluppo, e quindi arrivino a una migliore qualità di vita di cittadini, di famiglie e di imprese sane, che oggi faticano troppo spesso ad arrivare alla fine del mese anche per meccanismi viziosi che rubano quelle risorse all'economia sana.
Il quarto punto è quello dell'attuazione e io qui voglio prendere con voi un impegno, un impegno perché ho la consapevolezza che, come dire, questo oggi è solo l'inizio. Io mi impegno, a maggior ragione perché c’è stato un grande impegno del Parlamento, a che nessuna di queste norme rimanga incagliata in rivoli burocratici, perché credo che la responsabilizzazione della politica rispetto all'attuazione sia un punto fondamentale, un punto che il Governo Renzi sta assumendo. Noi vogliamo all'inizio di ogni Consiglio dei ministri fare un punto sull'attuazione delle norme. Quello che voglio dire è che è ancor più importante in un provvedimento che tratta di pubblica amministrazione che la politica non può assumersi la responsabilità solo dell'approvazione politica dei testi, deve assumersi la responsabilità dell'attuazione di quei testi. L'attuazione dei testi normativi è compito ed è responsabilità della politica, e non va demandata invece alla parte diciamo ministeriale, alla pubblica amministrazione senza assumersene la responsabilità politica.
Concludo con un maggior approfondimento su un punto che sta destando alcune perplessità nel dibattito. Io questo lo faccio perché, come avete sottolineato, mi è piaciuto in queste giornate di Commissione affrontare ogni tema, approfondire ogni tema, anche cambiare idea se ce ne era bisogno, ma avere norme nelle quali credo, credo profondamente, nella bontà delle quali credo. E siccome in queste ore sento e anche dagli interventi che ci sono stati sento alcune perplessità sul comma 5 dell'articolo 1, comma 5, questo lo dico sorridendo, che solo la collega Ciprini ha interpretato come una norma pro baroni, ma questo mi fa piacere perché poi tutto sempre è relativo, ma al di là di questo io voglio prima di tutto leggervi questa norma, perché poi troppo spesso si parla di norme senza leggerle prima, senza capirle bene.
Credo che – spero almeno – che le parole soprattutto le parole scritte in una legge, abbiano ancora un senso e una forza: «Con decisione motivata, con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi». Questo è l'inizio del comma, che poi continua con la disposizione per cui se si hanno il massimo dei contributi e per i professori universitari e i medici se si è oltre il sessantacinquesimo anno di età, l'amministrazione può scegliere, qualora siano però rispettati quei paletti che ho letto e che sono l'incipit della norma, di chiedere a quel dipendente di andare in pensione e quindi di sostituirlo o con nessuno, se la riorganizzazione non necessita di nuove e diverse competenze, o di sostituirlo con competenze più giovani. Questo lo dico perché la norma dice chiaramente che se sei un'eccellenza e se sei insostituibile non verrai sostituito, ma dice altrettanto però che l'amministrazione ha una facoltà in più, dati dei paletti ben chiari che sono talmente chiari nella della norma che sono stati scritti, che l'amministrazione ha una facoltà in più per incentivare uscite non traumatiche e, quindi, poter sostenere l'entrata di generazioni che finora sono state vittime di impossibilità di entrare in modo sano nella pubblica amministrazione.
Insisto su questo, e veramente lo voglio sottolineare con enfasi e in questa replica voglio dedicarci quasi lo stesso tempo che dedico a tutto il resto il provvedimento, cioè agli altri 51 articoli e mezzo, perché mi aspetterei da una generazione che finora, purtroppo, per il punto a cui siamo arrivati, non considero una generazione di buoni maestri, mi aspetterei da questa generazione che mi chiedessero il «più uno». E il «più uno», su questa norma, è capire come sblocchiamo il non è dire: «noi siamo le eccellenze per forza, e quindi voi non dovete farci la lesa maestà di immaginare, anche solo lontanamente, che noi possiamo essere allontanati», ponendo, ripeto, dei paletti ben chiari, che testimoniano che, se sei un'eccellenza, come tale verrai rispettato, e quindi rimarrai nella tua amministrazione.
Quindi, e concludo, l'impegno che voglio prendere qui, in questa Assemblea, che non solo rispetto, ma che amo profondamente, perché ho passato ormai molti anni che ho alle spalle qui e perché so benissimo che, prima di essere Ministro della Repubblica, sono parlamentare della Repubblica, proprio in questa Assemblea, che, nell'inizio di questo provvedimento e nella discussione che vi è stata, ha dimostrato che può avere un'autorevolezza riconquistata, perché credo che la discussione che finora abbiamo fatto sul decreto-legge n. 90 ridia un pezzettino di autorevolezza a un Parlamento che per troppo tempo e su troppi aspetti ha rischiato di perderla in questi anni, qui voglio assumermi la responsabilità di provare quanto più possibile ad alzare le percentuali di anche per le università, per la ricerca, per tutti quei comparti della conoscenza che oggi, a mio giudizio, hanno un troppo basso rispetto alle esigenze di sviluppo e di bisogno di futuro del Paese.
Ma non ci sto, invece, a prendere e affrontare questo ragionamento dall'altro verso, perché credo che oggi vi siano generazioni a cui si deve qualcosa; altrimenti, in quelle generazioni, se pur potenzialmente ci possano essere delle eccellenze, non avranno – e questo è troppo triste – neanche il modo di dimostrarlo, se non invertiamo fortemente la tendenza anche proprio sul modo di impostare i provvedimenti normativi e le critiche potenziali che si fanno sui provvedimenti normativi .
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 559-A, di iniziativa dei deputati Bolognesi ed altri: Introduzione nel codice penale del reato di depistaggio e inquinamento processuale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 24 luglio 2014.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Walter Verini.
WALTER VERINI, . Signor Presidente, quando pensiamo a Piazza Fontana, all’, a Piazza della Loggia, alla strage alla stazione di Bologna, quando pensiamo a Ustica, quando tornano alla memoria gli omicidi politici, a partire da quello di Aldo Moro, quando pensiamo allo stragismo, agli omicidi delle mafie, a partire da quelli di Falcone e Borsellino, siamo, innanzitutto, vicini alle vittime, al dolore dei familiari, ma riflettiamo anche sulle finalità di queste terribili vicende, che sono state studiate e compiute quasi sempre per terrorizzare il Paese, favorire risposte autoritarie e, in definitiva, per fermare le possibili occasioni di cambiamento che l'Italia sperava e poteva, in quei momenti, costruire.
In quasi tutti questi avvenimenti di strage o terrorismo, le inchieste, da subito o nei decenni, hanno subito deviazioni, rallentamenti, quando non veri e propri arresti, a causa della mancata collaborazione di pubblici ufficiali con l'autorità giudiziaria, come scrive, nella relazione al progetto di legge che stiamo discutendo, il presentatore Paolo Bolognesi, collega deputato, ma anche presidente dell'associazione delle vittime della strage alla stazione di Bologna, di cui proprio sabato ricorre il 34o anniversario.
E Bolognesi continua: dalla strage di Piazza Fontana in poi, le omissioni, le bugie, la distruzione di documenti hanno impedito che si potesse giungere alla scoperta dei responsabili materiali e morali degli attentati che hanno devastato il Paese. Quando si è arrivati allo scoperta di questi comportamenti, di queste condotte tanto più gravi, perché tenute da pubblici ufficiali che con onore e lealtà avrebbero dovuto servire la causa della verità e l'interesse democratico del Paese, non si è potuto comminare sanzioni e pene adeguate, limitandosi l'ordinamento a prevedere per simili casi reati gravi, ma per così dire minori, come, per esempio, la falsa testimonianza, l'omissione o la soppressione di atti d'ufficio. Per questo, il progetto di legge che la Commissione giustizia della Camera ha licenziato con voto unanime, con una sola astensione, si propone di colmare un vuoto grande nell'ordinamento, dando, nel contempo, un segnale importante e coerente con la coscienza civile del nostro Paese.
L'articolo unico del provvedimento, come risultante dall'approvazione degli emendamenti da parte della Commissione, introduce nel codice penale la nuova fattispecie delittuosa di «depistaggio e inquinamento processuale», riscrivendo l'articolo 375 del codice, oggi relativo alle circostanze che aggravano alcuni delitti contro l'amministrazione della giustizia. Le aggravanti sono, invece, collocate nel nuovo articolo 383- del codice. Attualmente, il codice penale prevede reati che perseguono un simile obiettivo, cioè indirizzare su una falsa pista le indagini penali svolte dall'autorità giudiziaria: come una falsa testimonianza, la calunnia, l'autocalunnia, il favoreggiamento, il falso ideologico, le false informazioni al pubblico ministero. Si tratta, come per il depistaggio, di comportamenti, anche omissivi, volti, con diverse modalità, ad ostacolare l'acquisizione della prova o l'accertamento dei fatti nel processo penale.
L'articolo 1, comma 1, del provvedimento sostituisce, appunto, l'articolo 375 del codice penale, per punire con la reclusione da 2 a 8 anni chiunque compia una delle seguenti azioni, finalizzata ad impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale: mutare artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connessi al reato; distruggere, sopprimere, occultare o rendere inservibili, anche in parte, elementi di prova o elementi, comunque, utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento; formare o alterare artificiosamente, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento. Il comma 2 abroga, nell'ambito del processo penale, la fattispecie di frode processuale (articolo 374, secondo comma), in qualche modo assorbita dalla previsione del nuovo articolo 375. Rimangono, pertanto, nell'articolo 374 le sole ipotesi di frode nel processo civile e nel processo amministrativo.
Il comma 3 prevede che alla condanna per il delitto di depistaggio e inquinamento processuale consegua, in caso di reclusione superiore a 3 anni, la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il comma 4 introduce l'articolo 383- nel codice penale e vi colloca le circostanze che aggravano alcuni delitti contro l'amministrazione della giustizia. In particolare, in base al primo comma, quando la commissione dei delitti di false informazioni al PM, false dichiarazioni al difensore, falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione e depistaggio comporti la pronuncia di una sentenza di condanna alla reclusione a danno di un terzo, il legislatore prevede un aggravio di pena per colui che ha ostacolato l'amministrazione della giustizia. La pena da applicare è così determinata: reclusione da 3 a 10 anni, se la condanna derivata dalla falsità, dalla frode o dal depistaggio è alla reclusione fino a 5 anni; reclusione da 4 a 12 anni, se la condanna derivata dalla falsità, dalla frode o dal depistaggio è alla reclusione superiore a 5 anni; reclusione da 6 a 20 anni, se la condanna derivata da quei reati è all'ergastolo.
Il secondo comma prevede un aumento della pena, da un terzo alla metà, quando alcuni delitti contro l'amministrazione della giustizia sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni; oppure quando sono commessi – e questo secondo noi è rilevante – in relazione a procedimenti penali relativi ad associazioni sovversive, associazioni terroristiche, attentato contro il Presidente della Repubblica, attentato per finalità terroristiche o di eversione, atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi, attentato contro la Costituzione, insurrezione armata, devastazione, saccheggio e strage, sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione, banda armata, mafia, strage, associazioni segrete, traffico internazionale di armi e materiale nucleare, chimico o biologico. Queste ultime aggravanti operano sulle pene previste per i delitti di simulazione di reato, calunnia, autocalunnia, false informazioni al pubblico ministero, false dichiarazioni al difensore, falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione, frode processuale, depistaggio, intralcio alla giustizia e induzione a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (tutti rubricati e numerati nei rispettivi articoli del codice).
Mi avvio alla conclusione, Presidente. Se le circostanze concorrono, la pena è aumentata dalla metà fino al doppio. A mero titolo di esempio, il delitto di calunnia commesso da un pubblico ufficiale, in relazione per esempio ad un procedimento penale per associazione mafiosa, la cui pena base è la reclusione da due a sei anni, con l'applicazione di quest'ultima aggravante, potrebbe essere punito con la reclusione fino a 18 anni, cioè la pena massima base aumentata del doppio.
Infine, il comma 5 dell'articolo 1 modifica la disciplina della prescrizione del reato, prevedendo il raddoppio dei termini di prescrizione per il delitto di depistaggio e inquinamento processuale aggravato.
Rimane aperta, per la discussione e per le decisioni che l'Aula vorrà prendere, la questione dell'incentivo al cosiddetto ravvedimento operoso, dell'incentivo a favorire atteggiamenti di dissociazione e collaborazione da parte di chi ha partecipato alla formazione dei reati che sopra abbiamo elencato. Ma siamo sicuri che l'Aula potrà trovare in questi giorni una soluzione equilibrata e positiva, con quello stesso spirito di collaborazione che ha guidato i lavori della Commissione giustizia in un positivo rapporto con il Governo, qui rappresentato dal sottosegretario Ferri.
Ecco, questi in sintesi i contenuti del provvedimento, che riteniamo vada a colmare un vuoto, come proprio in questi giorni ha detto anche l'Unione dei familiari delle vittime per strage, un vuoto che ha gravato e spesso causato ferite terribili e danni incancellabili al nostro Paese, al suo cammino democratico, alla sua coscienza ed alla sua memoria
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.
COSIMO MARIA FERRI, Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola, buon pomeriggio a tutti.
Devo dire che ho ascoltato con grande interesse l'onorevole Verini, che ringrazio non solo per il lavoro svolto in Commissione giustizia, lavoro svolto anche da altri componenti, ma perché ha dato atto anche dell'interesse del Governo e della necessità di introdurre questa norma.
Il lavoro che è stato fatto, come è stato citato già dall'onorevole Verini, parte da una proposta dell'onorevole Bolognesi, che ringraziamo perché con questa proposta ha iniziato e consentito alla Commissione di lavorare su una fattispecie penale richiesta anche dalla società civile. Infatti, i fatti gravi che sono stati ricordati e, comunque, i gravi fatti di depistaggio, purtroppo, hanno inciso non solo nella ricostruzione investigativa e nelle attività di indagine, ma anche poi nell'esito di alcuni processi molto delicati, relativi a fatti di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. Quindi, si tratta dell'introduzione di una norma, quale quella del reato di depistaggio, che occorre davvero nel nostro ordinamento e nel nostro sistema penale.
La proposta, quindi, mira – ed è questo uno degli aspetti positivi – ad innalzare il trattamento sanzionatorio, ritenendo che le pene attualmente previste per la falsa testimonianza siano eccessivamente blande quando questo tipo di reato viene commesso da pubblici ufficiali, nell'ambito, tra l'altro, di procedimenti per reati gravi, come quello di strage o di mafia, le cui pene già possono indicare la gravità di questi reati.
Il testo approvato in Commissione giustizia alla Camera è ispirato non solo alle ragioni che erano poste alla base, ma anche agli obiettivi indicati nella proposta Bolognesi, ma ha cercato, con il lavoro della Commissione, di essere definito e delineato in modo leggermente diverso. Infatti, descrive un reato di depistaggio che può essere commesso da chiunque – questo lo voglio sottolineare, perché è importante – e non solo dal pubblico ufficiale e poi prevede, però, delle aggravanti per le ipotesi in cui sia commesso da un pubblico ufficiale in relazione a procedimenti penali per reati particolarmente gravi. Le medesime aggravanti vengono previste non solo per il nuovo reato di depistaggio, ma anche per i reati di falsa testimonianza, false dichiarazioni al PM, calunnia, autocalunnia, simulazione di reato e falsa perizia. Quindi, queste sono novità già sottolineate, ma su cui volevo ritornare.
Sulla condotta, così come viene configurato il nuovo reato di depistaggio di cui all'articolo 375 del codice penale, non mi soffermo, perché già il relatore l'ha ben delineata. Sulla quantificazione della pena è stato già detto, però è importante questo aspetto perché si va da due a otto anni e, se la condanna è superiore a tre anni, è prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Anche questo è un aspetto importante, perché basta una condanna a tre anni per avere l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Sono previste, inoltre, varie aggravanti, innanzitutto nel caso in cui dal fatto derivi una condanna alla reclusione. E segnalo due importanti categorie di aggravanti relative, oltre che al nuovo reato di depistaggio, anche alla falsa testimonianza e alle false dichiarazioni al PM: la prima per il fatto che sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio – sul punto giustamente la Commissione ha preso spunto dalla proposta Bolognesi, così come era nata – e la seconda per il fatto commesso in relazione a procedimenti penali per reati particolarmente gravi, che chiaramente nel testo approvato sono indicati.
Quindi, è condivisibile e il Governo condivide l'impostazione della Commissione giustizia, che ha delineato questo reato, modificando in maniera ampia e completa e facendo riferimento a condotte anche di mutazione artificiosa del corpo di reato o di luoghi o cose rilevanti ai fini di prova. Anche questo è importante perché ha previsto una condotta molto più ampia e, quindi, più completa e più efficace anche nell'applicazione.
Inoltre – volevo sottolinearlo, perché la Commissione ha fatto anche una serie di audizioni, che il Governo ha seguito –, si prende spunto anche da alcune osservazioni che erano condivise anche dal Governo e che in sede di Commissione erano emerse. Il nuovo testo risponde anche alle esigenze che erano emerse e che noi condividiamo, laddove si osservava che spesso il depistaggio viene attuato proprio mediante condotte di sviamento delle indagini che precedono le false dichiarazioni. Quindi, mentre talvolta le false dichiarazioni rappresentano solo una conseguenza o l'ultima fase, era importante anche anticipare la punibilità della condotta, proprio perché molte volte questa condotta si verifica al momento dello sviamento dell'indagine.
Inoltre, un'altra osservazione che era stata fatta e che il testo della Commissione risolve è quella che, se il reato è stato commesso prima, per esempio falsificando un atto pubblico, il rischio era che il pubblico ufficiale poteva andare esente da responsabilità per falsa testimonianza.
Infatti, chiaramente non poteva, era tenuto a non autoaccusarsi, e quindi il testo della Commissione risponde anche a quest'altro dubbio che era emerso, a questa osservazione, descrivendo la condotta delittuosa come consistente nell'alterare tutto ciò che può costituire prova di un reato, al fine di sviare un'indagine o un processo penale.
Sui termini di prescrizione è stato già detto: è condivisibile anche questa parte, che prevede un aumento, un raddoppio dei termini di prescrizione proprio perché sono reati, molte volte, la cui prova, la cui necessità ed anche l'attività investigativa emerge a distanza di anni e quindi era opportuno prevedere dei termini prescrizionali diversi, proprio perché, nella pratica, è chiaro che, se questo reato è stato commesso nell'ambito di un procedimento, quando si scopre, è chiaro che c’è una fase già avanzata e quindi occorrono dei tempi prescrizionali diversi.
Concludo, dicendo che anche il Governo è comunque disponibile a continuare questo lavoro in aula, perché crediamo in questa norma e quindi ascolteremo il contributo – come sempre – di tutti per portare a termine delle modifiche che sono necessarie ed è giusto – qui il richiamo è quello che ha fatto l'onorevole Verini, che condividiamo – un dibattito equilibrato e costruttivo, al quale anche il Governo non si sottrarrà.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mattiello. Ne ha facoltà.
DAVIDE MATTIELLO. Signor Presidente, l'approvazione del nuovo reato di depistaggio ed inquinamento processuale rappresenta una presa d'atto doverosa e dolorosa. La democrazia nel nostro Paese, infatti, è stata ed è spesso avvelenata da chi ostacola la ricerca della verità, almeno di quella particolare verità che è quella giudiziaria.
È una presa d'atto dolorosa, perché ricorrere all'ennesima nuova norma penale rappresenta pur sempre un fallimento per chi, come me, ha un'idea di Stato fondata sulla libertà della persona e sulla presunzione di onestà.
Non è con il diritto penale che si monda la società.
Quando si arriva a dover intervenire attraverso la sanzione penale di una condotta tanto radicata e diffusa come quella della quale trattiamo oggi, si sta con ciò stesso denunciando una grave deficienza democratica sul piano culturale.
Il diritto penale non basterà mai, se non si agisce efficacemente la leva culturale, attraverso esempi credibili di condotte virtuose: questa responsabilità sta in capo prima di tutto a chi rappresenta le istituzioni.
Ciò posto, sanzionare in maniera specifica e severa la condotta di chi impedisce, ostacola, svia indagini o un processo penale, farlo in maniera tanto più grave se l'autore della condotta è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio è un atto dovuto alle innumerevoli vittime di questa forma subdola di violenza.
Queste condotte, infatti, sono particolarmente odiose, perché sabotano il rapporto fondamentale che tiene insieme uno Stato, il rapporto di fiducia tra cittadino ed istituzioni. Queste condotte colpiscono il rapporto fiduciario proprio nel momento di massima fragilità del cittadino, quando cioè il cittadino è esposto al bisogno, alla paura, al pericolo, all'angoscia e si appoggia allo Stato, vi si affida, come farebbe il malato con il medico.
Sono condotte che avvelenano l'intera convivenza civile e dunque facciamo bene a colpirle.
La mia esperienza mi porta a sottolineare alcune specifiche valenze di questa nuova fattispecie, consapevole che, come ha già fatto il relatore, onorevole Verini, e come farà certamente il proponente, onorevole Bolognesi, altre ed ugualmente importanti valenze devono essere tenute presenti.
Il nuovo articolo 375 prevede di colpire, tra le altre, la condotta di chi immuti artificiosamente lo stato delle persone connesse al reato. A cosa dobbiamo pensare leggendo questa frase ? Dobbiamo pensare, tra le altre, alla possibilità che qualcuno avvicini un detenuto, magari un detenuto al 41-, e gli suggerisca quale parte recitare in commedia.
Dobbiamo pensare, tra le altre, alla possibilità che qualcuno avvicini un collaboratore di giustizia e gli suggerisca quale parte recitare.
Ecco perché il Parlamento deve mettere costantemente grande attenzione nel vigilare su quelle delicate articolazioni dello Stato che congiungono i servizi di informazione, come l'AISI, l'amministrazione penitenziaria, il DAP, la magistratura. Le articolazioni sono necessarie in qualunque corpo, pena la paralisi, e, quindi, non mi scandalizza che esistano dei protocolli di collaborazione tra AISI e DAP. Ma sono altresì consapevole che è proprio nelle articolazioni che si concentra il potere più grande. Anche per questo, la drammatica e complessa vicenda del collaboratore Scarantino va esplorata in tutte le sue sfaccettature. Destino amaro quello di Scarantino, ritenuto credibile quando ricostruisce l'organizzazione dell'attentato in via D'Amelio contribuendo in maniera decisiva a far condannare all'ergastolo degli innocenti, soltanto recentemente scarcerati, e non credibile quando, già nel 1995, poi nel 1998, ritratta tutta la confessione, denunciando le violenze subite. Così come va esplorata la vicenda del detenuto Alberto Lorusso che per un breve quanto turbolento periodo tra l'aprile e il dicembre 2013 ha fatto compagnia al boss Totò Riina nel carcere di Opera. Un periodo caratterizzato da una sorprendente loquacità del Riina che, per fare un esempio, il 31 maggio 2013 sente l'irrefrenabile bisogno di confidarsi con gli agenti della penitenziaria che lo stanno portando in udienza, ammettendo, per la prima volta, la trattativa con lo Stato, per poi procedere, a getto continuo, con insinuazioni più o meno minatorie all'indirizzo del direttore del carcere di Opera, il dottor Siciliano, e dei PM palermitani, primo tra tutti il dottor Di Matteo, cui arrivò a pronosticare la fine del tonno. Un vero e proprio fuoco d'artificio. Così come, per rimanere in tema, va esplorata la vicenda del collaboratore Nino Lo Giudice, detto «o’ nano», che irrompe sulla scena per «mascariare» a puntino due impegnati e stimati magistrati della DNA, il dottor Gianfranco Donadio e il dottor Alberto Cisterna. Sullo sfondo di questa scena si intravede un altro detenuto eccellente al 41- che, forse, sarebbe potuto diventare un collaboratore di giustizia determinante, ma che, purtroppo, le inopinate e infauste cadute in cella e il repentino peggioramento delle condizioni di salute hanno ormai relegato in una condizione di incapacità fisica e psichica irrimediabile.
Tornando al testo dell'articolo 375 del codice penale, si legge: «distrugge, sopprime, occulta o rende comunque inservibile in tutto o in parte un documento». Come non pensare al 5 agosto 1989, quando qualcuno sparò all'agente Nino Agostino e a sua moglie Ida, uccidendoli. Come non pensare a quelle ore concitate che seguirono il duplice omicidio, ore nelle quali venne portato via letteralmente un «frego» di carte dall'armadio di Agostino, carte mai più ritrovate. Carte su cui Agostino aveva appuntato nomi e relazioni. Un lavoro, quello di Agostino, legato in qualche modo a quello dell'agente Piazza, anch'egli ucciso pochi mesi dopo, e al fallito attentato contro Falcone all'Addaura il 20 giugno dello stesso anno. Un lavoro prezioso, visto che Falcone, presentatosi al funerale di Agostino, disse: «A questo ragazzo devo la mia vita». Quel «frego» di carte sarebbe stato portato via da un agente di polizia intervenuto sul posto, successivamente scoperto e processato, ma per il quale nel febbraio del 2014 la procura di Palermo ha dovuto chiedere l'archiviazione per intervenuta prescrizione. Sulla scena di quell'omicidio, come in altre circostanze peraltro, fa la sua comparsa un personaggio inquietante, noto alle cronache come «faccia di mostro». Un agente dei servizi ? Non si sa. Quel che sappiamo è che proprio negli ultimi mesi è emerso un possibile collegamento tra le indagini di almeno quattro procure, le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia della famiglia Galatolo e un uomo che risponderebbe alle caratteristiche di «faccia di mostro». Stupisce allora francamente e preoccupa, alla luce di tutto ciò, che non risultino provvedimenti di custodia volti ad evitare che nelle more costui decida di rendersi irreperibile. Ancora per la serie «carte che scompaiono», come non pensare all'omicidio del procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia, ucciso il 26 settembre 1983. La sentenza, che non ha peraltro individuato gli esecutori materiali, parla di una ’ torinese desiderosa di mettersi in mostra con i mafiosi operanti in città, togliendo di mezzo un giudice integerrimo e quindi scomodo. Soltanto un omicidio dimostrativo insomma.
Eppure, il tentativo di far ricadere la colpa dell'omicidio del giudice sulle BR fu sofisticato e, in apparenza, incongruo, purtroppo derubricato, salvo poi tornare fuori anni dopo anche in questo caso grazie ad alcune intercettazioni telefoniche nelle quali un magistrato, allora indagato, fece riferimento al testo della falsa rivendicazione delle BR trovato niente po’ po’ di meno che, a casa di Pio Cattafi, durante una perquisizione, fatto che, se accertato, metterebbe in tutt'altra evidenza lo scenario in cui è maturato l'omicidio di Bruno Caccia. Che fine ha fatto il materiale sequestrato durante quella perquisizione ?
Ma torniamo a ciò che riguarda l'articolo 375, dove si legge ancora: «forma (...) artificiosamente (...) gli oggetti indicati nel precedente numero», il numero 2, cioè oggetti da impiegare come elementi di prova. Come non pensare alle false bottiglie Molotov fatte rinvenire nella Diaz di Genova nella notte del 21 luglio 2001 ? La Cassazione, con la sentenza 5 luglio 2012, ha messo un punto giudiziario su questa drammatica vicenda, rendendo definitive le 25 condanne di esponenti anche di vertice della polizia di Stato. Una sentenza che infine ha dato ragione al lavoro lacerante, spesso osteggiato ma rigoroso e determinato di magistrati come il dottore Enrico Zucca, cui credo debba andare la nostra più sentita gratitudine. Va detto che questa sentenza non è riuscita a ricucire lo strappo provocato da tanta spietata violenza. Le bottiglie Molotov portate di soppiatto all'interno della scuola sono sintomo di quello stesso malinteso spirito di corpo che poco ha a che fare con la lealtà istituzionale e che ha determinato la sostanziale impunità di condannati. Ecco che, analizzando questi comportamenti, ci ritroviamo immersi in quella miscela esplosiva fatta, da un lato, di appartenenza all'apparato che esige fedeltà e promette protezione e, dall'altro, di forte certo, generato dal pericolo e dal bisogno di essere tempestivi e risolutivi. Quella miscela che spesso viene sublimata nel concetto di ragion di Stato, concetto necessario e allo stesso tempo rischioso. Proprio dentro quella miscela, come agente dissuasore, gettiamo oggi il nuovo reato di depistaggio così come spero presto getteremo il nuovo reato di tortura perché non accada mai più che qualcuno pensi di difendere l'autorità degli appartenenti di polizia con l'impunità che è errore. Non è l'impunità che alimenta l'autorità. L'impunità è una bestemmia in una democrazia fondata sul principio di uguaglianza davanti alla legge sancito dalla nostra Costituzione e i primi a saperlo, che sono anche i primi a patirlo, sono proprio gli operatori e le operatrici di polizia che quotidianamente con sacrifici personali, dotazioni spesso inadeguate, professionalità e dedizione fanno il proprio dovere come quelli la cui memoria siamo andati ad onorare dieci giorni fa nel sacrario presso la scuola di alta formazione della polizia, morti con Falcone e Borsellino. Bene poi che l'articolo 375 non prevede una condotta, come si suol dire propria, mentre propria è l'aggravante perché l'attività di depistaggio non necessariamente è posta in essere da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Penso ai giornali che, all'indomani dell'omicidio di don Beppe Diana, 19 luglio 1994, accreditarono strumentalmente la pista passionale, lasciando intendere che don Diana fosse stato ucciso perché gli piacevano le donne. Spesso infatti il depistaggio è attività sintomatica di alleanze ignobili tra organizzazioni criminali in senso stretto e quell'area vasta composta da esponenti delle istituzioni, dei partiti e dell'economia. Detto altrimenti il depistaggio è semplicemente l'intera storia del rapporto non risolto tra mafia e Stato. Quel rapporto che passa attraverso l'omicidio di Peppino Impastato, di Mauro Rostagno, di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Danilo Dolci, militante non violento, maestro, italiano di cerniera e di confini, disse che la prima Repubblica nacque con la strage di Portella della Ginestra il 1o maggio 1947 e che la cosiddetta seconda Repubblica nacque con la strage di Capaci il 23 maggio del 1992. In questo modo di ragionare, ahinoi, con l'espressione «nascere» si deve intendere quel momento tragico e immancabile nel quale i poteri reali che si agitano sul fondo del barile trovano una temporanea composizione, eliminando di comune accordo i nemici pericolosi e spartendosi in maniera soddisfacente le risorse più preziose a cominciare dallo Stato.
Portella della Ginestra e Capaci, insieme a via D'Amelio e alle bombe del 1993, sono intrise di depistaggi e sono intrise di quegli indicibili accordi evocati dal compianto consigliere D'Ambrosio. Sarebbe davvero bello e giusto poter mettere in un cassetto questo nuovo reato, contando piuttosto sull'onesta collaborazione di chi sa le cose.
È davvero giunto il tempo che si converta alla lealtà democratica chi ha fin qui vissuto di altre, «maledette» lealtà. In attesa che questo avvenga, attrezziamoci comunque e prudentemente con questo nuovo strumento .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea introduce nel codice penale la nuova fattispecie delittuosa di depistaggio e inquinamento processuale, riscrivendo l'articolo 375 del codice, oggi relativo alle circostanze che aggravano alcuni delitti contro l'amministrazione della giustizia.
Le aggravanti sono, invece, collocate nel nuovo articolo 384- del codice. In particolare, il nuovo delitto di depistaggio e inquinamento processuale inserito all'articolo 375 del codice penale definisce e stabilisce che viene punito con la reclusione da due a otto anni chiunque compia una delle seguenti azioni, finalizzata ad impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale: mutare artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connesse al reato; distruggere, sopprimere, occultare o rendere inservibili, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento; formare o alterare artificiosamente, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento.
Per questo delitto, i termini di prescrizione del reato sono raddoppiati. Inoltre, la condanna per depistaggio, in caso di reclusione superiore a tre anni, comporta l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
A seguito dell'introduzione del delitto di depistaggio, il provvedimento approvato dalla Commissione abroga il reato di frode processuale penale (articolo 374, secondo comma), ritenendo tale previsione in qualche modo assorbita dal nuovo articolo 375 del codice penale.
Introduce nel codice penale l'articolo 384- dedicato alle circostanze che aggravano la pena non solo per il nuovo delitto di depistaggio, ma anche per alcuni altri delitti contro l'amministrazione della giustizia. In particolare, il primo comma prevede un aggravio di pena quando la commissione dei delitti di false informazioni al PM (articolo 371-, false dichiarazioni al difensore (articolo 371-, falsa testimonianza (articolo 372), falsa perizia o interpretazione (articolo 373), depistaggio (nuovo articolo 375), comporti la pronuncia di una sentenza di condanna alla reclusione a danno di un terzo. La pena alla reclusione da applicare al colpevole di uno dei delitti contro l'amministrazione della giustizia è tanto più severa, quanto più alta è stata la condanna inflitta al terzo vittima dell'inquinamento dell'indagine del processo.
Il secondo comma prevede un aumento della pena da un terzo alla metà quando alcuni delitti contro l'amministrazione della giustizia – segnatamente, simulazione di reato (articolo 367 del codice penale), calunnia (articolo 368 del codice penale), autocalunnia (articolo 369 del codice penale), false informazioni al PM (articolo 371-, false dichiarazioni al difensore (articolo 371-, falsa testimonianza (articolo 372), falsa perizia o interpretazione (articolo 373), frode processuale (articolo 374), depistaggio (nuovo articolo 375), intralcio alla giustizia (articolo 377 del codice penale) e induzione a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (articolo 377- del codice penale) – sono commessi: da pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio delle funzioni; in relazione a procedimenti penali relativi ad associazioni sovversive (articolo 270 del codice penale), associazioni terroristiche (articolo 270- del codice penale), attentato contro il Presidente della Repubblica (articolo 276 del codice penale), attentato per finalità terroristiche o di eversione (articolo 280 del codice penale), atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (articolo 280- del codice penale), attentato contro la Costituzione (articolo 283 del codice penale), insurrezione armata (articolo 284 del codice penale), devastazione, saccheggio e strage (articolo 285 del codice penale), sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione (articolo 289- del codice penale), banda armata (articolo 306 del codice penale), mafia (articoli 416- e 416- del codice penale), strage (articolo 422 del codice penale), associazioni segrete (articolo 2 della legge n. 17 del 1982), traffico internazionale di armi e materiale nucleare, chimico o biologico.
Se le circostanze concorrono, la pena è aumentata della metà fino al doppio. Mi preme sottolineare che ad oggi il nostro ordinamento penale non prevede questo reato specifico ma una serie di altre disposizioni che puniscono in vario modo la condotta di colui che intralcia la giustizia indirizzando su una falsa pista le indagini penali svolte dall'autorità giudiziaria. Si pensi alla falsa testimonianza, alla calunnia, all'autocalunnia, al favoreggiamento, al falso ideologico, alle informazioni al pubblico ministero. Si tratta, come per il depistaggio, di comportamenti anche omissivi volti con diverse modalità ad ostacolare l'acquisizione della prova o l'accertamento dei fatti nel processo penale. È da quattro legislature che si tenta di introdurre questa fattispecie delittuosa novellando l'attuale codice penale, al fine di avere uno strumento in più per cercare la verità dietro le stragi che hanno tristemente segnato la storia della nostra nazione e servendo altresì da deterrente per chi volesse interferire nelle indagini.
Ebbene, nonostante la storia d'Italia sia stata insanguinata da numerose stragi, ad oggi non esiste il reato di depistaggio per colpire quei poteri che hanno fatto e fanno dell'omissione, dell'occultamento e della distruzione di prove uno strumento chiave per nascondere la verità. È noto che molte delle inchieste sui principali avvenimenti di stragi e di terrorismo hanno subito rallentamenti quando non veri e propri arresti a causa della mancata collaborazione di pubblici ufficiali con l'autorità giudiziaria. Dalla strage di piazza Fontana in poi le omissioni, le bugie e la distruzione di documenti hanno impedito che si potesse giungere alla scoperta dei responsabili materiali e morali degli attentati che hanno devastato il Paese fino al 1993 con le tragiche stragi che sono state qui poco fa tristemente ricordate. Fino ad oggi, tuttavia, a queste diverse condotte di depistaggio, inqualificabili per gravità politica e morale, non hanno mai corrisposto sanzioni adeguate, limitandosi l'ordinamento a prevedere per casi simili i reati di falsa testimonianza, omissione e soppressione di atti d'ufficio, senza evidenziare le conseguenze che tali condotte hanno sul piano penale e della verità. Si è ritenuto indispensabile introdurre, dopo l'articolo 372 del codice penale, un nuovo articolo che sanzionasse con la reclusione da sei a dieci anni tutti quei comportamenti tendenti all'occultamento totale o parziale della verità da parte dei pubblici ufficiali ovvero tutti i comportamenti omissivi dei pubblici ufficiali tenuti anche nel corso di procedimenti penali concernenti i reati di associazione mafiosa, traffico di droga nonché traffico illegale di armi e di materiale nucleare, chimico e biologico. Lungi da me una trattazione critica della materia. Siamo molto lontani dall'individuazione giudiziaria dei mandanti. Gli esecutori non sono un gruppo di sprovveduti che a un certo punto scelgono di dedicarsi al terrorismo. Bisognerebbe interrogarsi su chi li ha usati facendo sprofondare il Paese in un clima da guerra civile. Le stragi e gli orrori che da esse derivano devono rappresentare per il nostro Paese solo un brutto ricordo. È gravissimo ciò che è accaduto. Dobbiamo impegnarci affinché l'Italia sia considerata una nazione attenta alle necessità dei cittadini, che devono sentirsi veramente liberi da scheletri del passato e sapere da tutti, soprattutto da parte delle istituzioni, la verità su quello che è accaduto.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sarti Ne ha facoltà.
GIULIA SARTI. Presidente, siamo qui oggi perché, se con questa discussione si otterrà un risultato, riusciremo ad avere a disposizione uno strumento fondamentale per la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. L'obiettivo per il MoVimento 5 Stelle è quello di dare un aiuto concreto a chi da anni lotta per arrivare alla verità che si nasconde dietro le stragi accadute in Italia nell'ultimo secolo. Guardando agli atti di precedenti, nella storia del Parlamento italiano, non è la prima volta che viene avanzata una proposta del genere. Già il 7 dicembre 2000, nel corso della XIII legislatura, i deputati Bielli, Cappella, Vignali, Aloisio, Sciacca e Piero Ruzzante si erano mossi nella stessa direzione. Erano i tempi in cui si stava prendendo in esame la riforma dei servizi segreti e del segreto di Stato, riforma giunta solo nel 2007, e già si scriveva allora: dalla strage di Piazza Fontana in poi le omissioni, le bugie e la distruzione di documenti hanno impedito che si potesse giungere alla scoperta dei responsabili materiali e morali degli attentati che hanno devastato il Paese fino al 1993.
Da allora per altre tre volte si è cercato di introdurre nel nostro ordinamento questa nuova fattispecie di reato, tutti tentativi falliti. Oggi finalmente siamo ad un passo dall'approvazione di questa importante proposta di legge. È necessario spiegare l'iter che è stato seguito per arrivare al testo attuale, diverso in parte da quello originario. In Commissione infatti sono state preziose le audizioni dei soggetti autorevoli che anche noi avevamo proposto: Roberto Scarpinato, procuratore generale perso la Corte d'appello di Palermo; Armando Spataro, da pochi giorni procuratore capo presso la procura della Repubblica di Torino, che si è distinto negli anni per il suo prezioso lavoro come sostituto procuratore di Milano; Fabio Repici, avvocato di parte civile di moltissimi familiari di vittime di mafia, solo per citarne uno il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore; Andrea Pertici, ordinario di diritto costituzionale presso l'università degli studi di Pisa. Le mie prime proposte emendative a questo testo sono state il frutto in particolare della preziosa testimonianza di Roberto Scarpinato, che nel corso della sua esperienza professionale si è dovuto confrontare costantemente con il fenomeno del depistaggio nelle indagini. Il procuratore Scarpinato infatti si è occupato delle indagini degli omicidi più eccellenti – ne cito alcuni, il presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella, il segretario regionale del PCI Pio La Torre, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il segretario provinciale della Democrazia Cristiana Reina – o indagini che hanno portato alla condanna definitiva di vertici dei servizi segreti collusi con la mafia come Bruno Contrada, o ancora indagini sulle stragi. Nella qualità di procuratore generale di Caltanissetta si è occupato anche della revisione dell'indagine relativa alla strage di via D'Amelio. Voglio citare alcuni episodi di cui Scarpinato si sta occupando ancora oggi, pensiamo a tre episodi in particolare che riguardano la sottrazione dell'agenda rossa di Paolo Borsellino dalla macchina il giorno della strage di via d'Amelio, la cancellazione della memoria del computer portatile Casio di Giovanni Falcone, l'introduzione di falsi collaboratori di giustizia nella strage di via D'Amelio, come Scarantino. Servirebbe troppo tempo per elencare tutti gli episodi di depistaggio che hanno percorso la storia di questo martoriato Paese. Il MoVimento 5 Stelle, proprio in ragione dell'autorevolezza del contributo che abbiamo ricevuto attraverso le audizioni, ha voluto farne tesoro e trasformare le indicazioni ricevute dai veri tecnici del settore in emendamenti migliorativi della proposta del deputato Bolognesi, che per l'intento perseguito era già condivisibile inizialmente. Il punto di partenza è stato a nostro avviso il dato di fatto per cui la condotta di depistaggio si compone spesso da una molteplicità di comportamenti che vanno dal furto alla soppressione dei documenti, alla simulazione di reato, alla calunnia, all'autocalunnia. È per questo che le nostre prime proposte emendative comprendevano un catalogo di 39 comportamenti diversi che sfuggono attualmente ad un'adeguata sanzione penale. Spesso la condotta di depistaggio viene programmata ancor prima delle soluzioni al reato. Pensiamo per esempio all'agenda rossa di Paolo Borsellino: il reato contestato è stato il furto. Cos'altro potevano contestare ? È un reato punito da uno a tre anni. A causa del vuoto normativo i nostri giudici si sono trovati con le mani legate nell'impossibilità di chiamare con il nome giusto le cose, tutto questo a causa di una lacuna nel nostro ordinamento, l'ennesima, oserei dire. Ancora, basti pensare alla cancellazione della memoria del computer di Falcone, attualmente previsto all'articolo 635, distruzione dei informatici, punibile a querela. Dunque ecco perché con i nostri emendamenti non abbiamo voluto aumentare la pena per il reato di falsa dichiarazione al pubblico ministero, ma aumentare piuttosto il perimetro della punibilità di reati mediante i quali si consuma il depistaggio. Attualmente nella gran misura sono punite da pene ridicole: da uno a tre anni la simulazione di reato, Scarantino – autocalunnia – da uno a tre anni. Quindi in definitiva per la maggior parte vengono falcidiati dalla prescrizione. Per ottenere uno strumento efficace le tecniche legislative utilizzabili sono principalmente due: la prima consiste nel prevedere un'aggravante speciale, ossia non bilanciabile con le circostanze attenuanti, applicabile a tutti quei reati che in base all'esperienza acquisita sono i reati mediante i quali si attua la condotta di depistaggio. Creare insomma una sorta di aggravante speciale, congegnata a formare un elenco, come avevamo fatto, di 39 reati perché tante sono le condotte con le quali si può attuare il depistaggio, e con la pena aumentata dalla metà al triplo perché un aumento dalla metà ai due terzi per i reati per i quali è prevista una pena da uno a tre anni fondamentalmente non avrebbe determinato nessuna efficacia deterrente.
Quindi, ci voleva un'escursione di pena più ampia se commessi da pubblici ufficiali o da incaricati di pubblico servizio. Siamo soddisfatti del fatto che sia stata inserita anche infatti quest'altra figura. Quelli che non rivestono la qualità di pubblico ufficiale all'interno dei servizi segreti o delle forze di polizia possono svolgere, come l'esperienza dimostra, un'attività di depistaggio altrettanto importante. L'obiettivo è ostacolare l'acquisizione di fonti di prova, depistare ed eludere le indagini in un procedimento penale, concernenti reati diretti e qui c’è la categoria già prevista, con in più il reato di omicidio.
Per tutti questi reati, che vanno dal furto all'autocalunnia ai vari falsi, avevamo formulato appunto questa aggravante speciale prevista nel titolo dei reati contro l'autorità giudiziaria, con un comma secondo cui le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con l'aggravante di cui al comma primo, non possano essere ritenute equivalenti o prevalenti e così via.
Questa prima tecnica legislativa avrebbe consentito di abbracciare con una sola aggravante speciale e non bilanciabile tutta quella serie di comportamenti e quindi di reati che, in base all'esperienza degli esperti del settore, sono quelli con i quali si realizza il depistaggio.
Abbiamo poi perseguito lo stesso fine attraverso un altro tipo di emendamento rivolto, questa volta, alla costruzione di una fattispecie a largo spettro di depistaggio, che coprisse non soltanto i comportamenti dichiarativi, falsi o reticenti, ma anche tutte le condotte con cui si può immaginare il depistaggio. Un nuovo reato insomma: il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che con azione o omissione ostacola, ritarda indebitamente, depista le indagini e i procedimenti penali concernenti i reati diretti all'eversione dell'ordine costituzionale – segue l'elenco ovviamente di tutti i reati di omicidio – è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Inoltre, ci siamo posti il problema, più volte evidenziato in sede di Commissione, della prescrizione e dunque avevamo proposto anche una modifica dell'articolo sulla prescrizione, che ricalca lo stesso regime speciale previsto per i reati di mafia; come sappiamo, infatti, per fortuna, abbiamo un doppio binario che scongiura che per i reati di mafia si verifichi la stessa sorte che c’è per i reati ordinari, che nella maggior parte dei casi è fondamentalmente la condanna alla prescrizione.
L'articolo 157 prevede che per i reati di mafia i termini della prescrizione siano raddoppiati. Allora, è bastato modificare l'articolo 157 nel primo periodo – «i termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati» – e fare un elenco, aggiungendo «anche per i reati aggravati», ai sensi dell'aggravante speciale di cui parlavo e per il nuovo reato di depistaggio che dicevo precedentemente.
Dovendo applicare delle fattispecie, come per esempio il favoreggiamento, che non hanno questa aggravante, ci si trova dinnanzi a una difficoltà: bisogna provare un dolo che è stato pensato non per il depistaggio, ma per altre finalità. Il favoreggiamento del mafioso presuppone che ci sia la volontà di favorire il mafioso; se però non è questa la volontà, ma quella di depistare le indagini per altri fini, la difficoltà è enorme e dipende da un vuoto legislativo.
Introdurre quindi un'aggravante speciale o un reato specifico evita che ci si ritrovi dinanzi a una difficoltà probatoria e a delle torsioni che derivano dal fatto che bisogna provare un dolo che non è quello previsto dal reato, ma un altro e che tuttavia non è stato previsto finora dal legislatore.
Armando Spataro invece era a favore dell'introduzione di un'aggravante e non di un reato specifico. Fabio Repici, invece, ha portato in audizione la sua esperienza sul profilo della pratica processuale e le emergenze che nella vita giudiziaria si possono verificare. I casi di depistaggi nella sua carriera sono molteplici e ha assistito – e assiste tuttora – parti civili o persone offese dal reato in vicende delittuose che hanno avuto casi che possono, già così, ritenersi depistaggio. Alludo al processo «Borsellino », all'omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie commesso nel 1989, all'omicidio del giornalista Beppe Alfano, all'omicidio di Graziella Campagna o all'omicidio del procuratore Bruno Caccia.
In realtà, la pratica giudiziaria gli ha fatto rilevare in concreto che l'attività depistatoria si verifica appunto – come dicevamo – non nella sede formale propria delle dichiarazioni innanzi al pubblico ministero o al giudice, ma in una fase precedente, addirittura alle volte persino precedente all'iscrizione della notizia di reato, quindi prima ancora che il procedimento penale abbia corso.
Conseguentemente, diventa quasi impossibile ed estremamente difficile sul piano pratico esigere la condanna di questo tipo di condotte.
Un'altra considerazione importante riguarda – e un po’ l'abbiamo già detto – il forte legame tra il depistaggio, la punibilità e la prescrizione. Il depistaggio è lo sviamento della pretesa punitiva dello Stato; la prescrizione è l'estinzione della potestà punitiva dello Stato.
Ontologicamente, la risultanza su un'attività depistante emergerà venti anni dopo. Sull'omicidio Agostino è emersa da un'intercettazione di venti anni dopo e, infatti, il reato per cui la procura della Repubblica ha dovuto chiedere l'archiviazione è già prescritto sotto il profilo del falso per soppressione.
Il testo a cui siamo arrivati oggi comprende entrambe le tecniche legislative descritte inizialmente. Vi è, infatti, sia la previsione di un reato specifico, definito come «depistaggio e inquinamento processuale», reato comune che diviene il nuovo articolo 375 del codice penale e che punisce diverse tipologie di condotte con la reclusione da due a otto anni. Di seguito, poi, vi è la previsione di più circostanze aggravanti con una punibilità differenziata e proporzionale alla condotta inflitta.
È stato introdotto, poi, in Commissione l'emendamento che prevede l'interdizione perpetua dai pubblici uffici nel caso di condanna per depistaggio con reclusione superiore a tre anni e sono stati poi introdotti anche altri subemendamenti, alcuni anche miei, ovviamente, che sono stati accolti. Ora per l'esame in Aula certo vorremmo che il testo fosse migliorato ulteriormente, ad esempio prevedendo di iscrivere nella categoria delle condotte da punire tutto l'elenco di quell'articolo 51, comma 3-, del codice di procedura penale e non accogliendo, quindi, soltanto la previsione dell'associazione mafiosa, di cui all'articolo 416- del codice penale, o del voto di scambio, di cui all'articolo 416- del codice penale ma, appunto, tutto l'elenco di cui all'articolo 51, comma 3-.
Inoltre, un altro profilo importante, che a nostro parere potrebbe aggiungersi a questa configurazione e a questo nuovo testo che è arrivato in Aula, è la possibilità di punire... più che di punire di prevedere il decorso dei termini di prescrizione dal momento della scoperta del fatto di reato e, quindi, dal momento della scoperta di una notizia di reato e non a posteriori. Questo proprio per evitare casi come quello che citavo prima ad esempio, quello dell'omicidio di Antonino Agostino, ma ne potremmo elencare tantissimi altri.
Tuttavia, siamo felici di osservare che questo testo, questa proposta di legge, è stata davvero il frutto di una collaborazione tra la maggioranza e il MoVimento 5 Stelle e siamo, come dicevo, estremamente convinti che questa provvedimento finalmente possa arrivare alla sua approvazione in tempi rapidi. Dovremo fare un enorme lavoro anche al Senato della Repubblica, ma già prevedere entro la pausa estiva di potere giungere all'approvazione, almeno in un ramo del Parlamento, è sicuramente un risultato importantissimo, non solo per noi. Penso che tutto ciò lo dobbiamo agli operatori del settore, a tutti quei magistrati che costantemente si ritrovano a dover svolgere delle indagini importanti o a dovere, appunto, dirimere la fase dibattimentale nei processi, e lo dobbiamo a tutti quegli avvocati di parte civile, di persone offese dal reato, che all'interno delle udienze si trovano spesso di fronte a depistaggi o ad avvenimenti difficilmente interpretabili. Lo dobbiamo, però soprattutto, a tutti quei parenti delle vittime, spesso di mafia, spesso, più in generale, di stragi. Ricordo, a questo proposito, che proprio tra pochi giorni ci sarà l'anniversario della strage di Bologna del 2 agosto 1980, mentre proprio pochi giorni fa vi è stato a Palermo l'anniversario, con tantissime iniziative, della strage di via D'Amelio.
È proprio ai parenti di quelle vittime che, secondo noi, questo testo di legge può rivolgersi e si rivolge e, soprattutto, a tutte quelle persone che in tutti questi anni non hanno smesso di gridare, con tutta la loro forza e con tutta la loro voglia, la richiesta, come dicevo, di giustizia, ma più che di giustizia la richiesta di quella verità che spesso si fa fatica a volere accettare in questo Paese e che invece speriamo, con il nostro lavoro all'interno di queste Aule, di portare sempre di più alla luce .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Verini.
WALTER VERINI, Signor Presidente, soltanto per apprezzare il tono e i contributi di questa discussione generale, i contributi venuti dagli interventi dell'onorevole Mattiello, dell'onorevole Sarti e dell'onorevole Palese, e dall'intervento del sottosegretario Ferri. Credo che ci siano le condizioni anche per definire in Aula nelle prossime ore per il voto gli aspetti ancora mancanti per completare il quadro, in particolare con gli emendamenti che, come avevo ricordato io nella relazione e come hanno ricordato anche i successivi interventi, riguardano soprattutto una cosiddetta parte che potremmo chiamare premiale, per incentivare le dissociazioni e le collaborazioni. C’è anche aperto il tema dell'inizio della prescrizione, ma dal punto di vista politico non ci sono problemi. Si tratta di adeguare anche queste esigenze all'ordinamento.
Un'ultima considerazione, un auspicio come dicevo: l'Aula dovrebbe e potrà approvare questo provvedimento entro questa settimana e credo che sarebbe un segnale importante sotto molti punti di vista, che potremmo poi affidare al presentatore di questo provvedimento, cioè Paolo Bolognesi, che sabato sarà, come ricordavamo all'inizio, come è stato ricordato anche nel dibattito, sul palco di Bologna per il trentaquattresimo anniversario di quella strage
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta. Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 17,05.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Ottobre, Giachetti, Fabrizio Di Stefano, Leone, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno ed altri n. 1-00291 e Corda ed altri n. 1-00406 concernenti iniziative a tutela del cittadino italiano Enrico Forti, condannato e detenuto negli Stati Uniti .
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Ottobre, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00291. Ne ha facoltà.
MAURO OTTOBRE. Signor Presidente, colleghi, la mozione che ho presentato come primo firmatario e che è stata sottoscritta da 52 parlamentari, appartenenti ai gruppi del Partito Democratico, di Forza Italia, di SEL, della Lega, di Per l'Italia, di Fratelli d'Italia, dal Vicepresidente della Camera dei deputati Giachetti, dal presidente del gruppo Misto, Pisicchio, dal presidente del gruppo Per l'Italia, Dellai, e dalle componenti politiche del gruppo Misto delle Minoranze linguistiche, del Partito Socialista-Liberali per l'Italia e del MAIE, impegna il Governo ad assumere un'iniziativa determinata in sede internazionale sul caso, dopo avere espresso attenzione nei mesi scorsi, e ogni possibile iniziativa di competenza volta a tutelare Enrico Forti, cittadino italiano, come più volte in precedenza il Governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri connazionali, condannati e detenuti all'estero, considerato anche il fatto che lo Stato italiano intrattiene con il Governo degli Stati Uniti ottimi rapporti diplomatici, che hanno portato, anche di recente, alla soluzione di casi giudiziari controversi.
Nel corso della legislatura, ulteriori iniziative sono state assunte e hanno avuto attenzione da parte del Governo, da ultimo dal Governo Renzi, con il Ministro degli affari esteri Mogherini, che ha assicurato l'impegno del Ministero degli affari esteri, di concerto con i funzionari del consolato generale di Miami in Florida, che da sempre seguono il caso, e con l'ambasciata italiana negli Stati Uniti, una volta che sarà effettivamente attivato un procedimento di revisione, per accompagnare l'azione legale, sostenendola nei confronti delle autorità locali.
Il 3 giugno scorso ho incontrato Chico Forti e il suo nuovo legale, Joe Tacopina, che ha avviato l'inchiesta difensiva necessaria alla revisione del processo e alla riapertura del caso. In un nuovo incontro a Roma, nei giorni scorsi, Tacopina ha osservato come si vada delineando un quadro di assoluta certezza in ordine all'innocenza di Chico Forti. Vi sono prove certe del fatto che egli sia innocente e che dimostrano come la condanna di colpevolezza sia avvenuta non soltanto sulla base di indizi contraddittori o inesistenti, ma anche di un pregiudizio sostanziale. Su queste basi, si lavora concretamente per la revisione del processo, giacché la richiesta di un nuovo processo può avvenire solo ed esclusivamente sulla base di una nuova prova determinante che sia presentata nel dibattimento, che potrebbe modificare l'esito e che sia ritenuta probatoria ai fini della riapertura del caso e per un nuovo processo.
Il Consiglio provinciale di Trento, nei giorni scorsi, si è espresso a sostegno di Chico Forti, con un voto unanime sulla mozione che richiede la riapertura del caso di Chico Forti: è la conferma del consenso ampio e trasversale agli schieramenti politici che si manifesta nelle istituzioni e nella comunità civile, affinché la sua vicenda abbia giustizia.
Enrico «Chico» Forti si trova da 14 anni in carcere a Miami, condannato all'ergastolo e accusato di un omicidio che non ha commesso. È stato condannato in base ad un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario, senza prove e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale.
«La Corte non ha le prove che lei signor Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati, ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale !»: è questa la frase che il giudice Victoria Platzer ha proferito in chiusura del processo di Enrico Forti. Il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della corte di Miami; a suo carico non è mai stata prodotta alcuna prova forense oggettiva.
Nel corso di questi anni, si è formato in Italia e in sede internazionale un movimento di opinione, che ha motivato, approfondito, sostenuto e richiesto che il caso di Chico Forti non fosse soltanto un caso giudiziario o privato, ma, al di là delle possibile contrapposizioni tra schieramenti, un caso assunto in prima persona dal Parlamento e dal Governo.
In questa sede intendo ringraziare tutti i parlamentari che hanno sottoscritto la mozione da me presentata: hanno compiuto una scelta contro il pregiudizio, perché esprimono la volontà di conoscere il caso nel merito e testimoniano la volontà di non arrendersi e di non lasciare Chico da solo. L'auspicio è che l'Aula della Camera esprima un voto unanime in questa prospettiva. Il mio ringraziamento va, in particolare, ai volontari, ai familiari, a tutti coloro che, come cittadini o esponenti delle istituzioni, nel corso di questi anni, hanno sostenuto la domanda di giustizia per Chico Forti.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Corda, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00406. Ne ha facoltà.
EMANUELA CORDA. Signor Presidente, sono lieta di poter, finalmente, parlare in quest'Aula di una vicenda umana e giudiziaria a dir poco incredibile, se non per taluni aspetti addirittura agghiacciante: la storia di Enrico Forti, detto Chico, un nostro connazionale detenuto da ben 14 anni in un carcere di massima sicurezza a Miami, a seguito di una condanna all'ergastolo per un omicidio che egli stesso ha sempre dichiarato di non aver mai commesso. Ma perché, dunque, con i colleghi del MoVimento 5 Stelle abbiamo deciso di seguire questo caso in un particolare, e adesso ci siamo appassionati fino alla presentazione di questa mozione in Parlamento ? Lo abbiamo fatto essenzialmente per due motivi. In primo luogo, riteniamo che il processo che ha portato alla condanna all'ergastolo di Chico Forti sia stato macchiato da pesanti ombre e incongruenze. Incongruenze evidenti in tutte le sue fasi, così come sottolineato, più volte, nel corso di questi lunghissimi 14 anni dalla difesa dello stesso Enrico Forti, ma anche da emeriti giuristi che in questi stessi anni hanno preso visione degli atti processuali, e tra questi anche l'avvocato difensore di Chico in Italia, Ferdinando Imposimato, che continua a battersi strenuamente per ottenere la revisione del processo. In secondo luogo, non riteniamo possibile che un caso ormai balzato prepotentemente all'attenzione dell'opinione pubblica a livello internazionale e denunciato a gran voce da personalità di spicco del panorama intellettuale e culturale italiano e non solo, oltre che da un'inarrestabile ondata di solidarietà e impegno da parte di liberi cittadini e associazioni, per i suoi evidenti profili di ingiustizia giuridica e di negazione dei più elementari diritti dell'uomo, continui a passare inosservato, dinnanzi queste istituzioni parlamentari, nell'indifferenza di una politica sorda dinanzi ai bisogni dei cittadini, ancor più se si parla di nostri connazionali in difficoltà detenuti all'estero, circa tremila in tutto il mondo, abbandonati spesso al loro destino e in molti casi ancora in attesa di giudizio.
Nell'illustrare la nostra mozione, e di seguito gli impegni che con essa intendiamo porre all'attenzione dell'Esecutivo, riassumiamo la vicenda nei suoi punti salienti, per offrire un quadro organico e preciso della paradossale situazione nella quale il Forti venne a trovarsi 14 anni fa. Situazione che si è tramutata per questo nostro connazionale, e per tutta la sua famiglia, in un vero incubo che ancora oggi non sembra sbloccarsi, benché qualche spiraglio all'orizzonte sia visibile e questa discussione in Aula ci faccia ben sperare.
Il 15 giugno del 2000 Enrico Forti, nato in Italia nel 1959, ex campione mondiale di produttore televisivo, fu condannato all'ergastolo per l'omicidio di Dale Pike, 42 anni, dalla Dade County di Miami in Florida, con l'accusa di «aver personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, provocato dolosamente e preordinatamente la morte di Dale Pike» in Key Biscayne, Virginia Key, il 15 febbraio 1998. Il corpo di Dale fu trovato il 16 febbraio 1998, sulla spiaggia di Sewer Beach, in Key Biscayne. La vittima era stata raggiunta da due colpi di arma da fuoco esplosi alla nuca a distanza ravvicinata. Il movente dell'omicidio, secondo la Corte, fu l'eliminazione di Dale «ostacolo all'acquisto truffaldino dell'hotel Pike's di Ibiza di proprietà di Antony Pike, padre di Dale». Peccato che proprio il movente risultasse assolutamente inesistente, considerato che il Forti era stato assolto dall'accusa di truffa mesi prima in un altro processo. Le accuse contro Forti erano tre: truffa, circonvenzione e concorso in omicidio. Il processo contro Forti per la truffa e la circonvenzione d'incapace, si era concluso, come già accennato, con una sentenza di non doversi procedere, . Il movente fu, tra l'altro, precedentemente smentito dal notaio German Leon Pena, che in Spagna aveva rogato il preliminare di vendita tra Anthony Pike e Forti. Pena disse al Rubin e all'avvocato di Forti Loewy, che Anthony Pike non risultava proprietario di alcuna azione delle tre società che vantavano il 95 per cento della proprietà dell'Hotel. Il Rubin, tuttavia, non esibì alla Corte la testimonianza di Pena che scagionava il Forti dal movente.
L'8 ottobre 1999, così incredibilmente, nonostante il proscioglimento di Forti dall'accusa di truffa e circonvenzione di incapace, il chiese alla Corte di contestare al Forti l'accusa di omicidio di primo grado a scopo di lucro, cioè a scopo di ingiusto profitto per mezzo di truffa. Tale contestazione, sviluppata dal nella requisitoria finale, venne posta dalla Corte come pilastro dell'accusa, a base della condanna all'ergastolo.
Invece, il presidente della Corte avrebbe dovuto informare la giuria che Forti era stato prosciolto dall'accusa di truffa e circonvenzione, con sentenza per effetto della quale c'era il divieto del del «». L'articolo 14, comma 6, del Patto di New York, stabilisce che nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun Paese.
L'incredibile mancanza del movente si aggiunge ad altre altrettanto incredibili quanto assurde anomalie, evidenziabili in tutta questa vicenda. Basti pensare che la polizia di Miami convocò Chico Forti presso l'ufficio di polizia la sera del 19 febbraio 1998. Forti si presentò puntuale, alle 18,55, convinto di dovere fare una semplice chiacchierata informale e, invece, si rivelò sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio, senza che venisse avvisato, come era doveroso secondo la Costituzione americana e secondo il trattato sui diritti civili e politici di New York, ovvero doveva essere informato che era indagato di omicidio.
L'articolo 14, comma 3, lettera del Patto di New York, prescrive che «ogni individuo accusato di un reato, ha diritto come minimo ad essere informato sollecitamente della natura e dei modi dell'accusa a lui rivolta». Dell'interrogatorio, avvenuto con videoregistrazione, sono scomparse le registrazioni video e audio.
Dunque, nel caso Forti, sono state violate diverse norme del Patto di New York del 16 dicembre 1966, ratificato dagli Stati Uniti l'8 settembre 1992, vincolante per gli USA, e della Costituzione USA.
L'accusa contro Enrico Forti era inoltre confusa, generica, incomprensibile e non consentì un'adeguata difesa all'imputato. Non era chiaro, dopo alcuni cambiamenti del capo d'imputazione, se egli avesse agito come mandante o come esecutore materiale, da solo o con uno o più complici, e quale fosse soprattutto l'arma del delitto. La genericità dell'accusa violò una norma fondamentale del Patto di New York del 1966. L'articolo 14, comma 3, dispone, infatti, che «ogni individuo accusato di un reato, ha diritto ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta».
Il contestò a Forti in un primo tempo di essere stato l'esecutore materiale dell'omicidio, ma di fronte all'alibi di Forti – che dimostrò, con le celle del suo portatile, di essersi trovato lontano dal luogo del delitto al momento del fatto – cambiò l'accusa nel modo seguente: per avere il Forti Enrico personalmente, con altra persona o persone allo stato ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte, di Dale Pike.
Sulla base di questa nuova imputazione, di dubbia legittimità perché generica e alternativa, in cui si accusava contraddittoriamente il Forti di avere agito personalmente, o con una o più persone non identificate, ognuno con la propria condotta partecipativa, che non veniva tuttavia descritta, e in esecuzione di un comune progetto delittuoso, che non veniva definito, venne inflitta la condanna all'ergastolo.
Altra anomalia del processo è che risulta un conflitto di interessi, giuridicamente sanzionato dallo Stato della Florida, secondo cui il legale di Forti aveva contemporaneamente assunto l'incarico di pubblico ministero in un altro processo, rappresentando dunque lo Stato della Florida. Ciò non è possibile, a meno che l'assistito non dia esplicito assenso scritto al difensore. Il legale sostiene che detto assenso scritto ci fu, ma l'originale di detta scrittura non risulta sia mai stato esibito in processo.
Da non trascurare inoltre è la figura del tedesco Thomas Knott, pregiudicato condannato in Germania a sei anni per truffa e bancarotta fraudolenta, espatriato dalla Germania, mentre era in libertà vigilata, con documenti falsi forniti da Anthony Pike, padre di Dale Pike. Anch'egli fu sospettato dell'omicidio di Dale. Per questo subì una perquisizione domiciliare disposta dal . Tuttavia Knott patteggiò la pena con il Rubin e, benché truffatore di professione, divenne fondamentale testimone di accusa contro il Forti. Dopo un processo di ventiquattro giorni, il 15 giugno 2000, Chico Forti è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare dalla Dade County di Miami e condannato all'ergastolo.
Una sentenza che ha del surreale, visto l'iter sgangherato del processo e la scarsa attendibilità degli attori coinvolti. Impossibile è capacitarsi di come si sia potuto emettere un giudizio di questa gravità sulla base di prove confuse e circostanziali così deboli.
Certo è che tutta questa vicenda ha il sapore amaro della beffa, con un uomo solo contro un sistema e le sue falle, un uomo che ancora oggi non si arrende e grida, da quel freddo carcere, la sua innocenza, con tutta la forza del mondo.
Quattordici anni di carcere da innocente segnerebbero chiunque. Chico Forti oggi ha perso tutto: lavoro, famiglia, affetti, ma soprattutto il bene più prezioso, la libertà. Tuttavia, non ha perso la forza di reagire all'ingiustizia. Le sue speranze sono riposte nei tantissimi attestati di solidarietà che ogni giorno gli giungono da molte parti del mondo, perché la sua storia è diventata un simbolo di malagiustizia, e da quelle amicizie che, in questo percorso verso l'abisso, gli hanno reso i giorni da carcerato meno bui.
Vado a concludere. Per tutte queste ragioni, come cittadini in Parlamento, noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo voluto supportare la causa di Chico Forti. Con questa mozione vogliamo impegnare il Governo italiano affinché intraprenda la strada del dialogo con il Governo degli Stati Uniti, nel pieno rispetto della giustizia americana, affinché si faccia luce sulle numerose anomalie che hanno caratterizzato il processo a carico del Forti, vittima, a nostro giudizio, di molteplici di violazioni dei diritti alla difesa, tutelati dal Patto internazionale di New York e dalla Costituzione degli Stati Uniti.
Auspichiamo, dunque, che questa mozione possa essere...
EMANUELA CORDA. Vado a concludere, Presidente. Auspichiamo, dunque, che questa mozione possa essere condivisa da tutte le forze politiche e che con esse si trovi un percorso comune a supporto della causa di questo nostro concittadino, detenuto ingiustamente all'estero da ormai quattordici lunghissimi anni. Riteniamo sia giunto il momento in cui il nostro Paese possa e debba far sentire la propria voce per difendere i diritti sacrosanti di Chico Forti, perché la sua storia apra la strada alla sensibilizzazione di tutti, a partire dalle istituzioni, sulle condizioni e sui diritti di tutti i detenuti italiani nelle carceri del mondo .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, anche Forza Italia ha sottoscritto la mozione per fare piena luce sulla situazione che riguarda Enrico Forti. Non ripeterò tutte le argomentazioni che sono riferite all'interno della mozione e quanto espresso dai colleghi.
L'auspicio è che si possa trovare un'unità da parte del Parlamento rispetto a quello che è l'intendimento e l'obiettivo, cioè quello di impegnare il Governo perché si attivi per poter risolvere questo ennesimo e enorme problema, che riguarda un nostro concittadino, un grande concittadino, che assolutamente va definito in tutti i suoi aspetti.
Quindi, io auspico questo, rappresentante del Governo. Poi nella dichiarazione di voto noi esprimeremo il nostro voto chiaramente a favore, ma con l'auspicio che il Governo accetti la mozione e che ci sia poi una posizione unitaria da parte del Parlamento.
PRESIDENTE. Onorevole Palese, la ringrazio, anche per la sintesi. È iscritta a parlare l'onorevole Michela Rostan. Ne ha facoltà.
MICHELA ROSTAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sentito fortemente il bisogno di intervenire oggi nell'ambito di questa importante discussione, che – mi auguro – possa portare in tempi brevi all'approvazione di una mozione sottoscritta da quasi 50 deputati, che, oltre a rappresentare una speranza per il nostro concittadino detenuto negli Stati Uniti, Enrico Forti, costituisce anche e soprattutto un momento di riflessione collettiva rispetto all'importanza e al valore del principio del giusto processo. Un principio, quello del giusto processo, che tanto bene la nostra Costituzione ha declinato nell'articolo 111 e che convintamente i trattati internazionali e le convenzioni bilaterali, ai quali il nostro Paese e gli stessi Stati Uniti hanno aderito in passato, affermano con altrettanta solennità e chiarezza.
La storia di Forti, che – ne siamo certi – merita un serio e severo riesame da parte dell'autorità giudiziaria americana, si presta, oltre che a una lettura di carattere tecnico, anche e soprattutto a una visione politica; questo affinché la storia stessa e le vicissitudini di tutti i suoi protagonisti – non solo Chico, ma anche i suoi figli, i suoi congiunti – possano costituire un precedente storico utile per la collettività, per la nostra democrazia, per la democrazia americana.
L'impegno della nostra discussione di oggi e quello che con l'approvazione della mozione porremo a carico del Governo non è diretto esclusivamente a realizzare l'interesse del singolo, che pure è centrale e sicuramente preponderante. Sbaglieremmo se limitassimo il taglio della nostra azione a questo singolo scopo.
Il nostro lavoro, viceversa, deve essere diretto – e su questo credo che i colleghi converranno – a dare una risposta sul piano valoriale e volto ad affermare un'idea ben precisa, che deve essere elemento fondante di ogni Stato democratico, ovvero che nessuno può subire limitazioni irreversibili o durature della propria libertà personale mentre si professa innocente e mentre forti, anzi fortissimi sono i dubbi circa i presupposti processuali e probatori posti a fondamento di una barcollante dichiarazione di colpevolezza.
Al di là della vicenda di Forti, al quale va tutta la mia personale solidarietà quale cittadina, avvocato e deputato italiano, ciò che dobbiamo affermare quest'oggi è l'universalità di questo processo e di tutte le garanzie che, seppur con varie sfumature, ogni ordinamento che abbia l'ambizione di definirsi progressista, moderno ed equilibrato deve essere in grado di garantire in modo eguale a tutti i soggetti ad esso sottoposti.
Ecco, su questo aspetto, sul fatto che questa idea di giusto processo abbia trovato applicazione nel caso di cui oggi discutiamo, personalmente nutro fortissime perplessità, le stesse perplessità che, evidentemente, sono condivise dai tanti, tantissimi colleghi che hanno aderito alle mozioni che discutiamo questo oggi, dai numerosi comitati e movimenti di sostegno a Chico Forti sorti in tutto il Paese spontaneamente, per combattere quello che potrebbe essere potenzialmente uno degli errori giudiziari più gravi ed eclatanti. Perplessità condivise anche dai tanti uomini e dalle tante donne delle istituzioni e delle professioni, della cultura, dello spettacolo, che pure sono scesi in campo, in questi anni, per spingere l'opinione pubblica e per essa la politica italiana ad aprire gli occhi su quanto negli Stati Uniti stesse accadendo ad un giovane imprenditore, nostro concittadino, detenuto ancora oggi in un carcere di massima sicurezza della Florida con la pesantissima accusa di omicidio. Perplessità che trovano riscontro in tanti aspetti della storia processuale di Forti.
Innanzitutto i tempi stretti del processo, per i quali mi domando: è possibile giudicare e costruire un quadro probatorio che porti alla condanna di un uomo incensurato e che si professa innocente all'ergastolo, senza condizionale, in pochissimi giorni ?
Non so, davvero. Faccio molta fatica a credere che una pubblica accusa possa avere, in soli 25 giorni, il tempo materiale per leggere le carte, studiare le prove del reato, approfondire il movente, scartare le prove di una difesa. Faccio fatica a ritenere completo un processo che si conclude senza un secondo grado di giudizio, che in qualche modo dia il proprio al primo grado. Faccio fatica a ritenere coscienzioso – ed è questo il punto più delicato della questione – un sistema processuale che consente all'organismo giudicante interpellato di rigettare un'istanza di revisione senza alcuna motivazione apparente e senza alcuna ragione giuridica. Faccio fatica, in poche parole, a credere che un meccanismo simile sia adeguato a quelle che sono le norme costituzionali del nostro Paese ed ai valori che anche la comunità internazionale ha ormai recepito ed assorbito e dei quali gli Stati Uniti sono da sempre baluardo anche oltre i propri confini nazionali.
Credo pertanto sia stato ragionevole attivarsi per la riapertura del processo di Enrico Forti, non perché ritengo che sia innocente, sia ben chiaro – questo spetterà alla magistratura americana stabilirlo, magistratura nella quale continuo a nutrire piena fiducia – ma perché è giusto che un nostro concittadino possa avere la possibilità di difendersi, di dimostrare la propria innocenza, di ribaltare un verdetto drammaticamente celere e pertanto superficiale.
Abbiamo iniziato un percorso da qualche tempo, spronati dalle leonesse di Chico, da Giulio Terzi, dal giudice Imposimato e dai tanti sostenitori di questa battaglia di civiltà.
Nei giorni scorsi ho incontrato, non lo nego, il nuovo avvocato di Chico, Joe Tacopina, che mi ha molto rassicurata sulle possibilità di ben argomentare, dal punto di vista giuridico e processuale, una richiesta, l'ultima a disposizione di Chico, di riapertura del processo.
È necessario tuttavia che all'azione strettamente legale si affianchi anche l'indispensabile attività del nostro popolo e di quella del Governo italiano, affinché una revisione vera e propria del processo possa essere decisa dalle autorità americane e non scartata, con fastidio o con superficialità, da chi in quel sistema è preposto a decidere dell'avvenire delle persone.
Quella che dobbiamo portare avanti, in Parlamento e fuori, è in altre parole una battaglia da combattere con tutti i mezzi che la nostra democrazia ci mette a disposizione, su più terreni di scontro. In ballo non c’è solo il destino di un uomo, ma la salvaguardia di un principio universale, di fronte al quale non possiamo in alcun modo voltare le spalle.
Un principio – e colgo l'opportunità di questa discussione – che dobbiamo imparare anche noi stessi a rispettare, nei nostri processi, nei nostri tribunali, nelle nostre carceri. Montesquieu diceva che giustizia ritardata è giustizia negata. Aveva pienamente ragione ed il suo pensiero è drammaticamente attuale. Lo grida la vicenda di Chico Forti, lo gridano i migliaia di Chico Forti che attendono da anni l'esito di un giudizio a causa di un sistema giudiziario, il nostro, inefficiente, farraginoso e privo di risorse adeguate. Sia questo di oggi un passaggio importante che spinga il nostro Paese anche verso una seria e non più rimandabile riforma della giustizia.
Concludo: oggi siamo di fronte ad una mozione decisamente trasversale, segno che evidentemente il principio ed i valori di cui parlavo poc'anzi fanno ormai parte del nostro bagaglio culturale, sociale e storico. Il nostro Parlamento si batta per consentire ad un uomo che si grida innocente di poter subire un vero processo, e non sfuggire da esso. Chico Forti, in sostanza, chiede questo. Lo chiedeva qualche anno fa un altro nostro concittadino, assai più famoso, che ha insegnato a tutti noi in che modo ci si debba interfacciare con le leggi e con il sistema giudiziario, ovvero non sfuggendo ad essi, ma affrontandoli a viso aperto, specie quando la coscienza e la consapevolezza della propria innocenza sono elementi di forza d'animo imprescindibili. E mi riferisco ad Enzo Tortora. Orbene, questa universalità dei principi di cui stiamo discutendo oggi non è nuova. Ne affermava la solennità anche Voltaire che affermava, diversi decenni addietro, che il sentimento di giustizia è così universalmente connaturato all'umanità da sembrare indipendente da ogni legge, partito o religione. Sappiano in questo frangente il nostro Parlamento ed il popolo che esso rappresenta trovare la giusta unità di intenti e la capacità di agire all'unisono per tutelare un valore, quello del giusto processo, ed una persona, Enrico Forti, nello stesso modo in cui il popolo e il Parlamento americano in un caso analogo ci hanno insegnato a fare. È in nome dell'universalità di questa battaglia che personalmente sosterrò l'accoglimento di questa mozione ed è in nome di questa universalità che rivolgo a tutti voi, onorevoli colleghi, l'appello a fare lo stesso .
PRESIDENTE. Avrei come iscritto a parlare l'onorevole Carlo Sibilia che, però, non vedo in Aula. Quindi, si intende che a questo punto abbia rinunciato. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mario Giro.
MARIO GIRO, . Signor Presidente, ringrazio tutti gli intervenuti per questa situazione, che penso debba attirare tutto la nostra sensibilità. Innanzitutto, segnalo l'attenzione con cui il Ministro Mogherini e la Farnesina hanno seguito gli sviluppi del caso del nostro connazionale Chico Forti. Si tratta di una vicenda che è ben nota anche al Governo e lo stesso Governo si è mobilitato con determinazione anche attraverso le competenti rappresentanze diplomatico-consolari negli Stati Uniti. Per limitarmi agli interventi più significativi e alla recente azione di sensibilizzazione, mi obbligo di ricordare come in occasione della visita del Capo dello Stato a Washington il 14 e 15 febbraio 2013, come sapete, è stato consegnato agli americani un promemoria su questo caso, mentre nel marzo scorso il Ministro Alfano ha sollevato sempre il caso Forti nel corso del suo incontro a Washington con il procuratore generale americano, Eric Holder, chiedendo sostegno proprio nel caso dovessero emergere elementi per una revisione del processo. Infine, durante la sua recente missione a Washington, lo stesso Ministro Mogherini ha ribadito l'interesse del Governo per il caso di Chico Forti.
In merito agli aspetti prettamente giudiziari della vicenda, come è stato già detto molto bene non sono più esperibili ricorsi contro la sentenza che ha condannato il signor Forti all'ergastolo perché tutti i ricorsi in appello presentati nel corso degli anni non hanno infatti sortito l'effetto voluto. In questo quadro, perché il caso possa essere riaperto, è necessaria, dunque, un'istanza di revisione del processo presso il competente tribunale americano sulla base di nuove prove a suo discarico che non siano già state acquisite nei precedenti gradi di giudizio. A seguito dei passi di sensibilizzazione condotti, anche il Dipartimento di Stato americano ci ha riconfermato che l'unica soluzione praticabile è questa, quella della revisione del processo.
A questo obiettivo stanno lavorando i nuovi legali del Forti, come è stato già ben detto, a cui è fornita l'assistenza dei consulenti legali dell'ambasciata e del consolato. Il dialogo con gli Stati Uniti su questo caso continua nel quadro della tradizionale amicizia ma senza alcun timore reverenziale. Una volta che il signor Forti avrà proposto, i suoi legali avranno presentato istanza di revisione del processo, la Farnesina e con essa la nostra ambasciata a Washington e il consolato generale a Miami non mancheranno di continuare a sostenere nei confronti delle autorità americane la strategia dello studio legale che la famiglia avrà voluto intraprendere. Non è nostra intenzione, non è l'intenzione di questo Governo lasciare nulla di intentato perché si ottenga la detta revisione e un nuovo processo. Infatti, non è uso del Governo italiano, in particolare di questo Governo ma direi di nessun Governo italiano, abbandonare i propri concittadini quando siano in difficoltà all'estero perché vittime di un incidente oppure perché rapiti oppure perché accusati e condannati come nel qui presente caso. È questa la tradizionale politica italiana e vorrei sottolineare che è abbastanza unica se confrontata, ad esempio, a quelle dei nostri europei. Vi ricordo che nel passaporto di uno dei Paesi membri fondatori dell'Unione europea c’è scritto stampato: questo passaporto non dà diritto ad alcuna assistenza consolare o diplomatica.
Questo non è nella nostra abitudine. Nel frattempo Chico Forti potrà continuare a contare sull'assistenza assicurata delle nostre sedi diplomatico-consolari, in particolare il nostro consolato generale a Miami continuerà a monitorare le sue condizioni psicofisiche, come già avvenuto in passato in occasione delle numerose visite consolari effettuate, non mancando di fargli sentire il proprio appoggio e la propria vicinanza. Se necessario, chiederemo anche interventi medici come abbiamo già fatto in passato.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.