PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ANNA MARGHERITA MIOTTO, legge il processo verbale della seduta del 17 luglio 2015.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Attaguile, Baldelli, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Businarolo, Caparini, Casero, Castiglione, Cirielli, Costa, D'Alia, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fava, Fedriga, Ferranti, Fico, Formisano, Franceschini, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Tabacci, Valeria Valente, Vecchio, Velo, Vignali, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna allegato A .
PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il deputato Roberto Occhiuto, in sostituzione del deputato Carlo Sarro, dimissionario.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta dei documenti: Conto consuntivo della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2014 (Doc. VIII, n. 5); Progetto di bilancio della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2015 (Doc. VIII, n. 6).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea .
Ricordo che il termine per la presentazione degli ordini del giorno riferiti al progetto di bilancio è fissato alle ore 16 di oggi.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta.
Ha facoltà di parlare il Questore, onorevole Gregorio Fontana.
GREGORIO FONTANA, . Grazie Presidente, a nome dell'Ufficio di Presidenza, il Collegio dei Questori sottopone all'Assemblea il conto consuntivo 2014 e il bilancio di previsione per il 2015, con l'unito bilancio triennale 2015-2017. I documenti in distribuzione danno ampiamente conto degli esiti dell'attività svolta dagli organi di direzione politica nell'esercizio delle rispettive funzioni di guida e di gestione della nostra istituzione sul piano amministrativo e finanziario.
A quei documenti, dunque, rinvio per brevità. Credo però sia utile sottolineare, in questa sede, come l'impegno del Collegio dei Questori e dell'Ufficio di Presidenza sia stato connotato – negli ultimi dodici mesi – da questioni di grande complessità e delicatezza, in taluni casi senz'altro inedite. Mi riferisco in particolare ai problemi posti dal recesso anticipato dai contratti di locazione dei cosiddetti Palazzi Marini, cui farò riferimento più avanti, e dalla deliberazione con cui l'Ufficio di Presidenza ha fissato i limiti massimi alle retribuzioni del personale dipendente, disponendo la riconduzione nell'ambito di quei limiti anche dei trattamenti già maturati.
A tali questioni, ovviamente, altre se ne sono aggiunte, nell'ambito di un quadro gestionale estremamente articolato e in continua evoluzione. Pur nel contesto particolarmente problematico testé richiamato, il Collegio ritiene che i risultati di tale impegno, rappresentati nei prospetti che vengono sottoposti all'esame dell'Assemblea, possano dirsi positivi. Lo dimostra la rassegna dei principali aggregati. La dotazione resta fissata nella misura di 943,16 milioni di euro, oltre che per gli anni 2015 e 2016, anche per l'anno 2017, attestandosi così, per cinque esercizi di seguito, allo stesso livello del 2013, a sua volta inferiore di 50 milioni di euro rispetto al 2012; la spesa prevista per il 2015 si riduce di 50,5 milioni di euro rispetto al 2014 (nella misura dunque del 4,87 per cento) e si attesta a 986,6 milioni di euro, scendendo dunque sotto il miliardo di euro; l'ultimo anno in cui la spesa complessiva è stata inferiore a tale somma è stato il 2005; in termini reali ciò significa che per il funzionamento della Camera si spende quasi il 20 per cento in meno rispetto al 2005.
Al netto di quella previdenziale, la spesa registra un costante decremento in ciascuno degli anni del triennio rispetto all'anno precedente, attestandosi alla misura di 570 milioni di euro nel 2017.
Nell'anno 2015 saranno restituiti al bilancio dello Stato 34,7 milioni di euro, somma derivante, per 25 milioni, dalla destinazione all'erario di una quota dell'avanzo di amministrazione accertato al termine dell'esercizio del 2014, su cui la relazione al conto consuntivo 2014 offre ampi ragguagli, e per 9,75 milioni di euro dalle trattenute operate sui trattamenti previdenziali, ai sensi delle deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza n. 87 e n. 88 del 2014, che hanno disposto l'applicazione ai vitalizi e alle pensioni del contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici maggiori, introdotto nella legge di stabilità 2014, con effetti per il triennio 2014-2016.
Tale somma si aggiunge ai 10 milioni di euro restituiti nel 2013 e ai 28,3 milioni di euro restituiti nel 2014. Conseguentemente, dal 2013 al 2015, la riduzione della dotazione di 50 milioni di euro all'anno, rispetto al 2012, e le restituzioni all'erario hanno determinato, per il bilancio dello Stato, un minor onere, per il funzionamento della Camera, pari a 223 milioni di euro.
Il Collegio ritiene altresì importante segnalare come il conseguimento di questi risultati abbia comportato un impegno quotidiano di revisione e contenimento della spesa, sviluppatosi lungo l'intero arco della legislatura, che inizia ad evidenziare significativi effetti strutturali proprio nel corso del triennio 2015-2017, a partire dal mantenimento dell'ammontare della dotazione al livello sopra richiamato.
Si tratta di un obiettivo conseguito, in particolare, grazie alle misure relative alla spesa per i deputati e per il personale. Penso, da un lato, al blocco, sino a tutto il 2017, dell'indennità parlamentare e dei rimborsi per le spese di soggiorno e per l'esercizio del mandato. Tali misure consentono, anche nel 2015, di mantenere la spesa per i deputati allo stesso livello dell'anno precedente. Anzi, al netto dell'operazione contabile necessaria per operare la citata restituzione dei 25 milioni di euro – operazione che ha comportato una riduzione delle previsioni definitive per il 2014 (come precisato nella relazione che correda il bilancio di previsione) – la spesa scende leggermente, nella misura di 0,27 milioni di euro, pari allo 0,19 per cento. Penso, dall'altro lato, agli effetti di risparmio determinati, a decorrere dal 2016, dalla decisione di non corrispondere l'adeguamento di stipendi e pensioni agli indici Istat per gli anni 2014 e 2015. A tali interventi altri se ne sono aggiunti, come quelli richiamati in materia di riduzione delle retribuzioni del personale dipendente e di locazioni.
Con particolare riguardo a quest'ultimo aspetto, ricordo che la scorsa settimana l'Ufficio di Presidenza ha approvato una deliberazione in linea di principio volta ad autorizzare la stipula con la società Milano 90 di un contratto di locazione dei Palazzi Marini 3 e 4 e per la fornitura di servizi accessori alla locazione, per una spesa massima di 12 milioni di euro, oltre l'IVA, su base annua. Dal punto di vista degli oneri finanziari relativi al triennio 2015-2017, qualora dovesse essere concluso un contratto, nei termini sopra indicati, con decorrenza, in ipotesi, a far data dal 1o settembre 2015, rispetto alle attuali previsioni si determinerebbe un maggior onere per locazioni e servizi accessori, comprensivo di IVA, di circa 5 milioni di euro, nel 2015, e di circa 14,5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2016 e 2017.
Al riguardo, preciso che, quanto all'esercizio 2015, al relativo onere si farebbe fronte attraverso la corrispondente riduzione del Fondo di riserva per le spese correnti, che reca la necessaria disponibilità. Trattandosi di un'operazione compensativa tra capitoli, il totale della spesa di funzionamento resterebbe immutato, al di sotto, dunque, del miliardo di euro. Il bilancio di previsione per il 2015 può essere dunque approvato dall'Assemblea nella sua attuale configurazione, come deliberata dall'Ufficio di Presidenza nella riunione del 18 giugno scorso. Il prelievo dal Fondo di riserva costituirebbe infatti una comune operazione di gestione del bilancio in corso di esercizio, prevista dall'articolo 11 del Regolamento di amministrazione e contabilità, di cui verrebbe data specifica evidenza nel conto consuntivo per il 2015.
Negli esercizi 2016 e 2017 sarebbe invece necessario fare ricorso alle risorse accantonate nell'avanzo di amministrazione, ciò che determinerebbe un corrispondente incremento della spesa rispetto alle attuali proiezioni. Anche in questo caso, può senz'altro procedersi all'approvazione del bilancio nella sua attuale configurazione, posto che le proiezioni delle previsioni del bilancio triennale rappresentano uno strumento di informazione e programmazione gestionale e non costituiscono oggetto di approvazione. All'aggiornamento delle previsioni si provvederebbe ovviamente, come di norma, all'atto di impostare il bilancio di previsione per il 2016, che l'Ufficio di Presidenza sarà chiamato a deliberare nel prossimo mese di dicembre.
Sottolineo, infine, che i risparmi che verrebbero realizzati a seguito dell'operazione, ove conclusa, pur se ovviamente inferiori a quelli derivanti dall'esercizio di un recesso dalle locazioni dei Palazzi Marini 2, 3 e 4, sarebbero comunque assai consistenti. Nel triennio 2015-2017 essi ammonterebbero a circa 43 milioni di euro. Gli effetti transattivi dell'eventuale accordo, previsti come essenziali dalla deliberazione in linea di principio dell'Ufficio di Presidenza, consentirebbero, inoltre, di svincolare tale somma, prudenzialmente accantonata nell'avanzo di amministrazione del triennio in corso. In merito alla relativa destinazione, il Collegio potrà formulare all'Ufficio di Presidenza una compiuta proposta dopo l'eventuale conclusione dell'accordo contrattuale nei termini previsti dalla delibera citata.
In conclusione, gli effetti del complesso degli interventi sopra richiamati consentono di poter ritenere acquisito in termini strutturali un livello di dotazione che, nel 2012, era stato fissato in prospettiva esclusivamente congiunturale, per la sola durata del triennio 2013-2015. Si tratta di un risultato importante, per nulla scontato, che potrà costituire una base di partenza per proseguire il nostro impegno nella direzione di una istituzione sempre più efficiente e trasparente.
Da ultimo, vorrei evidenziare come il Collegio dei Questori e l'Ufficio di Presidenza abbiano operato non solo con riferimento ai profili sostanziali della gestione amministrativo-contabile, ma anche in merito al tema – altrettanto rilevante – della trasparenza dei documenti di bilancio. Nel documento relativo al bilancio di previsione 2015, in allegato alla relazione del Collegio dei Questori, viene riportata la nuova struttura del bilancio, predisposta in attuazione di uno specifico ordine del giorno accolto in occasione dell'esame in Assemblea del bilancio di previsione per il 2014 e approvata dall'Ufficio di Presidenza lo scorso 18 giugno.
A partire dall'esercizio 2016 i documenti di bilancio daranno conto delle entrate e delle spese attinenti al funzionamento della Camera secondo la struttura richiamata, che offre un quadro informativo più chiaro e dettagliato di quello attuale, senza venire meno, allo stesso tempo, alla funzione di sintesi propria di ogni documento di bilancio. La struttura pubblicata in allegato sarà corredata, di volta in volta, da documenti informativi utili a rendere ancora maggiormente fruibili i documenti di bilancio, in modo da offrire a chiunque vi abbia interesse – in particolare attraverso Internet – un quadro conoscitivo trasparente e fruibile per comprendere in tutta la sua complessità la realtà amministrativa e contabile della nostra istituzione.
Dovrei ora dar conto, Presidente e onorevoli colleghi, dell'attività svolta dal Collegio dei Questori per l'attuazione degli ordini del giorno accolti o approvati nel corso dell'esame in Assemblea del bilancio di previsione 2014. Tuttavia, per ragioni anche di sintesi, chiedo alla Presidenza l'autorizzazione a pubblicare questa parte del nostro intervento in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fontana. Va bene per la pubblicazione dell'ultima parte della relazione.
È iscritto a parlare il deputato Luigi Di Maio. Ne ha facoltà.
LUIGI DI MAIO. Grazie, Presidente. Il MoVimento 5 Stelle è entrato alla Camera dei deputati per la prima volta l'11 marzo del 2013. Quando siamo arrivati qui, due anni e mezzo fa, questo palazzo costava un miliardo e 87 milioni di euro; oggi, dopo più di due anni di nostre proposte, ordini del giorno e denunce pubbliche, costa 230 milioni di euro in meno. La variabile storica siamo stati senz'altro noi: ci volevano persone a contatto con la realtà quotidiana per raggiungere questo risultato. Fino al nostro ingresso, qui si è sempre speso tutto alla faccia di noi italiani, ai quali i partiti facevano credere di stare lavorando per loro. Qui, alla Camera, come in centinaia di altri posti pubblici italiani, abbiamo applicato il nostro metodo, un modo di agire che ci ha sempre reso la forza politica credibile agli occhi dei cittadini italiani.
La prima cosa che fa un eletto del MoVimento 5 Stelle, quando entra in una qualsiasi istituzione pubblica del Paese, è cercare di capire in che modo vengano spesi i soldi delle sue tasse e di quelle di tutti i cittadini come lui. Il primo giorno di mandato andiamo negli uffici dell'amministrazione e apriamo i bilanci; dopodiché, iniziamo a recuperare risorse da sprechi e privilegi, per darle a settori del Paese che ne hanno bisogno.
È quello che farebbe qualsiasi imprenditore che arriva in un'azienda che va male o un padre e una madre di famiglia che devono arrivare a fine mese; è quello che fa chi vuole operare per il bene di tutti. Dai bilanci si evince come questo posto sia stato ed è tuttora la mangiatoia di partiti di destra e di sinistra, che in piazza o nei salotti TV fingono di stare dalla parte dei più deboli, mentre qui dentro divoravano risorse pubbliche, senza saziarsi mai.
Appena entrati, abbiamo iniziato a mettervi a dieta. Se oggi dalle casse di questo palazzo non si pagano più gli affitti d'oro da 32 milioni di euro all'anno è merito del MoVimento 5 Stelle. Sono bastate tre righe di legge, con la prima firma di Riccardo Fraccaro, per far saltare un milionario e inutile come quello degli affitti dei palazzi Marini; tre righe che voi partiti della prima e della seconda Repubblica vi siete sempre guardati bene dall'approvare prima del nostro arrivo.
Se oggi la Camera non pagherà più i soldi per il circolo di Montecitorio – e, con tutto il rispetto, se volete andare a giocare a tennis, vi pagate il campo con i vostri soldi – è merito del MoVimento 5 Stelle, che lo ha denunciato. Se non esistono più gli appartamenti gratis per Questori e Vicepresidenti, dove anche i fiori, oltre al frigorifero, venivano rimpiazzati a spese della Camera, è grazie alla nostra rinuncia ad inizio mandato.
Se è richiesto il DURC a tutte le aziende che stipulano un contratto con la Camera, è grazie ad un nostro ordine del giorno. È mai possibile che, se non lo avessimo richiesto, in questo palazzo le aziende senza regolarità contributiva potevano lavorare, mentre tutte le altre, disgraziate, che ogni giorno in Italia lavorano con il pubblico, vengono tagliate fuori ? Abbiamo cacciato dagli elenchi da cui assumere personale obbligatorio dei gruppi parlamentari un mucchio di amici, comari e politici trombati, che ogni partito, da IdV a Forza Italia, aveva messo dentro; dal primo giorno, abbiamo ingaggiato una battaglia senza quartiere sugli allegati A e B.
Se si è data una sforbiciata alle consulenze pazze, è stato grazie alla pressione dei miei colleghi. Se l'assegno informatico ai parlamentari di 2.500 euro sparirà dalla prossima legislatura, è merito della richiesta del MoVimento 5 Stelle: come se non bastassero le migliaia e migliaia di euro che si incassano ogni mese, anche l'assegno informatico !
Ma, Presidente, non abbiamo ancora finito, anzi, il MoVimento 5 Stelle ha appena iniziato. Il nostro metodo, se andremo al Governo, se lo vorranno i cittadini italiani, sarà semplice: tagliamo quello che non serve e investiamolo in settori produttivi per il Paese, oppure nel taglio delle tasse, davvero. È così che fanno i nostri sindaci: nei nostri comuni, tagliando sprechi e privilegi, non abbiamo fatto pagare la Tasi ai cittadini di Ragusa ed Assemini, stiamo creando un distretto dell’ a Livorno, saniamo le voragini di bilancio che ci avete lasciato a Pomezia, Augusta e Civitavecchia, avviamo una nuova gestione dei rifiuti che faccia pagare l'immondizia per quanto la famiglia produce davvero e stiamo investendo in turismo. Ormai è matematico: basta mettere i soldi delle nostre tasse nel settore giusto e l'Italia riparte.
Ogni miliardo di euro investito in ristrutturazioni energetiche in Italia crea 17 mila nuovi posti di lavoro, ogni miliardo di euro investito in energie rinnovabili, 3 mila nuovi posti di lavoro. Ogni euro investito in turismo in Italia produce altri 6 euro per lo Stato. Ogni euro investito, invece, nei vostri stipendi produce la «legge Fornero», l'aumento delle tasse locali, il taglio dei posti letto in ospedale, l'IMU agricola, «mafia capitale» e chi più ne ha, più ne metta. Ormai non c’è più alcun dubbio su dove tagliare e dove investire.
Appena al Governo, faremo in modo di far funzionare questo palazzo con la metà dei soldi e quelli che avanzano li metteremo nel reddito di cittadinanza, aiuto ai pensionati, e misure per agevolare imprenditori e popolo delle partite IVA che, in questa Italia disgraziata, sono quelli che producono ricchezza, ma vengono sempre più vessati. Presidente, questo palazzo costa ancora troppo, voi costate ancora troppo. Purtroppo, siamo all'opposizione e, ogni anno che si approva il bilancio, ci bocciate il 90 per cento delle nostre proposte, salvando i soliti e odiosi privilegi che ormai in tutta Europa, movimenti come il nostro, stanno provando a smantellare. In questo palazzo, ogni anno, si spendono 81.300.000 euro di stipendi ai parlamentari, alcuni di questi continuano a prendere questi soldi dalle patrie galere. Noi siamo gli unici che restituiscono ai cittadini 10 milioni di questi soldi sotto forma di finanziamento alle imprese e sono già ottomila le imprese che hanno giovato di questi soldi, cioè, tagliandoci oltre metà dello stipendio, facciamo partire nuovi posti di lavoro. Quando siamo arrivati in questo palazzo, il primo atto che vi abbiamo presentato dalla nostra storia è stato la richiesta di dimezzamento di questi 80 milioni di euro. Sapete che cosa avremmo fatto noi con 40 milioni di euro ? Avremmo fatto 120 asili nido nuovi di zecca ogni anno per i bambini italiani ovvero sei nuovi asili nido all'anno in ogni regione, solo tagliando la metà degli stipendi dei deputati. Vedo sempre più famiglie costrette a portare i propri bambini agli asili privati che costano «un botto» e qui si buttano soldi. Dalle casse di questo palazzo escono, ogni anno, 138 milioni di euro delle tasse dei cittadini per pagare i vitalizi agli ex parlamentari, gente che è stata in Parlamento anche per un paio d'anni e prende fino a dieci volte la pensione minima di un italiano che ha lavorato per 35 anni. Questi soldi vanno subito tagliati, con 138 milioni di euro si possono acquistare ogni anno ventidue nuovi treni per pendolari, aiutando 20 mila persone a viaggiare come esseri umani e non più come sardine in scatola, per non parlare della ricaduta occupazionale, 5 mila nuovi posti di lavoro subito. Non contenti di dargli il vitalizio, spendete anche quasi 1 milione di euro per pagare i viaggi agli ex parlamentari. Spiegatemi perché si pagano viaggi a gente che non è più in carica. Questi soldi li invierei subito, volentieri, ai cittadini del Veneto, colpiti dal tornado una settimana fa, o ai terremotati dell'Emilia Romagna che vivono ancora nei perché dall’«inchiesta Emilia» si è scoperto che si mangiava anche sui terremoti, oppure potremmo acquistare venti nuove autopompe ai vigili del fuoco della provincia di Caserta dove, nel bel mezzo della terra dei fuochi, c’è il rapporto vigile del fuoco-cittadino più basso d'Italia.
Spendete 1 milione di euro di affitto all'anno per un deposito per mobili, faldoni, e materiali inutilizzati, ed oltre al danno, anche la beffa; paghiamo questi soldi ad un altro ente pubblico: l'Inail. Siamo alla follia, lo Stato che paga allo Stato, tasse dei cittadini. Tra l'altro, non so se lo sapete, ma i ratti stanno divorando tutto, mobili, faldoni e così via.
Con 1 milione di euro, per esempio, il nostro Governo riattiverebbe la posta elettronica certificata per tutti i cittadini italiani. Era un servizio attivato dal Governo qualche anno fa e tagliato da Renzi, un servizio che faceva risparmiare qualche soldo ad avvocati, commercialisti, a coloro che ne avevano bisogno ogni giorno per lavorare. Qui si spendono 3 milioni di euro in e 5 milioni di euro in assistenze informatiche. Sono spese che vanno tagliate, in tutta Europa le amministrazioni pubbliche utilizzano gratuiti. Qui si pagano, ogni anno, 3 milioni di euro di licenze. Inoltre, abbiamo i nostri servizi informatici interni, perché paghiamo altri 5 milioni di euro di servizi informatici esterni. Con 8 milioni di euro riasfaltiamo, ogni anno, le strade di una città media italiana; ci sono comuni che per i soldi che gli avete tagliato con la legge di stabilità hanno totalmente rinunciato ad asfaltare le strade. Ci sono 550 mila euro di spese postali ogni anno.
Capisco che solo da pochi mesi la Camera abbia aperto la pagina ma sono vent'anni che esiste la posta elettronica. Non so, al momento, in quale servizio pubblico per i cittadini spenderei 550 mila euro, ma anche inviare una cartolina a tutti gli italiani di buone ferie avrebbe più senso.
In questo palazzo si spendono 5 milioni e mezzo di euro in servizi di stampa degli atti parlamentari, ovvero ogni anno per stampare quel fascicolo che troviamo ogni giorno in Aula e forse anche per pubblicarlo si spendono 5 milioni di euro. Poi, ogni parlamentare compra l'I-Pad e il computer con l'assegno informatico di 2.500 euro. Così, mi chiedo a cosa serva il cartaceo se ogni parlamentare è dotato di un supporto informatico. L'Estonia ci ha superato da un pezzo: nel loro Parlamento non esiste più un foglio di carta, tutto è digitalizzato. Questa spesa è uno schiaffo agli italiani. Stanziamo questi 5 milioni di euro per la polizia, mettiamo la benzina nelle volanti e garantiamo più sicurezza ai cittadini italiani.
È di 1.660.000 euro la spesa per traslochi e facchinaggio. Noi del MoVimento 5 Stelle, con 1.660.000 euro di stipendi restituiti, aiutiamo a partire circa 70 nuove aziende in Italia ogni anno, voi li spendete per traslochi. Se volete, con un milione e mezzo di euro apriamo un'azienda di traslochi e facchinaggio e almeno facciamo girare l'economia.
Poi, vi sono 200 mila euro per le auto blu e 120 mila euro per trasportare le vostre scorte. Al di là dei soldi, auto blu e scorte sono il mondo in cui vi siete isolati per decenni: il totale estraniamento dalla realtà (palazzo – auto blu – palazzo), nessun contatto più con i cittadini, se non in blindatissimi eventi pubblici, dove se facevi domande venivi allontanato, sono uno di quei cittadini. È isolandovi che avete iniziato a credere che tutte le spese assurde che ho elencato prima vi fossero dovute. Ma il sogno è finito, è ora di svegliarsi.
Morale della favola, questo palazzo ci costa circa 100 mila euro per ogni ora di funzionamento, per produrre obbrobri come gli studi di settore, che stanno massacrando i nostri commercianti e imprenditori, o il blocco delle pensioni, bocciato dalla Corte costituzionale: 100 mila euro all'ora per approvare leggi che tagliano milioni di euro alla Terra dei fuochi per metterli nell'Expo di Milano.
Ma, Presidente, non voglio scoraggiare nessuno: io sono fiducioso. Quello che ho descritto oggi riguarda solo una parte dei soldi che si sprecano alla Camera dei deputati. Poi c’è il Senato, che è messo ancora peggio, ci sono gli enti inutili, ci sono venti regioni usate come bancomat dalla politica, ci sono la Corte costituzionale e il CSM, c’è anche il Quirinale, se vogliamo, a cui dare una sforbiciata. Sono salvadanai di sprechi e privilegi da rompere per far ripartire l'Italia.
Non so se dall'opposizione riusciremo a romperli tutti, ma non appena saremo maggioranza state sicuri che ci riprenderemo fino all'ultimo euro. Taglieremo le vostre spese folli e le reinvestiremo in abbassamento delle tasse e servizi ai cittadini, senza «se» e senza «ma».
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente. Il bilancio della Camera dimostra, ancora una volta, quanto alto sia il senso di responsabilità dei deputati di fronte alle esigenze di razionalizzare i costi della politica. Non c’è dubbio che c’è altro da fare, non c’è dubbio che per altre spese, oltre quelle che sono state già razionalizzate e ridotte, ci sia lo spazio. Ma non si può di punto in bianco, cambiare, tagliare tutto senza avere un nuovo modello organizzativo funzionale, non solo per quello che riguarda i servizi, ma anche e soprattutto per quello che riguarda l'adeguamento istituzionale e non solo istituzionale, ma anche quello regolamentare della stessa Aula.
ROCCO PALESE. Per questo, io ritengo che siano utili ulteriori suggerimenti in riferimento ad alcuni capitoli che sono stati già individuati e menzionati e magari ad altri, ma a condizione che tutto coincida con il buon funzionamento di questa istituzione e di quest'Aula.
Quello che già è stato fatto lo si è fatto in un contesto dove non tutte le istituzioni e la filiera istituzionale dello Stato rispondono all'esigenza giusta da parte dei cittadini di riduzione dei costi della politica e dei costi di funzionamento della politica.
Attenzione, noi parliamo della Camera dei deputati: sono costi istituzionali di funzionamento delle istituzioni, non buttiamoli nel calderone dei costi della politica che sono tutt'altra cosa. Per questo motivo, va dato atto all'amministrazione della Camera; hanno contribuito tutti insieme i gruppi che sono rappresentati all'interno dell'Ufficio di Presidenza e anche i Questori che, con il proprio lavoro e il proprio impegno, hanno contribuito a realizzare gli obiettivi che si sono posti cioè quello di ridurre le spese e migliorare il funzionamento delle istituzioni. Forza Italia non può che dirsi soddisfatta fin qui per questo lavoro che è stato già varato, anche perché siamo stati noi con il secondo Governo Berlusconi ad avviare la stagione dei tagli ai costi della politica, a ridurre il numero dei consiglieri regionali, a imporre la diminuzione anche di altre istituzioni, a proporre a suo tempo una riforma istituzionale con l'abolizione totale del Senato, riforma che poi, con la mistificazione che c’è stata nel referendum da parte di altri schieramenti politici, fu affondata. L'avessimo fatta, caro Presidente, altro che diminuzione dei costi della politica ! Avremmo risolto tali e tanti di quei problemi !
La dotazione della Camera è oggi la metà rispetto al 2012 e la spesa del 2015 scende sotto il miliardo di euro, confermando una tendenza in atto dal 2005. Nel complesso, tra il 2013 e il 2015, per il bilancio dello Stato si registrano minori oneri di 223 milioni di euro e, se comparato a tutte le altre istituzioni del Paese, mi piacerebbe sapere quale altra istituzione dello Stato sia stata ridotta in termini di costi di funzionamento e di organizzazione come la Camera. Sono state prese misure drastiche quale il blocco dell'aumento degli emolumenti corrisposti ai deputati, la riduzione del personale e delle spese correnti. Di particolare significato è il risparmio ottenuto con l'abbattimento delle spese di locazione, indipendentemente da chi è stato il l'avviatore primario di questo provvedimento – non è che si fa a gara a chi ha spinto di più, a chi ha spinto di meno, a chi l'ha avviato ma il risultato è quello che conta – soprattutto grazie al recesso anticipato dal contratto di locazione con la società Milano 90. Tale abbattimento non è stato certo privo di conseguenze sulle condizioni del lavoro dei parlamentari. Gli spazi a disposizione si sono drasticamente ridotti: questo naturalmente non può non andare a detrimento del buon funzionamento dell'istituzione. D'altra parte i tagli su questo fronte vengono affiancati dalla ricerca di soluzioni alternative rese disponibili dallo sviluppo tecnologico in modo da garantire a ciascun deputato il necessario spazio di lavoro, ad esempio la costruzione degli uffici . Davanti ad una situazione del genere ritengo che vada evidenziato a chi amministra l'Ufficio di Presidenza, cioè i Questori, che non è ammissibile che si discuta del consuntivo e quindi del successivo bilancio di previsione da parte della Camera e che qui non sia presente nessuno ma è altrettanto deprimente che, per poter svolgere le funzioni, ogni onorevole oggi non ha alcuno spazio. Non ha alcuno spazio possibile, logistico per poter svolgere una funzione. Io non ho idea di quanti sono i colleghi che, a seguito della mancanza totale dello spazio, hanno poi, in maniera del tutto involontaria, optato per un disimpegno rispetto a quello che è l'andamento stesso dei lavori della Camera. Ove vi fosse la possibilità di riprendere in affitto i Palazzi Marini, a condizioni decisamente meno onerose e congrue rispetto alle linea di risparmio e di razionalizzazione scelta dalla Camera (e su questo non vi è dubbio che, da tempo, cioè dal secondo Governo Berlusconi 2001-2006, si impose agli enti pubblici la riduzione degli affitti rispetto ai costi sostenuti), di ripristinare le precedenti condizioni di lavoro dei deputati e di garantire un futuro ai lavoratori di Milano 90 che non hanno certo colpa della situazione che si è creata...
Per Forza Italia questo è un punto imprescindibile: mettere nelle condizioni i parlamentari di svolgere la loro funzione, perché non si può venire qui a dire che costano molto e producono poco se non si mettono i parlamentari nelle condizioni di poter svolgere il loro lavoro e la loro funzione. Ridurre i costi della politica non vuole dire, beninteso, cedere completamente all'antipolitica. I risparmi sono finalizzati sia a liberare risorse per i cittadini sia a razionalizzare il funzionamento del Parlamento; essi non sono certo destinati a cercare di mitigare l'antipolitica che oggi rappresenta una grave minaccia per la democrazia.
Un classico caso di pretestuosa polemica antipolitica è quello dei vitalizi, parliamone apertamente, a viso aperto; i vitalizi per i parlamentari sono stati aboliti – qui occorre che ci sia anche un momento di verità – già nella scorsa legislatura. Il problema da questo punto di vista non esiste più; per quel che riguarda, invece, i vitalizi riconosciuti nel passato il problema ha un carattere generale e non riguarda solo i parlamentari. Negli anni Novanta è stato radicalmente trasformato il nostro sistema pensionistico con il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo, ma, per la stragrande maggioranza dei pensionati, vige ancora il vecchio sistema. Si vuole applicare la legge in senso retroattivo ? Se è così, allora, il principio deve valere per tutti, non si può pensare a una applicazione per i parlamentari. C’è da augurarsi, dunque, che su questo tema si proceda con razionalità, senza cedere alla demagogia e nel rispetto del diritto, verificando, anche, la costituzionalità di un provvedimento legislativo retroattivo, perché, se è possibile questo percorso – e ciò va verificato prima, si troverà la formula per verificarlo senza andare poi incontro ai contenziosi come è successo nelle regioni –, se questa strada è percorribile, se è costituzionale e quant'altro, questa Camera ha il sacrosanto dovere, anche, di andare a rivedere questi aspetti e questo tipo di situazioni. Noi non ci tireremo certamente indietro.
Questo rispetto del diritto la maggioranza ha dimostrato di non averlo nel caso del taglio dei vitalizi ai parlamentari condannati deciso con una delibera degli Uffici di presidenza delle Camere e applicato in senso retroattivo. Nel diritto la forma è sostanza, fior di giuristi, infatti, si sono espressi contro quel provvedimento, proprio per le modalità con cui esso è stato adottato. In discussione non è certo la finalità del provvedimento che è assolutamente condivisibile, tant’è vero che abbiamo presentato in tal senso un disegno di legge; in discussione sono sia il metodo adottato – la delibera dell'Ufficio di presidenza – sia la violazione del principio di irretroattività. Insomma, si è fatto strame del diritto sotto il condizionamento dell'antipolitica e della demagogia. Anche in questo caso noi riteniamo che, se si assume in maniera responsabile una decisione, vada scelta la strada legislativa, di atto amministrativo, quella che sarà, ma la strada più sicura, così che quel provvedimento che viene assunto, quell'assunzione di responsabilità per il problema X, Y e così via di riduzione della spesa, su cui noi senza dubbio siamo d'accordo, abbia una tenuta, non sia contestato e non sia vulnerabile. Un atteggiamento del genere non può essere minimamente scambiato per perplessità o, peggio ancora, scambiato per contrarietà. No, noi vogliamo che, se una decisione viene assunta, debba essere mantenuta, debba avere una tenuta costituzionale e una tenuta legislativa, perché, solo in questa maniera, noi vogliamo che si assumano provvedimenti credibili nei confronti dell'opinione pubblica.
Insomma, sì ai tagli e sì alla razionalizzazione, ma non con lo spirito di soddisfare le esigenze della cosiddetta antipolitica. I tagli vanno fatti senza farsi condizionare dalla demagogia, altrimenti si commettono, a mio avviso, gravi errori come, appunto, quello del provvedimento sul taglio dei vitalizi ai parlamentari condannati che, molto probabilmente, cadrà nella tagliola della Corte costituzionale.
Su questi punti e anche sull'aspetto che emergerà da questo dibattito, non c’è dubbio che Forza Italia è disponibile ad aprire un confronto a trecentosessanta gradi e a vedere dove ci può essere la riduzione dei costi e il miglioramento dei servizi e quant'altro, ma senza compromettere i diritti soggettivi già acquisiti. Non mi riferisco alle situazioni dei vitalizi ma a quelle contrattuali sui servizi, perché se ci sono qui delle convenzioni e dei contratti che hanno uno svolgimento temporale, certamente, quando andranno ad esaurimento, si assumerà una decisione, ma non è che, di punto in bianco, in maniera unilaterale, si possono disdire o si possono contraddire delle obbligazioni giuridicamente vincolanti per chi le ha assunte – in maniera giusta o sbagliata – nel corso dello svolgimento delle funzioni di amministrazione di quest'Aula.
Su questo Forza Italia sarà sempre disponibile, nel senso che bisogna aumentare l'efficienza e l'efficacia dello svolgimento di questi lavori, la produzione e la sua qualità, ma contestualmente consentendo anche un minimo di agibilità e di funzionalità, sia a chi amministra questa Camera ma anche a chi svolge il mandato di parlamentare .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Gianni Melilla. Ne ha facoltà.
GIANNI MELILLA. Grazie, signor Presidente. Dal 2013, come giustamente ci ricordava il Collegio dei questori, la Camera ha risparmiato 223 milioni di euro attraverso la riduzione della dotazione di 50 milioni di euro l'anno e le restituzioni al bilancio dello Stato. Cioè, la Camera dei deputati, negli ultimi tre anni, ha restituito soldi al bilancio dello Stato.
Nel 2015 saranno restituiti al bilancio dello Stato 34,7 milioni di euro, che si aggiungono ai 10 restituiti nel 2013 e ai 28,3 milioni di euro restituiti nel 2014. Per la prima volta, dopo dieci anni – questo devono sapere i cittadini italiani ! – la spesa per la Camera scende sotto il miliardo di euro, per l'esattezza a 986 milioni di euro, grazie alle misure di risparmio che hanno riguardato le locazioni, il personale dipendente e i deputati della Camera.
In termini reali, per la Camera si spende quasi il 20 per cento in meno rispetto al 2005 ! È poco ? È molto ? Ognuno ha le sue riflessioni da fare. Siamo abituati ad aggiungere alle nostre affermazioni, purtroppo, quando parliamo di vicende politico-istituzionali, sempre un alone di scetticismo e di qualunquismo: per i cittadini la politica deve sempre fare schifo, soprattutto per chi investe sulle indignazioni disinformate e violente. Nessuno nega le patologie e le deviazioni nel comportamento di istituzioni e di persone che rappresentano le istituzioni – mai dovremmo confondere le istituzioni con le persone che in quel momento abusano delle loro funzioni –, ma altra cosa è la sistematica e generalizzata diffamazione dei partiti e delle istituzioni.
Amplificare le criticità e i privilegi, che pure ci sono, e nello stesso tempo ignorare gli interventi positivi di risparmio corrisponde ad un disegno politico che mira a delegittimare le istituzioni e i partiti.
Io non dimentico mai che la democrazia sono i partiti ! Non esiste un'alternativa a partiti rinnovati e democratici, perché questo dice la Costituzione italiana ! E la partecipazione politica avviene attraverso un canale certo, sicuro, che nella Prima Repubblica era rappresentato in modo chiaro da partiti di massa, in cui milioni di cittadini, al di là del loro censo, a partire dai più umili, erano associati a grandi questioni nazionali ed internazionali e potevano fare politica dalla sezione dell'ultimo comune di questo Paese a quest'Aula.
L'abolizione del finanziamento pubblico dell'attività politica dei partiti, voluta purtroppo anche dal Partito Democratico, si inserisce in questo contesto che ha fatto solo male alla democrazia italiana.
Dispiace che non solo alcune forze politiche si distinguano negativamente in questa campagna mediatica, ma anche che molti giornali e televisioni si siano accodati a questo disegno politico e culturale eversivo, a volte inventando notizie, falsificando dati e cercando su una cultura antipolitica di muovere gli istinti più bassi del nostro Paese e della pubblica opinione.
Anche la RAI, spiace dirlo, presunto servizio pubblico, si erge a censore pubblico della politica non avendone nessun titolo, visti i compensi che eroga ai suoi conduttori in queste trasmissioni in cui sicuramente si esercita un diritto di critica e di informazione, ma lo si fa in modo a volte mistificato, senza pensare ai risultati finanziari delle gestioni della RAI che costano ai cittadini italiani un canone di cui farebbero volentieri a meno, se poi devono sentirsi ogni giorno insultati in trasmissioni televisive.
L'antipolitica è una bestia che non si accontenta di niente: più tagli e più non hai fatto niente. Il Presidente della Camera, i Vicepresidenti, l'Ufficio di Presidenza si tagliano le indennità, rinunciano ai voli blu, utilizzano in modo del tutto parsimonioso le macchine cosiddette blu, molti di noi, deputati segretari, hanno rinunciato completamente a utilizzare questi strumenti, eppure è come se non si fosse fatto niente. I vitalizi, come diceva il deputato Palese, non ci sono più dal 2012, ma per l'opinione pubblica è come se ci fossero, perché ogni giorno sui giornali si parla di vitalizi come se ci fossero. Non ci sono più !
Il personale della Camera dei deputati ha subito dei tagli veramente notevoli. Certo si partiva da stipendi assolutamente alti, ma noi non dobbiamo dimenticare che nel 2015 la spesa per le retribuzioni del personale ammonta a 194 milioni di euro, riducendosi di oltre 16 milioni di euro rispetto al 2014, pari all'8 per cento. Per la prima volta dal 2004, dunque, dopo oltre 10 anni, la spesa per le retribuzioni scende sotto la soglia di 200 milioni di euro. In costante riduzione risultano anche le proiezioni del medesimo aggregato, per il 2016 e il 2017. Al termine del triennio la spesa per gli stipendi del personale sarà inferiore alla spesa del 2003. I dati sopra esposti sono destinati a migliorare nel corso dell'esercizio quando sarà possibile registrare con precisione l'effetto delle misure di riduzione delle retribuzioni del personale dipendente dalla Camera approvate dall'Ufficio di Presidenza il 30 settembre 2014, al momento stimato secondo un criterio prudenziale. L'effetto di tali misure è infatti legato all'andamento dei pensionamenti nonché all'evolversi del rilevante contenzioso. Ma questo è come se non fosse stato fatto, anche se per il personale della Camera si tratta naturalmente di scelte dolorose sul piano personale, dolorose ma necessarie, perché dovevamo assicurare un risparmio al funzionamento della Camera dei deputati.
Quanto alla questione delle locazioni immobiliari, come è noto, nella riunione del 26 agosto 2014, l'Ufficio di Presidenza, su proposta del Collegio dei Questori, ha approvato l'indirizzo di recedere dai contratti di locazione relativi ai cosiddetti Palazzi Marini.
Si è operato naturalmente anche per non ignorare l'effetto che il recesso avrebbe avuto sui livelli occupazionali, perché anche lì ci lavoravano persone, con stipendi sicuramente modesti, ma necessari ad assicurare loro un futuro.
E, dopo un anno di lavoro indefesso, di cui mi sento di ringraziare pubblicamente il Collegio dei Questori per la serietà con cui ha affrontato questa problematica, noi ci stiamo avviando ad una soluzione che potrà essere positiva, perché nello stesso tempo tiene conto di più esigenze: quella di risparmiare, quella di assicurare ai parlamentari, naturalmente, delle sedi in cui poter esercitare la propria funzione costituzionale, e quella anche di tutelare delle persone che, ad un certo punto, erano state colpite anche dal fuoco amico di chi voleva risolvere questi problemi ma aveva sottovalutato le ricadute sociali delle scelte che venivano fatte a livello istituzionale.
Dunque, la Camera costa un quinto di meno rispetto a dieci anni fa: questo è il dato da cui dobbiamo partire. Un dato su cui discutere, su cui riflettere, ovviamente per fare di più. Invece, anche da parte della stampa, ci si concentra sulla cifra complessiva dei costi, ancora alta, su cui naturalmente è possibile fare tante altre cose. Ma si ignora quello che si è fatto. Ecco, io contesto alla radice questo modo di fare, che semina soltanto sfiducia, scetticismo nell'opinione pubblica, e continua ad ignorare quello che invece si va facendo.
Sinistra, Ecologia e Libertà è impegnata in questo senso e sostiene l'attività del Collegio dei Questori, nel senso di un maggiore rigore, di tagli mirati a rilanciare la politica e l'attività parlamentare, e non ad umiliare la politica e l'istituzione parlamentare. Ridurre i privilegi, affermare un costume di sobrietà, io direi di umiltà, anche nel modo in cui noi ci poniamo rispetto alla pubblica opinione.
Un proverbio africano che mi piace molto dice che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Poco, naturalmente, ma incessantemente, costantemente, giorno per giorno. Questo è il riformismo che a me piace, un riformismo che non ama i riflettori ma che mira all'essenziale, ai risultati. Perché alla fine di questa legislatura noi dovremo rispondere ai nostri figli ad una domanda essenziale: ci lasciate una Camera più efficiente, in cui si è operato al meglio per ridurre privilegi, per renderla più snella ed efficiente, o viceversa ? È questa la domanda a cui noi tutti dobbiamo rispondere positivamente.
Per questo apprezziamo il lavoro fatto dal Presidente della Camera, dal Collegio dei Questori e dall'Ufficio di Presidenza. L'unico appunto, naturalmente, che vogliamo fare, è forse che i tempi sono sbagliati, nel senso che noi non dovremmo discutere del bilancio del 2015 a luglio, ma lo dovremmo fare a febbraio, agli inizi dell'anno. Ci rendiamo conto pure delle difficoltà, a volte anche oggettive, che ci sono. Però, ecco, noi dovremmo fare uno sforzo. Io confido nella serietà dei Questori per vedere se l'anno prossimo possiamo fare qualcosa di meglio che non arrivare alla fine di luglio.
Mi ha fatto piacere sentire il Presidente Di Maio che si è voluto – anche giustamente, io dico, perché il Movimento 5 Stelle è un partito importante, che io rispetto profondamente anche quando non ne condivido alcune posizioni – attribuire anche i meriti di questo taglio.
Nel momento in cui si è voluto attribuire i meriti di questi tagli nel bilancio della Camera, io ho visto la più grande soddisfazione, cioè quella che anche il MoVimento 5 Stelle ammette che ci sono stati dei risparmi, che magari sono insufficienti, che bisogna fare molto di più, ma che insieme possiamo anche fare meglio. E io ritengo che noi dobbiamo lavorare su questi temi insieme, senza pregiudizi, senza la collocazione della nostra posizione politica a fare, come dire, la tara rispetto, invece, ad una politica che ci deve vedere uniti.
Ho sempre trovato insopportabile la demagogia di chi si proclama immune da ogni virus, quando la dimostrazione della propria immunità dovrà essere fatta tra qualche decennio, perché quando si è qui da qualche mese non si può dire di essere onesti. Si potrà dire di essere onesti dopo che per decenni si è stati in una posizione di apice politico, e quindi si dovrà dimostrare nei fatti la propria serietà e il proprio rigore. E io lo dico con grande rispetto nei confronti dell'azione della magistratura, organo importante, essenziale, fondamentale nella nostra democrazia, che esercita le sue funzioni di controllo e di repressione di ogni fenomeno di disonestà politica. Però, come è noto, la magistratura non agisce a monte, non può agire prima che questi fenomeni si manifestino.
Il Presidente Di Maio ha fatto un elenco delle tante spese che bisognerebbe ridurre – su queste discuteremo e vedremo quelle sui cui è giusto un intervento – ma avrei voluto da parte sua, anche, magari, una citazione in più, Presidente Di Maio, perché ha dimenticato i 31 milioni di euro che sono destinati all'attività dei gruppi parlamentari: un finanziamento pubblico all'attività dei gruppi parlamentari. Di questi 31 milioni di euro, 5 milioni 231 mila 625 euro sono andati al MoVimento 5 Stelle. Da questo fondo vanno tolti, stornati, 845 mila euro perché il MoVimento 5 Stelle non ha ritenuto di assumere del personale dipendente, attualmente transitato in un «allegato A», perché evidentemente ritiene che questi lavoratori non abbiano quelle doti di terzietà che, invece, ogni pubblico dipendente dovrebbe avere e, secondo me, ha anche nel caso di chi è in quell'elenco «allegato A.
Concludo questo mio intervento: abbiamo in questi tre anni operato per cercare di affrontare problemi che, magari, si erano accumulati nel corso degli anni e non avevano avuto le giuste risposte. Lo abbiamo fatto in un clima che sicuramente non ha agevolato il nostro lavoro, però è evidente che non è mancato il coraggio politico di affrontare questi temi. Anche la revoca del vitalizio – su cui non c’è stato il voto favorevole dei componenti del MoVimento 5 Stelle – agli ex parlamentari che avevano avuto condanne penali per reati gravi contro la pubblica amministrazione, rientra anche in questo contesto, non tanto per la pochissima spesa che la Camera risparmierà, ma perché abbiamo dato l'idea che la funzione parlamentare debba essere assolta con dignità e onore, sia quando si è parlamentari, sia quando non lo si è più, perché il vitalizio è un qualcosa che deriva da quella funzione parlamentare che la Costituzione ci dice debba essere assolta con onore e disciplina.
Ma come è andata a finire ? Su circa millecinquecento deputati monitorati dal Ministero della giustizia, tolti quelli che hanno più di ottant'anni, su cui si sta lavorando, circa 350, su questi millecinquecento solo dieci parlamentari avevano subito condanne di questo tipo, condanne per le quali è venuto meno il requisito. La notizia qual è ? La notizia è che lo 0,98, cioè meno dello 0,99 per cento dei deputati della Prima Repubblica e di parte della Seconda Repubblica, si era macchiata di reati su cui la magistratura ha emesso sentenze passate in giudicato. Io non mi sorprendo della meraviglia di chi pensava che in quest'Aula fosse transitato nel corso di decenni un manipolo di farabutti al punto tale che magari quest'Aula doveva essere trasformata in un carcere di massima sicurezza. No, non è così ! la democrazia italiana nella stragrande maggioranza dei suoi parlamentari nella Prima Repubblica e agli inizi della Seconda Repubblica non ha avuto quelle frequentazioni con la magistratura, con i tribunali di questo Paese tali da far pensare che quella storia sia tutta un'acqua sporca da buttare. No, l'acqua sporca da buttare la buttiamo, ma c’è un bambino che va salvato, ed è la storia politica di questa Repubblica, che è fatta da partiti seri, di cui a volte io rimpiango l'esistenza: dal Partito Comunista Italiano alla Democrazia Cristiana ai Socialdemocratici, ai Repubblicani, ai Liberali, al Movimento Sociale, a tutti i partiti, Partito Radicale, Partito di Unità Proletaria, che hanno costruito la democrazia italiana e su cui nessuno si deve permettere il lusso di sputare giorno per giorno, facendo passare una verità che non esiste. Questo naturalmente – concludo – non vuol dire ignorare le deviazioni che ci sono state, questo non vuol dire assolutamente incoraggiare il lavoro della magistratura inquirente e giudicante, a cui va il mio massimo rispetto, per reprimere ogni fenomeno di malcostume, com’è giusto e doveroso che sia, ma noi dobbiamo anche nell'approccio alle questioni di bilancio della Camera dei deputati rivendicare con forza l'orgoglio di una democrazia seria, come è stata la democrazia italiana .
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cinzia Fontana. Ne ha facoltà.
CINZIA MARIA FONTANA. Signor Presidente, signori Questori, colleghe e colleghi, nei documenti che oggi quest'Assemblea è chiamata a discutere che riguardano il bilancio della Camera, si traduce e si concretizza l'impegno particolarmente intenso che l'Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori hanno profuso in questa legislatura e nello specifico ancor di più negli ultimi 12 mesi nell'affrontare questione delicate, complesse e inedite. Il consuntivo 2014, il preventivo 2015 e il triennale 2015-2017 danno conto dei risultati importanti e positivi sia sul piano del contenimento della spesa sia sul piano della trasparenza, della chiarezza e dell'affidabilità, perché è giusto ricordare anche quanto in tema di trasparenza si sta facendo in questi anni. Penso, ad esempio, ai rendiconti delle spese dei gruppi allegati al consuntivo, in vigore dallo scorso anno, oppure la tabella allegata alla relazione di quest'anno che contiene il dettaglio delle voci che compongono l'avanzo di amministrazione, o ancora, come ha giustamente ricordato il deputato Questore, Fontana, allo schema della nuova struttura di bilancio che sarà poi utilizzato a partire dal 2016.
Risultati di cui dobbiamo andare fieri, perché ci parlano di una riduzione dei costi consistente e intelligente e di un lavoro che, tutti insieme, stiamo svolgendo, per contribuire a obiettivi generali di contenimento ed efficientamento della spesa pubblica e per mettere risorse a disposizione dello Stato per politiche di giustizia sociale.
Ho voluto sottolineare quel «tutti insieme», perché io credo che quando parliamo di questi argomenti dovremmo in quest'Aula, visto che riguarda proprio il bilancio di questa istituzione, toglierci la casacca di parte e vedere il lavoro che, appunto, insieme noi abbiamo svolto. Utilizzo «noi» proprio diversamente da quanto il Presidente Di Maio ha fatto, perché quel «voi» è denigratorio, quel «voi» è delegittimante. Il «noi», invece, è in questa istituzione il lavoro che dall'Ufficio di Presidenza al Collegio dei Questori, raccogliendo le istanze che i gruppi giustamente portano avanti, stanno facendo. Insomma, è un lavoro collettivo e ho troppo rispetto di quest'Aula per pensare che risolviamo i temi del bilancio e delle modifiche fatte nel corso di questi anni facendo i «comizietti».
Non riprendo i dati; li ha elencati, ovviamente molto bene, il deputato Questore e li ha ripresi l'onorevole Melilla. È chiaro che quel dato soprattutto, quello di un risparmio di 223 milioni di euro nel triennio 2013-2015, è un dato che sicuramente ci consegna un percorso virtuoso e positivo, ed è una direzione, quella che abbiamo preso, da cui non possiamo più tornare indietro, perché è la direzione della sobrietà, del rigore dei conti, dei tagli agli sprechi, dell'equilibrio, del buon esempio. Per questo, è la direzione giusta ed è da sostenere con determinazione e con l'impegno che anche noi, come gruppo appunto, abbiamo messo in questi anni.
Ma è una direzione che ci obbliga continuamente a fare i conti con la complessità della nostra istituzione e ad operare con serietà e profonda attenzione, sapendo distinguere il grano dal loglio, pena la demagogia dell'antipolitica che tutto distrugge e nulla costruisce, pena il considerare spreco i costi, quelli giusti, della democrazia e questo rischia di essere un danno enorme per il Paese.
La qualità e la professionalità del personale della Camera, dei funzionari, dei commessi, dei dipendenti dei gruppi, delle lavoratrici e dei lavoratori sia interni sia esterni, la loro lealtà e dedizione, che in questi mesi nel mio ruolo ho, più di prima, potuto concretamente e quotidianamente apprezzare, così come il giusto servizio di supporto al lavoro che come parlamentari dobbiamo svolgere, decisivo per potere svolgere al meglio il nostro mandato elettivo, sono condizioni che dobbiamo preservare e salvaguardare, perché sono queste condizioni a dare garanzia di autonomia, di indipendenza, di dignità e di qualità della nostra istituzione. Ecco perché io credo che, appunto, noi tutti insieme stiamo effettivamente facendo un lavoro molto importante, molto serio e che restituisce grande dignità a questa istituzione.
Voglio, però, sottolineare un aspetto che si intreccia con la discussione sul contenimento della spesa e, contemporaneamente, sulla sua efficacia. Mi riferisco al tema dell'organizzazione dei nostri lavori e a quello del procedimento legislativo, perché io credo che in tutta questa discussione la domanda che ci dobbiamo porre è: quanto pesa economicamente la mancanza di una programmazione che ogni volta, ogni settimana, fatichiamo enormemente a definire con un minimo di certezza ? Quanto pesa economicamente il fatto che tutti, in quest'Aula, sosteniamo la necessità di modifiche al Regolamento, che potrebbero decisamente migliorare la qualità del nostro lavoro, e fatichiamo a portare avanti un lavoro che è molto importante, cioè quello che anche con il collega Melilla, nella Giunta per il Regolamento, all'inizio di questo mandato parlamentare abbiamo cercato di svolgere, perché migliorare la qualità significa certamente più efficienza e più efficacia alla nostra azione, ai tempi e alle risorse.
Ecco, io credo sia venuto il momento di approfondire quali siano le ricadute, anche economiche, di questo nostro modo di lavorare. So che è complicato, so che è difficile, però è impressionante vedere come molti Parlamenti europei riescano a programmare la loro attività in modo così preciso da avere tempi molto dettagliati in maniera costante e anche in maniera continua. Quindi, io credo che dobbiamo aprirla questa riflessione. Anche in questo caso, apriamo un confronto e vediamo quali possono essere le migliori pratiche. Sappiamo benissimo quanto sia condizionante il rapporto tra Parlamento e Governo e, quindi, vediamo quali sono le pratiche degli altri Parlamenti europei. Io credo che sia venuto il momento, anche proprio nel momento in cui discutiamo di bilancio della Camera, di parlare dell'organizzazione dei nostri lavori. Su questi punti l'impegno del PD vuole essere incisivo, per cercare non solo di far lavorare al meglio la struttura, non solo di – crediamo – portare anche ad una migliore economia della struttura, ma proprio per permettere di dare anche maggiore efficacia ed efficienza alla nostra azione legislativa.
Concludo, quindi, signor Presidente, apprezzando e sostenendo il lavoro svolto dal Collegio dei Questori e dall'Ufficio di Presidenza. Avremo modo nei prossimi giorni di approfondire alcune questioni attraverso gli ordini del giorno che verranno presentati, che sono sempre l'occasione per entrare nel merito dei singoli argomenti, ma io credo sia importante quanto il collega Questore Fontana ha detto: stiamo facendo un lavoro che è una base di partenza per un'istituzione sempre più efficiente e trasparente. Non siamo quindi alla fine di un percorso; è un percorso e su questo percorso – l'ho detto prima – la nostra direzione deve continuare e deve essere il più collegiale possibile. Deve essere effettivamente un lavoro collettivo, che insieme facciamo, per cercare soprattutto di ridare quella fiducia e quella dignità all'istituzione, di cui così tanto questo Paese ha bisogno
PRESIDENTE. Si è così conclusa la discussione congiunta. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15, per lo svolgimento degli ulteriori punti all'ordine del giorno. La seduta è sospesa.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Fioroni è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’ al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3201-A: Conversione in legge del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria.
Ricordo che nella seduta del 7 luglio 2015 sono state respinte le questioni pregiudiziali Molteni ed altri n. 1, Bonafede ed altri n. 2 e Scotto ed altri n. 3.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato David Ermini.
DAVID ERMINI, . Grazie, signor Presidente. Non so quanto tempo ho, perché la relazione è abbastanza ampia.
PRESIDENTE. Venti minuti.
DAVID ERMINI, . Qualora non riuscissi a terminarla, vorrei chiederle di autorizzarmi già alla consegna.
PRESIDENTE. È autorizzato, non c’è problema.
DAVID ERMINI, . Grazie, Presidente. Il decreto-legge, originariamente composto da 24 articoli, detta una serie di misure in materia fallimentare, civile e processuale civile, nonché di natura organizzativa. In particolare, il provvedimento d'urgenza interviene in materia di: procedure concorsuali (Titolo I, articoli 1-11); procedure esecutive (Titolo II, articoli 12-15); misure fiscali (Titolo III, articoli 16-17); efficienza della giustizia e processo telematico (Titolo IV, articoli 18-21). Una specifica disciplina transitoria è dettata, infine, dal Titolo V (articoli 22-24).
La Commissione di merito ha apportato numerose modifiche al testo, introducendovi dieci articoli aggiuntivi, per cui il decreto risulta composto da 34 articoli. La complessiva del provvedimento, alla quale, secondo la Corte costituzionale, occorre guardare quando si tratta di individuare la materia di un decreto anche ai fini di ammissibilità degli emendamenti presentati, deve essere individuata, da un lato, nel sostegno all'attività di imprese in crisi e, dall'altro, nell'efficienza della giustizia.
Gli strumenti attraverso i quali si è cercato di rispondere alla del provvedimento sono diversi: da un lato, si passa dalla modifica dell'ordinamento fallimentare all'introduzione di una norma sull'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale nel caso in cui vi sia il sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento; dall'altro, vi sono sia norme volte al trattenimento in servizio dei magistrati ordinari e contabili sia norme sui «precari della giustizia».
L'esame in Commissione è stato approfondito – sono stati presentati circa 400 emendamenti, compresi i subemendamenti – nonostante i tempi rigidi propri degli atti di decretazione d'urgenza. Si è svolta un'indagine conoscitiva, in cui si sono sentiti, in ordine cronologico, Luciano Panzani, presidente della corte d'appello di Roma, Francesco Vigorito, presidente della sezione esecuzioni immobiliari del tribunale di Roma, Giuseppe Ferri, ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Alida Paluchowski, presidente della sezione fallimentare del tribunale di Milano, Roberto Fontana, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Piacenza, e Filippo Lamanna, presidente del tribunale di Novara.
Dalle audizioni è emerso un giudizio complessivamente positivo sul decreto-legge originario, accompagnato da una serie di suggerimenti volti a superare alcune singole criticità. Questi suggerimenti sono stati in gran parte accolti, come risulta dalle modifiche testuali al testo. Le modifiche al testo sono state il risultato di un costruttivo confronto in Commissione anche con l'opposizione, con la quale l'unico punto vero di contrasto si è registrato in merito alla cosiddetta «norma Ilva», rispetto alla quale vi è stata una contestazione sia di metodo che di merito.
Piuttosto che illustrare il provvedimento dall'articolo 1, ritengo più utile illustrare per prime le disposizioni nuove introdotte dalla Commissione, per le quali l'Assemblea può non avere la stessa contezza rispetto alle disposizioni originarie del decreto-legge, che, in quanto tali, sono già in vigore. Partirei proprio dalla cosiddetta norma sull'Ilva, che, peraltro, ha una portata di carattere generale.
Nel metodo, si è contestata l'ammissibilità dell'articolo aggiuntivo che la prevedeva, ritenendo che fosse estranea alla materia del decreto-legge, riproducendo, peraltro, l'articolo 3 del decreto-legge n. 92 del 2015, in corso di esame presso le Commissioni VIII e X (A.C. 3210).
Nel merito si è espressa una contrarietà che è andata a sfociare, addirittura, nella illegittimità costituzionale della norma. Per quanto la norma in questione sia stata introdotta nel corso dell'esame in sede referente, vorrei soffermarmi proprio su di essa, in quanto molto probabilmente sarà uno dei punti maggiormente trattati negli interventi che seguiranno e nel corso dell'esame degli emendamenti.
La disposizione, articolo 21-, prevede, al comma 1, che l'esercizio dell'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non sia impedito dal sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento, quando la misura cautelare sia stata adottata in relazione ad ipotesi di reato inerenti la sicurezza dei lavoratori e debba garantirsi il necessario bilanciamento tra la continuità dell'attività produttiva, la salvaguardia dell'occupazione, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
La disciplina in esame è diretta ad ampliare quanto già previsto dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 207, del 2012, per gli stabilimenti d'interesse strategico nazionale, e segnatamente per l'Ilva di Taranto, per le cui disposizioni – questo è un punto fondamentale – la Corte costituzionale ha già chiarito (sentenza n. 85 del 2013) la possibilità di un intervento del legislatore circa la continuità produttiva compatibile con i provvedimenti cautelari.
La disposizione prevede che l'attività dello stabilimento possa proseguire per un periodo massimo di 12 mesi dall'adozione del richiamato provvedimento di sequestro subordinatamente alla presentazione, entro 30 giorni, di un piano contenente le misure aggiuntive, anche di natura provvisoria, per la tutela della sicurezza dei lavoratori sull'impianto oggetto del provvedimento di sequestro (commi 2 e 3). Il piano va comunicato all'autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro ed è trasmesso al comando provinciale dei vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell'INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo (comma 4).
La descritta disciplina si applica anche ai provvedimenti di sequestro già adottati dalla magistratura al 4 luglio 2015, data di entrata in vigore del decreto-legge n. 92 del 2015. Sia il termine di 12 mesi per il protrarsi dell'attività d'impresa che quello di 30 giorni per la redazione del piano per la sicurezza decorrono dalla data sopracitata (comma 5).
Alle critiche nel merito vorrei, quindi, replicare ricordando che la Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi sul precedente decreto-legge n. 207, del 2012, affermando, con la sentenza n. 85 del 2013, la possibilità di un intervento del legislatore circa la continuità produttiva compatibile con i provvedimenti cautelari adottati dall'autorità giudiziaria. La Consulta ha escluso la violazione della riserva di giurisdizione, avuto riguardo alle tesi di fondo del rimettente, il GIP del tribunale di Taranto, secondo cui il decreto-legge sarebbe stato adottato per vanificare l'efficacia dei provvedimenti cautelari disposti dall'autorità giudiziaria di Taranto. In sostanza, si è riconosciuta al legislatore la possibilità di modificare le norme cautelari, quanto agli effetti ed all'oggetto, anche se vi siano misure cautelari in corso secondo la previgente normativa.
Nel contempo, si è attribuito alla legislazione ed alla conseguente attività amministrativa il compito di regolare le attività produttive pericolose, senza che le cautele processuali penali possano far luogo delle relative strategie.
Si potrà poi discutere, nel particolare, se la disciplina prevista sia migliorabile, ma non si può discutere sulla legittimità della disposizione che si muove in una direzione che la Corte costituzionale ha già vagliato positivamente.
Rispetto all'articolo aggiuntivo approvato è stato inserito un comma nell'articolo 1 del disegno di legge di conversione, accogliendo una condizione espressa nel parere della I Commissione. In particolare, si sono disciplinati i rapporti con l'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, il cui contenuto è pressoché identico all'articolo 28- in esame. Da un lato, si prevede l'abrogazione dell'articolo 3, dall'altro, si stabilisce che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo. Questa precisazione è necessaria per coprire il lasso di tempo che intercorre tra l'entrata in vigore del decreto-legge n. 92 e l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge che stiamo esaminando.
Come si è detto, la Commissione ha introdotto 10 articoli nel decreto. Tutti questi articoli nuovi rispondono ad esigenze particolari alle quali si è voluto dare una risposta. Proprio perché si tratta delle novità rispetto al contenuto originario del decreto, ritengo importante rappresentare immediatamente quelle più significative.
Una disposizione significativa, non tanto per l'effetto sull'economia generale del Paese o sull'occupazione considerata sul piano nazionale, è sicuramente quella prevista dall'articolo 21-, che si riferisce ai soggetti che hanno completato il tirocinio formativo, di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Si tratta dei cosiddetti tirocinanti. L'importanza della disposizione non deve essere cercata nel numero dei destinatari, ma nella scelta politica di cercare una soluzione per delle persone che hanno lavorato per l'amministrazione della giustizia e che rischiano di entrare, con le loro famiglie, nel baratro della disoccupazione.
Le risorse a disposizione e – cosa ancora più importante – i principi costituzionali che regolano l'ingresso nella pubblica amministrazione non consentono interventi maggiormente risolutivi di quanto si è previsto. La disposizione prevede che, con decreto del Ministro della giustizia, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, siano determinati il numero e i criteri per l'individuazione dei soggetti che, avendo concluso il tirocinio, possano far parte per ulteriori dodici mesi dell'ufficio del processo. La disposizione delinea i criteri e le modalità per procedere alla selezione di questo personale e fissa in 400 euro mensili l'importo massimo della borsa di studio che potrà essere assegnata.
L'inserimento diretto dei tirocinanti nell'amministrazione della giustizia avrebbe contrastato il principio costituzionale secondo cui nella pubblica amministrazione si accede solo mediante concorso pubblico. Vi è, però, una disposizione molto importante che è stata prevista: si stabilisce che lo svolgimento positivo di questa ulteriore attività formativa non solo costituirà titolo di preferenza nei concorsi nella PA – preferenza che dovrà essere accordata anche ai tirocinanti che non accedano all'ufficio per il processo –, ma dovrà essere valorizzato nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia. Non ci si è limitati, quindi, ad una mera proroga del periodo del tirocinio, che avrebbe risolto poco, ma si è dettata una norma che può dare un futuro ai cosiddetti tirocinanti.
Secondo una linea già da tempo tracciata dalla Commissione, la questione del personale della giustizia non si limita al grave e delicato problema dei precari, ma riguarda anche coloro che lavorano nella giustizia a seguito di un concorso pubblico che è stato superato. Si tratta della fondamentale questione della riqualificazione di tale personale. Non si tratta di una disposizione che attua in via generale tale riqualificazione, ma di un intervento mirato, che deve essere collocato in un progetto di riqualificazione sicuramente necessario.
In particolare, l'articolo 21- detta misure per la riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria. È consentita l'attivazione di procedure di contrattazione collettiva per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari in cui il Ministero della giustizia è risultato soccombente e per definire i contenziosi in corso. In particolare, attraverso una procedura interna riservata ai dipendenti in servizio al 14 novembre 2009 sono attribuite funzioni superiori (di funzionario giudiziario e funzionario UNEP dell'area terza).
Il personale amministrativo della giustizia è oggetto dell'articolo 21, che prevede l'inquadramento nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria di 2 mila unità di personale proveniente dalle province. Sul punto è intervenuta la Commissione che, riformulando la disposizione, ha previsto che le procedure per l'inquadramento di tale personale abbiano carattere prioritario su ogni altra procedura di trasferimento all'interno dell'amministrazione della giustizia, già prevista dai contratti e dagli accordi collettivi nazionali.
Sempre alla materia dell'efficienza della giustizia deve essere ricondotto l'articolo 18- con il quale si è affrontato il problema dell'emergenza connessa con il fenomeno migratorio e dell'elevato numero di procedimenti connessi alle richieste di protezione internazionale. La disposizione consente al CSM di procedere all'applicazione, definendone le modalità, di un numero massimo di venti magistrati presso gli uffici giudiziari nei quali si è verificato il maggior incremento di tali procedimenti. L'applicazione avrà durata di mesi diciotto, rinnovabili per massimo sei mesi. Si tratta in massima parte di uffici giudiziari che hanno sede in Sicilia, i cui attuali magistrati, a fronte di un carico di lavoro già ingente, sono ulteriormente gravati dagli innumerevoli procedimenti connessi alle richieste di protezione internazionali.
Sono state introdotte ulteriori disposizioni in tema di magistratura. L'articolo 18- detta disposizioni per il ricambio generazionale nella magistratura onoraria, in linea con le disposizioni contenute dal decreto-legge n. 90 del 2014 che, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e per i magistrati professionali, ha abrogato le disposizioni sul trattenimento in servizio, al fine di favorire il ricambio generazionale.
L'emendamento proposto intende, quindi, unificare la disciplina normativa relativa all'età massima dei magistrati onorari, unificandola per tutti. Attualmente, infatti, i giudici di pace cessano dal servizio col raggiungimento del settantacinquesimo anno di età (articolo 7, comma 1-, legge n. 374 del 1991), mentre per i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari la cessazione del servizio è prevista quando compiono i settantadue anni (articolo 42-, comma 1, lettera regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).
Inoltre, l'emendamento agisce con gradualità, prevedendo che la cessazione dall'ufficio si verifica al 31 dicembre 2015, per coloro che a tale data hanno compiuto il settantaduesimo anno di età e al 31 dicembre 2016, per coloro che a tale data hanno compiuto il settantesimo anno di età.
Sempre in materia di magistrati, sia pure non ordinari, si interviene con il comma 1- dell'articolo 18, il cui comma 1 disciplina il trattenimento in servizio dei magistrati ordinari. Quest'ultimo comma scagliona dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2016 il collocamento a riposo di quanti, raggiunti i limiti per la pensione, siano attualmente trattenuti nei ruoli, consentendo al CSM di procedere ordinatamente al conferimento degli incarichi direttivi che si renderanno vacanti. In particolare, la riforma conferma che i magistrati ordinari che, alla data del 31 dicembre 2015, avranno compiuto settantadue anni dovranno essere collocati a riposo entro la fine dell'anno e dispone che i magistrati ordinari che, alla medesima data, non abbiano compiuto settantadue anni, ma debbano essere collocati a riposo nel periodo 31 dicembre 2015 – 30 dicembre 2016, siano trattenuti in servizio fino al 31 dicembre 2016.
Il comma 1- riguarda i magistrati contabili, per i quali si prevede che, in considerazione della particolare situazione di organico della magistratura contabile e al fine di salvaguardare, in fase transitoria, la funzionalità degli uffici per il regolare svolgimento dell'attività di controllo e giurisdizionale, i trattenimenti in servizio dei magistrati della Corte dei conti sono fatti salvi fino al completamento della procedura di reclutamento in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto e, in ogni caso, fino al 30 giugno 2016.
Riguardo ai magistrati amministrativi, si prevede, con il comma 1- dell'articolo 20, l'estensione anche a costoro della riduzione delle ferie già applicata ai magistrati ordinari dall'articolo 16 del decreto-legge n. 132 del 2014, contestualmente circoscrivendo al periodo 1o agosto – 31 agosto la sospensione feriale dei termini processuali amministrativi. Si ricorda che il comma 1 dell'articolo 20 del decreto-legge, alla lettera sopprime le disposizioni in materia di riorganizzazione dei TAR previste dal decreto-legge n. 90 del 2014, abrogando le disposizioni che ne scandivano i tempi e ne dettavano le modalità. In assenza dell'intervento d'urgenza, a partire dal 1o luglio 2015 sarebbero state soppresse le sezioni staccate dei TAR di Parma, Pescara e Latina.
La giustizia contabile e quella amministrativa hanno visto anche interventi relativi all'attività giurisdizionale. All'articolo 20, che posticipa di un anno l'entrata in vigore del cosiddetto processo amministrativo telematico (comma 1, lettera originariamente prevista per lo scorso 1o luglio, la Commissione giustizia è intervenuta con ulteriori disposizioni relative al processo amministrativo, modificando il relativo codice (decreto legislativo n. 104 del 2010). In particolare, ha specificato che nel giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni amministrative e regionali le parti possono indicare una PEC o un fax solo se stanno in giudizio personalmente e non hanno una PEC già inserita in pubblici elenchi (modifica dell'articolo 129); ha modificato la disciplina sulle comunicazioni e sui depositi informatici (articolo 136), prevedendo che tutti i difensori e gli ausiliari del giudice, nonché le parti che stiano in giudizio personalmente, debbano depositare atti e documenti con modalità telematiche, salvo casi eccezionali nei quali la dispensa dal titolo telematico deve essere comunque autorizzata dal presidente; ha modificato le norme di attuazione del codice del processo amministrativo, abrogando le disposizioni più strettamente connesse con le attività cartacee delle segreterie degli organi di polizia amministrativa; ha esteso al processo amministrativo alcune disposizioni sul processo civile telematico.
L'articolo 20-, introdotto dalla Commissione, che ha per oggetto disposizioni in materia di informatizzazione del processo contabile, interviene per estendere anche alla giustizia contabile alcune norme sul processo civile telematico relative all'attestazione di conformità delle copie informatiche ad atti cartacei. La Commissione ha prestato attenzione anche a questioni legate al vero e proprio funzionamento degli uffici giudiziari.
L'articolo 21-, che, in relazione al previsto passaggio dai comuni allo Stato delle attività di manutenzione degli uffici giudiziari (previsto dalla legge di stabilità 2015), consente agli uffici giudiziari fino alla fine dell'anno 2015 di continuare ad avvalersi del personale comunale, sulla base di specifici accordi da concludere con le amministrazioni locali, per le attività di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria. Sarà una convenzione quadro previamente stipulata tra il Ministero e l'ANCI a delineare i contorni della collaborazione.
L'articolo 21- proroga fino al 31 dicembre la durata dell'incarico del commissario straordinario per gli interventi relativi alla messa in sicurezza del palazzo di giustizia di Palermo.
Incide invece proprio sull'attività giurisdizionale, con finalità deflattiva, l'articolo 21- che prevede incentivi fiscali alla degiurisdizionalizzazione. Tale disposizione prevede meccanismi di incentivazione fiscale della negoziazione assistita e dell'arbitrato...
PRESIDENTE. La invito a concludere, ha ancora un minuto.
DAVID ERMINI, ... attraverso l'adozione del modello del credito di imposta già previsto per la mediazione dal decreto legislativo n. 28 del 2010. Le norme riconoscono alle parti un credito di imposta massimo pari a 250 euro per i compensi corrisposti agli avvocati abilitati nel procedimento di negoziazione assistita. Sulla base dei dati del Ministero, è possibile stimare, prudenzialmente, il numero delle controversie civili e commerciali già pendenti presso i tribunali e le corti d'appello che potranno essere trasferite in sede arbitrale in circa 300.000 all'anno e in circa 80.000 all'anno i procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del Capo II del decreto-legge n. 132 del 2014. Considerato che il credito di imposta è riconosciuto solo in caso di successo della negoziazione ovvero di conclusione dell'arbitrato con lodo, commisurato al compenso fino a concorrenza di euro 250, si stima prudenzialmente e in sede di prima applicazione delle disposizioni, che dei circa 380.000 procedimenti, una percentuale non inferiore al 40 per cento avrà esito positivo, con l'accordo delle parti, pari a circa 152.000 procedimenti l'anno.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DAVID ERMINI, . Concludo. Naturalmente, Presidente, ci sono moltissime altre norme che sono indicate nella mia relazione, alla quale integralmente mi riporto e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione. È iscritta a parlare la deputata Morani. Ne ha facoltà.
ALESSIA MORANI. Signor Presidente, Governo, colleghi deputati, il provvedimento oggi in discussione è particolarmente importante poiché tocca materie e settori nevralgici per il Paese: il sostegno all'attività di imprese in crisi e l'efficienza della giustizia. Gli strumenti attraverso i quali si è cercato di centrare l'obbiettivo sono molteplici: da un lato, si modifica l'ordinamento fallimentare, si introducono norme sull'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale nel caso in cui vi sia il sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento; dall'altro, vi sono sia novità riguardanti il trattenimento in servizio dei magistrati ordinari e contabili sia norme sui cosiddetti «precari della giustizia» e la riqualificazione del personale amministrativo dei tribunali.
Il decreto-legge, in particolare, interviene in materia di: procedure concorsuali, procedure esecutive, misure fiscali e, come detto, di efficienza della giustizia sul processo telematico. La Commissione Giustizia, nel corso dell'esame in sede referente, ha apportato numerose modifiche al decreto-legge, introducendo 10 articoli aggiuntivi agli originari 24, per cui oggi il decreto risulta composto da 34 articoli.
L'esame in Commissione è stato ampio ed approfondito attraverso l'audizione di esperti del settore: abbiamo audito Luciano Panzani, presidente della Corte d'appello di Roma, Francesco Vigorito, presidente della sezione esecuzioni immobiliari del Tribunale di Roma, Giuseppe Ferri, ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Alida Paluchowski, presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, Roberto Fontana, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza, e Filippo Lamanna, presidente del Tribunale di Novara. Dalle audizioni è emerso un buon giudizio sull'impianto del decreto insieme a suggerimenti di natura critica che sono stati in larga parte accolti, come risulta dal testo finale oggi in esame.
L'articolo 1, modificando l'articolo 182- del regio decreto n. 267 del 1942, interviene sulla legge fallimentare per facilitare il reperimento di risorse finanziarie da parte dell'imprenditore in crisi, in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti.
L'articolo 2 interviene proprio sulla disciplina del concordato preventivo, inserendo nella legge fallimentare l'articolo 163-, per prevedere che possano essere presentate offerte alternative rispetto al piano di concordato per l'acquisto dell'azienda o di un suo ramo o di specifici beni. La Commissione Giustizia ha aggiunto inoltre che, a fronte di un'offerta per l'acquisto compresa nel piano di concordato, si debba aprire sempre un procedimento di gara.
L'articolo 3 modifica alcuni articoli della legge fallimentare, con l'obiettivo di rendere possibile ai creditori la presentazione di proposte di concordato alternative a quella presentata dall'imprenditore garantendo così ai creditori la possibilità di scegliere la proposta che meglio tuteli i loro interessi.
La Commissione Giustizia ha integralmente sostituito, invece, l'articolo 4, con disposizioni che, modificando la disciplina del concordato preventivo nella legge fallimentare, precisano quali debbano essere i requisiti della proposta di concordato, gli obblighi del commissario giudiziale e i modi per aderire alla proposta. In particolare: la proposta di concordato deve soddisfare – se non si tratta di concordato con continuità aziendale – almeno il 20 per cento dei crediti chirografari e deve indicare le specifiche utilità ricavabili da ciascun creditore.
L'articolo 5, anch'esso modificato dalla Commissione, interviene sull'articolo 28 della legge fallimentare, escludendo che possa svolgere l'incarico di curatore colui che ha, in qualsiasi tempo, concorso a cagionare il dissesto aziendale.
L'articolo 6 modifica l'articolo 104- della legge fallimentare, relativo al programma di liquidazione dell'attivo, consentendo al curatore di avvalersi di società specializzate nella vendita e stabilendo termini procedurali più stretti, il cui mancato rispetto può determinare la revoca del curatore.
L'articolo 7 del decreto-legge modifica gli articoli 118 e 120 della legge fallimentare, in materia di chiusura del fallimento, prevedendo: la chiusura del fallimento a seguito di ripartizione dell'attivo anche quando vi siano giudizi pendenti; che le somme necessarie a coprire le spese di giudizio nonché quelle ricevute per effetto di provvedimenti non definitivi siano trattenute dal curatore; che eventuali sopravvenienze dell'attivo derivanti dalla conclusione dei giudizi pendenti non comportino la riapertura della procedura di fallimento; la tardiva ammissione all'esdebitazione del fallito quando, a seguito del riparto supplementare conseguente alla chiusura di un giudizio pendente, i creditori siano stati in parte soddisfatti; la permanenza in carica del curatore e del giudice delegato quando, nonostante la chiusura del fallimento, pendano giudizi inerenti i rapporti patrimoniali del fallito.
L'articolo 8 novella l'articolo 169- della legge fallimentare, relativo agli effetti dei contratti in corso di esecuzione in cui è parte il debitore che ha richiesto il concordato preventivo. L'obbiettivo della norma, in armonia con quella prevista per il fallimento, è quella di eliminare i dubbi interpretativi riguardanti la possibilità per il debitore di sciogliersi da tali contratti, evitando così il protrarsi di lunghi contenziosi che ritardano la definizione del concordato.
L'articolo 9 inserisce nella legge fallimentare l'articolo 182-, che integra, con specifico riferimento a banche ed intermediari finanziari, la disciplina dell'accordo di ristrutturazione dei debiti dettata dall'articolo 182- della stessa legge. Sostanzialmente, si mira a togliere a banche che vantino crediti di modesta entità il potere di interdizione in relazione ad accordi di ristrutturazione che vedano l'adesione delle banche creditrici maggiormente esposte.
L'articolo 10, non modificato dalla Commissione giustizia, interviene sull'articolo 236 della legge fallimentare, per estendere la disciplina penale qui prevista (per i soli concordato preventivo e amministrazione controllata) alle ipotesi di illecito riferite ai nuovi istituti di ristrutturazione del credito con intermediari finanziari e convenzione di moratoria introdotti dall'articolo 9 del decreto-legge.
L'articolo 12, anch'esso non modificato dalla Commissione, introduce nel codice civile l'articolo 2929-, che introduce una forma semplificata di tutela esecutiva del creditore pregiudicato da atti compiuti dal debitore a titolo non oneroso. In particolare, il titolare di un credito sorto prima dell'atto pregiudizievole, munito di titolo esecutivo, procede ad esecuzione forzata sul bene anche in assenza di una sentenza definitiva di revocatoria che abbia dichiarato l'inefficacia di tale atto.
Poi, vi è l'articolo 13, che apporta numerose ed importanti modifiche alla disciplina dell'esecuzione forzata contenuta nel codice di procedura civile. Ritengo, però, signor Presidente, che le misure sull'efficienza della giustizia introdotte dal lavoro della Commissione siano particolarmente importanti, per cui vale la pena soffermarsi su esse. In particolare, come già ha ben detto il relatore Ermini, abbiamo introdotto delle novità che riguardano i cosiddetti tirocinanti della giustizia. Queste novità riguardano coloro che hanno completato il tirocinio formativo.
Ad essi viene riconosciuto un ulteriore completamento del tirocinio formativo di 12 mesi negli uffici del processo con un compenso massimo di 400 euro mensili attraverso un metodo di selezione stabilito con decreto del Ministro della giustizia che darà anche titolo di preferenza per i concorsi pubblici, attraverso i quali, una volta dato il concorso, anche questi lavoratori che sono anni che prestano un servizio che è stato definito, dagli stessi presidenti di Corte d'appello, indispensabile per gli uffici giudiziari, potranno accedere. Credo che questa sia una norma importante, non solo e non tanto perché con i tirocinanti della giustizia vi è una interlocuzione aperta oramai da tempo e vi è da parte di essi una aspettativa perché riguarda il loro destino, quindi riguarda le loro vite, ma soprattutto perché abbiamo individuato attraverso questa norma una modalità attraverso la quale essi possano continuare ad avere comunque un'entrata seppur minima (infatti abbiamo previsto un massimo di 400 euro mensili di rimborso per la loro prestazione lavorativa) che gli consente però di continuare a dare questo supporto importante per l'attività amministrativa dei nostri tribunali.
Abbiamo inserito anche fondi e norme riguardanti la riqualificazione del personale dei nostri tribunali. È chiaro che queste norme e questi fondi non sono sufficienti per le richieste che ci vengono, sia dalle parti sindacali che si occupano del comparto della giustizia, sia da parte dei dipendenti stessi. Però anche questo è un primo passo verso quella necessaria e indispensabile riqualificazione per il nostro personale amministrativo dei tribunali.
Altra norma importante, sempre nella direzione dell'efficienza del sistema giustizia italiano, è l'inquadramento nei ruoli della giustizia di 2.000 dipendenti provinciali a cui noi con questa legge abbiamo stabilito un percorso prioritario. Come è noto, vi è in corso di completamento la riforma Delrio che riguarda le province e le aree metropolitane e in questo completamento, nella riduzione delle funzioni delle province, si è previsto anche un trasferimento da parte di alcune migliaia di questi dipendenti provinciali presso i tribunali. Poiché la mancanza di organico dei nostri tribunali è nota, anzi viene spesso ricordata ogni anno durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, costituisce certamente una condizione di inefficienza del nostro sistema giustizia ed aver previsto in questo decreto-legge con il lavoro che è stato fatto in Commissione giustizia la priorità per 2.000 lavoratori delle province del trasferimento nei tribunali ci consente di aumentare l'efficienza del sistema dei nostri tribunali ma anche di garantire una maggiore serenità a questi lavoratori delle province che ad oggi si vedono con un destino abbastanza incerto, non tanto riguardo al mantenimento del loro posto di lavoro ai fini del loro stipendio, ma quanto meno a quali saranno le funzioni che andranno a svolgere all'interno di un altro ente pubblico.
Abbiamo previsto anche una norma importante che riguarda una delle emergenze del paese in questo momento e mi riferisco in particolare alla emergenza immigrazione, per cui abbiamo stabilito l'applicazione per i magistrati nei tribunali in cui vi sia un rilevante contenzioso per le richieste di asilo politico. Mi riferisco, in particolare, ai tribunali siciliani che in questo momento, proprio per l'alto numero di richieste che sono state fatte, dovuto a un continuo flusso di sbarchi provenienti dalla Libia e altri paesi che oggi sappiamo essere purtroppo teatro di guerre e di altre situazione di instabilità da parte di quei governi. Per questo motivo, abbiamo stabilito l'applicazione di 20 magistrati presso questi tribunali, nonché – come anche il relatore ha ben detto durante la sua relazione – norme di armonizzazione dell'età pensionabili anche per i giudici di pace.
Un'altra norma particolarmente importante, che attiene al completamento di un lavoro che abbiamo iniziato oramai da alcuni mesi nell'ambito dell'efficienza del sistema giustizia, riguarda i cosiddetti strumenti di de-giurisdizionalizzazione che abbiamo introdotto attraverso altri provvedimenti: in particolare, mi riferisco all'istituto dell'arbitrato e della negoziazione assistita. Durante il proficuo lavoro che abbiamo fatto in Commissione assieme al Governo e assieme anche alle altre forze parlamentari abbiamo deciso di introdurre degli incentivi fiscali proprio per gli arbitrati e per la negoziazione assistita.
Concludo il mio intervento sulla cosiddetta questione Ilva di Taranto e sull'emendamento presentato durante il lavoro in Commissione in sede referente. La norma in questione è stata introdotta nel corso dell'esame in Commissione e come è noto è stato uno dei punti più contestati del decreto durante la discussione. La norma prevede che l'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non sia pregiudicata dal sequestro sui beni dell'impresa, quando la misura cautelare sia stata adottata in relazione a reati inerenti la sicurezza dei lavoratori. La ragione fondante di tale previsione risiede nella necessità che debba garantirsi un bilanciamento tra la continuità dell'attività produttiva, la salvaguardia dei livelli occupazionali, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
Questa norma costituisce l'ampliamento di quanto già disposto dal decreto-legge n. 207 del 2012 per gli stabilimenti d'interesse strategico nazionale, e segnatamente per l'Ilva di Taranto su cui la Corte costituzionale ha già stabilito con la sent. n. 85 del 2013 la possibilità di un intervento del legislatore sulla continuità produttiva compatibile con i provvedimenti cautelari.
La norma inserita in Commissione prevede che l'attività dello stabilimento possa proseguire per un periodo massimo di 12 mesi dall'adozione del provvedimento di sequestro alla condizione che si presenti – entro 30 giorni – un piano con le misure aggiuntive, anche di natura provvisoria, per la tutela della sicurezza dei lavoratori sull'impianto oggetto del provvedimento di sequestro. Il piano va comunicato all'autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro e viene trasmesso al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell'INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo.
Va chiarito che la Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi sul precedente decreto-legge n. 207 del 2012 escludendo la violazione della riserva di giurisdizione.
Infatti, si è riconosciuta al legislatore la possibilità di modificare le norme cautelari, quanto all'oggetto e agli effetti, anche se vi siano misure cautelari in corso secondo la previgente normativa. Allo stesso tempo, si è attribuito alla legislazione ed alla conseguente attività amministrativa il compito di regolare le attività produttive pericolose, senza che le cautele processuali penali possano far luogo delle relative strategie.
Credo quindi, signor Presidente, che le polemiche e le grida sdegnate dei colleghi delle opposizioni possano essere riportate nell'alveo della razionalità e del buon senso, perché, consentitemi una battuta, se si grida troppo spesso al lupo al lupo, soprattutto quando abbiamo a che fare con questione così importanti, si diventa poi difficilmente credibili. La questione dell'Ilva di Taranto che riguarda il diritto alla salute, la sicurezza dei lavoratori, la tutela dei posti di lavoro e il destino delle famiglie coinvolte e la continuità di una impresa che costituisce certamente un pezzo rilevante della nostra economia nazionale non può essere trattato in questo modo.
Concludo ringraziando non solo la presidente della nostra Commissione, la collega Ferranti, che come sempre ha condotto benissimo i lavori della Commissione, ma voglio ringraziare in particolare anche i due viceministri che hanno partecipato ai nostri lavori, che sono stati di grande aiuto su una materia molto complessa e delicata, che va ad incidere sulla «carne viva» delle persone, perché quando si parla di diritto fallimentare, di procedure esecutive o di una questione come quella dell'Ilva di Taranto, parliamo certamente della vita delle persone.
Voglio anche ringraziare la altre forze parlamentari, nonostante la conclusione sull'Ilva, che poteva appunto, attraverso l'uso del buon senso, essere condotta in altro modo. Comunque voglio ringraziare le altre forze per averci dato una mano ad integrare ed arricchire un decreto-legge che noi riteniamo fondamentale per il nostro Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zolezzi. Ne ha facoltà.
ALBERTO ZOLEZZI. Signor Presidente, nell'atto Camera n. 3201 è previsto una sorta di articolo 21 aggiuntivo, l'ultimissimo articolo presente in questo decreto, che riguarda l'attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario, provvedimento che chiaramente non compare casualmente ma si riferisce a ben due realtà imprenditoriali molto importanti del nostro Paese, che sono appunto l'Ilva di Taranto e lo stabilimento Fincantieri di Monfalcone. Le finalità dovrebbero essere quelle di bilanciare le esigenze di continuità produttiva, esigenze occupazionali, di salute e tutela dei lavoratori, per cui, per quello che viene fuori, l'esercizio dell'attività di impresa non dovrebbe neppure essere seguito dal sequestro, che era normato dal disegno di legge n. 207 del 2012. Il sequestro non dovrebbe impedire quindi attività di impresa neppure quando ci si riferisca alla sicurezza dei lavoratori e neppure quando i sequestri siano già avvenuti. Per cui è chiaro che ci troviamo di fronte a qualcosa che è difficile da definire. In pratica, dopo tre anni dal sequestro dell'area a caldo dell'Ilva da parte del GIP Todisco, ci troviamo di fronte di nuovo non, secondo me, a un braccio di ferro tra la Procura di Taranto e il Governo, ma un braccio di ferro per il buonsenso, perché dobbiamo ricordarci che questo sequestro senza facoltà d'uso dell'altoforno 2 è stato deciso dal pubblico ministero De Luca e confermato dal GIP Rosati, deciso dodici giorni dopo l'incidente che causò la morte di un operaio di 35 anni, Alessandro Morricella, deceduto dopo 4 giorni di agonia in ospedale, a causa di gravissime ustioni riportate sul 90 per cento del corpo dovute ad un'improvvisa e violenta fiammata sprigionatasi dal campo di colata dell'impianto, mentre stava misurando la temperatura della ghisa. Un incidente anomalo quello dell'8 giugno, che non si era mai verificato in circa 50 anni di storia siderurgica a Taranto. L'impianto tra l'altro era uno dei pochi dell'area a caldo che era già stato in qualche modo ambientalizzato ed è difficile capire come mai sino ad oggi né l'azienda, né i tecnici di ISPRA ed ARPA Puglia non si fossero accorti che c'erano problemi e c'era una pericolosità importante, sia nelle pratiche che dei componenti presenti nella miscela che veniva fusa, anche perché non si è capito se era una miscela metallica che è uscita in fase liquida o addirittura qualcosa in fase gassosa, che non avrebbe dovuto esserci peraltro. Per cui stiamo dicendo che per decreto si elimina la sicurezza dei lavoratori. Morricella è il quinto operaio che ha perso la vita in fabbrica negli ultimi tre anni dopo Angelo Iodice, Claudio Marsella, Ciro Moccia e Francesco Zaccaria. Per gli ultimi tre, in particolare, gli inquirenti sono convinti che la morte è da collegare direttamente al mancato ammodernamento della fabbrica, e questo si legge nelle carte dell'inchiesta Ambiente svenduto. Mi viene in mente un altro caso in cui ci furono numerosi decessi in ambito professionale, sempre lontano nel tempo e nello spazio ma potrebbe centrare qualcosa: il disastro della centrale di Chernobyl, 26 aprile 1986, circa 65 persone risultano essere decedute direttamente tra i professionisti che stavano operando e operarono i giorni successivi all'incidente nucleare.
Svariate migliaia di decessi vi furono tra la popolazione, anche se i dati sono controversi: i dati di Greenpeace parlano addirittura di decine di migliaia di decessi negli anni successivi. In quella centrale, ancora oggi, può essere misurato il cesio 137 e altri marcatori nucleari che sono presenti negli strati di terreno. Un disastro anche quello, di cui non si ha contezza piena di quello che avvenne e non si ha contezza di come poi sia stato trattato, se non venire a sapere che il tetto di cemento creato si sta sfaldando, che il nuovo tetto di questa centrale nucleare non è ancora pronto e che quindi c’è il rischio che la radioattività arrivi.
Cosa c'entrano le radiazioni con l'Ilva di Taranto ? È quello che molti vorrebbero sapere anche perché è del 2005 il fallimento dello stabilimento Cemerad a Statte, che ospita rifiuti radioattivi e che proprio recentemente ha ricevuto finalmente uno stanziamento di oltre dieci milioni di euro per mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi che sono contenuti in un deposito decisamente anomalo, un po’ in linea con la situazione ambientale di Taranto e di tutta l'Ilva. Statte e il deposito Cemerad è a circa 20 chilometri da Taranto. Sono stoccati in questo deposito circa 1.140 metri cubi di rifiuti radioattivi ed è appunto considerato una grave minaccia ambientale. I primi video girati all'interno sono del 1995, da parte del Corpo forestale dello Stato, un altro degli enti che in qualche modo forse infastidisce il nostro Governo e infatti è stata votata una delega per cercare di vaporizzarlo, di «valorizzarlo», come si fa con i rifiuti.
Dal 1995 la situazione non è migliorata. I flussi hanno subito un deterioramento inevitabile, secondo l'ex direttore del Dipartimento nucleare dell'ISPRA, Roberto Mezzanotte. Il deposito, poi, è stato sequestrato, la ditta è fallita nel 2005 dopo il sequestro del 2000 e la collettività in qualche modo sta pagando i danni. Sui fusti ritrovati nel deposito, che sono circa 18 mila, su alcuni dei fusti è segnata una decadenza della radioattività di circa diecimila anni, quindi non sono rifiuti radioattivi di poco conto, Proprio oggi a Taranto si discuterà anche di come sta avvenendo la messa in sicurezza dell'area e il deposito in un'area adeguata di questi rifiuti.
Però sarebbe interessante capire cosa c’è finito lì dentro, perché sono finiti dei rifiuti radioattivi in così grande quantità.
Il proprietario della Cemerad, Giovanni Pluchino, era un personaggio chiave. Presidente dell'ordine dei chimici di Taranto, massone, appartenente alla loggia Pitagora, aveva stabilito stretti rapporti societari con Enea e Nucleco, le società a capitale pubblico che si occupano della gestione del nucleare italiano. Nell'informativa preparata alla fine degli anni Novanta dal Corpo forestale erano indicati i rapporti commerciali della Cemerad: tra le tante società, c'era la Setri di Cipriano Chianese, la mente dei traffici di rifiuti dei casalesi, legato all'ambiente di Licio Gelli. E questi sono dati presenti anche sulla stampa nazionale.
In questo capannone abusivo, si trovano ancora questi rifiuti peraltro senza alcuna vigilanza, Il 2 dicembre scorso, ci fu la visita della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Ero presente anch'io e le verifiche hanno mostrato una situazione davvero precaria, peraltro precaria nel dicembre del 2014, come è precaria ancora oggi, ma è terribile pensare che il Ministero dell'industria ne fosse al corrente già il 28 luglio del 1984 e che la prima nota epistolare dell'ENEA risale al 29 novembre del 1990.
I fondi furono stanziati in diverse ma tutte le volte – cito quelli del 2008 da parte della regione Puglia – furono destinati altrove. Adesso, forse oggi, ci sarà la svolta per almeno mettere in sicurezza quello che è successo lì.
Da dove sono arrivati questi rifiuti ? Si sa che ci fu un'autorizzazione del medico provinciale di Taranto, con nulla osta del 1984 e seguito della Giunta provinciale dell'11 ottobre del 1989, che certificava che si potevano inviare in quel sito rifiuti radioattivi. In realtà, si certifica per un verbale del 2000 la sparizione di documenti dai faldoni dal 50 al 55.
Condanna poi Giovanni Pluchino a un anno di reclusione, mai scontata, e neppure risulta che siano state pagate le sanzioni. I problemi sono appunto ancora irrisolti, nonostante che ci sia una piena contezza del fatto che ci siano rifiuti decisamente pericolosi stipati in un capannone che non ha neanche il parafulmine, non ha sorveglianza, soggetto anche addirittura a rischio, per esempio, terroristico. Durante la missione della Commissione è stato detto in chiaro, senza alcuna segretezza, che alcuni dei rifiuti radioattivi provengono anche dall'Ilva stessa. Ci sono, per esempio, i filtri dei camini dell'Ilva e, tra l'altro, in questi filtri è presente il cesio, lo stesso cesio di Chernobyl. In effetti, i tecnici presenti ci dissero che quei filtri erano in azione nel 1986 durante l'incidente, per cui probabilmente l'area radioattiva che si era sprigionata un po’ su mezza Europa poteva aver fatto entrare il cesio anche nei filtri dei camini dell'Ilva, però il problema è che i filtri sono monodirezionali, cioè prendono quello che arriva dall'interno dello stabilimento e non dall'area esterna, altrimenti non funzionerebbero. Il cesio poi a livello ospedaliero è scarsamente utilizzato, per cui cosa si può dire ? Si può dire che è incredibile che ci siano dei rifiuti radioattivi di cui non si conosce neanche l'esatta provenienza. C’è uno stabilimento, che è l'Ilva di Taranto, che ha prodotto anche rifiuti radioattivi e non si sa neanche se arrivassero anche a scopo di smaltimento i rifiuti radioattivi, perché a questo punto, visto un po’ l'interesse particolare, anche visto l'ottavo decreto che abbiamo sull'Ilva, c’è da pensare che davvero di rifiuti ne siano arrivati parecchi, le alte temperature della fusione potrebbero anche portare ad un interesse a scopo di smaltimento anche di rifiuti radioattivi insomma, anche perché quel cesio è un materiale per il quale andrebbe precisato che esiste una traccia radioattiva che può dire se quel materiale proviene da Chernobyl o proviene da qualsiasi altro sito nucleare. Anche perché di situazioni in cui le acciaierie hanno smaltito rifiuti radioattivi ne sono note parecchie, anche solamente a livello di stampa: nel 2009 gli operai cinesi della provincia dello Shaanxi stavano demolendo una vecchia fabbrica e del cesio-137, incapsulato dentro a del piombo, venne inviato in acciaieria e fuso assieme ai rottami. Cioè il fatto che non ci sia un piano industriale per l'Ilva, ma che comunque la si voglia tenere in piedi a tutti i costi, continuando in qualche modo a fare funzionare almeno due altiforni, perché se ne è uno solo non è sufficiente anche per i motivi energetici a tenerla in piedi, fa anche pensare male i cittadini di Taranto e i lavoratori, che si trovano a lavorare in condizioni assolutamente non adeguate, con il GIP che ha detto chiaramente che se il Governo scrive che si mantiene l'uso non è che l'altoforno diventa sicuro purtroppo. Magari lo diventasse, purtroppo ci sono situazioni assolutamente anomale, che vanno assolutamente precisate. Deve essere – ripeto – messa in sicurezza l'Ilva di Taranto e capire cosa c’è dentro le discariche, la situazione radioattività deve essere determinata e non è neanche così complesso andare a cercare la radioattività nell'area dello stabilimento, nella discarica . Sappiamo che ci sono molti altri rifiuti, l'amianto, per esempio. Nella recente risposta all'europarlamentare D'Amato, che chiedeva se fosse vero ci fossero 1300 siti con l'amianto all'interno del perimetro dell'Ilva, è stato risposto che i siti, in realtà, secondo la dirigenza sono solo quaranta, però in realtà risulta da bolle con un'analisi assolutamente empirica, però che va citata, che ci siano circa mezzo milione di tonnellate di amianto in tutto il perimetro dell'Ilva e non esiste in tutta la Puglia al momento nessuna discarica adeguata per contenere l'amianto. La situazione dei rifiuti, radioattivi o meno, dell'amianto, dei rifiuti pericolosi e cancerogeni, per la sicurezza dei lavoratori deve essere assolutamente precisata e bisogna capire che cosa viene fuso in quegli altiforni e come mai dà incidenti così gravi, così odiosi. Questo Governo se ne deve fare carico, anche se non se ne fa carico assolutamente in questo provvedimento, che davvero supera probabilmente il buon senso, anche perché, se davvero volete portare a casa questo provvedimento, Presidente, mi permetto di dare un suggerimento: intorno ai tavoli del Governo mettete una barriera di vetro opaco perché, vedete, questo Governo sta dicendo con questo provvedimento che il fatto che schizzi su una persona della ghisa fusa che la uccide è una cosa che deve essere accettabile in una logica di prosecuzione di attività produttive.
Il fatto che vi sia mezzo milione di amianto non in sicurezza, che vi siano forse rifiuti radioattivi sparsi per tutta l'isola, che vi siano servizi segreti più rappresentati piuttosto che l'ARPA nell'Ilva questo va bene; allora, mettiamo una barriera di vetro opaco con cui i rappresentati del Governo non possano vedere i cittadini che sono in Parlamento perché a loro davvero non interessa niente vedere; oltretutto vogliamo essere riparati perché questo Governo che spruzza ghisa e uccide a noi non interessa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marotta. Ne ha facoltà.
ANTONIO MAROTTA. Signor Presidente, è questo un ulteriore provvedimento nel sistema giustizia che ci apprestiamo a varare, voluto dal Governo e dalla maggioranza. Questo decreto-legge al nostro esame detta una serie di misure in materia fallimentare, civile e processuale civile nonché di natura organizzativa. In particolare, il provvedimento d'urgenza interviene in materie che riguardano le procedure concorsuali, le procedure esecutive, le misure fiscali, l'efficienza della giustizia ed il processo telematico.
La Commissione giustizia ha apportato numerose modifiche al testo, introducendo anche articoli aggiuntivi. Lo scopo del decreto-legge è quello di affrontare, in maniera tempestiva, i casi di crisi aziendale e di consentire di limitare le perdite del tessuto economico sia nella dimensione strettamente imprenditoriale sia sul piano finanziario e di risanare le aziende. Più in generale il provvedimento ha l'obiettivo di tutelare il tessuto economico e sociale del nostro paese. Infatti, la grave crisi economica, che ha colpito così pesantemente l'Italia, ha costretto al fallimento molte aziende con conseguente perdita di posti di lavoro. Sono di tutti i giorni le notizie che riguardano imprenditori che, purtroppo, si trovano in difficoltà economica e, alcune volte, incapaci di affrontare le conseguenze di tali crisi, affrontano, con gesti inconsulti ed estremi, la propria situazione. È necessario, pertanto, intervenire con misure adeguate che consentano agli imprenditori di attenuare gli effetti ed i costi economici e sociali della crisi economica che, nonostante i segnali di ripresa, ha attraversato e sta attraversando la nostra nazione. Vanno in questa direzione le disposizioni contenute nell'articolo 1 dirette a facilitare il reperimento di risorse finanziarie da parte dell'imprenditore in crisi. Infatti, si introduce un procedimento diretto a consentire al giudice di autorizzare l'impresa a contrarre finanziamenti necessari alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale fino alla presentazione della proposta di concordato. Le disposizioni contenute nell'articolo 2 prevedono la possibilità di presentare offerte alternative, rispetto al piano concordato, per l'acquisizione delle aziende o di un ramo o di specifici beni proprio per ampliare la massa di possibili acquirenti e dare possibilità di soluzione non solo per l'azienda ma anche per il mercato imprenditoriale ed i prodotti che produce quella azienda. Quindi, c’è una maggiore selezione del patrimonio del soggetto che si trova in difficoltà e una divisione del patrimonio che consente di ampliare il numero degli acquirenti. Si aprono in questo modo delle procedure competitive sui cespiti aziendali e sugli altri beni di particolare valore in modo da consentire che chiunque possa formulare un'offerta migliorativa.
Altre disposizioni rispondono all'esigenza di garantire la terzietà del curatore fallimentare; necessaria per la buona riuscita della procedura è l'assoluta indipendenza dello stesso.
L'articolo 6, relativo al programma di liquidazione dell'attivo, inoltre, consente al curatore di servirsi di società specializzate nella vendita e prevede termini procedurali più stringenti (programma di liquidazione entro 180 giorni dalla sentenza che dichiara il fallimento e liquidazione dell'attivo del fallimento entro due anni). Pensate e fate un momento mente locale al fatto che ci sono alcuni fallimenti che durano, nella fase di evoluzione della procedura fallimentare, circa 10-15 anni. In questo caso, abbiamo, quindi, un ulteriore aggravio dei problemi della giustizia e della lungaggine del processo anche per quanto riguarda la materia fallimentare, e questo è un intervento che cerca di concretizzare e di ridurre al massimo in due anni tutta l'attività fallimentare.
Va nella direzione di una maggiore rapidità del procedimento anche la disposizione contenuta nell'articolo 8 del provvedimento, relativo agli effetti dei contratti in corso di esecuzione in cui è parte il debitore che ha chiesto il concordato preventivo. La finalità dell'intervento, che uniforma tale disciplina a quella analoga dettata per il fallimento, è quella di sciogliere i dubbi interpretativi inerenti la possibilità per il debitore di sciogliersi e di liberarsi da tali contratti. Si evita, in questo modo, il protrarsi di lunghi contenziosi, che ritardano la definizione del concordato. Quindi, come si può notare, sono tutti interventi che tentano di ridurre i termini e di contenerli nel minimo consentito dalla pur complessa procedura fallimentare.
L'articolo 9 inserisce nella legge fallimentare l'articolo 182-, a cui faceva riferimento pure il relatore, che integra, con specifico riferimento a banche e a intermediari finanziari, la disciplina dell'accordo di ristrutturazione dei debiti dettata dall'articolo 182- della medesima legge. In sostanza, si mira a togliere a banche che vantino crediti di modesta entità il potere di interdizione in relazione ad accordi di ristrutturazione che vedano l'adesione delle banche creditrici maggiormente esposte. Il piccolo creditore, cioè, non può da solo «imballare» l'attività degli organi preposti al fallimento, e quindi rendere meno veloce la possibilità di arrivare alla conclusione e alla chiusura del fallimento.
L'articolo 11 stabilisce che le vendite e gli atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione, effettuati dal curatore del fallimento tramite procedure competitive, possano prevedere che il versamento del prezzo possa essere rateizzato. Questo è un altro intervento di grande importanza, perché così aumenta la platea dei possibili acquirenti. Infatti, molti imprenditori o molti che vorrebbero partecipare all'acquisto di un ramo dell'azienda o di un'attività o di macchinari, non lo possono fare perché dovrebbero andare incontro immediatamente a un esborso di danaro che non hanno. La possibilità della rateizzazione garantita e seguita dal magistrato significa che questo imprenditore, questo soggetto, che vuole rilevare l'azienda o rami o attività o macchinari ha tutta la possibilità di poterlo fare.
Il Titolo IV del provvedimento è dedicato alle norme sul personale. Si tratta di disposizioni di natura organizzativa dirette a superare problematiche inerenti all'organizzazione degli uffici giudiziari. Va in questa direzione, ad esempio, l'articolo 18, che disciplina il trattenimento in servizio dei magistrati ordinari, scaglionando dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2016 il collocamento a riposo di quanti, raggiunti i limiti di età per la pensione, siano attualmente trattenuti nei ruoli.
Si consente, pertanto, al Consiglio superiore della magistratura di procedere ordinatamente al conferimento degli incarichi direttivi che si renderanno vacanti. Questo è un provvedimento che si è reso necessario perché, mentre per la magistratura amministrativa vi era stato anche un intervento del Consiglio di presidenza della magistratura amministrativa stessa, che aveva detto che, anche con riferimento al numero di magistrati, aveva la possibilità in poco tempo di coprire i posti che si rendevano liberi appunto per questo svecchiamento, il Consiglio superiore della magistratura, che ha un'elaborazione diversa per la copertura dei posti, aveva bisogno di ulteriore tempo, altrimenti si sarebbe creato un disservizio nella giustizia, perché vi sarebbero stati molti posti semidirettivi e direttivi che non sarebbero stati coperti nel tempo necessario. Quindi, anche questo è un provvedimento di natura urgente e richiesto proprio dal sistema giustizia.
Inoltre, un nuovo articolo introdotto dalla Commissione intende affrontare il problema dell'emergenza connessa con il fenomeno migratorio e dell'elevato numero di procedimenti connessi alle richieste di protezione internazionale. La disposizione consente al Consiglio superiore della magistratura di procedere all'applicazione, definendone le modalità, di un numero massimo di venti magistrati presso gli uffici giudiziari nei quali si è verificato il maggior incremento di tali procedimenti. L'applicazione avrà la durata di diciotto mesi, rinnovabili per altri sei.
Anche questo è un provvedimento importantissimo, perché lì dove c’è un aggravio di lavoro, restando lo stesso il numero di magistrati, i processi si sarebbero allungati a dismisura. Con questo intervento, che dà la possibilità al Consiglio superiore della magistratura di fare un interpello e di poter rinforzare quegli uffici giudiziari, con riferimento a questa ipotesi, abbiamo la possibilità che non si abbia un rallentamento della giustizia.
Da sottolineare, poi, un altro problema che è quello che riguarda il personale. Infatti, vi è una norma che prevede l'inquadramento nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria di 2 mila unità di personale proveniente dalle province. Sul punto, tra l'altro, è intervenuta la Commissione giustizia la quale, riformulando la disposizione, ha previsto che le procedure per l'inquadramento di tale personale abbia carattere prioritario su ogni altra procedura di trasferimento all'interno dell'amministrazione della giustizia già prevista dai contratti o dagli accordi collettivi nazionali. Quindi, andremmo ad aumentare di ulteriori 2 mila unità quella che è la macchina della giustizia.
Un altro articolo, introdotto dalla Commissione, interviene sul tema dei cosiddetti tirocinanti della giustizia, consentendo l'individuazione di soggetti che, avendo concluso il tirocinio, possano fare parte per ulteriori dodici mesi dell'ufficio del processo. La disposizione delinea i criteri e le modalità per procedere alla selezione di questo personale e fissa in 400 euro mensili l'importo massimo della borsa di studio che potrà essere assegnata, ma soprattutto consente per quel personale che ha un elevato grado di professionalità di svolgere un'attività formativa che poi gli servirà per quanto riguarda la propria attività lavorativa successiva.
Altre disposizioni intervengono sul processo telematico civile, prevedendo: che nei giudizi civili di ogni natura e grado gli atti introduttivi possano essere depositati telematicamente; specifiche modalità per attestare la conformità all'originale della copia informatica di un atto analogico; nuovi stanziamenti, poi, per gli interventi di completamento del processo civile telematico.
L'articolo 20 posticipa, invece, all'anno nuovo l'entrata in vigore del processo amministrativo telematico originariamente prevista per lo scorso 1o luglio.
Un nuovo articolo, introdotto dalla Commissione, interviene per estendere anche alla giustizia contabile alcune norme del processo civile telematico relative all'attestazione di conformità delle copie informatiche ad atti cartacei.
L'introduzione del processo telematico, che è il futuro del processo e del sistema giustizia, costituisce, infatti, un'importante novità nel modo della giustizia ed indubbiamente rappresenterà, una volta a regime, un essenziale tassello per velocizzare i tempi ancora lunghi dei nostri processi incidendo anche sulla diminuzione dei costi.
Riveste particolare importanza anche la norma che prevede che la pubblicità degli avvisi di vendita nell'ambito delle procedure di espropriazione forzata, oggi affidata all'albo dell'ufficio giudiziario davanti al quale si svolge il procedimento, sia sostituita dalla pubblicazione sul sito Internet del Ministero della giustizia, in un'area pubblica denominata «portale delle vendite pubbliche». Parallelamente, la pubblicazione dell'avviso sui quotidiani non è più obbligatoria, ma rimessa alla valutazione del giudice, su istanza dei creditori. E qui, al Viceministro della giustizia, Costa, vorrei suggerire che, nel momento in cui verrà applicato, ci sia anche un intervento del Ministero per cercare di pubblicizzare il fatto che esiste il portale perché, potendovi accedere tutti i cittadini, si avrà una platea di acquirenti sul piano nazionale.
Nel decreto-legge è stato inserito un articolo diretto a consentire che l'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non sia impedito dal sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento, quando la misura cautelare sia stata adottata in relazione ad ipotesi di reato inerenti la sicurezza dei lavoratori e debba garantirsi il necessario bilanciamento tra la continuità dell'attività produttiva, la salvaguardia dell'occupazione, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
La disciplina in esame, come tutti sanno, è diretta ad ampliare quanto già previsto dal decreto-legge n. 207 del 2012 per gli stabilimenti di interesse strategico nazionale e segnatamente per l'Ilva di Taranto, per le cui disposizioni la Corte costituzionale ha già chiarito, con la sentenza n. 85 del 2013, la possibilità di un intervento del legislatore circa la continuità produttiva della stessa.
La norma prevede, inoltre, che l'attività dello stabilimento possa proseguire per un periodo massimo di dodici mesi dall'adozione del provvedimento di sequestro subordinatamente alla presentazione di un piano contenente le misure per la tutela della sicurezza dei lavoratori sull'impianto oggetto del provvedimento di sequestro.
In conclusione, si tratta, pertanto, di un provvedimento complesso, che interviene su materie diversificate, ma che giustificano l'urgenza di intervenire per garantire la celerità nei procedimenti fallimentari, un'effettiva e non più rinviabile organizzazione del sistema giustizia ancora troppo lento e farraginoso, nonché per tutelare, come già detto, i soggetti che, in presenza di una grave e purtroppo attuale crisi economica, si trovano a dovere dichiarare fallimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Abrignani. Ne ha facoltà.
IGNAZIO ABRIGNANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame si presta ad una valutazione problematica, in quanto l'insieme delle misure previste presenta lati interessanti che valuteremo senza pregiudizi verso il Governo, in quanto nel nostro partito, quando sono in discussione disposizioni che in una certa misura possono essere utili per il Paese, per noi prevale su ogni cosa l'interesse dei cittadini e, in particolare, in questo caso, la necessità di favorire quella ripresa delle attività economiche che, malgrado i tanti proclami dell'attuale Premier, obiettivamente nel nostro Paese ancora manca.
Certamente, dal punto di vista estetico, il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria, non è particolarmente apprezzabile in quanto, come già si evince chiaramente dal titolo assai complesso, l'articolo 77 della Costituzione sulla decretazione d'urgenza viene sicuramente forzato in maniera notevole.
Inoltre il titolo, pur così corposo, non cita disposizioni significative che sono incluse nel testo per banche e assicurazioni. In particolare, le disposizioni in materia fallimentare, civile e processuale civile sono complesse e di tipo chiaramente ordinamentale. Basterebbe solo questo tipo di considerazione e di ragionamento per fare capire che queste considerazioni male si prestano all'uso dello strumento del decreto-legge, che ricordo, ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione, prevede sicuramente, tra i primi criteri, il criterio d'urgenza.
L'unica reale ragione per cui si potrebbe e si poteva, almeno in parte, giustificare l'uso dello strumento del decreto-legge è l'opportunità di varare queste norme con la massima celerità e, quindi, da subito misure che potrebbero rivelarsi utili per favorire la stentatissima ripresa dell'economia, tante volte annunciata con solennità dal Presidente del Consiglio, ma che – ripetiamo – stenta molto ad affermarsi realmente.
Solo questa valutazione di un criterio per cui norme utili al Paese debbano essere approvate con urgenza, ci ha indotto, come Forza Italia, a non presentare una pregiudiziale di costituzionalità che, invece, sotto il profilo giuridico sarebbe stato molto opportuno motivare, visto ciò che ho premesso ora sulla mancanza dei criteri previsti dall'articolo 77 della nostra Costituzione.
Come abbiamo sempre detto, la nostra opposizione al Governo Renzi è di tipo politico.
Se questo Governo, certe volte quasi inconsapevolmente, dovesse varare un provvedimento utile all'economia del Paese, utile allo sviluppo, utile ai nostri concittadini, noi non saremmo mai qui a fare le barricate per ostacolarne l'approvazione.
Questa iniziativa legislativa reca, tra le altre, misure per rendere più spedite ed efficienti le procedure fallimentari, al fine di salvaguardare contestualmente sia le possibilità di continuità aziendale, ove sia possibile, sia la tutela degli interessi dei creditori: concetti che sono spesso, purtroppo, contrapposti tra di loro. In particolare, per quanto riguarda il secondo aspetto, viene prevista la possibilità per il debitore di richiedere l'accesso a limitati finanziamenti, prededucibili, necessari a sostenere l'attività aziendale, nel periodo in cui si predispone la richiesta del vero e proprio finanziamento interinale.
Questa nonché altre modifiche dello stesso segno della legge fallimentare e delle leggi collegate possono essere di una certa utilità, specie in un periodo di crisi economica come quella che stiamo ancora vivendo e che, per sua natura, purtroppo, comporta un alto numero di procedimenti fallimentari. La CGIA di Mestre è ogni giorno a ricordarci le aziende che chiudono, le aziende che vanno in concordato e, purtroppo, le aziende che falliscono.
Se alcune di queste disposizioni possono rendere più agevole salvare e risanare qualche azienda, noi ripetiamo: «Ben vengano», ma certamente ripetiamo che non è da norme di questo tipo che possiamo attenderci un contributo decisivo per la ripresa dell'economia del Paese.
Vi sono anche altre misure in materia fallimentare contenute in questo decreto-legge, che abbiamo letto e che possono anche essere utili e questo vale soprattutto in materia di requisiti previsti per la nomina del curatore fallimentare, di cui viene garantita una maggiore terzietà. Utile, riteniamo, a tale riguardo è l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un registro nazionale, in cui confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali. Si tratta in entrambi i casi di norme che riteniamo utili, soprattutto in termini di trasparenza nei rapporti tra la magistratura, il cittadino e chi lo difende.
Ragionevoli sono, poi, le disposizioni dirette ad accelerare la conclusione delle procedure fallimentari, oggi eccessivamente lunghe e tali da non garantire affatto gli interessi dei creditori.
Altre norme di contorno alla legge fallimentare, come, ad esempio, l'istituzione di un portale delle vendite pubbliche, possono essere considerate ragionevoli, in quanto, in questo caso specifico, si introduce uno strumento utile per garantire la trasparenza e la celerità delle vendite giudiziarie, entrambe ad oggi molto carenti.
Capitolo a parte merita il discorso sull'accelerazione del processo esecutivo. La riduzione dei termini, l'accelerazione del processo digitale, la discrezionalità lasciata ai giudici, sottratta a un rigorismo formale del processo esecutivo sulla valutazione del cespite, che sia mobiliare o immobiliare, ai fini della valorizzazione e velocizzazione della vendita, sono sicuramente norme positive, tese a sciogliere quel concetto, purtroppo molto vero in Italia, che un modo di sottrarsi al pagamento è subire un'azione esecutiva civile.
Questa è una, tra l'altro, delle principali accuse che gli investitori stranieri ci rivolgono e qualsiasi tentativo di smentirli è bene accetto. È il famoso concetto che, di fronte a un credito che si vanta rispetto a un debitore, non ci sia oggi una prospettiva certa di recupero e che addirittura si modifichi di anno in anno a seconda del tribunale. Noi abbiamo visto tribunali italiani... L'altro giorno se ne ricordava uno – lo cito anche perché è della città da cui io provengo, che è Marsala –, che in un anno riesce a mandare alla vendita il cespite immobiliare, mentre ce ne sono altri a cui non bastano sette anni per arrivare alla prima vendita.
Una misura significativa, ma del tutto eterogenea rispetto al contenuto del decreto-legge al nostro esame, è costituita dalla modifica della deducibilità ai fini dell'IRES e dell'IRAP delle svalutazioni e perdite su crediti degli enti creditizi e finanziari e delle imprese di assicurazione. In concreto, dall'attuale deducibilità per quote annuali di un quinto, si passa alla deducibilità integrale di tale componente negativa del reddito di impresa nell'esercizio in cui sono rilevate in bilancio.
Si tratta indubbiamente di un notevole vantaggio operativo per banche ed assicurazioni che le pone sul piano concorrenziale finalmente in condizioni simili alle altre aziende europee di questi settori. Tale misura avrà una giustificazione però se non sarà utilizzata solo per migliorare i bilanci di banche e assicurazioni ma per dare maggiore sostegno alle attività economiche. Il rischio esiste in quanto sino ad oggi le banche, pur potendosi avvantaggiare delle dosi massicce di liquidità apportate della BCE, non hanno fatto arrivare agli operatori economici un adeguato flusso di crediti giustificandosi con l'aumento delle sofferenze che impone loro di essere molto rigorose nella valutazione del merito del credito, ma ora la possibilità di ammortizzare le perdite nello stesso anno in cui si manifestano dovrebbe consentire di superare almeno in parte in questo ostacolo. Per questo noi da tempo insistiamo su un concetto diverso: è vero che non ci sono fondi, è vero che bisogna supportare la crescita ma l'ultimo soggetto che sia vicino alla piccola e media impresa e l'impresa o la banca ha queste difficoltà. Noi riteniamo da tempo – abbiamo anche presentato un emendamento al disegno di legge sulla concorrenza – che forse istituire un vero e proprio fondo di garanzia, in cui sappiamo che il moltiplicatore per lo Stato è ampio, tredici o quattordici, potrebbe essere uno strumento reale per l'economia e soprattutto per l'aiuto delle nostre imprese; ossia la banca, una volta che un progetto dovesse essere in qualche modo autorizzato dalla banca e non potesse essere portato avanti dalle imprese o dall'imprenditore per motivi di garanzia, potrebbe essere essa prestatore di questa garanzia per poter finalmente concedere all'impresa, all'imprenditore sano italiano, la possibilità di svilupparsi. Verificheremo pertanto con grande attenzione come gli istituti di credito opereranno nel concreto per meritarsi questa grossa agevolazione che, malgrado quanto ci dice la relazione tecnica, non può essere priva di costi per lo Stato almeno nei primi anni di applicazione, costi peraltro riassorbiti negli anni successivi.
Discorso analogo va fatto per le assicurazioni che specie nel campo della responsabilità civile auto praticano tariffe sostanzialmente superiori a quelle praticate nei Paesi europei più avanzati, tariffe che dovranno essere rapidamente allineate alla media europea. Ora è evidente che questi benefici di carattere fiscale per banche ed assicurazioni possono giustificarsi se queste imprese finalmente sosterranno la nostra ripresa economica che ancora latita sia per insufficiente volume di crediti erogati all'economia sia soprattutto per la totale inadeguatezza della politica economica e finanziaria del Governo il cui unico atto significativo è stato quello che così è nettamente chiamato lo elettorale degli 80 euro.
Una misura che riteniamo inappropriata in questo decreto-legge è invece la proroga del trattenimento in servizio dei magistrati ordinari. In concreto i magistrati ordinari che dovrebbero essere collocati in quiescenza nel corso del 2015 saranno collocati a riposo il 31 dicembre 2016. Questo – si dice – per dare tempo al CSM di conferire molti incarichi direttivi o semidirettivi che si renderanno vacanti negli anni 2015-2016 a causa del pensionamento dei magistrati che li ricoprono. Ma tale ulteriore privilegio accordato ai magistrati non è assolutamente giustificato. La lentezza con cui il CSM procede al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi è figlia della degenerazione correntizia del Consiglio superiore dove la spartizione delle nomine è frutto di trattative lente e laboriose tra i vari gruppi di potere, trattative che nulla hanno a che vedere con l'indipendenza della magistratura né tanto meno con l'interesse dei cittadini ad avere un servizio giustizia celere ed efficiente.
Il fatto che alcune parti del provvedimento in esame possono avere ricadute positive sull'economia del Paese non cambia però di una virgola il nostro giudizio critico sull'azione del Governo in carica in campo economico. I dati impietosi della mancata reale ripresa produttiva e del PIL, tante volte inutilmente annunciata, testimoniano la fondatezza delle nostre critiche. Il Governo, totalmente succube nei fatti all'impostazione rigorista della Germania e della Cancelliera di ferro, non ha ottenuto in sede europea alcuna concessione significativa per allargare i cordoni della spesa pubblica per quegli investimenti assolutamente indispensabili per migliorare la carente dotazione infrastrutturale e quindi l'efficienza del nostro Paese. Inoltre si sono perse le tracce della che è assolutamente necessaria non solo per evitare l'aumento dell'IVA ma anche e soprattutto per ricavare lo spazio finanziario necessario per ridurre la pressione fiscale sulle imprese produttive e sulla casa, riduzione assolutamente indispensabile per avviare la ripresa produttiva in generale e nel campo edilizio in particolare.
Ieri abbiamo avuto notizia di questa idea del Governo di abbassare la pressione fiscale, staremo a vedere che fine farà.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ho posto in evidenza, la nostra opposizione al Governo non è preconcetta, nel senso che di fronte a provvedimenti che, pur con tutti i difetti rilevati, possono avere effetti utili, noi non ne ostacoleremo l'approvazione, anche se, in questo caso, non possiamo ricordare che l'utilizzo dello strumento della decretazione d'urgenza è chiaramente inappropriato. Riteniamo pertanto, anche se apprezziamo l'intento, assolutamente insufficienti le modifiche portate dal decreto in questione, e ci avviamo nel dibattito che seguirà ad esprimere la nostra contrarietà, che certamente non arriverà a un voto di approvazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PAGLIA. Grazie, Presidente. Mi si consenta innanzitutto di iniziare il mio intervento oggi, 20 luglio 2015, ricordando che nella stessa data del 2001, a Genova, in piazza Alimonda, moriva Carlo Giuliani, ucciso da un proiettile, in una delle pagine più buie della nostra storia repubblicana, almeno di quella che io conosco e ho vissuto direttamente. Non credo di essere andato fuori tema, perché quello che accadde in quei giorni a Genova è in realtà parte integrante delle motivazioni che fanno sì che oggi sia qui in quest'Aula a potere intervenire su tutto quello di cui abitualmente discuto e discutiamo.
Venendo ora alla materia specifica di questo decreto-legge, devo dire che è piuttosto difficile intervenire – già lo dissi quando esaminammo la questione pregiudiziale di costituzionalità – su un decreto che allarga un tale e tanto eterogeneo ambito di materie che ciascuna di esse dovrebbe essere autonomamente giudicata e autonomamente discussa, anche perché probabilmente su ognuna di esse si potrebbe persino arrivare ad una formulazione diversa di opinione anche da parte nostra. Peraltro, credo sia emerso con chiarezza, anche all'interno delle poche audizioni che abbiamo avuto modo di fare – in Commissione giustizia, in questo caso – quanto anche fra gli operatori del settore, quanto anche nel mondo diffuso delle professioni e della magistratura, per esempio, in questo caso, ci sia l'idea che le norme che sono contenute in questo decreto andassero in qualche modo molto approfondite, sia nel senso della conoscenza ma anche della loro applicabilità e, come minimo, inserite in un disegno più ampio per renderle efficaci, per renderle veramente in grado di incidere su quella che è la realtà italiana. Stiamo infatti parlando – adesso proverò, tanto per cominciare, a partire dal sommario, così come l'ho inteso almeno – di questioni sotto certi aspetti decisive per il nostro sistema economico-imprenditoriale e nel suo rapporto con la giustizia. Abbiamo, infatti, da un lato, una riforma sostanzialmente di quello che è il concordato preventivo, anche in parte del diritto fallimentare; e questo va su un binario. È forse la parte più ampia all'interno del decreto e anche quella su cui si sarebbero potute trovare maggiori convergenze – forse si sono anche trovate – per le ragioni che prima dicevo.
Poi abbiamo un intervento sulle procedure esecutive, con modifiche anche al codice civile. Si capirà che è cosa piuttosto ampia, anche se con interventi forse solo di dettaglio, che hanno scopi che si comprendono e su cui è difficile non convenire, ma su cui, tuttavia – poi approfondiremo –, sarebbe stato opportuno intervenire con un di più di analisi, di conoscenza e anche di discussione su quelli che saranno gli effetti che avranno non solo sull'economia reale ma anche sulla vita quotidiana delle persone in questo Paese.
Poi abbiamo il provvedimento sulla deducibilità in un anno dei crediti bancari, che è, sotto certi aspetti, surreale. Se ne è discusso, dal mio punto di vista, poco, all'interno della Commissione giustizia – è anche ovvio –: non abbiamo fatto un'audizione, se ho capito bene, su questo tema. È chiaro, non era competenza di quella Commissione, eppure – credo che su questo il Viceministro Morando converrà con me – questo è il cuore vero del provvedimento. Cioè, è un articolo su 19 – se non ricordo male – ma quell'articolo è l'unico vero articolo che ha una riforma in qualche modo di sistema o comunque che ha la volontà di impattare complessivamente sul sistema. Quindi, un articolo vale più degli altri 19 e quell'articolo non è di competenza della Commissione giustizia: non era quello l'ambito giusto in cui poterlo discutere, con tutto il rispetto per i colleghi che fanno parte di quella Commissione, ma non è evidentemente argomento che riguardi la giustizia.
Avrebbe dovuto essere discusso e approfondito altrove, e il Governo ha deciso – non se non a caso, si potrebbe anche dire che ha deciso non casualmente – di inserirlo in un provvedimento discusso dove questo non era approfondito, forse perché fra tutti era l'argomento in qualche modo più sensibile o potenzialmente più sensibile rispetto all'opinione pubblica.
Se non bastasse questo, che era il punto di partenza della discussione, è arrivato sul finale l'emendamento che introduce qui tutta la materia dell'Ilva e dell'intervento sul provvedimento di dissequestro, un provvedimento pesante rispetto ad una decisione della magistratura, peraltro con un procedimento tutto discutibile dal punto di vista della formazione della legge per cui si fa un decreto-legge immediatamente esecutivo – come tutti i decreti-legge – comincia a produrre dei risultati e nel contempo quel provvedimento viene svuotato, spacchettato in due parti, che diventano inerenti a due differenti provvedimenti. Ma il decreto-legge nel frattempo non viene lasciato decadere perché deve continuare ad avere la sua vita, salvo poi essere lasciato decadere quando i due provvedimenti nuovi che lo contengono saranno approvati. Credo che se andassimo in un qualsiasi paese europeo a spiegare che in Italia si legifera in questa maniera e provassimo a spiegare che lo si fa all'interno di un provvedimento che dovrebbe in qualche modo semplificare e rendere più comprensibili e più adeguati i procedimenti anche rispetto all'attività del mondo imprenditoriale, farebbero molta fatica a capirci.
A questo punto fatemi ritornare dal punto primo, avendo fatto quello che ho detto essere un sommario, e provare a sviluppare brevemente alcune considerazioni. Per quanto riguarda la riforma del concordato preventivo, il cuore dei primi articoli, qui è chiara a tutto il Parlamento e anche al Paese una cosa. Venne introdotta e in qualche modo riformata questa forma del concordato preventivo nel momento più buio della crisi italiana, quando il rischio vero in Italia è che saltassero un'impresa dietro l'altra in conseguenza del della crisi finanziaria mondiale, della carenza di liquidità e del crollo degli ordinativi che aveva colpito l'Italia e che ha continuato poi a colpirla per anni. Quindi si è voluto dare quella volta la possibilità in qualche modo agli imprenditori che vedessero la loro impresa messa a rischio di rifugiarsi in una soluzione diversa dal fallimento per poter verificare se quell'impresa potesse avere in qualche modo una continuità diretta o essere ceduta a qualcun altro che potesse in qualche modo mandarne avanti l'operatività. Una cosa giusta, perché tutti noi ci siamo posti nel profondo della crisi un obiettivo fondamentale. L'obiettivo era di permettere al nostro sistema imprenditoriale, ma soprattutto al lavoro che segue l'attività imprenditoriale, di restare in essere. Lo abbiamo fatto con provvedimenti come questi, lo abbiamo fatto autorizzando la cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga. Abbiamo fatto la scelta, come Paese (e lo ripeto io credo condivisibile), di provare a tenere in piedi un momento di più un sistema imprenditoriale molto scosso. Ci si è resi conto, evidentemente, negli anni però che questo crea un doppio problema. Da un lato, rischia di mettere in conflitto due interessi di due imprenditori diversi, ma che poi ognuno nella vita può incarnare esattamente i due tipi. Quello a cui è dovuto del denaro per delle fatture o degli ordinativi, e quello che deve pagarlo. È chiaro che per ogni imprenditore che attraverso il concordato preventivo in qualche modo punta a tagliare una fetta di crediti, c’è dall'altra parte un imprenditore che li deve avere e che rischia a sua volta di essere trascinato nel fallimento. Questo è stato evidente in questi anni, perché le fatture non pagate, i corrispettivi non pagati sono stati una delle realtà e anche una delle cause per cui molte imprese anche sane, hanno dovuto chiudere i battenti. Ne conosciamo tutti, soprattutto tra le piccole e medie imprese.
Quindi, questo era un problema, mentre l'altro problema condivisibile emerso anche in audizione, è quello per cui un'impresa a un certo punto deve essere avvicinata al fallimento quando non ce la fa più, oppure messa per tempo nelle condizioni di poter essere ristrutturata. La questione dei tempi è decisiva. Tenere in piedi un'impresa quando non ha nessuna possibilità di poter tornare ad avere una funzione produttiva è un grande errore, perché consuma capitale, consuma tempo, consuma risorse pubbliche, negli ammortizzatori sociali, per esempio, e non si riesce mai ad accompagnare verso una evoluzione diversa. Il capitale o rimane inchiodato all'interno di un'impresa decotta o può essere liberato per altre funzioni.
Quindi, questi erano i temi che noi avevamo davanti. In qualche modo, intervenire rapidamente con efficacia, spingere l'imprenditore ad autodichiarare correttamente la propria posizione anche di difficoltà per poter consentire di intervenire con formule come quelle del concordato preventivo, da un lato, avvicinare e rafforzare la possibilità di recuperare i propri crediti da parte in particolar modo dei fornitori, anche delle banche, soprattutto delle banche.
Le banche, come si sa, rispetto agli altri hanno sempre molte più possibilità di rientrare dei propri crediti, per almeno due ragioni. Le banche conoscono la situazione dei propri clienti molto meglio dei fornitori di quelle imprese, quindi riescono ad intervenire con molta più tempestività, ma soprattutto le banche hanno spesso garanzie reali sui crediti che concedono e quindi riescono ad aggredire il patrimonio di un debitore in difficoltà ancora prima che gli altri arrivino.
La domanda che ci dobbiamo fare allora è se tutta questa serie di interventi posti in essere con questo decreto vadano nella giusta direzione rispetto a questi due obiettivi o non lo facciano. Io credo che in parte lo facciano, che la direzione sia in qualche modo quella giusta. Tanto le proposte concorrenti quanto la possibilità di integrare una proposta di concordato, la chiusura accelerata della procedura di fallimento, la definizione migliorativa della finanza interinale, sono tutti provvedimenti che puntano evidentemente a facilitare la possibilità per il creditore di recuperare almeno una parte dei propri crediti. Oggi, siamo all'anno zero, se siamo arrivati alla situazione per cui quando tu sai che un tuo cliente è in difficoltà e tu devi ancora incassare delle fatture spesso e volentieri non ti ci metti neanche a tentare di recuperarle, perché sai dall'inizio che non recupererai assolutamente nulla. Provare ad intervenire su questa situazione era doveroso e condivisibile e con queste misure si è fatto qualche piccolo passo in avanti, ma tutte le audizioni fatte ci confermano nell'idea che questi passi non sono sufficienti.
Eppure se il decreto si fosse fermato qui avremmo provato a migliorarlo. Ci abbiamo provato ad esempio con un emendamento dal nostro punto di vista molto significativo: si provava a stabilire che laddove vi sono offerte e proposte concorrenti, cioè un meccanismo per cui rispetto alla proposta iniziale del debitore possono entrare in concorrenza altre offerte formulate dai creditori medesimi, noi avevamo ritenuto si potesse scrivere che in queste offerte concorrenti uno degli elementi decisivi su cui effettuare la valutazione dovesse sempre essere anche quello della tenuta occupazionale dell'azienda, perché io credo che in uno Stato serio e in un Paese che ha una disoccupazione come quella italiana attualmente si dovrebbe sempre valutare che tra due offerte di rilancio di un'azienda sia sempre migliore, sotto tutti gli aspetti, quella che più dell'altra dà garanzie sul fronte occupazionale. Anche perché, sapete, dato che uno degli altri obiettivi di questo decreto, detto in modo esplicito, è quello di rilanciare il mercato dei crediti deteriorati, il rischio è che chi acquista i crediti si muova poi in modo molto aggressivo, visto che li acquista a prezzi di sconto, irrisori, quasi pari allo zero. A quel punto qualsiasi cosa si riesca a recuperare tanto meglio, ma sappiamo benissimo come si agisce in questi casi, si agisce nel tentativo rapido di chiudere la pratica, vendere ciò che è vendibile, liquidare l'attività imprenditoriale e realizzare un guadagno che a quel punto non ha niente a che fare con qualsiasi attività sociale di impresa, ma ha a che fare con la massimizzazione piccola di un profitto da parte di soggetti molto aggressivi.
Secondo punto, tutto l'intervento che viene realizzato sulle procedure esecutive. Anche qui noi sappiamo che l'Italia ha dei tempi di riscossione dei crediti, come conseguenza delle procedure esecutive, molto lunghi rispetto ad altri Paesi europei. Forse eccessivamente lunghi, noi sappiamo che quando si inizia l'iter in tribunale per arrivare alla vendita all'incanto prima di recuperare il proprio credito passano anni e anni. Questo se lo guardiamo dal punto di vista del creditore. Noi però, ci siamo posti un tema, e ci dispiace che il Governo non se lo sia voluto porre allo stesso modo. Ci siamo posti il tema che i beni, soprattutto quando si parla di immobili, non sono tutti uguali. Ad esempio vi possono essere case abitate, anche prime case, che vengono coinvolte in queste procedure. Lo sappiamo, l'ho già detto nel corso di un altro dibattito, in questo momento vi sono diecimila mutui prima casa in sofferenza e ve ne sono altri diecimila che non sono in sofferenza, ma sono incagliati e quindi presumibilmente potenzialmente avviati ad entrare in sofferenza. Ventimila famiglie che in questo momento hanno la prima casa che potenzialmente può essere coinvolta in procedure di esecuzione immobiliare. Questo è un tema serio perché se lo guardiamo dal punto di vista di chi deve riscuotere un credito passare da dieci anni a due come tempo di riscossione è stata compiuta un'operazione molto buona.
Probabilmente, appunto, come si dice, rilancerà il mercato dei crediti deteriorati, renderà più alto il collaterale anche per le banche, perché è più facile rientrare del proprio credito e quindi di conseguenza anche un credito vale di più. Poi se lo guardiamo però dal punto di vista di chi abita in quella casa, dal punto di vista di chi sta utilizzando determinati beni materiali per provare in qualche modo a continuare ad avere un reddito ed andare avanti in una qualche forma di attività di impresa, qui le cose cambiano, perché lì l'accelerazione dei tempi vuol dire una cosa molto semplice e molto precisa, vuol dire perdere più rapidamente il tetto in cui si vive, senza che si sia messi minimamente nella condizione di averne un altro. Per di più, appunto, noi parliamo di almeno una cinquantina di miliardi di crediti – lo dice, credo, anche la relazione tecnica – tra società immobiliari e società di costruzione sono circa una cinquantina di miliardi di crediti in sofferenza legati al settore delle costruzioni e dell'immobiliare, quindi potenzialmente una massa enorme di beni che possono essere messi all'asta, possono essere messi all'incanto, possono essere comunque ceduti anche attraverso procedure esecutive nei prossimi anni. È pronto il nostro Paese ad assorbire con maggiore e grande rapidità una simile massa di crediti deteriorati ? Questa è un'altra domanda che ci dobbiamo fare, fa parte di quelle questioni che ponevo all'inizio, cioè abbiamo fatto un discorso teorico rispetto al fatto che sia positivo, probabilmente perché ce lo chiede l'Europa, ci sarà nella lettera della BCE, ci sarà in altri angoli dei nostri rapporti con l'Unione europea, ci sarà scritto che l'Italia deve assolutamente comprimere i tempi di riscossione, deve assolutamente comprimere i tempi di incanto perché si deve eccedere, eccetera.
Tutto molto chiaro, ci siamo chiesti quale impatto avrà sul mercato reale, materiale di questo Paese e soprattutto sulle condizioni sociali di questo Paese ? Io temo di no, temo che da questo punto di vista in quindici giorni – sì, tanto abbiamo avuto per discutere e guardare questo decreto – forse questa domanda non ce la siamo fatta a sufficienza, quindi siamo in quel campo stravagante in cui un legislatore, o almeno chi abbia un certo tipo di sensibilità come noi di Sinistra Ecologia Libertà crediamo di avere, si chiede se si deve augurare che questa norma abbia buon fine e riesca nell'intento che in qualche modo si prefigge o se invece non dobbiamo piuttosto augurarci che quell'effetto, come spesso capita in Italia, soprattutto a norme scritte molto in fretta, non arrivi e si vada in qualche modo avanti come prima, cioè in un sistema assolutamente inefficace, in un sistema assolutamente inefficiente anche perché incapace di distinguere fra diversi tipi di crediti, ma che ogni tanto, proprio per la sua inefficacia ed inefficienza, riesce persino a dimostrarsi più vicino alla vita delle persone. Noi avevamo proposto più di un emendamento, ma due in particolar modo ci erano molto cari, entrambi bocciati, li presenteremo in Aula. Il primo chiedeva che dal momento in cui si avvia un processo che va verso l'esecuzione forzata al momento in cui si conclude, almeno a chi abita in una casa e sia la prima casa di una famiglia sia garantita la permanenza all'interno dell'immobile, la certezza di non perdere il tetto almeno fino all'ultimo minuto disponibile, d'altronde questo verrebbe anche a tutela dell'interesse pubblico, i nostri servizi sociali avrebbero forse meno cose di cui occuparsi e meno risorse da mettere in campo, anche se poi per la verità di questi tempi i servizi sociali non vengono chiamati, come è successo a Bologna nemmeno quando si fanno sgomberi di case occupate con le camionette della polizia, ci sono 15 minori all'interno dell'edificio e non ci si cura appunto nemmeno di avvisare i servizi sociali di presentarsi non da soli ma almeno accompagnando le forze di polizia. Quindi, questo è il clima in cui in realtà ci si muove in Italia.
L'altra è una proposta che noi riteniamo in qualche modo innovativa e di cui ci piacerebbe continuare a discutere e prevedeva che si possano costituire dei fondi in questo Paese presso Cassa depositi e prestiti, presso lo Stato, con cui acquistare quegli immobili che vengono messi all'incanto stabilendo un diritto di prelazione per lo Stato, gli enti pubblici o i propri collegati, di modo tale che almeno se un grande patrimonio – ho detto prima 50 miliardi, potenzialmente – immobiliare, abitato e non abitato, verrà messo all'asta e quindi venduto al prezzo di forte sconto nei prossimi anni, ci si chiede perché non può essere lo Stato a poter intervenire nelle aste con un diritto di prelazione rispetto al privato per acquisirlo al prezzo di sconto quel patrimonio immobiliare, in un Paese che ha difficoltà estreme, per non dire di peggio, sul piano degli alloggi popolari. Poteva essere una via per ringiovanire il nostro patrimonio immobiliare, soprattutto cominciare ad acquistarlo, perché l'emergenza della casa in questo Paese è vera, reale e forte.
Vengo al tema e vado verso la conclusione – della deducibilità dei crediti bancari. Anche a questo proposito, per dire cosa penso di quei due emendamenti che avevamo proposto – perché così è subito chiaro, in quale tipo di dibattito ci inseriamo. Il primo proponeva di non rendere una norma eterna in questo Paese, ma di darle una scadenza di cinque anni, cioè di dire che nei prossimi cinque anni i crediti deteriorati possono essere dedotti in una annualità, per poi tornare al regime ordinario dei cinque anni, ma ricordiamo che anche i cinque anni erano stati introdotti da un paio d'anni nel nostro ordinamento; prima erano diciotto.
Io credo che, anche a tal proposito, possiamo dirci le cose come stanno, o almeno come io le ho capite, forse le ho capite male: non c’è nulla di strano nel fatto che una banca deduca i propri crediti deteriorati in diciotto anni o in cinque, perché una perdita per una banca non è uguale a quella di un'impresa normale, fa parte dell'ordinaria attività di impresa. Io, se sono un concessionario e vendo un'automobile, mi aspetto che mi venga pagata. Potrò mettere qualcosa a riserva per eventuali insolvenze, ma mi aspetto che mi venga pagata. Una banca, nel momento in cui dà un prestito, presta all'interno del tasso di interesse anche il fatto che una percentuale di quei crediti vada deteriorata, fa parte del suo lavoro: il rischio è una parte determinante del motivo per il quale una banca fa profitti, anzi è la parte determinante per cui una banca fa profitti, una banca o un'assicurazione. Quindi, le perdite in qualche modo dovrebbero essere già connaturate, dopodiché è chiaro che non si può non capire l'argomento di chi dice che è successo qualcosa negli ultimi anni che in qualche modo è andato oltre la capacità di previsione che si poteva avere avuto. È evidente che quando arrivi al 10 per cento di quotazione delle sofferenze qualcosa è successo. Vanno smaltite queste sofferenze, vanno smaltite. La deducibilità in un anno può essere uno strumento per renderle, almeno quelle future, più facilmente deducibili ? Può essere. Questo aiuterà a rilanciare il credito alle famiglie e alle imprese ? Presumibilmente sì, presumibilmente sì. Anche a tal proposito, noi abbiamo proposto che venisse scritto, nero su bianco, dalla norma. Ha un'efficacia, non ha un'efficacia ? In altri Paesi si fa. È anche solo un messaggio politico che si lancia al sistema bancario, dicendogli: «Quegli spazi in più che si liberano sui tuoi bilanci, devono avere un certo tipo di determina, perché dobbiamo sapere» Io capisco che è probabile che una parte del nostro sistema bancario nei prossimi anni non pagherà più IRES e IRAP in questo Paese, perché io, per quel poco che ho capito, mi aspetto che un po’ di crediti che man mano andranno in sofferenza e andranno ad abbattere gli utili all'interno dei bilanci delle banche ci saranno.
Quindi, in un anno, ogni anno, con una politica di bilancio accorta quelle cose possono essere in qualche modo portate ad abbattimento – questo è chiaro – almeno finché non si tornerà ad una situazione ordinaria.
Quindi, stiamo facendo o non stiamo facendo un regalo alle banche, visto che è di questo che si parla ? Stiamo facendo un regalo alle banche, lo stiamo facendo nel senso che stiamo cambiando una normativa nel loro interesse. Il loro interesse, in questo caso, coincide con quello del sistema Paese ? può coincidere con quello del sistema Paese se si allargherà la capacità del sistema bancario di mettersi al servizio del sistema imprenditoriale e del sistema economico del Paese, aumentando la concessione di crediti. Abbiamo questa certezza ? Dobbiamo fidarci della parola del Governo e della Banca d'Italia, sostanzialmente, che ci dicono che questo accadrà.
Se non ci fidiamo eccessivamente della parola, né del Governo, né sotto certi aspetti della Banca d'Italia, credo che non ci possa essere fatta una condanna. Nei confronti del Governo è normale che la nostra fiducia non sia eccessiva, altrimenti non avremmo scelto di stare all'opposizione, nei rapporti di Bankitalia sono successe alcune cose anche recentemente nelle analisi che sono state fatte che, per quanto mi riguarda, mi hanno fatto un po’ dubitare.
Però è di questo che parliamo, esattamente di questo. Il dibattito quindi può essere fatto serenamente e, d'altronde, lo stesso Viceministro Morando era partito dicendo che questo decreto verrà accusato di essere un regalo alle banche. Secondo me, se non l'avesse detto, forse non se ne sarebbe neanche accorto nessuno, diciamo così, però in questo caso aver messo le mani avanti ci porta all'interno di questo tipo di dibattito.
Ripeto: se l'avessimo fatta temporanea e con maggiori garanzie, sarebbe stata una proposta che in qualche modo avrei persino potuto condividere. Così no, perché così non varrà solo nel periodo di crisi, ma varrà oltre il periodo di crisi. Così si consentirà per sempre al sistema bancario di avere una leva importante di politica di bilancio anche potenzialmente molto aggressiva dal punto di vista fiscale.
È evidente, infatti, che si può giocare con le sofferenze, non nel senso che si possano mascherare o meno, ma si può decidere quando farle emergere. C’è un margine di possibilità di decidere quando una sofferenza in qualche modo emerge e viene messa a sofferenza, magari nell'anno in cui il proprio bilancio rende più conveniente che questa emerga. L'ultima cosa su questo tema: si dice che la soluzione prevista sia a costo zero per quest'anno e anche per i successivi; io – lo dico qui, poi andremo avanti a ridiscutere nei prossimi anni – non ci credo. Non voglio dire alcune stime che parlano di 3 miliardi di costi, tanto siamo sempre nel campo delle stime, io non ci credo perché credo che sia del tutto imprevedibile oggi. Forse è prevedibile per l'anno in corso, perché più o meno quali sono i bilanci delle banche lo si conosce, ma dire che nei prossimi anni il combinato disposto fra l'intervento rilevato sulle DAT e quello che si è fatto sulla deducibilità in un anno produrrà automaticamente e continuativamente un costo zero dal punto di vista delle entrate dello Stato è impossibile. Si può fare una qualche previsione, ci sono tabelle e tabelle di previsione, ma nessuno di noi sa quali saranno i bilanci reali delle banche nei prossimi anni né sa quali saranno le loro scelte rispetto alla politica di bilancio né quante saranno le sofferenze che effettivamente emergeranno. Quindi, come si possa oggi dire se ci saranno minori o maggiori incassi per le casse dello Stato è dal mio punto di vista impossibile e, in qualche modo, rende poco seria la predisposizione del Governo dal punto di vista delle coperture. Infine – e chiudo – ne parleremo credo abbondantemente poi in dichiarazione di voto finale, ne abbiamo anche già parlato – c’è il tema enorme dell'Ilva, anzi non dovremmo dire dell'Ilva, ma dovremmo dire delle imprese aventi carattere di interesse strategico nazionale. Cosa sia una impresa di interesse strategico nazionale in questo Paese e perché si facciano norme speciali e derogatorie a favore delle imprese strategiche nazionali – io conosco l'Ilva e non ne conosco molte altre – è da vedersi. Perché quando abbiamo permesso che venisse chiuso Termini Imerese, era o no nell'interesse strategico nazionale avere una produzione di auto in Sicilia ? Chissà ! Quando abbiamo permesso che in Italia chiudessero completamente tutto il ciclo del PVC che viene abbondantemente consumato e impiegato dalle nostre imprese, soprattutto nel Settentrione, era o no un interesse strategico nazionale permettere che venisse chiuso ? Chissà ! Ora è un interesse strategico nazionale intervenire con un decreto retroattivo rispetto ad una sentenza della magistratura. Qui, mi dispiace, ma, come dire, chiunque abbia una qualche attenzione al diritto, chiunque abbia una qualche attenzione ai rapporti tra organi costituzionali, alla separazione dei poteri, capisce che entriamo in un terreno pericoloso, perché la magistratura ha adottato un provvedimento di sequestro – e questo lo sappiamo tutti – dopo la morte di una persona, di un operaio, motivandola con il fatto che ci siano dei dubbi sul fatto che in quell'area industriale siano garantite adeguatamente le condizioni di sicurezza per la salute e per la sicurezza di chi lavora. Era giusto o non era giusto il provvedimento di sequestro ? Ripeto: siamo in uno Stato di diritto, i poteri sono separati, era nel potere della magistratura farlo ? Sì. Il Governo interviene con decreto retroattivo per dire che: no, forse era nel suo potere, ma si procede di fatto ad andare avanti come se nulla fosse. Guardate, anche solo da un punto di vista formale ci si dovrebbe fermare qui. Ci si dovrebbe fermare qui ! Anche per non intervenire con pericolosi precedenti proprio rispetto agli equilibri delicatissimi che ci sono e ci devono essere in un Paese con una Costituzione come la nostra tra gli organi dello Stato, tra gli organi costituzionali dello Stato. Poi c’è il merito, lo abbiamo già detto, lo ripetiamo anche oggi e lo ripeteremo: esiste l'articolo 41 della Costituzione in questo Paese: qualsiasi impresa è libera di operare, cioè l'attività economica è libera, ma non può mai essere in contrasto con la tutela di diritti superiori, quali sono quelli alla salute e dell'ambiente – si derogò già in passato con un altro decreto – e dei lavoratori – si deroga in questa situazione. E lo si fa con motivazioni che noi non possiamo condividere, non possiamo comprendere, lo si fa, come detto, con modalità totalmente sbagliate, lo si fa all'interno di un decreto che poteva avere luci e ombre, ma che, dopo l'emendamento che introduce l'articolo sull'Ilva, chiamiamolo come deve essere chiamato, è come se avesse ricevuto un asteroide.
Cioè viene completamente sballato in qualsiasi possibilità di giudizio, diventa un decreto totalmente negativo.
PRESIDENTE. Concluda onorevole.
GIOVANNI PAGLIA. Questo è il nostro giudizio e questo confermeremo anche quando sarà il momento nel prosieguo del dibattito .
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Constato che il relatore Ermini rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
ENRICO MORANDO, . Grazie, signor Presidente. Io ringrazio tutti coloro che hanno preso parte a questo dibattito e vorrei, in particolare, approfondire un punto che è stato sollevato prima dall'intervento del deputato Abrignani e poi attraverso le osservazioni del deputato Paglia. Riassumo il tema dicendo che essi hanno sostenuto la eterogeneità delle materie affrontate, in particolare il deputato Paglia ha detto che questo decreto ha un nucleo essenziale – quello che stava nell'articolo 16 del provvedimento e relativo alla deducibilità in un solo anno delle perdite da crediti deteriorati –, però non si capisce quale sia il rapporto (secondo il deputato Paglia non c’è rapporto) tra questo articolo – a cui il deputato Paglia riconosce una certa rilevanza – e le altre norme recate da questo decreto. Vorrei rapidamente provare a dire perché, secondo il Governo, questa valutazione di eterogeneità delle materie non è fondata e, in particolare, a dire perché, secondo il Governo, c’è un rapporto particolarmente solido tra l'articolo 16 e le altre norme che lo precedono.
La sostanza, detta molto rapidamente, è questa: la politica monetaria che ha assunto – fatemi aggiungere finalmente, ormai da tempo – una intonazione ultraespansiva da parte della BCE fatica, per usare un eufemismo, a trasmettersi all'economia reale. Fatica cioè a modificare le difficili condizioni del credito che si sono determinate nel corso degli anni della grande recessione in Italia e, per la verità, in Europa, ma questa difficoltà è particolarmente forte in Italia. Intendiamoci, questa difficoltà di trasmissione della politica monetaria a quella che, un po’ sbrigativamente, chiamiamo l'economia reale mutando le condizioni del credito si determina in un Paese in cui il debito delle imprese è ultraconcentrato nelle banche. Infatti, se fossimo in un Paese diverso sotto questo profilo, la situazione delle condizioni del credito particolarmente difficili, quello bancario, potrebbe essere considerata meno rilevante, ma nel momento in cui noi siamo in Europa – che pure è già «bancocentrica» di suo nella parte continentale – il Paese più «bancocentrico» (mi scuso per questo neologismo orrendo, ma ho cercato di dire di che cosa si tratta) è evidente che condizioni di credito che rimangono sostanzialmente vicine al contingentamento del credito penalizzano fortissimamente l'andamento dell'economia reale. Se vogliamo la crescita, e vogliamo una crescita con posti di lavoro, non possiamo non porci il problema del miglioramento delle condizioni di credito. Come mai ? Perché si determina questa difficoltà nella trasmissione della politica monetaria ultraespansiva alle condizioni del credito per le imprese ? La risposta ci viene data non dalle illazioni, ma dai dati sul volume delle sofferenze e sul volume dei crediti deteriorati.
Malgrado la situazione e le cose, per fortuna, vadano un po’ meglio – e ci mancava pure che continuassero a peggiorare anche adesso che la Banca centrale europea ha fatto il QE, le operazioni di ulteriore immissione di liquidità che vengono chiamate – ancora a marzo del 2015, che credo sia l'ultimo mese per cui disponiamo di dati sul volume delle sofferenze e sul volume dei crediti deteriorati, noi siamo a questo: il volume delle sofferenze è sopra il 10 per cento del totale dei crediti e il volume dei crediti deteriorati è al 18 per cento.
Si tratta di dati impressionanti, che non spiegano tutte le ragioni per le quali la trasmissione della politica monetaria è così difficile all'economia reale, ma certo questi numeri costituiscono una parte di quelle ragioni. Perché questa esplosione delle sofferenze e dei crediti deteriorati ? Anche su questo punto non vi è bisogno di essere particolarmente esperti: se noi veniamo da anni – che in Italia, praticamente, non hanno avuto interruzione dal 2008 ad oggi – della più grave recessione che abbiamo conosciuto nella nostra storia unitaria, è chiaro che la crisi delle aziende ha determinato sofferenze e le nuove regole, soprattutto sul versante dei requisiti di capitale e patrimoniali, inducono le banche non ad alzare il tasso di interesse per fare credito, ma a non fare credito, con il terrore, appena l'impresa presenti un margine di rischio di qualche rilievo, che il nuovo credito vada ad alimentare nuove sofferenze, perché nuove sofferenze reclamano aumento dei requisiti di capitale, con l'esigenza di andare sui mercati in condizioni difficili e sempre più difficili per le banche, se aumentano il volume delle sofferenze.
Ora, questo elemento è aggravato in Italia – mi scuso per la sommarietà con cui ho riassunto la situazione – dall'assenza pressoché totale di un mercato sviluppato delle sofferenze, che invece c’è altrove. Per dirla con il linguaggio aulico degli economisti, ci troviamo, da questo punto di vista, in presenza di un ennesimo fallimento del mercato, perché in altri Paesi questo fenomeno delle sofferenze determina lo sviluppo di un mercato delle sofferenze e dei crediti deteriorati, e in Italia questo non accade. Che cosa fa questo decreto ? Nella prima parte, cioè prima di venire all'articolo 16, il decreto aumenta l'efficienza e la rapidità delle procedure fallimentari e di quelle esecutive immobiliari.
A proposito, ci sono i dati che riguardano la media di durata, in termini di tempo, di queste procedure: nel caso delle procedure fallimentari noi siamo mediamente, secondo i dati disponibili, a sei anni e, invece, per quello che riguarda le procedure esecutive immobiliari, siamo a quattro anni; in entrambi i casi, periodi che sono almeno doppi rispetto a quelli medi nel contesto europeo nel quale operiamo. Il decreto cosa fa ? Cerca di aumentare l'efficienza e la rapidità delle procedure fallimentari (vedremo quale sarà l'efficacia, ma vi è un'opinione piuttosto diffusa circa il fatto che, almeno in parte, queste misure saranno efficaci), e, aumentando l'efficienza e la rapidità delle procedure fallimentari, oltre che di quelle esecutive immobiliari, si cerca di dare modo a questo mercato di costruirsi.
Se si costruisce questo mercato, si creano le condizioni perché, in una logica di mercato, le banche possano liberarsi di una quota di queste sofferenze, e quindi possano tornare ad aumentare il volume del credito. A questo punto si inserisce l'articolo 16, quello sul trattamento fiscale sulla deducibilità in un solo anno delle perdite.
Qui si tratta di adeguare il regime fiscale italiano delle perdite sui crediti a quello europeo, niente di meno e niente di più. Due anni fa un meritevole intervento (non era questo Governo che l'aveva fatto, ma ciò non toglie che fosse meritevole) ha ridotto l'enormità del numero di anni in cui queste perdite erano rese deducibili da diciotto a cinque, ma «cinque» resta cinque volte più grande, scusate la forzatura lessicale, di quello mediamente presente in Europa, dove le perdite sono deducibili in un anno. È del tutto evidente che l'idea è quella che queste due disposizioni si combinino nel determinare un miglioramento delle condizioni per la concessione del credito. Questo è tutto quello che si può fare per superare questo handicap che sembra caratterizzare il mercato del credito in Italia e, quindi, per superare il e per riaprire le maglie del credito, favorendo la crescita ? Naturalmente no, c’è una terza misura che molti ritengono sia più importante ancora di queste due (spero che non abbiano ragione, perché questa terza misura in questo decreto non c’è, spero che si sbaglino) ai fini della costruzione di un mercato dei crediti deteriorati ovvero un sistema di regole volte a fare in modo che si determini, anche attraverso l'eventuale interposizione di una garanzia pubblica, lo sviluppo di una società che acquisisce questi crediti. Naturalmente, questa attività, che in altri Paesi si sviluppa in una logica di mercato e senza bisogno di questo intervento, è difficilmente realizzabile se non attraverso un accordo in sede comunitaria, un accordo che ancora non c’è. È inutile far notare ciò che pure è vero, ossia che qualche anno fa, prima del novembre 2013, fu concesso a sistemi europei altrettanto rilevanti di quello italiano di intervenire ben più massicciamente sul sistema bancario; e ciò, altro che attraverso forme indirette di garanzia per fare in modo che si costruisse un mercato: si è intervenuti massicciamente con i soldi dei contribuenti sul capitale. Ma vale a poco dire: «se l'avete fatto fare agli altri, perché adesso non lo fate fare a noi che vogliamo fare meno di così ?», perché questo è un argomento che non si può usare da quando, nel novembre 2013, abbiamo l’, abbiamo l'unione bancaria, un enorme passo avanti sul versante dell'integrazione europea che, in quel momento, quando si autorizzarono queste operazioni a cui ho fatto cenno, non c'era e che adesso c’è e che ci vincola, naturalmente, in modo diverso rispetto al passato. Noi continuiamo a lavorare per costruire le condizioni di un consenso con l'Unione europea, ma non intendiamo agire unilateralmente, perché l'Europa è un posto dove si vince soltanto se si gioca con le regole di un gioco cooperativo e non si pretende di imporre le proprie decisioni agli altri. Questa, almeno, è la mia modesta opinione, anche se vedo che non è quella del deputato Paglia.
Infine, un'ultima osservazione. Ho detto e insisto, perché a me piace parlare chiaro e non nascondere la sostanza dei provvedimenti dietro eufemismi, che io non considero affatto che questo sia un regalo alle banche per ragioni che ho cercato di spiegare. Se è un regalo a qualcuno, stiamo cercando di regalare all'Italia un sistema del credito più aperto e più efficace. Quello è l'obiettivo della nostra iniziativa. Anche sul piano tecnico, mi consentirà il deputato Paglia di farlo notare per l'ennesima volta: questo è uno strano regalo.
Infatti c’è una relazione tecnica che non ho ancora visto contestata da nessuno in modo approfondito – e mi piacerebbe che qualcuno provasse a farlo, perché può darsi che sia sbagliata – che conclude l'esame dell'articolo 16, affermando che c’è un avanzo per l'erario. Allora, se c’è un avanzo, certamente non è un regalo, almeno in senso tecnico. Tuttavia, invece, sotto il profilo della considerazione degli interessi economici, e non solo economici, del Paese, io penso e insisto che questo, se avrà successo, possa essere un regalo ai lavoratori e alle imprese italiane, che potranno trovare finalmente di nuovo condizioni di credito accettabili.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
A questo punto, sospendo la seduta per una pausa tecnica di cinque minuti. La seduta riprenderà alle ore 17,20.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Pellegrino ed altri n. 1-00815, Stella Bianchi ed altri n. 1-00941 e Busto ed altri n. 1-00951 concernenti iniziative per contrastare i cambiamenti climatici, anche in vista della Conferenza di Parigi di dicembre 2015 .
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel calendario .
Avverto che è stata altresì presentata la mozione Palese ed altri n. 1-00953 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata Serena Pellegrino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00815. Ne ha facoltà.
SERENA PELLEGRINO. Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghi, lo scorso febbraio la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto le 400,26 parti per milione, le cosiddette ppm. È quindi probabile che nel 2015 la media annua raggiunga le 400 ppm. Direi che si tratta di una vera svolta epocale. Il livello di 400,26 ppm non era mai stato raggiunto negli ultimi 23 milioni di anni ed è un segnale che il riscaldamento globale sta procedendo più velocemente di quanto si pensasse e molto più in fretta delle non risposte dei Governi e del sistema economico del nostro pianeta.
Come scrive oggi noi respiriamo un'aria che nessuno dei nostri antenati dell'intero genere ha mai respirato. La colpa ? I combustibili fossili che continuiamo a bruciare. L'azione dell'uomo è chiara, ineluttabile e visibile su tutti i continenti. È obbligatorio ora gestire i cambiamenti climatici. Se si accresceranno, correremo il rischio di conseguenze gravi, generalizzate e irreversibili per l'essere umano e per gli ecosistemi del nostro pianeta. Colpiranno tutti gli strati della società e dell'ambiente naturale, nessuno escluso.
Il riscaldamento dell'atmosfera e degli oceani, la diminuzione della neve e del ghiaccio, l'innalzamento del livello del mare e l'aumento della concentrazione di biossido di carbonio hanno raggiunto livelli senza precedenti. Gli imputati maggiori sono le costanti emissioni di gas serra e i fattori antropici, moltiplicati nell'era industriale.
Ma l'orecchio delle multinazionali che gestiscono petrolio e fossili è sordo. Sembra quasi che fino a quando non abbiamo prelevato e consumato l'ultima goccia dell'ultimo giacimento non si potrà invertire la rotta. Temo, però, che, se non ci diamo noi oggi la possibilità di continuare a sopravvivere su questo bellissimo e unico pianeta, l'ultima parola spetterà a madre Terra, che ci sta già facendo vedere la forza delle sue leggi, che – ahivoi ! – sono assolutamente dominanti su quelle della nostra piccola, piccola economia e finanza, figlie di un uomo contemporaneo, devoto a un industrialismo violento e consumista.
Possiamo ancora – ma il tempo è davvero poco – attuare opzioni utili a mitigare questi cambiamenti, attività rigorose che limitino le conseguenze dell'evoluzione del clima ad un livello gestibile e che garantiscano una prospettiva migliore. Più aspettiamo, più l'adattamento ai cambiamenti climatici e la loro attenuazione ci costeranno carissimi sul piano ambientale, sociale ed economico.
In questi anni gli scienziati dell'IPCC () ci hanno fornito dati e scenari che confermano che il cambiamento climatico c’è ed è causato da noi, con danni sostanziali al nostro ambiente e ai suoi abitanti. È evidente che dobbiamo agire subito. I rapporti dell'IPCC ci ricordano come gli estremi climatici saranno sempre più frequenti. Ribadiscono che il cambiamento climatico incrementerà i conflitti violenti e genererà un aumento dei rifugiati, definiti «ecoprofughi», ostacolando tutti gli sforzi per produrre più cibo.
L'acidificazione degli oceani, che deriva dall'anidride carbonica assorbita dal mare, sta palesemente danneggiando la vita marina. Il rischio immediato è l'aumento delle temperature, entro la metà del secolo, di circa due gradi Celsius rispetto alle temperature dal 1986 al 2005.
Si prevede che, se non interveniamo, per la fine di questo secolo le temperature saranno più calde di 3,7 gradi centigradi, fallendo l'obiettivo di mantenere l'aumento delle temperature globali sotto i due gradi. Riusciamo a immaginare cosa succede al nostro corpo quando la temperatura corporea aumenta di solo due gradi centigradi ? Si chiama febbre e di solito interveniamo anche pesantemente per ripristinare lo stato di benessere. Non agendo, le conseguenze potranno plausibilmente non essere annullate per centinaia di anni o più. È questa l'eredità che lasciamo ai nostri figli e nipoti. Tutto questo perché siamo miopi e avidi ma noi riteniamo che sia ancora possibile fermare il peggio praticamente senza alcun impatto sulla crescita, come hanno chiarito tutti gli scienziati, purché sia una crescita sostenibile, agendo subito, pena la non adattabilità delle generazioni future alla rovina climatica causata dalla nostra inerzia decisionale. Quest'anno i leader mondiali hanno previsto tre incontri: il primo a luglio 2015 per discutere il finanziamento dello sviluppo; il secondo a settembre del 2015 dove saranno adottati gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite; il terzo a dicembre 2015 in cui le Nazioni negozieranno a Parigi un nuovo accordo globale sul clima. E le decisioni prese in questo anno saranno l'eredità della nostra generazione, ovvero limitare il riscaldamento globale al di sotto di due gradi e raggiungere le zero emissioni di CO2 entro il 2050.
La Conferenza delle parti di Parigi è nei fatti l'ultima possibilità per evitare cambiamenti climatici disastrosi per la nostra specie. Il fallimento di Copenaghen del 2009 – non possiamo mai dimenticarcelo – ci segna la via. Il mondo ha ora una seconda e ultima per accordarsi su un percorso sicuro verso un futuro che non metta in pericolo il benessere umano nel mondo. Tuttavia quanto sta accadendo anche ora sotto gli occhi di tutti lascerà il nostro mondo irrimediabilmente e irrevocabilmente cambiato. La nostra civiltà non ha mai affrontato rischi concreti per la sua esistenza come quelle associati al riscaldamento globale, all'erosione della biodiversità e all'esaurimento delle risorse provocato dall'essere umano. È come dire che abbiamo più fame di terra che dei frutti della terra, Presidente. Per contro le nostre società non hanno mai avuto un'opportunità così concreta di far avanzare la prosperità e sradicare la povertà. Dobbiamo scegliere se intraprendere finalmente il viaggio verso la sostenibilità o aderire al nostro attuale e distruttivo percorso . Procedendo così mineremmo le fondamenta della nostra società tra cui la sicurezza alimentare, le infrastrutture, l'integrità degli ecosistemi e la salute umana. Saremmo tutti in pericolo ma con un impatto immediato sui più poveri e i più vulnerabili. Siamo probabilmente al confine ma forse uno l'abbiamo già attraversato: lo scioglimento di parti dell'Antartide ha aumentato il livello del mare di oltre un metro. I punti di non ritorno possono portare a e ad un cambiamento climatico autoamplificato spingendo il riscaldamento ben oltre le stime attuali. Nessun prezzo in dollari potrebbe mai misurare la sofferenza umana e la perdita di Paesi, culture ed ecosistemi.
Per raggiungere l'obiettivo di salvare il nostro ecosistema e noi stessi è necessario e urgente che la Conferenza delle parti, la cosiddetta Cop21 di Parigi, attraverso l'azione imperativa anche del nostro Governo, rispetti i limiti dei due gradi centigradi e le emissioni CO2 al di sotto di mille gigatonnellate: primo, favorendo una società e un sistema economico a zero emissioni di carbonio entro il 2050; secondo, stabilendo equità tra i Paesi più ricchi che aiutano quelli più poveri; terzo, promuovendo la ricerca e l'innovazione tecnologica nel campo delle energie rinnovabili e a zero emissioni; quarto, applicando una strategia globale per affrontare le perdite e i danni da cambiamento climatico.
Quinto: salvaguardando gli ecosistemi che assorbono CO2, come le foreste e gli oceani. Sesto: fornendo finanziamenti climatici ai Paesi più poveri; ma non ultimo, è che, soprattutto, la conferenza COP21 di Parigi non fallisca. Dipende anche da lei, sottosegretario, e per il suo tramite dal Ministro Galletti. Mi dispiace che in questo momento il Ministro Galletti non sia qui presente in Aula a discutere un argomento di cui tutti, tutti quanti parlano e di cui si sente la necessità immediata. Per questo, con la nostra mozione impegniamo il Governo a favorire l'approvazione di un accordo globale e vincolante per la riduzione delle emissioni, con obiettivi determinati e scadenzati, in grado di far rispettare le indicazioni del comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici. Nel contempo, chiediamo di avviare da subito nel nostro Paese adeguate strategie nazionali di mitigazioni e di adattamento. Ci vuole davvero poco: convertirsi dalle fossili alle rinnovabili sarebbe già un primo grande passo. Siamo tutti sulla stessa barca, sottosegretario: condividiamo un pianeta, condividiamo l'atmosfera, condividiamo un sistema climatico. Presidente, per tutto questo, purtroppo, non ci sono confini politici, e dire che adesso è l'ora di agire, subito .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Ermete Realacci, che illustrerà anche la mozione Stella Bianchi n. 1-00941, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ERMETE REALACCI. Grazie, Presidente. Illustro una mozione – sono largamente d'accordo con le cose che ha detto la collega Pellegrino – che ha come prima firmataria la collega Stella Bianchi e non credo che sia utile qui ricordare l'importanza del tema. Diceva Bernard Shaw che i fatti sono argomenti testardi. Sarebbe fin troppo facile citare il caldo di questi giorni, ma sarebbe ancora una cosa sbagliata, perché quando parliamo di mutamenti climatici non parliamo solo di innalzamento della temperatura ma di uno sconvolgimento del clima. È vero, gli ultimi trent'anni sono stati i più caldi da 1.400 anni; il 2014 è stato l'anno più caldo da quando esistono le rilevazioni sulle temperature del pianeta, ma è anche vero che questi effetti hanno effetti più generali. Secondo il professore Maracchi, gli eventi meteorologici estremi sono aumentati del 900 per cento negli ultimi decenni. Recentemente abbiamo visto, per esempio, una tromba d'aria atipica, violenta, che ha colpito il Veneto; sappiamo che il nostro Paese è fragile ed è chiamato, come diceva anche la collega Pellegrino, a strategie particolarmente efficaci di adattamento, come si suole dire, perché, in ogni caso, dovremo fronteggiare alluvioni, piogge ed eventi meteorologici più estremi nel prossimo periodo. Il Mediterraneo è un'area sensibile, lo è dal punto di vista climatico.
È un'area temperata, un'area in cui c’è molta acqua, e l'acqua, a volte, funge da amplificatore di questi fenomeni. Lo è dal punto di vista sociale, perché poi parte delle migrazioni che interessano il nostro continente sono figlie non solo di tensione e di guerra, di massacri, ma sono figlie anche di mutamenti climatici che spingono alla ricerca di speranza, popolazioni a cambiare. L'obiettivo della mozione, che, ripeto ha come prima firmataria la collega Bianchi, è quello di chiedere all'Italia di giocare un ruolo da protagonista alla COP21 di Parigi; un ruolo di punta perché quell'appuntamento non può andare perduto, il che significa fissare degli obiettivi ambiziosi ma anche degli obiettivi verificabili. Sappiamo che l'Europa si è data l'obiettivo di ridurre del 40 per cento le emissioni di CO2 entro il 2030 e, con un atto che è interessante dal punto di vista culturale ma che potrebbe essere anche un po’ generico, addirittura l'ultimo G7, che si è tenuto all'inizio di giugno in Germania, si è dato l'obiettivo di azzerare le emissioni di CO2 entro la fine del secolo. Ma la fine del secolo è lontana, dobbiamo fissare degli obiettivi intermedi. Bisogna, per quanto riguarda il nostro Paese, fare anche i passi giusti, come, per esempio, adottare in via definitiva la strategia nazionale di adattamento; favorire il protagonismo – come chiediamo nella mozione – di sindaci, amministrazioni, comunità, su questo terreno; modificare il sistema fiscale – questo lo dico anche alla sottosegretaria Amici: la delega prevedeva che questo facesse parte dell'attività del Governo, ma per ora non è stato fatto; favorire forme di economia come l'economia circolare, la che vanno nella giusta direzione.
Però lo voglio dire anche con franchezza che io riterrei sbagliato politicamente, antropologicamente se vogliamo, puntare su un misto fra allarmi, seppur molto fondati, come abbiamo visto, e una indicazione che assegna a una burocrazia tecnocratica il compito di decidere il da farsi. Anche in questo Parlamento, si è ricordato qualche settimana fa, un importante politico ambientalista, uno dei politici più originali che l'Italia abbia avuto, Alexander Langer, aveva sempre sostenuto (e io ero e sono d'accordo con lui) che la conversione ecologica o è desiderabile o perde. Allora dobbiamo capire quale è il valore d'uso di questa sfida, oltre la sua necessità, e il valore d'uso è elevatissimo. Mi limito a segnalare due terreni. Uno geopolitico. L'Europa è stata protagonista di questa sfida. Oggi abbiamo visto che si muovono anche USA e Cina e si muovono certo non perché sono animati da sensibilità superficiali, ma perché emergono i problemi. Addirittura la Cina che non è certo un modello dal punto di vista in generale delle politiche ambientali, lo scorso anno, un anno difficile economicamente per la Cina perché è cresciuta solo del 7 per cento, ha visto diminuire le sue emissioni dell'1 per cento, il che significa che anche in quel paese sono in atto delle politiche molto energiche da questo punto di vista.
Però l'Europa è stata protagonista, anzi, se dovessi indicare un terreno su cui l'Europa ha rispettato le premesse della Costituzione europea che fu a suo tempo scritta, cioè quella di essere uno spazio privilegiato della speranza umana, è quello del clima, in cui se non ci fosse stata l'Europa non si sarebbe fatto praticamente niente. Devo dire che un'Europa protagonista, è tanto più importante perché abbiamo visto un'Europa strappata, invecchiata, ingrigita in tutta la vicenda greca. Ritrovare l'anima dell'Europa è fondamentale e questo è uno dei terreni in cui può accadere.
Il secondo terreno è proprio quello dell'economia. Talvolta con posizioni anche a mio avviso sbagliate e retrò di una parte del sistema economico delle imprese, ma anche in generale dei pensatori dell’ del nostro paese in particolare, dove questi sono temi troppo spesso sottovalutati a tutti i livelli, a cominciare da quello dell'informazione economica e politica, si tende a pensare che noi usciremo dalla crisi come ci siamo entrati. Una specie di ricetta come quella del grande Edoardo «». Non è così. Noi usciremo dalla crisi soltanto cambiando, individuando la direzione del cambiamento e sono in atto dei cambiamenti formidabili molto più forti di quelli che noi potevamo pensare. Chi ci avesse detto qualche decennio fa che una eclissi solare sarebbe stata da alcuni considerata un rischio per la produzione di energia elettrica, sarebbe stato guardato come uno sciocco. Hanno un po’ esagerato anche questa volta, per la verità, però questo è accaduto perché nel nostro paese oggi il 40 per cento dell'energia elettrica è prodotto da fonti rinnovabili, un obiettivo molto alto. È molto importante – questo lo dico anche al sottosegretario Amici – che il Governo nel rivedere errori che sono stati fatti di incentivazioni che hanno spinto più la finanza che non l'industria su questo terreno non commetta l'errore in una fase in cui questo settore è in formidabile sviluppo di far deperire le filiere nazionali. Mi riferisco anche agli incentivi sul fotovoltaico, sulle fonti rinnovabili, sul minieolico, perché continuare a incentivare la termovalorizzazione o incentivare quello che è l'effetto di una risposta a una crisi industriale, quello degli zuccherifici con i fondi che dovrebbero andare per una politica energetica basata sulle rinnovabili sarebbe un grave errore. L'Italia in molti di questi settori ha anche una forza in termini di industria e brevetti e su questo penso alla chimica verde, al solare termico a concentrazione, agli inverter, ma anche a tante iniziative minori. La scorsa settimana è stata inaugurato a Marina di Pisa un impianto per produrre energia dal moto ondoso, un impianto molto innovativo, ne verrà realizzato tra poco un altro, anche assieme ad ENEL green power alle Maldive. È un terreno in formidabile sviluppo. L'anno scorso erano installati nel solo campo del solare nel mondo 177 mila megawatt e si valuta che questo anno aumenteranno di 40 mila megawatt. Questo sta accadendo anche in paesi come i Paesi arabi in cui, come sappiamo (anche se anche loro hanno dei problemi tecnologici), l'insolazione è particolarmente forte.
Questo cambiamento ha seppellito opzioni che molti anni fa sembravano fortissime. Pensate al nucleare, se l'ENEL avesse cominciato a costruire centrali nucleari anziché essere fermata dalla saggezza dei cittadini italiani sarebbe una perché il nucleare è un fallimento. Nelle scorse settimane vi è stato un ricorso dell'Austria contro la Gran Bretagna perché quest'ultima per costruire una centrale nucleare con tecnologia francese ha previsto un incentivo per 35 anni che farà pagare quell'energia il doppio, altro che energia a basso costo ! Oppure pensate al carbone, anche nel mio partito anni fa vi era chi riteneva che la centrale di Porto Tolle fosse indispensabile per l'Italia. La nuova dirigenza dell'ENEL, una delle più avanzate del mondo su questo terreno, non solo ha detto che non farà Porto Tolle, ma ha detto che chiuderà 22 centrali di vecchia concezione, quelle più inquinanti, praticamente quasi tutte le centrali a carbone di vecchia generazione.
Dice un proverbio cinese: quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento. Ecco, noi vorremmo che l'Italia fosse dalla parte di quelli che costruiscono i mulini a vento. In questa direzione anche l'enciclica di Papa Francesco, un'enciclica molto innovativa che io penso in futuro sarà paragonata per importanza alla secondo me può parlare italiano. In che senso ? Papa Francesco nella sua enciclica parla non solo di ambiente, ma parla di un'economia a misura d'uomo, parla di tanti altri squilibri che ci sono nel mondo. Mette assieme grandi temi e comportamenti. Nell'enciclica si parla del delle raccolte differenziate. Questo tipo di economia assomiglia a larga parte dell'economia italiana, perché c’è un'innovazione legata ai temi ambientali che innerva la nostra economia anche senza le politiche. Secondo un'indagine fatta da Symbola e Unioncamere il 22 per cento delle imprese italiane hanno investito in dall'inizio della crisi e queste imprese sono quelle che esportano il doppio, hanno prodotto il 40 per cento dei posti di lavoro lo scorso e innovano di più. Questo accade in tutti i settori, non solo quelli tradizionali. Per esempio, pochi sanno che noi, come Italia, siamo il Paese che recupera più materie prime in Europa.
Il Presidente lo sa bene, siamo il Paese della terra dei fuochi, il Paese della Sicilia, una regione con un livello di gestione dei rifiuti inaccettabile, ma siamo anche il Paese che recupera più materia prima in Europa. Noi recuperiamo 24 milioni di tonnellate di materia prima all'anno, più dei tedeschi, che hanno un'economia più forte della nostra, perché i nostri cromosomi antichi, che passano per Brescia per i metalli, per Prato per gli stracci, per Lucca per le cartiere, e potremmo continuare, ci hanno abituato ad usare la nostra povertà per produrre innovazione e noi da questo recupero di materie prime risparmiamo 15 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all'anno.
Questa innovazione attraversa tutti i settori in cui noi siamo forti. Vale per l'agricoltura che scommette sulla qualità, vale per le ceramiche che competono nel mondo perché sono più belle, ma anche perché hanno dimezzato i consumi di energia e di acqua e ridotto la produzione di rifiuti. Vale per le macchine agricole in cui in tanti segmenti siamo leader nel mondo anche perché le nostre macchine agricole consumano meno energia, meno acqua e meno prodotti chimici. Vale per le giostre, i bambini di Pechino, di Shanghai, di Copenaghen, di Coney Island, giocano su giostre italiane; le nostre giostre vincono non solo perché sono più belle, ma anche perché rispetto a quelle tedesche sono più leggere e consumano la metà dell'energia. Potremmo continuare praticamente in tutti i settori e questo oggi incrocia, torno a Langer, anche dei formidabili cambiamenti che ci sono nei comportamenti, perché noi siamo il Paese appunto della Sicilia sulla raccolta differenziata, ma siamo il Paese in cui in provincia di Treviso vi sono 100 comuni che realizzano l'85 per cento di raccolta differenziata e l'obiettivo oggi di rifiuti zero non è solo uno slogan, è un obiettivo che può essere praticato con le giuste politiche. Milano è nel mondo la città che ha il livello più alto di diffusione della raccolta dell'umido e i punti di eccellenza nel nostro Paese potrebbero continuare, soprattutto quando l'Italia fa l'Italia. Quando incrocia al tempo stesso innovazione, qualità, bellezza e quando si nutre della forza delle comunità.
Diceva Cipolla che la missione dell'Italia è produrre all'ombra dei campanili cose che piacciono nel mondo. Dà anche alla decrescita il suo vero significato, decrescere non significa diminuzione dell'economia, perché se fosse così staremmo vincendo e in Grecia sarebbe un trionfo. C’è una decrescita positiva e possibile e parla di diminuzione del consumo di territorio, del consumo di energia e di materie prime.
Questa si può fare se uno scommette su quella grande fonte di energia rinnovabile e non inquinante che è l'intelligenza umana, si può fare in Italia in maniera particolare perché l'Italia quando è forte, quando fa l'Italia, incrocia questo, come dice anche l'articolo 9 della nostra Costituzione, con la bellezza, con la cultura, con la qualità. È questa la forza dell'Italia nel mondo. Allora io penso che questa sfida va vista così, cioè non è un dover essere, non è solo un obbligo, è anche un obbligo per tutte le cose che si sono dette, ma è una straordinaria occasione per ripensare l'economia, per ripensare la società, per rendere protagonisti i cittadini e le comunità del futuro. Pensate ai cambiamenti che sono avvenuti per esempio sul a Milano ci sono 120 mila persone che oggi usano il Io ricordo che il primo tentativo di di Legambiente all'inizio del 2001-2002 era rappresentato da poche centinaia di eroi che per militanza lo usavano. Oggi questo significa tante cose, significa occasioni di lavoro, significa occasioni anche di cambiamento delle relazioni tra le persone, c’è una bellissima esperienza per esempio che è stata da poco avviata nelle Marche, si chiama, in cui si stanno rigenerando gli elettrodomestici. Questo fa sì che persone che magari, siccome le riparazioni costano troppo, tenderebbero a comprare elettrodomestici di qualità più bassa, che non sono fatti in Italia, che vengono in genere dall'Est o addirittura dalla Cina, riutilizzando gli elettrodomestici, li pagano di meno, non hanno una garanzia, a volte questi elettrodomestici vengono recuperati in maniera tale da consumare anche meno energia e tutto questo settore ha una potenzialità mostruosa di produrre lavoro. Quando io penso ai ragionamenti che si fanno sull'IMU, vorrei ricordare che nel 2012, l'ultimo anno in cui si è pagata l'IMU sulla prima casa, l'IMU in media valeva 235 euro. Fra una casa costruita bene e una casa costruita male, passa una bolletta da 1.500-2.000 euro, ridurre di un terzo questa bolletta, è il doppio del risparmio dell'IMU ma produce un'enorme quantità di lavoro. Noi lo sappiamo, in Commissione ci abbiamo lavorato assieme, il credito di imposta dell’ l'anno scorso ha prodotto 28 miliardi di euro di investimenti e mobilitato complessivamente 350 mila posti di lavoro in un settore drammaticamente in crisi come l'edilizia, senza consumare territorio, producendo innovazione e qualità. Il Ministro Delrio si è impegnato a consolidare ed estendere l’, allargandolo non solo al consolidamento antisismico ma anche per esempio all'amianto, perché se noi non incentiveremo in qualche maniera i cittadini a togliere l'amianto dai tetti, l'amianto resterà lì. Termino dicendo che tutto questo c’è dietro la nostra sfida alla COP 21, un'idea ambiziosa di Europa che faccia l'Europa, che non abbia quel volto arcigno e burocratico che tutti possiamo immaginare in questo momento con chi possa venire identificato, che scommetta sul futuro, che scommetta su una nel mondo – che per ora ha, ma che non è detto conservi – in cui un'idea di futuro, una visione, tecnologie, innovazione, una forte economia aiuti nel mondo, si metta al servizio del mondo e dentro quest'Europa l'Italia può svolgere un ruolo di primo piano. Già lo svolge, lo svolge nei fatti con le sue imprese. C’è una bella frase che Clinton ha detto una volta sull'America e che secondo me vale per l'Italia ancora di più, Clinton una volta ha detto che non c'era nulla di sbagliato in America che non potesse essere corretto con quanto di giusto c'era in America. Questo vale per l'Italia ancora di più, l'Italia ha un mare di problemi, non stiamo qui ad elencarli, non sono solo il debito pubblico e l'illegalità, la corruzione, la burocrazia, il sud che perde contatto, tantissimi problemi, ma è un Paese formidabile se tira la rete dei suoi talenti. Non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia, è una sfida ambiziosa e visionaria ma molto concreta, come quella dei mutamenti climatici, delle tecnologie, di un mondo a misura d'uomo. È una sfida che tira fuori il meglio dell'Italia ed è a questa Italia che noi vorremmo che andasse con un Governo ai massimi livelli alla COP 21 di Parigi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00953. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Signor Presidente, si terrà, come è stato già ricordato, a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre 2015 la Conferenza dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel cui ambito dovranno essere definiti gli obiettivi e gli impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni nell'aria per contenere l'effetto serra ed i cambiamenti climatici. L'Italia ha ridotto in misura significativa le emissioni di gas serra, sia per effetto della recessione che ha ridotto i consumi, sia grazie alla modernizzazione e, quindi, alla migliore efficienza dei sistemi di produzione ed utilizzazione dell'energia che ha portato a risparmi nei consumi e ad una più ampia e costosa utilizzazione delle energie rinnovabili.
La riduzione effettiva delle emissioni di gas serra, in attuazione del protocollo di Kyoto, ha scarsi o addirittura nulli effetti positivi sul clima se è concretamente effettuata, peraltro con alti costi, solo da pochi Paesi, prevalentemente appartenenti all'Unione europea, tra cui l'Italia, mentre non viene affatto attuata o lo è in misura insufficiente dai responsabili dei maggiori volumi di emissioni di gas serra che sono: gli Stati Uniti e i Paesi cosiddetti BRICS e cioè Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, nonché dai Paesi di nuova industrializzazione del sud-est asiatico.
L'Unione europea si è già impegnata, da parte sua, al raggiungimento di nuovi ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, peraltro molto onerosi e penalizzanti sotto il profilo economico per un'area economica che fa registrare un basso tasso di sviluppo ed un forte tasso di disoccupazione, ma questo sforzo virtuoso sarà sostanzialmente inutile se il resto del mondo continuerà ad ignorare sostanzialmente il problema.
Altro fenomeno, purtroppo fino ad ora sottovalutato, che incide negativamente sul clima e di cui bisogna tenere adeguato conto, è la progressiva riduzione della superficie delle foreste pluviali equatoriali per effetto di uno sfruttamento dissennato che sta intaccando quello che è il polmone verde del pianeta; tale fenomeno è particolarmente grave in: Brasile, Indonesia, India, Africa centrale, Nuova Guinea e sud-est asiatico.
Va comunque tenuto conto che le oscillazioni climatiche determinate dalla natura sono immensamente più forti di quelle provocate dall'uomo, a partire dalla rivoluzione industriale: si pensi solo al succedersi nel tempo delle glaciazioni e dei periodi con clima temperato, e, su scala molto più ridotta e temporanea, si considerino gli effetti sul clima planetario provocati delle eruzioni del vulcano Tambora nel 1815, del Krakatoa nel 1883 e, più recentemente, del Pinatubo nel 1991, per cui le politiche, pur opportune, di contenimento delle emissioni di gas serra, anche se saranno realizzate finalmente su base planetaria, potranno avere effetti sicuramente benefici ma non decisivi sull'evoluzione del clima, specie nel lungo periodo, quindi per tale specifica ragione il tema del contenimento delle emissioni di gas serra va considerato in modo pragmatico e non ideologico.
Pertanto e per questi motivi, si chiede un impegno particolare al Governo a favorire, nell'ambito della prossima Conferenza di Parigi tra i Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, un accordo globale e realmente vincolante per la riduzione delle emissioni con obiettivi realistici e opportunamente cadenzati che dovranno essere rispettati da tutti i Paesi aderenti.
Si chiede anche al Governo un impegno a richiedere l'introduzione di sanzioni credibili ed efficaci per i Paesi aderenti che non rispetteranno gli impegni assunti per la riduzione graduale delle emissioni di gas serra, in quanto, se dovesse persistere l'attuale situazione che vede solo pochi Paesi, per lo più europei, che agiscono concretamente, affrontando costi elevati, per ridurre le emissioni si avrebbero due risultati fortemente negativi: in primo luogo, si vanificherebbero i benefici sul clima in quanto l’ impegno dei Paesi virtuosi inciderebbe solo su una piccola parte delle emissioni su scala mondiale e, in secondo luogo, si distorcerebbe la concorrenza a vantaggio dei Paesi inadempienti.
Poi, occorrerebbe assumere iniziative per rivedere gli attuali incentivi per le energie rinnovabili che attualmente sono superiori a quelli che si applicano in media nell'Unione europea e che gravano eccessivamente sulle bollette energetiche dei cittadini e delle imprese, rendendole meno competitive, disincentivando in tale ambito l'uso di terreni adatti all'agricoltura per l'installazione di pannelli solari che dovranno essere collocati esclusivamente in aree sterili, e circoscrivendo gli incentivi strettamente alle fonti energetiche effettivamente rinnovabili e quindi non inquinanti.
Poi, nel contesto e nell'ambito delle Nazione Unite, un impegno, sia nell'ambito dell'Unione Europea, sia – e soprattutto – sul piano nazionale, per le politiche sul contenimento delle emissioni dei gas serra realistiche e non ideologiche e che non siano inutilmente controproducenti sul piano economico per i cittadini e per le imprese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Busto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00951. Ne ha facoltà.
MIRKO BUSTO. Grazie, Presidente. Innanzitutto, finalmente si parla di cambiamenti climatici in quest'Aula. Esprimo una soddisfazione personale perché è un tema che mi sta particolarmente a cuore e anche una soddisfazione per gli interventi che ho sentito, principalmente quello della collega Pellegrino e anche del collega Realacci, che mi sono piaciuti molto. Forse, solo su quello di Realacci si potrebbe dire che l'unica cosa sbagliata è il partito a cui appartiene, per il resto ottimo intervento.
Dal collega Palese anche forse è stato malinteso il senso della mozione, forse era a favore del cambiamento climatico, ma per il resto esprimo soddisfazione.
Innanzitutto, parliamo di quello che è il tema della giornata, cioè Parigi.
A dicembre ci sarà un appuntamento importante, la XXI Conferenza delle parti della Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP 21, da non confondere con la cooperativa 29 giugno, che è un'altra storia.
Qui avremo più di centonovanta Governi di tutto il mondo che dovranno discutere un accordo globale di riduzione delle emissioni di gas serra per fermare le conseguenze devastanti del cambiamento climatico sulla salute, gli ecosistemi, le risorse idriche, l'agricoltura e sull'economia. Vorrei subito precisare una cosa: parlare di cambiamento climatico rischia di inquadrare il problema nella prospettiva sbagliata. Il cambiamento climatico è una conseguenza; è una conseguenza di scelte ben precise, di politiche industriali, economiche e sociali sbagliate e portate avanti da Governi, spesso di tutto il mondo, ed in particolare dei Paesi ricchi. Per parlare di cambiamento climatico si deve parlare innanzitutto di quanto noi siamo disposti a cambiare per salvare il futuro del nostro pianeta e quale è l'idea che abbiamo del modo in cui vogliamo vivere su questo pianeta. Andiamo ai numeri, che sono stati già parzialmente citati: la concentrazione di CO2 in atmosfera ha superato le 400 parti per milione, che rappresenta il livello più alto da circa quindici o ventitré, a seconda del dato che si cita, milioni di anni. Prima dell'Italia industriale, il livello di CO2 è stato all'incirca costante per circa 10 mila anni, ad un valore molto più basso di quello attuale, che è circa 280 parti per milione e con esso è stato stabile il clima del pianeta. Durante tutti questi anni, in un'epoca geologica che si chiama olocene, l'uomo ha potuto sviluppare l'agricoltura e tutte le moderne civiltà umane, tra cui la nostra. Dall'inizio dell'era industriale l'attività dell'uomo ha portato la concentrazione di CO2 in atmosfera a salire costantemente fino ad arrivare ai 400 PPM. E dove stiamo andando ? Il sistema climatico sta assorbendo quantitativi enormi di calore che possiamo vedere non solo nell'innalzamento della temperatura atmosferica, ma anche nell'aumento di temperatura degli oceani, dei suoli e nello scioglimento dei ghiacci. Il sistema climatico sta accumulando 250 triliardi di joule al secondo, che è l'equivalente di quattro bombe atomiche di Hiroshima ogni secondo. La APCC, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, ha previsto quattro possibili scenari, che descrivono quattro possibili futuri climatici in base a quanti gas serra emetteremo negli anni a venire. Stiamo emettendo più gas serra di quanto fosse previsto nello scenario peggiore della APCC, lo scenario RCP 8.5, che prevede un innalzamento della temperatura media globale di oltre quattro gradi entro fine secolo, con il raggiungimento di 1370 parti per milione. Quindi, ricordiamocelo: a 280 eravamo all'inizio dell'era industriale, a 400 PPM siamo oggi, 1.370 è quello a cui rischiamo di arrivare entro fine secolo. Cosa può succedere in Italia ? È stato già ricordato: l'Italia dimostra già oggi di trovarsi nell'area più vulnerabile al rischio degli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Nel mondo la temperatura media è salita di 0,57 gradi centigradi, in Italia l'incremento è stato di circa un grado e mezzo, quindi quasi tre volte l'aumento medio globale. Allora, immaginiamocela una giornata estiva più calda in media di 7,5 gradi, perché è questo il valore che ci sta dicendo anche il centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici, più 7,5 gradi entro fine secolo nelle estati. Un Paese più caldo è un Paese con più eventi estremi, più alluvioni, nubifragi, bombe d'acqua, tempeste, intense ondate di freddo e di caldo e siccità. Nel 2012 si sono registrate in tutto il mondo 310 calamità naturali, con 9.330 decessi, 106 milioni di persone colpite e un danno economico stimato pari a 138 miliardi di dollari. In Italia, solo tra l'ottobre e il novembre 2014, abbiamo avuto alluvioni a Genova, Modena, Senigallia e Chiavari. A Genova in meno di un mese è piovuto più di quanto pioveva in un intero anno, con piogge di 300-400 millimetri, talvolta in poche ore, degne di aree monsoniche o cicloni tropicali. Anche il nord è stato devastato dal maltempo, che ha causato sedici vittime, numerosi feriti, circa duemila sfollati tra Piemonte, Lombardia e Liguria. E proprio qualche giorno fa ricordiamo la tromba d'aria che ha investito il Veneto, causando devastazione e danni economici e soprattutto un morto e trenta feriti. L'Organizzazione mondiale della sanità ci dice che gli effetti sulla salute attesi nel futuro a causa dei cambiamenti climatici sono da considerarsi tra i più rilevanti problemi sanitari da affrontare nei prossimi decenni.
Andiamo ad un altro tema: parliamo di agricoltura. Quest'anno c’è l'Expo, si parla molto di cibo, di sostenibilità e, quindi, bisogna ricordare che l'agricoltura sarà il settore più vulnerabile al cambiamento climatico. Secondo l'IPCC, entro 35 anni, l'agricoltura potrebbe subire un calo di resa del 50 per cento, compromettendo la sopravvivenza umana. Secondo la Confederazione italiana agricoltori, tra perdita di prodotto diretto e danni da ripristino, nell'ultimo triennio i cambiamenti climatici sono costati al settore agricolo 1,5 miliardi di euro.
Ma il cambiamento climatico porta con sé altri effetti estremi. Attualmente, il 90 per cento del calore che noi abbiamo immesso in atmosfera è stato assorbito dagli oceani che stanno, infatti, mitigando l'aumento della temperatura. Però, l'aumento della temperatura degli oceani porta allo scioglimento dei ghiacci ed al conseguente innalzamento dei mari.
Diciamo due dati su questo possibile innalzamento dei mari: entro il 2100 potremmo doverci rassegnare a salutare il profilo costiero dello stivale italiano e, più in generale, di buona parte delle coste del mar Mediterraneo. Sono a rischio aree come la Pianura Padana, la Calabria e persino la Sardegna.
Le acque del Mediterraneo saliranno in media di 1,8 mm all'anno con una previsione sull'aumento del livello dei mari di circa un metro entro la fine del secolo e oltre 2 entro il 2200.
Però, potrebbe andare molto peggio: ci sono altri dati dell'università di Potsdam che calcolano che con solo un aumento della temperatura media di 2 gradi ci possono essere 4,6 metri di innalzamento del livello medio del mare.
E, poi, ricordiamoci quello che ci racconta la storia di questo pianeta. Nel Pliocene noi avevamo 400 parti per milione e nel Pliocene avevamo uno o due gradi in più di oggi e un livello dei mari di circa sei metri superiore al livello attuale. Quindi, è solo questione di tempo, è questione di equilibrio e di scioglimento dei ghiacci perenni.
Che cosa ci può portare l'innalzamento del livello del mare ? Altri problemi, come la penetrazione di acqua marina salata nelle falde, il cosiddetto cuneo salino, e aumento di desertificazione, quindi altri danni all'agricoltura e alla vegetazione.
Quindi, se tiriamo le somme vediamo un quadro abbastanza fosco. Ci sarà una crescita della popolazione: al 2050 saremo 9 miliardi ad abitare questo pianeta e ci sarà la necessità di sfamarli questi 9 miliardi. Dovremo raddoppiare la produzione di cibo, questo ci dice la FAO.
Quindi, ricapitolando: temperature più alte, desertificazione, clima instabile, meno acqua per l'irrigazione, meno terra fertile.
Il mondo e anche l'Italia rischiano di produrre meno cibo proprio mentre dovrebbe aumentare drasticamente la produzione di cibo.
Allora, vediamo cosa vuol dire questo sul lungo periodo. Il cedimento dell'agricoltura potrebbe portare la nostra società a collassare entro il 2040. Questo, che sembra il titolo di un film di fantascienza, è il risultato di uno studio del Global Sustainability Institute dell'Anglia Ruskin University di Cambridge, finanziato e ripreso in un ulteriore anche dai Lloyd's di Londra, il grande gruppo assicurativo. Nello studio si legge: «il sistema di approvvigionamento alimentare globale si troverebbe ad affrontare perdite catastrofiche e un'epidemia senza precedenti di conflitti per il cibo, maggiormente nei Paesi tropicali e più poveri». E questo lo dicono gli assicuratori.
Ovviamente, aumenterà chi nel mondo scappa dalla mancanza di cibo e dai conflitti per le risorse. Quindi, rischiamo un drammatico aumento dei flussi migratori.
Già oggi, di oltre 32 milioni di persone costrette ad emigrare a causa di disastri naturali, il 98 per cento sono profughi climatici provenienti dai Paesi poveri. Ma nel 2060, il Programma delle Nazioni Unite sull'ambiente (UNEP) prevede che solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici.
E, allora, parliamo un po’ di questo obiettivo: i famosi due gradi.
L'obiettivo dei negoziati internazionali è ridurre le concentrazioni di gas serra per limitare gli effetti pericolosi del cambiamento climatico. Il limite dei due gradi non è considerato da tutta la comunità scientifica come una soglia di sicurezza. Anzi, parrebbe più una scelta che ha poco di scientifico e molto di politico. Di recente un rapporto firmato da oltre 70 scienziati, esperti e negoziatori ha concluso che 2 gradi sono una soglia di sicurezza inadeguata, proponendo una soglia di 1,5 gradi. Tra due gradi e un grado e mezzo non sembra corra un'enorme differenza a occhio, ma invece questa piccola differenza è di vitale importanza per tutti i sistemi altamente sensibili alle modificazioni della temperatura, come le regioni polari, i ghiacciai e la zona dei tropici, oltre che le regioni fortemente minacciate dall'innalzamento dei mari, tra cui anche l'Italia.
Due gradi rappresentano il confine tra rischio pericoloso, sotto i due gradi, e estremamente pericoloso, sopra i due gradi. Quindi, ripensiamoci, anche se può sembrare qualcosa di irraggiungibile: forse cosa è irraggiungibile e cosa è impossibile dovremmo rivalutarlo in base a quello che ci aspetta.
E ora torniamo a noi, il Governo italiano e la negoziazione che ci sarà a Parigi. Noi non abbiamo un'eccessiva fiducia su quale sarà il contributo del Governo italiano per questa che diventa ormai una lotta per la prosecuzione della vita umana sulla Terra.
Dal Governo Berlusconi fino a quello Renzi, questo Paese si è distinto per l'indifferenza al cambiamento climatico e per questo sistema industriale che ha portato a questo livello di rischio per il pianeta; e, ancora, per la mancanza di volontà nel prendersi impegni e responsabilità nei confronti di un ambiente che, negli ultimi 70 anni almeno, ha contribuito a rendere più inquinato, soprattutto a livello atmosferico.
Non è un caso se abbiamo fallito gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra che ci chiedeva l'Accordo di Kyoto. Nel quinquennio 2008-2012, dovevamo ridurre mediamente le emissioni medie del 6,5 per cento rispetto ai valori registrati nel 1990, e invece non ce l'abbiamo fatta, abbiamo fallito questo obiettivo. Eppure, qui si continua come se nulla fosse. Quello che noi vediamo è che, fra un e l'altro, vengono concepite catastrofi ambientali, come il decreto «sblocca Italia», noto anche come «sblocca trivelle», o come il decreto-legge n. 69 del 2013, il «decreto del fare» – cosa ? –, che incentivava le fonti fossili e le false rinnovabili, o il decreto-legge n. 145 del 2013, «Destinazione Italia», destinazione verso i quattro gradi, che rilancia il carbone come fonte energetica.
Vengono portate avanti politiche infrastrutturali, con la prosecuzione e persino il peggioramento della «legge obiettivo», concentrata sulle opere più devastanti, costose e inutili. Vengono portate avanti politiche dei trasporti che non hanno migliorato in modo significativo la qualità ambientale degli spostamenti e non hanno trasferito il trasporto delle merci dalla gomma alla rotaia. Ricordiamoci che i trasporti contribuiscono al 14 per cento, globalmente, per le emissioni di gas serra.
Vengono anche portate avanti politiche che non aiutano l'agricoltura, anzi, la penalizzano: avete reso sempre più difficile la vita al comparto agricolo attraverso un'insostenibile imposizione fiscale – pensiamo all'IMU agricola – e non avete difeso a sufficienza le produzioni di qualità e la filiera corta.
Qui bisogna capire che noi abbiamo già consumato 2/3 del nostro disponibile. Se volete provare a rimanere sotto i due gradi, dobbiamo cambiare radicalmente, dobbiamo lasciare i combustibili fossili sotto al suolo, dobbiamo lasciarli lì dove sono e cominciare immediatamente una conversione veloce, velocissima, ad un sistema interamente basato sulle fonti rinnovabili. Qui stiamo giocando con la nostra vita, dei nostri figli e anche dei nostri nipoti.
Vi è un altro tema che voglio affrontare, perché si è parlato anche qui di crescita economica: si continua a dire che ci salverà la crescita economica. Allora, occorre ricordare che cos’è la crescita economica: è la crescita di un indicatore, il PIL, incapace di discriminare tra ciò che ci ha portato benessere e ciò che ci ha portato vicino all'autodistruzione; incapace di considerare i costi ambientali e sociali, di considerare l'importanza di conservare le risorse di questo pianeta.
E, allora, mi chiedo: come misuriamo un clima stabile con il PIL, un clima che consenta la sopravvivenza dignitosa ed equa nostra e dei nostri figli ? E come misuriamo con il PIL la perdita di biodiversità ? La biodiversità che supporta, anzi, che regge i processi che consentono la vita della nostra e di tutte le altre specie sul pianeta Terra. Il PIL è un indicatore di una mentalità fallimentare, di un sistema economico fallimentare, di un sistema politico fallimentare, che ha messo al primo posto il guadagno e il benessere immediato di pochi, anzi, di pochissimi, a discapito della sofferenza di molti, oggi e ancora di più domani.
Di alternative al PIL ne esistono da tempo: ci sono indicatori macroeconomici, come il GPI, il o il benessere equo e sostenibile, capaci di misurare lo sviluppo economico, integrando nell'analisi fattori ambientali e sociali e la valutazione del capitale naturale. Notare che tutti questi indicatori vanno verso un una stabilizzazione, e non verso la crescita infinita.
Tornando ai due gradi, secondo molti la crescita del PIL non è compatibile con l'obiettivo di riduzione dei 2 gradi.
I Paesi sviluppati dovrebbero decarbonizzare le proprie economie ad un ritmo dell'8-10 per cento annui, tuttavia riduzioni superiori al 3, 4 per cento, sono giudicate incompatibili con un'economia in crescita e questo lo dice anche la relazione Stern del 2006. Per ridurre dell'8 o del 10 per cento non basterà la e tutte le azioni volte a dipingere di una patina verde il sistema presente, occorre cambiare radicalmente e farlo in tempi immediati, rapidi, ora !
Dobbiamo cambiare il modo in cui facciamo l'energia passando verso un sistema totalmente basato sulle fonti rinnovabili e rimodulando, riducendo i consumi. Dobbiamo intervenire sull'efficienza energetica degli edifici per ridurre, azzerare i consumi o anche trasformare le abitazioni in produttori di energia, creando milioni di posti di lavoro, per davvero, davvero – non c’è più Palese, se no volevo dirlo a lui – milioni di posti di lavoro ! Investire nella mobilità dolce e nel trasporto pubblico, anche avendo il coraggio di disincentivare il trasporto privato, come fanno in molti paesi del nord Europa, che peraltro creano reddito e posti di lavoro da capogiro sul turismo ciclistico al contrario di noi (pensiamo all'Olanda o anche solo alla Germania che ha 9 miliardi di euro di economia che gira attorno al cicloturismo). Dobbiamo investire in maggiore efficienza nel trasporto, ma anche nella riduzione degli spostamenti: muoversi meno, muovere di meno le merci, muovere di più le idee, spostarsi verso una dimensione più locale, più piccola ed umana della vita e della produzione, verso economie locali dove rinasca il concetto di comunità !
Investiamo, anche, in una agricoltura agro-ecologica e comunitaria, capace di resilienza, di resistere cioè ai cambiamenti climatici che non dipenda più dalla chimica e dal petrolio, che sia capace di trasformare questo settore che oggi è un grande emettitore di gas serra, circa il 30 per cento, verso un assorbitore di gas serra, perché l'agricoltura può diventare un assorbitore, assorbendo il carbonio nel suolo.
Dobbiamo guardare al modello dell'economia circolare, con il recupero e la rigenerazione dei prodotti e dei materiali che usiamo, comportarci, finalmente, da utilizzatori delle nostre risorse e non da consumatori, mettiamo in pratica «rifiuti zero» e l’«approccio sistemico», perché questa formula che ci ha caratterizzato, che ha caratterizzato il sistema attuale economico lineare, «prendi, usa e getta», «produci, consuma e crepa» non è più sostenibile, il che vuoi dire che già oggi è solo per pochi fortunati e, in futuro, lo sarà per sempre meno persone, e io non penso che i nostri figli saranno tra quelle persone, purtroppo.
Questo è il mondo che noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo in mente e che, da poco più di due anni, stiamo mettendo in forma di leggi, mozioni, emendamenti presentati in questo Parlamento. Voi, o almeno quelli tra voi che contano qualcosa, avete un mondo diverso in testa. Un mondo fatto di trivelle e petrolio, fatto di autostrade, fatto di grandi ponti, grandi opere inutili, grandi affari per gli amici e i vostri finanziatori, grandi inceneritori per recuperare briciole di energia da risorse sempre più rare e strategiche e nel frattempo avvelenare le persone. Un mondo ottocentesco fatto di carbone pulito, di transizione morbida verso il gas, stoccaggio del gas, corridoi ad alta velocità per far viaggiare le merci sempre più lontano, sempre più veloci, verso l'infinito e oltre.
È vero, il Governo italiano non conta nulla a livello internazionale. Un recente sondaggio francese su chi è più influente in Europa dà al nostro Presidente del Consiglio un poderoso zero per cento ed è anche vero che le emissioni di gas serra del nostro Paese, rispetto a quelle globali o di nazioni come Cina o India, sono solo una piccolissima percentuale, circa l'1,2 per cento. Allora perché noi dovremmo impegnarci per ridurle ? Perché siamo qui ancora a proporre soluzioni concrete al cambiamento climatico ? Potremmo dire perché facciamo parte di quei Paesi che hanno una grande responsabilità storica, che hanno approfittato maggiormente per il loro sviluppo dell'uso dei combustibili fossili, abbiamo la responsabilità di aver partecipato alla creazione di un sistema, lo abbiamo supportato ed esportato, un sistema economico e produttivo e anche stili di vita, che non sono sostenibili e sono iniqui, con altissime emissioni di gas serra e cronicamente dipendenti dalle fonti fossili. Ma non è solo questo. La crisi climatica ci mette di fronte alla tragedia dei beni comuni, falcidiati da un sistema economico figlio di una mentalità che si è focalizzata sulla competizione spesso dimenticando la cooperazione, che ha messo gli interessi di pochi davanti alla sofferenza di molti, che ha privilegiato il breve periodo, dimenticandosi di considerare il futuro delle prossime generazioni, dei nostri figli.
PRESIDENTE. Deve concludere.
MIRKO BUSTO. L'atmosfera e il clima sono beni comuni e ci ricordano come tutte le nazioni, tutti gli abitanti della terra, sono connessi da un filo sottile e, ahimè, ahinoi, fragile.
Le nostre piccole azioni si sommano a quelle degli altri. Nessuno può chiamarsi fuori da questa partita, non possono i Governi, non possono i Parlamenti e non possono i cittadini.
Sto per concludere, Presidente. Dobbiamo puntare ad ottenere un accordo, che non sia solo una bandierina da sventolare per le aree pseudo ambientaliste dentro questo Parlamento. Dobbiamo puntare ad un accordo che possa davvero mantenere la variabilità del clima all'interno di valori accettabili – che sarebbero 1,5 gradi – per minimizzare i rischi di disastri climatici e salvaguardare la salute dei cittadini italiani e del mondo. Perché pensare di poter badare solo a se stessi è un'illusione in un mondo dove tutto è connesso.
Dobbiamo fare anche la cosa più difficile: dobbiamo cambiare noi stessi, dobbiamo cambiare i nostri stili di vita, il nostro modo di pensare la società. L'Italia ha tutte le carte in regola per essere un faro in Europa e nel mondo nel realizzare una politica economica e industriale intelligente e, come tale, capace di guardare al futuro rapportandosi con le risorse del pianeta in maniera sostenibile. Perché come diceva Einstein – non ho mai capito su che sillaba si pronunci l'accento –, non si può risolvere un problema usando la stessa mentalità che lo ha creato .
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Piso. Ne ha facoltà.
VINCENZO PISO. Grazie Presidente. Dopo un intervento del genere è difficile intervenire, perché facendo i conti con la realtà – non vorremmo peccare adesso di eccessivo realismo – il discorso sentito poc'anzi alla fine, al di là di quelli che possano essere gli obiettivi indicati, nobili per certi versi o in parte anche condivisibili, rischia di non portare da nessuna parte. Infatti già immagino quello che potrebbe volere dire, in un consesso internazionale, in un contesto dove le posizioni spesso e volentieri sono molto lontane, partire con un ragionamento massimalista di questo tipo e poi arrivare ad un nulla di fatto. Dico ciò, al di là del merito della vicenda e di quello che si va a chiedere. Infatti abbiamo sentito qui un ragionamento veramente di cambiamento di un sistema, di un approccio completamente diverso, rispetto ad un mondo tarato su altro tipo di esigenze e di obiettivi. Lasciando veramente da parte valutazioni sulla giustezza dei ragionamenti, già semplicemente il fatto di proporre un cambiamento così radicale implicherebbe un cambiamento nei fatti che rischia di essere irrealizzabile – e lo è nei fatti – nell'immediato.
Quando si va a proporre ragionamenti nel loro aspetto applicativo così non realizzabili, si rischia appunto di fare grandi discorsi, al limite anche molto belli, ma che poi, purtroppo, non producono quei cambiamenti che invece bisogna cercare di andare a realizzare, magari in maniera più lenta, in maniera progressiva, in maniera forse contraddittoria, ma che comunque danno un senso e un indirizzo e cercano realisticamente di arrivare ad un cambiamento di fatto.
Sinceramente dico questo non contento, ma con dispiacere, perché penso che poi, in fondo, i colleghi che mi hanno preceduto siano all'interno di un grande movimento che avrebbe delle grandi capacità di cambiamento e forse qualcosa – non so se sempre in positivo – stanno già cambiando. È un peccato non potere fruire, per carità, a mio modo di vedere, – per cui è sicuramente contestabile quest'opinione – di un approccio più realistico.
Venendo a noi e senza volere fare polemiche inutili, perché non siamo qui per contrastare a prescindere le legittime opinioni di chi mi ha preceduto, noi riteniamo che le costanti modificazioni del sistema climatico globale producano da tempo un riscaldamento i cui effetti, rispetto alla società e agli ecosistemi, risultano estremamente dannosi.
Si tratta di un fenomeno negativo cui contribuisce, peraltro, in maniera determinante l'attività dell'uomo, ma non solo, come ci dimostrano diversi studi.
Di più, studi scientifici sostengono che a livello globale la temperatura media superficiale aumenterà, entro la fine di questo secolo, di almeno un grado e mezzo rispetto al periodo 1850-1990. Si tratta di un evento che determinerà punte estreme di calore nella maggior parte delle terre emerse.
Il livello globale medio dei mari, inoltre, si potrà alzare di un intervallo oscillante tra più e meno i venti centimetri e il metro, per effetto del riscaldamento degli oceani e per la conseguente perdita di massa dei ghiacciai e delle calotte glaciali. C’è addirittura chi sostiene che il processo di surriscaldamento dei mari sia un processo irreversibile, anche se noi dovessimo ad oggi bloccare il cosiddetto effetto serra. È un fenomeno drammatico, che produrrà effetti negativi per il pianeta, con aumento del numero di disastri ambientali, maggiori rischi per la salute dell'uomo, marginalizzazione sociale ed economica, consistente aumento delle migrazioni.
Si tratta, dunque, di un quadro preoccupante, ma che, proprio sulla base delle indicazioni e dei dati forniti dagli scienziati, crea un allarme giustificato, che dobbiamo prendere in seria considerazione. Già in diverse zone d'Europa e nel nostro stesso Paese si sono registrati eventi climatici estremi con conseguenze calamitose: elementi che hanno fatto emergere la necessità di prevedere misure di adattamento ai cambiamenti climatici nonché di operare al fine di prevenirne gli effetti futuri, anche se poi, come è chiaro, siamo dinnanzi a fenomeni globali che necessitano di risposte globali, che vanno al di là di quello che può essere l'impegno, che è giusto mantenere ed è giusto implementare, del nostro singolo Paese.
Tali fenomeni e le indicazioni stesse degli scienziati hanno indotto l'Unione europea ad intraprendere una serie di iniziative che, ad aprile 2013, si sono concretizzate con l'adozione della Strategia europea per i cambiamenti climatici e con le successive conclusioni del Consiglio del 13 giugno 2013 incentrate su una strategia europea di adattamento al cambiamento climatico. Sono iniziative che impegnano gli Stati membri dell'Unione europea ad affrontare e risolvere in termini adeguati le problematiche in questione. Bisogna dire – lo ha già ricordato il presidente Realacci – che l'Europa, in questo senso, sta rappresentando una sorta di carro che traina un po’ tutto il resto del mondo nell'impegno per cercare di dare risposta a questo tipo di situazione. Probabilmente, è vero, se l'Europa non avesse ricoperto questo ruolo, finalmente un ruolo positivo, nel mondo ci sarebbe molta meno sensibilità rispetto a questi temi.
Sul tema dobbiamo anche sottolineare come nell'ottobre del 2014 i leader dell'Unione europea abbiano concordato di ridurre le emissioni interne di gas a effetto serra di almeno il 40 per cento entro il 2030: un obiettivo che tende a rendere l'economia ed il sistema energetico dell'Unione Europea più competitivi, sicuri e sostenibili. In questo contesto va anche detto che la revisione del sistema di scambio di quote di emissione dell'Unione europea costituirà parte integrante del quadro legislativo previsto per il periodo successivo al 2020.
Per il contrasto al cambiamento climatico serve, pertanto, una risposta politica di carattere internazionale. È per questo, per esempio, che anche la discesa in campo, la maggiore sensibilità che ha dimostrato una nazione importante, direi un continente importante, come la Cina, è sicuramente un dato rilevante, rispetto al quale bisogna ancora e con maggior forza lavorare. Per tale motivo, nel corso del 2011, le 196 Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici hanno deciso di elaborare, entro la fine di quest'anno, quando si svolgerà la Conferenza di Parigi, un accordo complessivo che impegni tutti i Paesi aderenti. Infatti, la comunità internazionale ha riconosciuto la validità dei dati scientifici per i quali l'aumento della temperatura media annuale a livello mondiale va tenuto ben al di sotto dei 2 gradi rispetto alla temperatura in epoca preindustriale, per evitare che i cambiamenti climatici raggiungano livelli pericolosi.
Inoltre, è di poche settimane fa il dato diffuso dall'Agenzia internazionale dell'energia che mostra come nel 2014, a fronte di uno stallo delle emissioni nel settore energetico, si è verificato un aumento del PIL a livello globale.
Qui rispetto al PIL – tanto per essere chiari – pure noi siamo d'accordo sul fatto che probabilmente parliamo di un parametro che andrebbe in qualche modo superato. Questo è poco ma è sicuro, però tale superamento comporta la necessità di una rivisitazione globale e ha anche dei contraccolpi dal punto di vista economico e di conseguenza è un cambiamento che va non fatto dall'oggi al domani ma che va guidato, va condotto costruendo un percorso.
In tale contesto, in Europa le emissioni sono diminuite del 19 per cento tra il 1990 ed il 2013, mentre nello stesso periodo il PIL è cresciuto in modo elevato. Uno sviluppo positivo che dimostra come la riduzione delle emissioni non ostacoli la crescita economica, ma addirittura crei talvolta le premesse per stimolarla.
È oramai assodato come i cambiamenti climatici riguardino tutti i Paesi, nessuno escluso: il dato più preoccupante, nel caso specifico, risulta quello che riguarda l'esposizione ad esso delle zone più povere del mondo che sono anche maggiormente sensibili.
Ricordiamo anche come il tema del cambiamento climatico sia al centro del dibattito internazionale. A tal proposito, lo dicevamo poc'anzi, pochi mesi fa è stato siglato un accordo bilaterale tra Cina e USA per la riduzione delle emissioni: un traguardo che lo stesso Presidente degli Stati Uniti ha definito storico, essendo la prima volta che i due Paesi si impegnano a ridurre il rispettivo livello di emissioni.
Con la mozione Stella Bianchi n. 1-00941, quindi, chiediamo un impegno diretto da parte di tutti gli Stati affinché dalla prossima Conferenza di Parigi sia raggiunto un accordo globale vincolante per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti e promuovere, al contempo, misure che possano favorire una crescente riduzione delle relative emissioni.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
VINCENZO PISO. Concludo, Presidente. Inoltre si invita il Governo ad adottare in via definitiva la strategia nazionale relativa all'adattamento ai cambiamenti climatici. Gli altri impegni della mozione vanno nella direzione di sostenere l'azione degli amministratori degli enti locali circa l'uso sempre maggiore di energia pulita – e su questo ci sarebbero altre cose da dire ma il tempo è tiranno – privilegiando l'efficienza ed il ricorso all'uso delle risorse naturali e promuovendo politiche industriali che, con incentivi mirati, sostengano attività economiche basate sull'efficienza energetica e sull'uso delle risorse naturali.
Qui concludo, tagliando il mio intervento, ricordando come talvolta anche i piccoli passi o quelli che possono apparire piccoli passi sono sicuramente meglio di atteggiamenti massimalisti che rischiano di rimanere sterili programmi a cui poi non segue alcunché di concreto.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Sesa Amici.
SESA AMICI, . Grazie, Presidente. Ho ascoltato con grande attenzione tutti gli interventi molti dei quali sono stati dei presentatori stessi delle mozioni e, se mi posso permettere, nell'illustrazione di queste mozioni è risuonato in quest'Aula un grado di consapevolezza molto attento e anche molto serio nelle argomentazioni. Si è trattato di discutere di mozioni riguardanti il tema dei cambiamenti climatici senza alcun atteggiamento di paura intorno a questo elemento. Si è teso piuttosto, invece, ad una riflessione molto di merito che, proprio perché non presa da questo senso quasi di paura che costruisce scenari apocalittici, richiede invece la concretezza nell'azione politica e, all'interno di un dato oggettivo di cambiamento climatico, richiede alla politica e ai Governi impegni precisi che riguardano non solo scelte di economia sostenibile di fronte a tale scenario. Credo che sia stato molto giusto l'intervento del presidente Realacci quando ha usato questa espressione: «pensiamo nel discutere ai cambiamenti climatici al servizio che vogliamo rivolgere al mondo» e quindi con un'idea importante di prospettiva. Con tale concretezza si è chiesta quindi un'economia più sostenibile, si è riflettuto sull'idea di sviluppo anche diverso, compatibile ma che tenga conto che le risorse di questo mondo non sono infinite. Si è chiesto anche – questo credo che sia il dato che più interessa anche da parte del Governo che poi risponderà nel prosieguo della discussione anche nell'espressione del parere sulle mozioni – un pacchetto di misure che, partendo proprio da questo dato, si concretizzi in scelte di comportamenti che devono essere conseguenti di fronte a questo problema che appare oggi a noi ma ancora di più sarà per le prossime generazioni la questione con cui fare i conti e, rispetto al quale, l'impegno della ricerca e dell'innovazione nel governare questi processi sarà elemento su cui l'investimento delle risorse anche pubbliche non solo del Governo italiano ma dell'insieme dell'Europa e dell'Europa nei confronti del mondo, avrà questo obiettivo: servire il mondo.
Credo che la conferenza di Parigi, che si terrà a fine anno, sia stata seguita, già durante il semestre di Presidenza europeo, con grande attenzione dal Governo italiano, e lo ha fatto in modo anche ripetuto, cercando di costruire nelle varie interlocuzioni, anche con i Ministri, negli incontri bilaterali, le condizioni perché quella conferenza di Parigi porti ad un risultato importante, che non sia solo la riduzione dei gas serra ma che impegni tutti questi Stati a ridefinire una serie di piattaforme. A tal riguardo, credo che l'impegno del Governo italiano e proprio quello della persona del Presidente del Consiglio, come quello che ha messo nella conferenza che si è tenuta degli Stati generali sull'ambiente, dove l'impegno che si è assunto ha riguardato anche la sensibilizzazione verso un'opinione pubblica politica e di imprenditori circa la serietà del tema, sia l'elemento più pregnante perché quella conferenza di Parigi avvenga dentro un percorso di assunzione di responsabilità sempre più crescente, tant’è vero che, proprio prima di arrivare alla conferenza, si terrà ad ottobre, a Milano, un evento che accompagnerà proprio gli Stati alla risoluzione. Non sono un'esperta del tema, ma la serietà delle vostre argomentazioni mi spinge a dire che nelle mozioni dovremo sviluppare proprio nel prosieguo della discussione la capacità di quest'Aula parlamentare e dei gruppi politici di trovare gli obiettivi seriamente perseguibili, perché quegli obiettivi perseguibili, anche quando si possono ridurre facendo qualche passo avanti per qualcuno e qualche passo indietro per altri, sono la condizione, anzi la precondizione, perché quell'impegno di Parigi veda l'Italia protagonista, ma anche mettere in condizione questo Paese e le sue opinioni pubbliche nel terreno più avanzato, perché l'innovazione, la qualità dell'ambiente e questo servizio al mondo sono un tema che non riguarda solo gli aspetti pratici ma l'impegno di una classe dirigente che vuole essere all'altezza di questo argomento .
PRESIDENTE. La ringrazio. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.